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I.10 - La fine del millennio e la fine della memoria?
In conclusione, gli anni ’90 vedono il flusso delle pubblicazioni di memorialistica svilupparsi su due strade distinte. Troviamo ex partigiani che scrivono espressamente per entrare nel dibattito revisionista a difendere l’immagine della Resistenza da attacchi denigratori. Questi testi sono conformati per raggiungere un obiettivo contingente: descrivono l’esperienza partigiana tralasciandone i lati meno chiari e nobili, per darne un’immagine solo eroica. Accanto a questo tipo di pubblicazioni, si trovano scritti più personali, i cui autori sono spinti da un’esigenza “testamentaria”. Di fronte al “tempo che fugge”, essi sentono di dover lasciare, nel loro piccolo, un lascito che assicuri la loro restanza. Da queste necessità, che nasce dal privato, hanno origine testi in cui si descrive l’esperienza del partigianato come una tappa fondamentale per la propria crescita individuale alla luce dei traguardi che i testimoni hanno raggiunto. Sono scritti che molto spesso tralasciano l’aspetto politico-ideologico della guerra partigiana, e i rimandi al clima italiano contemporaneo. Parallela a questa differenza di intenti, corrisponde una diversità stilistica. Nei testi nati dall’esigenza privata di “restare”, come è quello di Tridenti, il racconto è condotto con uno stile pacato, calmo e riflessivo, che guarda agli eventi con le cautele dell’età e crea un dialogo informale e colloquiale con il lettore. Nelle pubblicazioni che invece rispondono al dibattito revisionista, la scrittura ha molti momenti caldi. I memorialisti diventano stilisticamente più veementi poiché si tratta di difendere sia l’immagine complessiva della Resistenza sia la condotta dei partigiani. Il pubblico in quel caso non è chiamato solo ad ascoltare, a fare tesoro di un’esperienza personale e formativa per l’autore; questo accade per le “memorie-testamento”. Il destinatario deve essere convinto della bontà del
fenomeno resistenziale, che deve apparire inattaccabile alle critiche del fronte revisionista.
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I.10 - La fine del millennio e la fine della memoria?
Si può stabilire se e quando un genere testuale termini il suo sviluppo? Esso può avere una nascita, che coincide, didatticamente, con la pubblicazione del
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suo testo emblematico, ma non una “morte”. Per la memorialistica partigiana, invece, si può ben individuare un limite definitivo e perentorio.321 Si è detto che i testi di memoria, per essere tali, devono essere scritti di pugno dal testimone: per questo motivo, essi risultano strettamente intrecciati al percorso di vita umana di chi ha vissuto gli eventi. Un libro, una volta scritto, ovviamente non si perde nell’oblio: sarà sempre patrimonio di lettori, studiosi e case editrici, che potranno riproporlo con nuove edizioni nei modi e nei tempi che riterranno opportuni. Se il testo non scompare, vengono a mancare i testimoni stessi, e, con essi, la possibilità di avere nuovi scritti. Di conseguenza, proprio per la mancanza fisica del testimone diretto è chiaro che il “filone” della
memorialistica partigiana non possa avere una evoluzione infinita, ma termini con la fine anagrafica della vita dei partigiani stessi. Dopo questa breve premessa, è facile capire per quale motivo dopo gli anni ’90 le pubblicazioni dei testi di memoria partigiana di prima edizione inizino a calare. Per la maggior parte, si tratta già di testi postumi, scritture private spesso trovate tra le carte dei “vecchi” resistenti dai familiari, la cui pubblicazione vuole rendere onore al defunto, ricordandone la vita. Lo scopo affettivo e sentimentale che muove gli editori porta a non valutare i testi sulla base del loro livello formale o espressivo. Essi non vengono infatti editi per il loro valore intrinseco – sia esso narrativo, storico o testimoniale – ma semplicemente come omaggio al defunto. Questi scritti non sono nemmeno testi già usciti dalla penna dell’autore con una forma definitiva adatta alla stampa: sono, nella maggior parte dei casi, appunti, bozze private poco elaborate e non rivedute, abbandonate in qualche cassetto. L’atto dello scrivere non è stato sorretto da una qualsiasi esigenza di pubblicazione;322 manca, quindi, un altro elemento indispensabile per poter parlare di un “testo di memoria”, come si è finora inteso. Su questo materiale grezzo lasciato dal testimone defunto è intervenuto inoltre il curatore dell’edizione, che ne ha modificato la struttura formale, magari falsandone il
321 Si sta qui considerando la memorialistica di prima edizione. È chiaro che i testi già pubblicati negli anni precedenti hanno avuto le loro riedizioni; la tendenza alla ripubblicazione non si esaurirà con la morte degli autori. Si può ben constatare come tutt’oggi le case editrici si occupino di ripubblicare i testi di memorialistica partigiana più datati e notevoli. Non è questo però il luogo per discutere anche di riedizioni, nonostante sia un tema che potrebbe dare spunti per una feconda ricerca. 322 Cfr. il capitolo sul “genere” memorialistico, in cui si evidenzia, tra gli elementi identificativi del genere testuale, lo stretto e importante legame tra la stesura del testo e la volontà di rivolgersi ad un pubblico.
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