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Elsa Oliva (1921-1994
tramite la viva voce di un contadino. Nel racconto, non si trovano mai discese verso l’italiano popolare. Ogni descrizione è filtrata dalla presenza del protagonista, che attinge sempre a quell’italiano colto, ma non magniloquente, di cui è portatore. In conclusione, il testo di Franco Fortini mostra la reazione del giovane intellettuale alla guerriglia partigiana, a cui decide di aderire pur tra mille dubbi che nella narrazione sono affrontati con sincerità. Il racconto è fortemente
orientato a dare la precedenza alle riflessioni del protagonista, piuttosto che al resoconto degli eventi storici, ai quali si accenna solo tra le righe. Non c’è retorica né celebrazione; sono, semplicemente, le vicende personali di un ragazzo che sente di dover contribuire alla lotta, ma che non nasconde le sue paure. Fortini giustifica il recupero di questi ricordi poiché la sofferta “scelta” fatta in quel passato critico è legata al presente da un rapporto di interscambio reciproco. Ritornarvi è utile per comprendere il percorso di maturazione compiuto dopo di essa, e per continuare a rinnovarla nelle proprie decisioni successive.
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Elsa Oliva (1921-1994)
Quarto in ordine di pubblicazione è lo scritto di Elsa Oliva, Ragazza partigiana, pubblicato nel 1969. Come di consueto, sono utili alcuni cenni biografici. Elsa Oliva nasce nel 1921 a Piedimulera, in una famiglia già antifascista. A causa delle ristrettezze economiche, può studiare fino alla quarta elementare. Spirito irrequieto, già a quattordici anni è costretta dal regime ad allontanarsi da casa, prima per Ortisei e poi per Bolzano, dove lavora fino all’armistizio come impiegata all’Anagrafe del Comune. Dopo l’8 settembre si attiva subito e partecipa con gli antifascisti locali ad azioni di sabotaggio ai danni del presidio tedesco: dalla fuga dei soldati italiani internati alla distruzione dell’archivio. Per questi atti viene arrestata e deferita per il processo a Innsbruck; durante il viaggio riesce a scappare e raggiunge la famiglia a Domodossola. La sosta è però breve: a maggio 1944 è già con i partigiani della seconda brigata della divisione “Beltrami”. Nell’ottobre passa poi alla “Banda Libertà” per stare con il fratello, il partigiano “Ridolini”, ucciso due mesi dopo a Baveno. Dopo la sua morte, Elsa passa alla “Valtoce”, attiva sul
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Mottarone; qui è addirittura al comando di una piccola squadra, la “Volante Elsinki”. Dopo la Liberazione, si impegna nella politica locale domese fino agli anni ’70 come iscritta al Pci. Una volta svolto l’incarico di assessore al comune, lascia il partito, senza più aderire a nessuno schieramento politico. Muore a Domodossola nell’aprile 1994. Il testo non è organizzato secondo una scansione cronologica specifica né evidente. È semplicemente diviso in tre parti, ognuna relativa ad un momento dell’esperienza partigiana della protagonista: il periodo a Bolzano, la militanza nella “Beltrami”, il passaggio alla “Valtoce”. A ben vedere, il tempo della narrazione è piegato a piacere dall’autrice, che si concentra solo sugli eventi più rilevanti nei suoi ricordi: per esempio, dedica molto spazio all’estate del ’44 – momento per lei importante poiché teso e pericoloso a causa dei rastrellamenti – e concentra il periodo precedente in poche pagine. Il passaggio dalla scansione cronologica quasi giornaliera al tempo costruito secondo una prospettiva soggettiva è uno degli elementi che differenziano il diario dal più libero scritto di memoria.391
A proposito dell’attività partigiana di Elsa Oliva si deve sottolineare un particolare: la presenza femminile nelle bande partigiane svolgeva solitamente ruoli di collegamento tra i gruppi, per i rifornimenti o lo scambio d’informazioni. Elsa Oliva, invece, costituisce una delle eccezioni alla regola poiché è partigiana combattente: arriverà addirittura a ricoprire l’incarico di comandante del proprio gruppo di ribelli. Da questo elemento si può comprendere quanto fosse forte l’egualitarismo all’interno del microcosmo della banda partigiana, in cui persone di diversa classe sociale, ma anche di diverso sesso erano sullo stesso piano in quanto a doveri e diritti. È l’autrice stessa, durante il primo colloquio con il comandante, a chiarire di non volere trattamenti di favore:
Meloni è soddisfatto di quanto gli dico. Lo prego di un favore: vorrei parlare il giorno seguente a tutti gli uomini, in presenza sua, per spiegare che non devo essere considerata da nessuno una donna, ma uno di loro. Una forte stretta di mano suggella l’inizio di un’amicizia rimasta anche in avvenire integra e profonda.392
391 Il tema è già stato affrontato nel capitolo relativo alle differenza tra diario e memorialistica. 392 ELSA OLIVA, Ragazza partigiana, Novara, tip. Nuova Stella, 1969, pp. 32-33. Il testo ha poi avuto una seconda edizione (Firenze, La nuova Italia, 1974).
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E ancora, la sua determinatezza, e l’orgoglio di vestire finalmente i panni del partigiano armato:
Meloni in un primo tempo vuole dispensarmi dal servizio di guardia, ma lo convinco sulla necessità ch’io faccia ciò che tutti fanno perché vi sia la certezza fra loro ch’io sia come loro. Così provo per la prima volta a passeggiare di notte con un fucile sulle spalle scrutando nel buio, con le orecchie tese ad ogni minimo rumore. Sono tremendamente orgogliosa di essere diventata finalmente un vero partigiano.393
La protagonista assume in tutto e per tutto la parte del partigiano alla pari di un uomo, con tutti gli onori e gli oneri che questo comporta. Ma non si deve pensare che si avvii un processo di trasformazione della protagonista in un ruolo del tutto maschile: ella è in grado di mantenere la propria personalità, e sensibilità, di donna. Oltre agli incarichi da partigiano armato, Elsa si occupa anche della cura dei feriti. Il suo essere donna riemerge proprio in quei momenti:
Mi curvo sul ferito, lo chiamo, riconosce la mia voce, gira lentamente il capo e pian piano solleva il braccio che gli è rimasto, quasi volesse accarezzarmi. Il pianto mi impedisce di parlare, mi curvo fino a posargli le mie labbra sulle sue imbrattate di sangue e lui risponde al bacio. Poi un lamento più prolungato e come un sospiro disperato. Comprendo che non si potrà salvare. A questo pensiero mi pare d’impazzire […]. 394
Ecco che, smessi i panni del combattente, Elsa Oliva veste quelli della “crocerossina”. Anche i compagni feriti riscoprono in quei momenti la sua femminilità, nonostante sia quella la stessa persona che, poco prima, molto mascolinamente aveva imbracciato un mitra e li aveva incitati alla battaglia. Proprio l’eccezionalità del ruolo di partigiana combattente, anziché semplice staffetta o infermiera, ricoperto da Elsa Oliva nella guerriglia dà un valore aggiunto al suo scritto: esso è racconto del partigianato da un punto di vista differente rispetto a quello del normale combattente “maschio”, poiché frutto di una sensibilità diversa. Si noterà come la Oliva, vuoi per la sua personale percezione, vuoi per una predisposizione tipicamente femminile, tocchi con le sue riflessioni punti problematici del tema resistenziale – come l’uso della violenza, la percezione dell’umanità del nemico – su cui invece altri memorialisti indugiano
meno.
393 Ibid. 394 Ivi, p. 56.
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La sensibilità femminile è presente in molti punti del testo. L’autrice racconta l’esperienza partigiana dal proprio angolo visuale soggettivo e personale, come già Marchetti; ma il suo dire comunica un maggior senso di fratellanza verso gli altri compagni d’avventura. La dimensione comunitaria emerge, cioè, in modo più marcato. Se Elsa Oliva resta protagonista indiscussa dei fatti narrati, e sua interprete, molto spazio è lasciato alla descrizione degli altri partigiani, verso i quali la narratrice si sente fortemente legata:
Nel nostro accampamento si vive in perfetta armonia; andiamo tutti molto d’accordo e ci amiamo come fossimo veri fratelli. Nelle ore di ozio, si gioca come ragazzini. Ogni scherzo è valido. […] Nandino, Bautich, Silo, Mario, Ernesto, Contagoccie, Piero, Milanese, Carnera, Commissario, Mosè, Macagn, Gino, Biondo, Pulso, Franco, Maulin, Giovanin, Zena, Burlotto, Sander, Signini; questi e altri ancora, i compagni tanto cari, coi quali vissi delle tremende ma anche belle avventure di quei mesi di vita partigiana.395
Di tutti i compagni ha un ricordo affettuoso. Elsa racconta per ognuno un aneddoto caratteristico, così da trasformare questi partigiani in divertenti “macchiette” da circo: c’è il forzuto, il mattacchione, il barzellettiere, lo sprovveduto, il coraggioso. L’immagine che si ha della banda partigiana risulta essere quella di un gruppo allegro di giovani, legati da una profonda fratellanza. L’affetto che la protagonista sente per i compagni viene espresso nella narrazione dai gesti affettuosi, quasi materni che si colgono tra le righe delle azioni compiute, senza che il racconto ne sia appesantito, o la tensione delle scene compromessa:
Non rispondono; Giulio pure toglie la pistola e la tiene in mano, pronta. Barbini, (sic) mi afferra un braccio e mi prega di non uccidermi, ma di tentare la fuga, oppure, di lasciarci prendere prigionieri. Gli sorrido con dolcezza e gli accarezzo una guancia. Buttano un’altra bomba poi un’altra ancora e sentiamo scricchiolare la porta di legno fracassata. Punto la canna della pistola alla tempia, esito a premete il grilletto, vorrei prima ammazzare qualche dannato fascista, sento una furia pazza salirmi al cervello, sto per balzare in piedi ed urlando passare all’attacco.396
I momenti delle battaglie, dei rastrellamenti contribuiscono a disperdere l’atmosfera goliardica della vita di banda. Lì, l’attenzione ritorna alla dimensione tragica della guerriglia, che si riflette nelle reazioni soggettive della protagonista di fronte alla morte, al nemico. Momento decisivo, oltre che per la maturazione di Elsa, anche per lo svolgersi del racconto, è la morte di Aldo Oliva. Il lettore non
395 Ivi, p. 46. 396 Ivi, p. 93.
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assiste direttamente alla scena: ne viene a conoscenza insieme alla protagonista. L’autrice descrive le proprie reazioni a questa notizia evitando del tutto la retorica:
Dov’è mio fratello? Mi guardano ancora con quella strana aria, poi una di esse con un filo di voce mi annuncia: È morto, lo hanno ucciso i fascisti ieri sera, davanti alla chiesa di Carcegna. Rimango come paralizzata. Il cuore mi si è fermato. Guardo in volto i miei compagni. Guardo come inebetita il bel cielo azzurro, volgo lo sguardo verso le montagne e me le sento tremendamente nemiche. I compagni mi guardano senza osare dire nulla. Le mie labbra si muovono e ripetono come un ritornello: È morto mio fratello, è morto mio fratello […]. Non posso piangere, non posso parlare. Guardo tutti quei visi che mi stanno intorno ed in ognuno vedo il volto di mio fratello. Nessuno osa più parlarmi, s’aggirano intorno e mi sembrano ombre.397
A dominare la scena è un senso di disperazione totale. Elsa Oliva, sempre così forte, determinata anche più dei suoi compagni maschi, si sente persa, incapace di reagire. E lo stile rispecchia questo senso di smarrimento, frammentandosi in tanti piccoli periodi, interrotti da pause forti: brevi sezioni di un monologo che ripete l’unica certezza, quella della morte del fratello. Niente è concesso alla magniloquenza: il dolore è tutto schietto, vissuto secondo modi personali e soggettivi, lontani dalle celebrazioni retoriche che trasformano il caduto in eroe della patria. La narrazione si mantiene focalizzata sulla reazione soggettiva di Elsa anche di fronte alla morte di altri compagni. Le figure dei caduti non vengono dipinte come martiri, e per questo private dalle loro individualità. L’idea del sacrificio per la patria avrebbe in qualche modo spersonalizzato la loro figura e giustificato la loro morte, rendendola meno dolorosa. La narrazione punta invece a mantenere l’umanità dei caduti, per ribadire l’inutile tragicità di quelle morti. Si vede la Oliva indugiare sulle carni macellate dei partigiani morti, per aumentare il senso di orrore che la violenza della guerra deve suscitare nel lettore:
Avvicinandomi alle bare ancora aperte, sento che le gambe mi tremano. Guardo per l’ultima volta il volto caro dei poveri amici. Che orrore: Comina ha gli occhi asportati, Pietro ha le mani con le dita staccate e Giorgio ha le orecchie tagliate. Mi par di venir meno e mi copro il viso con le mani. […] Vorrei fuggir lontano ma non posso, il
397 Ivi, p. 137.
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mio povero fedele compagno attende una mia carezza prima che il nero coperchio lo escluda per sempre dalla vita dei vivi.398
Si avrà modo di notare che la Oliva ritiene ingiustificata non solo la violenza sui partigiani, ma anche quella sui fascisti. Le sue riflessioni a mente fredda sull’esito delle battaglie contribuiscono a creare un’immagine del nemico complessa e articolata: anche il fascista, il nazista appaiono capaci di sentimenti e affetti. Si veda questo esempio. Elsa Oliva in veste di partigiana infermiera ha appena medicato un prigioniero fascista ferito:
Il fascista rimane a guardarmi, pare meravigliato, poi mi dice «grazie». Lo medico e raccomando ai miei compagni di farlo riposare; solo allora lo guardo bene in viso e vedo che due lacrime gli scendono lungo le guance. – Perché piangi? – gli chiedo – Ti fa specie vedere che non siamo briganti come ci avete sempre definiti? 399
Il nemico, che in genere è caricato solo di elementi negativi, in certi passaggi del testo acquista un suo spessore psicologico, una sua umanità. Quasi che l’autrice voglia sottolineare come – al di là degli odi e della rabbia che ad ogni modo animano anche le proprie azioni – repubblichino e partigiano si assomigliano più di quanto non si voglia ammettere. Il tema della raffigurazione del nemico è comunque ripreso e affrontato a fondo in un paragrafo apposito. Per concludere, ancora qualche riflessione sullo stile del testo di Elsa Oliva. In generale, il tono della narrazione si mantiene semplice, colloquiale, facendosi più concentrato e telegrafico nei momenti più tesi. Poco si concede all’enfasi, al pathos. Il linguaggio di Elsa Oliva si mantiene su un livello di concretezza quasi totale, a stretto contatto con le “cose”. Si notino le ultime riflessioni dell’autrice prima di tornare a casa, una volta terminata l’esperienza partigiana:
Vado al piccolo cimitero a salutare i miei poveri compagni e mio fratello. Siedo sull’orlo della tomba e rimango a lungo a pensare a ciò che sarà la mia vita a venire. Ad un tratto sento di avere una gran paura, paura di tornare in mezzo al mondo, a quel mondo che per mesi ho disertato. Quassù, c’è tanta pace. La campana che suona il mezzogiorno mi sveglia dal mio fantasticare. Di malavoglia mi alzo. M’avvio al muro di cinta e lo scavalco. Cammino lentamente sulla strada che mi porta al piano. Non ho fretta di arrivare.
398 Ivi, pp. 169-170. 399 Ivi, p. 58.
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Domani camminerò sull’asfalto! Su quell’asfalto che il mio adorato Aldo aveva tanto sognato.400
Ecco che, brevemente e semplicemente, Elsa Oliva descrive al lettore una serie di stati d’animo, quasi sottovoce. Dalla gioia per la fine, al timore del futuro, alla nostalgia che già sente per un mondo – quello partigiano – che non potrà più tornare: tutti temi che altri memorialisti sviluppano attingendo alle immagini standard della retorica. Elsa Oliva invece vi accenna soltanto, timidamente, creando una simbologia che preferisce investire di significato le “cose” piuttosto che esplicarsi a parole, e che sfrutta i silenzi e gli “a capo” come elemento enfatico. L’asfalto, le campane rappresentano la società civile, la normale vita quotidiana a cui la protagonista è chiamata a tornare; le montagne invece rimangono a identificare l’ambiente partigiano. Il contatto con la realtà e la concretezza è mantenuto anche nella scelta del
lessico. Oltre ad una sintassi semplice, poco articolata, che preferisce l’asindeto o addirittura la pausa ferma quando la descrizione si fa più pressante e tesa, Elsa Oliva usa un registro lessicale colloquiale e quotidiano, senza censurare nemmeno le imprecazioni. Eccola attuare pragmaticamente il piano per poter uscire dalla prigione e raggiungere i compagni:
Verso nel bicchiere dell’acqua le compresse e le sciolgo. Rimango a guardare un momento il bicchiere e penso: sono un po’ troppe! E se quei disgraziati di fascisti non mi fanno ricoverare? Porco Giuda, creperei sul serio. Poso sul tavolino il bicchiere e vado alla finestra a guardare le montagne. I miei compagni sono lassù. Mi rivedo libera, in mezzo a loro.401
Nella scelta del registro linguistico si deve notare un particolare rilevante. Elsa Oliva è la prima, tra i memorialisti visti finora, ad attingere al dialetto. Lo preferisce all’italiano con il quale orienta la normale narrazione solo in un caso, che è per questa unicità indicativo. Parla in dialetto un uomo di Massiola; non un partigiano, ma una persona del popolo. Egli racconta una sua esperienza legata alla Prima Guerra Mondiale:
Un dì eravamo sulla cima del monte X ed arriva una staffetta ad avvertire il mio Capitano che i tugnit vogliono entrare nella valle! Ul mè Capitali ma diss: Cerutti avanti! Carica la mitraglia sui spal e vegna cum mi. A caminum par ‘na quai ura e finalment a rivum in d’una pustasium meraviglusa. […] Quant la bataglia l’è staia finia ul
400 Ivi, p. 188. 401 Ivi, p. 114.
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