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Mario Manzoni (1925-1982

mè Capitali ul mà batù n’à man sui spal e ul ma dii: bravo Cerutti, Cerutti bravo, ti sarè proposto par la medaia..402

Il dialetto è, ed è sempre stato, la lingua del popolo, della gente comune: e quando a parlare è un personaggio appartenente a quel mondo, la scrittrice sceglie appunto il vernacolo, dando alla narrazione la freschezza che una lingua come il dialetto – così impastata di “cose”, di vita concreta, non inquinata dai modi della cultura di regime – poteva comunicare. Lo scritto di Elsa Oliva si configura quindi come un testo di memoria in cui si racconta l’esperienza della Resistenza quale momento decisivo – e insieme problematico – nella crescita personale della protagonista. La sua testimonianza assume un ulteriore interesse per quel che riguarda il processo di emancipazione femminile, se si ricorda che Elsa è una delle poche donne partigiane armate della Resistenza italiana. La Oliva, che non annulla nel racconto la propria femminilità, è spinta alla lotta non tanto per servire ideali astratti di libertà, o per un credo politico, ma come reazione ad una personale rabbia verso i nazisti, oltre che da una naturale e irrefrenabile predisposizione all’azione. L’autrice consegna al lettore una narrazione concreta, aliena dalle celebrazioni retoriche, che mescola i momenti allegri e goliardici della vita partigiana con le sue parentesi più tragiche. Queste suggeriscono all’autrice una serie di riflessioni su cui non tutti i protagonisti partigiani hanno avuto la capacità, la sensibilità e la forza di interrogarsi.

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Mario Manzoni (1925-1982)

Nella memorialistica ossolana, il testo di Mario Manzoni è il primo esempio di scritto politicamente schierato. L’autore – milanese di origini ma trasferitosi all’inizio del 1943 ad Arizzano sopra Intra per sfuggire ai bombardamenti – è già di famiglia antifascista. Seguendo le orme del padre, diventa operaio. Dopo l’8 settembre decide subito di raggiungere le prime bande di montagna: a dicembre è già partigiano con la banda autonoma “Cesare Battisti”, con cui rimane fino alla Liberazione, escluso un breve periodo trascorso in Svizzera nell’inverno del ’44.

402 Ivi, p. 151.

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Si è già avuto modo di conoscere questo gruppo partigiano, comandato da Armando Calzavara “Arca”, poiché è la “Terza banda” di cui parla Costantini. Pur narrando gli stessi eventi, il racconto di Manzoni si differenzia del tutto dal testo precedente. Prima di tutto, manca il travestimento retorico che appesantisce la narrazione di Costantini; in secondo luogo, Manzoni è attento alla precisione dei dati utili per la contestualizzazione spazio-temporale dei fatti storici. Il racconto alterna la narrazione precisa degli eventi ai momenti più introspettivi, in cui si coglie la riflessione personale del protagonista sui fatti vissuti. Manzoni cerca di evidenziare tutti i lati della guerra partigiana: la scelta, la dimensione comunitaria e giovanile della vita di banda, il rapporto con il nemico, i lati più tragici della guerriglia. Da questo punto di vista, il testo di Manzoni è vicino alla narrazione di Elsa Oliva, anch’essa attenta a dar rilievo alla dimensione umana della Resistenza; ciò nonostante, tra le due memorie sono evidenti alcune diversità. Una prima differenza sta nella gerarchia d’importanza stabilita dai due autori tra le parti in cui si esprime la soggettività del protagonista e la narrazione degli eventi. Elsa Oliva è molto concentrata sulle proprie reazioni personali ai fatti della guerriglia; Manzoni – seppur non trascuri la parte introspettiva – lascia più spazio al resoconto dei fatti. Il suo racconto si snoda tra gli eventi relativi alle valli ossolane, e ne ricorda gli episodi più famosi: l’eccidio di Fondotoce, le tappe della Repubblica. A proposito della gestione dell’Ossola libera e del movimento partigiano nel suo insieme, non nasconde perplessità e critiche, cercando anche di leggere quegli eventi alla luce dei risvolti bellici internazionali. Egli è molto dettagliato nel riferire luoghi e tempi della guerriglia. Questo può essere segno che si sia appoggiato ad appunti coevi agli eventi, oltre che al ricordo:

Il mercoledì 6 settembre siamo in stato di allarme perché da Cannero è giunta la notizia che truppe repubblichine hanno tentato di avvicinarsi al nostro posto di blocco. […] Nel frattempo la “Piave” cattura i presidi di Malesco, Re, Santa Maria Maggiore, Craveggia e Druogno, e si è spostata a ridosso di Masera, ultimo paese della Val Vigezzo prima di Domodossola.403

403 MARIO MANZONI, Partigiani nel Verbano, Milano, Vangelista, 1975, p. 106. Il testo è stato ripubblicato nel 1978, dalla stessa casa editrice. Recentissima è l’ultima edizione, a cura del Comitato unitario per la Resistenza nel Verbano (Verbania, 2009).

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Nello stralcio citato, in cui si è alla vigilia della Liberazione dell’Ossola, Manzoni riporta con precisione data e giorno della settimana per contestualizzare i fatti. Egli non si limita a raccontare la vita della propria banda; segue anche gli spostamenti degli altri gruppi presenti nelle valli. Ricordando quanto poteva essere difficile per un partigiano immerso nella guerriglia avere la reale percezione degli eventi bellici attorno a sé, si può definitivamente concludere che Mario Manzoni si sia aiutato – nella stesura del testo – con altre ricerche

storiografiche o memorialistiche per le parti relative agli altri gruppi partigiani. Nei testi visti finora, non si sono evidenziati riferimenti precisi a nessun tipo di ideologia politica. L’unica memorialista che si può ricondurre ad uno “schieramento” politico è Elsa Oliva: si è detto, infatti, che nel dopoguerra è iscritta fino agli anni ’70 al Pci. Nel suo testo però non emergono riferimenti ad una sua appartenenza ideologica; se ne possono solamente intravedere le radici nel dialogo tra la protagonista e il parroco intervenuto per confessare un condannato a morte. In quel passaggio Elsa, riflettendo su un Dio che dimostra di non proteggere i suoi figli, abbozza l’idea di una società che per essere giusta deve poggiare su uguaglianza, fratellanza e condivisione tra i suoi membri: insomma, sui valori del comunismo. Escluso questo veloce passaggio, niente altro nel testo fa pensare alla protagonista come ad una già convinta comunista. Anche Aristide Marchetti, che nel dopoguerra sarà deputato e poi senatore Dc, nel testo non inserisce riferimenti a partiti politici. Per Mario Manzoni invece la formazione comunista è più evidente. Oltre a ribadire l’antifascismo della famiglia nella premessa introduttiva, egli sottolinea l’importanza dell’apprendistato di fabbrica poiché lì riceve le prime nozioni teoriche marxiste:

Tra il 25 luglio e l’8 settembre si era sviluppata in fabbrica una certa attività sindacale, pur con le limitazioni imposte dal governo Badoglio e dalla guerra; dai miei compagni di lavoro più anziani e politicamente preparati, anche se pochi, avevo imparato le ragioni economiche che avevano dato origine al fascismo e la convenienza che i grossi papaveri dell’economia avevano avuto a sostenerlo. Ora però quegli stessi papaveri di fronte all’ormai inevitabile sconfitta avevano silurato Mussolini nel tentativo di scaricare le loro responsabilità sul perdente.404

404 Ivi, p. 13.

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La sua formazione di stampo marxista nata dalle discussioni di fabbrica – per quanto vaga possa essere, non essendo sostenuta da approfondimenti seri – porta spesso l’autore a leggere la guerra di Liberazione nell’ottica della lotta di classe. Per fare un esempio, Manzoni sottolinea l’indifferenza dell’alta borghesia di fronte alla guerra partigiana popolare, descrivendo le reazioni di un gruppo di giovani a cui il protagonista ha preso momentaneamente in prestito la bicicletta:

Sono quattro ragazze e un giovanotto e stanno parlando del fatto del giorno: il furto della bicicletta. Il giovanotto è molto scettico sull’”Esercito di Liberazione”, appoggiato nella sua tesi da due ragazze molto snob, e pensa si tratti di un furto. Invece una ragazza, che chiamano Sandra, insiste che chi ha preso la bicicletta non può essere un ladro e che la riporterà, ne è sicura […]. Inconsapevolmente ho coinvolto questi figli di papà, facendogli prendere coscienza di un problema che sicuramente non avevano “sentito” fino allora.405

Manzoni aderisce alle idee comuniste poiché è uno tra i tanti modi per reagire al fascismo. Il rifiuto delle idee mussoliniane proietta lui e i suoi compagni verso l’ideologia opposta ad esse, cioè il comunismo, senza che però questa adesione sia sostenuta da convinzioni più motivate; essa resta quindi abbozzata in modo solo astratto e sentimentale. L’autore ne è perfettamente cosciente; ma questa consapevolezza deve essere imputata a riflessioni fatte a posteriori. È difficile pensare che nel gorgo degli eventi, Manzoni abbia avuto la freddezza critica necessaria per arrivare a simili conclusioni. Egli dice:

Politicamente, le posizioni individuali tendono ad identificarsi con il comunismo, sia pure con scarse basi teoriche. Penso dipenda dal fatto che essere antifascisti significa, per l’opinione pubblica, essere comunisti […]. Indubbiamente i comunisti sono stati i più attivi durante questi vent’anni, ma secondo me la propaganda del regime ha finito per rendere loro una vasta popolarità, ottenendo esattamente il risultato opposto a quello che si prefiggevano i fascisti. Anch’io, come tutti coloro che lavorano umilmente, ne ho subito l’attrazione e penso sia lo stesso per i miei compagni poiché anche loro provengono dai ceti popolari. Mi piacerebbe comunque avere la possibilità di approfondire le mie conoscenze teoriche per poter operare una scelta motivata, e non solo sentimentale, che mi serva da guida per una vita futura basata sulla giustizia sociale.406

Manzoni è anche il primo, tra i memorialisti visti, a descrivere le discussioni “politiche” all’interno della banda partigiana. Nonostante egli faccia parte di una banda autonoma, i confronti ideologici non sono proibiti. Al

405 Ivi, p. 57. 406 Ivi, pp. 20-21.

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contrario, sono momenti importanti perché abituano i giovani partigiani alla discussione, al confronto civile:

Al rifugio non mancano le discussioni ideologiche. C’è una forte corrente, che fa capo a Marco, per il marxismo; l’altra, capeggiata da Mosca, sostenuto dalla terza squadra e da molti studenti, per il liberalismo. Arca non si impegna, creando con ciò la garanzia di unità e autonomia della formazione. In ogni caso sono discussioni simpaticamente condotte, che non lasciano malanimo negli opposti schieramenti anche perché la sottile ironia di Mosca è ben controbilanciata dalla tenace sagacia di Marco […]. Inevitabilmente finiscono con sfottò e sberleffi, ora per gli uni ora per gli altri, poi, tutti insieme, cantiamo le nostre canzoni. 407

Questi momenti di discussione si mantengono sul filo dell’allegria giovanile, senza assumere toni accesi ma inserendosi nei momenti scherzosi di dialogo e di pausa dalla guerriglia. Essi sono l’esempio di quel microcosmo di democrazia che è la banda partigiana, in cui niente viene imposto ma sempre discusso tra membri di un gruppo paritario. La gestione democratica del movimento partigiano è un elemento continuamente sottolineato dall’autore. Escludendo la parte introduttiva del testo – utile a che il lettore sia avvertito sul tipo di appartenenza politica del protagonista – i riferimenti ideologici non pesano sulla narrazione tanto da costituire un fulcro tematico che possa scavalcare il resto del racconto, e da far pensare che l’autore sia effettivamente un comunista convinto. Egli, come tanti, è solo affascinato dall’idea utopica di una società fondata sulla fratellanza, sulla condivisione, che possa trasferire su scala nazionale i modi della vita partigiana che l’autore tanto

apprezza. Forse per la sua stessa appartenenza ad una classe sociale popolare, forse per la sua formazione politica comunista, Mario Manzoni si preoccupa di dare rilevanza, nel suo racconto, anche alla popolazione delle montagne. Contadini e operai compaiono costantemente nella narrazione, come se fossero il terzo protagonista della storia della Resistenza a fianco dei partigiani contro il nemico nazifascista. Di conseguenza, il racconto della vita della banda partigiana – già eterogenea per la diversissima estrazione sociale dei suoi componenti – si arricchisce della freschezza del popolo, il cui appoggio contribuisce a motivare la lotta:

407 Ivi, pp. 60-61.

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Comunque anche queste donne nella loro semplicità cercano di aiutarci come possono e danno un senso alla spontaneità della lotta comune. Quando negli alpeggi devono radunare il gregge usano questo caratteristico richiamo: “Trrrr, tààààà berin” (agnello); che modificano in: “Trrr, tààà al luf” (al lupo) quando vogliono avvertirci di qualche pericolo. Questa loro iniziativa di solidarietà ci conforta; ci fa capire che non siamo soli, sottolinea che condividono e approvano la nostra ribellione a chi illegittimamente esercita il potere. 408

Insomma, Resistenza armata e resistenza passiva si uniscono senza discordia; quasi preannunciando quell’unione utopica tra classi sociali che l’autore vorrebbe vedere realizzata in futuro.

Stilisticamente, il testo di Manzoni non si fa notare per particolari guizzi di originalità narrativa. Egli scrive in modo semplice, diventando didattico quando ritiene di dover spiegare al lettore cose di cui non può essere a conoscenza. Si può dire che racconti i movimenti partigiani in modo quasi giornalistico, mantenendo la sua persona lontana dal contesto narrativo:

Dopo questo attacco comunque, prevedendone altri, la formazione lascia all’alpe Bové solo un distaccamento ritirando il grosso in val Grande, e si attesta nei pochi alpeggi esistenti in questa valle selvaggia percorsa dal Rio Grande che scende tra strapiombi rocciosi dalle pendici del monte Togano, che confina con la val Vigezzo, fino a ponte Casletto, dov’è attestato un altro distaccamento. Qui il Rio si congiunge col Rio Pogallo formando il San Bernardino.409

Più che un racconto di memoria, questo stralcio sembra estratto da un resoconto storiografico, e ne ha anche gli scopi: l’autore infatti si preoccupa di ricostruire la dinamica della situazione, tralasciando del tutto la propria figura. Anche le battaglie sono descritte sempre in modo freddo e distaccato, quasi da cronaca sportiva, contro la narrazione partecipata e patetica di Elsa Oliva:

Sono esattamente le 13,07 quando un Mas, che passa sul lago davanti a Cannobio, viene preso di mira dal tiro della nostra 20 mm. Si vedono le pallottole traccianti che solcano l’aria e infilano il lago, vicino al Mas, facendo ribollire l’acqua. Il Mas vira immediatamente dirigendosi al largo, seguito dalle raffiche, e qualche colpo lo raggiunge. Sorprese dall’attacco anticipato, tutte le squadre, una dopo l’altra, aprono il fuoco sui vari obiettivi. Il nostro è il posto di blocco sottostante ma, alla prima raffica, la 12,7 del Dottore si mette a saltare come una capra e le pallottole si perdono lontano dall’obiettivo. Allora si sdraiano in tre, bloccando col peso ciascuno un piede del treppiedi, consentendo una maggior precisione di tiro al Dottore. Il ballo dura un’oretta, poi la reazione dei tedeschi cessa e vediamo che i nostri compagni attraversano la passerella di corda che scavalca il

408 Ivi, p. 26. 409 Ivi, p. 42.

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torrente fra la strada della Cannobina e quella della litoranea, entrando di corsa in Cannobio.410

Lo scontro è descritto come da una postazione sopraelevata, che permette al narratore di cogliere i movimenti dell’uno e dell’altro schieramento senza dover figurare tra i coinvolti. Il ritmo è sostenuto, senza pause tra un’azione e l’altra. L’autore si attiene ai fatti nudi, evitando tutto ciò che può distrarre il lettore: riflessioni personali, descrizioni accessorie di paesaggi, interpretazione della battaglia come scontro epico. Unico elemento di originalità è l’uso di termini ironici – «saltare come una capra», «il ballo» – per descrivere una situazione che ironica non è, trattandosi di uno scontro a fuoco. Anche quando Manzoni stesso compare nel racconto, il ritmo della scrittura non cambia. Ecco la descrizione di un momento di estrema tensione:

Il mio compagno non lo sento più neppure respirare, tanto che devo toccarlo per rendermi conto che è ancora vivo; ha però seguito le mie manovre. Lo incoraggio dicendogli che se così deve essere così sia, ma prima qualcuno la pagherà cara. Comunque c’è sempre la possibilità che nella penombra non ci vedano, anche se è una possibilità molto labile. Mentre loro avanzano, casa per casa porta per porta, i minuti sembrano un’eternità, finché arrivano alla casa di fronte. […] I loro passi si allontanano…Respiro profondamente, mentre abbasso il cane della pistola mettendola in sicurezza, e quasi subito mi addormento profondamente, con le ginocchia in bocca, e la testa appoggiata alle braccia.411

In questa situazione, il ritmo telegrafico del suo stile è il più adatto a rendere il livello di tensione e di paura a cui il protagonista è sottoposto. Eppure, Manzoni non vi indugia a lungo: non sottolinea le proprie reazioni a questo momento estremo, ma passa a raccontare subito i fatti successivi – relativi alla propria fuga dal paese – lasciando al lettore il compito d’immaginare i pensieri del protagonista. La narrazione è invasa di concretezza, di eventi; solo saltuariamente la riflessione personale si proietta sui fatti. Nella scelta del lessico, Manzoni si orienta verso l’italiano medio dei manuali scolastici. Egli preferisce un registro linguistico che sia comprensibile a tutti, ma si distingua dall’italiano semplice e popolare; forse perché un lessico troppo semplificato avrebbe tolto serietà al suo resoconto, che tiene molto ad essere preciso e veridico. L’autore ha sicuramente dovuto sorvegliare il proprio dettato per mantenere questa medietà di tono; qua e là nel racconto, infatti,

410 Ivi, p. 110. 411 Ivi, p. 112.

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spuntano termini gergalizzanti, proverbi, similitudini d’uso comune, esclamazioni e appellativi dialettali. Si veda questo passaggio:

La moglie del Panza è una graziosa francese di mezza età, alquanto tondetta: fa pendant col marito che è magro come un chiodo, e parla un italiano carico di erre moscie(sic.) simpaticissimo da ascoltare. Per lei sono “Conficture” e parla sempre della sua puledra, che lei chiama “Chérie cavalline partigiane”, che contribuisce alla causa trasportando rifornimenti per noi. Questa signora, così coccola, nelle cose essenziali è decisissima e corre gravi rischi nella delicata attività che svolge come staffetta fra Milano e Cargiago. Comunque quella sera non avendo nessuno da accompagnare Leone ed io ci fermiamo ad Arizzano a casa mia per fare una vera cena […]. Arriviamo ad Intragna e nell’aria sentiamo echeggiare le note allegre di una fisarmonica. Riusciamo a individuare la casa da dove provengono e dentro troviamo il Sergio, il Lino e il Pompiere che stanno ballando con la Sadin, la Margherita e altre ragazze del paese. Ci uniamo a loro e per qualche ora ci divertiamo tutti assieme, alimentando l’allegria dando fondo ad una bottiglia di grappa. Quando verso l’alba rientriamo a Sciangai il sentiero, già faticoso per natura, diventa un calvario, un po’ per la neve ma soprattutto per la grappa; il morale però è più alto! 412

In questo stralcio lo stile si fa appunto più personale, meno freddo e distaccato. Si può azzardare l’ipotesi che Mario Manzoni obblighi se stesso ad una scrittura fredda e impersonale, credendo così di poter fare del suo scritto sia una testimonianza individuale sia un resoconto storiografico. Nelle sezioni più personali della narrazione – che sono purtroppo in minoranza – egli ritiene di poter usare un linguaggio meno sorvegliato. Queste pagine diventano, contro le sue intenzioni, le parti più interessanti poiché solo qui emerge la sua umanità, ovunque censurata per lasciare spazio ai fatti. Per concludere, lo scritto di Mario Manzoni si presenta come un testo di memoria soggettiva dell’esperienza partigiana, che poi si concentra molto di più sulla resa cronachistica dei fatti che sui ricordi personali del protagonista. Lo stile segue questa implicita alternanza tematica. Nelle parti di ricostruzione storiografica si mantiene su un livello medio di scrittura, preciso ma freddo e impersonale, mentre in quelle più soggettive e “partecipate” compaiono le costruzioni e le espressioni tipiche dell’italiano comune, popolare.

412 Ivi, p. 38.

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