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Un percorso di maturazione
diversa prospettiva consentita loro dagli anni trascorsi e dalle nozioni storiche acquisite. Nonostante queste riserve, però, la Repubblica ossolana è percepita e raccontata come il banco di prova delle nuove istituzioni – fondate sulla sovranità popolare – che l’esperienza partigiana ha saputo creare in alternativa alla dissolta società fascista.
Un percorso di maturazione
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La guerriglia partigiana viene raccontata con i toni positivi e allegri finora evidenziati perché nella memoria dei testimoni essa si lega strettamente ad un’età della vita coincidente con la giovinezza, fin quasi a sovrapporsi ad essa. Per questo, quando i protagonisti rivivono nel ricordo quei momenti, la prima immagine di essi che la memoria riesce a coagulare è positiva, spensierata. Aristide Marchetti individua nell’allegria giovanile la risorsa che ha permesso ai ribelli di affrontare la guerriglia e superarne i momenti più dolorosi:
Dimenticare la defezione dei compagni, il passato e le incognite del futuro: tale è la parola d’ordine del Capitano. L’accogliamo volentieri: non si è giovani per nulla. Il pranzo riesce magnifico. Il vino non è in coppe di cristallo, ma c’è, e buono.554
La causa della coincidenza tra Resistenza e gioventù nei ricordi dei memorialisti è facilmente individuabile se si considera l’età anagrafica della maggior parte dei partigiani, che non supera i 25 anni. La relazione stretta che in questo modo si crea è accentuata poi dal fatto che molti memorialisti intendono la propria esperienza partigiana – lo si è già detto – come una fase fondamentale per la maturazione del proprio carattere. L’età adulta, per molti ex partigiani, comincia proprio dopo il 25 aprile, perché in quella data essi vedono il momento in cui il tempo dell’allegria e dell’avventatezza giovanile si chiude per lasciare spazio all’età adulta, e alle responsabilità che essa comporta. In quei venti mesi i partigiani vivono uno stadio di crescita, di formazione individuale e apprendimento. Ecco Mario Manzoni:
Mi rendo conto che, come avevo d’altra parte previsto, non sarà una vita facile, ma sono tanto contento perché già intuisco un modo di vivere in comunità pieno d’insegnamenti di autentica libertà, anche se condizionata dalla situazione. È bello constatare l’unione che ci lega, e
554 A.MARCHETTI, Ribelle. Nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio, cit., p. 50.
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provo la soddisfazione, quasi fisica, di avere con i miei compagni un’aspirazione così fondamentale: quella di contribuire alla lotta per un futuro migliore.555
Gli esempi che si possono fare sono infiniti. Anche Elsa Oliva riflette sulla guerra che obbliga i giovani ribelli a maturare:
Quante cose in soli venticinque giorni, e come ci sembra lontano l’agosto passato a Gattugno in mezzo a battaglie e agguati ma spensierati come fanciulli nelle ore di tregua. La guerra, questa orribile macchina, invecchia l’animo precocemente.556
Nel racconto di Elsa Oliva l’influsso benefico del vivere partigiano è esplicitato non tanto con riferimenti chiari e diretti della narratrice: la crescita della protagonista emerge dai fatti stessi. Elsa è una delle poche donne a diventare vicecomandante, svolgendo quindi ruoli di comando e responsabilità. La sua maturazione – da giovane ragazza combattiva ma inconsapevole a donna responsabile e cosciente delle proprie idee – è evidente nel dialogo conclusivo della protagonista con il sacerdote del gruppo partigiano. Elsa vi esprime le proprie riflessioni maturate nel corso della guerriglia, che toccano temi caldi quali guerra, religione, e ideologia politica:
– Sono cosciente di quello che dico. All’infuori degli orrori della guerra, nessun’altra cosa travaglia il mio spirito. Quando credevo ciecamente in Dio, ero prigioniera di me stessa. Ora non lo sono più. I comunisti sono miei fratelli come lo sei tu. Non potranno mai essere miei fratelli i ricchi strapotenti, gli ingordi, gli usurai e i guerrafondai. Pensa, don Peppino, che cosa stupenda, se il mondo diventasse una sola grande comunità.557
Anche Ester Maimeri percepisce il cambiamento che le esperienze della guerriglia hanno suscitato in lei. Nel pieno dell’attività partigiana si autodescrive non più sfruttando l’iniziale immagine della ragazzina spensierata e avventata, ma come «una persona che aveva visto la morte in faccia, […] una persona ben conscia delle sue responsabilità».558 La nuova coscienza che i memorialisti acquisiscono durante la guerriglia partigiana oscilla tra la maturazione di un’ideologia politica più salda e la semplice riscoperta della propria libertà individuale. La dimensione di democrazia
555 M.MANZONI, Partigiani nel Verbano, cit., p. 18. 556 E.OLIVA, Ragazza partigiana, cit., p. 73. 557 Ivi, p. 173. 558 E. MAIMERI PAOLETTI, La staffetta azzurra. Una ragazza nella Resistenza. Ossola 1944-1945, cit., p. 161.
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interna alla banda, su cui hanno riflettuto molti storici – tra cui Guido Quazza 559 che ha coniato la definizione di “microdemocrazia diretta” per il gruppo di ribelli – è ricordata dai memorialisti come uno dei primi elementi del contesto partigiano che hanno contribuito alla maturazione di una embrionale coscienza politica. Grazie ad essa i giovani ribelli si sono abituati ad un nuovo tipo di vita, dominato dalla condivisione e dalla solidarietà, fondato sul dialogo, sullo scambio pacifico di opinioni e sulla discussione libera prima di una decisione. Mario Manzoni accenna a questi momenti, importanti per l’apertura mentale che sviluppano negli interlocutori:
[…] discussioni simpaticamente condotte, che non lasciano malanimo negli opposti schieramenti […] e servono ad aprire le menti abituando al confronto delle idee. Le considero molto positive.560
Anche Fortini è meravigliato dall’atmosfera di dialogo pacifico che regna all’interno del gruppo partigiano. Egli nota stupito come questa libertà di espressione e di opinione cozzi con la censura del ventennio fascista:
Più tardi, intorno a un fuoco, in una di quelle casupole abbandonate, sedetti ad ascoltare le conversazioni degli uomini della mia squadra […] Era, ad ascoltarli, il medesimo stupore che avevo provato arrivando a Domodossola: non avevo mai udito degli italiani parlare così. Non che avessero le idee appena chiare, no; ma c’era qualcosa di indicibile e straordinario, un coraggio di esprimersi, di sostenere una opinione, firmato dalla loro presenza lì. Eppure alla domanda: «perché siete qui?» solo l’ex confinato e combattente repubblicano di Spagna rispondeva con qualche motivo politico, proponendo qualcosa che sarebbe venuto dopo la sconfitta della Germania. Gli altri si rifiutavano di interpretare politicamente la situazione; era facile contestare, ascoltandoli, il destino degli antifascisti emigrati, avvezzi a discorrere in termini di pura politica. I bandi fascisti li avevano fatti disertori; e le minacce di morte, partigiani.561
Fortini sottolinea che le discussioni “politiche” tra i partigiani mostrano sì il volto nuovo della libertà d’opinione rinata dopo il fascismo, ma poco hanno a che vedere con l’ideologia politica pura e astratta sostenuta dagli esuli antifascisti incontrati in Svizzera. In effetti sono pochi i partigiani che hanno scelto la via della guerriglia per servire un ideale pseudo-politico, da attuarsi dopo la Liberazione. Tra i memorialisti ossolani molti diventano partigiani solo per sfuggire alla cattura dei Tedeschi perché soldati dell’esercito italiano – è il caso di
559 GUIDO QUAZZA, Resistenza e storia d’Italia, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 241-252. 560 M.MANZONI, Partigiani nel Verbano, cit., p. 61. 561 F.FORTINI, Sere in Valdossola, cit., p. 192.
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Aristide Marchetti – oppure perché operai, e quindi manodopera che i Tedeschi possono sfruttare, come Mario Manzoni e Bruno Francia. Ritornano dalla Svizzera invece Fortini e Bianchi, spinti non da coscienza politica, bensì da un imprecisato bisogno di azione, di contribuire alla causa. Anche se nei loro ricordi i riferimenti al comunismo si trovano, sono accenni astratti. I contributi partigiani della Maimeri e di Vandoni rispondono ad un vago impulso simile, non riconducibile a motivi politici. Solo Elsa Oliva – che non esplicita nessun credo politico preciso –fugge da Domodossola sui monti perché già ricercata per attività antifascista.
L’ideologia politica, quindi, non motiva il contributo partigiano di nessuno dei memorialisti considerati: tutti affermano di aderire ad un imprecisato antifascismo, ma agiscono poi per motivi individuali. Nelle memorie ossolane si nota, anzi, un vero e proprio fastidio per la politica, considerata un mondo stantìo in cui regna l’opportunismo, l’interesse privato, anche se si incarna nella Giunta provvisoria, che è comunque dipinta come esperienza positiva di libertà democratica. Così la Maimeri descrive i commissari del governo ossolano:
A Domo il mugugno si fa sempre più sentire. Si parla di continue liti in seno alla Giunta, sono in troppi a voler comandare. Pare che siano arrivati politicanti dalla Svizzera che pensano solo a fare grandi discorsi, a propagandare il loro partito. Lo scontento cresce. Speravano in una ricca, forte repubblica con un florido commercio con la Svizzera. E invece niente, solo qualche insipida patata.562
La definizione di «politicanti» ricorre anche nel testo di Bruno Francia, che non risparmia critiche ai commissari della Giunta fuggiti da Domodossola poco prima dell’attacco tedesco:
Il prof. Tibaldi e Roberti si resero irreperibili. Come tanti politicanti avevano sempre il buco per nascondersi al momento opportuno.563
Da rappresentanti del governo partigiano e amministratori di una democrazia nuova, i commissari della Giunta passano ad essere dei comuni opportunisti. Anche se altrove Francia elogia l’attività del governo provvisorio come garanzia delle capacità italiane di costruire una futura democrazia, il suo fastidio per la politica – allora conosciuta solo nelle vesti statali della dittatura,
562 E.MAIMERI PAOLETTI, La staffetta azzurra. Una ragazza nella Resistenza. Ossola 1944-1945, cit., p.44. 563 B.FRANCIA, I garibaldini nell’Ossola, cit., p. 78.
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oppure del governo monarchico – è chiaro. Adriano Bianchi manifesta la sua ostilità nei confronti dei commissari politici, definiti personaggi «che recitavano la parte d’inviati speciali della storia»,564 ma che si ritirano al momento d’imbracciar le armi e rischiare la vita.
In sostanza, la “ politica” che si legge nelle pagine dei memorialisti – a cui ci si riferisce quando si parla di “maturazione di consapevolezza politica” – non è quella classica che si immagina, articolata in partiti diversi, ognuno con la propria rappresentanza e i propri valori. Anzi, verso di essa i memorialisti manifestano un aperto astio, forse assorbendo la percezione che la gente comune ha del mondo della politica: opportunista, corrotto, fatto solo di discussioni vuote, slegato dalla realtà concreta. Il partigianato non è stata palestra politica come può essere una scuola di partito. Durante quest’esperienza i partigiani non hanno sviluppato la fedele appartenenza ad uno dei partiti antifascisti che si sono proposti dopo la Liberazione come guida del paese, ma una consapevolezza di tipo diverso – legata alla coscienza civica del privato cittadino e alla sfera delle responsabilità individuali – che solo in un secondo momento può avere riflessi su un diretto coinvolgimento nel mondo della politica. La maturazione a cui i memorialisti fanno riferimento, e che avviene durante il partigianato, è una crescita interiore che li abitua alla responsabilità personale, alla coscienza delle proprie scelte. Si impara a gestire una libertà che non è assoluta mancanza di regole ma disciplina consapevole, prima di tutto individuale e poi applicabile per organizzare un vivere comunitario nuovo e democratico, almeno negli intenti astratti. Questo elemento emerge più di ogni altro dal testo di Adriano Bianchi, negli intenti del protagonista verso i compagni. Come comandante, egli sente il preciso dovere di formare e responsabilizzare i nuovi arrivati che non hanno ben chiari i motivi della guerriglia. Si è visto con quale spirito pedagogico egli affronti il proprio incarico. La maturazione che Bianchi vuole avviare nei compagni partigiani agisce anche sul protagonista. La crescita per il giovane Adriano comincia subito con la cesura del 25 luglio:
Prima di sera già prevaleva, dissolvendo il sollievo, la sensazione allarmante che la nostra condizione personale e interiore mutava ancor più di quella pubblica. Finiva l’insidia, la quiete procurata dal non
564 A.BIANCHI, Il ponte di Falmenta 1944, cit., p. 126
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sentirsi responsabili, il piacere meschino di raccontare barzellette o di tirare all’unico bersaglio.565
La caduta del regime di per sé è letta come un ritorno all’individualità, alle scelte di nuovo personali e non imposte dall’alto, da un potere lontano ed impalpabile a cui tutti si sono rassegnati: un ritorno alla concretezza dell’individuo. La scelta partigiana per l’azione è poi la cesura fondamentale con cui il processo di crescita responsabile comincia:
Dal momento in cui – così pensavo e dicevo – tutte le regole, i patti, i legami si erano spezzati e lo stato, l’esercito, l’organizzazione civile si erano sfasciati ed il paese veniva abbandonato a se stesso, le responsabilità non potevano più essere riferite ad altri, erano tornate a gravare su di noi. Da quel momento, la nuova immagine e la condizione civile dell’Italia cominciavano a comporsi secondo le prove che saremmo stati capaci di offrire.566
Il cambiamento reale si manifesta però solo quando Adriano torna a casa, e deve indossare nuovamente i panni della quotidianità contadina, che però ora, dopo le responsabilità della guerriglia, sente stretti. È soprattutto negli occhi della sorella che Bianchi legge il mutamento avvenuto in lui:
Confidava di ritrovare il fratello maggiore esuberante, affettuoso, che le dava sicurezza ed invece si vedeva dinanzi un uomo malato, altissimo per lo spessore della scarpa, appoggiato alle grucce, il viso pallido, indurito, i capelli radi sulla fronte alta. Lo abbracciò, non lo lasciava, singhiozzava e tremava; lui non riusciva a consolarla.567
La guerriglia partigiana, quindi, viene a coincidere – nel ricordo dei memorialisti, e quindi anche nella rielaborazione narrativa di essi – con la fase della giovinezza individuale, o meglio con il momento del passaggio evolutivo tra la gioventù e la fase adulta. La Resistenza si trasforma in un momento di maturazione proprio grazie al processo di responsabilizzazione del singolo nella realtà partigiana, al bagaglio di riflessioni etiche, e di esperienze umane, che ognuno ha avuto modo di acquisire.
565 Ivi, pp. 19-20. 566 Ivi, p. 106. 567 Ivi, p. 228.
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