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III.2 - L’immagine del nemico
reazione pietosa al momento del contatto diretto. Si veda la descrizione di questo
massacro:
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È un momento di entusiasmo indescrivibile, dopo l’eccitazione degli spari e del pericolo. Morti e feriti fascisti sono sparsi sulle macchine, per la strada e i prati vicini. Bisogna stare attenti a non calpestarli. […] Scendendo, ci troviamo di fronte seduto sul rimorchio con le gambe penzoloni e appoggiato al parapetto laterale uno, un fascista. È ferito e sembra che dorma. William si prende cura di lui: un colpo alla nuca, un sobbalzo, un tonfo. Lo trasciniamo via a far compagnia agli altri, radunati alla meglio sul prato. Dalle macchine qualche altro morto viene scaricato, ma poi gli uomini, nauseati, si stancano, non finiscono. È un macello, sono più di trenta. L’eccitazione è cessata, l’entusiasmo raffreddato.586
I morti sono descritti quasi con occhio ironico, divertito: si sottolinea l’entusiasmo per la buona riuscita dell’azione. A mente fredda, però, le riflessioni a proposito di questa azione vittoriosa sono tutt’altro che entusiastiche:
Prima di dormire, scambio due parole con William. Ci dobbiamo dire qualcosa. A volte si diventa come le bestie, si fan cose di cui dopo ci si vergogna solo a pensarle: oggi, per esempio, con quella donna, con quei feriti. Ce lo diciamo: a volte mettiamo schifo.587
Le parole di Marchetti colgono pienamente la dimensione di bestialità nella quale i partigiani si trovavano ad agire nei momenti più caldi del pericolo, di fronte alla morte. Come si vede, la memoria questa volta ha conservato intatto il ricordo di quelle situazioni traumatiche.
III.2 - L’immagine del nemico
La metamorfosi bestiale che si coglie tra le righe del racconto di vita partigiana non tocca soltanto il mondo dei ribelli. Anche lo schieramento nemico viene spesso descritto con attributi appartenenti al mondo animale, o, per meglio dire, bestiale. I memorialisti ricordano sempre la ferocia rabbiosa, la sete di sangue del nemico. Ecco Costantini:
Confesso che nel vedere un solo Tedesco accompagnato da qualche milite intimare e ottenere in una sola ora l’esecuzione di un ordine tanto strano ed impegnativo, mi mortificò. Ma poi compresi che il prestigio di questi armati è dovuto semplicemente alla loro razionale,
586 A.MARCHETTI, Ribelle. Nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio, cit., p. 128. 587 Ivi, p. 129.
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scientifica ferocia. Una popolazione inerme non può competere con chi uccide sul posto, senza tanti complimenti.588
Nella caratterizzazione del nemico, alcuni memorialisti evidenziano delle diversità tra tedesco nazista e italiano fascista. Anche Costantini nota delle
differenze di comportamento. Quando è ormai chiara la vittoria alleata, i Tedeschi perdono la loro determinazione e si arrendono senza opporre resistenza. I fascisti invece, pur presentendo la sconfitta, disperatamente continuano la loro inutile guerra, paradossalmente con più rabbia di prima:
Al contrario, gli armati del fascismo diventano più feroci. Essi non possono raggiungere la frontiera perché la Svizzera non li accetta. Sono dunque chiusi in gabbia. Senza via di scampo, sicuri di perdere la vita, i beni, la libertà, il benessere e la strapotenza che fin’ora hanno goduto, come belve disperate si accaniscono contro i loro avversari.589
La differenza che Costantini percepisce nella conduzione della guerra da parte delle truppe tedesche rispetto ai repubblichini è riconducibile ai motivi diversi che ne hanno causato la partecipazione. I Tedeschi sono truppe inviate in Italia per volere del comando militare tedesco, al quale il singolo soldato è tenuto ad obbedire. Per i fascisti invece, aderire alla Rsi è stata una scelta volontaria che li ha portati a vestire la divisa repubblichina e i valori professati dal fascismo. La sconfitta dell’esercito tedesco resta sul piano bellico, militare; la sconfitta del fascista, invece, colpisce l’individuo nei suoi valori personali, nel suo orgoglio. Per questo i repubblichini vi reagiscono non con la rassegnazione, ma con la rabbia.
Fisicamente, i Tedeschi appaiono come degli uomini erculei, mastodontici; sono portatori di una ferrea disciplina militare ma anche di un codice bellico che li porta a trattare il nemico partigiano con un rispetto quasi cavalleresco. Si veda come esempio l’incontro descritto da Marchetti tra Filippo Maria Beltrami e il capitano tedesco, Simon:
Quando il cap. Simon scende dalla macchina, lo squadriamo da capo a piedi, impressionati. È un colosso. Il Capitano ha trovato chi lo supera, in statura. I due giganti si trovano di fronte. Il tedesco scatta: alza il braccio nel saluto nazista. Il Capitano meccanicamente si porta la mano alla fronte in un perfetto saluto militare.590
588 V.COSTANTINI, Partigiani della terza banda, cit., p. 64. 589 Ivi, p. 122. 590 A.MARCHETTI, Ribelle. Nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio, cit., pp. 54-55.
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Nei confronti dei Tedeschi, delle loro capacità belliche e del loro codice, si legge un certo rispetto anche da parte partigiana. L’ostilità verso un nemico temuto per la sua tattica militare senza pietà, per la cieca obbedienza agli ordini è ovviamente presente:
[…] quando si tratta di ammazzar gente, i tedeschi non recedono mai dal loro proposito. Ammazzerebbero anche loro padre. Perché così era stato stabilito.591
Anche le descrizioni fisiche dei fascisti ne esternano la cattiveria. Dice
Bruno Francia:
Quando invece passava un bel giovane fascista era visto orribilmente brutto perché torturava i partigiani, fucilava gli ostaggi, bruciava le case durante i rastrellamenti e vestiva quella divisa nera con una “m” o con un teschio sul berretto. Era considerato brutto e nero anche di dentro…592
Oltre ad essere descritti come rabbiosi e violenti – le «belve fasciste»593 – i
fascisti sono anche i destinatari privilegiati delle burle partigiane. La loro immagine si carica quindi anche di un alone di comicità, di stupidità sempliciotta, che i memorialisti sottolineano a dovere:
Bastano pochi colpi, di mitragliatore e di Mauser, perché loro sparino all’impazzata, anche per due o tre ore, verso la collina, e sanno solo loro a chi sparano se non ai campi e alle viti.594
La realtà fascista è ottusa, fatta di proclami vuoti e inutili; questo contrasta pienamente con la dimensione partigiana descritta come un luogo allegro dove il giovane viene avviato verso un percorso di crescita responsabile. Lo scontro tra questi due mondi emerge dal racconto di Vandoni Trecento partigiani in fantasia in cui si narra l’incontro tra Alfredo Di Dio e un gruppo di fascisti per uno scambio di prigionieri. Il capo partigiano appare pacato, razionale, mentre i fascisti avviano una cagnara di urla senza senso:
Apertasi la discussione, Alfredo espose freddamente la sua tesi e trovò subito contro di sé più che le ragioni l’asprezza verbale degli altri. Allora con la sua solita pacatezza e con ancora maggiore lucidità di argomenti e signorilità di espressione ribadì la sua tesi. Il gruppo delle autorità si divise in due partiti sicché la discussione divenne una vera
591 Ivi, p. 103. 592 B.FRANCIA, I garibaldini nell’Ossola, cit., p. 36. 593 Ivi, p. 18. 594 M.MANZONI, Partigiani nel Verbano, cit., p. 131.
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schermaglia, in cui ciascuno cercava di gridare più forte degli altri per avere fascisticamente più ragione di loro.595
L’unico modo che conoscono i fascisti per parlare è l’urlo, il litigio aperto; tipico atteggiamento dell’attaccabrighe che non sa ribattere con argomenti validi se non imbracciando le armi. Elsa Oliva descrive i repubblichini come dei vili, incapaci di affrontare il pericolo, che sfogano la loro rabbia sulla popolazione indifesa:
Il comandante fascista, dopo la battaglia di Rosarolo, aveva radunato nel paese tutta la popolazione per comunicarle che per ogni fascista che ancora sarebbe stato ucciso dai ribelli avrebbe passato per le armi dieci civili di Massiola. La nostra è una lotta infame. I vili soldati del duce si fanno scudo del popolo inerme.596
I fascisti incontrano anche il disprezzo della popolazione, che non li accoglie con scene di festa come per la discesa dei partigiani. Tutti i paesi si svuotano alla notizia dell’arrivo delle camionette fasciste:
Ma quando passano i nazifascisti, non c’è un cane che li guardi di buon occhio. Solo qualche stupidella si avvicina a fare gli occhi languidi con i biondi ragazzi […]. Gli altri se la squagliano tutti, chi a destra, chi a sinistra in un batter d’occhio i giovani renitenti e non renitenti sono già scomparsi tutti fuori in mezzo alla campagna […].597
Il fascista-tipo, sanguinario e rabbioso, si contrappone alla realtà partigiana, allegra e benvoluta dalla gente di paese, anche nel modo di vita. Il repubblichino vive al chiuso delle caserme e dei posti di blocco, in un’atmosfera cupa e grigia, senza contatti umani o dimostrazioni di affetto da parte del popolo. O almeno, questo comunica la descrizione che Ester Maimeri fa del Circolo dove si erano sistemati i fascisti:
Soddisfatta torno dai miei nuovi amici che mi aspettano fuori e insieme andiamo al Circolo. Vogliamo vedere come lo avevano trasformato, vogliamo vedere come vivevano. C’è un gran disordine, un’aria di abbandono. Fuori splende il sole ma dentro è tutto avvolto nella penombra, le sottili lame di luce che entrano dalle feritoie non riescono a rischiarare l’ambiente. Doveva essere ben brutto vivere sempre nell’ombra, come in una tomba.598
Si comprende facilmente il contrasto tra questo stile di vita, intriso di negatività e di morte, e la allegra realtà partigiana a contatto con i ritmi della
595 A.VANDONI, La vita per l’Italia (vita partigiana), cit., p. 37. 596 E.OLIVA, Ragazza partigiana, cit., p. 145. 597 A.VANDONI, La vita per l’Italia (vita partigiana), cit., p. 61. 598 E.MAIMERI, La staffetta azzurra. Una ragazza nella Resistenza. Ossola 1944-1945, cit., p. 239. 324