14 minute read

I fratelli Natale e Disma Rivara (di Caterina Bisio

un po' di tempo lo vide e gli fece i complimenti per come lo aveva curato la mamma. Egli rispose che "aveva allevato carne da macello". Insieme a lui, all'inizio, c'era Luigi Porta (zio di Gianni Assale) morto in guerra». Santo Vittorio Chiarella del 201° rgt ftr, brigata "Sesia", si trovava a Campomolon (Altopiano dei Fiorentini) il 18 maggio 1916. Il suo reggimento si distinse durante l'offensiva nemica a Forcella Valbona, a Cima Maggio e M. Gusella. Le posizioni vennero più volte perdute e conquistate per tutto il mese: le perdite del 201° ammonteranno in quel periodo a 42 ufficiali e 1439 soldati114. Il capitano di Vittorio rimase mortalmente colpito e due portaferiti lasciarono la vita nel tentativo di metterlo in salvo. Egli stesso tentò varie volte di adagiarlo su una barella e venne colpito "da pallottole di mitragliatrice alla coscia ed alla gamba destra (...) ferita trapassante il dito mignolo della mano destra", come recita il referto della Croce Rossa Italiana. Gli verrà concessa la medaglia di bronzo al valor militare e la croce al merito di guerra. Sotto le armi, contemporaneamente a lui, vi erano anche i suoi fratelli Silvio (poi emigrato in America), Enrico e Paolo.

Del 19° rgt "Cavalleggeri Guide", come Carlo Mariano Leidi, era Sebastiano (Bastian) Repetto, nato a Pinceto il 10 ottobre 1891 ed intervistato alla bella età di 100 anni da Maria Rita Seghezzo:

Advertisement

«Sono partito di leva il 27 ottobre del 1911 da Genova per Voghera. Ero nel 19° rgt "Guide", I squadrone cavalleggeri, dove sono rimasto per 30 mesi. Una volta le "Guide" erano le guide del Re. Nel '13 sono stato congedato, poi richiamato e congedato più volte. Con me c'era Luigi Montaldo di Vobbietta, ed il nipote di Caccian, un certo Ranzetti di Montessoro, e poi Tavella di Minceto, uno di Camarza, uno di Vobbia. Sul Piave sono rimasto coperto dalle granate e quando mi sono alzato ero coperto da morti e da pezzi di ferro: il tenente mi ha chiesto se ero stato ferito, io gli ho risposto che non lo sapevo, perché...(si capisce dall'espressione del volto la disperazione a quel ricordo, la voce si smorza e si porta le mani alla testa. N.d.I.). Un'altra volta ero in prima linea ed ero smontato con un compagno di vedetta

114 SME (1979) pag. 444.

dai posti avanzati: c'erano delle feritoie nella trincea coperta e mi è passata una granata davanti alla faccia e siamo rimasti lì tutti e due immobilizzati dalla paura e dallo stupore: se eravamo un po' più avanti mi portava via la testa. Sono stato anche perso per 24 ore con un altro: eravamo di vedetta ao cioccu dell'egua 115 . Non potevamo scappare perché ci vedevano e così siamo rimasti lì accucciati fino a notte. Però il tenente che ci aveva messo lassù non è venuto a cercarci! Un'altra volta stavamo portando sù materiale per un'azione quando un aereo ci ha scoperti: dopo un minuto c'era un fuoco che sconvolse tutto. Ci sono rimasti un mucchio di morti. Io non sono mai stato ferito, mai avuto niente. Quel giorno ero con Luigi e ci siamo rannicchiati perché da tutte le parti buffavano 116 schegge. Io gli ho detto: "Scappiamo di qui, andiamo più avanti!". Così ci siamo spostati e quando siamo ritornati dove eravamo c'erano dei mucchi di ferro da mezzo quintale l'uno. Sono venuto a casa in licenza, durante la guerra, solo due volte. Sul Carso sono stato un anno in trincea, poi sul medio Isonzo, sempre in trincea, e poi nei bombardieri di nuovo sul Carso. Dopo la ritirata ero sul Piave e ci sono stato quattro mesi. Da lì mi hanno mandato in Trentino: sono rimasto un mese in cima ai Sogli Bianchi117 di luglio o di agosto. Avevo le mostrine bianche e verdi quando ero in cavalleria, mentre nei bombardieri avevano una fiamma rossa. Mi sono congedato definitivamente il 20 novembre 1918. Ho ricevuto tre decorazioni per le campagne che ho fatto e sono cavaliere di Vittorio Veneto».

Il reggimento "Cavalleggeri Guide" insieme al 28° reggimento "Cavalleggeri di Treviso" costituiva la VIII brigata di Cavalleria che nel 1915 venne impiegata in difesa costiera lungo il settore Ansa Corno-fiume Isonzo; nel 1916 appiedata, era in servizio di linea e nel maggio raggiungeva il fronte nella zona di Rocca di Monfalconetrincee di Selz. In luglio era a Plava e partecipava a varie azioni di

115 Allo scroscio dell'acqua. 116 Soffiavano. 117 Monte Sogli Bianchi, dintorni di Arsiero (Vi).

attacco ad ovest di Gorizia. Nel 1918 combatté sul Piave e il 29 ottobre iniziava il passaggio a sud del ponte della Priula118 .

Per Bartolomeo (Berto) Sacco la vita militare iniziò a Torino il 29 febbraio 1916 presso il 50° rgt ftr, brigata "Parma". Da caporale venne punito perché un suo soldato fu trovato da un ufficiale durante una marcia senza una parte di equipaggiamento: «se la prende con me e mi infligge 10 giorni ai ferri che voleva dire due ore al dì legati ad un albero. Chiedo al sergente di servizio di legarmi un po' più largo e, neanche a farlo apposta, arriva lo stesso ufficiale e se ne accorge. Tra me e lui c'è un diverbio e gliene dico di cotte e di crude, ma da quel giorno non mi perseguita più. Fui poi destinato al 21° rgt, brigata "Cremona". Il primo turno in linea fu nella zona di Col dell'Orso (M. Grappa). Una sera andai con un sergente alle vedette, c'erano due metri di neve, noi avevamo zoccoli di legno e gambali di pelle di pecora con la lana all'interno. I nemici dei posti avanzati davano ai nostri sigarette e i nostri davano loro il pane. Uno dei due da rimpiazzare usciva da quel buco con una manciata di sigarette: gli ho fatto cenno di nasconderle ma non mi ha capito. Il sergente se n'è accorto ed io finii di corvée durante la notte.

Una volta stavo tagliando un abete tra due rocce ed ho sentito un "ciuff" dietro la schiena: mi volto ed è una bombarda da 110 che per miracolosa fortuna a causa della neve non è scoppiata. Il 20 aprile 1918 venne una bufera di vento che ci portò via i teli da tenda e le tavole racimolate. In otto giorni ho imparato l'alfabeto Morse a memoria. Arrivavano gli ordini dal corpo d'armata in busta sigillata e uno di questi diceva: "Attenzione domani mattina ore 4 comincia un bombardamento a tappeto sul M. Pertica ed alle 7 cesserà. Allora si scatti all'attacco". Quando vedo che i nostri stanno per raggiungere la meta sento una bombarda da 400: c'è caduta in mezzo e non s'è più mosso nessuno. Mentre guardavo quell'orribile scena, un segnalatore con la pistola Very mi chiede di far allungare il tiro: il capitano dei bombardieri fu poi mandato a Gaeta e degradato. Dopo pochi giorni viene il generale comandante il corpo d'armata:

118 SME (1979) pag. 488.

"Cosa fa caporale?". "Sto accertandomi che i razzi siano pronti per l'azione". "Il rancio com'è?". "Pezzi di risetta e brodo. Il pane buono. Da fumare: 2 indigeni, 2 popolari, 2 nazionali, 2 virginia e 2 macedonia, 1 napoletano e 1 toscano". "Come li fumate?". "Trinciamo fini i sigari, sfasciamo le sigarette, misceliamo tutto e poi rifasciamo con la carta da lettere". "Poveri ragazzi!". Mi ha dato la mano e se n'è andato. Dopo il riposo di 15 giorni abbiamo fatto una grande azione sulla Forcelletta che affianca il Pertica: io persi 4 uomini su 6 nel combattimento e quando arrivammo a contatto del nemico, un mio uomo era due o tre metri avanti a me e ci siamo buttati in una strada fatta dagli austriaci. Una scarica di mitraglia uccide quel soldato e ne ferisce un altro. Gli grido: "Vai indietro che è la tua fortuna!". Mi butto a terra e ci stò due ore con gli austriaci così vicino che potevano uccidermi a sassate. Poi verso sera un 305 picchia proprio sulla postazione nemica; ho visto uno di loro volare nell'aria come un paracqua rotto e sono scappato. Mi sono messo il fucile davanti alle ginocchia, l'elmetto bene in testa e andai giù per il colle come una ruota. Quando mi sono svegliato era buio pesto e vedevo contro il cielo il M. Grappa. Dirigendomi al comando non sapevo dove mettere i piedi che la terra era piena di morti e feriti. Era il 25 ottobre del 1918».

Quel giorno fu importante per le nostre truppe sul Grappa, anche Gianni Pieropan lo ricorda nella sua Storia della Grande Guerra 119: “(...) Nell'area del VI corpo spettava sempre alla 15a divisione e alla brigata "Pesaro" la conquista di M. Pertica. Con visibilità ottima, l'artiglieria iniziava alle ore 7 il tiro di preparazione e, fra le 8.30 e le 9, il XVIII reparto d'assalto, appena giunto su autocarri dalla pianura alla vetta del Grappa, e il I/240° fanteria balzavano sulla contesa sommità. Immediatamente il II e III/120° fanteria passavano al contrattacco mettendo in grave difficoltà gli italiani, ancora una volta

119 PIEROPAN (1988) pag. 787.

bersagliati sul fianco sinistro dalle mitragliatrici di q. 1.451. Allora il gen. Castellazzi impegnava su quest'ultima le proprie riserve (II/239°, II/21° fanteria) e finalmente la grave insidia veniva eliminata (...). Pur registrando il positivo risultato inteso nell'occupazione di M. Pertica, la giornata era costata quasi 1.500 uomini fuori combattimento (...)”.

Berto Sacco è anche l'unico reduce della Grande Guerra che ci ha parlato della fine delle ostilità: «Quel giorno il colonnello con una latta appesa al collo su cui picchiava con un bastone come fosse stata un tamburo, veniva giù per la strada e gridava "Viva l'Italia!". Chiesi cosa era successo ad un ufficiale e mi spiegò che avevamo vinto la guerra. A quelle parole vidi tanti falò fatti con i sacchi Nicolay (erano pieni di paglia e catrame e servivano contro i gas). Erano su tutte le montagne vicine e si sentivano trombe e trombette e razzi andavano in aria per l'entusiasmo. All'indomani con la banda musicale del reggimento scendemmo in pianura a riposare».

Tra coloro che tornarono ricordiamo anche Costante Ferretto, caporale maggiore della XI squadriglia "Caproni" della Regia Aereonautica. Il primo conflitto mondiale lo portò a Valona in Albania e dovette prestare servizio anche nel secondo, come sergente maggiore, a Orvieto. Come si sa, molti isolesi emigrarono nella seconda metà dell'ottocento nel Sud America: a volte i loro figli ritornarono in Italia e furono così arruolati nell'Esercito; è il caso di Angelo Persano, nato a Buenos Aires nel 1895 e disperso sul San Michele, ed anche di Federico Picollo, classe 1884 che prestò servizio come sergente maggiore presso il 27° raggruppamento, 909a batteria.

Una medaglia d'argento al valor militare fu concessa a Giovanni Parodi, del reggimento "Lancieri di Montebello", 1a squadriglia automitragliatrici blindate. Era il 18 giugno 1918 a Casa Verdari, sul Piave, e si stava svolgendo la battaglia del Solstizio: “Mitragliere di un'autoblindo mitragliatrice posta a difesa di una strada, con calma e sangue freddo eccezionale, falciava dense masse d'austriaci che tentavano forzare il passaggio e sebbene l'autoblindata fosse bersagliata dal fuoco di numerose mitragliatrici nemiche, sdegnando ogni difesa toglieva gli scudetti di protezione alla propria mitragliatrice per poter vedere e meglio puntare sul nemico. Inoltre

con sublime sprezzo del pericolo e volontariamente, seguiva il proprio ufficiale in pattuglie che fruttarono la cattura di prigionieri e di materiali di guerra, dando sempre prova non dubbia di coraggio e di valore”. Meritò anche, il 15 settembre 1918, la croce al merito di guerra, concessagli da Emanuele Filiberto di Savoia. Un'altra onoreficenza Giovanni Parodi la ottenne partecipando nel 1933 alla traversata atlantica in cui il Rex conquistò il Nastro Azzurro: ebbe così l'onore di fregiarsi del distintivo commemorativo dell'impresa.

Un'altra interessante testimonianza viene dal soldato Santo Camposaragna:

«Sono stato reclutato con tre mesi di ritardo perché "rividibile". Avevo lavorato alla filanda e poi nell'Impresa Ceragioli & Lori per la galleria ferroviaria da Creverina a Rigoroso. Avevo anche provato a fare qualche turno all'interno, dove si scavava, ma non ci resistevo: sono stato così utilizzato per fare i ferri da mina. Il periodo di addestramento militare l'ho fatto ad Alba col 2° rgt genio zappatori per 5 mesi circa. Quando sono stato reclutato, nel 1915, con me c'erano anche i riformati degli anni '93 e '94. L'istruzione consisteva nel fare delle trincee vicino al Tanaro ma non eravamo per niente preparati a far la guerra, addirittura avevamo ancora le scarpe da borghesi: era una baraonda. Al termine ci hanno portato in tradotta a Cormons, al comando di tappa: lì arrivava anche qualche cannonata dalla zona d'operazioni. Poi zaino in spalla avanti per 30 km fino a Plava sulla sponda dell'Isonzo che era tanto stretto da vedersi le trincee da una parte e dall'altra. Eravamo in una baracca con letti a castello e non facevamo nulla : aspettavamo di farci uccidere. C'erano i cannoni di ghisa con proiettili che scoppiavano con un rumore caratteristico e pericoloso. Il mangiare era adeguato al resto. Dopo un mese circa siamo stati spostati a San Giovanni Manzano, un po' più indietro rispetto al fronte. Quando eravamo già in fila per quattro, pronti a partire, una scheggia di proiettile schrapnel120 ha colpito in fronte un soldato della Territoriale ed il sangue usciva come una fontanella. A

120 Granata a pallettoni.

S. Giovanni mi è venuto a cercare il Pedrin121 di Pietrabissara e quando mi ha riconosciuto mi ha fatto una grande festa: abbiamo pranzato con insalata e uova, ma ero tanto stanco che, mi diceva Pedrin, mi ha dovuto mettere in piedi per due volte perché tornavo a dormire a terra. Poi siamo stati inviati a Podsabotino nei pressi di Gorizia: tutto a piedi perché i famosi camion 18BL dovevano portare materiali e munizioni più importanti degli uomini. Ero già riuscito a sistemarmi con un sergente addetto a 5 carrette militari, quando per fare un'azione e guadagnare un po' di terreno siamo stati reclutati. Di notte, in fase di avanzamento, ho visto un tombino sotto la strada: era uno spazio limitato ma sufficiente a ricoverarmi seduto sul tascapane (gonfio di cartucce, gallette, carne in scatola). Mi ci sono fermato alla disperata per tre giorni, mentre la mia compagnia era in azione; ogni tanto passava anche qualche soldato, magari ferito. Vedevo le scheggie dei proiettili, rosse infuocate, traccianti. Ero solo e preoccupato ed ho anche fatto il tentativo di ritrovare la mia Compagnia, mi sono avviato a cercarli ma le cannonate mi hanno fatto fare rientro al tombino. Poi li ho trovati e il sergente mi ha detto che il comandante mi aveva cercato. Mi è andata bene. Ho marcato visita e mi hanno ricoverato all'ospedale di Gorizia e poi al Santagostino di Cuneo (40 giorni di degenza e 40+40 di convalescenza). Di nuovo al fronte col 1° rgt genio sono stato rispedito all'ospedale di Cerignano, quindi in zona operazioni con un treno attrezzato, poi all'ospedale di Perugia, a casa e di nuovo al fronte da Vicenza a Cittadella. Negli spostamenti logicamente a piedi e di notte io camminavo sul suono del passo degli altri: dormivo e marciavo. Quando avevamo le tende, era una primavera bagnata, facevamo il giaciglio mettendo prima sul terreno rami e sterpi per isolarci dall'acqua che scorreva. Ricordo anche un altro episodio: in trincea eravamo seduti alla bellemeglio nel camminamento e arrivavano proiettili anche da 140 mm; tra le mie gambe c'era un commilitone e una scheggia lo colpisce alla pancia lasciando me illeso; mi hanno poi riferito che era morto. Durante la ritirata di Caporetto mi trovavo ad Ala in Val d'Adige dove il fronte

121 Pietro Molinari.

era fermo e calmo. In guerra ho visto qualcuno di Ronco, mio fratello Zuli122 artigliere, che è anche venuto a trovarmi, così come Carleni123 che faceva il portaordini dotato di bicicletta. Ho visto anche Pipin124 , geniere, e Valerio Assale, quest'ultimo a Pavia. Mario Rivara era nella sussistenza, Luigi Porta è stato nella mia compagnia poi è morto colpito da un proiettile. Natale Rivara era tenente, mi scriveva e per amicizia avrebbe voluto che fossi il suo attendente: mi ha anche telefonato ma ha ricevuto le reprimende del capitano per l'uso privato dell'apparecchio telefonico. Ho fatto al fronte quasi tutta la guerra, mio malgrado. Mi sembra però chiaro di non essere stato un eroe. Spingevo più indietro che avanti. Certamente ed assolutamente non posso aver ucciso nessun austriaco perché le sole schioppettate le ho sparate contro sagome nelle esercitazioni e non contro qualcuno».

Recentemente il figlio Carlo e la nipote Maria Rosa Allegri hanno ritrovato il diario militare di Santo: una rubrica con fogli a quadretti di 85x130 mm, copertina scura, scritta a matita in periodo bellico, a penna e matita in tempo di pace, con l'indicazione sul risvolto della matricola (AR4228) e generalità del proprietario. Vi è unita una fotocartolina di Luigi Porta (che cadrà sul S. Gabriele due mesi dopo) datata 1-7- 1916:

Contracambio e Salluto e unricordo Da un tuo Amico Luigi Porta scrivimi (...) prima sto male

La prima pagina è occupata dall'alfabeto Morse, segno che l'autore stava studiando per diventare telegrafista; nella seconda, in bella calligrafia, è riportato il titolo Memorie da Soldato e inizia con la data del 4 dicembre 1915; molto probabilmente Santo aveva iniziato il diario su altri fogli o quaderni e ricopiò gli appunti in un secondo

122 Luigi Rosolindo Camposaragna. 123 Carlo Campi. 124 Giuseppe De Lorenzi, fratello di Antonio.

This article is from: