LUCE 339 | anteprima

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339 Union des Créateurs Lumière La luce francese Union des Créateurs Lumière The French light Sara Moroni Funzione e forma Sara Moroni Form and function

Poste Italiane spa – Sped.in A.P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n°46) art. 1,comma 1, LO/MI –ISSN 1828-0560

Luciano Galimberti ADI Design Museum

2022

Anno / year 60 – n.339 2022 trimestrale / quarterly – € 15


un web magazine per un’informazione continua e ad alta visibilità rubriche, speciali e newsletter per approfondire tematiche di interesse e attualità una rivista cartacea e digitale in italiano e in inglese un sistema integrato di informazione e comunicazione sulla cultura della luce

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LUCE 339


APIL

SISTEMA EDITORIALE LUCE LUCE stampa e digitale Trimestrale e bilingue (italiano - inglese) Tendenze, scenari e innovazione della luce in relazione all'architettura, alle città, al design, all'arte, alla storia e alla tecnologia. LUCEweb e Newsletter Per un'informazione continua: ogni settimana articoli e approfondimenti sul mondo della luce italiana e internazionale.

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Fondata da AIDI nel 1962


Fondata da AIDI nel 1962 Founded in 1962 by AIDI

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€ 15,00*


SOMMARIO / HEADLINES ASSOCIAZIONI ASSOCIATIONS

18 ADI Design Museum, cantiere di idee sulla cultura progettuale italiana. L’incontro con il Presidente ADI Luciano Galimberti ADI Design Museum, a workshop of ideas on Italian design culture. The meeting with ADI President Luciano Galimberti – Jacqueline Ceresoli 24 Incontro con il President-Elect di AIC Maurizio Rossi The meeting with Maurizio Rossi, President-Elect of AIC – Monica Moro 28 La luce attraverso il prisma dell’Union des Créateurs Lumière Light through the lens of the Union des Créateurs Lumière – Antonio Palermo

339 Anno / Year 60 Marzo / March 2022 COVER PHOTO Distances, La Briqueterie, 2020 Coreografia di / Choreography by Ashley Chen Luci di / Lights by Eric Wurtz photo © Benjamin Marquet

CIE ITALIA CIE ITALY

34 I risultati del progetto SURFACE The output of SURFACE project – Paola Iacomussi

FORMAZIONE EDUCATION

39 A colloquio con Jan Bigazzi, coordinatore didattico del Corso in Lighting Design all’Istituto Europeo di Design di Firenze A conversation with Jan Bigazzi, didactic coordinator of the Lighting Design Course at the European Institute of Design in Florence – Federica Capoduri

SPECIALE SPECIAL REPORT

44 Smart lighting in smart buildings. Un complesso scenario illustrato da Gian Luigi Gereschi, Fabio Marcomin e Alessandro Zucchi Smart lighting in smart buildings. A complex scenario outlined by Gian Luigi Gereschi, Fabio Marcomin and Alessandro Zucchi – Laura Bellia, Andrea Calatroni

SPECIALE SPECIAL REPORT

49 Premio Luce 2021. La prima edizione del premio AIDI Premio Luce 2021. The first edition of the AIDI award – Giulia Ottavia Silla

INCONTRI INTERVIEWS

54 Un sapere familiare. Incontro con Emiliana Martinelli Family knowledge: A meeting with Emiliana Martinelli – Pierluigi Masini

TACCUINI DI LUCE LUCE’S NOTEBOOKS

60 La luce e il mobile Light and furniture – Davide Turci 63 I 5 sensi nell’architettura The 5 senses in architecture – Alessandra Reggiani 67 L’odore della luce. Un senso a lungo trascurato nella sfera progettuale The scent of light: A sense long neglected in the design sphere – Alessandra Reggiani

Revetec sostiene la rivista LUCE / supports LUCE magazine PROGETTARE LA LUCE DESIGNING LIGHT

69 Monet e Realismo Magico. Le ultime mostre a Palazzo Reale di Milano, illuminate da Francesco Murano Monet and Magic Realism: The latest exhibitions at Palazzo Reale in Milan, as lit by Francesco Murano – Massimo Gozzi 75 Architettura e Arte del 21esimo secolo in dialogo con il Sacro: la Chiesa di Santa Maria Goretti a Mormanno 21st century Art and Architecture in dialogue with the Sacred: the Church of Santa Maria Goretti in Mormanno – Monica Moro

DESIGNERS

80 La funzione, che bella forma. Intervista a Sara Moroni Function, what a beautiful form. Interview with Sara Moroni – Federica Capoduri

ARCHITETTI ARCHITECTS

85 Barreca + La Varra. La grande architettura degli spazi aperti di una Milano che ancora non c’è Barreca + La Varra: The great architecture of open spaces in a Milan that does not yet exist – Andrea Calatroni

LIGHT ART

90 La danza della luce di Marinella Senatore Marinella Senatore’s dance of light – Jacqueline Ceresoli

LANTERNA MAGICA MAGIC LANTERN

95 Artigiani della luce. Conversazione con Jean Kalman, lighting designer, e Arno Schuitemaker, coreografo Craftsmen of light: A conversation with Jean Kalman, lighting designer, and Arno Schuitemaker, choreographer – Marcello Filibeck

CREDITS AUTORI / AUTHORS Laura Bellia, Andrea Calatroni, Federica Capoduri, Jacqueline Ceresoli, Luce Della Foglia, Marcello Filibeck, Massimo Gozzi, Paola Iacomussi, Pierluigi Masini, Monica Moro, Antonio Palermo, Alessandra Reggiani, Giulia Ottavia Silla, Davide Turci FOTOGRAFI / PHOTOGRAPHERS Aurelio Amendola, Martina Bonetti, Claus Brechenmacher & Reiner Baumann Photography, Marco Brescia e Rudy Amisano, Didier Boy de la Tour, Giulio Maria Cavallini, Carlotta Coppo, Marc Coudrais, Karol D, Ugo De Berti, Levi Fanan, Marcello Filibeck, Christophe Forey, Alex Fu, Alessandro Garofalo, Bart Grietens, Lukas Huneke, Dammes Kieft, Henning Kreft, Alessandra Magister, Duccio Malagamba, Fabio Mantegna, Carlo Alberto Mari, Benjamin Marquet, Carola Merello, Cyril Moreau, Kamran Norollahi, Alberto Novelli, OKNO Studio, Agostino Osio, Andrea Samonà, Tiziano Sartorio, SG Photography Ltd, Daniel Sumesgutner, Bernd Uhlig, Tuomas Uusheimo, Urs Van Osch, Zdenek Venclik, Jens Weber, Dirk Weiblen

MOSTRE EXHIBITIONS

100 “Inferno” alle Scuderie del Quirinale “Inferno” at the Scuderie del Quirinale – Jacqueline Ceresoli

RICERCA RESEARCH

105 Led e illuminazione pubblica: un comfort migliore è possibile? LED and Public Lighting: is more comfort possible? – Luce Della Foglia

MAKING OF

109 Bell: l’outdoor si veste elegante Bell: the outdoor gets elegant – Andrea Calatroni

INDICE INDEX

113 Indice 2021 Index 2021

TRADUTTORI / TRANSLATORS Stephanie Carminati, Monica Moro

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MAIN SPONSOR

SPONSOR GOLD

S P O N S O R S I LV E R

M E DI A PA R T N E R

Un’occasione per capire meglio e approfondire gli scenari attuali e futuri del settore dell’illuminazione. Attraverso tavole rotonde, memorie, workshop e contributi di autorevoli esperti sarà dato ampio spazio al dialogo sempre più necessario tra i diversi attori che compongono il sistema luce e alla sua interazione con altri settori quali quello dell’architettura, dell’ambiente, del digitale, dell’elettronica, della domotica e dell’economia.


XX Congresso Nazionale AIDI Napoli 20 - 21Giugno 2022

Lo sviluppo dell’illuminazione nell’era delle transizioni

Per visionare il programma e maggiori informazioni andare sul sito https:// congressonazionale. aidiluce.it


¶ ASSOCIAZIONI

ADI Design Museum cantiere di idee sulla cultura progettuale italiana L’incontro con il presidente ADI Luciano Galimberti di / by Jacqueline Ceresoli

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perto al pubblico nel 2021, il nuovo ADI Design Museum, promosso da ADI con il Comune di Milano, è un cantiere dinamico di oltre 5.000 metri quadrati di superficie che ospita la collezione Compasso d’Oro, gli oggetti premiati dall’Oscar del design italiano dal 1954 a oggi. Ricavato dalle aree ex Enel di Porta Volta a Milano, il progetto dell’allestimento è dello Studio Migliore+Servetto Architects e Italo Lupi. La prestigiosa collezione storica di oltre duemila pezzi ha richiesto in termini di allestimento un’attenzione progettuale e una capacità narrativa tale da valorizzare un patrimonio che include le evoluzioni della cultura, del gusto e dello sviluppo tecnologico, in un dialogo con la realtà contemporanea fatto di mostre e occasioni di riflessione sul ruolo attivo dei musei in relazione con altre istituzioni nazionali e la società, complice la rete. Ce lo racconta in questa intervista Luciano Galimberti, presidente di ADI.

foto di / photos by Martina Bonetti

e fruitore. Il design italiano da sempre non si è limitato a definire le forme del prodotto quanto ha ricercato nuove relazioni. ADI Design Museum, aperto al pubblico il 26 maggio del 2021, è stato ricavato all’interno delle aree ex Enel di Porta Volta: anche il contenitore rispecchia la cultura progettuale italiana? Il design italiano parte ben prima di ADI. È proprio quello che ci viene raccontato in una bella installazione multimediale posta all’ingresso del museo, dove ritroviamo un’espressività dell’industrializzazione originale che ci racconta una cultura tanto profonda quanto raffinata del fare. Rispettare la memoria industriale presente nell’edificio del museo ci è sembrato quindi naturale e coerente. Oltre alla collezione permanente, cosa

propone il museo per invitare il visitatore a tornare più volte? Un museo deve essere parte della contemporaneità, non può limitarsi a custodire le ceneri, deve saper alimentare il fuoco. In questa prospettiva il format del museo propone questioni della contemporaneità in relazione alla collezione permanente, in un dialogo costante e diretto, senza barriere fisiche ne ideologiche. Che funzione ha la luce nel progetto architettonico e nell’allestimento? La luce è sempre fondamentale, sia quella naturale quanto quella artificiale, soprattutto nel fraseggio tra giorno e sera. Il nostro museo, tra molte difficoltà, ha deciso di lasciare permeare la luce naturale e la vista da e verso la città. Una scelta impegnativa dal punto di vista tecnico, eppure una dichiarazione

Presidente, perché ADI - Associazione per il Disegno Industriale è importante e rappresenta un’eccellenza italiana nel mondo? È importante proprio perché da quasi 70 anni rappresenta l’idea stessa di design italiano nel mondo. Una idea che sa unire le competenze di una filiera complessa, che parte dai progettisti e dalle imprese, passa dal sistema formativo e di comunicazione per arrivare al sistema distributivo. ADI Design Museum espone la collezione storica del Premio Compasso d’Oro: perché questo è ancora un premio ambito nell’epoca del Metaverso? Credo perché rappresenta una unità di misura dell’eccellenza assoluta: è un premio che per prassi scientifica e selettività è paragonabile al Nobel. È un premio istituzionale e non commerciale: in 26 edizioni abbiamo assegnato solo 360 premi. Tra gli oggetti premiati dal 1954 a oggi, quali sono per lei i più rivoluzionari e perché? Difficile scegliere, a loro modo ognuno degli oggetti premiati rappresenta una tappa evolutiva fondamentale nel rapporto tra oggetto 18

LUCE 339 / ASSOCIAZIONI

p All'ingresso, l'installazione permanente Compasso d'Oro, misurare il mondo, a cura di Studio Origoni Steiner / At the entrance, the permanent installation Compasso d'Oro, measuring the world, curated by Studio Origoni Steiner P Luciano Galimberti


di appartenenza al fluire della vita; non un luogo impenetrabile e forse retorico, bensì un luogo della vita. L’allestimento della collezione storica cosa intende comunicare al pubblico anche non esperto? Intende raccontare il perché un oggetto sia meritevole di essere in un museo. Non ci limitiamo alla sua celebrazione autoreferenziale, ma proponiamo un dialogo con il visitatore, che attraverso un vasto materiale a supporto può emozionarsi e capire il senso del design italiano. Da presidente dell’ADI - Associazione per il Disegno Industriale, quali sono gli obbiettivi principali del museo nell’epoca post pandemica globale? Al di là degli strumenti innovativi di comunicazione che l’emergenza pandemica ha imposto, l’obbiettivo resta sempre quello di essere parte della contemporaneità, delle grandi questioni della nostra società, del nostro pianeta. L’obbiettivo resta quello di contribuire alla costruzione di un mondo migliore, attraverso uno sviluppo sostenibile e responsabile.

Quando il design è sostenibile e come risponde all’emergenza ambientale? Per la prima volta il Premio Compasso d’Oro si è dato un tema: sviluppo - sostenibile responsabile. Sono temi che non si risolvono in ricette semplici; temi che coinvolgono tutti con responsabilità non retorica e che vanno quindi affrontati senza retorica o steccati ideologici: spesso il politicamente corretto ci orienta verso soluzioni di corto respiro, mentre il nostro lavoro è proprio quello di offrire una riflessione più allargata possibile. Artigianato e industria: dimensione umana e digitale sono convergenti nel design contemporaneo? Come, quando e dove? Il confine tra artigianato e industria non è più così marcato come un tempo; standardizzazione e personalizzazione si incontrano ormai nella prassi industriale quanto in quella artigiana. L’inaugurazione del museo è stata un’occasione per sottolineare questa circostanza, esplorando il lavoro di Renata Bonfanti che, partendo dalla tradizione tessile più convenzionale, incontra la produzione industriale seriale e con essa crea prodotti straordinari. Secondo lei, quali sono le lampade da tavolo

e da terra che hanno modificato radicalmente la percezione dello spazio pubblico e privato? “Il catalogo è questo”, direbbe Mozart. Difficile fare una selezione, ma semplificando direi certamente Arco per quanto riguarda le lampade da terra e Tolomeo tra quelle da tavolo. ADI Design Museum come dialoga con il Museo del Design Italiano della Triennale di Milano al Palazzo dell’Arte, dal 1923 istituzione italiana dedicata al design, all’architettura e alla cultura contemporanea? Un dialogo attivo e complementare. Abbiamo costituito, anche insieme alla Fondazione Musei d’Impresa, un’associazione dedicata proprio a organizzare un dialogo sia operativo quanto culturale. Che ruolo ha la tecnologia nel design contemporaneo e come affronta la transizione ambientale e digitale? Il design offre alla tecnologia un orizzonte di senso; senza il design, la tecnologia resterebbe muta. Il design, in quanto prassi progettuale vasta e capace di un dialogo multidisciplinare, si presta come disciplina a comprendere la complessità della contemporaneità e a offrirci sintesi condivise e comprensibili. ASSOCIATIONS / LUCE 339

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Ph. Christophe Forey

¶ ASSOCIAZIONI

La luce attraverso il prisma dell’Union des Créateurs Lumière (UCL) di / by Antonio Palermo

Q Vivian: Clicks and Pics, Théâtre de Caen, 2020 Musica e regia di / Music and directed by Benjamin Dupé, luci di / lights by Christophe Forey (UCL) p Room with a view, Théâtre du Châtelet, 2020 Coreografia di / Choreography by (LA) Horde, musica di / music by Rone, luci di / lights by Eric Wurtz

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LUCE 339 / ASSOCIAZIONI

T

radizionalmente venivano considerati “uomini dell’ombra”, perché lavoravano al buio e avevano bisogno dell’oscurità, in teatro, per fare le loro luci. Una volta, Giorgio Strehler li ha definiti “i servitori dei bruti” 1, facendo riferimento agli elettricisti del Piccolo di Milano che manipolavano certi grossi proiettori ad arco voltaico d’origine cinematografica 2. Oggi come ieri, sensibilità e competenze tecniche, così come pazienza, capacità d’osservazione e qualità d’ascolto, sono indispensabili per lavorare in teatro, con la luce. Chi illumina un soggetto drammatico sa bene di doversi adattare alle possibilità creative – ben ai limiti – imposte dalla scenografia e dalla regia, per poterle arricchire di nuove proposte e significati. Forse è anche questo il modo con cui certi professionisti sanno mettersi da parte – potremmo dire... ancora in ombra? – per offrire agli altri una luce giusta. Negli ultimi anni, la professione di lighting designer o créateur lumière si è molto specializzata, dimostrando inoltre una relativa inclusività, come sembrerebbe indicare la pubblicazione Penser la lumière 3, libro tratto dalla lunga intervista con Dominique Bruguière, creatrice di luci per il teatro, l’opera e la danza e collaboratrice anche di Patrice Chéreau e Claude Régy, con la prefazione di Georges Banu. L’attuale presidente dell’Union des Créateurs Lumière (UCL) 4, Eric Wurtz, rifiuta lo stereotipo relativo agli uomini dell’ombra: “È necessario smarcarsi da questo preconcetto, poiché la nostra professione è da tempo impegnata, nel suo campo di competenze, associandosi

e concentrandosi sulla trasmissione delle proprie conoscenze. Ne sono un esempio le molte iniziative come la realizzazione di interviste a personalità significative del mestiere, le convenzioni con i diversi centri di formazione – in particolare l’ENSATT o l’Université de Lille, che sta sviluppando un programma di ricerca sulla Lumière de Spectacle – e l’organizzazione di convegni sulle tematiche della luce in scena”. Le parole di Eric Wurtz trovano conferma nella partecipazione dell’UCL alle iniziative promosse da altri enti, come nel caso delle Journées Techniques du Spectacle et de l’Evénement (venticinquesima edizione, Parigi, 23 e 24 novembre 2021), dove era presente uno stand interamente dedicato all’illuminazione scenica. Talvolta il coinvolgimento dell’esperto delle luci è richiesto proprio dalle ditte costruttrici, ad esempio la Robert Juliat, già nelle fasi di concezione, sviluppo e test dei prodotti. L’UCL organizza inoltre alcune iniziative proprie: il prossimo convegno, aperto a un pubblico di esperti e non, proporrà una riflessione sulla sinergia tra la luce e la scenografia nel contesto della creazione contemporanea. “Lumière et scénographie: passer au XXIe siècle”, previsto originariamente in giugno 2021 e rimandato a causa della pandemia di Covid-19, si svolgerà il 24 giugno 2022 all’ENSATT (École Nationale Supérieure des Arts et Techniques du Théâtre) di Lione. Tutti questi aspetti mostrano concretamente come la professione si sia sviluppata fino a diventare uno degli elementi chiave


Ph. Cyril Moreau

ASSOCIATIONS / LUCE 339

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Emiliana Martinelli con Biconical Pol, 2011, sua rivisitazione della lampada progettata nel 1987 dal padre Elio Martinelli, ora con tecnologia Tunable White che riproduce l'andamento della luce naturale / Emiliana Martinelli with Biconical Pol, 2011, her reinterpretation of the lamp designed in 1987 by her father Elio Martinelli, now with Tunable White technology that reproduces the rhythm of natural light LUCE 339 / INCONTRI


¶ INCONTRI

Un sapere familiare Incontro con Emiliana Martinelli di / by Pierluigi Masini

“Q

uesto è il mio mondo da quando ero bambina e vedevo mio padre giocare con la luce in azienda, dove mi portava per mostrarmi nuove lampade. È stato lui a farmi appassionare, un grande regalo…” Emiliana Martinelli, architetta e designer: lei presiede l’azienda che porta il suo cognome, creata da suo padre Elio nel 1950. Partiamo dai primi ricordi, l’emozione di una creazione e la sorpresa della luce naturale… Quando il babbo creava le lampade, vedevamo insieme gli effetti che quella sorgente luminosa produceva nella stanza, come modificava l’ambiente, quale armonia di luce generava. Era una continua scoperta. E poi ricordo quando abbiamo cambiato casa, abbiamo lasciato la città per andare a vivere in collina: avevamo bisogno di trovare una luce diversa che in un centro abitato per forza di cose non potevamo avere. E così ho scoperto la luce del tramonto e di certi momenti della giornata, o quella che filtra tra i rami degli alberi… L’osservazione della Natura è una fonte di ispirazione per lei?

Sì, è una grande fonte di ispirazione. Vedere, ad esempio, come la luce attraversa le trame degli alberi, che in certi punti crea un effetto spot, come un riflettore, e in altri viene diffusa, generando un’illuminazione del tutto diversa. Ecco, quel qualcosa che hai dentro, che hai osservato in Natura, poi viene a galla quando crei: emergono gli effetti di ombra e di luce, raggi lunghi che arrivano a terra. Le lampade Pistillo sono nate proprio sul filo di questa emozione. Io cerco sempre di creare giochi di luce e di ombra che valorizzino l’ambiente, magari punto su una zona buia con un effetto particolare, perché è brutto vedere ambienti illuminati in modo piatto, dove niente alla fine viene valorizzato. Ecco, mio padre mi ha insegnato a vedere le cose da un altro punto di vista. Ci spieghi meglio. Voglio dire che lui mi ha trasmesso la passione dell’osservare le cose, in modo tale che mi entrino dentro. Tante persone vedono mille cose ma non le notano: io lo ringrazio perché mi ha fatto capire il modo giusto di osservare, mi ha insegnato a guardare gli oggetti con un occhio particolare, a scorgere cosa c’è dietro,

a non tralasciare i diversi punti di vista. E questo ti dà poi il potere di creare, ti dà il lampo giusto per arrivare a capire cose che altri non scorgono. È come quando cammini per strada e in un’ombra ti sembra di vedere delle facce o di riconoscere delle immagini: te le vedi, ma chi è con te magari no. Lei disegna spesso? Mi piace disegnare, porto sempre con me un taccuino per fissare quello che mi colpisce, magari un’ombra mi fa vedere un oggetto e, se in quel momento sono in macchina, accosto e disegno. Poi riparto. Ho tantissimi quaderni pieni di disegni: un po’ di fantasia ce l’ho ma, si sa, non è mai abbastanza. Ci sarebbero da fare tantissime cose che poi seleziono trasferendo l’idea sul piano della produzione. Qui scende in campo l’imprenditrice… È così: ma devo dire che non riesco a mettere in produzione tutto quello che faccio. Tantissime idee le blocco, capisco magari le difficoltà a cui vado incontro, i problemi per ingegnerizzare un progetto, i costi… Così mi dico: oggi non è il momento, quell’idea la riprendo più avanti.

Metrica, design Studio Habits, 2020

INTERVIEWS / LUCE 339

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¶ DESIGNERS

La funzione, che bella forma Intervista a Sara Moroni di / by Federica Capoduri

A

ccompagnata a discutere la tesi di Laurea in “Disegno Industriale del Prodotto” da Carlotta de Bevilacqua, Presidente di Artemide, Sara Moroni si specializza in lighting al Politecnico di Milano. Nel 2015 apre il proprio Studio dedicandosi alla progettazione e alla direzione artistica nei settori product, lighting, interior, exhibit e communication design, collaborando con aziende come Penta Light, Platek, Il Fanale, Axolight, Antonangeli di Chore, Masiero, Schneider Electric. Progettista a tutto tondo, è contemporaneamente product e lighting designer; per iniziare la nostra intervista su LUCE le chiediamo proprio di raccontarci questa sua multidisciplinarietà. L’impegno verso un approccio al design trasversale, contaminato da settori contigui ma anche molto differenti fra loro, è senz’altro un suo punto di forza. La trasversalità progettuale è diventata una priorità: una scelta consapevole e complessa, ma al contempo estremamente stimolante e doverosa. Costringe a considerare cambi di scala continui, valutare metodi produttivi diversi, relazionarsi con varie figure professionali e adottare strategie di mercato nuove in funzione del target. Ritengo sia il modus operandi giusto per far nascere idee innovative.

Liaison Axolight, 2018

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LUCE 339 / DESIGNERS


Quando ha deciso – o scoperto – che il design era nel suo destino? Il mio è stato un percorso di crescente consapevolezza. Da bambina mi immaginavo pittrice, poi architetto e negli ultimi anni di liceo designer. Il design è una disciplina, dai confini permeabili, che mi ha immediatamente affascinato perché abbraccia sia l’area tecnicoscientifica che quella sociologica-umanistica. Come considera la luce? Sicuramente uno strumento privilegiato di progettazione: un elemento immateriale, insieme poetico e affascinante, in grado di modificare la percezione dello spazio e disegnare scenari inattesi. Tra i vari marchi d’illuminazione con cui collabora, Artemide manca all’appello. Come mai? Dopo la laurea mi sono occupata per anni di progetti lighting e di interior, coltivando il sogno ambizioso di riuscire a sviluppare prodotti industriali per le migliori aziende italiane. Solo alla fine del 2014 sono riuscita in questo arduo intento: è stato un percorso molto lungo e tortuoso. In questi anni ho stretto importanti collaborazioni con molte prestigiose aziende italiane; con Artemide non si è presentata l’occasione. Tempo al tempo; anche perché, in questo caleidoscopico mondo, serve l’intuizione giusta al momento giusto, da presentare e completare con l’azienda adatta. Assolutamente; è impegnativo ma anche molto soddisfacente quando si ottiene questo risultato. Tornando al discorso che facevamo sul design dall’approccio multidisciplinare, posso dire che le varie collezioni che ho progettato finora, sebbene disegnate da una sola mano, vantano un carattere molto eterogeneo e inedito: ognuna incarna i valori e l’identità dell’azienda per la quale è stata appositamente studiata.

Sara Moroni

Bagan Il Fanale, 2020

In Liaison, raffinata e leggera sospensione in metallo dorato, modulare e componibile, l’elemento base è l’arco, mantenuto in equilibrio da un contrappeso. Ciò mi fa pensare al pensiero progettuale di Achille Castiglioni, che ritrovo anche nella lampada saliscendi Bagan… Sono sempre stata affascinata dalla sua genialità e dal metodo progettuale, molto rigoroso e funzionale, con cui ha disegnato ogni singolo prodotto. Liaison – luce per Axolight – e Bagan – per Il Fanale –, sebbene non traggano ispirazione formale dalle sue opere, sono state indubbiamente influenzate da una sua citazione: “la funzione, che bella forma!”. Sono due collezioni caratterizzate da un linguaggio espressivo molto diverso, ma entrambe accomunate da leggerezza ed essenzialità priva di fronzoli. In Liaison il contrappeso sferico, che caratterizza esteticamente il prodotto, mantiene in equilibrio statico l’arco. In Bagan, invece, il raffinato contrappeso cilindrico consente di muovere la fonte luminosa in su e in giù secondo necessità. Tutto è ridotto ai minimi termini e ogni componente, anche la più decorativa, assolve una specifica funzione. In contrapposizione alla leggerezza di cui sopra, tra i suoi prodotti osserviamo anche la solidità di Concreta – una luce volutamente pesante, terrena – e Feel, anch’essa decisamente materica. Questo eclettismo stilistico è ricercato e non deve stupire troppo, dal momento in cui ogni collezione è stata disegnata per uno specifico brand e mira a rispondere a esigenze precise. Feel è un sistema acustico-luminoso innovativo, Concreta un prodotto versatile per l’outdoor mentre Liaison e Bagan sono soluzioni flessibili per l’illuminazione degli spazi indoor. DESIGNERS / LUCE 339

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¶ LIGHT ART

La danza della luce di Marinella Senatore di / by Jacqueline Ceresoli

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Napoli, al Conservatorio di Musica e alla Scuola Nazionale di Cinema a Roma. Con un curriculum espositivo impressionante in musei, biennali e altre prestigiose sedi internazionali, è per indole vocata alla sperimentazione di pratiche che accrescano il ruolo sociale dell’arte. Dopo aver studiato Direzione della Fotografia, combina cinema e illuminazione, danza e partecipazione, introducendo bulbi Led di grandi dimensioni in interventi pubblici, musei e festival di tutto il mondo. Ha conquistato il pubblico internazionale e Instagram con la scenografia per la collezione Cruise 2021 di Dior, condivisa con la direzione artistica di Maria Grazia Chiuri in occasione della spettacolare sfilata di moda della maison francese inscenata nella piazza del Duomo di Lecce e concepita come una grande festa di paese. Oltre a pittura, collage, installazioni, video e fotografie, le luminarie in particolare sono diventate la sua cifra stilistica, dispositivo funzionale per strutture effimere e di partecipazione sociale, proprio come accade in certe feste popolari, soprattutto nella cultura

vernacolare del sud Italia. Nel 2017 Senatore ha incluso le prime installazioni luminose in occasione di una mostra personale a New York al Queens Museum e l’anno successivo per la mostra alla High Line; da allora corre più veloce della luce, espone in rassegne importanti, segue diversi progetti e tiene workshop e talk di approfondimento in giro per il mondo. Marinella Senatore si caratterizza per interventi di arte collettiva e partecipata. La sua è una luce tangibile che si fa architettura e parola, simbolo e possibilità di relazione e resistenza in cui mescola cultura vernacolare e popolare, danza, musica e impegno sociale che coincide con la sua ricerca sinestetica. Tra le danze popolari e le sue luminarie, o sculture di luce site-specific sviluppate intorno a tematiche sociali e questioni urbane quali l’emancipazione e l’uguaglianza, tutto il suo fare si esplica in un’azione corale qui e ora, come ha dimostrato anche nella sua mostra personale alla Galleria Mazzoleni di Torino nel contesto di Make It Shine (2022). Per l’artista le luminarie definiscono aree di

Ph. Andrea Samonà - Courtesy Mazzoleni, London-Torino

el 2012 Marinella Senatore crea “The School of Narrative Dance” (SOND), una scuola nomade non soltanto di danza, gratuita, basata su un’idea di educazione partecipativa, in cui propone metodi alternativi a percorsi formativi più accademici, all’insegna dell’estetica relazionale teorizzata da Nicolas Bourriaud che negli anni Novanta ha sottolineato l’importanza delle reazioni prodotte dall’opera sullo spettatore, diventato co-autore. Il suo lavoro avrebbe attirato l’attenzione anche di Samuel Beckett, Allan Kaprow e altri protagonisti di Fluxus, movimento multidisciplinare che dalla metà degli anni Cinquanta in poi ha incluso pratiche performative, come happening e performance, assemblaggi, collage, video e danza, all’insegna del divertimento, casualità, partecipazione degli spettatori e teatralizzazione dei luoghi pubblici e privati, dove Vita e Arte interagiscono tra loro. L’artista salentina, ambientalista e femminista, nata nel 1977 a Cava de’ Tirreni (Salerno), ha studiato all’Accademia di Belle Arti di

SOND (School of Narrative Dance), Palermo Procession #1, 2018 Fine Art Print on Epson Hot Press paper, 80x105cm

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Ph. OKNO Studio

We Rise By Lifting Others, 2020 Palazzo Strozzi, Firenze / Florence

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¶ LANTERNA MAGICA

Artigiani della luce Una conversazione con Jean Kalman, lighting designer, e Arno Schuitemaker, coreografo di / by Marcello Filibeck

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ncontro Jean Kalman al teatro di Zaandam, una località vicino ad Amsterdam. È insieme a un coreografo, l’amico e collega olandese Arno Schuitemaker. È il secondo giorno di prove di uno spettacolo che stanno preparando insieme per il prossimo Holland Festival, che si terrà a giugno. Kalman mi invita a prendere posto affianco a loro. “Facciamo una cosa informale”, mi dice. Sta stropicciando una coperta isotermica, e ne vedo altre accartocciate qua e là sul palcoscenico. Gli chiedo se fanno parte dello show. “Può darsi”, risponde, “stiamo sperimentando con la riflessione luminosa di queste coperte”. Gli chiedo qualche esempio di possibili utilizzi in scena, e Kalman mi racconta che stanno provando delle idee con i ballerini sul palco per vedere come la luce reagisce alle loro silhouette. Il tema di questo nuovo spettacolo è l’oscurità, e non c’è ancora nessun dettaglio. Schuitemaker spiega che loro lavorano senza niente di pre-costruito, neanche la musica. Il compositore ascolta le idee e fa le sue proposte durante le prove. “Costruiamo un piccolo universo con ogni nuovo show”, dice, e sono curioso di approfondire come uno spettacolo del genere prenda vita. “Penso che il modo in cui unisci le cose dipenda dal tipo di composizione che stai creando. Il modo in cui sviluppiamo questo spettacolo ha molto a che

fare con il rapporto tra i diversi professionisti coinvolti”, continua Schuitemaker. Kalman annuisce e aggiunge che il senso di connessione tra le persone si sviluppa in modo diverso a seconda del tipo di relazione. Cita la sua amicizia con Schuitemaker e le loro lunghe chiacchierate, spesso in un bar o al ristorante, in cui condividono idee e pensieri per il prossimo progetto. “In altri casi il rapporto è differente e si parla meno”, continua Kalman. “Per esempio”, racconta, “Spesso mi vengono mostrati progetti senza particolari spiegazioni sul perché delle scelte”, suggerendo che questa sia una pratica piuttosto comune. Da come parla, Kalman sembra abituato a questo approccio. “La maggior parte delle volte il regista parla della luce con espressioni come ‘questa è una scena molto allegra’ oppure ‘qui voglio un’atmosfera triste’. Io prendo nota di questi suggerimenti, naturalmente, anche se non esiste un vero linguaggio per la luce. È per questo che io provo a crearne uno focalizzandomi sulla scena, provando diverse idee per vedere come reagisce lo spazio scenico”, spiega. Insieme a Marco Filibeck, Kalman ha curato recentemente le luci de I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, in una nuova produzione del Teatro Alla Scala diretta da Adrian Noble. “Durante le prove”,

racconta, “c’era una luce di servizio, che creava un’ombra diagonale sul fondo della scena. Abbiamo sviluppato il resto delle luci sulla base di quell’ombra: è per questo che considero il dialogo con lo spazio più importante di quello con il regista, in certi casi”. Dalle risposte di Kalman emerge una grande esperienza nel maneggiare linguaggi creativi e situazioni diverse. Mi spiega, per esempio, che questa produzione per l’Holland Festival è differente perché lui e Schuitemaker disegnano insieme anche lo spazio scenico. “I nostri spettacoli sono diversi dall’opera”, aggiunge il coreografo. “Nell’opera ci sono già parecchie informazioni predeterminate, come la trama e lo spartito. Qui, invece, partiamo da zero. Pensa a questo spettacolo”, prosegue Schuitemaker, “abbiamo scelto l’oscurità come tema principale e veniamo alle prove con le nostre idee da sviluppare. Condividiamo le proposte anche con i tecnici e creiamo la produzione passo dopo passo, facendo molti esperimenti”. È difficile stimare la durata di un processo creativo come questo. Kalman e Schuitemaker sono d’accordo nel dire che le prove rappresentano solamente l’ultimo miglio. “Il tempo che si passa in teatro non è poi così tanto”, dicono, spiegandomi che potrebbero avere iniziato a ragionare su un progetto un anno prima di entrare in teatro

Ph. Bart Grietens

O S C A R, 2021 Creazione / Creation: Arno Schuitemaker; Lighting design: Jean Kalman; Scenografia / Set design: Jean Kalman, Arno Schuitemaker, Paul Beumer

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Ph. Marcello Filibeck

Arno Schuitemaker (1976) è un coreografo olandese. Realizza spettacoli che le persone devono vivere in prima persona. Nelle sue produzioni interdisciplinari, ciascun spettatore si immerge a suo modo nella performance. Attraverso i suoi show, Schuitemaker deforma e altera il modo in cui percepiamo tempo e spazio, trasformando le scene in meditazioni sulla vita che riflettono le profondità della nostra esistenza. Nell’ottobre 2019, lo spettacolo The Way You Sound Tonight ha ricevuto il premio olandese per la produzione di ballo più emozionante (Zwaan voor de meest indrukwekkende dansproductie).

per la prima volta. Per Schuitemaker, questa fase “è solo lavoro pratico, e ridurre il processo a questo sarebbe un errore”. “L’immaginazione nasce dalle conversazioni”, va avanti, “e le conversazioni possono durare mesi o nascere spontaneamente nel giro di un giorno”. Mentre annoto questa risposta sul mio bloc-notes, mi rendo conto che le parole di Schuitemaker racchiudono molta della sua filosofia di lavoro, perciò gli domando come lui e Kalman tengano traccia delle idee e degli sviluppi della loro creatività. Lui mi spiega che di solito loro non prendono appunti. “Con il tempo si sviluppa una certa sensibilità, perché c’è una qualità che riconosci e apprezzi quando trovi qualcosa di buono”, aggiunge. Il coreografo cita un episodio da O S C A R, uno spettacolo prodotto nel 2021 insieme a Kalman: “Siamo arrivati a Rotterdam e durante una prova abbiamo notato che l’illuminazione dello spazio scenico era diversa da come la ricordavamo. Il direttore tecnico era sicuro che le lampade fossero identiche, ma noi eravamo certi che l’effetto non fosse lo stesso. Siamo riusciti a individuare e a risolvere il problema, ma non c’era modo di prendere nota di quel dettaglio!”. Kalman prosegue il discorso sulla creatività con un’esperienza personale: “Può capitare che tu venga chiamato per lavorare a una produzione all’ultimo minuto, quando lo spettacolo è già in prova. Una volta stavo parlando con André Diot, un lighting designer francese della generazione precedente alla mia. Mi raccontava che per lui è piuttosto emozionante prendere parte a un progetto in corso”. “Mi sono trovato anche io in queste situazioni, e lo trovo gratificante, in un certo senso”, dice. Gli chiedo com’è lavorare a un concetto – a un concept – definito da qualcun altro. Kalman mi guarda. “Che cosa significa ‘concetto’?”, ribatte. “Conosco i concetti in filosofia, ma sono dell’idea che questa parola sia abusata, principalmente nel mondo della moda e della pubblicità. Cerco di evitare il termine ‘concetto’ su un palcoscenico. Quando 1 96

LUCE 339 / LANTERNA MAGICA

qualcuno mi parla di concept cerco di girare intorno a questo termine, oppure evito del tutto di averci a che fare!”. Quali sono, allora, le parole che appartengono al teatro? “Una persona può avere idee, emozioni, storie, proposte… questi sono termini interessanti, parole con cui mi piace interagire”, risponde. Schuitemaker è d’accordo con questa opinione. Ribadisce che, in teatro, ogni cosa prende forma per via del suo rapporto con qualcos’altro. Descrive questo processo come “un gioco di proposte che coinvolge un gruppo di persone indipendenti, ma con un impegno comune”. Kalman espande il ragionamento con un altro racconto dalla sua carriera: “Durante un’intervista in Giappone, tempo fa, un giornalista mi ha posto una domanda sulla mia professione. Gli ho risposto che essere un lighting designer è molto simile a essere una

1, 2, 3. I Capuleti e i Montecchi, Teatro alla Scala, 2022 Regia / Direction: Adrian Noble Scene / Scenes: Tobias Hoheisel Luci / Lights: Jean Kalman e / and Marco Filibeck Romeo: Marianne Crebassa Giulietta: Lisette Oropesa Ph. Marco Brescia & Rudy Amisano

Arno Schuitemaker e/and Jean Kalman

Jean Kalman (Parigi, 1945) è un lighting designer per numerosi produzioni di opera e di teatro in Francia, Giappone, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Italia. Ha collaborato con vari registi, tra cui Peter Brook, Rufus Norris, Pierre Audi, Robert Carsen, Deborah Warner. Nel 1991 ha ricevuto il Premio Laurence Olivier per il Miglior Disegno luci per lo spettacolo Richard III al Royal National Theatre di Londra. Nel 2004 ha vinto l’Evening Standard Award per le luci di Festen all’Almeida Theatre di Londra.


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