Rivista Marittima - aprile 2019

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APRILE 2019

RIVISTA

MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €

* RIVISTA MARITTIMA *

APRILE 2019 - Anno CLII

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MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

PRIMO PIANO

Settant’anni di Alleanza Atlantica fra continuità e trasformazione Massimo de Leonardis

L’atomica, una storia da raccontare Gualtiero Mattesi


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Sommario PRIMO PIANO

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Settant’anni di Alleanza Atlantica fra continuità e trasformazione

Massimo de Leonardis

PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

62 Deutsche Marine: una Marina d’alto mare, o in alto mare? Giuliano Da Frè

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

74 Il diario di Maria Mario Boffo

STORIA E CULTURA MILITARE

82 Le donne nello spionaggio Domenico Vecchioni

20 I 70 anni della NATO nell’era Trump Alessandro Marrone

28 NATO: una storia di successo (1943-2019) Enrico Cernuschi

36 La geografia della NATO Antonello Rocco D’Avenia

RUBRICHE

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Gli sviluppi della crisi coreana dai test del 2017 al Vertice di Singapore Rodolfo Bastianelli

52 L’atomica Gualtiero Mattesi

Rivista Marittima Aprile 2019

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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Scienza e tecnica Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

EDITORE

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DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza

CAPO REDATTORE Capitano di fregata Diego Serrani

REDAZIONE Raffaella Angelino Gianlorenzo Pesola

IN

COPERTINA: La portaerei CAVOUR e la portaeromobili GARIBALDI della Marina Militare, in navigazione nel Mediterraneo.

SEGRETERIA DI REDAZIONE Massimo De Rosa Gaetano Lanzo

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APRILE 2019 - anno CLII HANNO COLLABORATO: Professor Massimo de Leonardis Dottor Alessandro Marrone Dottor Enrico Cernuschi Tenente di vascello Antonello Rocco D’Avenia Dottor Rodolfo Bastianelli Ammiraglio (aus) Gualtiero Mattesi Dottor Giuliano Da Frè Ambasciatore Mario Boffo Ambasciatore Domenico Vecchioni Ambasciatore Gianfranco Verderame, Ambasciatore Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Ammiraglio Ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Capitano di fregata Claudio Rizza Capitano di fregata Gianlorenzo Capano

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E ditoriale

icorre, in questo mese d’aprile, il 70o anniversario della fondazione della NATO (North Atlantic Treaty Organization). Un’Alleanza politica e militare, il cui trattato fu firmato il 4 aprile 1949 allo scopo di garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri. Tutto, in sostanza, ruotava intorno all’articolo 5 dello stesso e cioè alla difesa dell’Europa, in piena Guerra Fredda, rispetto alle consistenti forze terrestri e aeree di quello che sarebbe diventato il Patto di Varsavia: «Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’articolo 51 dello statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della Forza Armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area Nord Atlantica». La fine del confronto ideologico, militare e strategico tra l’Est e l’Ovest è comunemente identificata con la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989. Si pensò allora, piuttosto frettolosamente, di fare tesoro e mettere subito a reddito i «dividendi della pace». Non fu così. La NATO ha dovuto adattarsi a un nuovo contesto mondiale che ha visto il confronto geopolitico e geostrategico allargarsi e globalizzarsi in un ambito multinazionale, caratterizzato da equilibri di natura instabile e in continua modifica. Realtà come la Russia, l’India e la Cina hanno iniziato a esercitare, dopo pause più o meno lunghe, politiche globali fermamente assertive mentre altre Potenze c.d. regionali hanno incrementato il proprio peso specifico, per esempio in Medio Oriente. Ognuno persegue i propri interessi nazionali: siano essi politici, economici, culturali, etnici e religiosi. In altre parole, la Guerra Fredda è terminata nei presupposti ideologici e geostrategici validi fino alla fine degli anni Ottanta, per essere riformulata in altre modalità, più geopolitiche, geoeconomiche e geoculturali che non strettamente militari. I conflitti non sono tuttavia cessati. Terrorismo, conflitti etnici, guerre civili, attacchi di natura ibrida, migrazione incontrollata, condizionamenti economici, culturali e religiosi hanno costituito e costituiscono fenomeni destabilizzanti e sempre più ricorrenti. In termini geopolitici, e per quanto di più diretto interesse, è un fatto che i maggiori e più destabilizzanti conflitti e confronti del XXI secolo insistano sui bordi della cosiddetta «Faglia Mediterranea» (Lucio Caracciolo, Limes, termine contenuto nell’editoriale «Il mondo degli Stati», pag. 18): Libia, Iraq, Siria, Darfur, Afghanistan, Boko Haram, Yemen, Ucraina. In una parola: «Caoslandia», significativo neologismo coniato dalla rivista di geopolitica Limes. L’eterna «battaglia per l’Europa» in atto — a ben vedere e senza soluzione di continuità — dal tardo Quattrocento fino ai giorni della «Soglia di Gorizia» della Guerra Fredda, si è spostata dalle pianure centrali dell’Europa al «Fronte Sud» e ha assunto sempre più, a partire dal XXI secolo, una diSEGUE A PAGINA 4

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mensione globale, marittima mediterranea, che prima era importante, ma non centrale come adesso. È lecito, quindi, attendersi che quello che potrebbe accadere nel bacino geostrategico del Mediterraneo, nel quale si seguirono gli effetti di confronti, instabilità, rischi, conflitti generati da cause scatenanti ben oltre gli stretti che lo confinano, sia destinato a estendersi a tutta l’Europa. In termini più ampi, ancora una volta il destino del Mediterraneo, mare geograficamente chiuso ma geopoliticamente aperto, descriverà il futuro di tutta la civiltà occidentale e non solo dell’Europa. L’area strategica del Mediterraneo infatti, considerata nella sua accezione allargata e che costituisce il Fianco Sud di interazione e di frizione per la NATO è anche fondamentale e strategica per gli Stati Uniti non solo da un punto di vista puramente militare (in questi giorni assistiamo, proprio in concomitanza con la crisi in Libia, alla contemporanea presenza, insolita da diversi anni, delle portaerei statunitensi Lincoln e Stennis). Occorre infatti evidenziare come per gli Stati Uniti, l’esercizio di un Potere Marittimo globale di ispirazione Mahaniana, senza una proiezione e un’identità significativa euro-mediterranea, sia destinato a subire gli influssi provenienti dall’oriente asiatico. In particolare, Pechino ha atteso, con pazienza, la fine del confronto bipolare tra Est e Ovest per inserirsi nei vuoti geopoliticamente e geoeconomicamente lasciati liberi dal disingaggio parallelo dei due «imperi»: nel Mare Nostrum, in Medio Oriente e in Africa attraverso la propria BRI (Belt and Road Initiative), un tridente economico, politico e culturale di gran classe. Materie prime oil e non-oil e un grande mercato sia in termini di penetrazione economica pura e semplice, sia di trasferimento delle proprie filiere produttive maggiormente mature. Sono tutti fenomeni che descrivono dinamiche in continua evoluzione, che influenzano la percezione di quello che i romani chiamavano Limes, ovvero sia una linea di demarcazione e di confine ma anche una via di comunicazione, una strada, che nel XXI secolo, il secolo blu, è sempre più tracciata sul mare, attraverso i mari, Artico compreso, e gli oceani del Pianeta. Il XXI secolo vive sul mare e attraverso gli oceani e, la NATO, è l’unica intelaiatura collaudata e priva di quelle divisioni, rivalità, diffidenze e competizioni, più o meno marcate — che il vecchio continente ha evidenziato nel corso degli ultimi anni — che possa difendere contemporaneamente ed efficacemente gli interessi vitali dei Paesi europei e degli Stati Uniti. In questo contesto l’anniversario dei 70 anni della NATO deve far riflettere sui valori costituenti posti in apertura di quel trattato firmato liberamente nel 1949: i Paesi aderenti «Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto». La NATO è, prima di tutto, un’Alleanza politica e su tali basi i Paesi membri «devono assumersi maggiore responsabilità» come recentemente affermato dal Ministro della Difesa nel proprio discorso pronunciato a CINCNAV, il Comando in Capo della Squadra Navale a Santa Rosa (Roma) in occasione del Terzo evento divulgativo del ciclo «Difesa Collettiva» dedicato alla Marina Militare. In particolare: «… non solo nell’approfondimento del recente dossier Libia, ma nei confronti di tutte le tematiche afferenti la stabilità e la sicurezza nell’area mediterranea», data la riconosciuta rilevanza strategica globale di questo particolare scacchiere. In tal senso, l’azione responsabile dell’Italia nella NATO si è concentrata, negli ultimi anni, lungo due precise direttrici: — a EST, attraverso un’azione di stabilizzazione e di sicurezza nei Balcani di cui la missione KFOR (posta, dal 2013, sotto il comando italiano) è il maggiore, ma non unico, esempio affiancata da una logica di dialogo (e non di escalation) con la Russia; — A SUD, dove la minaccia e l’instabilità è maggiormente sentita dai nostri cittadini, grazie a iniziative quali l’Action Plan contro il terrorismo e il rafforzamento della cooperazione con i partner meridionali. Questa direttrice è contrassegnata dalla creazione dell’Hub regionale per il Sud presso il JFC (Joint Force Command) di Napoli, oltre che dal miglioramento delle capacità della NATO di intervenire in questo teatro mediante ripetute esercitazioni congiunte. Ancora: la missione navale Sea Guardian e l’avvio di una pianificazione militare avanzata idonea a fronteggiare i rischi provenienti dall’area meridionale. Tutte queste iniziative hanno confermato il ruolo della Marina Militare, strumento flessibile, discreto e determinante in mano alla guida politica del Paese a tutela degli equilibri non solo regionali. La NATO è ancora oggi la più importante organizzazione politico-militare esistente al mondo. Essa è necessaria per la sicurezza del bacino strategico mediterraneo, di tutta la regione euro-atlantica e oltre. Per il suo 70o anniversario vogliamo esprimere, su queste pagine, una serena e convinta fede nei suoi valori e, se ciò è consentito, a noi gente della generazione nata all’epoca della Guerra Fredda, che ha visto in passato momenti nei quali la NATO è stata oggetto di aspre e violente critiche, un sincero e convinto: grazie! DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima


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PRIMO PIANO

70 ANNI DI ALLEANZA ATLANTICA

fra continuità e trasformazione Massimo de Leonardis (*) (*) Professore Ordinario di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali e Docente di Storia dei trattati e politica internazionale nellÊUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dal 2005 al 2017 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche. Presidente della International Commission of Military History, 2015-2020. Consigliere Scientifico della Marina Militare per lÊarea umanistica e Membro Decano del Comitato Consultivo dellÊUfficio Storico della Forza Armata. Dal 1999 coordinatore delle discipline storiche al Master in Diplomacy dellÊIstituto per gli Studi di Politica Internazionale.

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Il Quartier Generale della NATO.

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l 4 aprile 1949, dodici Stati tra cui l’Italia firmavano il trattato istitutivo dell’Alleanza Atlantica. Era l’approdo di un percorso iniziato formalmente nel dicembre 1947, ma la cui necessità era stata indicata dal Primo Ministro britannico Winston Churchill fin dal 12 maggio 1945, solo quattro giorni dopo la fine della guerra in Europa: «Come si metteranno le cose tra un anno o due, quando gli eserciti britannico e americano si saranno sciolti e quello francese non sarà ancora formato su scala notevole […] e invece la Russia potrà a suo beneplacito decidere di tenere in servizio attivo due o trecento divisioni? Sul loro fronte cala una cortina di ferro» (1). La futura Alleanza Atlantica avrebbe dovuto rimediare alla situazione strategica che metteva l’Europa alla mercé dell’Armata Rossa. Il 5 marzo 1946, nel discorso a Fulton, alla presenza del Presidente americano Harry Truman, Churchill, ora leader dell’opposizione, avrebbe usato pubblicamente l’espressione «cortina di ferro» e avrebbe invocato l’alleanza fra Stati Uniti e Commonwealth britannico: «Se la popolazione del Commonwealth di lingua inglese si aggiungesse a quella degli Stati Uniti, con tutto ciò che

questo implica nell’aria, sul mare, nella scienza e nell’industria, non ci sarebbe nessun instabile, precario equilibrio di potenza tale da offrire tentazioni le ambizioni o le avventure. Ci sarebbe invece una totale garanzia di sicurezza». Nel ripercorre i tratti salienti di settant’anni di Alleanza Atlantica (2) si metteranno qui in rilievo sia fattori di continuità, che si sono ripresentati in varie fasi e sono ancor oggi presenti, sia pure in un panorama geopolitico profondamente trasformato, sia le differenze tra i vari periodi.

I punti chiave del negoziato istitutivo Non vi erano ragionevoli dubbi sul fatto che se l’Unione Sovietica avesse aggredito i Paesi dell’Europa occidentale questi ultimi avrebbero potuto contare sul sostegno degli Stati Uniti. La ratio della futura Alleanza Atlantica era di assicurare che Washington sarebbe stata coinvolta fin dall’inizio in un’eventuale guerra e non solo in seguito, come era avvenuto nel 1917 e nel 1941. Soprattutto, la certezza del coinvolgimento americano avrebbe dovuto dissuadere Mosca dall’attaccare, consi-

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PRIMO PIANO Il Presidente statunitense Donald Trump. Nella pagina accanto, con il nordcoreano Kim Jong-un, durante lo storico incontro a Singapore (Fonte: spiegel.de).

I 70 anni della NATO nell’era TRUMP

Tre scenari per la sicurezza euro-atlantica alla luce della politica americana Alessandro Marrone (*) (*) (PhD) è Responsabile di ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa dellÊIstituto Affari Internazionali (IAI), occupandosi prevalentemente di NATO, difesa europea, missioni internazionali, procurement militare. Insegna Studi Strategici nel Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali dellÊUniversità di Perugia. ˚ membro del Comitato di Redazione del webmagazine AffarInternazionali, e oltre che con Rivista Marittima, collabora con le riviste Airpress, Aspenia online, EastWest e Rivista Italiana Difesa.

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I 70 anni della NATO nell’era Trump

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l 70esimo anniversario dalla fondazione dell’Alleanza Atlantica viene celebrato nel quadro di un generale peggioramento dei rapporti transatlantici, in corso dall’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ed evidenziato dal vertice NATO del 12-13 luglio 2018. Anche alla luce di come si interpreta la politica americana verso l’Europa, si aprono tre diversi scenari per il futuro della NATO e più in generale per la sicurezza-euro atlantica.

L’amministrazione Trump e il deterioramento dei rapporti transatlantici Nei due anni trascorsi dal suo insediamento, l’amministrazione Trump ha compiuto diverse scelte in netto contrasto con gli interessi di lungo periodo degli alleati europei e le politiche da loro condivise. La scelta più importante è stata l’imposizione di dazi commerciali alle esportazioni europee di acciaio e alluminio verso gli Stati Uniti, che hanno giustamente suscitato la reazione dell’UE con l’adozione di dazi su alcuni prodotti americani diretti verso il Vecchio Continente. Si tratta di una dinamica nuova e preoccupante nei rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, in quanto potenzialmente portatrice di una contrapposizione economica non più sperimentata dalla Seconda guerra mondiale — e che aveva avuto conseguenze nefaste in precedenza. La seconda scelta in contrasto con gli interessi europei, non solo economici ma anche politici e di sicurezza, è stato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, e le conseguenti sanzioni contro le imprese europee che avevano avviato relazioni commerciali con l’Iran proprio a seguito dell’accordo firmato dall’amministrazione di Barack Obama nel 2015. Il potenziale danno economico per le imprese europee esposte nei confronti di Teheran non è

marginale, e a esso si aggiunge il rischio di una escalation militare in Medio Oriente se l’Iran dovesse riprendere la strada dell’arricchimento dell’uranio non sentendosi più garantita dall’accordo del 2015. In questo contesto, anche la decisione dell’amministrazione Trump di aprire un’ambasciata a Gerusalemme va contro gli sforzi, anche europei, per trovare una soluzione negoziale al conflitto arabo-israeliano. Infine, il ritiro di Washington dagli accordi di Parigi sulle misure per fronteggiare i cambiamenti climatici pone un problema più indiretto e di lungo periodo, ma non per questo ininfluente, per gli sforzi europei e della comunità internazionale volti a impedire che il clima diventi un fattore scatenante di disastri naturali, povertà e instabilità politica nel vicinato dell’Europa. L’insieme di tali decisioni hanno peggiorato il contesto generale dei rapporti transatlantici, generando specie tra i vertici politici e istituzionali dell’Europa occidentale — nonché nell’opinione pubblica — un’atmosfera di sfiducia, alienazione e irritazione verso Washington. Poche settimane prima del summit NATO, l’apice di tale sfiducia è stata raggiunta in occasione di un altro vertice tra alleati occidentali, il G7 in Canada, alla fine del quale il presidente Trump ha ritirato la propria firma dal comunicato finale successivamente alla pubblicazione del medesimo (1). Si è trattato di un fatto unico nella storia del G7, che ha messo evidentemente in discussione la validità anche nel brevissimo periodo della parola data dal leader statunitense. In questo contesto di sfiducia reciproca, il risultato raggiunto da Washington con la Corea del Nord, con lo storico incontro di Singapore tra Trump e Kim Jong-un nel 2018, non basta a compensare il deterioramento dei rapporti transatlantici, in quanto il suo effetto positivo è meno direttamente legato agli interessi prioritari degli alleati europei danneggiati in altri modi dall’attuale amministrazione

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Cernuschi NATO_Layout 1 06/06/2019 15:11 Pagina 28

PRIMO PIANO

NATO una storia di successo (1943-2019) Enrico Cernuschi (*)

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on c’è nulla di più concreto, realistico e immediato di un’alleanza militare. Ci si affianca, in vista di un confronto potenziale (o, addirittura, in corso) per ragioni solide e ben meditate, sempre imposte dalle circostanze e che non lasciano spazio ad alternative. Tutto il resto, si tratti di ideologia, di comunanza linguistica e culturale, di unioni dinastiche o di manifesti destini, non sono che chiacchiere. Dispiace dirlo, visto che qualsiasi alleanza richiede, proprio come una nave, periodiche mani di vernice (sia pure, in questo caso, solo morale e senza pennello) da stendere a beneficio delle sempre mutevoli opinioni pubbliche di turno, ma è così. Fin qui niente di nuovo. La tradizionale amicizia, per dirne una, che regnò per secoli tra Roma e Cartagine sulla base di un’accorta e sensata divisione dei compiti: agli uni il Mediterraneo occidentale, agli altri la parte meridionale della penisola italiana, finì con il sale sparso sui resti delle mura di una di quelle due ca-

(*) Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia sulle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti Gran pavese (Premio Marincovich 2012), ULTRA - La fine di un mito, Black Phoenix (con Vincent P. OÊHara), Navi e Quattrini (2013), Battaglie sconosciute (2014), Malta 1940-1943 (2015), Quando tuonano i grossi calibri. Gli italiani dellÊInvincibile Armata (2016), Il Potere Marittimo nellÊambito mondiale e Sea Power the Italian Way, entrambi usciti nel 2017.

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pitali. «La cara, piccola Germania» della Regina Vittoria, imperatrice delle Indie ed esponente, non dimentichiamolo, della dinastia dei Sassonia-Coburgo-Gotha, culminò nelle ceneri di Dresda mentre Francesi e Inglesi, nemici ereditari sin da prima della guerra dei Cent’anni, finirono, automaticamente e pressoché inaspettatamente, dallo stesso lato della barricata nel corso di ben due guerre mondiali, salvo veder assegnare, ogni volta, ai transalpini il ruolo del cavallo anziché quello del cavaliere con, in più (e per soprammercato) i ricordi, mai estinti e sempre brucianti, di Dunkerque, di Mers-el-Kébir, di oltre 60.000 civili morti uccisi dai bombardamenti aerei angloamericani e di una guerra civile più dura, se possibile, di quella verificatasi da noi tra il 1943 e il 1945.

Qualche citazione

La NATO è nata nel 1948, ma i giochi, per l’Italia, erano già stati fatti nell’autunno 1943. Durante quella stagione, infatti, gli Statunitensi utilizzarono il loro surplus di tonnellaggio mercantile, messo insieme dal settembre 1943 in poi, per rifornire l’Italia meridionale — condannata altrimenti alla più nera delle carestie — anziché incrementare, come richiesto da oltre un anno da Londra, le razioni britanniche, destinate a loro volta a scendere ancora nel 1944 e 1945. La geopolitica aveva già confermato i suoi equilibri e il Potere Marittimo pure (Fonte: Oosthoek’s Uitgeversmaatschappij B.V. Utrecht, 1982)

È un fatto che la storia non è che un’infinita successione di alleanze infrante dalla sera alla mattina e di giri di valzer. «Quando i fatti cambiano, io cambio opinione», spiegava placidamente, nel 1919, John Maynard Keynes, padre dell’economia pubblica moderna, nel tentativo di santificare la rinnovata intesa anglo-tedesca che avrebbe posto sotto tutela, fino alla fine del 1936, le finanze e l’imprenditoria germaniche a beneficio dell’asfittico sistema-Paese inglese, a sua volta in lotta spietata contro la concorrenza statunitense, francese e, non ultima, italiana sui mercati di tutto il mondo. Un po’ più greve, ma altrettanto chiaro, il cancelliere di ferro Bismarck quando spiegava, con pazienza, ai suoi sempre romantici concittadini che «La politica non è una scienza esatta basata sulla logica, ma la capacità di saper scegliere, in ogni istante e nell’ambito di situazioni continuamente mutevoli, la via meno dolorosa e più utile». Più immediato, per contro, era stato il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt quando aveva commentato, con rassegnazione, davanti all’inattesa complessità degli affari internazionali, che «La poli-

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d'avenia geografia nato_Layout 1 06/06/2019 15:13 Pagina 36

PRIMO PIANO

La geografia della NATO Analisi geostrategica dei Paesi Alleati Antonello Rocco D’Avenia (*)

(*) Tenente di Vascello, appartenente alla Componente sommergibili, è Ufficiale in II del SMG Scirè. Dopo aver frequentato lÊAccademia Navale dal 2003 al 2008 ha svolto lÊincarico di Ufficiale di rotta e Capo Servizio Operazioni sul SMG Gazzana partecipando a numerose attività nazionali e NATO. Nel 2016 ha partecipato presso il quartier generale di Northwood-Londra (UK), alla missione europea di antipirateria Atalanta.

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Febbraio 2019, meeting dei Ministri della Difesa dei Paesi NATO (Fonte: nato.int).

I Un’analisi geo-strategica dei Paesi facenti parte del Patto Atlantico è propedeutica a comprendere quanto complesso sia lo scenario internazionale e quanto dunque esso sia imprevedibile. L’Alleanza Atlantica ha saputo crearsi, nei suoi 70 anni di vita, un’immagine fortemente credibile e autorevole, vincendo storicamente sfide ardue e delicate grazie principalmente alla propria flessibilità e alla concreta sinergia degli Stati membri. In questo contesto di mutazioni geopolitiche continue, la NATO resta la roccaforte di difesa principale e lo strumento di pace condiviso che si candida con merito a essere un attore di rilievo delle scene future.

n principio, gli Stati che il 4 aprile 1949 diedero i natali alla North Atlantic Treaty Organization erano dodici. Settant’anni dopo, nell’aprile 2019, ben ventinove. Trenta, non appena il protocollo di adesione della Macedonia del Nord sarà ratificato dai ventinove parlamenti alleati. Un allargamento esponenziale sintomo di un’alleanza affidabile, efficiente e che assurge a pietra angolare della politica di difesa e sicurezza degli Stati appartenenti. Far parte della NATO è utile. Ancor più, conveniente: ci si può permettere di condividere progetti e spese, effettuare collaborazioni e addestramenti congiunti, consultarsi e condurre di concerto operazioni multinazionali; tutto in virtù di un principio cardine qual è la difesa collettiva: un’aggressione a uno Stato membro equivale a una aggressione a tutti gli Stati. La definizione di difesa collettiva è sancita dall’art. 5 del trattato costitutivo di Washington che però, in via ufficiale, è stata invocata una sola volta nella storia: nel 2001 in seguito ai noti attacchi terroristici dell’11 settembre.

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Bastianelli Corea_Layout 1 23/05/2019 13:34 Pagina 44

PRIMO PIANO

Gli sviluppi della crisi coreana dai test del 2017 al Vertice di Singapore Rodolfo Bastianelli (*)

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e prospettive e le considerazioni della comunità internazionale riguardanti la crisi nordcoreana in questi ultimi due anni sono andate sensibilmente modificandosi, passando prima da una fase segnata da un’acuta preoccupazione a causa dei test missilistici effettuati dalla Corea del Nord nell’autunno del 2017, poi a una di moderata distensione avvenuta in seguito alle aperture registratesi tra Pyongyang e Seoul dopo le Olimpiadi invernali del Febbraio dello scorso anno e infine a una di forte ottimismo emersa sia grazie all’annuncio dello storico vertice tra Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un che all’incontro avvenuto alla fine di Aprile 2018 tra quest’ultimo e il Presidente sudcoreano Moon Jae-in.

(*) Nato a Roma il 5 novembre 1969. Laureato in Giurisprudenza a Roma, ha effettuato un corso di specializzazione postlaurea presso lÊInstitut Français des Relations International (IFRI) a Parigi. Dopo avere lavorato presso le riviste Ideazione e Charta Minuta, dal 2011 segue la politica estera per LÊOccidentale. ˚ Professore a contratto di Storia delle Relazioni Internazionali e collabora inoltre con LiMes, Informazioni della Difesa, Rivista di Politica, Affari Esteri e il settimanale on-line dello IAI, Affari Internazionali. Collabora con la Rivista Marittima dal 2009.

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Corea del Nord, Kim Jong-un testa una nuova arma tattica e ad alta tecnologia (Fonte: gds.it).

Il test di Novembre e le effettive capacità nucleari di Pyongyang Il test missilistico effettuato il 29 novembre 2017 da Pyongyang aveva ulteriormente aumentato la già alta tensione esistente in Asia orientale e alzato al massimo livello i toni dello scontro tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Ma aldilà della preoccupazione che l’ennesima azione compiuta dal regime di Kim Jong-un aveva suscitato nella comunità internazionale, a una più attenta valutazione appariva evidente come il test non dimostrasse ancora che il programma nucleare e missilistico della Corea del Nord fosse in grado di disporre effettivamente della capacità di raggiungere e attaccare l’intero territorio degli Stati Uniti e del continente europeo. Se da un lato, stando a quanto dichiarato da Pyongyang, il vettore «Hwasong-15» lanciato dalla regione di Sain-ni costituiva un missile balistico intercontinentale (ICBM) capace di raggiungere obiettivi fino a 13.000 Km di distanza rappresentando quindi un incremento sensibile rispetto al missile «Hwasong-14» lanciato il 28 luglio il quale aveva una portata di 10.400 Km, dall’altro le valutazioni degli analisti in merito alle capacità del nuovo missile lanciato da Pyongyang divergevano, invece, sensibilmente. Se per alcuni difatti il vettore «Hwasong-15» rappresentava un missile ben più potente di quello lanciato quattro mesi prima e costituiva un ulteriore prova di come il programma missilistico nordcoreano procedeva a velocità avanzata, dall’altro però non pochi ritenevano invece come le affermazioni del regime di Kim Jong-un, in merito alle capacità del vettore, erano da ritenersi alquanto azzardate. Stando a quanto riferito ufficialmente da Pyongyang, il missile «Hwasong-15» avrebbe raggiunto un’altitudine di 4.500 metri e sarebbe rimasto in volo per 53 minuti prima di cadere a oltre 960 Km dal sito di lancio, superando quindi per altezza e tempo di durata il precedente vettore. Ma per gli esperti e gli scienziati incaricati di valutare il test, Pyongyang non solo avrebbe sensibilmente esagerato la potenza del missile ma, soprattutto, non disporrebbe ancora della piena capacità per lanciare un attacco nucleare, e questo essenzialmente per due ragioni. La prima è che il missile lanciato sarebbe stato caricato solo con una leggera testata esplosiva, oppure addirittura privo di una di esse, cosa che avrebbe sensibilmente aumentato

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PRIMO PIANO

L’atomica Una storia da raccontare Gualtiero Mattesi (*) «… Né la bomba atomica né l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica provocò la resa incondizionata del Giappone. Esso era già sconfitto prima che questi avvenimenti ebbero luogo». Generale Douglas MacArthur1

(*) Ammiraglio in ausiliaria, ha ricoperto vari incarichi di Comando Navale, prendendo parte a operazioni nazionali e multinazionali. Autore di alcuni articoli presso alcune riviste militari, universitarie e di un testo che tratta della sua esperienza contro la pirateria nellÊOceano Indiano.

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L’atomica

L

a storia che ha portato gli Stati Uniti d’America alla decisione di lanciare due bombe atomiche sul Giappone nell’agosto del 1945 è un evento unico che l’intelligenza umana è riuscito fino a oggi a non ripetere. Ha coinvolto il lavoro di centinaia di uomini: scienziati, militari e politici, operai e lavoratori. Ma le decisioni cruciali — e ancor più le loro indecisioni — hanno fatto parte di una ristrettissima schiera di loro. Questo articolo vuole indicare chi furono i protagonisti, quali le questioni cruciali dibattute, da vincitori e vinti, e quali gli elementi che non hanno impedito che accadesse.

La nascita dell’energia atomica Questo racconto deve il suo battesimo all’intelligenza e visione strategica del fisico ungherese Leo Szilard. Nel 1934 ha l’intuizione che dalla nota formula di Albert Einstein E= mc2 si possa ottenere una quantità di energia elevatissima, riuscendo a scindere l’atomo. Nell’ottobre dello stesso anno, in Italia, il fisico Enrico Fermi, con il supporto de I ragazzi di Via Panisperna, riesce a realizzare la prima scissione nucleare artificiale di un atomo di Uranio, mediante bombardamento neutronico. Quattro anni dopo, verso la fine del 1938, i chimici nucleari tedeschi Otto Hahn e Fritz Strass Mann, dimostrano sperimentalmente la fissione dell’atomo di uranio in seguito ad assorbimento di neutroni, registrando una grande emissione di energia. Un evento che dà consistenza alla teoria di Einstein. Nel frattempo in Germania il regime spera nel suo giovane grande fisico, lo scienziato Werner Carl Heisenberg, padre del principio di indeterminazione, uno dei pilastri concettuali della meccanica quantistica e premio Nobel nel 1932. Considerato il solo fisico tedesco in grado di realizzare l’atomica, nel 1939 Heisenberg viene messo a capo di un gruppo di scienziati. In questo periodo Szilard è molto preoccupato dall’avvento della leadership di Hitler e in particolare dalla possibilità che la Germania possa giungere alla realizzazione della bomba atomica. Per questo motivo decide di scrivere una lettera indirizzata al Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, per

rappresentargli i suoi timori e richiedere il necessario supporto affinché la bomba sia realizzata negli Stati Uniti, prima della Germania. Per conferire la massima importanza alla lettera e la maggiore pressione possibile, nell’estate del 1939 Szilard decide di incontrare Einstein, già stimato quale primo fisico al mondo. L’intento è di aggiornarlo sulla sua teoria, sugli esperimenti di Fermi, Hann e Mann e soprattutto sui relativi usi ai fini bellici. Einstein comprende l’intento e l’urgenza e, nonostante si fosse già dichiarato pacifista, condivide le sue ragioni. Decide di firmare la lettera il 2 agosto del 1939. Szilard fa pervenire lo scritto al Presidente attraverso un intermediario a lui ben noto, l’economista Alexander Sachs. A causa della preoccupazione del Presidente per l’inizio della Seconda guerra mondiale, causata dall’invasione di Hitler ai danni della Polonia il 1o settembre, Sachs rinvia l’incontro fino all’11 ottobre del 1939. Roosevelt condivide subito l’idea di Szilard e decide di promuovere l’iniziativa (2). Nello stesso anno, con l’emanazione anche da parte di Benito Mussolini delle leggi razziali, Fermi, avendo moglie di origine ebrea, decide di trasferirsi negli Stati Uniti (3), per ricoprire il ruolo di docente di fisica alla Columbia University di New York. Qui si realizza un connubio perfetto tra Szilard e Fermi. All’intelligenza creativa, filosofica e teorica del primo si unisce la competenza, il pragmatismo e le

Einstein e Leo Szilard lavorano alla lettera per il Presidente Roosevelt (Fonte: Atomic Heritage Fondation).

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

DEUTSCHE MARINE

una Marina d’alto mare o in alto mare?

La base navale di Kiel, che ospita la Einsatzflottille 1 (Fonte: wikipedia.org).

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Giuliano Da Frè (*) mesi a cavallo tra l’autunno 2017 e l’inverno 2018 non sono stati facili, per la Marina tedesca. Il simbolo stesso della sua antica letalità bellica, e della più recente capacità tecnico-industriale, ossia il sottomarino (1), in quei mesi è stato fonte di imbarazzo per gli ammiragli di Berlino; mentre le prove in mare delle innovative e sofisticate fregate tipo F125 incrinavano le certezze relative alla celebrata efficienza teutonica. Il 15 ottobre 2017, infatti, un incidente metteva fuori uso per 6 mesi l’U-35, proprio mentre gli altri 5 Type-212 erano o ai lavori già previsti, o impegnati in un ciclo straordinario di manutenzione, causato dalla scarsità di parti di ricambio e da una inadeguata programmazione; e solo nell’estate 2018 si è tornati a disporre di 4 battelli operativi. Nel dicembre 2017, invece, veniva rimandata al cantiere costruttore, senza aver superato le prove di accettazione, la fregata Baden-Wurttenberg, capoclasse delle F-125, e già in ritardo sui termini di consegna dopo una prima serie di problemi di dentizione emersi nei collaudi; comunque comuni in questo genere di programmi complessi, e che avevano interessato per esempio le stesse prime FREMM italiane. E il 21 giugno 2018, la moderna fregata antiaerea Sachsen, ha subito seri danni e 2 feriti tra il personale, a causa dell’esplosione di un missile SM-2 durante un lancio di esercitazione.

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Il nuovo volto del Sea Power tedesco Sin dal 1990, anno della riunificazione (quando ereditò anche navi e infrastrutture militari della defunta Germania Est), e con la fine della Guerra Fredda, la Bundesmarine, la Marina militare della Germania Federale, ha avviato una complicata e articolata fase di transizione. Tre i fattori che pesavano, e in parte pesano tuttora, sul necessario rinnovamento della flotta tedesca. Il primo ovviamente riguardava il nuovo scenario strategico emerso dalla fine — o per meglio dire, dalla sospensione, alla luce della nuova crisi tra Est e Ovest innescata dal conflitto ucraino nel 2014 — della Guerra Fredda. Evento che coincise, (*) Giornalista classe 1969, dal 1996 collabora con varie testate specializzate nel settore militare tra cui RID · Rivista Italiana Difesa, Focus Wars e Rivista Marittima. Dal 2002 analista navale per i web magazine Analisi Difesa e Portale Difesa, ha scritto circa 300 articoli dedicati soprattutto alla storia militare, ai conflitti internazionali e allo sviluppo delle forze armate di tutto il mondo. Con Odoya ha pubblicato La marina tedesca 1939-45 (2013) e Storia delle Battaglie sul mare (2014), cui è seguito nel 2015, per la Newton Compton, Le grandi battaglie della Prima guerra mondiale e nel 2016 I grandi condottieri del mare.

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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

Il diario di Maria Mario Boffo (*)

Napoli, 25 ottobre 1941 È successo anche stanotte. L’ombra nera che compare di notte accanto al mio letto è venuta ancora, dopo un paio di settimane di assenza. Ho deciso di scriverlo qui, in questo diario. Qui scriverò se ancora riapparirà. Non posso che confidare a queste pagine le paure e le emozioni. A raccontarlo, nessuno mi crederebbe. Oppure attribuirebbe le apparizioni alla presenza in

casa di un munaciello. Io non so che pensare. Cominciò a comparire lo scorso aprile, dopo un anno che abitavo in quest’appartamento al Vico Nuovo, a Mergellina. Mi sono trasferita a Napoli da Futani, nel salernitano, per cercare lavoro come segretaria stenografa. I miei parenti non volevano. Una ragazza sola nella grande città, faceva scandalo. Ma io non ce la facevo più a stare nel paesino. Qui, nel Vico

(*) ˚ stato un funzionario della carriera diplomatica. Laureato nel 1976 in Scienze Politiche, presso lÊUniversità Federico II di Napoli, ha intrapreso la carriera nel 1978, ricoprendo il ruolo di Ambasciatore nello Yemen (2005-2010) e in Arabia Saudita (2013-2016). I racconti ascoltati durante lÊinfanzia dal padre e dagli zii, tutti arruolati nella Regia Marina durante lÊultima guerra, ne hanno nutrito lÊamicizia per la Marina Militare.

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Capo Matapan, 27 marzo 1941. L’incrociatore FIUME in combattimento con la corazzata WARSPITE, collezione A. Fraccaroli - particolare (Fonte: USMM).

Napoli, 4 novembre 1941 È venuto anche stanotte. Non so se è una cosa legata alla casa o a me. Prima di venire qui, dal paese, non mi si era mai manifestato nulla. Anche nella casa di Mergellina, però, da quando la abitavo, non era mai successo niente, prima di aprile. È come un’ombra nera, vicino al mio letto. La sento mentre sto dormendo, e mi sveglio. Non fa alcun rumore, alcuno struscio, alcun soffio. Ma la sento. Se cerco di guardarla nel buio, alla luce della luna dalla finestra, si sposta, si defila, scivola via… si lascia vedere di sbieco, in modo sfuggente, non si fa mai afferrare con lo sguardo. Ha come l’apparenza di un uomo in tenuta da mare; che so, un pescatore, un navigante. Come se vestisse un’incerata. Se accendo la luce, scompare, ma quando spengo e cerco di riaddormentarmi, torna di nuovo. Vicino. Allora metto la testa sotto il cuscino e mi metto a piangere. A volte a pregare. Se prego va via. Ma devo pregare a lungo.

Napoli, 17 dicembre 1941

Nuovo, dopo qualche giorno di sconcerto, alla fine mi hanno accolto con simpatia. Mi chiamano ‘a studentessa, per via che ho intrapreso gli studi di ragioneria. Abito sola, in un appartamento di una stanza e un risicato focolare con gabinetto annesso, al secondo piano del numero 12 del vicolo. All’inizio molti storcevano il naso per questo fatto che vivo sola; ma poi mi hanno perdonato, perché non hanno mai visto nessun uomo salire a quel secondo piano. Quello che viene di notte, infatti, perché ha tutte le sembianze di un uomo, non passa per il vicolo e non sale le scale.

Oggi è Sant’Olimpia. Penso alla zi’ Olimpia, al paese. Non è una vera e propria zia. È stata la nutrice di mio fratello Raffaele, ed era diventata di famiglia, insieme alla sua, di famiglia. Noi fratelli e sorelle Cozzolino giocavamo tutto il tempo coi bambini della famiglia Chirico, poi siamo stati compagni di scuola e insieme abbiamo vissuto l’adolescenza. Io me ne sono andata a vent’anni, nel 1939. Quel paese di montagna non lo sopportavo, con gli inverni freddi e l’avvenire chiuso, con le donne sempre vestite di nero, gli uomini nei campi o all’osteria e i giovani indolenti e mesti. Volevo la città, volevo lavorare e studiare, volevo il mare, il mare che avevo visto soltanto una volta, quando si fece, le due famiglie, una Pasquetta a Palinuro. Qui c’è una lontana cugina di mia madre, la zia Lola; abita all’inizio di Posillipo. È grazie alla sua presenza a Napoli che mio padre alla fine mi ha permesso di venirci, nell’idea che potesse vigilare alla mia sicurezza e virtù. Mi viene a trovare una volta alla settimana, la zia Lola. Ma nemmeno a lei ho mai raccontato dell’ombra nera, che è venuta anche stanotte.

Napoli, 23 dicembre 1941 Oggi, nell’ufficio dove lavoro, s’è fatto festa, in vista del Natale. Niente di che. Qualche bottiglia di vino e

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STORIA E CULTURA MILITARE

Le donne nello spionaggio 82

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Particolare dell’opera di Rubens, Sansone e Dalila, 1609 circa, olio su tavola, 185×205 cm, National Gallery, Londra (Fonte: it.wikipedia.org).

Domenico Vecchioni (*)

C

hi è stata la prima spia donna della Storia? Impossibile dirlo. Non esiste evidentemente una classifica «cronologica» delle spie. Anche perché le origini dello spionaggio si perdono nella notte dei tempi. Tuttavia, se ci lasciamo andare a ritroso nel tempo, tra storia e leggenda, tra storia e bibbia, possiamo individuare, simbolicamente, la prima spia donna nel personaggio di Dalila, l’amante di Sansone. Conosciamo la vicenda. I Filistei reclutano, offrendole una forte somma di denaro, la bella Dalila per sedurre Sansone, israelita dotato di forza incredibile e scoprirne il segreto. Sansone, innamoratissimo, cade nella trappola e finisce per svelare a Dalila che tutta la sua forza sta nei capelli, che non ha mai tagliato da quando è nato. Nottetempo dunque, la spia, con l’aiuto dei Filistei, gli taglia la lunga chioma e Sansone, oramai impotente, sarà facilmente catturato e imprigionato. Dalila diventa dunque nell’immaginario collettivo il prototipo della spia seduttrice e venale, riflettendo appunto un’immagine che caratterizzerà per secoli il ruolo della donna nello spionaggio. L’utilizzo della donna nelle attività segrete è stato costantemente limitato da pregiudizi, tabù e luoghi comuni, che la relegavano a ruoli del tutto secondari. Per molto tempo lo spionaggio si espresse unicamente nella sua dimensione per così dire militare (Guerra e Spionaggio furono sempre considerati indissociabili e complementari) e si riteneva di conseguenza che le donne fossero meno capaci degli uomini nel maneggio delle armi e nelle attività «muscolari» del mondo dell’ombra: ricognizioni in territorio nemico, esfiltrazioni, sabotaggi. Si credeva inoltre che le donne fossero meno abili degli uomini nel mantenere i segreti, nel confondere l’avversario, nel fingere, nel mimetizzarsi, nel muoversi con discrezione.

(*) Già diplomatico di carriera, ha ricoperto numerosi incarichi alla Farnesina tra i quali quello di Consigliere alla NATO, Vice Rappresentante Permanente al Consiglio dÊEuropa, Console Generale a Nizza e a Madrid e Ambasciatore dÊItalia a Cuba. Saggista, storico e divulgatore, ha al suo attivo diverse biografie storico-politiche (da Evita Peron a Raul Castro) nonché studi sulla storia dello spionaggio (Storia degli 007 dallÊantichità ai nostri giorni). Collabora abitualmente con BBC History Italia ed è Direttore della collana Ingrandimenti presso la casa editrice Greco e Greco di Milano.

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RUBRICHE

F ocus diplomatico Dal discorso della Sorbona al Manifesto per un Rinascimento europeo A poche settimane dalla firma ad Aquisgrana del Trattato che ha ribadito, rivitalizzandola e aggiornandola, la collaborazione franco-tedesca frutto della storica riconciliazione fra i due Paesi dopo l’ennesima confrontazione della Seconda guerra mondiale, il Presidente della Repubblica francese è tornato nuovamente alla ribalta della scena europea con la pubblicazione di un Manifesto intitolato «Per un Rinascimento europeo». Sul sito dell’Eliseo il Manifesto è significativamente accostato al discorso che Macron tenne nel settembre del 2017 agli studenti della Sorbona, quasi a sottolineare la continuità del suo impegno europeista, del quale vengono anche orgogliosamente richiamati i risultati concreti, in un bilancio che annovera tra l’altro il via libera da parte del Consiglio Europeo dello scorso dicembre alla creazione di un bilancio dell’Eurozona, tuttora da definire nei contenuti, nelle dimensioni e nella «mission», la costituzione del Fondo Europeo per la Difesa a sostegno della base industriale e tecnologica delle capacità militari, l’entrata in funzione di una Forza europea di protezione civile e infine la progressiva istituzione di una polizia europea di frontiera. La lista dei risultati in verità non si limita a quelli conseguiti nell’ambito delle istituzioni europee, ma ricomprende — con una certa disinvoltura informativa — anche quelli ottenuti nel quadro della collaborazione franco-tedesca, come la decisione di armonizzare le rispettive legislazioni nazionali in materia di tassazione delle società, assieme ad altri frutto di iniziative autonome francesi al di fuori di quell’ambito, come in particolare il lancio dell’Iniziativa Europea di Intervento di cui si dirà più appresso. E tuttavia, ci sia consentito di sottolinearlo in apertura di questa considerazioni, i due documenti — il discorso alla Sorbona e il Manifesto — appaiono lo specchio di due momenti diversi. Il primo, quello della Sorbona, impregnato di idealismo europeista e di una visione «alta» del futuro del processo di integrazione europea. Il se-

condo molto più influenzato dagli sviluppi che si sono prodotti nel frattempo sulla scena politica europea con il rafforzarsi delle tendenze antieuropeiste e dei sovranismi che ne sono l’espressione politicamente più rilevante. Dal discorso della Sorbona emergeva la figura di un leader teso allo sviluppo di una forte identità europea e convinto che la soluzione dei problemi dell’Europa di oggi si trovi nel consolidamento del processo di integrazione. E ciò non tanto e non solo per le proposte specifiche avanzate in quella sede, tutte peraltro di grande interesse, quanto piuttosto per l’accento che Macron aveva posto sul concetto di «sovranità europea» e per la sua insistenza sulla necessità che l’Europa sia costruita dal basso, e cioè con la partecipazione dei cittadini. In quella visione si inquadravano la proposta che il prossimo Parlamento Europeo fosse eletto almeno per la metà dei suoi membri con liste sovranazionali e quelle di un diverso e più democratico sistema di nomina del Presidente della Commissione e della riduzione a 15 dei membri della Commissione stessa, con la conseguente disponibilità a rinunciare al Commissario francese. Tutte misure chiaramente rivolte al rafforzamento della legittimità democratica delle Istituzioni sovranazionali. Anche il Manifesto assume come punto di partenza la riaffermazione di quanto, oggi più che mai, l’Europa sia necessaria «per rispondere alle esigenze di protezione dei popoli di fronte alle grandi crisi del mondo contemporaneo» e riprende con forza l’argomento, che invece oggi molti tendono a svalutare, del lungo periodo

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RUBRICHE

Osservatorio internazionale

Turchia: quale rapporto con la NATO?

La vicenda della volontà turca di acquistare i missili antiaerei russi S-400 sta portando al parossismo le tensioni tra Ankara e la NATO. Bruxelles ha fatto capire chiaramente che questi sistemi non sono compatibili con la difesa aerea integrata dell’Alleanza e che la scelta deve essere rivista. A questo fanno il paio (e molto di più) le altre tensioni che hanno portato la Turchia a cooperare sempre più strettamente con la Russia in molti settori (come per la Siria e per le politiche energetiche), irritando il già tempestoso Presidente Trump, sempre poco incline a compromessi. Neanche nei peggiori momenti del gaullismo la NATO si è trovata in tali tensioni interne (e bisogna dire che l’orgoglioso generale-presidente non ha mai messo in dubbio i fondamenti strategici dell’Alleanza Atlantica). Ora la disputa si è ampliata a una neanche tanto velata minaccia di escludere la Turchia dal programma per gli F-35 «Lightning II», rendendo la situazione incandescente anche a causa della violentissima campagna di deputati e senatori americani (democratici e repubblicani) contro Ankara. Erdogan e i suoi ministri, nonostante una difficile situazione politica interna (o forse per farvi fronte dopo la dura sconfitta alle elezioni amministrative che hanno

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Fonte: time.com) e a destra i missili antiaerei S-400 (Fonte: lastampa.it).

visto il partito del presidente perdere sonoramente e sopportare la perdita di immagine e di sostanza delle amministrazioni locali di Istanbul e Ankara) hanno spinto decisamente sulla leva nazionalista e sui temi dell’indipendenza nazionale, a cui l’opinione pubblica turca è sempre assai sensibile. Ora, che fare? Stando alle dichiarazioni Ankara è assolutamente decisa a non fare passi indietro sui missili, ma anche sugli F-35 (la Turchia, nei piani originali aveva un ruolo importante nel processo industriale, ma sembra che il consorzio di produzione stia studiando come estrometterla senza rallentare il processo produttivo). Dietro le quinte come sempre si sta negoziando, ma oramai la volontà di Erdogan di ritagliarsi uno spazio autonomo è vista con crescente sospetto da parte degli (ex?) alleati.

Russia: prove di dialogo A metà aprile il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha incontrato i suoi colleghi azerbaigiani e armeni, Elmar Mammadyarov e Zohrab Mnatsakanyan, a Mosca, per discutere le prospettive di un accordo per il NagornoKarabakh, al centro di una disputa tra i due Stati caucasici (ex sovietici) che si sono affrontati per il controllo di questa provincia (etnicamente armena, ma unita all’Azerbaigian per una decisone di Stalin) in un duro conflitto tra il 1991 e il 1994 e che è costato 35.000 morti e massicci movimenti di popolazioni civili, oltre un milione considerando entrambi i contendenti (in realtà gli scontri erano iniziati già nel 1988, con l’Unione Sovietica in pieno disfacimento). Per anni la situazione è stata fluida e spesso le forze opposte si sono affrontate in scaramucce ma anche in vere e proprie battaglie campali. Alla fine del

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RUBRICHE

Marine militari ARGENTINA Iniziata in Francia la costruzione del primo pattugliatore d’altura

COREA DEL NORD Possibile costruzione di un sottomarino lanciamissili balistici

Nel corso di una cerimonia presenziata dal Ministro della Difesa francese Florence Parly e svoltasi nel cantiere Piriou di Concarneau, il 19 aprile è stato impostato il primo pattugliatore d’altura destinato alla Marina argentina. Il relativo contratto, siglato alcuni mesi orsono, prevede anche la costruzione di altri due esemplari e il ricondizionamento e ammodernamento del pattugliatore L’Adroit, realizzato a scopo promozionale dalla società Naval Group. I pattugliatori di nuova costruzione sono al momento noti come OPV87 e sono lunghi 86 metri: essi hanno un dislocamento di 1.650 tonnellate e un ponte di volo in grado di far operare un elicottero medio.

Secondo fonti sudcoreane, la Corea del Nord avrebbe dato il via alla costruzione di un nuovo sottomarino in grado di lanciare missili balistici: la notizia sarebbe confermata da immagini satellitari divulgate a partire da marzo 2019, che mostrano un gran numero di sezioni cilindriche e di altri manufatti in assemblaggio nel cantiere navale nordcoreano di Sinpo, nella provincia di Hamgyong. Nell’area del cantiere è stata osservata anche una chiatta di nuova costruzione, presumibilmente destinata alle prove in immersione dei componenti del nuovo battello. Si ipotizza che il nuovo battello abbia un dislocamento di 3.000 tonnellate e un diametro dello scafo pari a 10 metri, una dimensione compatibile con la presenza di 3 o 4 silos di lancio per ordigni balistici; l’ipotesi è avvalorata dalla foto divulgata nel 2016 dall’agenzia di stampa nordcoreana News Agency, che mostrava un lancio di prova subacqueo del missile «N-11 Pukkuksong-1». Attualmente, la Marina nordcoreana ha in linea soltanto un battello, noto come classe «Sinpo», avente un dislocamento di 2.000 tonnellate ed equipaggiabile con un unico missile balistico; probabilmente si tratta di un’unità sperimentale, anche se non ne viene escluso un impiego reale, peraltro con capacità limitate. La disponibilità di un nuovo e più grande sottomarino lanciamissili balistici aumenterebbe le capacità nordcoreane nel campo della deterrenza strategica, soprattutto se Pyongyang fosse in grado di schierare anche il nuovo ordigno Pukkuksong3, lanciabile in immersione e avente un raggio d’azione massimo di circa 2.000 km.

BANGLADESH Entrate in servizio altre due corvette di costruzione cinese Il 27 aprile, la Marina del Bangladesh ha preso in consegna le corvette Sangram e Prottasha, di stanza nella base navale di Chittagong e destinate a entrare ufficialmente in linea fra breve. Le due unità fanno parte di un programma costruttivo comprendente quattro esemplari, tutti realizzati dalla società Wuchang Shipbuilding Industry Group di Wuhan, nella Repubblica Popolare Cinese. A differenza della prima coppia di unità, queste sembrano equipaggiate con un sensore radar multifunzionale a facce piane di tipo più moderno. Le quattro unità costituiscono la classe «Shadinota» e sono basate sul modello «Type C13B/Type 056» di origine cinese: il dislocamento a pieno carico è pari a 1.330 tonnellate, mentre l’equipaggio è formato da 78 uomini. L’armamento comprende un cannone da 76 mm, due impianti da 30 mm, un complesso di lancio verticale per otto missili superficie-aria e quattro missili superficie-superficie; tutti i sistemi imbarcati sono prodotti in Cina.

EGITTO Approvata la costruzione di sei fregate di produzione tedesca Secondo il quotidiano tedesco Bild, il 4 aprile il governo di Berlino ha approvato la costruzione di sei fre-

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RUBRICHE

Scienza e tecnica I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Angelo Scribanti, ufficiale del Genio Navale, e la Regia Scuola Superiore Navale di Genova Su questa rubrica abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, trattando le figure di Benedetto Brin (1), Giancarlo Vallauri (2), Giuseppe Rota (3), Domenico Chiodo (4), Umberto Pugliese (5), Vittorio Emanuele Cuniberti (6), Edoardo Masdea (7), Ugo Tiberio (8), Gian Battista Magnaghi (9) e Umberto Cagni (10). In questo numero vogliamo invece parlare del professor Angelo Scribanti (1868-1926), ingegnere del Genio Navale, che, dopo aver sostituito Giuseppe Rota come direttore della vasca navale della Spezia, lasciò la Regia Marina per la carriera accademica, identificandosi in particolare per quasi un ventennio con la Regia Scuola Superiore Navale di Genova. Scribanti nacque a Cicagna (GE) il 31 marzo 1868 da padre piemontese e madre ligure, della famiglia dei Bo di Sestri Levante. Iniziò gli studi classici a Chiavari, proseguendoli poi a Vercelli. In seguito frequentò prima la facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali all’Università di Torino, poi la facoltà di Ingegneria, sempre a Torino. Entrò nel Genio Navale subito dopo aver conseguito la laurea in ingegneria civile nel 1891. Si trasferì quindi a Genova, con il grado di tenente, per seguire i corsi della Regia Scuola Navale Superiore e si diplomò come ingegnere navale e meccanico nel 1893 (la tesi venne discussa il 2 settembre di quell’anno). La scuola era stata fondata nel 1870 allo scopo di formare gli ingegneri del Genio Navale e dei cantieri civili che avrebbero dovuto realizzare le moderne unità navali militari e mercantili del neonato Regno d’Italia, ed era la più prestigiosa istituzione italiana nel campo dell’ingegneria navale. Nel corso della sua attività di ufficiale ingegnere del corpo del Genio Navale, prese anche parte alla costru-

zione e alla trasformazione di 26 navi da guerra. Fu anche imbarcato, e in particolare nel 1898 prese parte alla campagna della Divisione navale oceanica in America del Sud comandata dal Contrammiraglio Camillo Candiani, imbarcato sull’Incrociatore Corazzato Carlo Alberto; Candiani scelse il giovane ingegner Scribanti come proprio segretario. Quando era destinato presso il Regio Arsenale della Spezia insegnò per tre anni costruzione navale e macchine a vapore presso la scuola garzoni dell’arsenale. A partire dal 1896 Scribanti pubblicò una serie di articoli (una quarantina) di argomento tecnico (sui planimetri a scure e a lunule, sul varo delle navi, sulle paratie stagne, sulla Vasca Froude, sull’impostazione di progetti di navi, su carene dritte e inclinate, su eliche, scafi, ecc...); in particolare 13 suoi articoli furono pubblicati sulla Rivista Marittima (si veda Riquadro 1) e vari altri sulla rivista Marina Mercantile Italiana. Alcuni suoi lavori sono anche negli atti del Collegio degli Ingegneri Navali e Meccanici, che ebbe sede a Genova, e altri ancora sono stati pubblicati nelle maggiori riviste internazionali (tra cui le Transactions of the Institution of Naval Architects di Londra e il Bulletin de l’Association Technique Maritime di Parigi).

Fotografia del palazzo dell’ammiragliato di Genova, oggi non più esistente. Sopra:il professor Angelo Scribanti (Fonte: duilioship.it, foto d’epoca).

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C he cosa scrivono gli altri «Raisina Dialogue e Quad» NODO DI GORDIO, 13 GENNAIO/5MARZO 2019 - FOREIGN POLICY, OCTOBER 19, 2018

(Fonte: nododigordio.org).

A Nuova Delhi, dall’8 al 10 gennaio scorso, si è svolta la quarta edizione del Raisina Dialogue (dalla Raisina Hill di New Dheli, sede del governo e della presidenza indiana), conferenza multilaterale che si tiene annualmente dal 2016, ospitata dall’Observer Research Foundation, un think tank indipendente, in collaborazione con il Ministero degli Esteri indiano (http://www.orfonline.org/raisina-dialogue). Il Dialogo è strutturato come una discussione multi-stakeholder e intersettoriale, che coinvolge capi di Stato, ministri e funzionari governativi, nonché importanti dirigenti del settore privato, membri dei media e accademici. In particolare, al panel dedicato alla «sicurezza», hanno preso parte i capi di Stato maggiore della Marina indiana e di quella francese, il comandante dello statunitense Comando Indo-Pacifico, l’ammiraglio Philip S. Davidson e i capi di Stato Maggiore della Difesa giapponese e australiana. L’ammiraglio Davidson — scrive Elvio Rotondo nel contributo in discorso — durante il suo intervento ha affermato che gli Stati Uniti, ben conoscendo le dinamiche mutevoli nella regione, hanno provveduto a cambiare la denominazione da «PACOM» a «INDOPACOM» (ergo Indo-Pacific Command). Un

cambio che «esprime molto di quello che il presidente Donald Trump ha lanciato nel 2017, cioè che il futuro per la prosperità — non solo per gli Stati Uniti, ma per tutte le nazioni della regione — risiede nell’Indo-Pacifico e il cambio di nome aiuta a sostenere quella visione e certamente descrive quali responsabilità ha il quartier generale». Davidson ha poi sostenuto che la più grande capacità che gli Stati Uniti forniscono nell’area è l’ineguagliata rete di alleati sviluppata dalla fine della Seconda guerra mondiale, visto che Washington ha collaborato con Giappone, Francia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito e altre Marine nel Mar Cinese Meridionale per affermare i diritti di tutte le nazioni ad accedere a queste importanti SLOCs in nome della libertà di navigazione. E, come ricorderemo, «keeping strategic waterways throughout the Indo-Pacific region «free and open» is a key Trump administration objective». I relatori del panel sono stati poi ripetutamente interpellati sugli aspetti militari della cosiddetta «Quad» (ergo Quadrilateral Security Dialogue, www.youtube.com/watch?v=iWvklV d48YI), composta da India, Giappone, Australia e Stati Uniti. «La natura multilaterale delle alleanze e delle partnership consente un potere di combattimento molto maggiore — si è espresso ancora l’ammiraglio Davidson — Gli Stati Uniti hanno una partnership strategica con l’India che è progredita lo scorso anno, oltre a un trattato di sicurezza con il Giappone e l’Australia». Non esiste invero (almeno per il momento!) un partenariato militare formale, è stato ribadito dagli altri relatori, «non c’è una NATO indo-pacifica» per intenderci, ma solo «una solida relazione in crescita», anche se negli Stati Uniti alcuni analisti, tipo Derek Grossman sulle colonne del prestigioso Foreign Policy, non si peritano di affermare a chiare lettere che, in funzione del contenimento dell’invasività di Pechino nella regione indo-pacifica, rebus sic stantibus, «Quad it’s not enough!».

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Recensioni_Layout 1 23/05/2019 14:01 Pagina 126

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Recensioni e segnalazioni Pippo Lo Cascio

Sinan Baxà alias Scipione Cicala Il messinese al servizio dei Turchi alla Sublima porta di Costantinopoli e la cultura musulmana in Europa Ed. Giambra Terme Vigilatore (ME) 2017 Pagg. 375 Euro 15,00

L’autore, studioso di storia e archeologia del territorio siciliano e che ha al suo attivo numerosi saggi e articoli di carattere scientifico e divulgativo, descrive, in questo suo libro, alcuni aspetti delle lotte tra Cristiani e Musulmani nel XVI e XVII secolo avvenute soprattutto in Sicilia e nel Mediterraneo, attraverso la vita di Scipione Cicala, appartenente a una famiglia genovese stabilitasi poi a Messina. Molti infatti, in epoca medievale, furono «i nuclei familiari che si spostarono nell’area del Mediterraneo e del Mar Nero, ove i Genovesi avevano creato una fitta rete di basi mercantili. […] Altri ceppi nobiliari s’inserirono attivamente nell’Italia Meridionale, soprattutto tra e comunità napoletane e siciliane. […] Nell’Isola Siciliana una di queste famiglie fu quella dei Cicala» che nella prima metà del XVI secolo si trasferì, appunto, a Messina, città che, data la sua collocazione, risultava appropriata per chi voleva intraprendere la lotta al naviglio musulmano. Vincenzo Cicala (passato alla storia come Visconte), commerciante e banchiere, padre del Nostro, nacque a Genova nel 1504 da dove, dopo trent’anni, emigrò nella città dello Stretto. «Tra le tante attività commerciali e militari che intraprese, vi fu quella di armare le proprie galee contro i nemici Turchi e Barbareschi». Ebbe una vita avventurosa che lo portò anche a mettersi al servizio di Andrea Doria. Fu nemico giurato dei Musulmani tant’è che «il suo nome e le sue gesta cominciarono a circolare con insistenza nelle reggenze barbaresche e alla corte di Co-

stantinopoli, come un nemico pericoloso da neutralizzare». Egli, nella sua attività, passava con facilità, a seconda delle circostanze, dallo status di pirata a quello di corsaro. Nel 1561, partito, assieme al figlio Scipione, da Messina alla volta della Spagna, fu oggetto di un’imboscata, a largo delle isole Egadi, da parte dei pirati Barbareschi. I due Cicala, padre e figlio, rimasero prigionieri nonostante l’iniziale interessamento di Papa Pio IV, e furono inviati in dono al sultano Solimano I il Magnifico, presso Costantinopoli e qui, secondo alcuni, Visconte spirò in un’umida cella il 12 dicembre 1564, lasciando a Messina la moglie, Donna Lucrezia, quattro figli — Carlo, che rimase sempre in contatto con il fratello Scipione, Filippo, Eduardo, Giulio — e tre figlie di cui però non si sa assolutamente nulla. Scipione, nato a Messina nel 1545, invece, dopo la cattura, entrato nelle grazie di Solimano I, si convertì alla religione islamica, assumendo il nome musulmano di Cigala Zade Yusuf Sinan, abbreviato poi in Sinan. Raggiunta la maggiore età, Sinan entrò nel corpo dei giannizzeri, raggiungendo i più alti gradi militari, fino a quello di kapudan baxà nel 1598, vale a dire grande ammiraglio della flotta ottomana; incarico che prevedeva, oltre al comando di tutti i marinai dell’Impero, anche quello delle maestranze civili e militari che operavano negli arsenali posti al suo interno. Prima di arrivare a tale livello, però, «Sinan iniziò le sue esperienze militari nella marina da guerra, conquistando presto i gradi di ufficiale e di comandante di imbarcazioni. […] Sebbene durante questa fase di vita militarizzata Sinan baxà portasse sempre a compimento le sue missioni e raggiungesse gli obiettivi che si proponeva contro il nemico cristiano ricevendo dagli esponenti del Divan attestati di stima e di onorificenze, il suo pensiero era costantemente rivolto alla famiglia, in particolare alla madre ed alla lontana patria Messina i cui ricordi cominciavano ad affievolirsi. Non di rado con la sua nave “capitana”, che precedeva il convoglio dall’ar-

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

NEL PROSSIMO NUMERO FOCUS SULLA BLUE ECONOMY E POTERE MARITTIMO

ERRATA CORRIGE Fascicolo di Marzo 2019 Le immagini di pagg. 12-13 e pag. 17 sono tratte rispettivamente da British Museum di Londra e da H. Frankfurt, The Art and Architecture of the Ancient Orient, London, reprint 1985, pag. 90. LA COLLABORAZIONE ALLA RIVISTA È APERTA A TUTTI. IL PENSIERO E LE IDEE RIPORTATE NEGLI ARTICOLI SONO DI DIRETTA RESPONSABILITÀ DEGLI AUTORI E NON RIFLETTONO IL PENSIERO UFFICIALE DELLA FORZA ARMATA. RIMANIAMO A DISPOSIZIONE DEI TITOLARI DEI COPYRIGHT CHE NON SIAMO RIUSCITI A RAGGIUNGERE. GLI ELABORATI NON DOVRANNO SUPERARE LA LUNGHEZZA DI 12 CARTELLE E DOVRANNO PERVENIRE IN DUPLICE COPIA DATTILOSCRITTA E SU SUPPORTO INFORMATICO (QUALSIASI SISTEMA DI VIDEOSCRITTURA). GLI INTERESSATI POSSONO CHIEDERE ALLA DIREZIONE LE RELATIVE NORME DI DETTAGLIO OPPURE ACQUISIRLE DIRETTAMENTE DAL SITO MARINA ALL’INDIRIZZO HTTP://WWW.MARINA.DIFESA.IT/CONOSCIAMOCI/EDITORIA/MARIVISTA/PAGINE/NORMEPERLACOLLABORAZIONE.ASPX. È VIETATA LA RIPRODUZIONE ANCHE PARZIALE, SENZA AUTORIZZAZIONE, DEL CONTENUTO DELLA RIVISTA.

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