RIVISTA MARITTIMA
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IN COPERTINA: Nave LUIGI RIZZO in attività di vigilanza marittima.
SETTEMBRE 2022 - anno CLIV
HANNO COLLABORATO:
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Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
Dottoressa Rita Silvaggio
Capitano di vascello Daniele Sapienza
Rivista Marittima Settembre 2022
E ditoriale
Itrasporti sono sempre stati un settore centrale e delicato nell’ambito delle relazioni economiche, politiche e sociali del pianeta. In particolare, i trasporti marittimi hanno sempre influito in maniera determinante sulle relazioni geo strategiche, geoeconomiche e geoculturali tra gli Stati. La grande crescita economica globale moderna, a partire dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo, è stata accompa gnata da un incremento parallelo dei trasporti via mare, dalle merci alla rinfusa fino ai container, oltre che di car bone, petrolio e gas. Si tratta della base stessa degli scambi mondiali. Oggi le compagnie di navigazione tra sportano con navi sempre più moderne e più grandi e sempre più dirette verso l’autonomia, cioè senza equi paggi il 90% dei prodotti mondiali (1). Il trasporto delle persone è assicurato, per contro, dagli aerei e, via terra, dai treni ad alta velocità, senza ovviamente di menticare il trasporto su gomma. Tuttavia, nessun ae romobile volerebbe senza le navi cisterne che scaricano quotidianamente carburante e lubrificanti, così come nessuno di noi potrebbe spostarsi senza la benzina o il gasolio se non vi fossero le petroliere. Né il discorso cambia quando si passa alle rotaie, che utilizzano l’elet tricità prodotta attraverso le apposite centrali a carbone o dalle centrali a gas naturale e metano. I trasporti si sono, naturalmente, adeguati a un’eterna, indispensa bile modernizzazione. Il «sistema-pianeta» è una rete globale che si sviluppa attraverso mari, fiumi, laghi e oceani, e che collega e asserve, va da sé, attraverso i porti, gli avamporti e le infrastrutture costiere, l’infinito retroterra. La maggior parte del commercio mondiale delle merci scorre lungo un asse Est-Ovest che passa dal Mar Cinese, attraverso lo Stretto di Malacca, all’Oceano In diano, risale lo stretto di Bab el-Mandeb, penetra nel Medi terraneo dal Canale di Suez, oltrepassa il Canale di Sicilia e gli stretti di Messina e Gibilterra per sfociare nell’Oceano Atlantico e, da qui, verso le Americhe e il Nord Europa, e ov viamente viceversa. Queste rotte hanno dettato i termini della competizione geopolitica dalla fine del XV secolo in poi, ricevendo un grandissimo impulso con l’apertura del Canale di Suez nel 1869,
peraltro raddoppiato nel 2015, e lo saranno sempre. Tant’è che oggi si può parlare, a ragione, di una vera e propria geopolitica dei trasporti (2). L’Italia è un grande paese manifatturiero con una economia di trasformazione che importa via mare la massima parte del proprio fabbisogno di materie prime e di risorse energetiche ed esporta altresì, navigando sull’acqua salata, oltre il 50% dei prodotti finiti in ter mini di valore e l’85% espresso in peso (3). Non a caso il Capo di Stato Maggiore della Marina, ammi raglio di squadra Enrico Credendino, ha recentemente sottolineato (4): «Noi dobbiamo difendere il territorio nazionale bloccando le minacce lontano dalle coste, intervenendo in profondità. Dobbiamo pro teggere le linee di comunicazione marittime, le infrastrutture critiche, il cluster marittimo nazionale e dobbiamo svolgere la funzione abilitante per la navigabilità nazionale. Per fare questo dobbiamo conoscere la situazione, avere chiara qual è la situazione nella zona di interesse nostro e ricordo le 10.000 imbarca zioni presenti giornalmente nella nostra area di interesse. Dobbiamo avere assetti, navi pre-posizionate che possano intervenire e contribuire alla sorveglianza marittima ed essere pronti a dare al decisore politico un ventaglio amplissimo di possibilità, dalla deterrenza fino all’intervento effettivo nelle aree di interesse». L’«applicativo pratico» di tutto ciò risiede nel condurre continue e infinite operazioni di sicurezza ma rittima (definite, in ambito internazionale, MSO: Maritime Security Operations). Sia detto per inciso, le MSO rientrano anche tra le operazioni della NATO denominate Crisis Response Operations (CRO)/Non Article 5. Secondo la classificazione NATO, infatti, le operazioni militari condotte dall’Alleanza sono inquadrabili in due principali categorie: le Article 5 operations, le quali implicano il ricorso alla difesa collettiva e che hanno prerogative prettamente militari, e le CRO/Non-Article 5, ovvero missioni non di rette esclusivamente al classico confronto militare simmetrico, rappresentando uno strumento di sicurezza utilizzabile anche in tempo di pace.
Per la Marina Militare le operazioni di Sicurezza marittima (security) comprendono in generale tutte
le attività per la tutela degli interessi nazionali e del libero uso del mare e, quando previsto, dall’Unione Europea (UE), condotte sulla base delle competenze attribuite dalla legge al fine di garantire: la pre venzione, la deterrenza, il contrasto, la repressione e comunque la riduzione dei rischi derivanti dagli atti illeciti internazionali o transnazionali che, negli spazi marittimi, attentano al libero uso del mare e alla libertà di navigazione, quali il terrorismo marittimo e del mare, la pirateria, il traffico di armi di di struzione di massa , il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, il traffico di stupefacenti e la di struzione e minaccia all’integrità di cavi sottomarini, l’inquinamento deliberato di spazi marittimi. Oltre a ciò, le operazioni di Sicurezza marittima comprendono: la protezione di infrastrutture marittime e delle installazioni offshore; la protezione del trasporto marittimo nazionale, delle persone imbarcate e degli ambiti portuali da azioni illecite dal mare. Essenziale risulta altresì la protezione degli interessi econo mici, compresa la salvaguardia delle risorse energetiche marittime, lo sfruttamento sostenibile delle ri sorse naturali e marine nei diversi spazi marittimi, il controllo delle attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, la sicurezza delle flotte pescherecce e il rispetto degli spazi marittimi che presentano un potenziale di crescita e di occupazione. In ambito dell’Unione Europea: il controllo e la sorveglianza delle frontiere marittime esterne dell’UE e l’efficace gestione degli spazi marittimi di in teresse per l’UE.
Con riferimento all’ambiente: la sua protezione e nonché la conservazione del patrimonio archeolo gico, storico e culturale sommerso.
Naturalmente, la Sicurezza marittima presuppone una conoscenza integrata della situazione marittima sviluppata mediante l’implementazione di un sistema comune di condivisione delle informazioni relative al settore marittimo ed in linea con la strategia per la sicurezza marittima dell’UE. Sul piano nazionale, lo strumento per la sorveglianza integrata marittima è costituito dal DIISM (Dispositivo Interministeriale Integrato di Sorveglianza Marittima) della Marina Militare.
Vale la pena sottolineare ulteriormente, a questo proposito, come nell’ultimo vertice della NATO di Madrid di fine giugno, l’Alleanza abbia approvato un nuovo concetto strategico, l’ottavo, il quale, oltre a confermare i valori fondanti e lo spirito della solidarietà transatlantica, afferma il principio della difesa collettiva, secondo un approccio a 360° basato su 3 compiti principali: difesa e deterrenza; prevenzione
e gestione delle crisi; cooperazione nella sicurezza, dedicando uno specifico richiamo all’importanza della sicurezza marittima definendola «key to our peace and prosperity» (art. 23) (5). Anche il Consiglio dell’Unione europea ha rilasciato, il 21 marzo scorso, un nuovo documento dedicato alla difesa e sicu rezza denominato «Strategic Compass for Security and Defence» (6). Si tratta di un piano d’azione, de finito «ambizioso» dall’Unione stessa, che si propone di rafforzare la difesa e sicurezza dell’Unione europea entro il 2030. Tale iniziativa prevede, tra l’altro, di rafforzare il ruolo dell’Europa nell’ambito della sicurezza marittima.
Tornando all’Italia e al Potere Marittimo, la Marina Militare svolge le proprie attività d’istituto mediante una strategia navale nell’ambito della quale rientra la «Sicurezza Marittima Avanzata» (7). Si tratta di un concetto operativo non vincolato geograficamente, ma proiettato ovunque ci sia un interesse nazionale da tutelare. La «Sicurezza Marittima Avanzata» si informa all’articolo 111 del D.LGS. 66/2010, Codice del l’Ordinamento Militare (COM), che prevede che la Marina conduca, tra le altre cose, attività di presenza e sorveglianza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale, l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare nonché le attività relative alla salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria. La sicurezza marittima avanzata, esercitata nell’ambito della strategia della Forza armata comprende, pertanto, oltre alle attività operative precedentemente elencate anche le attività di «costruzione di capacità» (institution/capacity building) a favore dei paesi partner e l’acquisizione di una superiorità informativa da conseguire e conservare me diante la costituzione e disseminazione della MSA, la Maritime Situational Awa reness, ovvero la consapevolezza dello stato della situazione particolare marittima e del quadro generale in corso. In altri termini, la conoscenza, il più possibile esatta, di tutto ciò che accade sopra, sulla e sotto la superficie marina e di ciò che attiene lungo i paesi rivieraschi interessati. Siamo dinnanzi a un complesso di attività che deve essere sempre più opportunamente collegato e correlato alla rete diplomatica, così da contribuire alla instaurazione, stabi lizzazione e al rafforzamento delle relazioni internazionali nell’interesse del Sistema Paese. Lo scopo è quello di aumentare la mutua sicurezza e, in de terminati casi, condividere (e, pertanto, ridurre) i costi generati da condi
zioni di insicurezza, di qualsiasi natura esse siano. Concludendo questo breve excursus sulla Maritime Security, attività fondamentale alla base del sistema economico nazionale, è doveroso richiamare l’atten zione del lettore in merito a due concetti.
Primo: gli assetti della Marina Militare effettuano normalmente attività di: «presenza e sorveglianza marittima, vigilanza e deterrenza». In particolare, mentre la «presenza e sorveglianza marittima» costi tuiscono un principio a sé basato sul preciso significato contestuale di essere presenti, o meno, in un dato luogo e in un dato momento, con una unità da guerra, espletando le funzioni previste dal Diritto Inter nazionale marittimo, la «vigilanza» si estrinseca secondo due concetti diversi: la vigilanza marittima e la vigilanza in mare. In particolare, per quanto attiene alla «vigilanza marittima», occorre identificare il contesto in cui essa si esercita. Infatti, in base al precitato art. 111 del COM, «rientrano nelle competenze della Marina militare, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente la vigilanza a tutela degli in teressi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi da guerra negli spazi marittimi internazionali» mentre, in base al disposto dell’art. 115, la Marina Militare espleta il servizio di vigilanza in mare, ai sensi all'articolo 2, lettera c), legge 31 dicembre 1982, n. 979, che, in caso di necessità può integrare quello di vigilanza e di soccorso in mare svolto dal Corpo delle Capitanerie di Porto.
Secondo: la sicurezza marittima avanzata necessita, inevitabilmente, di una spiccata «capacità sea based (8) e capacità expeditionary (9)». Lo Strumento aeronavale deve infatti poter essere in grado di intervenire ovunque gli interessi nazionali siano minacciati e disporre, a sua volta e senza eccezioni, della capacità di proiettare e sostenere logisticamente sia unità navali isolate e sia, qualora la situazione internazionale lo richieda, Gruppi navali (portaerei e anfibi), anche molto lontano dai confini nazionali per tutto il tempo necessario. Si tratta di una condizione che richiede necessariamente dimensioni e di slocamenti adeguati. Le unità navali devono quindi poter operare in ogni mare e in ogni condizione me teorologica permettendo, nel contempo, l’impiego dei mezzi minori organici e degli aeromobili imbarcati. Tutti strumenti essenziali per operare, si tratti di singole unità impegnate in spazi immensi o di interi e complessi Gruppi navali. E questo il frutto dalle lezioni apprese, nel corso di decenni di attività operativa quotidiana attraverso tutti i mari e gli oceani.
NOTE
(1) Sisto L. - Pellizzari M., Il ruolo dei traffici marittimi nel sistema economico nazionale, in Aa. Vv., Geopolitica del mare. Dieci interventi sugli interessi nazionali e il futuro marittimo dell’Italia, Milano, Ed. Mursia, p. 65.
(2) Sellari P., Geopolitica dei trasporti, Roma-Bari, Ed. Laterza, 2013.
(3) Sisto L. - Pellizzari M., Il ruolo dei traffici marittimi …, op. cit., p. 70.
(4) 10 marzo 2022, CSMM, presentazione delle line programmatiche del suo mandato davanti alle Commissioni Difesa Camera e Senato.
(5) We will strengthen our posture and situational awareness to deter and defend against all threats in the maritime domain, uphold freedom of navigation, secure maritime trade routes and protect our main lines of communications
(6) www.eeas.europa.eu/eeas/strategic-compass-security-and-defence-1_en.
(7) Cfr Panebianco D., Difesa e Sicurezza Marittima, Supplemento alla Rivista Marittima (giugno 2022), p. 106.
(8) Capacità di esprimere un supporto tecnico-logistico organico alla Forza Aeronavale, in grado di sostenere, senza soluzione di continuità, le operazioni navali anche, se necessario, senza il supporto di una nazione amica.
(9) Capacità di proiettare il Potere navale, tramite dei Gruppi navali (portaerei e anfibi) anche molto lontano dai bacini di normale gravitazione, per tutto il tempo necessario.
DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista MarittimaIL MINISTRO DELLA DIFESA
Il 28 ottobre il Ministro della Difesa Guido Crosetto si è recato all’Altare della Patria per rendere omaggio al Milite Ignoto, simbolo di tutti i caduti italiani e del loro sacrificio in guerra e in pace.
Il Ministro ha deposto una corona d’alloro e si è inginocchiato, in silenzioso raccoglimento, per alcuni minuti.
Messaggio del Ministro della Difesa in occasione del 4 novembre 2022
Nazionale e Giornata delle Forze Armate
La giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate è una celebrazione istituita nel 1919 per commemorare la Vittoria italiana della Grande Guerra. Il pomeriggio del 3 novembre 1918 fu fir mato a Villa Giusti l’Armistizio con l’Austria-Ungheria, entrato in vigore il giorno successivo in formando mediante staffette, dalle Alpi al mare, le nostre truppe in avanzata e quelle nemiche, ovunque in ritirata.
Quella resa e la fine del conflitto completarono il processo di unificazione italiano iniziato al l’alba del Risorgimento.
Questo il messaggio pronunciato dal Ministro della Difesa in occasione della ricorrenza del 4 novembre 2022: «Donne e uomini della Difesa, è per me una particolare emozione rivolgermi a voi in questa data, in cui l’Unità Nazionale e le Forze Armate hanno modo di essere onorate nel medesimo giorno. La scelta Repubblicana di celebrare il giorno dell’Unità Nazionale assieme alla Giornata delle Forze Armate rappresenta il legame indissolubile tra le Forze Armate e il percorso unitario abbracciato dal nostro popolo che, forte della propria identità culturale, maturò infine un’idea politica esplicita, coronata con il Risorgimento, dove il desiderio di riunire la nazione in uno stato sovrano poté realizzarsi anche e soprattutto grazie al sacrificio e alla dedizione dei cit tadini in armi. Le Forze Armate furono protagoniste di quell’eroico percorso portato a compimento con la Vittoria del 4 novembre, così come lo sono oggi, in continuità con quegli ideali, ma fortificati dai valori della Costituzione repubblicana, a costante presidio della nostra sovranità, della nostra sicurezza e della nostra libertà. Le nazioni sono infatti comunità che richiedono, da un lato, la cura dei principi che uniscono, della storia che accomuna, e dall’altro la volontà quotidiana di ribadire quel patto di unità e di mutua solidarietà. Le Forze Armate italiane sono, senza alcun dubbio, un attore importante di entrambe queste dimensioni. E anche da questo dipende, io credo, l’affetto che gli italiani vi riservano. Non è tutto: il 4 novembre è una ricorrenza che celebra la fine di un con flitto, e dunque la pace. Anche in questo ambito il ruolo delle Forze Armate è di primaria impor tanza: sulla vostra efficienza e capacità di deterrenza si fonda, infatti, un avvenire di concordia. Occorre ricordarlo, soprattutto in un contesto internazionale caratterizzato da minacce irrespon sabili e continuative alla pace tra le nazioni; come ad esempio la drammatica e illegittima aggres sione all’Ucraina, cui stiamo cercando, come paese e al fianco dei nostri alleati, di rispondere, con ogni sforzo, per giungere a una cessazione del conflitto che tuteli i diritti inderogabili dell’aggredito. La libertà non è, infatti, un bene voluttuario, cui si possa rinunciare. É l’aspirazione dei popoli, di tutti i popoli, è sancita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ed è, inoltre, elemento costitutivo della nostra identità occidentale. Desidero rivolgere un pensiero com mosso ai militari italiani caduti per la patria, in ogni luogo e in ogni tempo, ed esprimere la mia gratitudine a chi, ogni giorno, impegna le proprie energie per onorare la loro memoria e difendere i principi in cui crediamo. Grazie quindi a voi, custodi silenziosi e attenti della nostra libertà.
Viva la Difesa. Viva l’Italia».
Gli spazi geografici e geopolitici dei trasporti marittimi
Paolo Sellari1. Geografia e geopolitica dei trasporti: sviluppi del pensiero
Geopolitica e geografia dei trasporti sono due am biti disciplinari intorno ai quali ruota uno dei temi più dibattuti in epoca globale: quello dei flussi com merciali e della loro evoluzione attraverso processi di complessificazione del commercio internazionale, di progressiva divisione internazionale del lavoro e della creazione delle catene di approvvigionamenti (supply chain).
Il primo ambito, quello geopolitico, può essere ri
scontrato già in A. T. Mahan e nel sea power che con feriva posizioni di dominio del pianeta attraverso il controllo dei mari e dei traffici marittimi; anche H. Mackinder, probabilmente attratto dalla realizzazione della ferrovia Transiberiana, pose al centro della sua ri flessione la relazione tra potere geopolitico e infrastrut ture. Anche nella produzione del geografo tedesco F. Ratzel, il sistematore della geografia antropica e il padre della geografia politica, pur non essendovi opere dedicate alla geografia dei trasporti vi erano tuttavia numerosi spunti interessanti sull’importanza delle vie
Docente di ruolo per materie geografiche e geopolitiche presso il Dipartimento di Scienze politiche della Sapienza, Università di Roma, dove dirige anche il Master di secondo livello in Geopolitica e sicurezza globale. Si occupa da anni di geografia dei trasporti. Tra i principali scritti vi sono Geopolitica dei trasporti (Laterza, 2013) e Spazi e Poteri (Laterza, 2019), Scenari eurasiatici (Nuova cultura, 2020), Geopolitica e spazi marittimi (Nuova cultura, 2021).
di comunicazione come principale agente per l’espan sione dello stato e per il dominio dello spazio.
La geografia dei trasporti ha diramazioni più fre quenti. I tedeschi A. Hettner (1897) e K. Hassert (1931) diedero inizialmente un contributo importante a questa disciplina con un approccio per lo più quantitativo e descrittivo, osservando la distribuzione del traffico e delle diverse forme di comunicazione. In Italia si ricor dano gli studi, per lo più descrittivi, di Elio Migliorini e di Umberto Toschi, che tentarono di spiegare alcune relazioni tra sviluppo territoriale e presenza di reti stra dali o ferroviarie. Migliorini (La terra e le strade, 1951) descrisse mirabilmente il rapporto tra singole modalità di trasporto e sviluppi territoriali; Toschi (Compendio di Geografia Generale, 1960), si dedicò maggiormente al mare, e fu il primo in Italia a notare
come la navigazione marittima si inscrivesse nel pae saggio con il porto, organo fisso sulla linea di contatto fra mare e terra emersa. Più recentemente, in partico lare negli anni Ottanta e Novanta, fu il geografo geno vese Adalberto Vallega a effettuare uno scatto decisivo in avanti, iniziando ad avvicinare i due approcci, quello geografico in senso stretto e quello geopolitico, e os servandone le mutazioni in atto. Cambiamenti rapidi, inesorabili, che spostavano l’attenzione sui paradigmi reticolari e non più lineari. Attenzione che veniva data all’integrazione tra sistemi di trasporto attraverso il filo conduttore comune della logistica e dell’interfaccia terra-mare.
Rotte oceaniche e terrestri erano da sempre state le gate: i colonizzatori, soprattutto britannici, furono i primi a collegare mare ed entroterra per ferrovia, ma
ancora prima i fiumi e i canali navigabili realizzati in Europa dal XIX secolo in poi avevano conferito un for midabile vantaggio competitivo per il fronte marittimo del Mare del Nord rispetto a qualunque altro fronte ma rittimo a livello mondiale. Già nel 1980 con il volume Per una geografia del mare (1984, Mursia), Vallega aveva innovato concetti e metodi della geografia del trasporto e dei porti, relazionandoli allo sviluppo eco nomico, commerciale e geopolitico. Temi sviluppati per oltre un decennio e ripresi, definitivamente nel l’opera Geografia delle strategie marittime (1997, Mursia) nella quale Vallega osservò la trasformazione del mondo in villaggio globale avvenuta grazie alla rete planetaria costituita da relazioni marittime, rotte ocea niche e terrestri, porti in rapida trasformazione e grazie, soprattutto, all’evoluzione delle tecniche logistiche. Vallega fu stimolato nella sua analisi, dall’incontro av venuto nel 1970, con André Vigarié, geografo francese che per primo seppe allontanarsi da una visione carte siana della geografia del mare, concentrata sulla descri zione dei singoli porti e sulle singole rotte, per proporre, invece, una visione d’insieme dei porti, nella fattispecie europei. Era un nuovo modo di intendere la geografia dei trasporti: si proponeva, in sostanza, una modellizzazione sistemica nella quale gli elementi erano funzionali al tutto: dai porti in trasformazione (dai porti-emporio tardo settecenteschi, alle metropoli marittime industriali, ai centri logistici e direzionali della globalizzazione) alla «oceanizzazione» di un’eco nomia in rapida espansione spaziale, nella quale le re lazioni marittime sono espressione primaria.
Gli stadi di sviluppo del sistema hanno generato una relazione circolare tra innovazioni «a terra» e ripercus sioni «in mare», tra fattori continentali e fattori ocea nici in grado di influire sull’organizzazione delle relazioni internazionali, determinando appunto il pas saggio dalla geografia alla geopolitica dei trasporti. Per comprenderne le dinamiche è utile disporre del con cetto di orizzonte del trasporto al cui interno distin guere l’orizzonte marittimo dall’orizzonte continentale. Il primo è costituito dalle forme che assumono le rela zioni marittime (flussi di traffico, rotte, tipologie di navi) nei differenti stadi, ed è espressione geografica del commercio internazionale. Ogni stadio è contrad
distinto da determinati schemi di organizzazione degli spazi marittimi che, con il progresso, vengono utilizzati per un crescente numero di attività. L’orizzonte conti nentale, o terrestre, è, invece, l’insieme delle espres sioni geografiche che a terra sono provocate dalla relazione marittima: le strutture retroportuali, le infra strutture per la movimentazione e lo stoccaggio, le in frastrutture di collegamento con l’entroterra che determinano ampiezza e «profondità funzionale» del retroterra portuale.
2. Stadi di sviluppo delle relazioni marittime e potenza geopolitico-economica: dai mercanti alle petroliere
Le prime forme di proiezione oceanica furono con cepite dalla borghesia mercantile che tra XVII e XIX secolo spinse alcuni Stati all’esplorazione e alla colo nizzazione, fondative di un potere economico sulle cui basi la nuova classe aveva costruito i suoi spazi geo politici, vale a dire gli oceani. Tale proiezione coin volse quei paesi che ebbero maggior successo nel creare una coesione nazionale sufficiente per disegnare e applicare politiche efficaci a sostegno del commercio internazionale. La potenza economica si fondava, in pratica, su una relazione circolare, secondo la quale lo
Stato favoriva i commerci interni e internazionali ac crescendo il suo potere economico lungo le rotte ocea niche trasformandolo in potere politico. Quest’ultimo rafforzava lo Stato che era così indotto alla tutela degli interessi nazionali, cioè della borghesia. Il sistema degli stati mercantili, che faceva perno sia sulla Gran Breta gna sia sul fronte europeo settentrionale (Francia, Olanda, regioni anseatiche) rappresentò il fulcro geo grafico dello stadio mercantile.
Lo smantellamento progressivo delle grandi Compa gnie commerciali avvenuto nella prima metà del XIX secolo, l’abrogazione del Navigation Act che riservava il commercio marittimo alle sole navi battenti bandiera inglese e, in sostanza, l’allentamento della morsa prote zionistica, rappresentarono il momento cardine dello sta dio paleoindustriale (dal 1830 al 1900). L’evoluzione tecnologica e migliorie tecniche permisero l’amplia mento dell’orizzonte oceanico e lo sviluppo di rotte spe cializzate (ad esempio quella del caffè, del grano, eccetera) e di borse portuali. Questa fase fu caratterizzata da una prima forma di asservimento dell’industria alle rotte marittime per la fornitura di materie prime, e con solidarono il fulcro geografico nord-europeo: nonostante l’apertura di Suez, che conferì un nuovo ruolo al Medi terraneo, il pivot oceanico erano posizionato nell’Oceano
Atlantico settentrionale. Il porto paleoindustriale, inoltre, iniziò a svolgere un ruolo di gateway, grazie all’infra strutturazione di terra costituita dalla fitta rete di canali navigabili nel nord Europa e dalle numerose linee ferro viarie realizzate dopo il 1840. Quello che Vallega chiamò «trittico» (rotta marittima, porto, retroterra) ini ziava a costituire la base dei processi di crescita territo riale indotti dalle relazioni marittime. Nell’ultimo quarto del XIX secolo per le regioni più dinamiche si preannunciava lo stadio probabilmente più importante nell’evoluzione geografica e geopolitica dei trasporti: quello industriale, il quale ebbe due fulcri geografici, negli Stati Uniti (primario) e in Gran Bre tagna (secondario) e uno marittimo (Atlantico boreale). La caratteristica di questo stadio fu che per la prima volta nella storia tutto l’ecumene terrestre, con esclu sione dei territori antartici, era coinvolto dall’organiz zazione industriale, pur se inquadrata in una relazione di tipo «centro-periferia», con regioni trainanti e re gioni trainate. Un tipo di organizzazione economica che era un vero e proprio strumento per l’affermazione nella politica internazionale, attraverso lo scambio di beni strumentali e produzioni belliche.
Sul fronte dei traffici marittimi i cambiamenti radicali della fase industriale furono il presupposto fondamentale per il cambiamento successivo e contemporaneo: per ca pacità e velocità delle navi, per specializzazione delle rotte, per la formazione di catene logistiche. Anche la geopolitica tradizionale ebbe notevolissime ripercussioni sul sistema dei trasporti mondiali. Si pensi al gigantismo delle petroliere, accelerato dalle crisi mediorientali e dalla chiusura di Suez che costrinse a percorrere la rotta del Capo; e ancora, al ruolo geopolitico di alcuni choke points petroliferi come Hormuz.
L’orizzonte oceanico nel caso industriale fu, dunque, fortemente legato alla variabile geopolitica, mentre la «geografia» tradizionale osservava lo sviluppo di pro cessi di industrializzazione litoranea e alla trasforma zione del porto, che, secondo l’applicazione delle teorie di Alfred Weber sul punto di minimo costo trasportazio nale, diventava la localizzazione industriale ottimale. Europa e Giappone diventarono punti d’arrivo della gran parte dei traffici petroliferi e carboniferi del pianeta. L’introduzione del container, alla fine degli anni Ses
spazi geografici e geopolitici dei trasporti marittimi
santa, sostenne anche un certo traffico di matrice sudsud, soprattutto nel contesto del sud-est asiatico, che da lì a pochi anni sarebbe diventato il fulcro marittimo glo bale. Accanto ai key points petroliferi si affiancarono i canali di Suez e Panama. L’apertura di quest’ultimo per mise allo scacchiere delle rotte oceaniche di raggiungere la maturità, perché offriva la possibilità di utilizzare due rotte circumplanetarie in direzioni opposte. Prese così forma, tra le due guerre mondiali, un vero e proprio si stema ecumenico del trasporto oceanico, nel quale i due Canali, Suez e Panama, si integravano ma al tempo stesso entravano in concorrenza, dando luogo a una competizione geoeconomica che era esito dello sposta mento continuo degli scacchieri che configuravano le
mentre lo stadio industriale mostrava tutte le sue po tenzialità nel commercio marittimo il Mediterraneo, anche per effetto della prolungata chiusura di Suez, ve niva sostanzialmente emarginato dai grandi traffici ma rittimi globali.
3. L’evoluzione trans industriale. Così come nel 1870, a seguito dell’adozione della trazione a vapore e dell’utilizzo del ferro per gli scafi delle navi, si era concretizzato il passaggio tra stadio paleoindustriale e industriale, così un secolo dopo, nel 1970 si registrò il passaggio tra stadio industriale e trans industriale. Il quadro geopolitico di quegli anni era caratterizzato dalle guerre arabo-israeliane, che,
aree di gravitazione dei due canali.
Stadio paleo industriale e stadio industriale defini rono un medesimo cuore oceanico, l’Atlantico boreale, ma definirono differenti fulcri geografici primari: nel primo caso la Gran Bretagna, nel secondo gli Stati Uniti: un passaggio che fu, come noto, anche geopoli tico in senso lato e che iniziò a concretizzarsi all’indo mani del conflitto ispano-americano e l’applicazione delle teorie mahaniane del Sea Power. L’esplosione delle relazioni nordatlantiche e nord pacifiche non deve minimizzare la diffusione di altre rotte che caratterizzò altri spazi marittimi: l’Oceano Indiano, il Northern range e il Mediterraneo, il sud-est asiatico. Proprio
come detto, ebbero un forte impatto sui traffici marit timi petroliferi con la chiusura di Suez e con la pro gressiva autonomia dei paesi produttori nella definizione dei prezzi del greggio che crearono le basi per un progressivo multipolarismo. Ma non solo: il Tokyo Round e il Kennedy Round del GATT videro montare le istanze dei paesi meno sviluppati che recla mavano il diritto di esportare non solo materie prime, ma prodotti finiti, allo scopo di avere maggior valore aggiunto per le proprie economie. Ma il fatto probabil mente più eclatante a livello globale, in grado di scom binare gli equilibri geopolitici precedenti, fu l’entrata in scena della Cina popolare nel 1971, che ebbe il ri
Gli spazi geografici e geopolitici dei trasporti marittimi
conoscimento da parte degli Stati Uniti che a loro volta ne favorirono l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza del l’ONU. Fu un evento rivoluzionario nel quadro delle relazioni marittime in quanto Cina e Giappone ridefi nirono da lì a poco, un nuovo pivot oceanico: quello del Pacifico occidentale.
Contestualmente l’avvento della tecnologia infor matica operò una contrazione spazio-temporale mai vista in precedenza nella storia dell’uomo. La comuni cazione favorì l’ampliamento sia per numero che per estensione delle aree trainanti che si aggiunsero a quelle tradizionali: alcune parti del Medioriente, il sudest asiatico, l’Oceania, il Sud africa. Lo stadio trans in dustriale fu, dunque, sin dai suoi albori alla fine degli
canto alla rotta round the world si misero in evidenza le cosiddette rotte pendolari (pendulum route) che connet tevano due al massimo tre versanti portuali toccando un solo porto per versante, richiamando così l’immagine del pendolo. Ne scaturirono rotte triangolari lungo le quali si sviluppò gran parte del commercio mondiale che aveva come fulcro geografico l’Asia sud-orientale e come pivot oceanico quello Indiano.
anni Settanta, lo stadio dell’iper-connessione, dell’am pliamento della «base geografica», che fece da «rampa di lancio» per la globalizzazione economica.
L’orizzonte marittimo dello stadio trans industriale era sempre più a vocazione oceanica globale, e può es sere efficacemente rappresentato dalla tipologia di rotte che si sviluppò dagli anni Ottanta, quella round the world (giramondo), che conseguì un profilo ben definito con l’introduzione di navi portacontainer di grandi di mensioni (all’epoca 3000-4000 Teus). La correlazione fondamentale per la competitività del sistema poggia sulla sua velocità e quindi sulla necessità che la nave toc chi pochi porti, innescando il feederaggio regionale. Ac
L’orizzonte continentale dello stadio trans indu striale doveva necessariamente tener conto del dirom pente ingresso in scena del container. Innanzitutto, si modificava radicalmente la riconfigurazione degli spazi portuali, che ridimensionava gli spazi industriali ma accresceva la verticalità, il ruolo direzionale e lo gistico. Ancora più determinanti diventavano, quindi, le efficienze prodotte dal sistema di interconnessioni con il retroterra: diventava decisivo per il porto e per l’intera catena di trasporto marittimo l’efficienza del lavoro a terra, la velocità di trasferimento della merce alla destinazione finale attraverso sistemi intermodali.
Le aree pianeggianti, infrastrutturate, connesse, ave vano un vantaggio competitivo innegabile che ha deter minato una gerarchia naturale basata su fattori di natura deterministica: i porti del nord- Europa sono favoriti per una storica infrastrutturazione che si radicava nell’esi stenza di numerose vie navigabili interne (fiumi e canali artificiali). I porti mediterranei solo in rarissimi casi pos
Gli spazi geografici e geopolitici dei trasporti marittimi
sono sfruttare vie di acqua interne e il loro successo di pende, dunque, o dall’attrattività del mercato interno o da grandi opere in grado di valicare catene montuose complesse (Pirenei a Ovest, Alpi al centro, Alpi Dinari che a est). Sebbene la capacità tecnologica dell’uomo sia stata in grado con grande brillantezza di superare grandi barriere orografiche, questo aspetto appena evidenziato non può passare inosservato. Quando l’opinione pub blica, i mass media, si accaniscono contro certe scelte politiche che non favoriscono, ad esempio, la portualità italiana, va ricordato che gli spazi per il deposito, la lo gistica, la movimentazione, all’interno o a ridosso dei porti nazionali, non hanno la stessa possibilità di espan dersi come quelli del nord Europa, trovando vincoli mor fologici che pongono problematiche in termini di sostenibilità economica, ambientale, paesaggistica.
Lo stadio trans industriale, in definitiva, ha operato cambiamenti in tutti gli aspetti del trasporto marittimo: dal container al gigantismo navale, alla ridefinizione delle rotte geografiche che ridisegnavano gerarchie ter racquee. Esso ha progressivamente mostrato caratteri stiche intrinsecamente geopolitiche legate alla perdita di potere dello stato-nazione. La globalizzazione con
le sue logiche industriali e imprenditoriali ha portato alla costruzione di navi giganti (nel biennio 2020-21 ne sono state ordinate circa 90 di oltre 15 mila Teus), ma anche al gigantismo delle compagnie di shipping che, con processi di fusione e raggruppamento, hanno costituito veri e propri soggetti politici, oltre che eco nomici: la scelta, ad esempio, di un operatore di ship ping in grado di movimentare 5 milioni di container di posizionare il proprio hub in un porto piuttosto che in un altro, costituisce un potere che è di fatto politico, in grado, cioè, di prevaricare competenze statali e di de terminare il successo di un intero fronte portuale, di un’intera regione, di un sistema paese.
La fase trans industriale, dunque, la cui fase matura è iniziata grossomodo con il consolidamento della lea dership del fulcro geografico estremo orientale, stimola il sistema portuale (in particolare quelli centrati su uno scalo hub) alla ricerca di fattori competitivi in grado di convogliare le attività dei global operators: fattori eco nomici (relativi ai costi e alla gestione imprenditoriale), psico-sociali (relativi alla propensione degli individui a determinati lavori), strutturali (disponibilità di spazi e infrastrutture per la gestione e la movimentazione
Gli spazi geografici e geopolitici dei trasporti marittimi della merce) e politici (attenzione e reattività del mondo politico verso determinate scelte): fattori, in de finitiva, che determinano il successo geopolitico del paese in questione, specialmente laddove il paese stesso ha un sistema economico e sociale fortemente legato all’economia marittima.
4. Mari intermedi in oceani globali
Nella fase più recente dello stadio trans industriale, segnato da shock globali come la crisi economico-finan ziaria del 2008, la pandemia e il conflitto russo-ucraino, la globalizzazione sembra ripensare sé stessa, non mo strando segnali di regressione, ma evidenziando una marcata spinta a processi diffusi di regionalizzazione dell’economia che pongono alla ribalta i mari intermedi.
In tale contesto, quale ruolo ha il Mediterraneo? Quello di «centro strategico del mondo», per riprendere la definizione di Fioravanzo, oppure è destinato inel luttabilmente a rincorrere altri sistemi portuali nordeu ropei? Ma soprattutto, è un mare unitario? È ancora «mediterraneo» o piuttosto «medioceano»?
Sono temi che hanno caratterizzato la geopolitica dei trasporti, almeno da un trentennio e che possono a nostro
avviso essere ricondotti all’interno di dicotomie che ben ne riproducono le dinamiche e che vanno inquadrati nel più ampio spettro dei rischi e delle opportunità.
La prima dicotomia, cerniera-frattura, ha rilevanti manifestazioni sia geopolitiche sia geoeconomiche. Da un punto di vista geopolitico il confronto post bipolare ha lasciato il campo a una fase in cui il tema caratte rizzante il rapporto tra le due sponde era da una parte cooperativo (i tentativi di accordi di partenariato tra Unione europea e paesi nord sahariani), dall’altra con flittuale (fenomeno migratorio, gestione europea delle primavere arabe). Si è andato progressivamente defi nendo un quadro complesso che ha favorito l’emergere nel contesto geopolitico mediterraneo di nuovi attori interni (la Turchia) ed esterni (la Russia). Da un’ottica puramente trasportistica l’ultimo decennio ha visto l’ascesa poderosa di alcuni porti di transhipment della sponda nordafricana (Port Said, Tangeri) che hanno eroso importanti quote di mercato a quelli della sponda settentrionale (con i loro 11 milioni complessivi di con tainer movimentati assommano circa il 20% dell’intera portualità mediterranea) con i quali evidentemente, operano in competizione.
La seconda dicotomia, medioceano-mediterraneo si riferisce alla struttura stessa dei traffici nel mare no strum. Spesso nella letteratura prevalente si considera il Mediterraneo quasi esclusivamente come bacino di tran sito tra due oceani, dimenticando la valenza dei traffici interni. L’Italia, non va dimenticato, è il paese leader nel Mediterraneo per la quota di mercato delle autostrade del mare (37% sul totale) e ha una conformazione geo grafica tale da far ritenere il cabotaggio come forma di trasporto strategico anche, e soprattutto, per deconge stionare gli assi autostradali nazionali. La navigazione intra-mediterranea, inoltre, ha margini di sviluppo note voli anche grazie al fenomeno del reshoring che ha ca ratterizzato l’economia mondiale dopo la pandemia del 2020: la tendenza, cioè, a rilocalizzare alcune attività produttive dall’Oriente al bacino del Mediterraneo. Una tendenza che si è consolidata in pochi mesi, anche se, va detto, non ha condizionato significativamente i volumi di traffico delle rotte intercontinentali via Suez.
La terza dicotomia che riguarda il Mediterraneo è centro-periferia, che riconduce a quella più ampia tra rischi di marginalizzazione dal contesto globale e op portunità. Se il Mediterraneo è, come noto, uno dei ful cri geografici primari del trasporto marittimo globale, per posizione lungo le rotte pendulum e round the world che dall’Asia giungono in Europa, è altrettanto vero che subisce concorrenze significative su più ver santi: innanzitutto, come abbiamo visto, la concorrenza «storica» con il Mare del Nord come porta di ingresso all’Europa continentale; in secondo luogo la concor renza della rotta del Capo, utilizzata nelle relazioni Atlantico-Indiano soprattutto nei periodi caratterizzati dal basso costo del carburante.
Alternative potenziali, anche se al momento del tutto marginali, alle rotte per il Mediterraneo sono anche le nuove vie della seta terrestri del progetto cinese Belt and road initiative, soprattutto nella loro sezione sino-russapolacca e balcanica. Pur nelle inevitabili difficoltà della gestione operativa di tracciati terrestri transfrontalieri (differenze di scartamento, operazioni doganali), i pro getti trans-asiatici sono potenzialmente competitivi so prattutto in termini temporali (le merci impiegherebbero circa la metà dei giorni rispetto alla rotta marittima), e in termini di sicurezza (eliminazione dei rischi geopoli tici nei choke points come Malacca, Bab el Mandeb, Suez), anche se il recente quadro geopolitico ha conge lato ogni prospettiva di passaggio per i territori russi.
5. Nuove rotte per nuove utopie
Alternativa alla rotta per il Mediterraneo è anche la rotta marittima polare, sulla cui sostenibilità economica e ambientale si sono aperti numerosi dibattiti scienti fici. La Northern Sea Route siberiana, quella potenzial mente più sgombra dai ghiacci polari per un maggior numero di mesi all’anno, gode del favore, oltre che della Russia, anche della Cina, che ha contribuito con ingenti risorse finanziarie alla realizzazione di terminali portuali sulle coste russe dell’Artico, per favorire le esportazioni di idrocarburi. Pechino l’ha addirittura in trodotta come Polar Silk Road nel più vasto progetto di BRI, a conferma della centralità geopolitica che ri veste il bacino artico in chiave prospettica di sviluppo dei traffici commerciali generici, anche di container, che sfrutterebbero una rotta più breve di 4000 miglia nelle relazioni tra Cina e Nord Europa, rispetto alla rotta per i mari caldi.
Riprendendo la bipartizione tra orizzonte marittimo e orizzonte continentale, va rilevato come quest’ultimo sia quasi completamente assente nel caso del fronte ar tico siberiano, mancando di retroterra economici signi ficativi che possano alimentare in entrata e in uscita porti intermedi lungo la rotta.
Pur considerando anti-economica in termini generali la rotta per Suez-Gibilterra, in virtù della maggior di stanza e del costo del passaggio del Canale, proprio la mancanza di porti intermedi, fondamentali nello svol gimento dei servizi di shipping da parte delle grandi navi di oggi, e la situazione geopolitica che coinvolge, al momento, la Russia, non sembrano alimentare pro spettive di sviluppo significative dell’Artico come «medioceano»: piuttosto, il bacino polare, potrà presu mibilmente accrescere il suo peso nel trasporto marit timo regionale di idrocarburi. Non va, infine, dimenticato l’impatto che avrebbe l’aumento dei traf fici marittimi artici sull’ambiente marino, e che an drebbe ad aggravare una situazione già di per sé delicata dovuta proprio al cambiamento climatico. L’ipotesi della riduzione della velocità delle navi allo
BIBLIOGRAFIA
scopo di ridurre le emissioni inquinanti produrrebbe un rallentamento tale da minimizzare i vantaggi dell’ac corciamento della rotta. La narrazione sull’alternativa artica sembra, dunque, più rispondere a logiche geopo litiche di potenza (la Russia si affermerebbe su uno spa zio marittimo molto ampio, e la Cina controllerebbe una nuova linea che rafforzerebbe il sistema di supply chain verso occidente), che a effettive opportunità eco nomico-trasportistiche.
Le dicotomie del Mediterraneo appena esaminate ci indicano, in conclusione, come la geografia dei tra sporti contemporanea si sia arricchita di infinite varia bili, che, più che negli stadi di sviluppo ottocenteschi e novecenteschi, si intersecano con dinamiche ed ele menti geopolitici di straordinaria intensità e profondità.
Lo stadio trans industriale potremmo, in conclu sione, definirlo come «stadio della complessità com petitiva» caratterizzato dalla multidimensionalità degli orizzonti, dalla frammentazione dei fulcri geografici, dalla mobilità dei pivot oceanici, che diventano ele menti di supply chain planetarie sempre più articolate e sensibili alla variabile geopolitica. 8
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La revisione della Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea
Francesco Gaspari1. La regolazione multilivello della sicurezza marittima.
Il tema della sicurezza attraversa trasversalmente tutta la disciplina dei trasporti e della navigazione e ne costituisce un elemento omogeneizzante (1). Infatti, è oggi ormai pacifico che non solo il diritto della navi
gazione è improntato all’esigenza della sicurezza della navigazione contro i pericoli del mare e i pericoli del l’aria (2), ma anche i trasporti terrestri sono minacciati da pericoli che originano proprio dal movimento del veicolo, idoneo in quanto tale a creare rischi (3).
L’importanza del tema non è attenuata dalla circostanza
Professore Associato di Diritto amministrativo nell’Università Guglielmo Marconi di Roma, dove è anche incaricato di Diritto della navigazione. Dal 2021 è abilitato alle funzioni di Professore Ordinario di Diritto dell’economia, dei mercati finanziari e agroali mentari e della navigazione. Ha conseguito un PhD in Law nel 2011, già Visiting Professor presso The Dickson Poon School of Law, Centre for European Law (CEL), King’s College London (UK) e ha maturato una significativa esperienza accademica e pro fessionale anche a livello internazionale (ICAO, McGIll, LSE, IALS). È avvocato del libero foro e membro di diverse associazioni nazionali e internazionali.
che attualmente non esiste, sul piano internazionale, una definizione largamente accettata di sicurezza marittima (4), tant’è che soventemente si tende a definirla «in nega tivo», vale a dire come l’assenza di pirateria, disastri am bientali, pesca illegale, e via dicendo (5). È possibile, tuttavia, individuare un approccio, per così dire, «posi tivo», che tende a promuovere uno sviluppo economico marittimo sostenibile nel quadro di una collaborazione tra i diversi attori coinvolti, sia a livello internazionale sia a livello regionale e nazionale (6). Ma tale approccio pre senta comunque dei limiti e solleva interrogativi che non trovano unanime risposta, con la conseguenza che la lo
cuzione «sicurezza marittima» rimane un concetto inde finito e ambiguo, che molto spesso fa convergere opinioni in astratto, ma non sul piano concreto.
Gli Stati nazionali non sono in grado, da soli, di far fronte alle sfide della sicurezza marittima, che superano i poteri statali. Ne consegue che la sicurezza in ambito marittimo trova una regolazione multilivello: esistono, infatti, fonti interne agli Stati (7) e fonti sovranazionali. Tra queste ultime, molto importanti sono sia quelle di matrice internazionale, chiaramente anche risalenti nel tempo, sia quelle regionali (8), nel nostro caso le fonti eurounitarie (9).
Proprio il diritto dell’Unione europea ha svolto un ruolo significativo nel perseguimento della sicurezza della navigazione, anche in ordine alla sicurezza nelle infrastrutture dei trasporti (10). L’importanza della si curezza marittima a livello UE deriva dal ruolo cruciale che mari e oceani hanno per l’Unione e per i suoi Stati membri (11), ed è dimostrata dalla circostanza che l’Unione si è datata, negli anni, di un apparato di organi tecnici e amministrativi, spesso di supporto alla Com missione europea, completato dalla istituzione del l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (12), che svolge un ruolo chiave in materia (13).
La legislazione dell’Unione in materia si inserisce nella più ampia politica eurounitaria volta ad assicurare la sicurezza dei trasporti nella duplice accezione di safety e security. È appena il caso di precisare che, quando si parla di sicurezza, sul piano terminologico, al termine italiano «sicurezza» corrispondono, nella lingua inglese, due distinte locuzioni: safety e security. Con la prima si fa riferimento alla salvaguardia dai rischi connessi al l’esercizio del veicolo, mentre con la seconda alla salva guardia dai rischi derivanti da interferenze illecite (14).
Si tratta di una politica, come risulta anche dai più recenti atti dell’Unione (come la strategia per la sicu rezza marittima dell’Unione europea (15)), da intendere in modo non rigido, nel senso che essa ricomprende — per quanto concerne la sicurezza marittima — le pro blematiche connesse alla criminalità organizzata e tran sfrontaliera, alle minacce alla libertà di navigazione, alla biodiversità, alla pesca illegale, non dichiarata e non re golamentata, nonché al degrado ambientale dovuto agli scarichi illegali o accidentali (16).
La sicurezza della navigazione marittima ha dunque inciso profondamente sulle nozioni classiche di safety e security, ampliandone l’ambito a ipotesi in precedenza non contemplate (17). Attualmente, la sicurezza in am bito marittimo accoglie tre diverse aree di interesse, ri conducibili sostanzialmente alla salvaguardia della vita umana in mare e alla sicurezza della navigazione, alla sicurezza di navi, porti e infrastrutture marittime, alla pubblica sicurezza in mare contro attività illecite (18).
La Strategia per la sicurezza marittima dell’UE del 2014 (EUMSS) e il relativo Piano d’azione (2014) di mostrano l’ampliamento della nozione di sicurezza
(19) e costituiscono il quadro in cui l’Unione europea (e non solo i singoli Stati membri) affronta le molteplici problematiche, attuali e future, in materia di sicurezza marittima interna ed esterna (21). La sicurezza marit tima costituisce, oggi, il presupposto per tutelare — anche attraverso il riscorso alle nuove tecnologie e al l’intelligenza artificiale (21) — interessi strategici dell’Unione ed è anche fondamentale per proteggere le attività economiche e i cittadini, sia in mare che a terra (22). La maritime security rappresenta poi essa stessa il presupposto per una governance efficace degli oceani e un’economia blu sostenibile, come ha più volte af fermato la Commissione europea (23).
2. La Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea (EUMSS).
L’Unione europea ha, negli ultimi tempi, intensifi cato il suo intervento volto a garantire uno spazio ma rittimo sicuro. I principi dell’Unione in materia di sicurezza marittima si sono evoluti, passando da una politica «reattiva» a una politica di prevenzione, con l’adozione di disposizioni che garantiscono la conser
vazione e la protezione delle risorse naturali (24). La sicurezza marittima «copre», come visto, un ambito molto vasto, che va dalle attività illecite (come la pira teria o il traffico di stupefacenti o di essere umani) ai disastri naturali fino al degrado ambientale (25).
Nel 2014, l’Unione europea ha adottato un quadro comune per lo sviluppo di una risposta dell’Unione ai rischi legati alla navigazione marittima (la Strategia sulla Sicurezza Marittima — Maritime Security Stra tegy — EUMSS) (26). Con la Maritime Security Stra tegy — adottata successivamente alla presentazione nello stesso anno, da parte della Commissione europea, su invito del Consiglio europeo, di una comunicazione congiunta in materia (27) — l’Unione «fornisce il qua dro politico e strategico per affrontare in modo effettivo e complessivo le sfide per la sicurezza marittima» fa cendo ricorso a tutti i «pertinenti strumenti a livello in ternazionale, nazionale e di UE» (28).
La Strategia definisce la sicurezza marittima come «lo stato del settore marittimo globale che vede appli cati il diritto internazionale e il diritto nazionale, ga rantita la libertà di navigazione e protetti i cittadini, le
infrastrutture, i trasporti, l’ambiente e le risorse ma rine» (29) e mira a rafforzare il ruolo dell’Unione nello spazio marittimo globale mediante l’integrazione della sicurezza marittima nel quadro delle politiche UE e nelle relazioni esterne dell’Unione stessa (30).
Come autorevolmente sottolineato (31), la Maritime Security Strategy (EUMSS) «is the first attempt to for mulate an all-encompassing strategy aimed at coordi nating EU policies implemented by the Commission and the intergovernmental policies of member states, based on specific definition of the interests of and thre ats to European security». L’obiettivo principale della EUMSS è quello di assicurare coerenza e coordina zione tra i vari aspetti delle politiche dell’Unione (quella economica e quella sulla sicurezza interna, in primis), e le azioni intraprese nell’ambito della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) relative alla pre senza dell’Unione e i suoi Stati membri negli spazi ma rittimi mondiali. Tale obiettivo fondamentale è ben messo in evidenza dal Consiglio dell’Unione, laddove afferma la necessaria «unità d’intenti» e uno «sforzo condiviso di tutte le parti coinvolte per garantire la coe renza tra le politiche settoriali UE e nazionali e per far sì che tutte le autorità competenti possano operare con giuntamente e con efficacia». Il Consiglio aggiunge che «Rafforzando la cooperazione tra i diversi settori, or ganismi dell’Unione e autorità nazionali», l’Unione e gli Stati membri possano «conseguire maggiori risul tati, agire più rapidamente e risparmiare risorse, poten ziando in tal modo la risposta dell’UE ai rischi e alle minacce nel settore marittimo» (32).
È evidente come l’UE abbia fatto proprio un approc cio «positivo», che si sviluppa nella prospettiva di una sempre più stretta cooperazione multilivello (33), tant’è che il Consiglio afferma chiaramente che la Strategia «riguarda il settore marittimo globale» e i principi san citi e gli obiettivi individuati nella stessa «dovrebbero essere integrati nell’attuazione delle strategie regionali esistenti e future dell’UE, quali quelle sul Corno d’Africa e sul Golfo di Guinea» (34).
Si noti come l’implementazione della Strategia in parola non riguardi solo le istituzioni UE e gli Stati membri, ma anche organi specializzati, come l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA), l’Agenzia
europea di controllo della pesca (EFCA), nonché l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (EBCGA, comunemente nota come Frontex).
L’azione dell’Unione europea nel campo della sicu rezza marittima presenta anche dei profili complessi in ordine alla base giuridica dell’intervento. È necessario cioè chiedersi — aspetto che, tuttavia, possiamo solo accennare in questa sede — quali sono le competenze dell’Unione nel settore marittimo, quali sono gli obbli ghi a cui essa è tenuta e qual è il controllo giurisdizio nale su tale attività.
Possiamo qui osservare che la materia della sicu rezza marittima non rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri e, dunque, trova applicazione il principio di sussidiarietà poiché gli obiettivi dell’azione in materia di sicurezza marittima possono essere con seguiti in modo più efficace a livello dell’Unione che dai soli Stati membri.
L’intervento dell’Unione in materia di sicurezza ma rittima si basa, inoltre, sull’art. 43 del Trattato sul Fun zionamento dell’Unione Europea (TFUE), relativo alla pesca, sull’art. 180, relativo alla ricerca, sull’art. 191 relativo all’ambiente e sull’art. 220, relativo alle rela zioni internazionali. L’azione dell’Unione trova legit timazione fondamento anche sul Titolo V del Trattato
3. La revisione della EUMSS.
Il 22 giugno 2021, in seno alle Conclusioni del Con siglio dell’Unione europea sulla sicurezza marittima (35) è stata formulata la richiesta di aggiornare l’EUMSS e il relativo piano d’azione. Le Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima fanno seguito al Piano d’azione riveduto della Strategia per la sicu rezza marittima dell’Unione europea del 2018.
L’iniziativa finalizzata all’aggiornamento del quadro EUMSS è concepita per rendere siffatta Strategia coe rente con le iniziative volte a rafforzare la PSDC del l’Unione, in particolare la Bussola Strategica, che propone un approccio «positivo» (36). Inoltre, la pro posta revisione in parola mira ad allineare l’EUMSS alla comunicazione congiunta del 24 giugno 2022 sulla governance internazionale degli oceani (37), che si oc cupa specificamente della sicurezza marittima (38).
La revisione della EUMSS si fonda sulle Conclu sioni del Consiglio del 22 giugno 2021 sulla sicurezza marittima. In quella sede, il Consiglio ha riaffermato la centralità nell’Unione delle politiche riguardanti la
sull’Unione Europea (TUE) relativo alla PESC e alla PSDC, politiche a cui la Strategy deve comunque alli nearsi, come vedremo anche infra.sicurezza marittima. In tale prospettiva, tale organo ha, in primis, ricordato che la sicurezza marittima mira a garantire un uso libero e pacifico dei mari ed è un pre requisito per oceani e mari sicuri, puliti e protetti per tutti i tipi di attività, nonché una chiara priorità del l’Unione europea e dei suoi Stati membri per la prote zione dei loro interessi strategici. Ha poi sottolineato che di fronte a nuove e crescenti minacce e sfide in ma teria di sicurezza che incidono sulla stabilità globale e aumentano la concorrenza per le risorse, l’Unione deve rafforzare il suo ruolo di garante della sicurezza marit tima globale (39).
Il Consiglio ribadisce poi il nesso tra sicurezza ma rittima e cambiamenti climatici (40), sottolineando che i cambiamenti climatici e il degrado ambientale hanno implicazioni crescenti per la stabilità internazionale, comprese la sicurezza marittima e le infrastrutture ma rittime. Sotto tale profilo, come puntualmente rileva il Consiglio nelle sue Conclusioni (41), che la stessa Stra tegia per la sicurezza marittima dell’Unione e il relativo Piano d’azione riveduto, pur affrontando principal mente la questione della sicurezza marittima, apportano anche un contributo diretto al conseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite per lo sviluppo sostenibile, in particolare l’OSS 14 (La vita sott’acqua) nonché all’attuazione della strategia glo bale dell’Unione europea, dell’agenda dell’Unione eu ropea per la governance internazionale degli oceani, dell’agenda strategica 2019-24 dell’Unione che porta alle transizioni verde e digitale, del Green Deal del l’Unione, della politica marittima integrata dell’UE, della strategia dell’Unione sulla biodiversità per il 2030 e dei lavori sulla cooperazione marittima regionale.
Nelle Conclusioni si sottolinea, altresì, che le muni zioni e il materiale militare inesploso scaricati in mare costituiscono un rischio elevato per l’ambiente, la salute umana e le attività economiche in mare. La Commis
sione e gli Stati membri dovrebbero, secondo il Consi glio, intensificare gli sforzi e la cooperazione, anche at traverso partenariati con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) e la NATO, nel pieno rispetto dei principi di trasparenza, reciprocità e inclusività, allo scopo di accrescere la consapevolezza di tali rischi, mappare le zone interessate, monitorare lo stato di corrosione delle munizioni e mettere a punto misure di risposta alle emergenze (42).
Il Consiglio — di fronte alle tecnologie emergenti e di rottura — ha evidenziato la necessità di rafforzare la cibersicurezza in tutti i settori marittimi e di accrescere gli sforzi per aumentare la resilienza ai ciberattacchi. In tal senso, il Consiglio ha sottolineato che la sicu rezza marittima dovrebbe essere affrontata nell’ambito della Bussola Strategica (Strategic Compass) (43), con tribuendo così all’ulteriore sviluppo della cultura co mune europea in materia di sicurezza e difesa (44).
Molto interessante è poi la necessità, ad avviso del Consiglio, di una regolazione in materia di accesso eu ropeo ai beni comuni globali, anche in alto mare, tema che è stato già affrontato in letteratura, tant’è che alcuni tra i primi scritti sui global commons indagavano i profili di concorrenza dell’industria ittica dell’high seas, che «are the common wealth of the world community» (45).
Il Consiglio ha accolto con favore lo sviluppo del l’ambiente comune per la condivisione delle informa zioni (CISE) ai fini della sorveglianza marittima e ha chiesto alla Commissione di proseguire gli sforzi volti a sviluppare tale iniziativa in cooperazione con gli Stati membri e le pertinenti agenzie dell’Unione europea (46).
Alla luce delle Conclusioni del Consiglio, sebbene la Strategia e il Piano d’azione del 2014 (rivisti nel 2018) rimangano validi, si ritiene opportuno allinearli ad altre politiche e strumenti dell’Unione europea, compresa la Bussola Strategica. È inoltre necessario, secondo il Consiglio, renderli adeguati alle crescenti
La revisione della Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea sfide in materia di sicurezza marittima (come i cambia menti climatici e il degrado ambientale) e al complesso contesto geopolitico (47).
Più nel dettaglio, come sottolinea la Commissione europea (489, la revisione della Strategia e del Piano d’azione nasce dalla circostanza che, negli ultimi lu stri, le minacce nel settore marittimo si sono intensi ficate. Ne consegue che, pur constatando che il quadro EUMSS sia ancora valido, è necessario un suo aggiornamento per diverse ragioni. In primo luogo, al fine di potenziare la risposta dell’Unione europea nel nuovo contesto geopolitico e posizionare l’Unione come garante della sicurezza marittima globale. In se condo luogo, per tenere conto del rapido aumento delle minacce e delle sfide alla sicurezza marittima,
4. La consultazione pubblica.
Nel quadro della revisione della Maritime Security Strategy dell’Unione europea e del suo Piano d’azione, la Commissione europea, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e l’Agenzia Europea per la Di fesa (AED) hanno lanciato una consultazione pubblica (49) al fine di raccogliere idee e proposte da esperti della sicurezza marittima e da tutti gli interessati (come università e centri di ricerca, organizzazioni internazio nali) su come ulteriormente migliorare la politica dell’Unione in questo importante ambito (50). La revi sione avrà anche un focus su «sicurezza e difesa» atteso che uno degli obiettivi è quello di allineare la EUMSS con la Bussola Strategica, adottata dall’Unione a marzo 2022 (51).
quali le minacce ibride e informatiche. In terzo luogo, la revisione è necessaria al fine di fare fronte al nesso tra la sicurezza marittima e le crescenti sfide associate alla crisi climatica nonché alle conseguenze del de grado dell’ambiente marino. Infine, l’aggiornamento si ritiene necessario per allineare l’EUMSS alle per tinenti iniziative e politiche dell’Unione, quali la Bus sola Strategica, recentemente adottata, la comunicazione sul multilateralismo, il Green Deal dell’Unione europea, l’agenda per la governance in ternazionale degli oceani e il nuovo approccio a un’economia blu sostenibile.
Dalla consultazione pubblica in parola sono emersi molteplici profili oggetto di osservazione, come la ne cessità di porre un argine alla pesca illegale, la posi zione strategica dell’Unione, soprattutto al sud con il Mar Mediterraneo e paesi come la Spagna, Cipro, Malta e l’Italia destinati a giocare, insieme alla NATO, un ruolo fondamentale nella sicurezza marit tima. Interessanti sono i rilievi dell’Istituto Affari In ternazionali (IAI) (52), che mette in evidenza la stretta relazione tra sicurezza marittima e accesso allo spa zio. In particolare, l’Istituto — dopo aver rimarcato l’importanza di avere un accesso allo spazio europeo
La revisione della Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea
autonomo, nonché il ruolo che le risorse spaziali gio cano nelle operazioni marittime e nella situational awareness, e le possibilità emergenti di avere tale ac cesso dal mare — rileva che l’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero assicurare che l’aggiorna mento della EUMSS sia coerente con la prossima Strategia europea di sicurezza e difesa dello spazio, la cui adozione è prevista entro il 2023, come indicato nella Bussola Strategica (53).
La condivisibile prospettiva tracciata dall’Istituto è quella di rafforzare le cooperazioni regionali nel settore marittimo. In particolare, attese le precedenti esperienze di successo nell’Oceano Indiano occidentale tra l’Unione europea e partners dell’Oceano Pacifico, come il Giappone e la Repubblica di Corea, l’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero cercare di continuare a rafforzare tale cooperazione, anche mediante parteci pazioni congiunte e la condivisione di informazioni e best practices, anche al fine di iniziative di sviluppo (ca pacity building) nella regione Indo-Pacifica. La nuova Strategia (EUMSS) dovrebbe tenere in considerazione il successo del progetto «OCEAN2020» e stabilire, di conseguenza e coerentemente, nuovi obiettivi per attuali e future operazioni marittime nell’area eurounitaria, so
NOTE
prattutto in termini, tra l’altro, di interoperabilità e di integrazione di dati e sistemi.
5. Conclusioni.
Con l’aggiornamento della Strategia in materia di si curezza marittima e del relativo Piano d’azione, atteso per il primo trimestre del 2023, il Consiglio del l’Unione si pone l’obiettivo di fornire delle risposte alle crescenti minacce alla sicurezza marittima e al più ge nerale e mutevole scenario geopolitico.
La Strategia e il Piano d’azione del 2014, nella loro versione attuale, pur rimanendo validi, devono essere resi coerenti con le altre politiche e strumenti del l’Unione, inclusa la Bussola Strategica, la quale è chia mata a svolgere un ruolo chiave nella cultura comune europea in materia di sicurezza e difesa.
Con la revisione dell’EUMSS, l’Unione europea continua così a intensificare il suo intervento di pre venzione (e non più solo di reazione) in materia di si curezza marittima, con l’obiettivo di garantire uno spazio marittimo sicuro e di agire come attore cruciale a livello globale in tale settore, rafforzando la coope razione non solo sul piano internazionale, ma anche e soprattutto regionale. 8
(1) M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale di diritto della navigazione e dei trasporti, Milano, 2020, p. 99.
(2) Così D. Gaeta, Del trasporto in generale, in Dir. trasp., 1993, 1, p. 13.
(3) G. Romanelli, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto, in Dir. trasp., 1993, p. 308.
(4) Cfr. C. Bueger, What is Maritime Security?, in Marine Policy, Vol. 53, March 2015, p. 160.
(5) L. Vai, The European Union’s Maritime Security Strategy: Cogito Ergo Sum?, in A. Marrone, M. Nones (eds), Italy and Security in the Mediterranean, report pubblicato dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), 2016, pp. 93 ss., spec. p. 95, consultabile alla pagina web www.jstor.org/stable/resrep09859.9 #metadata_info_tab_contents.
(6) Un tale approccio è fatto proprio dall’Unione europea. Cfr., in merito, L. Vai, The European Union’s Maritime Security Strategy, cit., pp. 95-96. Sull’esperienza dell’Unione ci soffermeremo più ampiamente infra. Sull’approccio positivo in parola si veda anche C. Bueger, What is Maritime Security?, cit., p. 160.
(7) Tra quelle più recenti, si veda ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Decreto 17 marzo 2022, n. 59, recante Programma Nazionale di Sicurezza Marittima contro eventuali azioni illecite intenzionali - Piano Nazionale Sicurezza Marittima. Tale decreto abroga e sostituisc e il decreto n.83/T del Ministro dei Trasporti in data 20 giugno 2007.
(8) Tra le esperienze regionali merita qui di essere menzionata quella dell’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) in materia di maritime security, che ha adottato un approccio olistico e integrato per affrontare i rischi di diversa natura legati al settore marittimo. Cfr. ASEAN, Maritime Security, consultabile alla pagina web https://asean.org/our-communities/asean-political-security-community/peaceful-secure-and-stable-region/maritime-security/. Sull’esperienza ASEAN in materia si veda T. Krishnan, The Future of ASEAN Maritime Security Cooperation, in EstAsiaForum, 17 June 2022, consultabile alla pagina web hwww.eastasiaforum.org/ 2022/06/17/the-future-of-asean-maritime-security-cooperation/; Khanisa, Faudzan Farhana (eds), ASEAN Maritime Security. The Global Maritime Fulcrum in the Indo-Pacific, Verlag, Springer Nature Singapore, 2022.
(9) Per un quadro generale sulle fonti in materia di sicurezza in campo marittimo si rinvia a M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale, cit., pp. 99 ss. Si veda, altresì, A. L. D’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2019, pp. 206 ss.
(10) M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale, cit., p. 101.
(11) Come rileva L. Vai, The European Union’s Maritime Security Strategy, cit., p. 94.
(12) L’Agenzia è stata istituita con Regolamento (CE) n. 1406/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2002, che istituisce un’Agenzia europea per la sicurezza marittima. Tale Regolamento è stato più volte modificato nel corso del tempo.
(13) Cfr., sul punto, A. Marino, L’Agenzia europea per la sicurezza marittima: struttura e competenze, in U. La Torre, G. Moschella, F. Pellegrino, M.P. Rizzo, G. Vermiglio (a cura di), Studi in memoria di Elio Fanara, I, Milano, 2006, pp. 277 ss. Cfr., altresì, F. Pellegrino, Sviluppo sostenibile dei trasporti marittimi comunitari, Milano, 2010, pp 120 ss.
(14) Così M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale, cit., p. 99. Sulla distinzione in esame si veda altresì G. Boi, Contenitori e profili di sicurezza, in R. TranquilliLeali, E. Rosafio, Sicurezza, navigazione e trasporto, Milano, 2008, p. 1; F. Pellegrino, Sicurezza e prevenzione degli incidenti aeronautici nella normativa interna zionale, comunitaria e interna, Milano, 2007, pp. 71 ss. A. Xerri Salamone, La sicurezza come valore nel diritto della navigazione e dei trasporti e nella formazione di un diritto comune europeo, in R. Tranquilli Leali, E. Rosafio (a cura di), Sicurezza navigazione e trasporto, Milano, 2005, pp. 155 ss.; E. Turco Bulgherini, voce Si curezza della navigazione, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, pp. 461 ss.
(15) Su cui ci soffermeremo più diffusamente infra.
La revisione della Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea
(16) Si veda ancora M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale, cit., p. 101, in nota.
(17) A. Leandro, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini: flessioni e adeguamenti nel contrasto ai traffici illeciti, in A. Leandro (a cura di), Mare e sicurezza. Il contrasto ai traffici marittimi illeciti, Bari, 2021, pp. 17 ss., spec. p. 17.
(18) Tale tripartizione è proposta da A. Leandro, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini, cit., p. 18, il quale denomina tali tre aree di interesse come sicurezza della navigazione e salvaguardia della vita umana in mare (safety), sicurezza marittima (security) e (pubblica) sicurezza del mare.
(19) A. Leandro, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini, cit., pp. 17-18.
(20) Cfr., in merito, M.M. Comenale Pinto, S. Zunarelli, Manuale, cit., p. 101, in nota.
(21) Si veda, in merito, L. Zunarelli, L’intelligenza artificiale applicata alla navigazione marittima: nuovi possibili strumenti di prevenzione dei sinistri nello stretto di Bonifacio, in A. Montesano (a cura di), Sicurezza della navigazione e tutela dell’ambiente marino nelle Bocche di Bonifacio, Torino, 2021, pp. 209 ss.; V.F. Uricchio, Le nuove tecnologie per il contrasto ai traffici illeciti di rifiuti a terra ed in mare, in A. Leandro (a cura di), Mare e sicurezza, cit., pp. 157 ss. Si veda, altresì, L. Ancis, Navi pilotate da remoto e profili di sicurezza della navigazione nel trasporto passeggeri, in Dir. trasp., 2019, pp. 427 ss.
(22) Si veda, in merito, M.R. Zamora Rosello, La protezione dell’ambiente marino attraverso la sicurezza marittima: i modelli comunitario e spagnolo, in Dir. e proc. amm., 2008, pp. 1221 ss.; J. Martìn Osante, Prevención de los accidentes marìtimos en la Unión Eiropea, in Actualidad Jurìdica Aranzadi, Parte Opinión n. 688/2005, 2005; P. Viglietta, E. Papi, Safety e security: aspetti evolutivi della sicurezza marittima, in Dir. trasp., n. 1/2005, pp. 117 ss. Più di recente, si vedano i diversi contributi pubblicati in A. Leandro (a cura di), Mare e sicurezza, cit.
(23) Su tale aspetto ci soffermeremo più ampiamente nelle pagine che seguono.
(24) M.R. Zamora Rosello, La protezione dell’ambiente, cit., p. 1229; G. Camarda, Misure preventive e di soccorso in tema d’inquinamento del mare e sicurezza della navigazione, in Riv. giur. amb., n. 6/2003, pp. 1094-95.
(25) M.R. Zamora Rosello, La protezione dell’ambiente, cit., p. 1230, che qualifica la politica marittima dell’Unione come «politica trasversale». Sul lungo elenco delle minacce alla sicurezza marittima si veda A. Leandro, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini, cit., p. 19.
(26) La Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea è stata adottata dal Consiglio «Affari Generali» il 24 giugno 2014 (doc. 11205/14), a cui ha fatto seguito il 16 dicembre 2014 un Piano d’azione (doc. 17002/14) anche al fine del necessario raccordo con la Politica estera e di sicurezza comune. Il Piano d’azione è stato aggiornato il 26 giugno 2018.
(27) European Commission, For an open and secure global maritime domain: elements for a European Union maritime security strategy (JOIN/2014/9), 6 March 2014. Sui lavori preparatori della Strategia e del Piano d’azione si veda L. Vai, The European Union’s Maritime Security Strategy, cit., pp. 94 ss.; L. Landman, The EU Maritime Security Strategy. Promoting or Absorbing European Defence Cooperation?, in Clingendael Policy Briefs, April 2014, p. 3, consultabile alla pagina web www.clingendael.nl/publication/eu-maritime-security-strategy.
(28) Consiglio dell’Unione, Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea, cit., punto II, p. 3. (29) Consiglio dell’Unione, Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea, cit., punto II, p. 3. (30) Sugli obiettivi della Strategia per la sicurezza marittima si veda A. Leandro, Diritto del mare e sicurezza degli spazi marini, cit., pp. 17-18.
(31) L. Vai, The European Union’s Maritime Security Strategy, cit., pp. 93 ss.
(32) Consiglio dell’Unione, Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea, cit., punto II, p. 3.
(33) Ciò emerge chiaramente dalla lettura della Strategia: «La presente strategia fornisce il quadro politico e strategico per affrontare in modo effettivo e complessivo le sfide per la sicurezza marittima, attraverso l’impiego di tutti i pertinenti strumenti a livello internazionale, nazionale e di UE. Agevola il miglioramento della coope razione intersettoriale in seno alle autorità e agli attori civili e militari e tra di essi. Contribuisce a sfruttare appieno il potenziale di crescita nel settore marittimo, in linea con la normativa vigente, il principio di sussidiarietà e la relazione sostenuto/sostenitore. Essa mira inoltre a promuovere il sostegno reciproco fra Stati membri e a permettere, in maniera congiunta, la pianificazione della sicurezza in caso di emergenze, la gestione del rischio, la prevenzione dei conflitti, la risposta alle crisi e la gestione delle crisi»: Consiglio dell’Unione, Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea, cit., punto II, p. 3. (34) Consiglio dell’Unione, Strategia per la sicurezza marittima dell’Unione europea, cit., punto II, p. 4.
(35) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, approvate dal Consiglio «Affari generali» nella sessione del 22 giugno 2021 (doc. 9946/21).
(36) Council of the European Union, A Strategic Compass for Security and Defence - For a European Union that protects its citizens, values and interests and con tributes to international peace and security (doc. 7371/22), 21 March 2022, punti 2 e 3, risp. pp. 13 ss. e 21 ss.
(37) European Commission, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy, Joint Communication to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Setting the course for a sustainable blue planet - Joint Communication on the EU’s International Ocean Governance agenda, JOIN(2022) 28 final, 24 June 2022.
(38) La comunicazione congiunta aggiorna la comunicazione congiunta del 2016 e rafforza l’impegno dell’Unione a favore di oceani sicuri, puliti, sani e gestiti in modo sostenibile. Con questa politica l’UE conferma il suo ruolo attivo nella governance internazionale degli oceani e il suo impegno nell’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite e del suo obiettivo di sviluppo sostenibile n. 14 sulla vita sott’acqua.
(39) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punto 1.
(40) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punti 1 e 2.
(41) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punto 4.
(42) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punto 13.
(43) La Bussola Strategica, approvata dal Consiglio dell’Unione europea il 21 marzo 2022 (Council of the European Union, A Strategic Compass for Security and Defence, cit.), è stata adottata dal Consiglio europeo il 25 marzo 2022. Sulla Bussola Strategica si veda Senato della Repubblica, Servizio Studi, Servizio delle Commissioni, Note su atti dell’Unione europea, Nota n. 95, recante La Bussola Strategica dell’Unione europea: dopo quasi due anni di gestazione, arriva l’approvazione (in tempo di guerra) nel Consiglio UE del 21 marzo, 24 marzo 2022, consultabile alla pagina web www.senato.it/service/PDF/PDFServer /BGT/01343916.pdf. Si veda, inoltre, F. Favuzza, La bussola strategica dell’Unione europea, in Eurojus.it.
(44) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punto 5.
(45) Si veda F.T. Christy, A. Scott, The Common Wealth in Ocean Fisheries: Some Problems of Growth and Economic Allocation, Baltimore, 1965. Più di recente, si veda in merito C. Hess, Mapping the New Commons, Working Paper, 2008, pp. 33 ss., consultabile alla pagina web www.papers.ssrn. com/sol3 /papers.cfm?abstract_id=1356835.
(46) Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima, cit., punto 7.
(47) Cfr. Commissione europea, Aggiornamento della strategia per la sicurezza marittima dell’UE e del relativo piano d’azione, consultabile alla seguente pagina web: https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13491-Aggiornamento-della-strategia-per-la-sicurezza-marittima-dellUE-e-del-relativopiano-dazione_it.
(48) Commissione europea, Aggiornamento della strategia per la sicurezza marittima dell’UE e del relativo piano d’azione, cit.
(49) Si veda European Defence Agency, Public consultation on EU Maritime Security Strategy, 24 June 2022, consultabile alla pagina web https://eda.europa.eu/newsand-events/news/2022/06/24/public-consultation-on-eu-maritime-security-strategy.
(50) Il periodo di consultazione è 16 giugno 2022-8 settembre 2022: https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13491-Update-of-the-EUmaritime-security-strategy-and-its-action-plan /F_en.
(51) Una relazione di sintesi sulla consultazione sarà pubblicata 8 settimane dopo la chiusura della medesima consultazione. Al tempo in cui il presente scritto veniva redatto tale report non era ancora stato pubblicato.
(52) Istituto Affari Internazionali (IAI), 8 settembre 2022. https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13491-Update-of-the-EU-maritimesecurity-strategy-and-its-action-plan/ F3337596_en.
(53) Council of the European Union, A Strategic Compass for Security and Defence, cit., p. 28.
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La geopolitica dei porti mediterranei
Alessandro MazzettiLa geografia che muta
Gli spazi geografici mutano non solo a causa del l’incedere del tempo e della politica, ma anche grazie alle continue trasformazioni economiche e tecnologi che. Per cui, paradossalmente, anche la geografia di viene una scienza a geometria variabile il che in pratica la pone da una sostanziale staticità della interpretazione classica in una dimensione di continuo divenire e quindi studio assolutamente contemporaneo. Un esem pio banale lo si riscontra già sul finire dell’Ottocento
quando il geografo tedesco Friedrich Ratzel (18441904) ebbe la grande intuizione di porre le prime basi della geografia politica. Sul finire del secolo le inno vazioni tecnologiche e l’espandersi del sistema capita listico costrinsero la società a sviluppare nuove forme di studio. Così oltre alla geografia politica nacque la sociologia e la geopolitica e altre scienze. Tutti stru menti indispensabili per meglio cogliere i mutamenti e le trasformazioni di una società che iniziava una corsa, sempre più progressiva e poderosa, mai vista in prece
Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali. Collabora con le cattedre di storia contemporanea e sociologia dell’Europa dell’Università di Salerno.
denza. Certo non v’è dubbio che un lago rimane sem pre un lago come una montagna resta tale, ma non di meno la percezione dello spazio, la sua dimensione geopolitica e geoeconomica e naturalmente la sua im portanza cambia in base a diversissimi fattori, come, per esempio, le strutture logistiche che si vanno man mano sviluppando. In pratica e per semplificare ten tando di evitare ogni sorta di banalizzazione possiamo fare l’esempio di una baia con fondali profondi. Ebbene la stessa assume un valore geoeconomico diverso se è presente un porto o meno. Anche in questo caso le va riabili sono molteplici poiché la sua importanza varia in base alla struttura portuale e ai sistemi d’intercon
nessione dell’entroterra. In ultimo e per fare un esem pio massimamente chiarificante possiamo pensare alla creazione, ma sarebbe meglio parlare di riscoperta, delle nuove grandi rotte. Naturalmente ci riferiamo alla Nuova Via della Seta e alle Rotte Artiche. In breve una regione geografica rivierasca assume valore geoecono mico e geopolitico diverso in confronto ad altre realtà (per es. non rivierasche). Per cui per taluni aspetti pos siamo considerare anche la geografia una scienza a geometria variabile, come accennavo sopra, allor quando venga letta con gli occhi della geopolitica. Na turalmente questo aspetto di assoluta importanza assume un valore eccezionalmente rilevante se lo si
La geopolitica dei porti mediterranei
unisce ad altri fattori che amplificano le variabili e la fluidità dei processi in corso come la realizzazioni di accordi internazionali che modificano i pregressi status quo quali appunto l’attuazione delle ZEE (Zone Eco nomiche Esclusive) che modificheranno da qui a breve la dimensione navale e marittima delle nazioni e delle potenze. Un progetto ciclopico di ormai quarant’anni (1) che negli ultimi anni, con l’accentuarsi dei processi di marittimizzazione del sistema economico mondiale, assume carattere di estrema urgenza. Già in passato si è rivelato come grazie alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS) una si gnificativa parte delle acque internazionali sparirà poi ché verranno assorbite dalle acque nazionali dei paesi che affacciano su mari e oceani. Naturalmente anche questo fattore andrà enormemente a cambiare il valere economico e politico di intere aree geografiche. Come ultimo esempio pensiamo a porzioni d’acqua interes sate al passaggio di gasdotti e oleodotti come le recenti vicende belliche hanno ampliamente dimostrato. Per cui la geografia in senso stretto dei luoghi non muta, a eccezione dell’intervento umano come la creazione dei canali, tunnel ecc. ecc., ma a mutare e a cambiare è la sua dimensione economica, commerciale e quindi geo politica. In base a quanto sostenuto possiamo rimodu lare l’antica massima napoleonica secondo la quale «la geografia è destino», che pur rimanendo validissima, forse può essere resa più attuale con i tempi come: «La geografia è destino, ma questo muta in base alle esi genze logistico commerciali».
L’inferenza del commercio internazionale sul destino del Mediterraneo
Proprio la storia del Mare tra le Terre (Mediterraneo) ci dà una chiara dimostrazione di quanto appena soste nuto. Cristoforo Colombo seguendo gli studi del fio rentino geografo Toscanelli si persuase di poter raggiungere l’India navigando verso ovest evitando così d’inoltrarsi nel Mediterraneo levantino fortemente conteso e pattugliato dalla flotta dell’Impero Ottomano e da quella della Serenissima Repubblica di Venezia. Dopo un breve soggiorno in Portogallo e deluso dal di sinteresse della corte di Lisbona, egli decise di proporre l’impresa ai cattolicissimi regnanti di Spagna. Inutile
ribadire come il Mediterraneo sino ad allora era stato il mercato più importante del mondo. Non è un caso che Colombo fu osteggiato in modo poderoso proprio dai mercanti aragonesi i quali videro da subito i rischi che l’impresa del genovese comportava per i loro com merci con l’Oriente. In vero fecero in modo da ritardare al massimo l’incontro tra le maestà e il navigante ita liano preoccupandosi di non far giungere al genovese neanche quella piccola diaria spettante a coloro che ri siedevano alla corte spagnola in attesa di essere rice vuti. La questione si risolse grazie all’intervento del padre confessore della regina Isabella di Castiglia il quale si prodigò per organizzare l’incontro tra il navi gatore, oramai impoverito e intenzionato a rivolgersi alla corte francese (2). Questa sorta d’intrigo interna zionale non deve certamente sorprendere poiché la nuova rotta per l’India avrebbe significato un muta
La geopolitica dei porti mediterranei
mento eccezionale non solo per il mercato della seta e dell’ambra, ma soprattutto delle spezie. Proprio que st’ultime costituivano una merce essenziale del com mercio del quindicesimo secolo poiché non solo consentivano una grande resa economica, ma erano fondamentali per i processi di conservazione del cibo e per l’industria farmaceutica di allora. Con la scoperta dell’America l’asse economico e commerciale pian piano si spostò dall’antico Mare Nostrum all’Oceano Atlantico. Il nuovo mondo divenne ben presto il centro del commercio mondiale strappando il primato al Mare tra le Terre ed anche un momento di lotta geopolitica tra Spagna e Portogallo, in cui dovette intervenire la Chiesa Cattolica, che con Alessandro VI, prima, Giulio II poi provvidero con bolle pontificie a tentare di diri mere il «contenzioso» tra i due cattolicissimi regni (3).
La preoccupazione per il «dominio del Mediterra neo» è tuttavia perdurata ed anzi si è rinnovata soprat tutto allorquando l’imprenditore francese Ferdinand de Lessep incontrò il genio ingegneristico del trentino
Luigi Negrelli (4), realizzando così il canale di Suez (inaugurato il 17 novembre del 1869). In breve, con Suez il Mediterraneo tornò al vecchio splendore non solo economico, ma anche commerciale e soprattutto politico. La via per il ricco Oriente era nuovamente aperta e questa passava per il Mediterraneo. Il mondo subì un impressionante sviluppo tecnologico mai visto in precedenza. La centralità del Mediterraneo fu intac cata solo dall’apertura di un altro canale quello di Pa nama che consentiva il passaggio da Atlantico a Pacifico. Certo l’apertura del canale centro americano ebbe una serie impressionante di ritardi e appena aperto scoppiò il primo conflitto mondiale che ne limitò molto il transito, ma oramai il processo mercantilistico com merciale era in corso. Questo stato di cose è cambiato definitivamente nel 2015 quando sono terminati i lavori su Suez. Con questi non solo si è dato vita a una doppia corsia consentendo un incremento notevolissimo del traffico mercantilistico proveniente dall’Oriente nel Me diterraneo, ma soprattutto hanno consentito il transito delle giganti del mare, una volta costrette a fare il peri plo dell’Africa ed entrare nell’antico mare attraverso le Colonne d’Ercole. Proprio quest’ultimo aspetto è indub biamente il più importante e significativo per meglio comprendere la logica e la creazione della Nuova Via della Seta che attraversando tutta l’Asia raggiunge il Mediterraneo congiungendosi con le nuove rotte artiche formando un unico circuito di navigazione.
Guerra economica e guerra tradizionale
Naturalmente questo dato assume un valore espo nenziale se si considera il continuo processo di marit timizzazione dell’economia mondiale. Già in passato si è enucleato come proprio la dimensione talassocra tica diviene indispensabile non solo per giocare un ruolo di primaria importanza in ambito politico, ma ancor più in ambito commerciale. In un sistema econo mico fondato sull’acquisto e la vendita di beni è chiaro che il trasporto ne costituisca il cuore. Proprio gli av venimenti degli ultimi tempi hanno ribadito tale con cetto, anche se sarebbe più opportuno parlare di priorità. Anzi è bene sottolineare come le attuali costri zioni e contrazioni del mercato causate dall’economia di guerra, per così dire, tradizionale siano state antici
La geopolitica dei porti mediterranei
pate da quelle derivanti e provenienti dalla lunga guerra economica in corso che oramai da più di un decennio sta caratterizzando il nuovo secolo. A comprova di quanto detto possiamo portare per esempio non solo l’infinita guerra tra porti, sempre impegnati ad assicu rarsi maggiori traffici sottraendoli ai competitors diretti, la crisi dei noli marittimi, ma anche quella dei contai ner. Quest’ultima ha acuito notevolmente le difficoltà per forniture non solo dei semi lavorati e delle materie prime tanto da far lievitare i prezzi del nolo in maniera mai vista in precedenza. Parrebbe assurdo, ma spesso e volentieri il contenuto ha un valore economico infe riore a quello del nolo del contenitore. La stessa vi cenda dell’Evergreen, che ha bloccato il canale di Suez per svariati giorni, assume una caratteristica più da spy story che da errore di navigazione. Per poi non parlare delle forniture energetiche che inevitabilmente si tra sportano per via mare sia con natanti che attraverso oleodotti e gasdotti. In pratica l’attuale crisi, determi nata dal conflitto in corso tra Ucraina e Russia, è stata solo accentuata dalle diseconomie procurate dalla guerra economica tra Occidente e Oriente, ma più pro priamente tra Stati Uniti e Cina. Tale situazione si è maggiormente acuita a causa d’una Europa ancora in capace di giocare un ruolo da protagonista poiché troppo parcellizzata e totalmente priva di una visione unitaria sia in ambito militare che geoeconomico oltre che geopolitico. Quanto detto ribadisce come il nuovo millennio sia profondamente legato all’economia del mare che diviene assolutamente sistemico del neolibe rismo. Questo fa sì che il mare, con tutte le sue sfac cettature e le sue strutture, divenga il luogo preferenziale della proiezione economica e geopolitica delle potenze intenzionate ad aumentare la loro proie zione e quindi anche il luogo di scontro e confronto. A questo punto è bene sottolineare una doverosa diffe renza tra guerra economica e quella tradizionale poiché se la seconda risponde a logiche e a intervalli irregolari, la prima si sviluppa spessissimo lungo direttrici ben de finite a crescita progressiva aumentando così, quasi in modo del tutto naturale, attriti tra nazioni e potenze. Per cui l’acquisto o la realizzazione di un porto in prossi mità di una rotta importante assume non solo un indub bio valore economico, ma se dotato di buoni fondali e
approdi ha anche discrete possibilità d’impiego mili tare. L’ipotesi appena formulata assume un valore ancor più critico se a tale porto si somma la realizza zione nell’immediato entroterra di snodi ferroviari, stradali e la realizzazione di aeroporti. In pratica la lo gistica nata come scienza militare (5) diviene il terreno di scontro preferenziale per la guerra economica e a sua volta acuisce lo scontro tra potenze emergenti e domi nanti. Non si può dar certo torto al geopolitico Parag Khanna quando ha esplicitamente affermato che il grado di forza di una potenza mondiale è semplice mente determinato dalla sua capacità d’interconnes sione (6). Per cui la conduzione della guerra economica odierna non è altro che un durissimo confronto per ac caparrarsi le migliori strutture logistiche poiché solo con il controllo di quest’ultime si può dominare il com mercio navale. Von Clausewitz ebbe a sostenere che la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi (7) ebbene oggi potremmo aggiungervi che essa è quasi totalmente finalizzata all’assicurarsi il do minio delle strutture logistiche in quanto attraverso esse non solo si ottiene il dominio economico, ma anche
La geopolitica dei porti mediterranei
quello più propriamente politico. Che la logistica sia divenuta lo strumento principe per l’esercizio del Soft e Hard Power sembra del tutto evidente. Anzi proprio le attuali vicende relative al North Stream I e II lo di mostrano con forza e assoluta chiarezza. L’intento di Putin di legare l’UE al gas russo era del tutto evidente sin dalla realizzazione del North Stream I. Con l’aper tura dei giacimenti di NLG a Sabetta nello Yamal, (in sediamento nato inizialmente per fornire gas alla Cina e immediatamente adoperato per supplire l’aumento di richiesta di molti Stati europei) Mosca progetta la rea lizzazione del gemello mentre stringe sempre più mag giori accordi commerciali ed energetici con l’alleato
non amico turco. Infatti la fornitura energetica dei paesi europei settentrionali era prevista tramite i North Stream, mentre quelli meridionali dovevano approvvi gionarsi tramite il South Stream che dalle coste orien tali del Mar Nero avrebbe portato il suo preziosissimo carico di gas nei Balcani in Bulgheria per poi essere di stribuito ai paesi europei mediterranei (8). Bocciata tale ipotesi, Mosca non si è certo persa d’animo progettando un gasdotto che dalle coste orientali del Mar Nero e at traverso la Turchia si snoda fino al confine con la Gre cia. Una vera e propria tenaglia energetica fatta di infrastrutture e collegamenti rispondente, naturalmente,
a una precisa strategia geopolitica russa. Proprio la di mensione energetica rilancia con forza l’importanza del Mediterraneo che ha la capacità di unire l’Europa al continente africano e a quello asiatico, in pratica i due continenti da dove provengono le fondamentali materie prime energetiche. Per cui si delinea la centralità del Mediterraneo non solo come Terra di Mezzo, ma come vero e proprio luogo di scambio e produzione energe tico. Anche la tanto decantata transizione energetica ri lancia le dinamiche mediterranee e dei suoi porti. È indubbio che pensare a una transizione energetica per decreto legge sia cosa folle oltre che inutile. Essa infatti ha bisogno non solo di un poderoso sviluppo tecnolo gico, ma anche di una enorme riorganizzazione tecnica e logistica e sociale. Per cui bisognerà pensare a sistemi di compromesso e perpetrabili nell’immediato che co munque siano in linea con l’abbattimento della produ zione del CO2 (9) e dell’inquinamento in genere come il massiccio impiego di gas naturale liquefatto, idro geno verde e altri. È del tutto evidente che al momento l’elettrico, per quanto preferibile e auspicabile, non è per svariatissimi motivi ancora applicabile su scala mondiale. Proprio la dimensione energetica diviene una chiave di volta e di lettura fondamentale della strategia portuale mondiale che assume un valore ancor più im portante in un mare centrale e complesso, oltre che composito, come quello Mediterraneo. Infatti l’antico mare romano non solo si afferma come trait de union tra i tre continenti già citati, ma anche come dimensione geopolitica che unisce l’Oceano Atlantico all’Indo-Pa cifico. Ma oltre ad assolvere queste già fondamentali funzioni esso stesso è luogo di primaria importanza nello scambio economico internazionale. Proprio la sua posizione centrale, il suo essere doppia cerniera (la prima riguardante Asia-Europa-Africa, mentre la se conda riguarda i due oceani) e luogo economico di ec cezionale importanza fa sì che chi controlla la posizione centrale possa avere maggiori chances di controllare e condizionare il trasporto marittimo e quindi l’economia mondiale. In fondo molte logiche e strategie della guerra economica ripercorrono pedisse quamente quelle della guerra tradizionale. Basti pen sare alle innumerevoli pagine di strategia militare (vedasi la posizione centrale della strategia napoleo
nica) o anche più semplicemente e banalmente agli scacchi nei quali chi domina il centro ha ottime possi bilità di vittoria. Stiamo parlando di un spazio geogra fico circoscritto. Anzi proprio la sua fortissima dimensione geoeconomica spinge sempre più in là la sua estensione geopolitica la quale cresce progressiva mente in base all’incremento dell’aspetto economico che muta e si trasforma grazie alla realizzazione di strutture logistiche complesse e fortemente integrate. In questa chiave di lettura il Mediterraneo assume va lore oltre che atlantico anche baltico e artico per poi spingersi ben oltre al Golfo di Mannar e lo Stretto di Palk tra l’India e lo Stri Lanka fortemente ridimensio nando il valore geopolitico dell’Oceano Indiano il quale sembrerebbe essere oramai divenuto figlio di due padri: Mediterraneo e Pacifico (10). Per cui sembre rebbe che il valore geoeconomico e geopolitico dell’an tico mare aumenti in base alla sua dimensione economica tesa ad accrescere grazie e a causa della guerra dei porti in corso già da diversi anni e al conti nuo proliferare di infrastrutture che naturalmente ne ri lanciano il suo ruolo. Una guerra e una corsa sempre più stringente che è soggetta alle continue accelerazioni determinate dalla crescita del gigantismo navale e dal processo di marittimizzazione del sistema economico oramai definibile come post-neoliberista (11). Oltre il 90% delle merci viene trasportata via mare il quale è caratterizzato dal dominio delle grandi alleanze sulle rotte strategiche mentre il gigantismo navale sembre rebbe non arrestarsi visto i poderosi ordinativi delle navi da oltre 15.000 teus che segnerebbero una ulteriore crescita di oltre il 17% al 2023 (12). Neanche la pan demia congiuntamente ai venti di guerra russo-ucraina
sembrerebbero riuscire ad arrestare le dinamiche del trasporto marittimo nello specifico e dell’economia del mare in genere soprattutto nel Mediterraneo. Infatti se nel 2019 per il canale egiziano sono passate circa 19.000 navi, ossia circa un miliardo di tonnellate, nei primi otto mesi del 2022 ne sono già transitate 15.329. Una importantissima crescita che riesce a segnare un +15,1% sul periodo precedente. Un dato di assoluto in teresse che conferma quello ancor più significativo poi ché il Mediterraneo rappresenta circa il 12% del trasporto mondiale in genere e il 7-8% di quello rela tivo al petrolifero. In pratica uno specchio d’acqua, per quanto significativo e storicamente importante, della grandezza del 1% della superficie marittima comples siva dove si conta il 12% del trasporto marittimo, vero cuore del sistema economico. Questa tendenza di cre scita complessiva va sempre più accreditandosi. Non a caso il divario tra porti nord europei e quelli mediter ranei risulta essere diminuito come confermano i dati dell’indice UNCTAD Port Liner Shipping Connectivity Index, anche se tale crescita si determina più grazie ai porti nord africani come Tanger Med e Port Said che da quelli più propriamente europei (13). In più bisogna ben tenere conto del forte sviluppo dei porti turchi, della presenza russa e di certo non ultima quella estre mamente attiva della Cina la quale, sia in modo diretto che in quello indiretto, controlla tanti porti del bacino mediterraneo sia in Africa che in Europa meridionale. La stessa crescita del Pireo è sicuramente attribuibile ai fortissimi investimenti cinesi più che a una strategia europea e men che meno greca. Proprio la Cina è il sog getto economico più attivo nel Mediterraneo sin da ini zio secolo. Questo dato assume un valore eccezionale
La geopolitica dei porti mediterranei
poiché ribalta totalmente la lettura secondo la quale la Via della Seta sia stata una conseguenza dei lavori di Suez. Sembrerebbe invece, visto i forti interessi di Pe chino nel Mediterraneo sin sul finire del secolo scorso, che i lavori di Suez siano stati una logica conseguenza degli investimenti cinesi finalizzati alla realizzazione della Belt and Road Initiative. Che la scelta talassocra tica di Pechino sia divenuta necessità impellente dalla caduta del muro di Berlino sembrerebbe verità oramai consegnabile alla storia. Infatti proprio la caduta dell’an tico alleato costringe la Cina in una sorta di isolamento socialista tellurocratico. Una condizione che avrebbe a lungo andare sicuramente strangolato lo Stato asiatico. Di certo è indubbio che i lavori di Suez e la realizzazione della Nuova Via della Seta hanno accelerato non poco la realizzazione e la fruizione delle due rotte artiche che comunque hanno avuto il pregio per Pechino di raffor zare la propria posizione internazionale sia dal punto
NOTE
economico e sia da quello più squisitamente geopolitico, congiuntamente a quella del suo alleato russo che ripre sosi dalla caduta del muro era ed è intenzionato a giocare un ruolo importante non solo sulle acque del nord del mondo, ma anche nel Mediterraneo. Per cui per quanto detto è indubbio che l’UE debba fare un necessario e do veroso passo in avanti pensando a strategie veramente unitarie non solo in direzione di una politica estera, ma soprattutto economico, navale, marittima e soprattutto portuale. Solo con una fitta e robusta cabina di regia na zionale ed europea si potrà affrontare le attuali sfide geo politiche e geoeconomiche nel quale i porti sono e divengono i perni fondamentali, i punti focali. Bisognerà finalmente abbandonare logiche, se pur storiche, del re gionalismo ed europeo per giocare realmente un ruolo fondamentale nella geopolitica mondiale. Come soste neva Ovidio volere è poco occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo. 8
(1) Le Zone Economiche Esclusive furono previste sin dal dicembre del 1982 quando in Giamaica a Montego Bay si dette vita alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (UNCLOS) alla presenza dei rappresentanti di oltre 150 nazioni. Il Trattato disciplina le ZEE con gli articoli che vanno dal 55 al 75. Fu una lunga gestazione poiché ci vollero circa 12 anni per le ratifiche dei vari Governi. Solo negli ultimi anni, soprattutto nel Mediterraneo, si è deciso di dar vita alle ZEE con non poche incomprensioni e diatribe tra gli Stati rivieraschi.
(2) Elliott John H., La Spagna Imperiale 1469-1716, Il Mulino 2006.
(3) Cfr. D. Ceccarelli Morolli, Appunti di geopolitica, Roma 2018, pp. 132 ss.
(4) Valle M., Suez. Il canale, l’Egitto e l’Italia. Da Venezia a Cavour, da Mussolini a Mattei. Historica, 2018.
(5) Tra i primissimi a considerare la logistica come «scienza militare» fu lo scrittore e filosofo greco Senofonte nei Memorabili. Sull’argomento si veda Mazzetti A. La Logistica come strumento della Geopolitica, Rivista Marittima, dicembre 2020.
(6) Sull’argomento si legga Khanna P., Connetography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, 2016; dello stesso autore Il Movimento del mondo: Le forze che ci stanno sradicando e plasmando il destino dell’umanità, Fazi, 2021.
(7) Von Clausewitz, Della Guerra, Mondadori, 1997.
(8) Mazzetti A., Trump, Soleimani e la crisi iraniana. Libia, Russia e Turchia una ipotesi tutta mediterranea, Porto&Interporto, gennaio, 2020.
(9) Benocci B., Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea, Rivista Marittima, luglio-agosto 2021.
(10) Poddighe G. Infinito Mediterraneo in Analisi Difesa, 3 dicembre 2020.
(11) Sembrerebbe surreale adoperare ancora la terminologia neoliberista per indicare l’attuale sistema economico poiché essa non risponde più a molte delle logiche imperanti per il cui era stato coniato tale termine. I lavori di Suez, la nascita delle nuove rotte intercontinentali, i continui processi di marittimizzazione dell’economia tra i quali il gigantismo navale sicuramente segnano una trasformazione assai significativa dell’economia non più definibile, quindi, neoliberista, ma preferibilmente post-neoliberista.
(12) Rapporto RSM Italian Marittime Economy del 2021.
(13) Su tale argomento e sul sistema portuale italiano si consigliano i lavori di Spirito P., Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della Seta, Rubbettino, 2018 e Il futuro dei sistemi portuali italiani. Governance, spazi marittimi, lavoro, Guida, 2021.
Le ambizioni logistiche della Turchia
Presentato lo scorso aprile il piano nazionale intende rilanciare su scala mondiale le infrastrutture e le comunicazioni turche
Il fatto cui oramai assistiamo da alcuni anni ovvero l’atteggiamento della Turchia nel riscoprirsi po tenza autonoma e non semplice elemento del blocco atlantico, è ampiamente associato al concetto di profondità strategica, coniato agli inizi degli anni due mila da Ahmet Davutoglu, che infatti è divenuto fa moso proprio con la sua celebre opera, Profondità strategica. La posizione internazionale della Turchia (1). Secondo quella riflessione, la Turchia deve consi derarsi come il centro di un mondo che va dai Balcani
al Caucaso, passando per il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, rovesciando la stessa concezione geo grafica di un Oriente vicino o medio, in quanto appar tenente a una visione essenzialmente eurocentrica, ristabilendo altresì parametri basati in via esclusiva sulla prospettiva turca (2). In tal senso va letta anche la successiva dottrina della Patria blu (Mavi Vatan) espressa dall’ammiraglio Cerm Gurdeniz (3) che tutta via, ha inteso marcare delle distinzioni con quella espressa da Davutoglu, poiché essenzialmente ridotta
Dottorando di Ricerca in Scienze giuridiche e politiche presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Coordinatore Desk In frastrutture e Sviluppo del Centro Studi Geopolitica.info. Autore per il mensile Opinio Juris e per la rivista Il Pensiero Storico.
al principio suo ispiratore, sintetizzato nell’espressione «zero problemi» con i vicini. Infatti, secondo Gurdeniz, la Turchia ha la necessità di diventare uno stato marit timo dotato di una forte base navale e industriale pog giandosi essenzialmente su due pilastri: il primo indicante le aree di giurisdizione marittima turca con particolare enfasi riservata alle ZEE; in secondo luogo, suscitando una weltanschauung prima che una dottrina marittima per il popolo e per lo stato turco (4). Questa rinascita passa evidentemente anche da una serie di progetti infrastrutturali e trasportistici in grado garan tire alla Turchia un ruolo di primo piano nei traffici commerciali fra oriente e occidente. Da tale punto di vista, fin dal suo insediamento, Recep Tayyip Erdoğan ha investito molte delle sue energie nell’ammoderna mento di strade, ferrovie, ponti, viadotti con lo scopo di migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini e
di incrementare la crescita economica nazionale. Una strategia che ha avuto riscontri molto positivi, vista so prattutto la cronica mancanza di adeguate infrastrutture che ha caratterizzato sia l’Impero ottomano che la Tur chia del XX secolo. E che viene vieppiù testimoniata da alcuni dati: in circa dodici anni, ovvero tra il 2003 e il 2015, il chilometraggio delle ferrovie convenzionali è cresciuto del 19%. Nuove linee sono in costruzione in varie parti della Turchia, tra Ankara e Sivas (Se-ba stia), tra quest’ultima ed Erzincan (Arzinga), tra Kars e il confine georgiano e in diverse regioni del paese. Tra il 2002 e il 2014 sono stati costruiti 1.213 chilome tri di linee ferroviarie veloci. Il target che il governo si è posto per il 2023, anno coincidente con il centenario della fondazione della Repubblica, sarà di circa 25.000 chilometri complessivi di ferrovie, di cui ben 12.000 ad alta velocità. Proprio quest’ultima tecnologia eser
cita un fascino molto significativo sul capo dello stato turco, dal momento che oltre a velocizzare sensibil mente lo spostamento di persone e merci, rappresenta la cifra dell’effettivo progresso infrastrutturale di un paese moderno. Il dinamismo dell’ingegneria civile turca ha avuto un importante seguito anche nella pro gettazione delle cosiddette grandi infrastrutture. In que sto campo, infatti, Erdoğan ha in mente di realizzare una serie numerosa di opere dal forte impatto visivo con la finalità di stimolare nel popolo turco il mai so pito orgoglio nazionale. Nel solco tracciato con la co struzione di ferrovie efficienti e dall’ammodernamento della rete autostradale, Erdoğan si è posto l’obiettivo di rendere la Turchia un paese all’avanguardia. E in una simile prospettiva si comprendono gli sforzi per portare a termine il terzo ponte sul Bosforo, a Istanbul, dopo decenni di stancanti lavori (5).
Il piano nazionale per la logistica della Turchia
Le connessioni infrastrutturali rappresentano dunque una delle leve attraverso le quali la Turchia mira a ri conquistare un ruolo centrale e in questa direzione deve essere letto il Piano generale dei trasporti e della logi stica, i cui lavori preparatori si sono conclusi nell’aprile di quest’anno (6), rappresenta uno sforzo straordinario
per determinare le priorità di investi mento nel settore trasporti con uno sguardo rivolto al 2053 e che, per il Ministro dei trasporti, Karaismailoglu, riveste un una piattaforma program matica fondamentale per il rilancio su scala mondiale delle infrastrutture e delle comunicazioni turche. Portare il paese tra le 10 economie del mondo è l’obiettivo sfidante posto da Karai smailoğlu insieme a quello più ambi zioso di realizzare una Turchia grande e potente (7). E attraverso questi pro getti si comprende anche l’intento di divenire protagonisti nel mondo in ter mini di investimenti, produzione, esportazione e naturalmente occupa zione. Nell’ambito della strategia tren tennale, il paese anatolico investirà 197,9 miliardi di dollari nel trasporto e nelle comuni cazioni ferroviarie, stradali, marittime e aeree. Si pre vede inoltre che tali sforzi contribuiranno ad aggiungere oltre 1 trilione di dollari al PIL e 1,36 tri lioni di dollari alla produzione, creando contempora neamente occupazione per 27,7 milioni di persone. Il piano aiuterà così a trasferire l’onere del trasporto ter restre sulle ferrovie. Inoltre, vi saranno tutti quegli sti moli in grado di favorire la produzione ad alto valore aggiunto, sviluppando la logistica e migliorando i cor ridoi, in maniera tale da facilitare l’accesso a nuovi mercati, giungendo alla creazione di filiere autonome, dimostratesi soprattutto in questo periodo di crisi, cru ciali per l’economia europea e per troppo tempo sotto valutate. Con il Piano generale dei trasporti e della logistica si fa riferimento a un sistema in grado di ri spondere ai bisogni della società, unendo crescita eco nomica e sostenibilità ambientale. Anche per tali ragioni già al principio del 2022 il governo del Regno Unito ha accettato di fornire alla Turchia 2,1 miliardi di euro di finanziamenti ecologici per il progetto di una ferrovia elettrica ad alta velocità. In una simile cornice i treni occuperanno un ruolo determinante visto che la previsione al 2053 è quella di realizzare 8.554 km di linee ferroviarie, di cui 6.425 km rapide, 1.474 km di
Le ambizioni logistiche della Turchia
linee convenzionali, 393 km di linee ad alta velocità e 262 km di linee ferroviarie ad altissima velocità capace di raggiungere i 400 km/h tra Ankara ed Istanbul. È inoltre prevista la realizzazione della linea di 1.179 km tra Kapıkule - Ankara- Mersin tra il 2023 e il 2029. Una tratta fondamentale nella via centrale fra Cina ed Eu ropa, così come la linea di 1.097 km tra Ankara e Zen gazur (Azerbaigian), i cui lavori verranno avviati nel 2029 (8). L’Asia orientale, in particolare la Cina, la Corea del Sud e tutti i membri dell’ASEAN, si sono dimostrati fornitori essenziali di beni intermedi alla Turchia nel corso degli anni. In particolare, nell’ultimo decennio, la fornitura dall’Asia orientale di beni inter medi alle industrie manifatturiere turche è aumentata dal 18% al 25%. La pandemia da Covid-19 ha accele rato la domanda della Turchia di beni intermedi nei set tori dei macchinari e delle apparecchiature elettroniche. Così facendo l’industria manifatturiera turca ha trovato un ambiente favorevole alla crescita nell’Unione euro pea, da tempo il principale partner del paese. Nel 2021 il 45% delle esportazioni turche è andato proprio al l’UE, con un valore delle esportazioni superiore del 21% rispetto al 2019. Anche la quota della Turchia nelle importazioni totali dall’UE è aumentata legger mente dal 2,6% al 3,7% nell’ultimo decennio. È inte ressante a tal proposito notare che anche le esportazioni turche negli Stati Uniti, il suo terzo mercato più grande, sono aumentate del 64% rispetto al 2019. Nel com plesso, l’aumento delle esportazioni turche verso i mer cati europeo e americano, in particolare per i beni intermedi, segnala che il paese è più integrato nella ca tena di approvvigionamento globale, soprattutto dopo la pandemia. Tuttavia, le fiorenti importazioni turche dei beni intermedi evidenziano anche, in una certa mi sura, la dipendenza della Turchia da fornitori di se condo e terzo livello dall’Asia orientale. A fare da traino vi è stata senz’altro la capacità turca di attrarre investimenti esteri crescenti e più diversificati. Infatti nel 2021, gli investimenti diretti esteri (IDE) verso la Turchia hanno raggiunto i livelli più alti dal 2016, con una quota notevole dall’Asia orientale e dal Nord Ame rica, che molti hanno visto e percepito nella Turchia una valida opzione di nearshoring per servire il mer cato europeo. Sotto questo aspetto il Giappone e la
Corea del Sud sono le due maggiori fonti di IDE verso la Turchia. Gli investimenti cinesi nel settore manifat turiero turco sono relativamente modesti e nel 2021 si sono concentrati nell’industria dei telefoni cellulari. Ot timi risultati in termini di IDE si sono registrati anche nelle industrie del settore chimico, automobilistico ed elettronico. Settori chiave che hanno maggiormente contribuito al commercio turco di beni intermedi con l’UE e l’Asia orientale, che in maniera molto efficace ha saputo sfruttare la propria posizione geografica di collegamento fra le due regioni. Inoltre, numerosi pro getti di investimento nel 2021 nell’industria degli im ballaggi turca potrebbero essere un altro indicatore della fiducia degli investitori nel potenziale di esporta zione della Turchia. Sebbene gli IDE nel settore dei ser vizi di trasporto turco abbiano oscillato nel corso degli anni, la riconfigurazione delle supply chains globale unite al desiderio di cercare rotte merci multimodali al ternative al collegamento ferroviario transiberiano po trebbero attirare nuovi investimenti nella logistica turca. La sua posizione strategica ha già generato pro gressi significativi nel settore dei trasporti aerei con un aumento da parte della Turkish Airlines del 46% delle sue entrate cargo e del 26% nel volume delle merci aeree nel 2021. In soli cinque anni, dal 2016 al 2020, la compagnia è così salita dal ventesimo all’ottavo posto nel mondo fra le compagnie aeree per attività cargo. Questa situazione sarà ulteriormente rafforzata dalla ricerca attiva della Turchia di diventare una su perpotenza logistica per il 2053 (9).
Il corridoio centrale progetto infrastrutturale e geopolitico
Il 4 dicembre 2020 un treno turco ha percorso per la prima volta il lungo tratto di strada compreso fra Cer kezkoy e Xian, coprendo quello che viene definito come corridoio centrale, un progetto geopolitico svi luppato da Ankara sin dalla fine degli anni Novanta per collegare l’altopiano anatolico alla Pianura centrale lungo la rotta più breve fra Europa e Cina (10). Nelle previsioni il collegamento tra la regione di Marmara e il mar Caspio offrirà una spinta al commercio turcoasiatico centrale garantendo costi di spedizione infe riori e un trasporto semplificato delle merci per
importatori ed esportatori. La linea Turchia-Caspio of frirà vantaggi in termini di velocità e costi, riducendo al contempo le emissioni di carbonio del 17% rispetto al trasporto su strada, offrendo una maggiore efficienza nei tempi di consegna attraverso partnership logistiche di terze parti selezionate per il proseguimento del tra sporto nelle aree senza sbocco sul mare dell’Asia cen trale (11). Alla fine di marzo 2022, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan e Turchia hanno rilasciato una di chiarazione quadrilaterale sulla creazione della Middle Corridor Joint Venture entro la prima metà del 2023, con l’obiettivo dichiarato di migliorare il potenziale di trasporto della regione. Secondo l’accordo, ci sarà maggior coordinamento negli sforzi multilaterali al fine di armonizzare le tariffe delle merci e offrire così una piattaforma informatica unificata in grado di automa tizzare completamente i servizi di trasporto tra Cina ed Europa. Ad aprile, invece, le compagnie ferroviarie sta tali di Azerbaigian, Turchia e Kazakistan hanno firmato accordi bilaterali sulla cooperazione logistica. Il 10 maggio, Turchia e Kazakistan hanno firmato un ac cordo di Partenariato Strategico Rafforzato che prevede il rafforzamento del coordinamento tra le istituzioni competenti per l’uso efficace e sostenibile del Middle Corridor. In quella sede le due parti hanno anche sot
tolineato l’esigenza di istituire delle tariffe fisse per i container che transiteranno sulla nuova rete Baku-Tbi lisi-Kars. Infine, il 27 giugno Azerbaigian, Turchia e Kazakistan hanno firmato la Dichiarazione di Baku, che prevede una la cooperazione doganale ed un tran sito più agevole delle merci lungo il Corridoio (12). Per decenni la rotta russa, conosciuta come Corridoio Set tentrionale è stata quella prediletta per il trasporto tra mite container ferroviari di merci tra l’UE e Cina. Una rotta dall’indubbio vantaggio rispetto agli altri corridoi per le tempistiche di arrivo dei carichi a destinazione. Tuttavia, oltre alle sanzioni che rendono difficile lavo rare con compagnie russe, gli spedizionieri internazio nali si stanno dimostrando incerti sull’attuale fattibilità di questa rotta di transito. In un simile scenario, il Mid dle Corridor viene progressivamente riconosciuto quale principale rotta alternativa al trasporto terrestre sino-europeo e potenzialmente trasformativo per le economie dell’Asia centrale, del Caucaso e della Tur chia con un inevitabile sviluppo delle infrastrutture di trasporto per la regione dell’Asia-Caucaso-Turchia (13). Ora, di fronte all’aumento della domanda, i paesi hanno iniziato a lavorare più attivamente per migliorare i collegamenti e facilitare così molti processi doganali, avendo con ciò un impatto un impatto positivo sulle
Le ambizioni logistiche della Turchia
cifre. Nei primi quattro mesi del 2022, 8696 container hanno attraversato il territorio dell’Azerbaigian, il 130% in più rispetto all’anno precedente, e questa ten denza dovrebbe continuare a crescere. In prospettiva i paesi del Trans-Caspian International Corridor (TITR), Azerbaigian, Kazakistan e Georgia, stanno pia nificando di espandere la capacità della rotta, attual mente stimata in 10 milioni di tonnellate o 200.000 container all’anno, adottando tariffe uniformi per gli spedizionieri nazionali e semplificando il lavoro dei vettori. Inoltre, dopo la vittoria dell’Azerbaigian nella Seconda guerra del Karabakh, Baku sta lavorando per
dera il progetto come un grande passo verso la facili tazione delle interazioni economiche, commerciali, so cioculturali e politiche con la Cina e le regioni circostanti. In questo contesto Ankara ha promosso l’iniziativa più volte richiamata in questa sede del Mid dle Corridor che partendo dalla Cina, attraversa l’Asia centrale (Kazakhstan o Kyrgyzstan-Uzbekistan-Tur kmenistan), il mar Caspio e continua tra i territori di Azerbaijan e Georgia fino alla Turchia.
garantire stabilità politica, formare un quadro giuridico, diversificare le rotte e accelerare la consegna delle merci. Proprio per definire le tariffe end-to-end, la di chiarazione del carico, l’uso di soluzioni informatiche unificate e per consolidare il carico in transito, i paesi del TITR hanno concordato di costituire un’impresa ad hoc per cogliere questa importante opportunità di au mentare la propria potenza e soprattutto per uscire dalla crisi e avviarsi sulla strada della ripresa economica.
La Turchia e la Belt and Road Initiative
La Turchia, in qualità di uno dei circa settanta paesi coinvolti nella Belt and Road Initiatitve (BRI), consi
Apparentemente, il Middle Corridor si sovrappone al corridoio Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale della BRI ma non passa per l’Iran. Esso si concentra princi palmente su una rete di trasporti su strada e ferrovia con incroci nel mar Caspio. A tal scopo la Turchia ha firmato un Memorandum of Understanding con la Cina nel novembre 2015 cui ha fatto seguito nel luglio del 2019 la visita del presidente Recep Tayyp Erdoğan in Cina. In tale ottica si sono inseriti anche il Protocollo di Cooperazione Comune e l’istituzione di un Consi glio di Coordinazione con Azerbaijan e le repubbliche centro-asiatiche. L’accordo Lapis Lazuli - Transport Corridor Agreement è stato firmato da Turchia, Geor gia, Azerbaijan, Turkmenistan e Afghanistan come coo perazione regionale per sostenere questa iniziativa. A livello infrastrutturale c’è da attendersi che la ferrovia
Baku-Tbilisi-Kars (BTK) triplichi in due decenni la ca pacità di trasportare passeggeri e merci. La Turchia ha inoltre intrapreso diversi progetti compreso il Tunnel Eurasiatico, il terzo ponte sul Bosforo e l’aeroporto di Istanbul che uniti al Piano generale dei trasporti e della logistica contribuirà al consolidamento dell’apertura a Est verso il Caucaso, l’Asia Centrale e la Cina con un incremento del commercio e delle opportunità di inve stimento nella regione, oltre a una serie di ulteriori be nefici. Innanzitutto, passando attraverso le zone orientali della Turchia, può contribuire allo sviluppo della regione come avviene peraltro in altri stati meno sviluppati. In secondo luogo, vi è la profonda convin zione che il Middle Corridor favorirà gli investimenti cinesi in Turchia, che ha bisogno di diversificare le sue fonti di investimento diretto estero per scopi infrastrut turali. Inoltre, in questa situazione la Turchia potrebbe divenire un hub del commercio sino-europeo, supe rando per alcune ragioni congiunturali facendo sia il corridoio settentrionale russo che quello meridionale che attraversa l’Iran, considerato una destinazione fra gile per via delle restrizioni statunitensi. Infine la Tur
chia potrà ridurre l’influenza russa sulla propria politica energetica diversificando i propri fornitori. La realiz zazione del Middle Corridor e la sua integrazione con la Belt and Road dipenderà dunque da diversi fattori, primo fra tutti quello di creare una rete internazionale fortemente connessa con formalità e procedure nazio nali ridotte al minimo. È necessario che l’attraversa mento del Caspio sia abbastanza efficiente da non causare alcun ritardo nel passaggio dei beni e tutto ciò richiederà una forte cooperazione istituzionale tra gli attori coinvolti. Il commercio cinese con l’Europa si effettua sostanzialmente via mare mentre le opzioni via terra possono abbassare notevolmente la durata totale e i costi dei trasporti, aumentando in questo modo il dominio cinese nella regione (14). L’indicatore princi pale degli interessi cinesi per il Middle Corridor po trebbe essere il suo coinvolgimento nei relativi investimenti infrastrutturali. In ogni caso l’attuale li vello degli investimenti è limitato a pochi lavori fon damentali quali l’attività mineraria, i progetti energetici e lo sviluppo dei porti in Turchia, (il porto di Kumkapi a İstanbul). Tuttavia, l’ultima iniziativa è considerata
solo un modo per penetrare nel mercato turco e non un modo per renderlo un hub regionale. I porti che dovreb bero essere sviluppati a Filyos, Çandarli e Mersin ri chiedono ancora investimenti sostanziali mentre la Cına ha già preferito inserire il porto greco del Pireo nella nuova Via della Seta. Per la Turchia risulterà molto importante dal punto di vista strategico definire innanzitutto bisogni e priorità, definendo le aree di in teresse che, nel contesto della BRI, sono interessanti per la Cina. Come ormai acclarato la BRI crea dipen
NOTE
denza reciproca, però al fine di sviluppare le sue infra strutture e aumentare il suo commercio potenziale, la Turchia avrà bisogno della Cina, così come quest’ul tima avrà bisogno della Turchia per stabilire un colle gamento più efficiente e meno rischioso tra Asia ed Europa. Questa interdipendenza aumenterà solo nel tempo. Se il processo sarà gestito in modo pianificato e ben ponderato, questa interdipendenza potrà portare a risultati positivi per l’economia turca e per le sue aree trasporti e logistica (15). 8
(1) A. Davutoglu, Stratejik Derinlik. Turkiye’nin Uluslaravan Konumu, Kure Yayinlari, Istanbul, 2001.
(2) L. Vita, L’onda turca. Il risveglio di Ankara nel Mediterraneo, Historica-Giubioei Regnani, Roma, 2021, p. 29.
(3) C. Gurdeniz, Mavi Vatan Yazıları, Kırmızı Kedi, Istanbul, 2018.
(4) C.Gurdeniz, La Patria blu nel mondo post-occidentale, (intervista a cura di Marco Ansaldo), Limes, n.7/2020, pp.69-73.
(5) F. Verre, Le grandi infrastrutture di Recep Tayyip Erdoğan, Metodo n.37/2021, pp.12-14.
(6) Il piano è consultabile sul sito del Ministero dei Trasporti turco, https://bit.ly/3V1VhPc.
(7) Minister Karaismailoğlu Announced 2053 Transport and Logistics Master Plan, Railly News, 05 aprile 2022, https://bit.ly/3RnOP1C.
(8) R. Fabbri, Infrastrutture e logistica. La strategia turca dietro gli accordi bilaterali con l’Italia, Geopolitica.info, 09 luglio 2022, https://bit.ly/3BWDvUL.
(9) G. Zhang, Turkey’s place in the Asia-Europe logistics reconfiguration, Upply, 25 maggio 2022, https://bit.ly/3SrmtoM.
(10) D. Santoro, Il lupo turco non è più idrofobo. La strategia marittima di Ankara per espandersi nel Turkestan, Limes, n.8/2021, p.291.
(11) New river-sea route to directly connect Turkey with Central Asia, Daily Sabah, 19 maggio 2021, https://bit.ly/3fsvEqo.
(12) S. Scotti, M. Mammadov, Il potenziale del Middle Corridor come via di transito alternativa a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, Osservatorio Globalizzazione, 9 settembre 2022, https://bit.ly/3E1Rtak.
(13) T. Kenderdine, P. Bucsky, Middle corridor—policy development and trade potential of the trans-caspian international transport route, Asian Development Bank Institute, ADBI Working Paper Series, n.1268/2021.
(14) J. Mardell, On the «Middle Corridor,» China Is Largely Absent, Berlin Policy Journal, 15 ottobre 2019, https://bit.ly/3Rzoqyk.
(15) M. S. Akman, Turkey’s Middle Corridor and Belt and Road Initiative: Coherent or Conflicting?, ISPI, 28 novembre 2019, https://bit.ly/3dQJB13.
Le città e le civiltà che nei secoli hanno regi strato un maggiore sviluppo economico e so ciale sono solitamente sorte in prossimità di bacini idrografici: mari e fiumi principalmente. Non a caso, il termine μέσος ποταμός (1) indica la rilevanza soprattutto per il suo impatto economico e non solo per una semplice annotazione toponomastica che l’essere cinta dai fiumi Tigri ed Eufrate ha avuto per quella Re gione. I fiumi sono stati sfruttati, grazie all’invenzione dello shaduf (2), non solo a livello agricolo, ma anche a livello logistico con i trasporti fluviali. Ciò ha per messo lo sviluppo delle prime grandi civiltà e la fon dazione di alcune tra le prime città della storia, come Uruk e Ur.
Affinché i traffici commerciali marittimi possano nascere, svilupparsi e mantenersi, la conditio sine qua non resta la sicurezza delle acque. Quest’ultima deve essere intesa come un concetto ampio, che spazia dalla protezione contro eventuali imbarcazioni ostili sia di paesi belligeranti che semplicemente piratesche, alla assistenza che si rende necessaria verso le asperità che il navigar per mare intrinsecamente comporta.
Insomma, nulla di nuovo: l’acqua può essere la più semplice e diretta via di comunicazione, ma può na scondere in sé potenziali problematiche, che possono attivarsi improvvisamente e minacciare seriamente la rotta intrapresa. È necessario, quindi, che la Forza ma rittima di cui dispone lo Stato, sia strutturata e capace di intervenire prontamente, da rendere sicuri i convogli contro le varie asperità.
I secoli passati ci insegnano quanto questo assioma trovi poi una evidenza empirica.
La polis di Atene, come ci racconta il coevo Tucidide (3), ci fornisce un esempio dell’importanza del connubio militare ed economico a livello marittimo: durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), se, da un lato gli Spartani mostravano una evidente superiorità come Forza militare terrestre, gli Ateniesi, poterono resistere temporaneamente grazie ai rifornimenti di grano che via mare giungevano da zone lontane sul Bosforo. Addirit tura, facendo un passo indietro, lo stesso autore greco ci indica che coloro che «ebbero nome di Greci, non si col legarono mai prima della guerra troiana per organiz zare uno sforzo comune, per l’inconsistenza politica
e Rivista Marittima Settembre 2022 Davide Andreucciolil’assoluta mancanza di reciproci rapporti, ma anche per questa famosa spedizione si riunirono quando avevano già acquistato maggiore dimestichezza con il mare» (4). Sempre Tucidide ci informa sinteticamente che «comun que, chi poteva esercitare la marineria, si creò una con siderevole potenza, non solo in entrate economiche, ma anche in supremazia sugli altri. Spostandosi con la flotta, sottomettevano a tributo le isole, che costituivano uno sbocco particolarmente ricercato da quelli che non possedevano territorio sufficiente».
Fu Temistocle il promotore dello sviluppo navale ate niese, che mirava a una vera e propria talassocrazia che consentisse al popolo traffici sicuri con l’Asia Minore e l’Egitto e, contemporaneamente, proteggesse la popola zione da attacchi nemici, soprattutto dei Persiani. Ci ri porta sempre Tucidide, infatti, che «si fece ormai chiaro che la salvezza della Grecia era consistita nelle navi: a ciò fornimmo noi i tre fattori di più fondamentale rile vanza: il numero maggiore di navi, lo stratego più abile, l’animo più impavido» (5) che evidentemente portarono gli Elleni alla vittoria di Salamina. Sempre Temistocle spinse i suoi concittadini, in vista delle guerre contro Serse, a investire sulla costruzione delle triremi, in quanto piccole, veloci, e facili da costruire, in un conte sto di tensione geopolitica quale quello in cui si trovava la città-stato in quel periodo.
Lo sviluppo navale ai fini commerciali e militari in Grecia aveva visto i suoi albori già con la polis di Co rinto che, sebbene in prima istanza basava la sua potenza commerciale sullo scalo terrestre che offriva ai viaggia tori e mercanti che attraversavano la Grecia, «quando i Greci incrementarono i negozi marittimi, quelli di Co rinto, allestite parecchie navi, si volsero a sterminare i pirati e potendo offrire per mare e per terra un punto di smistamento al traffico commerciale, fecero poderosa l’economia del loro stato con l’afflusso di rendite».
Il caso delle cosiddette anfore greco-italiche (6) di mostra bene come lo sviluppo delle rotte commerciali marittime abbia generato la transizione da una econo mia interna o locale a una protesa al mercato interna zionale. La novità di questo nuovo tipo di anfore stava nel fatto che erano destinate al trasporto di vino e sono state prodotte, in modo standardizzato, in più posti con temporaneamente. Il termine greco-italico, è stato co
niato nel 1954 dall’archeologo francese Fernand Be noît, per citare appunto un tipo di anfora prodotta in luoghi diversi contemporaneamente e per un lungo pe riodo per il trasporto e commercio di vino, in questo nuovo crogiuolo di etnie che era il mondo greco-ro mano, da cui il nome. Queste anfore sono state prodotte da popoli diversi, che parlavano lingue diverse, ma che iniziarono a far parte di un mercato internazionale ben integrato, anche se ancora in assenza di una unità poli tica. Se la produzione era diffusa, molto maggiore era la distribuzione e il consumo del vino trasportato da queste anfore. Questa anfora segna chiaramente il pas saggio a una economia più integrata (7).
Secoli più tardi, anche i Romani dovettero sviluppare la propria potenza navale per il duplice scopo econo mico e militare. Anche se, alle origini, vantavano una buona dimestichezza con la navigazione fluviale, il vero banco di prova diventò successivamente la navigazione marittima. Il progresso in quest’arte spesso era accele rato dalle conquiste (terrestri) di popolazioni locali che avevano un know-how marinaresco più evoluto dei Ro mani. Il punto di rottura si ebbe quando la nascente po tenza capitolina andò a scontrarsi, per interessi economici, con quella punica. La flotta cartaginese, di fondazione fenicia, era praticamente la monopolista dei traffici economici e militari nel Mediterraneo occiden tale, con delle basi nel Nordafrica, in Spagna, Baleari, Corsica, Sardegna e Sicilia occidentale.
Effettivamente, una volta che la conquista della Pe nisola stava volgendo al termine, i Romani si resero conto che per espandersi economicamente e politica mente dovevano affacciarsi sul Mediterraneo. Interes sante è vedere la progressione con cui i vari accordi sui diritti mercantili di navigazione e rotte commerciali vi dero i ruoli di Cartagine e Roma partire da una situa zione di netto squilibrio inizialmente a favore della prima, per poi progressivamente arrivare ad un livello quasi di parità (8). Proprio a questo punto lo scontro di ventò inevitabile e il Mediterraneo occidentale divenne il campo di battaglia. Fu soprattutto la prima guerra pu nica a essere la battaglia navale che fece prendere co scienza al Senato romano dell’importanza di armare una flotta di triremi e quinqueremi capace di poter rivaleg giare con quella cartaginese. L’allestimento della flotta
e l’acquisizione delle necessarie competenze marittime fu, in verità, reso possibile dal contributo decisivo dei suoi alleati Greci, Etruschi, Osci e Messapi (9). L’in venzione del cosiddetto «corvo» consentì ai Romani di trasformare in «terrestri» anche le battaglie navali: in fatti con l’abbordaggio delle navi nemiche, i legionari a bordo delle navi romane potevano ingaggiare un duello a colpi di gladio con gli omologhi cartaginesi.
La vittoria su Cartagine sbloccò quindi definitiva mente ai Romani l’accesso al Mediterraneo che, da qui in avanti, diverrà per loro il mare nostrum, ossia so stanzialmente un lago incluso nelle dominazioni capi toline. Si deve dire, però, che l’economia romana, con l’aumentare della popolazione (soprattutto di cittadi nanza romana, verso cui, almeno fino a Caligola, era gratuita la distribuzione di pane) e con l’aumentare dei lussi e dello sfarzo cui era abituata la classe dirigente, aveva una bilancia commerciale negativa, con le im portazioni molto maggiori rispetto alle esportazioni. Le importazioni riguardavano quindi beni di prima neces sità (principalmente grano e olio), materiali e schiavi. Tali traffici avvenivano soprattutto dalle colonie nor dafricane e dell’Asia minore e, sebbene i Romani aves sero sviluppato una rete stradale all’avanguardia per l’epoca, la via privilegiata restava il mare essenzial mente per tre motivi: economicità del trasporto, ton nellaggio trasportabile, rapidità della consegna. Come scritto in principio, però, il traffico marittimo aveva delle insidie ed il Senato romano già in epoca repub blicana istituì dapprima la carica dei duumviri navales (10) che avevano il compito di tenere sempre pronta e armata la flotta e di presiedere la lotta alla pirateria, come per esempio nel caso delle guerre illiriche (11).
L’apice del connubio economico-militare riguardo l’importanza della sicurezza marittima si ebbe però nel periodo 67 a.C.-57 a.C., quando alcuni fenomeni poli tici, soprattutto le guerre mitridatiche, ebbero ripercus sioni economiche sull’approvvigionamento di grano verso l’Urbe. Come detto in precedenza, il cereale, nu trimento alla base della dieta romana dell’epoca, viag giava sulle navi su rotte attraverso il Mediterraneo meridionale/orientale. Alcuni monarchi ellenistici, per fiaccare l’ego espansionistico romano, avevano iniziato a sovvenzionare sia economicamente, sia semplice
mente fornendo riparo, le bande piratesche di estrazione prevalentemente cilicia. Il Senato, visto che la situa zione era diventata insostenibile e causava ripercussioni economiche importanti oltre che generare un malcon tento popolare diffuso, affidò a Gneo Pompeo (futuro Pompeo Magno) una magistratura speciale, ossia una carica proconsolare con poteri amplissimi in materia marittima: la Lex Gabinia (12) (Lex de piratis perse quendis) che gli conferiva il comando navale assoluto per tre anni (de uno imperatore contra praedones con stituendo), lo dotava prima di duecento e poi addirittura di cinquecento navi con cinquemila cavalieri e cento ventimila soldati. Le particolarità di questa legge, ri spetto alle magistrature straordinarie del passato, erano la durata, il tipo di potere (oltre che sul mare Mediter raneo ed Egeo, si estendeva per cinquanta miglia nel l’entroterra) e la possibilità di attingere alle finanze pubbliche (13). L’attenzione del popolo romano per la sicurezza dei traffici marittimi può essere infatti sinte tizzata dalla frase attribuita allo stesso Pompeo: «Navi gare necesse est, vivere non est necesse» (14), con cui giustificava il voler salpare per forza, nonostante le con dizioni proibitive del mare, per portare il grano a Roma.
Conclusa la guerra contro i pirati da parte di Pom peo, la Repubblica e successivamente l’Impero, pote rono tenere saldi i propri traffici marittimi senza ostacoli così grandi come quello appena superato.
Per avere contezza della quantità (e quindi dell’im portanza) del traffico marittimo commerciale, basti dire che sotto Augusto, l’Egitto inviava ogni anno a Roma 20.000.000 modii di grano, vale a dire circa 140.000 tonnellate (15). Qualche decennio più tardi, durante il regno neroniano, lo storico Flavio Giuseppe ci riporta che il grano egiziano poteva sfamare Roma per un terzo del proprio fabbisogno annuo (16). Annualmente, do vevano arrivare a Roma, per mare, 60.000.000 modii di grano, ossia circa 420.000 tonnellate, che cubavano rotte per circa 120.000 navi, che, tra l’altro, non navi gavano durante la stagione invernale (mare clausum) (17). In epoca imperiale le navi commerciali erano scortate da imbarcazioni da guerra e precedute da navi tabellariae, che annunciavano l’arrivo della flotta che avrebbe liberato la plebe dalla fame.
Il crepuscolo dell’Impero romano (d’Occidente) vede
ancora la civiltà capitolina fare i conti con il mare: per motivi di sicurezza e difendibilità, la capitale viene spo stata nel 402 d.C. da Roma a Ravenna, città che sfrutta la sua posizione prossima a una palude e contemporanea mente adiacente al porto di Classe. Proprio questa città resterà anche successivamente il pied-à-terre bizantino in Italia, anche perché Roma subirà una sorta di legge del contrappasso: proprio da Cartagine, ove i Vandali di Gen serico si erano stabiliti dopo il lungo peregrinare in Eu ropa, saccheggeranno l’Urbe nel 455 d.C. attaccandola per via marittima, in quanto, giunti a Ostia con le navi, risalirono il corso del Tevere e conquistarono la città.
Con la caduta dell’Impero romano (d’Occidente), l’economia marittima del mediterraneo occidentale subì un duro colpo: durante i secoli di dominio romano, infatti, si era creato un sistema economico prevalentemente cen tralizzato: la longa manus del Senato prima e dell’Impe ratore poi, permeava gli scambi economici. Una parziale sostituzione di questa autorità centrale negli scambi com merciali e nella protezione militare delle rotte, venne in seguito svolta dal Papa. Era questa figura infatti, almeno nei primi secoli, a essere il garante dell’annona e quindi responsabile degli approvvigionamenti di grano verso l’Urbe e del mantenimento della Marina militare ponti ficia. A tale scopo, nel tempo, si cercò di rendere nuova mente funzionale il porto di Ostia, fino ad arrivare a papa
Gregorio IV che a metà del IX secolo, fondò una «nuova Ostia» denominandola addirittura Gregoriopolis, nome che poi fu presto abbandonato per tornare all’antica to ponomastica. Gli sforzi effettuati non bastarono comun que a salvare Roma da un nuovo sacco, questa volta a opera degli Arabi nell’846 (18).
Diversa la situazione nel mediterraneo orientale dove, da una parte, restò solido il potere centrale del ba sileus bizantino, dall’altra si sviluppò rapidamente lo Stato arabo che conquistò una repentina espansione in Asia minore e Nordafrica. Per entrambe queste forma zioni statali, il Mediterraneo fungeva da primaria via di comunicazione commerciale e le rotte dovevano essere difese militarmente. I Bizantini inventarono circa nel VII secolo d.C. il cosiddetto fuoco greco, ossia un li quido infiammabile che, gettato sulle navi avversarie, poteva essere incendiato e causare quindi la distruzione dell’imbarcazione colpita. I «nuovi Romani», soprat tutto con l’imperatore Teodosio nel VI secolo, cercarono di far tornare il Mediterraneo un mare interno ai loro domini, invadendo prima il regno vandalico del Norda frica e poi riconquistando l’Italia a danno degli Ostro goti. Le vicende alterne di queste spedizioni portarono in breve tempo a un frazionamento dei possedimenti bi zantini in Italia a favore dei regni barbarici e al progres sivo abbandono delle terre nordafricane e mediorientali a favore della nascente po tenza islamica. Perdendo progressivamente terreno, i traffici bizantini via mare verso la Penisola finirono per concretizzarsi solamente nel trasbordo di funzionari statali e negli approvvigiona menti tra la Sicilia ove si estendevano le coltivazioni di grano e Ravenna ove si trovava l’esarcato.
Le conquiste arabe del l’Asia Minore, Nordafrica e penisola iberica tra VII ed VIII secolo capovolsero so stanzialmente la situazione: il bacino che era stato per
secoli predominio di Roma e della Nuova Roma (Co stantinopoli), vedeva ora la maggior estensione delle coste a dominio di una nuova potenza ostile. Iniziò quindi un periodo, durato secoli, di lotte navali per il predominio sulle rotte commerciali tra Oriente e Oc cidente, che segnò alternativamente il prevalere ora dell’una, ora dell’altra parte.
L’amministrazione islamica, con il progredire delle conquiste, aveva saputo sfruttare le istituzioni e le con suetudini delle città che assoggettava e tali erano so stanzialmente quelle reduci dell’Impero romano. Basti pensare che prima del X secolo il Mediterraneo veniva chiamato dagli Arabi al-bahr al-Rūmī ossia «il mare dei Romani» (19). Per cui i porti, le marinerie, le rotte e le relazioni commerciali molto spesso non fecero altro che cambiare i vessilli e i referenti, per poi conti nuare «darwinianamente» a esistere. Si creò, invero, un nuovo equilibrio finanziario nel mondo abbaside: il dīnār diventò presto una moneta forte, sia grazie alle riserve auree dello Stato, che grazie alla molteplicità delle trattative in cui fungeva da moneta corrente. Lo stato islamico iniziò quindi a favorire gli scambi e pro teggere le rotte dalle minacce esterne: si deve pensare al marinaio islamico non più solo come pirata. Chiara mente la storiografia nei secoli si è rifatta a quelle che sono le principali fonti storiche dell’epoca e che rac contano dei marinai islamici solo quando vengono da essi attaccati e depredati, quindi etichettati come pirati. Basti pensare che la geografia redatta dal comandante del servizio di posta Ibn Khurradādhibih descrive gli itinerari marittimi dei mercanti provenienti in terra isla mica dall’Impero carolingio, dal continente indiano e da quello russo. La relativa sicurezza delle rotte viene anche annotata da Willibaldo di Eichstatt che resoconta nel 760 il suo pellegrinaggio a Gerusalemme, il quale si svolge senza intoppi. Anche l’arabo Nasir Khusraw, in occasione alla visita della Città Santa nel 1046 rife risce che i pellegrinaggi di cristiani e musulmani si svolgono senza particolari problemi.
Il mondo commerciale cristiano quindi entrava ben volentieri in contatto con quello islamico e, al netto degli atti vicendevoli di pirateria, si era venuta a ristabilire una solida base scambi commerciali per via marittima.
In seguito, gli eventi legati alle Crociate modifica
rono, ma non sospesero l’affluenza navale mediterranea durante i secoli di conflitto. Il sud Italia, soprattutto la Puglia, vide il prolificare di porti che costituivano la base di partenza per la traversata del Mediterraneo alla volta della Terra Santa. Le Repubbliche Marinare, spe cialmente Pisa, Venezia e Genova, che già avevano rap porti commerciali con gli Stati islamici, consolidarono i loro approdi e le proprie basi commerciali sul Vicino Oriente e commerciavano tanto con le neo-conquistate città cristiane (San Giovanni d’Acri, Jaffa, Tiro…), che con quelle arabe. L’insediamento che si veniva a creare non era per forza legato al miglioramento delle condi zioni commerciali, ma era avvantaggiato nella misura in cui si riuscivano a ottenere concessioni dai governi stranieri: si trattava innanzitutto di alloggi e magazzini, spesso un intero quartiere, poi del libero scambio e delle esenzioni fiscali, e infine dell’autonomia amministra tiva, fiscale e giudiziaria all’interno del quartiere. In al cuni casi, questi avamposti commerciali divenivano in sostanza delle enclaves extraterritoriali, come per esem pio la colonia genovese di Galata sul Corno d’oro.
Il consolidamento delle rotte fece sì che le marinerie repubblicane scacciarono poco a poco i pirati mori e sa raceni dalle acque mediterranee e svilupparono il com mercio internazionale con Bizantini e musulmani fino ad assicurarsi, a partire dal XIII secolo, il monopolio degli scambi marittimi a scapito dei marinai dell’Islam e dei Greci (20). Questo intenso traffico marittimo fece sì che ciascuno Stato ponesse molta attenzione sullo sviluppo delle navi, per avere i mezzi più performanti utili alla na vigazione in tempo di pace e di guerra. Ancora non era delineata una marcata differenziazione tra la Marina mer cantile e la Marina militare, per cui le stesse navi erano spesso in dual use. Fino almeno al XVII secolo era aperto il dibattito se, in ottica di conflitto navale, era migliore la propulsione velica o a remi, in quanto si doveva ben sop pesare il trade-off tra una maggiore mobilità e una capa cità di carico di artiglieria pesante. Per avere un’idea del grado di sviluppo dei cantieri navali italiani, basti pensare che nella battaglia di Lepanto (1571), delle centottantuno galee della Lega Santa, centoventiquattro erano vene ziane, dodici pontificie e quarantacinque italo-spagnole (queste ultime per lo più costituite a Castellammare di Stabia) (21). Si può trarre spunto da questo episodio per
comprendere come le Marine degli Stati mediterranei do vevano spesso ricorrere ad alleanze tra loro per fronteg giare la flotta ottomana. Se, infatti, dopo un periodo di unità pan-islamica iniziale, molti territori di fede musul mana si erano resi indipendenti (spesso non formalmente, ma solo di fatto) da Baghdad e tale frazionamento aveva fatto sì che ciascuno Stato islamico singolarmente avesse una Forza navale relativa contenibile da parte delle altre potenze marittime europee, con la riunificazione del ba cino del Mediterraneo meridionale da parte degli Otto mani, la Sublime Porta aveva riacquistato un peso preponderante sui traffici marittimi interni. L’economia ottomana, sebbene trovava fondamento sull’esportazione di molte materie prime, dipendeva sensibilmente da una serie di importazioni strategiche dall’Europa (tessuti, utensili in metallo, armi...) e per agevolare l’ingresso di questi materiali e gli scambi commerciali, iniziò con la concessione delle cosiddette «capitolazioni» che segna rono l’inizio della penetrazione prima economica e poi militare delle potenze europee nel proprio territorio (22). A supporto di tale strategia economica, la potenza otto mana iniziò una serie di conquiste per rendere il Medi terraneo nuovamente un mare «nazionale»: Egitto (1517), Dalmazia e Croazia (inizio XVI secolo), Malta (1565) Cipro (1571), Tunisi (1574). Quelle che tra queste erano fortezze europee, furono difese strenuamente dalle rispettive madrepatrie (principalmente la Serenissima Re pubblica di Venezia), in quanto erano delle importantis sime basi o scali commerciali verso l’Oriente. Gli interessi economici (con risvolti chiaramente politici) crearono anche alleanze ritenute «sconvenienti» secondo il pensiero dell’epoca: in risposta agli abboccamenti asburgo-safavidi degli anni 20 e 30 del Cinquecento, Francesco I di Francia siglò nel 1536 un trattato con So limano I (che noi conosciamo come «il Magnifico», ma che gli Ottomani definivano Kanuni, ossia il Legislatore) in funzione antiasburgica; tale alleanza durò per secoli e permise ai Francesi di stabilire una salda testa di ponte economica nell’Impero ottomano.
Gli eventi quasi simultanei che cambiarono total mente lo scenario mediterraneo, relegandolo anche ab bastanza velocemente a una importanza secondaria per le rotte commerciali internazionali, furono la scoperta dell’America e la circumnavigazione dell’Africa. Le
rotte oceaniche verso i continenti americano e asiatico permisero di aggirare il Mediterraneo e i suoi presidi europei e ottomani per insediarsi direttamente in questi nuovi mercati di approvvigionamento. Alle Repubbli che Marinare ed all’Impero ottomano succedettero come potenze navali i Paesi Bassi, il regno di Porto gallo, l’Inghilterra e, per un periodo minore, la Spagna. Queste nazioni si erano infatti appropriate delle rotte oceaniche che avevano portato verso il continente ame ricano e asiatico e avevano fatto dei propri porti delle vere e proprie piattaforme commerciali. Le nuove rotte portarono sì un maggiore afflusso di oro e di argento, ma soprattutto dei nuovi beni di lusso che andarono a ridurre la domanda di quelli tradizionalmente importati in Europa attraverso il Mar Mediterraneo e il Mar Nero e inoltre crearono una alternativa alle rotte che veni vano solcate per andare a procurare tali beni.
Per comprendere l’evoluzione del mercato marit timo e la sua influenza sull’economia statale, si può esaminare il caso della Repubblica di Genova, analiz zando i dati dei suoi traffici portuali (23) dopo una forte crescita del valore delle merci ivi transitate nella se conda metà del XIII secolo, si verificò un ridimensio namento e successivo assestamento per i due secoli successivi su valori di circa la metà del periodo prece dente. Anche il numero dei bastimenti transitati per il porto di Genova subì un andamento analogo, ossia dalle 58 navi medie annue in entrata nel porto nel XIV secolo, si passò poi a una media di 40 nel secolo suc cessivo, per poi risalire a inizio Cinquecento. Circa a metà del XVI secolo si verificò una ulteriore riduzione del numero dei transiti dovuta a penuria di traffici prin cipalmente (24). L’aspetto interessante non è tanto la mole traffico portuale, ma la sua composizione: se in fatti le navi genovesi costituivano i tre quarti circa del totale delle imbarcazioni transitanti fino ai primi trenta anni del Cinquecento, questo rapporto cominciò a ca lare e poi a invertirsi sulla fine del secolo. Tale evento si dovette sì all’affermazione della Repubblica di Ra gusa come potenza navale mediterranea, ma in buona parte anche dall’erosione di traffici commerciali da parte degli Olandesi a danno dei Genovesi.
La Spagna, che fu per un secolo la nazione più po tente al mondo (cosiddetto siglo de oro), non riuscì a
cavalcare il beneficio del primato che aveva sul conti nente americano e dovette lasciare spazio a nuove po tenze marittime come l’Inghilterra, la Francia e il Portogallo. Anzi, l’euforia di aver trovato una nuova fonte d’oro per le casse statali, fece lievitare la spesa destinata alla flotta e all’esercito, che a sua volta causò la bancarotta del Regno nel 1557. L’aumento delle spese militari era dovuto sia a un consolidamento dei posse dimenti terrestri, ma anche alla volontà di allestire una flotta capace di tenere sicure le rotte verso il Nuovo Mondo. Il problema per la Spagna era la sicurezza dei convogli che andavano e venivano dalle Americhe, in quanto erano sempre messi a repentaglio dai corsari bri tannici: si era creato uno stato di guerra (non dichiarata) tra le due potenze che durò circa un ventennio e che in dusse il re spagnolo Filippo II ad ampliare la propria flotta sino ad arrivare a 138 navi (anche se il progetto originario era di 500) per invadere l’Inghilterra. Anche in questo caso, come a Lepanto, un gran numero delle navi spagnole era di fabbricazione napoletana, genovese e siciliana. Il regno d’Inghilterra, che nel 1587 contava solo 34 vascelli, fu oggetto di una «chiamata alle armi» da parte della sua regina Elisabetta I, che mobilitò il paese per la costruzione di nuove imbarcazioni, rag giungendo in circa un anno quasi la quota di 100 navi disponibili, che riuscirono a sconfiggere l’Invincibile Armata spagnola nelle acque della Manica (25).
Il Mediterraneo non perse quindi totalmente la sua importanza all’interno delle rotte commerciali tra Nor dafrica, Asia Minore ed Europa, ma si adattò a quelle che furono le rinnovate esigenze delle potenze che sol cavano e solcano le sue acque. Si confermò un bacino
determinante per lo sviluppo commerciale delle nazioni, ma le bandiere issate sull’albero di poppa delle navi che lo attraversavano furono sempre più spesso di potenze oceaniche, come Inghilterra, Paesi Bassi e Francia, che non si affacciavano direttamente sulle sue sponde.
L’evento che ha dato nuova linfa vitale al mar Me diterraneo e accresciuto molto l’appetibilità economica delle sue rotte è senza dubbio la realizzazione del Ca nale di Suez nel 1869, peraltro con un ingente contri buto italiano, sia a livello ingegneristico, che di maestranze. Rendendo quindi molto rapido il collega mento tra il bacino Mediterraneo, la penisola arabica, l’India e addirittura la Cina (quest’ultima era spesso raggiunta via mare tramite la rotta artica), si è venuta a creare una opportunità economica per l’iniziativa im prenditoriale che commercia con quei paesi, ma si è anche ampliata la necessità di una protezione militare che ne garantisca la sicurezza delle rotte.
Si è verificato anche uno scollamento rispetto al pas sato: nei secoli scorsi, l’iniziativa imprenditoriale era spesso statale, oppure di grandi gruppi economici che avevano comunque forti interessenze con l’amministra zione pubblica e quindi il dispiegamento di una Forza navale che proteggesse le rotte era uno scambio a somma zero. Nei tempi moderni, invece, l’imprendito ria è prevalentemente privata, mentre la sicurezza (per riprendere un tema di Wilhelm von Humboldt) è de mandata allo Stato.
Oggi il trasporto marittimo è un settore fondamen tale per l’economia dei paesi mediterranei: sebbene il Mediterraneo rappresenti solo circa l’1% della massa acquatica del pianeta, lungo questo mare si trasportano
Analisi storico-economica dell’importanza dei traffici marittimi nel Mediterraneo
circa il 15% del totale mondiale delle merci ed ha una prospettiva di crescita di circa il 4% annuo (26).
L’operazione antipirateria Atalanta, che si svolge lungo le coste del Corno d’Africa, secondo il docu mento XXVI n.3 del 2020 vede stanziati dall’Italia circa 26,7 milioni di euro annui come fabbisogno an nuale per la sicurezza delle navi mercantili in transito nella zona del Golfo di Aden.
L’importanza del Mediterraneo continua a essere di rettamente proporzionale a quella del Canale di Suez: il 90% del commercio internazionale avviene via mare e il collegamento tra il Mar Rosso e il Mediterraneo ne è uno degli snodi principali. Secondo il report di Cassa Depo siti e Prestiti, nel 2019 per questo Canale sono transitate 1,2 milioni di tonnellate di merci e circa 19 mila navi (27) della sua crucialità si è reso conto anche l’uomo co mune quando a marzo 2021 il blocco del Canale per pochi giorni ha causato ripercussioni su gran parte dei trasporti a livello internazionale. Per il Mediterraneo transitano circa un terzo dei servizi di linea mondiali del traffico container e negli ultimi anni è stato primo per crescita degli scambi: i due principali canali di ingresso, ossia lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez sono ri spettivamente il terzo e il quinto snodo al mondo per vo lumi di merci in transito. Il presidio militare delle rotte,
NOTE
(1) Traduzione dal greco: terra tra i fiumi.
(2) Strumento per prelevare l’acqua dai fiumi e dirottarla verso canali di irrigazione.
(3) Tucidide, Storie, a cura di Emilio Piccolo, Napoli 2009, pp. 8 e segg.
(4) Ibidem
(5) Ibidem
che le tenga al riparo principalmente da atti di pirateria, assume giocoforza un ruolo di primo piano affinché il Mare Nostrum continui a essere uno dei bacini principali del traffico mercantile. Le due rotte alternative, cioè la rotta artica e la circumnavigazione dell’Africa, sono an cora la prima poco praticabile (circa tre mesi l’anno) e la seconda troppo costosa (circa il doppio), per cui c’è ancora del margine a disposizione affinché l’Italia ed i paesi mediterranei si attrezzino per affrontare le sfide del futuro, che avranno come tematiche principali lo svi luppo di navi container con sempre maggior disloca mento e il posizionamento dei grandi gruppi di «shipping» che, attraverso operazioni di consolidamento verticale, possono diventare interlocutori di grande peso. Non è da sottovalutare anche la concorrenza «terrestre» della nuova Via della Seta che offrirà un percorso su ro taia sì più costoso, ma anche molto più veloce.
Un pensiero finale può essere rivolto al mercato do mestico, dove il trasporto marittimo ha un tonnellaggio annuo di circa la metà rispetto a quello su gomma, no nostante l’Italia sia una Penisola per tre quarti bagnata dal mare. L’auspicio è che, in un futuro non lontano, il focus delle istituzioni e delle grandi aziende sul costo delle spedizioni e sulla sostenibilità ambientale dei tra sporti, facciano invertire questa proporzione. 8
(6) A. Caravale, I. Toffoletti, Anfore antiche. Conoscerle e identificarle, Atripalda 1998, pp. 88-89.
(7) P.P.A. Furnari, C.U. Carlan, P.P. Duprat, Arquelogia e Economia Antigua no Mediterraneo, Sao Paulo 2019, pp. 26-41.
(8) F. Cassola, Storia di Roma dalle origini a Cesare, Milano 2019, pag. 92.
(9) Ibidem
(10) G. Bandelli, La Pirateria adriatica di età repubblicana come fenomeno endemico, in AA.VV, La pirateria nell’Adriatico antico, a cura di Lorenzo Braccesi, Venezia 2002, p. 64.
(11) Liv. XLI, 1, 3: «Adversus Illyriorum classem creati duumviri navales erant, qui tuendae viginti navibus maris superi orae Anconam velut cardinem haberent; inde L. Cornelius dextra litora usque ad Tarentum, C. Furius laeva usque ad Aquileiam tueretur».
(12) J. A. Davison, «Cicero and the Lex Gabinia». The Classical Review, vol. 44, n. 6, 1930, pp. 224-25.
(13) Cicerone. De imperio Cn. Pompei, 52.
(14) Plutarco, Vita di Pompeo, 50.
(15) F. De Romanis, In tempi di guerra e di peste Horrea e mobilità del grano pubblico tra gli Antonini e i Severi, in AA.VV, Antiquités Africaines, t. 43, Parigi 2007, pp. 187-230.
(16) Flavio Giuseppe, Bell. Iud., II, 386.
(17) Bonacci, Lucia. Il Grano Gallico: Magazzini Di Stoccaggio e Tempi Di Trasporto a Roma. Pallas, n. 99, 2015, pp. 175-91.
(18) F. Marazzi, Roma, il Lazio, il Mediterraneo: relazioni fra economia e politica dal VII al IX secolo, in AA.VV, La storia economica di Roma nell’Alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici, Firenze 1993, pp. 267-282.
(19) D. M. Dunlop, Encyclopaedia of Islam, 2002.
(20) C. Picard, Il mare dei califfi, Roma 2017, pagg. 10-12.
(21) G. Candiani, Vele, remi e cannoni: l’impiego congiunto di navi, galee e galeazze nella flotta veneziana, Venezia 2009, pag. 119.
(22) P.G. Donini, Il mondo islamico, Bari 2003, pp. 106-111.
(23) L. Piccinno, Economia marittima e operatività portuale, in Atti della Società ligure di storia patria, Nuova Serie, vol. XL (CXIV) Fasc. I, Genova 2000, pp. 54-58.
(24) E. Grendi, Traffico e navi nel porto di Genova fra 1500 e 1700, in La Repubblica Aristocratica, p.348.
(25) A. Martelli, La disfatta dell’Invincibile Armada, Il Mulino, Bologna, 2008.
(26) A. Carreño, E. Sanchez, S. Gomez, E. Martinez, L. Lloret, Salvaguardando las areas marinas protegidas del Mediterraneo en la creciente economia azul, 2019, p. 30.
(27) A. Montanino, S. Camerano, R. Giuzio, L. Recagno, C. Valdes: Suez e le rotte alternative: il futuro dell’Italia nel commercio marittimo, per Cassa Depositi e Prestiti, 2021.
Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»
Michele PagliaroUfficiale della Marina Militare italiana, formatosi presso l’Accademia navale di Livorno (2014-18), Corpo di Stato Maggiore. Ha con seguito la Laurea triennale e poi quella magistrale in Scienze marittime e navali rispettivamente nel 2016 e nel 2018 approfondendo, in quest'ultima, il tema della guerra ibrida navale, con particolare riferimento al contrasto della pirateria. Nel 2020 ha assunto l’incarico di Capo Reparto telecomunicazioni/condotta nave e meteo a bordo della fregata Libeccio della Marina Militare italiana. Nel 2022 ha conseguito la Laurea magistrale in Relazioni e organizzazioni internazionali presso l’Università degli studi della Campania «Luigi Van vitelli» con la votazione di 110 e lode. Autore della pubblicazione: Guerra asimmetrica e minaccia ibrida sul mare: pirateria e sicurezza marittima, edito da «Fondazione Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici».
Secondo l’European Parliament Research Service, una «minaccia ibrida» è un fenomeno derivante dalla convergenza e dall’interconnessione di elementi diversi che concorrono a formare un «pericolo imminente» complesso e multidimensionale (1). Dati i
diversi livelli di intensità di una minaccia e dell’inten zionalità che la anima, l’EPRS distingue tra le defini zioni di conflitto e guerra ibridi, per cui il primo individua una situazione in cui le parti astenendosi dall’uso delle Forze armate fanno affidamento su in
timidazione militare (pur non al livello di un attacco convenzionale), sfrutta mento delle vulnerabilità economiche, politiche e tecnologiche, rimanendo al di sotto della soglia della guerra dichiarata formalmente (2); nella seconda ac cezione un paese ricorre all’uso delle Forze armate contro un soggetto politico statuale o meno, oltre che all’attivazione di altri mezzi (economici, politici, di plomatici, tecnologici).
La definizione di «minacce ibride» rimane dunque flessibile anche nella sua dimensione giuridica, assecondandone la natura multiforme e in continua evo luzione. Il concetto generale mira dunque a catturare l’insieme di attività coer citive e sovversive, metodi convenzionali e non posti in essere da attori statali o meno per destabilizzare un avversario, sebbene non dichiarato formalmente come tale. La «minaccia ibrida» è dunque identificata da nozioni più ampie che designano il verificarsi di minacce simultanee alla sicurezza (3). Secondo l’EPRS, tale concetto può spiegare situazioni diversificate, inclusi atti terrori stici e di gruppi criminali armati, azioni contro la sicurezza informatica, con troversie marittime, limitazioni all’uso dello spazio orbitale, atti economici ostili, operazioni militari coperte (4). Per questo motivo l’Unione europea ha spesso focalizzato l’attenzione sul concetto di minaccia, non necessariamente sovrapponibile a quello di «guerra ibrida», al fine di prevenire gli attacchi alla sicurezza dello spazio comune, senza trascurare il concetto di «guerra ibrida», che focalizza l’attenzione sulle varie attività, violente e non, non trascurando peraltro i paradigmi individuati dalla NATO (5).
Asimmetria giuridica e metodo interdisciplinare
Il fenomeno delle «minacce ibride» richiede un’attenzione particolare: sebbene questo termine sia ampiamente utilizzato, le sue categorizzazioni e implicazioni a livello giuridico sono meno diffuse, cosa che conduce a contesti di per sé stessi non sempre facilmente valutabili. È dunque palmare che il fenomeno necessiti di metodi interdisciplinari intersecanti politica, diritto, condotta delle operazioni e aspetti securitari. Date multiformità e sfuggenza della guerra ibrida, non esiste ancora una previsione normativa capace di regolamentarla in modo stringente; al momento si può dunque procedere solo a un contrasto per approssimazioni, analogie, analisi dei singoli casi. Gli esperti concordano largamente sul fatto che la caratteristica principale di questo fenomeno sia la cd. asimmetria giuridica (6). I soggetti politici ibridi si insinuano nelle lacune legislative, nelle vulnerabilità e nelle complessità dei sistemi giuridici occidentali, tesi a contemperare i diritti soggettivi con i doveri discendenti dall’appartenenza alla comunità, volti alla tu tela della democrazia (7). Le minacce ibride sfruttano, tra i confini del noto, la terra di nessuno che annichila risposte e contromisure, e abilmente violano la so stanzialità del dettato legale, perpetrando azioni di un’imputabilità così ardua da determinare un’intricata mescolanza di ambiguità giuridica e fattuale che connota la legge stessa quale arma di guerra ibrida (lawfare) (8), lasciando la politica quale causa e principio ispiratore clausewitziano. Qualunque attore ibrido sfrutta le nebbie di qualsiasi guerra per creare una zona grigia, all’interno della quale
poter operare liberamente (9). Regolamentare giuridicamente la «guerra ibrida» è dunque una sfida, e lo sarà ancora di più in futuro, per i soggetti a cui è deman data la funzione legislativa. Dal punto di vista giuridico, l’accezione «guerra ibrida» compare, per esempio, quando in presenza di un conflitto armato viene richiamata l’applicazione dei di sposti del diritto internazionale umanitario (DIU), non alieno tuttavia dalla già citata «asimmetria» che la tipologia di conflitto genera (10). Gli studiosi di diritto internazionale, relazioni internazionali e analisi dei conflitti percepiscono la «guerra ibrida» come la combinazione di minacce alla sicurezza che in precedenza erano considerate separatamente. Il concetto di «guerra ibrida», infatti, contempla l’uso di tecniche che ampliando il quadro generale, trascendono le usuali capacità cinetiche esercitate da soggetti legittimi; mezzi non cinetici e di bassa intensità rientrano in questa definizione, richiamano alla mente tecniche cyber e cognitive puntate alla propaganda e mirate alle minoranze e ai movimenti d’opinione, senza dimenticare la rilevanza di attori chiave caratterizzati dall’uso di fondi di dubbia provenienza (11). Un contesto così complicato pone inevitabilmente nuove insi diose sfide all’efficace applicazione del diritto internazionale e delle legislazioni nazionali, chiamate, congiuntamente o in autonoma ma parallela coerenza, a co gliere le sfuggenti sfumature del fenomeno (12).
Si ritiene che queste attività siano dirette e coordinate con l’obiettivo di ottenere un «effetto sinergico nella dimensione fisica e psicologica del conflitto» (13), mentre numerosi studiosi vedono questo tipo di minaccia come intrinsecamente nuovo. La proliferazione della guerra ibrida è stata incoraggiata «dall’emergere di nuovi attori sub-statali, nuovi tipi di armi e nuove rappresentazioni ideologiche» (14). Altri ricercatori ritengono che la guerra ibrida riguardi pratiche presentate come nuove ma già esistenti in passato (15) per cui ritengono che il termine «guerra» pur fuorviante sia ancora generalmente accettato e che, oltre alle classi che azioni di guerra, vi sia oggi un preminente ricorso ad azioni conflittuali asim metriche e ibride, intraprese da attori non statali non dichiarati (16). Come sottolineato dagli esperti, che hanno preso parte alla audizione davanti alla Com missione dell’Unione europea, nel novembre 2017, la cosiddetta guerra ibrida è un concetto politico più che legale, e l’asimmetria è la sua caratteristica principale. A tale proposito Robin Geiss (17) ha sostenuto che, sebbene ci siano molte defi nizioni di «guerra ibrida», l’elemento che le accomuna è il ricorso a «un uso ina spettato e non ortodosso di tattiche sovversive». Secondo Aurel Sari (18), la definizione di «minacce di guerra ibrida», inclusa nella Dichiarazione del vertice del Galles dei capi di Stato e di Governo della NATO (4-5 settembre 2014), ha posto l’accento sul fatto che tali minacce si dispieghino in «un progetto altamente integrato», in cui è coinvolta «una vasta gamma di forze armate, paramilitari e civili». Sari si concentra sulla nozione di «avversario ibrido» come colui che mira a creare un contesto di «asimmetria identificativa» sfruttando limiti regolamentari, complessità, incertezza (19), in modo da generare ambiguità giuridica, violare ob blighi normativi, utilizzare la legge a difesa della sua narrativa strategica propo nendo una contro-narrativa strumentale atta a creare un contesto che favorisca le
proprie operazioni. Questa definizione accentua l’uso della legge come strumento dello jus ad bellum e in bello (Lawfare) nelle sue diverse accezioni (20).
È interessante notare che, secondo Sari, escludere l’uso della Forza armata dalla definizione di «minacce ibride» «riduce l’ibridismo a un sinonimo di comples sità». Il concetto di «minacce ibride» dovrebbe essere riservato a situazioni in cui Stati o attori non statali im piegano mezzi di guerra non violenti come strumenti di conflitto, integrandoli con l’uso della Forza armata o la minaccia della forza. Gli studiosi non hanno mostrato molto interesse per gli aspetti giuridici della «guerra ibrida», poiché la maggior parte dei problemi legali le gati a questo concetto — come la violazione dell’inte grità territoriale, il sostegno ai movimenti separatisti o il mancato rispetto degli accordi internazionali — non sono nuovi. L’ampiezza e la fluidità concettuale ne ren dono difficile l’identificazione e la rappresentazione giuridica (21). Proprio per il fatto che le «minacce ibride» siano ascrivibili a un concetto omnicompren sivo, e non esista una definizione universalmente con divisa, esse si prestano a distinguo e ambiguità. Secondo Robin Geiss, per ridurre il «ginepraio concet tuale», non è necessario introdurre la nozione di «guerra ibrida», poiché la definizione esistente di «guerra» è di
per sé sufficiente a comprenderla, semmai è utile spe cificare la natura della minaccia ibrida. Di fatto il lemma guerra compendia sia l’attrito convenzionale che una conflittualità in cui utilizzare tecniche per le quali «mi nacce ibride» o «conflitti ibridi» sono termini che com pendiano una terminologia afferente altri mezzi di conflitto, come la disinformazione (22).
Il quadro giuridico applicabile
Nel diritto internazionale, l’uso della forza da parte degli Stati è regolato dal cosiddetto jus ad bellum, che definisce il diritto di intraprendere un’azione di «guerra giusta» (23). In ambito istituzionale la regolamenta zione statuita dalle NU tutela l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli Stati, riaffermando il prin cipio di non ingerenza per questioni attinenti alle giu risdizioni nazionali, eccezion fatta per le fattispecie riguardanti il diritto di autodifesa e le misure che il Consiglio di Sicurezza è autorizzato a prendere di con seguenza (24). Il diritto all’autodifesa, consolidato nel diritto internazionale consuetudinario, è attivato da un attacco armato. Se l’intensità delle operazioni di un av versario ibrido non raggiunge il livello necessario o si limita alla minaccia della forza, il diritto di rispondere usando la stessa per autodifesa non può essere invo
Le
sfide giuridiche alle «minacce ibride»
cato. Nel caso Nicaragua vs Stati Uniti, la Corte inter nazionale di giustizia (ICJ), ha riaffermato che il diritto all’autodifesa può essere esercitato solo in risposta a un «attacco armato». L’ICJ ha riscontrato che l’assi stenza ai ribelli sotto forma di fornitura di armi o sup porto logistico, non rientrava nell’ambito di applicazione di questo diritto; tuttavia, «tale assistenza può essere considerata come una minaccia dell’uso della forza, o equivalere a un intervento negli affari in terni o esterni di altri Stati» (25). Questo introduce una sottile differenza giuridica tra uso della forza e attacco armato (26): distinguo non riconosciuto dagli Stati
mercenari, contractors o altri attori non statali, al fine di avviare una «guerra per procura» (proxy war) o atti vità conflittuali di disturbo contro un altro Stato, sarà più difficile per lo Stato bersaglio attribuire la respon sabilità dell’azione violenta al suo avversario (29).
Lo jus in bello (o International Humanitarian Law) stabilisce le regole su come le operazioni possono essere condotte durante un conflitto armato. I conflitti armati sono regolati non solo dalle Convenzioni CRI di Ginevra del 1949 e dai protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, ma anche dalle norme consuetudinarie internazionali.
Uniti, per i quali qualsiasi uso della forza fa scaturire, in linea di principio, il diritto all’autodifesa. Con il ri sultato che, combattendo il terrorismo, gli Stati Uniti hanno ampliato il concetto di «guerra», sia geografica mente che temporalmente (27). Un altro problema sorge con gli attacchi armati provenienti da attori non statali. Sebbene la pratica internazionale abbia accet tato che il diritto all’autodifesa si estenda a tali attacchi, l’ICJ ha affermato che questo diritto non dovrebbe es sere utilizzato se l’attacco proviene dall’interno, e non dall’esterno, del territorio del bersaglio (poiché mette rebbe in gioco l’integrità territoriale dello Stato aggre dito) (28). Ciò significa che se uno Stato recluta
Un «conflitto armato» può essere di carattere inter nazionale o meno (30) e la sua concettualizzazione trova sistematizzazione negli artt. 2 e 3 comuni alle Convenzioni di Ginevra (31). È generalmente accettato che debbano essere soddisfatti due requisiti: 1) un li vello minimo di intensità, il che significa che le ostilità devono essere di carattere collettivo», o il Governo deve utilizzare la forza militare così come la forza di polizia; 2) i gruppi non governativi devono essere «parti in conflitto». Vale a dire che i gruppi devono es sere organizzati, avere una struttura di comando e con durre operazioni militari (32).
Se una guerra ibrida si qualifica come IAC, le que stioni di attribuzione, ai sensi del DIU e della legge sui
diritti umani, sono più semplici. Poiché la soglia per l’applicabilità della legge alla circostanza di conflitto armato internazionale è piuttosto bassa (dunque il diritto internazionale ha una maggiore incidenza), è probabile che un avversario ibrido neghi il proprio coinvolgi mento in un tale conflitto armato o eviti il coinvolgi mento diretto in operazioni di combattimento. Se le ostilità sono inevitabili, è nell’interesse dell’avversario usare tattiche ibride e impiegare deleghe (proxy actors) per nascondere il proprio coinvolgimento e far apparire il conflitto come puramente interno (NIAC) allo Stato bersaglio. Ciò con l’intento di «depotenziare» il rango del conflitto, da internazionale a nazionale e, conse guentemente, di alzare la soglia di applicabilità della normativa internazionale (con il ricorso al diritto in terno), rendendo così più debole e isolata la posizione dello Stato bersaglio nella comunità internazionale.
Oggi le guerre formalmente dichiarate sono rare nelle relazioni internazionali. Tuttavia, per l’applica zione del complesso normativo afferente all’Interna tional Humanitarian Law, non sono necessari né dichiarazione né riconoscimento formale di uno stato di guerra (33). È interessante notare come gli Stati, in particolare quelli con un alto tasso di conflittualità in terna, potenziale o reale, politicamente deboli e inca paci di controllare appieno il proprio territorio, stiano pericolosamente perdendo la «presa» sul monopolio della forza. Infatti, il numero di conflitti interstatali è
diminuito, ma il numero di conflitti armati non inter nazionali (NIAC) è notevolmente aumentato (34). Con il risultato che molti NIAC, in un secondo momento, vengono gioco forza internazionalizzati attraverso l’in tervento di altri Stati, individualmente o sotto l’egida delle organizzazioni internazionali, a sostegno di una o più parti in conflitto (35). Inoltre, è indubbio che il progresso tecnologico abbia reso i conflitti contempo ranei più asimmetrici (36).
In caso di conflitto si applicano sia il diritto interna zionale dei conflitti armati, sia il diritto internazionale per i diritti dell’uomo. La Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU o, in inglese, ECHR) ha chiarito che, in circostanze eccezionali, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo può essere applicata extra territorial mente anche nei casi riguardanti conflitti armati al di fuori dell’area geografica del Consiglio d’Europa (37). Tuttavia, l’applicazione della legge sui diritti umani è vincolata dal DIU, che opera come lex specialis (38). Coerentemente con la giurisprudenza della Corte Inter nazionale di Giustizia, nella causa Hassan contro Regno Unito, la Corte Europea dei Diritti Umani ha sottolineato che: «Anche in situazioni di conflitto ar mato internazionale, le salvaguardie ai sensi della Convenzione continuano ad applicarsi, sebbene inter pretate sullo sfondo delle disposizioni diritto umanita rio» (39). Quando si verificano violazioni del DIU, gli Stati hanno l’obbligo di perseguire i presunti autori di
reato ai sensi del diritto interno. Oltre a ciò, tali viola zioni possono essere perseguite anche da tribunali pe nali internazionali, di volta in volta istituiti e competenti per la repressione di attività individuali le sive di beni particolarmente protetti dal diritto interna zionale. Tuttavia, come sottolineato da Andrey L. Kozik (40) all’udienza davanti al Committee on Legal Affairs and Human Rights, del novembre 2017, il DIU presenta lacune e un meccanismo di applicazione de bole (41). In caso di «minacce ibride», non comparabili con le azioni che rientrano nell’ambito del DIU, gli Stati devono agire attraverso diritto penale interno (comprese le disposizioni sui crimini terroristici) e pre visioni regolamentari afferenti i diritti umani. Gli stru menti giuridici statuiti in ambito internazionale, inoltre, in funzione della minaccia paventata e riconosciuta, trovano specifica applicazione nella prevenzione e re pressione dei reati.
Nel caso di azioni ostili su larga scala, come le cam pagne di disinformazione, se da un lato va considerato il disposto dell’art. 17 della CEDU per cui nessuna di sposizione convenzionale può essere interpretata nel senso di comportare un diritto a esercitare un’attività che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà rico nosciuti imponendo a tali diritti e libertà limitazioni più estese di quelle previste, dall’altro vanno ponderate le misure deliberate sulla base del secondo paragrafo dell’art. 215 TFUE che possono essere utilizzate per
combattere fenomeni diversi dal terrorismo internazio nale e possono concretizzarsi in sanzioni di varia natura colpendo soggetti, e non solo Stati terzi, che pongono in essere campagne di disinformazione. Che la disin formazione possa rappresentare un’estrinsecazione bel lica, lo ha riconosciuto il Tribunale dell’Unione nel respingere il ricorso dell’emittente RT France contro la decisione 2022/351 il Regolamento 2022/350. In tale contesto, per effetto dell’art. 33 della Convenzione, ogni Alta Parte Contraente può deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere impu tata ad un’altra Alta Parte Contraente laddove ovvia mente le tattiche ibride, con il coinvolgimento di terzi per procura, occultino i diretti responsabili.
Per quanto riguarda gli attacchi informatici, l’appli cazione del dettato normativo è ancora oggetto di stu dio, specialmente per quanto riguarda il cyberspazio e le reazioni adottabili agli attacchi informatici, per i quali non esiste ancora una definizione uniformemente accettata (42). Nel 2013, il gruppo di esperti governa tivi delle Nazioni unite ha emesso un rapporto in cui dichiarava l’applicazione del diritto internazionale al cyberspazio, seguito, due anni dopo, da altro studio su norme, regole e principi di comportamento responsa bile nel cyberspazio da parte degli Stati, fermo restando l’impegno al «non intervento negli affari interni dei sin goli Stati» (43). Attualmente il dibattito sugli attacchi
Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»
informatici si svolge nei contesti dello jus ad bellum e dello jus in bello. Se con sensualmente il diritto internazionale si applica al cyberspazio, il dibattito in re lazione alla qualificazione degli attacchi informatici come reati fondamentali nell’ambito dell’International Criminal Law, è stato meno intenso.
La Convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d’Europa del 2001 (STCE n° 185), è l’unico strumento internazionale vincolante in questo campo, applicabile anche da Stati non membri e funge da linea guida per qualsiasi paese che sviluppi una legislazione nazionale organica contro la criminalità informatica; rappresenta, inoltre, un quadro di riferimento normativo dedicato alla cooperazione internazionale per il contrasto ai crimini informatici (44). Nel nostro paese l’arti colo 37 del decreto legge «Aiuti», che avvicina a paesi come Stati Uniti e Francia e che richiede integrazioni con una serie di provvedimenti che ne consentono l’ef ficacia operativa e la tenuta giurisdizionale, contempla una norma che consente di reagire ad attacchi informatici anche provenienti dall’estero grazie anche al coinvolgimento delle strutture militari della Difesa (45).
Nel febbraio 2017 è stato pubblicato il Manuale di Tallinn 2.0 relativo al diritto internazionale e alla sua applicabilità alle operazioni informatiche (46) la pub blicazione, redatta da un gruppo di 19 esperti di diritto internazionale sotto l’egida del Centro di eccellenza per la difesa cibernetica della NATO basato a Tallinn, in Estonia, è un tentativo, non vincolante, di formalizzare l’applicazione del diritto internazionale al cyberspazio, dove il punto di vista espresso non è quello ufficiale dell’Alleanza, e dove è risultato difficile concordare un metodo adottabile circa l’applicazione della legge a situazioni specifiche. Come sottolineato da Kozik nel novembre 2017 il DIU, pur proibendo gli attacchi diretti contro obiettivi non legittimi, non colpisce tutti i tipi di azioni cibernetiche malevole (47).
Sebbene il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ritenga che la de finizione di «attacco», contemplata nel DIU, possa estendersi ai casi di attacchi in formatici (48) non è chiaro in quali situazioni uno Stato possa invocare il diritto alla difesa in caso di offesa. Il buon senso vorrebbe che agli Stati fosse consentito di adottare tutte le misure proporzionate e necessarie per evitare conseguenze dannose.
Lacune legislative e possibili soluzioni
Nascondendo il coinvolgimento nel conflitto, usando la forza tramite procura e conducendo le operazioni a un livello di intensità tale da non superare le soglie legali pertinenti, un attore ibrido può impiegare Forze armate contro un altro Stato, inibendone l’uso della forza in propria difesa tanto da creare una sorta di asimme tria legale. L’uso della legge a sostegno della guerra non è una novità (49). Secondo Sari, contrastare queste sfide legali comporta tre compiti, finora poco esplorati in ambito internazionale; il primo concerne l’elaborazione di una definizione giuri dica dinamica e flessibile delle minacce ibride di cui l’asimmetria è caratteristica distintiva; per il secondo aspetto, che contempla le vulnerabilità legislative, va ri cordato che, contro azioni equivalenti a un attacco armato, lo Stato bersaglio può usare la forza a fini di autodifesa; il terzo elemento si indirizza agli strumenti le gislativi di prevenzione, deterrenza, e difesa attiva dalle minacce ibride (50). Vale
Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»
la pena rammentare che, in questo ambito, il Consiglio d’Europa non vanta alcuna competenza, in quanto la difesa nazionale esula dal campo di applicazione delle sue attività in base all’articolo 1, lettera d), dello Statuto, benché non si possa tra lasciare l’appartenenza a Nato e UE di molteplici attori, da porre in funzione degli strumenti giuridici a disposizione in caso di attacco armato.
L’offesa portata contro un membro della NATO determina l’applicazione del l’articolo 5 del Trattato, finalizzato a giungere a una risposta collettiva anche in caso di attacchi terroristici provenienti da entità esterne (51). Le minacce ibride che non raggiungono la soglia di un attacco armato possono essere affrontate sulla base dell’articolo 4, che stabilisce che i membri della NATO possono consultarsi ogni qualvolta integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza di qualcuno di loro sia minacciata (52). In generale, gli Stati devono essere in grado di contrastare le minacce ibride mediante l’uso di contromisure proporzionate (rappresaglie) (53).
Nell’Unione europea, l’articolo 42 paragrafi 1 e 2 del Trattato sull’Unione euro pea stabilisce che «la politica di sicurezza e di difesa comune è parte integrante della politica estera e di sicurezza comune» e «include la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione». L’articolo 42, paragrafo 6 del TUE, consente agli Stati membri, le cui capacità militari soddisfino criteri più elevati, di stabilire una cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Coope ration, PESCO) (54) istituita con decisione del Consiglio dell’UE dell’8 dicembre 2017; l’articolo 42, paragrafo 7 del TUE, contiene una clausola di assistenza reci proca in caso di aggressione armata, ma la sua portata rimane poco chiara (55).
La NATO e l’UE, nei prossimi anni, saranno sempre più spesso chiamate a ope rare congiuntamente per trovare una comune definizione giuridica delle minacce ibride e per acquisire una coerente consapevolezza, così da provare a ovviare alle vulnerabilità e alle lacune legislative dinanzi alle inedite e nuove modalità, non sempre facilmente dimostrabili, di uso della forza, di intimidazione e di disinfor mazione. L’asimmetria giuridica, determinata dal sempre più frequente ricorso a strategie e tattiche ibride da parte di attori statali e non, costituirà un problema stringente per le Organizzazioni internazionali e rappresenterà una sfida affasci nante per il diritto internazionale dei conflitti. In questo ambito NATO e UE do vranno integrare efficacemente competenze e strumenti giuridici, metodi di deterrenza, capacità preventive e difensive; ambedue le organizzazioni, già dal l’aprile 2017, hanno istituito l’European Excellence Center for Countering Hybrid Threats, un think tank intergovernativo con sede a Helsinki, costituito da 13 Stati membri e rappresentanti dell’UE e della NATO (56). Fino a che punto le minacce ibride possono giustificare restrizioni ai diritti umani? Nel contrastare tali fatti specie gli Stati firmatari della CEDU possono fare riferimento all’articolo 15 co. 1, che consente agli Stati di derogare ai loro obblighi, ai sensi della Convenzione, in tempo di guerra o «altro tempo di emergenza pubblica che minacci la vita della nazione». Tale deroga dovrebbe essere applicata «nella misura strettamente richie sta dalle esigenze della situazione» senza essere incompatibile con altri obblighi previsti dal diritto internazionale e dagli inderogabili principi del diritto, e tenendo conto che gli Stati non possono derogare a particolari e stringenti previsioni (57).
Quando uno Stato deroga alla Convenzione, deve in formarne il Segretario generale del Consiglio d’Europa. La CEDU si applica anche durante i conflitti armati in ternazionali, anche se deve essere interpretata in consi derazione delle altre previsioni del diritto internazionale e del DIU tanto che gli obblighi derivanti dal disposto di cui all’art. 5 CEDU devono essere armonizzati con le previsioni della III e IV Convenzione di Ginevra, che ammettono più ampi poteri di detenzione per motivi di sicurezza (58). Qualora un contraente intenda esercitare tali poteri, pur non essendo necessario che avanzi una richiesta formale di deroga, dovrà dichiarare la sua vo lontà di non adempiere agli impegni assunti ratificando la Convenzione, non rientrando tra i compiti della Corte presumerne l’intenzione (59).
Gli Stati solitamente invocano la «sicurezza nazio nale» per motivare il contrasto alle minacce ibride; ai sensi della Convenzione la sicurezza nazionale insieme con la «sicurezza pubblica» e la «prevenzione del cri mine o del disordine», è considerata come un «obiet tivo legittimo» che consente agli Stati di limitare alcuni diritti (60). L’ «integrità territoriale» costituisce un’altra motivazione legittima e limitante la libertà di espres sione. Qualsiasi restrizione deve essere proporzionata, «prescritta dalla legge», «necessaria in una società de mocratica». L’art. 18 costituisce ulteriore salvaguardia contro gli abusi, prevedendo che le restrizioni «non de vono essere applicate per scopi diversi da quelli per cui sono state prescritte».
La Corte EDU, nell’esaminare i casi in cui gli Stati hanno invocato la «sicurezza nazionale» per limitare di ritti fondamentali, ha contribuito a stigmatizzare il ter mine della questione come vago e indefinito, tenuto conto della discrezionalità di cui godono gli Stati, e della labilità del confine tra legittimità e arbitrarietà. La Corte EDU, applicando il principio a casi pratici riguar danti la protezione della sicurezza e la salvaguardia della democrazia, ha conferito allo stesso sostanza ef fettiva, nella premessa che i casi giudicati godessero di base ragionevole e della qualità della legge interna di riferimento, della corretta applicabilità e della propor zionalità della stessa in relazione alla minaccia da pro vare (61). La sorveglianza segreta di individui e gruppi, anche in considerazione dello sviluppo tecnologico, è
uno dei casi più importanti in cui è stata invocata la tu tela della «sicurezza nazionale». La Corte EDU ritiene che le leggi, che permettono eccezionalmente e tempo raneamente tale interferenza nella privacy, debbano es sere «accessibili» alle persone interessate, «prevedibili» quanto ai loro effetti, e dettagliate. Non a caso la Corte sottolinea che gli Stati devono dimostrare sia l’esistenza di garanzie adeguate ed efficaci contro gli abusi ai danni dei cittadini in nome della sicurezza nazionale, sia che sussistano motivi fondati per attuare tali misure di sor veglianza, temporanea e autorizzata dalle autorità pre poste, in ottemperanza ai diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. A tal proposito, è bene precisare che i singoli che ritengano lesi i propri diritti alla privatezza, possono adire ricorso alla Corte ex art. 34 della Con venzione e art. 47 del Regolamento della Corte in ma teria di contenuto di ricorso individuale.
Nel procedimento Roman Zakharov c. Russia, ca ratterizzato dall’intercettazione delle comunicazioni te lefoniche basata sulla legge antiterrorismo, la Corte EDU ha riscontrato carenze giuridiche ravvisando il «rischio che un sistema di sorveglianza segreta, istituito per proteggere la sicurezza nazionale, potesse, di con tro, addirittura distruggere la democrazia con il pretesto di difenderla» (62). È interessante notare come la Corte EDU stia ancora esaminando un numero rilevante di casi riguardanti l’intercettazione massiva di comunica zioni telefoniche esterne da parte di agenti dei servizi di intelligence britannici, e la conseguente condivisione di informazioni tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, come rivelato da Edward Snowden (63). Per quanto ri guarda la libertà di espressione di cui all’art. 10 CEDU, quest’ultima non può introdurre alcuna fattispecie apo logetica della violenza (64) tanto da poter fare escludere dalla Corte la possibilità di attuazione della previsione tutelante o risarcitoria ex articolo 17 della Conven zione, laddove le circostanze evidenzino un concla mato incitamento all’odio o a condizioni che negano i valori fondamentali della Convenzione stessa (65). La Corte EDU ha anche riconosciuto l’importanza di in ternet e delle nuove tecnologie, in merito all’esercizio della libertà personale di propagazione e ricezione delle informazioni; di contro sta individuando, elaborando e accogliendo misure legittime e funzionali a limitare,
fino a bloccare, gli accessi a internet da parte di propa gandisti della violenza. Il punto chiave è quello di man tenere un equilibrio tra il diritto di espressione individuale e la legittima esigenza degli Stati di garan tire la sicurezza e la stabilità nazionale, nella dimen sione reale e nella comunità virtuale (66).
In un documento informativo del Consiglio d’Eu ropa, circa lo stato di diritto su internet e nel più ampio mondo digitale, il commissario per i diritti umani, Nils Muižnieks, ha concluso che gli Stati che intendano in terferire con i diritti fondamentali sulla base di una pre sunta minaccia alla sicurezza nazionale, devono dimostrare che la minaccia non possa essere sventata mediante il diritto penale ordinario, leggi speciali anti terrorismo comprese in linea con gli standard interna zionali di diritto e procedura penale. Ciò vale anche per le azioni statali che riguardino internet e le comunica zioni elettroniche. Il mancato rispetto del requisito di cui sopra, viola lo stato di diritto internazionale (67).
Le preoccupazioni per la sicurezza degli Stati ri guardo alle minacce ibride sono dunque legittime, in particolare se si considerino i modi in cui tali minacce possono minare il nucleo stesso delle società democra tiche. In assenza di limitazioni riconosciute a livello in ternazionale sull’uso della vasta gamma di mezzi ibridi per la conduzione di un conflitto, gli Stati utilizzano il diritto penale interno come strumento di contrasto al fenomeno; tuttavia alcune delle misure interne, adottate in risposta alle minacce ibride, possono violare i diritti fondamentali. Per questo motivo la CEDU e la giuri sprudenza della Corte EDU rappresentano gli essen ziali strumenti di risposta, equilibrata ed efficace, alle domande che sorgono intorno a questi nuovi fenomeni. Le preoccupazioni, connesse alla salvaguardia del ri spetto dei diritti umani nella lotta contro le minacce ibride, possono essere superate, per esempio, seguendo il modello interdisciplinare creato e attuato per com battere i terrorismi interni e trans-nazionali. Le risposte legislative degli Stati alle minacce ibride dovrebbero essere legittime, lecite, proporzionate al pericolo atteso e reale. In caso di dubbio, gli Stati dovrebbero richie
NOTE
dere il pronunciamento della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia) su specifici disegni di legge (68). Per quanto riguarda la libertà di espressione, nulla viete rebbe di introdurre circostanziate e temporanee restri zioni volte a controllare il contenuto delle notizie naturalmente senza finalità discriminatorie o di censura generale. Inoltre, fenomeni come le campagne di disin formazione possono ingenerare un conflitto tra diritti umani individuali e libertà fondamentali, avendo da un lato la libertà di espressione, dall’altro il diritto all’in formazione e il diritto a libere elezioni (come garantito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1).
Una risposta alle minacce ibride dovrebbe includere strumenti giuridici, di controspionaggio, diplomatici e militari. Il Consiglio d’Europa, sebbene non sia com petente in materia di difesa, dovrebbe essere coinvolto nella progettazione di un modello integrato di contrasto alle minacce ibride, congiuntamente all’Unione euro pea, alla NATO e alle Nazioni Unite (69). Un altro aspetto non trascurabile è che l’«area grigia» giuridica indotta da queste nuove minacce, per natura divisive, può pericolosamente minare la cooperazione giuridica internazionale basata sulla fiducia reciproca e sulla comprensione comune delle norme applicabili (70).
Infine, come accennato in precedenza, per contra stare le minacce ibride gli Stati potrebbero fare riferi mento all’esperienza acquisita sul campo nella lotta al terrorismo, forti della consapevolezza della natura tran snazionale del fenomeno riportata traslata nella Con venzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo (71) e in efficaci leggi penali nazionali in materia. Il Consiglio d’Europa ha sviluppato un quadro globale che mira a promuovere e monitorare i diritti fondamentali nella lotta al terrorismo (72). Questo qua dro potrebbe servire da modello per contrastare le mi nacce ibride, nel pieno rispetto dei diritti umani, promuovendo ulteriori ratifiche della Convenzione sulla criminalità informatica e avviando una riflessione su come la convenzione viene applicata e se deve es sere migliorata (73). 8
(1) European Parliament Research Service (EPRS), Understanding hybrid Threats, At a glance, Brussels, June 2015, pp. 1-2. https://www.europarl.europa.eu/thin ktank/en/ document.html?reference= EPRS_ATA (2015) 564355.
Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»
(2) European Commission, Joint communication to the European Parliament and the Council, Joint framework on countering hybrid threats, a European Union re sponse, Brussels, 6 April 2016, JOIN (2016) 18 final, paragraph 1, p. 2. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016JC0018&from=EN.
(3) J. Jordán, Hybrid Warfare: A Catch-all Concept, Estudios Globales, 16/10/2017, https://global-strategy.org/hybrid-warfare-a-catch-all-concept.
(4) T. Balasevicius, Looking for Little Green Men: Understanding Russia’s Employment of Hybrid Warfare, Canadian Military Journal, Vol. 17, No. 3, Summer 2017, pp. 17-28. http://www.journal.forces.gc.ca/Vol17/no3/PDF/CMJ173Ep17.pdf.
(5) G. Lasconjarias and J. A. Larsen, Editors, NATO’s Response to Hybrid-Threats, NATO Defence College, NDC Forum Papers Series, Rome, 2015. https://www.ndc.nato.int/news/news.php?icode=886.
(6) R. McKeown, Legal asymmetries in asymmetric war, Review of International Studies, Vol. 41, No. 1, January 2015, pp. 117-138.
(7) U. Leanza, I. Caracciolo, Il diritto internazionale. Diritto per gli stati e diritto per gli individui. Parte generale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2012.
(8) O. F. Kittrie, Lawfare: Law as a Weapon of War, Oxford Scholarship online, 2016. https://oxford.universitypressscholarship.com/view/10.1093/acprof:oso/ 9780190263577.001.0001/acprof-9780190263577.
(9) R. Brooks, Rule of Law in the Grey Zone, Modern War Institute, Westpoint, New York State, 2018. https://mwi.usma.edu/rule-law-gray-zone.
(10) B. Cilevics, Legal challenges related to hybrid war and human rights obligations, Parliamentary Assembly, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Report, Doc. 14523, 06 April 2018, p. 1. «The concept of “hybrid war” or “hybrid threat” raises several questions. The Committee on Legal Affairs and Human Rights considers that although there is no universal definition for these terms, the main feature of a “hybrid war” is its “legal asymmetry”, as hybrid adversaries deny their activities and operate on the very fringes of the law. While military actions are underway, international law, especially the right to self-defence and humanitarian law, apply. In the event of non-military actions, it is above all domestic criminal law that comes into play. In all cases, human rights must be respected. Any restriction of these rights must comply with the requirements resulting from the European Convention on Human Rights». https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTMLen.asp?fileid=24547&lang=en.
(11) A. Gross, Refusing impunity for the killers of Sergey Magnitsky, Parliamentary Assembly, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Report, Doc. 13356, 27 January 2014, pp. 1-5. https://pace.coe.int/pdf /a6d4bcdecb8616bce3dca9e 148f28d4882042- 3d2a54eb80c2de42ff9db007c77 /doc.%2013356%20add.pdf.
(12) D. Cantwell, Hybrid Warfare: Aggression and Coercion in the Gray Zone, American Society of International Law, Volume 21, Issue 14, November 29, 2017. https://www.asil.org/insights/volume/21/issue/14/hybrid-warfare-aggression-and-coercion-gray-zone.
(13) F. G. Hoffman, Conflict in the 21st Century: The Rise of Hybrid Warfare, Potomac Institute for Policy Studies, Arlington, Virginia, December 2007, p. 8.
(14) F. B. Huyghe, The impurity of war, International Review of the Red Cross, Vol. 91, No. 873, March 2009. Pp. 1-14,https://international-review.icrc.org/articles/im purity-war.
(15) A. Deep, Hybrid War: Old Concept, New Techniques, Small Wars Journal, 03/02/2015, https://smallwarsjournal.com/jrnl/art/hybrid-war-old-concept-newtechniques «While the means by which state and non-state actors conduct hybrid war today have changed, the fundamental principle of utilizing a combination of conventional and irregular methods to achieve a political objective is consistent with older forms of conflict».
(16) B. Renz and H. Smith, et al., Russia and Hybrid Warfare, Going Beyond the Label, Aleksanteri Papers 2016/1, Kikimora Publications, University of Helsinki, 2016, p.11.
(17) Direttore dell’Istituto delle Nazioni unite per la ricerca sul disarmo.
(18) Professore associato di diritto internazionale pubblico presso l’università di Exeter e direttore dell’Exeter Center for International Law.
(19) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, Hybrid CoE Research Report 3, November 2021, pag. 26. https://www.hybridcoe.fi/wpcontent/uploads/2021/10/20211104_Hybrid_CoE_Research_Report_3_Hybrid_threats_and_the_law_WEB.pdf «According to the Assembly, hybrid adversaries exploit lacunae in the law and the complexity of legal systems, operate across legal boundaries and in under-regu-lated spaces, exploit legal thresholds, are prepared to commit substantial violations of the law and generate confusion and ambiguity to mask their actions».
(20) S. D. Bachmann, A. B. Munoz Mosquera, Hybrid Warfare as Lawfare: Towards a Comprehensive Legal Approach, in, E. Cusumano, M. Corbe, editors, A CivilMilitary Response to Hybrid Threats, Palgrave Macmillan, London, 2018, pp. 61-76.
(21) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, cit., pp. 16-18.
(22) Council of Europe, Parliamentary Assembly, Legal challenges related to hybrid war and human rights obligations, pp. 1-16.http: / /semantic–pace.net/tools/ pdf.aspx?doc=aHR0cDovL2Fzc2VtYmx5LmNvZS5pbnQvbncveG1sL1hSZWYvWDJILURXLWV4dHIuYXNwP2ZpbGVpZD0yNDU0NyZsYW5nPUVO&xsl =aHR0cDovL2Fzc2VtYmx5LmNvZS5pbnQvbncveG1sL3hzbC1mby9QZGYvWFJlZi1XRC1BVC1YTUwyUERGLnhzbA==&xsltparams=ZmlsZWlkPTI0NTQ3.
(23) S. Pietropaoli, Jus ad Bellum e Jus in Bello. La vicenda teorica di una grande dicotomia del diritto internazionale, Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 38, 2009, Il Diritto dei Nemici, Tomo I, dott. A. Giuffrè Editore, Milano, pag. 1171. «Secondo la risoluzione adottata dall’American Society of Inter national Law a conclusione dell’Annual General Meeting del 2006, lo jus ad bellum è definito come quel settore del diritto internazionale, rappresentato fondamen talmente dalla Carta delle Nazioni Unite, che regola il ricorso all’uso della forza armata; lo jus in bello è invece quel settore del diritto internazionale che disciplina la condotta dei conflitti armati e l’occupazione bellica, ed è costituito principalmente anche se non esclusivamente dalle Convenzioni di Ginevra del 1949». (24) Vd. L’art. 2 della Carta delle NU, gli artt. 51 e 42, la risoluzione 2625 dell’Assemblea generale delle NU del 25 ottobre 1970.
(25) International Court of Justice, Militarv and Puramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America). Merits, Judgment. I.C.J. Reports 1986, judgment of 27 June 1986, paragraph 195, p. 93. «(…) an armed attack must be understood as including not merely action by regular armed forces across an international border, but also the sending by or on behalf of a State of armed bands, groups, irregulars or mercenaries, which carry out acts of armed force against another State of such gravity as to amount to (inter alia) an actual armed attack conducted by regular forces, or its s ubstantial involvement therein». https://www.icj-cij.org/public/files/case-related/70/070-19860627-JUD-01-00-EN.pdf.
(26) N. Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Giappichelli, Edizione VII, Milano, 2021, pag.35.
(27) M. Schmitt, Counter-Terrorism and the Use of Force in International Law, in, Fred L. Borch and Paul S. Wilson, editors, International Law and the War on Terror, International Law Studies, Volume 79, Naval War College, Newport, Rhode Island, 2003, pag. 8. https://digital-commons.usnwc.edu /cgi/viewcontent.cgi ?article=1288&context=ils.
(28) ICJ, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion of 9 July 2004, paragraph 139.
(29) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, op. cit., p. 25.
(30) C. Marchand (Editor), G. L. Beruto (Associated Editor), The Distinction between International and Non-International Armed Conflicts: Challenges for IHL?, 38th Round Table on Current Issues of International Humanitarian Law (Sanremo, 3rd-5th September 2015), Franco Angeli, Milano,2016, pag.46. La IAC è definita nel l’articolo 2 comune alle Convenzioni di Ginevra e nell’articolo 1, sezione 4, del Protocollo aggiuntivo I, mentre la NIAC nell’articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e nell’articolo 1, sezione 1 del Protocollo aggiuntivo II.
(31) Art. 2 una IAC è una «guerra dichiarata o ... qualsiasi altro conflitto armato che possa sorgere tra due o più Stati». Art. 3 si applica ai «conflitti armati non di carattere internazionale che si verifichino nel territorio di una delle Alte Parti contraenti».
(32) International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the Term «Armed Conflict» Defined in International Humanitarian Law?, Opinion Paper, March 2008, p. 3. Moreover, Article 1 Section «which take place in the territory of a High Contracting Party between its armed forces and dissident armed forces or other organized armed groups which, under responsible command, exercise such control over a part of its territory as to enable them to carry out sustained and concerted military operations and to implement this Protocol».
(33) Vd. Artt. 2 e 3 della IV Convenzione di Ginevra.
(34) I. Caracciolo, Il problema del diritto applicabile ai conflitti armati interni, alle guerre civili regionalizzate e alle guerre transnazionali, in I. Caracciolo, U. Montuoro, a cura di, Conflitti armati interni e regionalizzazione delle guerre civili, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, pp. 37-56.
(35) N. Kalandarishvili-Mueller, Transforming a Prima Facie NIAC into an IAC: Finding the Answer in IHL, Israel Law Review, Volume 53, Issue 3, November 2020, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 334-354.
Rivista Marittima Settembre 2022
Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»
(36) M. N. Schmitt, War, Technology and the Law of Armed Conflict, in, Anthony M. Helm, Editor, The Law of War in the 21st Century: Weaponery and the the Use of Force, International Law Studies, Volume 82, 2006, Stockton Center for International Law, Stockton, California.
(37) ECHR cases concerning international military operations in Iraq: Al-Sadoon & Mufdhi v. the United Kingdom, application no. 61498/08, judgment of 2 March 201; Al-Skeini and Others v. the United Kingdom, application no. 61498/08, and Al-Jedda v. the United Kingdom, application no. 55721/07, judgments of 7 July 2011 (Grand Chamber). See also a case concerning Turkish soldiers’ intervention in Iran: Pad and Others v. Turkey, Application no. 60167/00, judgment of 28 June 2007.
(38) ICJ, Legality of the Threat of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, 8 July 1996, ICJ Reports 1996, para. 25. See also Noam Lubell, Challenges in applying human rights law to armed conflict, International review of the Red Cross, vol. 87/860, December 2005.
(39) ECtHR, Hassan v. the UK, application no. 29750/09, judgment of 16 September 2014, paragraphs pp. 102-103.
(40) Laureato con lode presso la Presidential Academy of Public Administration School of Law (Minsk, Bielorussia) ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto in ternazionale presso la Belarusian State University (2003). Insegna diritto internazionale pubblico e diritto del cyberspazio (IT) nelle università dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. È membro del Consiglio di amministrazione della Società internazionale per il diritto militare e il diritto di guerra, il gruppo di lavoro del Manuale di Tallinn 2.0. Ha pubblicato più di 40 articoli e co-autore di 5 libri. I suoi interessi primari sono il DIU e il Cyberspazio.
(41) Parliamentary Assembly, To the members of the Committee on Legal Affairs and Human Rights, Synopsis of the meeting held in Paris on 13 November 2017, AS/Jur (2017) CB 08,15 November 2017. http://www.assembly.coe.int/committee/JUR/2017/JUR008E.pdf.
(42) B. H. McClintock, Russian Information Warfare: A Reality That Needs a Response, July 21, 2017. The International Committee of the Red Cross (ICRC), for in stance, defines it as any hostile measures against an enemy designed «to discover, alter, destroy, disrupt or transfer data stored in a computer, manipulated by a computer or transmitted through a computer», https://www.icrc.org/en/document/cyber-warfare.
(43) UN, Reports of the Group of Governmental Experts on Developments in the Field of Information and Telecommunications in the Context of International Security, A/68/98, 24 June 2013, and A/70/174, 22 July 2015.
(44) Council of Europe, Convention on Cybercrime, Budapest, 23.XI.2001, European Treaty Series, No. 185 https://rm.coe.int/1680081561.
(45) Con una sentenza pronunciata l’8 aprile 2022 il Conseil Constitutionel francese ha dichiarato legittima la norma che consente alla procura della Repubblica di invocare il secret de la défense nationale per utilizzare apparati dello Stato diversi dalla magistratura.
(46) M. N. Schmitt, Tallinn Manual 2.0 on the International Law Applicable to Cyber Operations, second edition, Cambridge University Press, Cambridge, 2017.
(47) Regola 92, Manuale di Tallinn 2.0: un attacco informatico è «un’operazione informatica, sia offensiva che difensiva, che ci si può ragionevolmente aspettare causi lesioni o morte a persone o danni o distruzione a oggetti». Tale definizione implica che, per potersi qualificare come uso della forza, una cyber-operazione deve essere paragonabile in scala ed effetti a quelli di un attacco cinetico secondo la Regola 69 dello stesso Manuale. Pertanto, nel valutare se un’operazione in formatica equivale a un uso della forza, il fatto che la forza sia stata agita con mezzi informatici è irrilevante.
(48) International Committee of Red Cross (ICRC), Cyber warfare, 29 October 2010. https://www.icrc.org/en/document/cyber-warfare.
(49) L’invasione giapponese della Manciuria nel 1931 presenta molte somiglianze con l’annessione russa della Crimea nel 2014.
(50) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, op. cit., pp. 26-27.
(51) North Atlantic Treaty Organization (NATO), Statement by the North Atlantic Council, press release (2001)124, 12 September 2001, https://www.nato.int/ docu/pr/2001/p01-124e.htm.
(52) S. L. Bumgardner, Article 4 of the North Atlantic Treaty, 34 Emory International Law Review, 71, 2019, p. 72, https://scholarlycommons.law.emory.edu /eilr/vol34/iss0/6. «One 21st Century view is that Article 4 enshrines territorial integrity, political independence, or security as NATO’s original threat perception.’ But this view overlooks Article 4 as a means, through consultation, to collectively consider threats that were something other than an armed attack». (53) S. Darcy, Retaliation and Reprisal, in, Marc Weller, edited by, The Oxford Handbook of the Use of Force in International Law, Oxford University Press, January 2015. (54) S. Blockmans & Dylan Macchiarini Crosson, PESCO: A Force for Positive Integration in EU Defence, European Foreign Affairs Review 26, Special Issue, 2021, Kluwer Law International BV, The Netherlands, pp. 87–110.
(55) Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, C 326/13, Trattato sull’Unione Europea (versione consolidata), pp. 1-34. https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02 / DOC _ 1&format=PDF.
(56) P. Pawlak, Countering hybrid threats: EU-NATO cooperation, briefing, European Parliament Research Service (EPRS), March 2017, pp. 1-12. https://www.eu roparl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/599315/EPRS_BRI(2017)599315_EN.pdf.
(57) Il diritto alla vita (eccetto quanto riguarda i decessi derivanti da legittimi atti di guerra); il divieto di tortura e trattamenti o pene inumani o degradanti; il divieto di schiavitù e lavoro forzato; il rispetto del principio «nulla poena sine lege»; il divieto di pena capitale e il diritto a non essere processato o punito due volte.
(58) Il caso Hassan contro il Regno Unito prende origine dal ricorso di un cittadino iracheno che denunciava l’illegittimità dell’arresto e della detenzione cui era stato sottoposto il fratello da parte dell’esercito britannico durante l’invasione dell’Iraq, in considerazione del mancato avviso di deroga alla Convenzione ex art. 15 CEDU. La Corte ha accolto le argomentazioni del Governo inglese secondo cui l’omissione di un avviso di deroga formale non ha impedito di considerare le caratteristiche del contesto di riferimento e le disposizioni del DIU nell’interpretazione e nell’applicazione dell’art. 5 CEDU.
(59) R. Comte, State of emergency: proportionality issues concerning derogations under Article 15 of the European Convention on Human Rights, Council of Europe, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Declassified AS/Jur (2017) 03, 27 February 2017 Doc. 14506. http://www.assembly.co e.int/Committee/JUR/ 2017/20170227-ejdoc03-EN.pdf.
(60) Diritto al rispetto della vita privata e familiare; libertà di espressione, di riunione e associazione (paragrafo 2 degli articoli 8, 10 e 11 della Convenzione); libertà di circolazione (paragrafo 3 dell’articolo 2 del Protocollo n. 4. La tutela della «sicurezza nazionale» può giustificare l’espulsione di uno straniero che risiede legalmente nel territorio di uno Stato senza bisogno di rispettare le garanzie procedurali ex art. 1 co. 2 del Protocollo n. 7).
(61) ECHR, Research Division, National security and European case-law, Council of Europe, Report, 2013, p. 5.
(62) 43 Roman Zakharov v. Russia, application no. 47143/06, judgment of 4 December 2015 (Grand Chamber), para. 232.
(63) ECtHR, Great Chamber, Case of Big Brother Watch and Others v. The United Kingdom, Applications nos. 58170/13, 62322/14 and 24960/15, Judgment, Stra sbourg, 25 May, 2021. https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-210077%22.
(64) ECtHR, Zana v. Turkey, 18954/91, Judgment 25.11.1997. https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22002-7806%22.
(65) ECtHR, Seurot c. France, ricorso n. 57383/00, decisione sulla ricevibilità del 18 maggio 2004.
(66) Ahmet Yildirim c. Turchia, ricorso n. 311/10, sentenza del 18 dicembre 2012, e Cengiz e altri c. Turchia, ricorsi n. 48226/10 e 14017/11, sentenza 1 dicembre 2015.
(67) European Council, Commissioner for Human Rights, The rule of law on the Internet and in the wider digital world, Issue Paper, December 2014, p. 107.
(68) Council of Europe, Venice Commission, The European Commission for Democracy through Law, https://www.coe.int/en/web/human-rights-rule-of-law/venicecommission.
(69) United Nations, Security Council, Prevention, Development Must Be at Centre of All Efforts Tackling Emerging Complex Threats to International Peace, Secre tary-General Tells Security Council, 8144th Meeting, SC/13131, 20 December 2017, https://www.un.org/press/en/2017/sc13131.doc.htm.
(70) M. M. Fogt, Legal Challenges or «Gaps» by Countering Hybrid Warfare-Building Resilience in Jus Ante Bellum, Southwestern Journal of International Law, Vol. XXVII, n.1, 2021, Southwestern Law School, Los Angeles, California, https://www.swlaw.edu/sites/default/files/2021-03/Full%20issue.pdf.
(71) Council of Europe, Council of Europe Convention on the Prevention of Terrorism, Warsaw, 16.V.2005, Council of Europe Treaty Series-No. 196, https://rm.coe.int/16808c3f55.
(72) Parliamentary Assembly Council of Europe (PACE), Mass Surveillance, Resolution 2045, 2015. http://assembly.coe.int/nw/xml/xref/xref-xml2htmlen.asp?fileid=21692&lang=en. Si veda anche, Parliamentary Assembly Council of Europe (PACE), Combating international terrorism while protecting Council of Europe standards and values, Resolution 2090, 2016. https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=22481&lang=en.
(73) Council of Europe, Convention on Cybercrime, Budapest, 23.XI.2001, European Treaty Series - No. 185, https://rm.coe.int/1680081561.
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
Prime lezioni e valutazioni
Michele CosentinoContrammiraglio (ris.) del Genio Navale, ha frequentato l’Accademia Navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica all’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sotto marini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma nella Direzione generale degli Armamenti navali, il Segretariato generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti e lo Stato Maggiore della Marina, in incarichi relativi al procurement di sistemi navali, alla cooperazione internazionale e alle re lazioni con le Marine estere. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles, occupandosi di Politica militare e Pianificazione delle Forze. Nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn, occupandosi della gestione dei programmi d’armamento in coo perazione e delle discipline nel settore del programme management. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto Consigliere Nazionale dell’ANMI per il Lazio Settentrionale e successivamente Membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’ANMI. Dalla primavera del 2021 fa inoltre parte del Consiglio Direttivo e del Co mitato Scientifico del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar). Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere e ha pubblicato oltre 600 fra libri, saggi monografici, articoli e ricerche su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale: partecipa regolarmente a convegni e seminari su tematiche di si curezza marittima e geopolitica.
L’invasione militare dell’Ucraina a cura della Federazione Russa, iniziata il 24 febbraio 2022, si è sviluppata anche attraverso una direttrice marittima focalizzata prevalentemente sul Mar Nero: a circa 8 mesi dall’inizio del conflitto, la quantità e la qualità delle informazioni giunte in Occi dente attraverso varie fonti consentono di analizzare al cuni eventi importanti che rientrano nella dimensione marittima del conflitto e di esprimere le valutazioni su quanto occorso e su quanto potrebbe accadere.
Gli obiettivi politico-strategici di Mosca
Esaminando gli eventi occorsi a cavallo del 24 feb braio 2022, il principale e immediato obbiettivo della
Un’immagine che mostra l’incendio scoppiato a bordo della nave da sbarco russa SARATOV, colpita, direttamente o indi rettamente, da un missile ucraino mentre si trovava nel porto di Berdyansk, già occupato dalle forze russe (defenceimagery).
Russia era — e forse rimane — assicurarsi che l’Ucraina cessasse di rivolgersi all’Occidente, neutralizzandone manu militari le aspirazioni all’ingresso nell’Alleanza atlantica e nell’Unione europea. A quest’obiettivo si col lega la duplice volontà di chiudere l’accesso al mare al l’Ucraina (indispensabile per i commerci marittimi di Kiev) e di ampliare una zona cuscinetto fra il territorio russo e quello delle nazioni dell’Europa centrorientale aderenti alla NATO: il corollario chiave legato a questi obiettivi rimane l’espansione dell’influenza politica della Russia su altre zone d’interesse, mettendo in campo una forza militare che durante la Guerra fredda aveva avuto l’occasione di esprimere parzialmente le proprie capacità solamente in Afghanistan. Se il perseguimento di questi
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
obiettivi è legato all’impiego di uno strumento militare dimensionato per operazioni essenzialmente aeroterrestri e missilistiche, la neutralizzazione dell’Ucraina e l’inti midazione di altre nazioni filo-occidentali non NATO, per esempio la Georgia, doveva svilupparsi anche attra verso operazioni marittime, condotte nel Mar Nero. Na turalmente, l’espansione delle operazioni al teatro marittimo del Mar Nero ha implicato per Mosca anche una valutazione del possibile comportamento e delle pos sibili reazioni non solo della Romania e della Bulgaria (nazioni NATO con forze navali di dimensioni tutto som mato modeste), ma soprattutto della Turchia, anch’essa nazione NATO in possesso di forze navali di tutto ri spetto, ma che da qualche anno a questa parte segue una sua agenda politico-strategica non sempre analoga a quella dell’Alleanza, e a volte simile a quella russa per motivi politici ed economici. In questa valutazione di Mosca, non poco hanno giuocato anche le evidenze ope rative legate alla geografia, in primo luogo la necessità della Marina turca di tener gli occhi aperti su tre fronti marittimi, il Mar Nero a nord, l’Egeo a est e il Levante mediterraneo a sud: per Ankara, questa necessità è legata a un’esigenza di elevato valore politico-strategico, vale a dire il mantenimento del suo ruolo di «guardiano degli
Stretti», in aderenza alla Convenzione di Montreaux (1).
Un ulteriore obiettivo politico della Russia era quello di spezzare la coesione politica della NATO e dell’Unione europea, facendo leva soprattutto sull’ec cezionale arma a sua disposizione, cioè le forniture di gas e petrolio a numerose nazioni dell’Europa centrale e meridionale: tuttavia, come si sarebbe potuto consta tare sin da subito, questa mossa non è andata a buon fine, pur con tutti i distinguo fra le predette nazioni. Anzi, a 8 mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, non sembra azzardato affermare che il Cremlino ha fal lito nel raggiungere quest’obiettivo, ottenendo invece l’effetto opposto in termine di risposta politico-militare a cura di NATO e UE.
Le caratteristiche generali del conflitto
Avendo assunto l’iniziativa di occupare il resto del territorio ucraino dopo l’invasione della Crimea nel 2014 e grazie al supporto fornito alle sedicenti Repubbliche secessioniste del Donbass, la Russia ha potuto scegliere che tipo di conflitto combattere per raggiungere gli obiettivi citati in precedenza. Denominata «operazione speciale» per fornirgli una patente di conformità giuri dica alla legislazione russa, l’invasione dell’Ucraina ha
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
visto l’applicazione integrale di quella che viene definita «dottrina Gerasimov», dal nome del capo di Stato Mag giore e viceministro della Difesa della Federazione Russa, il generale Valerij Vasilevic Gerasimov (2). In re altà, un’analisi delle valutazioni apparse sulla stampa russa e occidentale dopo il 2013 ha smentito che Gera simov sia l’autore di una vera e propria dottrina o addi rittura di una grand strategy: facendo infatti riferimento alla sua visione della grand strategy degli Stati Uniti, Gerasimov ha sostanzialmente dato organicità e appli cazione a concetti formulati dai suoi predecessori e col laboratori, in cui alle operazioni militari tradizionali vengono associate e mescolate — contestualmente o se condo un calendario ben determinato — forme di con flittualità non convenzionale (3). In sostanza, si propugna non solo lo sfruttamento massiccio della pro paganda e dei mezzi di comunicazione di massa (com prese le false informazioni), ma anche attacchi cyber, forme di coercizione economica, sobillazione politica e sociale, negazione delle risorse energetiche, impiego di contractors e qualsiasi altro strumento che, in un modo o nell’altro, possa provocare danno al nemico e ai suoi sostenitori. Al complesso di queste misure è stato dato il nome di guerra ibrida, all’interno della quale coesistono zone di guerra grigia assieme a zone di confronto soft (bianche) e zone di guerra guerreggiata (nere). Natural mente, il concetto di guerra ibrida è stato applicato, sep pur in scala minore, anche dalle forze ucraine, e il tutto sta influenzando non poco le opinioni di osservatori e analisti di tutto il mondo.
Circoscrivendo l’analisi alla conflittualità conven zionale, l’invasione russa del 24 febbraio aveva proba bilmente tre obiettivi tattici principali: la decapitazione del vertice politico-militare di Kiev, la conquista della costa ucraina a oriente e occidente della Crimea e l’oc cupazione del resto del territorio ucraino. Funzionale al raggiungimento di questi obiettivi è stata l’apertura di fronti d’avanzata a nord, est e sud. Oltre a una po polazione di circa 46 milioni di abitanti, l’Ucraina ha una superficie di 603.550 kmq e una parte di essa era già occupata da forze russe (Crimea) e filorusse (parte del Donbass); di conseguenza, l’invasione della Crimea nel 2014 aveva decurtato l’originaria estensione co stiera ucraina, pari a 1.550 km, di un buon 60% e pro
vocato una netta separazione fra la costa occidentale ucraina e quella orientale, quest’ultima affacciata su un Mar d’Azov ormai da tempo diventato uno specchio d’acqua chiuso presidiato e controllato dalla Marina russa. Inoltre, la costruzione del Ponte di Crimea (in russo, Krymskijmost), o Ponte di Kerč’), inaugurato nel dicembre 2019, ha facilitato enormemente i movimenti di personale e materiali fra il territorio della Federa zione Russa e la Crimea (4).
Mettendo a sistema questa configurazione territo riale e la tradizione militare russo-sovietica, la conno tazione convenzionale della guerra russo-ucraina ha visto finora una netta prevalenza della dimensione ae roterrestre, con massicci bombardamenti di artiglieria e missili (5), offensive condotte dall’Armata Rossa e operazioni di forze speciali. Nonostante questa preva lenza aeroterrestre, esiste un fronte marittimo del con flitto che non può essere ignorato e che va dunque analizzato in maggior dettaglio, considerandone le di verse implicazioni sulla situazione navale all’interno e all’esterno del Mar Nero.
I contendenti e le loro strategie
La dimensione marittima del conflitto russo-ucraino vede principalmente all’opera due forze navali ampia mente sbilanciate, la Marina ucraina e la Flotta del Mar Nero. Un tentativo di Mosca per rafforzare quest’ul
tima con unità combattenti e ausiliarie provenenti dalle altre Flotte della Marina russa (per lo più del Baltico e del Pacifico) è stato reso parzialmente vano dalla deci sione della Turchia di sospendere il transito dello Stretto dei Dardanelli in entrata e in uscita poco dopo l’inizio delle ostilità, applicando la Convenzione di Montreaux e considerando la Russia e l’Ucraina come nazioni belligeranti. La chiusura degli Stretti è stata an nunciata il 27 febbraio dal ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ribadendo l’attuazione in modo tra sparente di tutti gli articoli della Convenzione, e in par ticolare dell’Art.19: qualche giorno dopo, il presidente
Erdogan aveva affermato che il go verno di Ankara ha «… deciso di uti lizzare l’autorità conferita al nostro paese dalla Convenzione di Mon treux in modo da prevenire l’escala tion della crisi» (6).
L’Art.19 della Convenzione recita testualmente: «In tempo di guerra, ove la Turchia non sia belligerante, le navi da guerra godranno di com pleta libertà di transito e di naviga zione negli stretti nelle identiche condizioni di cui agli articoli da 10 a 18. Il passaggio attraverso gli Stretti sarò vietato nondimeno alle navi da guerra di tutte le Potenze belligeranti, salvo i casi rientranti nell’articolo 25 della presente Convenzione, nonché in caso di assi stenza prestata ad uno Stato vittima di aggressione in forza di un trattato di mutua assistenza, al quale la Turchia sia vincolata … (omissis)… In deroga al di vieto di transito sancito nel precedente secondo comma, le navi da guerra delle Potenze belligeranti rivierasche o no del Mar Nero, separate dalle loro basi, sono autorizzate a raggiungere tali basi. È vie tato alle navi da guerra belligeranti di procedere a catture, esercitare il diritto d’ispezione e abbando narsi a un qualsiasi atto ostile negli Stretti» (7).
Prima della decisione del governo turco, la Marina russa — Voennomorskoj flot o VMF — aveva potuto far affluire nel Mar Nero tre navi an fibie provenienti dalla Flotta del Bal tico, che si sono unite a quelle già presenti nella Flotta di base a Seba stopoli. Viceversa, la decisione di Ankara ha fatto sì che altre forze na vali russe affluite in Mediterraneo da Gibilterra fossero obbligate a unirsi a quelle già presenti nel bacino, pe raltro anch’esse appartenenti alla Flotta del Mar Nero: impossibilitato ad attraversare gli Stretti in entrata, l’insieme di queste forze è rimasto
dunque nel Mediterraneo, alternando il pendolamento fra la zona centrale e orientale del bacino con periodi di sosta nella base navale di Tartus, in Siria. Le unità navali russe presenti in Mediterraneo sono elencate nella tabella seguente: di esse, incrociatori e cacciator pediniere lanciamissili e unità ausiliarie sono stati ere ditate dalla Marina ex-sovietica e sono dunque di concezione e costruzione ormai lontane nel tempo, mentre le altre (i due sottomarini, la corvetta lancia
Tipo
Incrociatori lanciamissili
Cacciatorpediniere lanciamissili
Sottomarini
Fregate lanciamissili
Corvetta lanciamissili
Nome
missili e il cacciamine) sono unità entrate in servizio non da molto tempo, benché i loro progetti si rifacciano all’epoca precedente.
All’interno del Mar Nero, all’inizio del conflitto ope rava l’incrociatore lanciamissili Moskva (classe «Slava») in funzione di flagship per formazioni navali di superficie comprendenti le fregate Admiral Essen e Admiral Makarov (relativamente nuove) e un certo nu mero di unità anfibie tratte dagli 11 esemplari ivi dislo
Classe
Marshal Ustinov, Varyag «Moskva»
Admiral Tributs, Vitse Admiral Kulakov «Udaloy»
Novorossysk, Krasnodar
«Improved Kilo»
Admiral Kasatanov, Admiral Grigorovich «Gorskhov» ed eponima
Orekhovbo Zuyevo
«Buyan-M»
Cacciamine Vladimir Emelyanov «Alexandrit»
Rifornitore di squadra
Boris Chikilin
Eponima
Unità ausiliarie Vyazma, PM-82 «Kaliningrad» e «Amur»
Unità raccolta informazioni
VasilyTatishchev «Vishny»
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
cati: di queste ultime, una era la Petr Morgunov, relati vamente moderna, mentre le altre — comprensive delle tre transitate dagli Stretti prima della loro chiusura — appartenevano alle classi «Alligator» e «Ropucha», ri salenti all’era sovietica. A queste unità si aggiungevano i sottomarini Rostov-na-Donu, Stariy Oskol, Velikiy Novgorod e Kolpino (tutti appartenenti alla classe «Im proved Kilo»), 7 corvette lanciamissili (classi «Bykov» e «Buyan-M», di nuova costruzione), la fregata Ladnyy (classe «Krivak», obsoleta e di scarso valore bellico), 5 motovedette lanciamissili classe «Tarantul» (era sovie tica), 6 fregate leggere classe «Grisha» (anch’esse di era sovietica), un nucleo di 8 unità per le contromisure mine (con naviglio di varie epoche) e un nucleo di unità au siliarie di vari modelli, funzioni, dimensioni ed età (8). Tenendo conto di quanto esposto, è difficile capire quale fosse lo stato di efficienza complessiva della Flotta del Mar Nero nel febbraio 2022, a cui però la Marina ucraina poteva opporre solamente la fregata Hetman Sa haydachniy, (classe «Krivak III», autoaffondata in ban china a Mykolaiev qualche giorno dopo lo scoppio delle ostilità, per evitarne la cattura), non più di una decina di pattugliatori costieri e cannoniere di varie classi e un pugno di unità anfibie e ausiliarie di scarso valore bel lico: a queste invero limitate capacità, si aggiungevano quelle di un contingente di fanteria di marina (due bri gate, per un totale di circa 2.000 uomini) e di una brigata missilistica per la difesa costiera. Base principale della Flotta del Mar Nero, Sebastopoli ha giocato un ruolo chiave nella condotta delle operazioni, ma Mosca ha sfruttato anche la base navale di Novorossysk (sulla sponda orientale del Mar Nero) e alcune località minori in Crimea: concentrata per lo più a Odessa, i resti della Marina ucraina hanno cercato di resistere, senza suc cesso, all’avanzata delle forze di terra russe verso Ma riupol e Berdyansk.
Di fronte a questo oggettivo squilibrio fra i conten denti, è evidente che l’obiettivo delle forze ucraine fosse — e rimane — quello di negare, per quanto pos sibile, alla Flotta del Mar Nero di appoggiare dal mare le azioni delle forze terrestri, una sorta di sea denial costiero attuabile mediante la posa di campi minati, il paventato e attuato impiego di missili antinave e ope razioni dietro le linee nemiche. Di conseguenza e fa
vorita dalla possibilità di fare la spola con Sebastopoli per il rifornimento di combustibile, munizioni e viveri, l’azione della Flotta del Mar Nero è stata di supporto alle forze impegnate nell’offensiva terrestre, attraverso il lancio di missili da crociera «Kalibr», operazione questa affidata saltuariamente anche ai sottomarini di spiegati in Mar Nero: lanci di missili «Kalibr» contro obiettivi ucraini sono stati sporadicamente eseguiti anche da corvette di stanza nel Mar Caspio, mentre a supporto delle forze terrestri russe hanno operato anche i velivoli da bombardamento basati in Crimea e inqua drati nell’aviazione navale della Flotta del Mar Nero. L’altra missione affidata a quest’ultima ha riguardato l’imposizione di un blocco navale contro le coste ucraine a ovest e a est della Crimea: nel Mar d’Azov, il supporto delle forze navali russe ha consentito l’oc cupazione da terra del porto di Berdyansk e la distru zione di Mariupol, ma non si è ancora concretizzato
quell’attacco anfibio in massa ipotizzato sin dall’inizio del conflitto, soprattutto lungo la costa occidentale dell’Ucraina, e che sembrava dovesse seguire la con quista dell’isola dei Serpenti, a sudovest di Odessa. Vi ceversa, secondo il ministero della Difesa britannico un’operazione anfibia, probabilmente di entità ridotta, avrebbe avuto luogo il 26 febbraio fra Melitopol e Ber dyansk, funzionale a supportare dal mare l’azione delle forze terrestri russe impegnate in quell’area (9): tutta via, né fonti russe né ucraine hanno confermato lo sbarco, mentre è stato accertato che unità anfibie russe si sono ormeggiate a Berdyansk, dopo che la città era stata occupata.
Le azioni sul mare e dal mare e le perdite
Durante la fase iniziale dell’invasione dell’Ucraina, almeno due sottomarini in azione nel Mar Nero hanno lanciato missili «Kalibr» contro obiettivi di varia na tura, in una sorta di attacco di saturazione che eviden temente non ha dato il risultato sperato. Il Moskva e la corvetta lanciamissili Vasiliy Bykov hanno effettuato bombardamenti contro l’isola dei Serpenti, provocando la resa delle sparuta guarnigione ucraina ivi presente.
in Ucraina
Durante quest’operazione e pur senza subire danni, al cuni mercantili in navigazione al largo di Odessa sono stati colpiti, eventi che hanno provocato la quasi totale cessazione del traffico commerciale nel Mar Nero. Il problema della cessazione del traffico commerciale si è ulteriormente aggravato per Kiev con l’occupazione russa di Berdyansk e Mariupol, permettendo definiti vamente alla Marina russa di chiudere ogni accesso al Mar d’Azov in entrata e in uscita, scenario che ha por tato al blocco delle esportazioni del grano ucraino da quell’area e innescato una crisi alimentare non di poco conto. Inoltre, l’impiego delle unità anfibie russe in Mar Nero ha seguito uno schema intimidatorio che, di massima, ha visto un gruppo operare nel Mar d’Azov e l’altro pendolare al largo di Odessa, tenendosi però a opportuna distanza dalla zona costiera verosimilmente minata. A metà marzo 2022, l’occupazione di Ber dyansk ha permesso alle forze russe di catturare una quindicina di unità navali ucraine, più precisamente una cannoniera blindata veloce, una corvetta, una ve detta lanciamissili, un pattugliatore costiero, un draga mine, una nave da sbarco e un mezzo da sbarco, un rimorchiatore costiero e sei vedette costiere (10). Con
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
l’eccezione delle cannoniere, subito incorporate nella VMF, il resto del naviglio ha un valore bellico oggetti vamente limitato sia perché risalente all’epoca ex-so vietica, sia per le condizioni di scarsa efficienza dovuta a manutenzione carente.
Nonostante la schiacciante superiorità numerica delle forze militari russe, le carenze manifestate nelle operazioni terrestri hanno dimostrato problemi di na tura tattica, logistica e di comando e controllo, dando il via a una catena di eventi negativi anche per la Ma rina russa. Il 22 marzo un’unità veloce costiera d’as salto classe «Raptor» (simile alle unità svedesi «CB-90») è stata colpita da un missile anticarro sparato dalla costa nei pressi di Mariupol, certamente un epi sodio intrinsecamente secondario nell’economia gene rale della guerra, ma indicativo delle tattiche usate dalle forze ucraine. L’incolumità delle unità anfibie russe or meggiate a Berdyansk è stata messa a duro rischio due giorni dopo, quando un missile balistico tattico (pro babilmente «OTR-21 Tochka», lanciato dall’interno) ha colpito e distrutto in banchina il Saratov, un’unità della classe «Alligator»: dopo l’esplosione del missile, altre due navi da sbarco — Tsesar Kunikov e Novocher kassk, entrambi appartenenti alla classe «Ropucha-II» — hanno preso rapidamente il largo. Sebbene la perdita di una singola nave possa non aver rappresentato un danno importante per la Marina e le forze russe, la di struzione del Saratov ha avuto sicuramente un duplice effetto psicologico sul morale dei reparti impegnati sul campo e in mare. Fatto sta che nelle settimane succes sive, si è notato un calo dell’attività navale al largo
della costa occidentale della Crimea, con le unità anfi bie russe impegnate più che altro per dimostrare le pro prie potenzialità in materia d’assalto anfibio, piuttosto che nell’attuarlo concretamente.
L’azzeramento delle capacità di andar per mare dopo la perdita delle unità citate in precedenza ha obbligato la Marina ucraina a modificare la propria strategia, facendo unicamente affidamento alle batterie missilistiche anti nave costiere: questa decisione è probabilmente maturata grazie anche alla possibilità di impiegare contestualmente un certo numero di velivoli non pilotati che, operando sul territorio ucraino sin dall’inizio delle ostilità, avevano già riportato successi non secondari contro reparti terrestri russi. Un altro elemento che ha contribuito a questo cam bio di strategia è stata la certezza di poter disporre, a cura di risorse occidentali, di informazioni dettagliate utili alla localizzazione e alla neutralizzazione di potenziali ber sagli navali nemici in azione sul mare. L’integrazione di tutte le risorse disponibili ha permesso alla Marina ucraina di raggiungere l’obiettivo oggettivamente più si gnificativo nell’ambito delle operazioni aeronavali, vale a dire l’affondamento dell’incrociatore lanciamissili Mo skva: senza entrare nel dettaglio degli eventi e facendo riferimento alle informazioni giunte in Occidente, basterà qui ricordare che nelle ore serali del 13 aprile 2022, il Moskva è stato colpito da almeno uno, se non due, missili antinave «Neptune», lanciati da una batteria costiera, svi luppati e prodotti in Ucraina partendo da un analogo or digno d’origine russa, più precisamente il Kh-35U «Uran» (denominazione NATO AS-20 «Kayak» per la versione aria-superficie e SS-N-25 «Switchblade» per
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quella superficie-superficie). Il Moskva è affondato nelle ore mattinali del 14 aprile, mentre si tentava di rimor chiarlo a Sebastopoli, provocando un’ondata di notizie di fonte russa e ucraina, in perfetta aderenza alla propa ganda di guerra di cui aveva fatto parte, due settimane prima, quella del presunto affondamento o grave danneg giamento — peraltro mai confermato — della fregata lanciamissili russa Admiral Essen
Per la Marina ucraina, l’affondamento del Moskva a cura di una batteria missilistica costiera antinave ha avuto due implicazioni immediate: la consapevolezza che era possibile contrastare con efficacia forze navali nemiche pur non disponendo di analoghe risorse degne di questo nome e la possibilità di farlo in ma niera ancora più efficace se in possesso di missili an tinave più efficaci dei «Neptune». Da qui la decisione di alcune nazioni occidentali di dare il via all’invio di ordigni più prestanti e di consentire all’Ucraina la creazione di bolle A2/AD (Anti-Access/Area-Denial) distribuite lungo la costa occidentale ucraina e com prendenti risorse importanti quali gli UAV TB-2 Bay raktar — di matrice turca e di cui un numero imprecisato di esemplari è in servizio nella Marina ucraina — e una catena C4I «alimentata» da informa zioni provenienti da fonti esterne: infatti, non è certo
un mistero il ruolo giocato dai velivoli ISR, con e senza pilota, nella condotta delle operazioni sul mare e sul territorio, velivoli in azione costante all’interno dello spazio aereo delle nazioni NATO del Mar Nero e sopra le acque internazionali di quest’ultimo.
A conferma di ciò, il 2 maggio due unità veloci russe classe «Raptor» sono state attaccate da un TB-2, nei pressi dell’Isola dei Serpenti, con le riprese televisive che hanno mostrato il loro diffuso danneggiamento. Uno scenario analogo si è ripetuto il 7 maggio, con l’at tacco di un TB-2 a una piccola unità da sbarco russa classe «Serna» (105 tonnellate di dislocamento, in grado di trasportare 100 uomini o 45 tonnellate di ma teriali), impegnata a rifornire la predetta isola e affon data nell’azione. Quest’ultima era impegnata a sbarcare un sistema missilistico contraerei tipo «Tor» (denomi nazione NATO SA-15 «Gauntlet»), operazione comun que riuscita il 9 maggio a un’altra piccola nave da sbarco russa classe «Dyugon»; viceversa, è andata male al rimorchiatore d’altura russo Vasily Bekh (1.600 tonnellate di dislocamento), affondato il 17 giugno da due missili antinave mentre navigava verso un’isola che all’inizio dell’invasione dell’Ucraina era balzata agli onori della cronaca. Un’ulteriore conferma dell’ef ficacia della strategia ucraina è venuta dagli attacchi
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
ucraini condotti con successo nell’ultima decade di giu gno 2022 contro un sistema missilistico e artiglieresco contraerei «Pantsir-S» (denominazione NATO SA-22 «Greyhound») dislocato sull’Isola dei Serpenti e tre piattaforme petrolifere al largo della costa occidentale della Crimea: sebbene non siano state divulgate le mo dalità degli attacchi — confermati dalle foto satellitari —, è verosimile un impiego coordinato di velivoli TB2 e missili antinave. L’efficacia di queste tattiche, uni tamente all’incapacità della Marina russa nell’assicurare il controllo delle aree marittime a ri dosso dell’Isola dei Serpenti, hanno obbligato Mosca a evacuarla (30 giugno), dando la possibilità a Kiev di rivendicare un altro successo propagandistico.
Al di là dei dettagli tecnico/operativi, l’impressione è che già dopo 4 mesi dall’inizio del conflitto, e grazie anche agli aiuti occidentali, l’Ucraina sia riuscita a co struire una solida bolla A2/AD sulla costa occidentale del paese, limitando in qualche modo la libertà d’azione della Marina russa e obbligandola a operare al riparo della propria bolla A2/AD, notoriamente in centrata sulle infrastrutture missilistiche e sensoristiche realizzate nell’area di Sebastopoli. Col passare del tempo, l’efficacia della tattica ucraina ha provocato il diradamento delle unità di superficie russe fra Sebasto
poli, Novorossysk e altre località secondarie della Cri mea (e forse il danneggiamento di alcune di esse) e la distruzione a terra di numerosi velivoli dell’aviazione navale russa di base a Saki (in Crimea), contribuendo possibilmente a instillare nella mente dei vertici navali russi una sensazione di vulnerabilità che ne preclude l’azione decisa. Le azioni ucraine contro Sebastopoli hanno costretto Mosca ad annullare le celebrazioni per la festa della Marina russa, previste per il 31 luglio (svoltesi in tono minore a San Pietroburgo): il successo di tali azioni ha spianato la strada ad altri attacchi con tro obiettivi in Crimea, alcune condotte probabilmente da forze speciali provenienti dal mare e che hanno pro vocato danni non di poco conto alle infrastrutture russe.
Valutazioni generali
Le possibili analisi e valutazioni dopo circa 8 mesi di operazioni aeronavali possono essere suddivise se condo criteri puramente geografici, riconducibili ai teatro del Mar Nero e al Mediterraneo, fra loro natu ralmente correlati.
La Flotta del Mar Nero sembra mantenere un atteg giamento assai prudente, dimostrando gravi lacune nei principi fondamentali della guerra navale: la prima e forse più importante regola delle moderne operazioni ae
ronavali è infatti quella di non entrare nel raggio d’azione dei sistemi d’arma nemici senza una solida ed efficace protezione antiaerei, antimissili e antidroni. Dopo l’af fondamento del Moskva, la perdita di non poche unità ancorché minori, l’evacuazione dell’Isola dei Serpenti e altri danni non confermati hanno dimostrato la l’incapa cità della Flotta del Mar Nero nel difendersi da minacce aeree e missilistiche: se a ciò si aggiunge l’impossibilità per la Russia di rinforzare la Flotta del Mar Nero stante l’applicazione della Convenzione di Montreaux, si può affermare che essa non sarà in grado di operare in totale sicurezza nelle aree marittime coinvolte nel conflitto. Per contro, un possibile ritorno di forze ucraine sull’Isola dei Serpenti sarebbe comunque un successo di scarso signi ficato militare ma avrebbe un elevato valore simbolico per Kiev e rappresenterebbe un altro colpo non di poco conto per la reputazione della Russia. Reputazione non certamente ai massimi livelli internazionali a causa della tipologia degli obiettivi colpiti dalle incursioni missili stiche dal mare e del conseguentemente elevato numero di vittime civili: il massiccio impiego dei missili «Ka libr» non ne può confermare la precisione, e quindi l’ef ficacia militare (come quella di altri sistemi missilistici russi), mentre si è appreso che una buona percentuale di essi è stata abbattuta dalle batterie antimissili ucraine, comprese quelle schierate a difesa di Odessa e Mykola yev (11). Un ulteriore indicatore di un atteggiamento ispirato dalla massima prudenza nei confronti delle po tenziali offese ucraine è stato (a settembre 2022) il tra sferimento delle principali unità della Flotta del Mar Nero da Sevastopoli a Novorossysk, allontanandole dalle aree d’operazione impiegate sin dall’inizio del conflitto. Certamente efficace è stato il blocco navale attuato dalla Flotta del Mar Nero, un esercizio comunque facile se re lazionato all’intrinseca debolezza della Marina ucraina all’inizio del conflitto, anche se i prossimi eventi potreb bero portare a un ridimensionamento dell’efficacia. In fatti, annunciata dagli Stati Uniti a fine giugno 2022, la fornitura di 12 motovedette costiere «Mark VI» a Kiev, la costruzione di due corvette a cura di cantieri turchi e la cessione di tre cacciamine e di sei mezzi subacquei a controllo remoto per le contromisure mine a cura della Gran Bretagna, nonché di missili antinave a cura di altre nazioni potrebbe costringere la Flotta del Mar Nero ad
assumere una postura differente (12). Un minimo raffor zamento capacitivo della Marina ucraina nel settore delle contromisure mine potrebbe contribuire, assieme ad altri fattori, a una ripresa gradualmente crescente dei traffici marittimi di Kiev verso il resto dell’Europa, consoli dando ulteriormente i benefici derivati dall’accordo di fine luglio 2022 che ha riaperto le rotte del Mar Nero per l’esportazione del grano: un ruolo chiave in tal senso è quello svolto dalla Turchia, ufficiosamente riconosciuta quale interlocutore di Mosca e Kiev e in possesso di ri sorse navali importanti per il prosieguo del rispetto del predetto accordo e altre azioni discendenti di natura ma rittima. Al momento (metà settembre 2022), si valuta dunque che lo schema d’impiego della Flotta del Mar Nero — blocco marittimo nel Mar d’Azov e lanci mis silistici — non subirà variazioni almeno fino a quando non si verifichino significativi mutamenti nel quadro po litico, strategico e tattico in cui è incardinato il conflitto, compresi la riconquista di territori ucraini a cura delle forze di Kiev a est di Karckhiv e a nord della Crimea, senza peraltro escludere anche un’eventuale carenza di «Kalibr» dovuta a difficoltà dell’industria russa nel man tenere il ritmo della produzione con quello di un impiego massiccio e continuativo degli ordigni (13). Seguendo una logica riflessa anche nella dimensione marittima del conflitto, va infine ricordato il danneggiamento del ponte stradale e ferroviario di Kerch: sebbene le responsabilità dell’azione non siano state ancora appurate, la parziale distruzione del ponte ha contribuito a rallentare signifi cativamente il flusso logistico dal territorio costiero russo sul Mar Nero alla Crimea.
Per quanto riguarda invece il teatro mediterraneo, ci si è spesso domandato perché le unità navali russe pro venienti dalle Flotte del Nord e del Baltico non siano transitate tutte attraverso gli Stretti prima della loro pre vedibile chiusura, in modo da rafforzare maggiormente la Flotta del Mar Nero, invece di rimanere nel Medi terraneo, apparentemente tagliate fuori dal conflitto con l’Ucraina. In effetti, tenendo conto della strategia ap plicata per la condotta delle operazioni aeronavali nel Mar Nero, Mosca ha probabilmente ritenuto sufficiente che transitasse dagli Stretti solamente il naviglio neces sario a effettuare un’operazione anfibia o a paventarne l’esecuzione per bloccare risorse sulla costa nemica:
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
pertanto, la funzione delle forze navali russe rimaste al di qua dei Dardanelli — suddivise in almeno due Sur face Action Groups, SAGs, uno guidato dal Varyag e l’altro dal Marshal Ustinov — si può sintetizzare nel controllo e forse anche nella dissuasione delle assai più rilevanti forze aeronavali schierate nel Mediterraneo dalle nazioni dell’Alleanza atlantica, e di cui fanno parte tre gruppi incentrati su altrettante portaerei e una discreta aliquota di sottomarini. Dissuasione comunque rivelatasi alquanto velleitaria e di cui ha fatto parte la sortita in Adriatico di Varyag, Admiral Tributs, Admiral Grigorovich e VasilyTatishchev, artatamente “gonfiata” dalla stampa periodica e da qualche blog scandalistico nazionale e tenuta sotto il dovuto controllo dalla Marina Militare. A parte ciò, il dispositivo navale russo nel Me diterraneo è stato “alleggerito” dal rientro in Russia del Marshal Ustinov, probabilmente per eseguire interventi che a Tartus non era possibile eseguire; contestual mente, sono state diffuse informazioni sulla presunta presenza nel bacino di un sottomarino sovietico lancia missili da crociera, ma – come accade in casi del genere – non sono state divulgate notizie ufficiali. Rimanendo su questo tema, sarebbe normale è escluso che qualche battello assegnato alla Flotta del Nord sia stato inviato in Mediterraneo per rafforzare il dispositivo navale
russo, ma è certo che il complesso delle forze aerona vali occidentali presenti nel bacino lo ha tenuto — e lo tiene tuttora — sotto stretta osservazione, utilizzando una varietà di risorse che vanno dalle tre portaerei in azione già da febbraio (Harry Truman, Cavour e Char les de Gaulle, con relativi reparti aerei imbarcati) a unità di superficie e subacquee di varie classi e nazio nalità. Dopo il vertice NATO svoltosi a Madrid a fine giugno 2022, l’US Navy ha iniziato il dislocamento a Rota (in Spagna) di due cacciatorpediniere lanciamissili classe «Burke», che si affiancano ai quattro già nel l’area e che nel complesso appaiono oggettivamente pochi per soddisfare esigenze di competizione, crisi e conflitto in un territorio che va dal Mar Nero alle coste africane e dal Mediterraneo orientale all’Atlantico set tentrionale: il prolungamento del dispiegamento della portaerei Truman, destinata a rientrare a Norfolk dopo un turno nell’area del Golfo Persico, è una dimostra zione non solo dell’insufficienza di risorse aeronavali statunitensi destinate al teatro euromediterraneo ma anche della necessità di riempire stabilmente vuoti di potenza creatisi dopo il drastico ridimensionamento della VI Flotta dell’US Navy. Il gruppo aeronavale della Truman è stato sostituito da quello della portaerei Bush, ma il problema della permanenza stabile di una
La dimensione marittima della guerra in Ucraina
portaerei statunitense nel Mediterraneo rimane di attua lità. Tenendo conto che l’ingresso nella NATO di Sve zia e Finlandia porterà inevitabilmente a uno spostamento del focus verso i Fronti centrale e setten trionale dell’Alleanza atlantica, è certamente impor tante evitare che il Fronte meridionale della NATO non assuma una connotazione secondaria come ai tempi della Guerra fredda, una considerazione derivante dal fatto che esso era riduttivamente denominato «fianco». Dunque, ecco che per l’Italia si presenta una grande op portunità, grazie soprattutto a una Marina Militare di
NOTE
rango, certamente in grado di riempire i vuoti di potere di cui sopra e di svolgere un ruolo di primissimo piano nei prevedibili scenari geostrategici e multidimensio nali destinati a manifestarsi a breve, medio e lungo ter mine. Si tratta di scenari in cui si trova inserito saldamente il Mediterraneo Allargato, concetto geopo litico ormai da tempo radicato alla base dell’azione della Marina Militare, la cui importanza è stata ricono sciuta anche dall’autorità politica e che dunque rimane il perno degli interessi politici, energetici, diplomatici e di sicurezza dell’Italia.
(1) Firmata il 20 luglio 1936 nella cittadina svizzera da cui prende il nome, la Convenzione fu firmata da Belgio, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Giappone, Romania, Jugoslavia, Unione Sovietica e Turchia. Pur non avendo preso parte alla conferenza preparatoria, l’Italia aderì alla Convenzione nel 1938.
(2) Peraltro sparito dalla circolazione da molti mesi.
(3) Andrea Beccaro, Il concetto di Grey zone: la dottrina Gerasimov e l’approccio russo alle operazioni ibride. Possibili convergenze con la dottrina Cinese. Obiettivi strategici e metodologia d’impiego nello scenario geopolitico attuale. Prospettive del ruolo del Potere Aereo e Spaziale nei “Grey zone Scenarios”. Centro Militare di Studi Strategici, novembre 2020.
(4) Si tratta di un doppio ponte stradale e ferroviario costruito sullo stretto di Kerč’ e che unisce la penisola di Taman’, nel territorio di Krasnodar (Russia), e la penisola di Kerč’ in Crimea, territorio annesso alla Russia.
(5) Ampiamente utilizzata nel Donbass, l’artiglieria tradizionale e quella missilistica rimangono i cardini della dottrina militare dell’Armata Rossa. Nell’invasione del l’Ucraina e a similitudine di quanto fatto già in Siria, la Russia ha utilizzato anche missili antinave delle batterie costiere lanciati «al contrario», cioè verso bersagli terrestri anziché navali.
(6) Gabriele Iuvinale, Mar Nero: la Turchia ha l'autorità legale di chiudere lo stretto alle navi militari, www.extremarationews.com, 1° marzo 2022, (https://www.ex tremarationews.com/post/mar-nero-la-turchia-ha-l-autorit%C3%A0-legale-di-chiudere-lo-stretto-alle-navi-militari, consultato il 18 luglio 2022).
(7) Fabio Caffio, Glossario di diritto del mare. Diritto e Geopolitica degli Spazi Marittimi, Annesso D, IV edizione, Rivista Marittima, dicembre 2016.
(8) Nella Flotta del Mar Nero sono inquadrati anche il sottomarino Alrosa (un battello classe «Kilo» modificato per scopi sperimentali) e una coppia di pattugliatori veloci lanciamissili classe «Sivuch» con scafo a effetto superficie, tutti risalenti all’era sovietica. Il quadro è completato dalla nave supporto e salvataggio unità su bacquee Kommuna, risalente al 1913 e che vanta il record di essere la nave militare più vecchia del mondo.
(9) Sul suo account ufficiale twitter (https://twitter.com/DefenceHQ), il ministero della Difesa britannico pubblica ogni giorno una sintesi d’intelligence del conflitto in Ucraina, spesso accompagnato da una mappa generale sull’andamento delle operazioni terrestri.
(10) Tutte appartenenti alla classe «Gyurza-M», le cannoniere Berdyansk e Nikopol erano già state catturate dalla Marina russa nel 2018, mentre l’Akkerman è stata catturata dopo l’invasione dell’Ucraina.
(11) Il missile «Kalibr» è accreditato (corsivo dell’Autore) di un CEP di 50 metri, che va bene per colpire un bersaglio isolato ma che non è poco se l’arma viene lanciata in maniera approssimata indiscriminata, senza aver una certezza assoluta sulla posizione e sulle caratteristiche del b ersaglio. http://www.oni.navy.mil/Portals/12/Intel%20agencies/russia/Russia%202015print.pdf?ver=2015-12-14-082038-923, consultato il 18 agosto 2022.
(12) Il rinvenimento, alla fine di settembre su una spiaggia della Crimea, di un mezzo di superficie non pilotato, presumibilmente usato dalle forze ucraine per la ri cognizione, sembra aggiungere un’altra nuova caratteristica alla dimensione marittima del conflitto.
(13) Alla fine di agosto, Putin ha comunque sostituito l’ammiraglio Igor Osipov con il parigrado Victor Skolov quale comandante della Flotta del Mar Nero, rite nendo il primo responsabile degli attacchi ucraini registrati contro obiettivi russi in Crimea.
Gioie e dolori del siluro: dalle origini alla crisi dei primi anni della Seconda guerra mondiale
Gioie e dolori del siluro: dalle origini alla crisi dei primi anni della Seconda guerra mondiale
Contrammiraglio (riserva) della Marina Militare, ha servito a bordo di numerose unità di superficie e comandi nazionali e all’estero, effettuando anche missioni in zone di guerra. Laureato in Scienze marittime della difesa presso l’Università di Pisa e in Scienze po litiche cum laude all’Università di Trieste, è analista di maritime security e collabora con riviste on line del settore, italiane e in ternazionali. È docente di «Metodologia del riporto costiero e cartografia» all’International School of Scientific Diving. Per il suo impegno per la salvaguardia del mare ha ricevuto, nel 1995, il PADI Europe Project Aware Award e, nel 2019, il prestigioso premio Tridente d’oro dell’Accademia delle scienze e tecniche subacquee per la divulgazione scientifica.
Andrea MucedolaIn ambito anglosassone, ma non solo, è ancora in uso la parola torpedo per indicare l’arma subac quea che nel nostro paese conosciamo col nome di siluro. Questo termine richiama alla memoria un tipo di arma precedente, la torpedine, che nel tempo diventò la mina navale. La denominazione «torpedine» deriva dall’omonimo ordine delle razze elettriche (Torpedini formes) che presero il nome dal latino «torpere», che si riferiva a qualcosa di poco mobile (la parola torpore ha la stessa radice) ma che, stranamente poteva stupire.
Di fatto questo pesce, grazie a un particolare organo definito organo elettrogeno, è in grado di produrre un campo elettrico la cui scarica può variare da 50 a 220 volt a seconda della specie, stordendo le sue prede.
In ambito navale, il termine fu usato per la prima volta dall’americano Robert Fulton, che così battezzò un tipo di carica di polvere da sparo rimorchiata e do tata di acciarini a contatto per far esplodere le cariche e affondare le navi da guerra avversarie. Nonostante non fosse un militare e tanto meno un analista di pro
85 Rivista Marittima Settembre 2022 Ricostruzione del NAUTILUS (1799) di Robert Fulton a Citè de la Mer (wikipedia.org).blemi strategici, aveva una concezione molto moderna del Potere Marittimo che sintetizzava con «la liberté de la mer fera le bonheur de le terre ». Egli aveva com preso che il dominio sul traffico marittimo avrebbe per messo di indebolire lo strapotere inglese sui mari ma per farlo doveva contrastarne la predominanza. Si ren deva quindi necessario sviluppare una nuova arma, in sidiosa e rivoluzionaria, per cambiare il corso degli eventi in mare. Fulton intravide nelle armi subacquee il mezzo per raggiungere i suoi scopi e, memore del l’esperimento di Bushnell con l’american turtle, rea lizzò un battello subacqueo che fu denominato Nautilus. Per poter fornire un’adeguata letalità alla sua invenzione, Fulton giunse alla conclusione che l’arma migliore per questo tipo di battello era lo sviluppo di un’altra invenzione di Bushnell, il Bushnell’s keg, un barilotto esplosivo, ideato nel 1777 per colpire le navi inglesi alla fonda. Il loro sistema di attivazione era ba sato sulla semplice pressione di una leva che, agendo su un sistema a molla, causava la percussione del di spositivo di accensione delle polveri.
Vedremo come negli anni a venire il termine tor pedine divenne sinonimo sia di mina subacquea che di siluro, distinguendosi poi nel tempo con lo svi
luppo di tecnologie sempre più sofisticate. Queste armi subacquee statiche furono sviluppate durante la guerra civile americana da Matthew F. Maury, un eclettico scienziato, astronomo e geografo di fama internazionale che ideò, nel 1861, il primo sistema elettrico per comandare a distanza delle torpedini na vali ancorate al fondo. Un sistema che consentì al ca pitano Beverly Kennon di effettuare il minamento del fiume Potomac e di creare la prima difesa sistematica costiera lungo il Mississippi. I keg furono impiegati anche in seguito nella guerra civile guadagnandosi il soprannome di Infernal Machine. Nel 1886, la UK Royal Navy realizzò il primo sistema meccanico per regolare a priori la quota delle casse delle torpedini. Fino ad allora, esse venivano posate con una lun ghezza del cavo di ormeggio, ovvero tra la cassa e l’ancora di ormeggio, uguale a quella ritenuta neces saria a seconda del tipo di fondo. In pratica, prima di allora era necessario avere una conoscenza accurata del fondo marino per evitare di posare le mine navali a profondità maggiori di quelle desiderate, per cui non sarebbero state utilizzabili. Questi ordigni erano di fatto statici o dovevano essere trasportati contro il bersaglio nemico all’estremità di lunghi pali prodieri,
in modo da portare le cariche a contatto con lo scafo avversario. Queste cariche avrebbero dovuto poi esplodere al momento del l’urto. Si trattava comunque sem pre di armi non autopropulse. In particolare, durante la guerra civile statunitense l’episodio più famoso fu l’attacco effettuato con queste armi da parte del submersible HL Hunley , che riuscì ad affondare il 17 febbraio 1864 uno sloop of war, dell’Unione, l’USS Housatonic.
Disegno del C.S.S. David, Confederate Torpedo Boat. Di prora la spar torpedo.
Il termine «siluro», riferito alla forma di pesci appartenenti ai Siluriformes e de rivato dal nome greco σίλουρος (pesci gatto) fu coniato dall’ammiraglio Simone Pacoret de Saint-Bon per queste armi subacquee autopropulse. Figura visionaria della Regia Marina italiana (a lui si devono l’introduzione delle navi classe «Caio Duilio», progettate da Benedetto Brin), intrepido comandante della Formidabile durante la battaglia di Lissa, ricoprì molte cariche istituzionali fino ad assumere la carica di capo di Stato Maggiore della Marina. Tra le tante sue iniziative, il riordinò delle scuole navali, la modernizzazione dell’istruzione tecnica e della flotta. Nel campo delle armi subacquee ordinò studi sulle torpedini statiche e sui siluri, e la nascita della specialità Torpedinieri.
La nascita del siluro
L’idea di portare cari che contro le unità nemi che portò in seguito all’idea di sviluppare delle torpedini autopro pulse che in seguito ven nero chiamate in Italia siluri. La prima arma su bacquea che si avvicinò al
siluro moderno fu ideata dal capitano di fregata Gio vanni Biagio Luppis, un ufficiale della Marina au stroungarica, nato a Fiume nel 1813, che ideò il salva costa, un barilotto semovente e galleggiante da impie garsi per la difesa costiera. Il mezzo veniva mosso da un meccanismo a orologeria e conteneva una carica di esplosivo tale da portar e danno a unità nemiche. L’or digno, lungo circa un metro, disponeva di due timoni, di una vela in materiale vitreo e di una carica esplosiva, che sarebbe stata azionata solo al momento dell’im patto. Nonostante l’idea fosse innovativa, si dimostrò poco affidabile e sia il primo prototipo che il secondo (che se ne discostava poco), tra l’altro presentato uffi cialmente nel 1860 all’imperatore Francesco Giuseppe nel porto di Fiume, non suscitarono molto interesse. Il caso volle però che Luppis conobbe un geniale inge gnere e imprenditore britannico, Robert Whitehead, che aveva lavorato nei cantieri di Marsiglia e di Trieste ed era all’epoca direttore dello Stabilimento tecnico fiumano. Nel 1864, dalla loro collaborazione, nacque un accordo che si rivelò proficuo per entrambi.
In pratica, Whitehead modificò l’idea di Luppis rea
lizzando, nel 1866, il primo siluro vero e proprio, un cilindro affusolato lungo tre metri e mezzo con quattro lunghe pinne che si estendevano quasi per tutta la lun ghezza del corpo, del diametro di 356 millimetri, con una carica esplosiva di fulmicotone di poco superiore ai 15 chili. Il siluro era propulso da un motore, gene ralmente descritto come un bicilindrico a V, basato su due cilindri eccentrici ad aria compressa immagazzi nata a 370 psi in un serbatoio da 30 atmosfere, la cui pressione provocava la rotazione diretta del cilindro esterno (circa 100 giri/min) che era accoppiato al l’unica elica che gli permetteva di navigare a una ve locità di circa sei nodi e mezzo nelle prime 200 iarde per poi ridurre gradualmente nelle ultime 100. Gli espe rimenti della nuova arma subacquea, chiamata in ori gine minenschiff, furono effettuati dalla cannoniera austriaca Gemse, attrezzata con un tubo di lancio, ideato dallo stesso Whitehead, che era stato collocato a prora. Nacque così il primo siluro, come lo conce piamo oggi, che venne presentato ufficialmente alla Commissione navale imperiale il 21 dicembre 1866. L’arma, sebbene avesse ancora problemi di stabilità, fu
comunque considerata rivoluzionaria in quanto poteva colpire in maniera autonoma unità navali a più di … 900 metri. In breve tempo, i siluri di Whitehead furono in grado di viaggiare a 18 nodi (1876), 24 nodi (1886) e infine a 30 nodi (1890). Il siluro più grande era lungo 5,8 metri, del diametro di 457 mm, in acciaio lucidato o bronzo, e possedeva una testata di 90 chilogrammi di fulmicotone. L’aria compressa, contenuta in un serba toio a circa 90 atmosfere, muoveva le due eliche attra verso un motore Brotherhood a tre cilindri.
Nell’autunno del 1869 i rappresentanti della UK Royal Navy visitarono Fiume e riferirono favorevol mente sulle armi in prova. Le prove successive effettuate nel Regno Unito portarono alla commessa di un lotto di siluri Whitehead che furono ricevuti nel 1870. Nel 1871 l’Ammiragliato acquistò i diritti di produzione per sole £ 15.000 e l’anno successivo iniziò la produzione presso i Royal Laboratories, Woolwich. L’esempio della Royal Navy fu presto seguito da francesi, tedeschi e cinesi e Whitehead esportò i suoi siluri in tutto il mondo, rice vendo numerose richieste di miglioramento delle pre stazioni sia tecniche che operative. I Tedeschi richiesero una velocità di 16 nodi con una portata di almeno 550 iarde, richiesta che portò alla sostituzione del motore bicilindrico Vee con un motore a tre cilindri, costruito da Peter Brother-hood, Ltd., di Peterborough. Nel 1872 Whitehead acquistò l’azienda e la ribattezzò Silurificio Whitehead. Con l’introduzione del nuovo motore, che migliorò le caratteristiche propulsive, e delle eliche con trorotanti per stabilizzarne in parte il moto, non furono
poi apportati miglioramenti signifi cativi fino all’introduzione del giro scopio per la guida azimutale nel 1895. Ma non era solo. I tedeschi, oltre a ordinare i siluri Whitehead, nel 1873, iniziarono a costruirne di propri con la ditta di L. Schwar tzkopf, poi Berliner Maschinenbau A.G., che iniziò a produrre ottimi si luri in bronzo fosforoso, una lega ad alto contenuto di stagno e fosforo con alti valori di resistenza di carico, e un’elevata elasticità e resistenza. L’azienda iniziò presto a esportare armi in Russia, Giappone e Spagna. Nel 1885 la Gran Bretagna ordinò 50 di queste armi dalla Schwartzkopf perché la produzione in patria e a Fiume non poteva soddisfare la domanda. Oltre alle armi standard, furono prodotti molti tipi di siluro conformi alle specifiche delle diverse marine straniere. Per esempio nello stabi limento di Fiume, solo nel 1884, furono prodotti non meno di 17 diversi tipi di armi.
La tabella seguente mostra i paesi in cui erano state esportate armi fino al 1881.
Storicamente la prima vittima di un siluro fu il va pore turco Intibah che, il 16 gennaio 1877 fu affondato con dei siluri, lanciati dalla nave Velikiy Knyaz Kon stantin, al comando di Stepan Osipovich Makarov du rante la guerra russo-turca. L’impiego di questa nuova arma si prospettò di un certo interesse per equipaggiare anche i primi battelli subacquei, riprendendo di fatto il concetto del Nautilus di Fulton. Nell’aspetto esteriore i siluri erano molto simili, sia nella forma che nelle pre stazioni, costruiti con sezioni di coda e testa standard ma con quelle centrali diverse in relazione alle diverse esigenze. La forma originale, molto appuntita, era ri tenuta più funzionale ma di fatto limitava il trasporto di testate più grandi. Nel 1883 un comitato, istituito per esaminare gli aspetti progettuali dei siluri, condusse delle prove tecniche per verificare se la forma del muso avesse qualche effetto sulla velocità dell’arma. Grazie
a uno studio di un ingegnere idrodi namico, William Froude, emerse che una testa smussata non mostrava svantaggi eccessivi nelle prestazioni di velocità. Fu così che la forma della testa assunse le caratteristiche odierne. Il primo mezzo subacqueo a lanciare dei siluri fu l’Abdül Hamid, un battello subacqueo otto mano che, nel 1888, affondò con successo una vecchia nave bersaglio con un solo siluro. La sua storia è curiosa. Progettato dall’ingegnere svedese Nordenfelt, nel 1885, il battello a vapore aveva un’autonomia di 15 miglia a 4 nodi. Il prototipo, sebbene non fosse privo di difetti, venne acquistato dalla Grecia. La Turchia ac quistò altre due unità Abdül Hamid e l’Abdül Mecid, che, a parte il lancio di un siluro contro un bersaglio statico, restarono inutilizzate per difficoltà di esercizio. Nel 1914, i due sommergibili furono ritrovati dai tede schi pressoché intatte. Per completezza cito un siluro, decisamente innovativo per l’epoca, ideato da John Louis Lay (1) che non ebbe il successo e l’interesse che forse si meritava. Arruolatosi nella USN nel 1861, Lay si dedicò da subito allo sviluppo delle torpedini, con ducendo studi al Philadelphia Navy Yard. Nel 1865, in sieme all’ingegnere Wood, ottennero quattro brevetti relativi a un nuovo tipo di arma (US Letters Patent No’s 46.850-46.853, del 14 marzo 1865). Lay si congedò dalla Marina statunitense nel 1865 e lavorò per il Go verno peruviano per le difese del porto di Callao. Al suo ritorno, nel 1867, perfezionò il «Lay Moveable Torpedo Submarine», un siluro simile a quello di Whi tehead, disponibile in due lunghezze, ovvero 16 e 23 piedi, di sezione cilindrica con estremità coniche che contenevano cariche da 100 o 200 libbre di esplosivo. Questi strani siluri erano dotati di un’elica, o due eliche controrotanti o due eliche alimentate da un motore da 9 HP azionato ad anidride carbonica compressa o ammo niaca. Un siluro Lay da 23 piedi raggiunse in prova la velocità di 9 nodi. La caratteristica più importante del design era il fatto che, a differenza del siluro Whitehead, poteva essere controllato da una nave o da un operatore a terra tramite un cavo elettrico multipolare collegato
siluro. Un’idea decisamente innovativa per quei tempi. A seguito di dimostrazioni tenutesi sia negli Stati Uniti che in Europa, il Governo russo ne acquistò i diritti di produzione in Russia e dopo aver importato impianti, macchinari e manodopera qualificata dall’America, pro dusse almeno dieci grandi siluri. Il siluro Lay, sebbene meccanicamente avanzato non ebbe molto successo, es sendo di fatto molto costoso (il suo costo nel 1878 era di 15.000 dollari) e poco … prestante e si preferì svi luppare i siluri ideati da Whitehead.
Un’arma rivoluzionaria ma con tanti problemi
In linea con la dottrina di Alfred Thayer Mahan, l’obiettivo strategico era l’affondamento delle unità mi litari avversarie per acquisire il dominio del mare; no tate bene che l’affondamento del naviglio mercantile era ancora proibito dalle regole di guerra per cui lo scontro sarebbe stato solo tra unità da guerra. Il targe ting era quindi un fattore fondamentale che implicava necessariamente il riconoscimento del nemico, un av vicinamento quanto più occulto possibile e il lancio del siluro. Di fatto, all’inizio del secolo scorso l’attacco del
NOTE
sommergibile non era considerato molto cavalleresco, per cui molti co mandanti preferivano emergere e sparare con il cannone contro le navi. Forse dietro tutto c’era una certa mancanza di fiducia verso quei siluri che spesso mancavano il bersaglio o non scoppiavano. Inoltre, cosa non trascurabile, c’era il rischio di per dere l’assetto del battello dopo il lan cio, un’ipotesi poi non così remota che poteva far emergere il battello ed esporlo al fuoco nemico. Tra i tanti problemi che assillavano i progetta tori del tempo c’era il mantenimento della quota del si luro a una profondità costante, facendogli nel contempo mantenere la giusta direzione fino al momento del l’esplosione contro lo scafo nemico. Nella trattazione che seguirà non parlerò dei siluri navali e di quelli im piegati dagli aerei, che ebbero anch’essi non pochi pro blemi, ma di quelli lanciati dai sommergibili. La difficoltà di reperire informazioni ha richiesto una ri cerca complessa delle valutazioni tecnico e operative di queste armi nel periodo degli anni 30-40 del secolo scorso. Queste sono relativamente disponibili in am biente anglosassone ma molto meno in campo nazio nale, dove spesso si ritrovano apprezzamenti di difficile valutazione, che a volte sembrano voler quasi nascon dere tristi realtà nazionali, paradossalmente non tanto dissimili da quelle degli alleati e degli allora avversari. In questo articolo parlerò dei problemi legati ai siluri tedeschi e americani, che non furono poi tanto dissimili fra loro, in particolare per la genesi dei problemi. segue nel prossimo numero
(1) Gray, Edwyn, Nineteenth Century Torpedoes and Their Inventors, Naval Institute Press, Annapolis, Maryland, 2004.
BIBBLIOGRAFIA
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Marco Gemignani
Laureato con la lode presso l’Università di Pisa con una tesi in «Storia e tecnica militare» (1994), ha quindi conseguito con suc cesso il Dottorato di ricerca in «Storia militare» presso l’Uni versità di Padova e infine il post-dottorato di ricerca in «Scienze storiche e filosofiche» presso l’Università di Pisa. Dopo essere stato «cultore della materia» (dal 1994 al 1998) presso la cat tedra di «Storia e tecnica militare» nell’Università di Pisa, è stato nominato docente di «Storia Navale» presso l’Accademia navale di Livorno (dal 1996 a oggi). È consigliere dello Stato Maggiore della M.M. per la pubblicistica navale; è consulente del Museo storico-navale di Venezia e del Museo tecnico-navale della Spezia; è membro del Comitato scientifico del Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della M.M., nonché membro or dinario del Comitato consultivo dello stesso Ufficio Storico; membro del Comitato scientifico della Rivista Marittima. Autore di circa centocinquanta pubblicazioni in Italia e all’estero, fra le quali otto opere monografiche di storia navale, nonché di al cune voci edite nel The Oxford Encyclopedia of Maritime Hi story; collabora come autore con il Dizionario biografico degli Italiani (Treccani); come relatore, ha presentato proprie rela zioni in oltre un centinaio di convegni.
I mezzi a disposizione dell’Ispettorato
Per poter assolvere i propri gravosi compiti, al l’Ispettorato furono assegnati mezzi navali, aerei, ter restri, informativi e ostruzioni.
Per quello che riguarda i mezzi navali, la Regia Ma rina fu quella fra le grandi potenze dell’Intesa che ave vano la necessità di mantenere un intenso traffico mercantile che si trovò più in difficoltà. Infatti, per evi tare di distogliere dal loro normale impiego special mente torpediniere e caccia, che erano i tipi di unità in servizio all’inizio della Prima guerra mondiale mag giormente idonei per proteggere i mercantili, la Gran Bretagna e la Francia poterono avvalersi di centinaia dei loro pescherecci di buone qualità nautiche e dotati di macchine a vapore (trawlers e chalutiers) che, rapi damente dotati di armamento, poterono assolvere piut tosto bene la funzione di scortare i piroscafi, sia che navigassero isolatamente che in convoglio ed effettuare pattugliamenti.
Al contrario la flotta peschereccia italiana si basava ancora su navi a vela e a remi, assolutamente inadatte a proteggere i piroscafi, cosicché la Regia Marina non poté contare su di essa e pertanto fu costretta ad acqui stare all’estero navi da pesca con caratteristiche analo ghe a quelle impiegate dalla Royal Navy e dalla Marine Nationale. Purtroppo anche tale soluzione non fu molto
* prosegue dal numero precedente (Luglio-Agosto, p. 90).
agevole in quanto il mercato mondiale non offriva una quantità sufficiente di questo tipo di unità. Nonostante ciò l’Italia comprò nel corso del 1916 quarantasette pi ropescherecci giapponesi che, entrati in servizio nella Regia Marina a partire dal gennaio del 1917, furono ri battezzati con una sigla alfanumerica contraddistinta dalla lettera iniziale G. e vennero leggermente modifi cati nei cantieri italiani e dotati di armamento, di solito un paio di cannoni da 57 millimetri oppure un pezzo da 76 millimetri e due mitragliatrici; inoltre furono ac quistati un paio di rimorchiatori olandesi, anch’essi ri denominati con sigla alfanumerica iniziante con la N., che rimasero disarmati (1).
Per incrementare il numero di questo tipo di naviglio la Regia Marina ordinò ad alcuni cantieri italiani di pro durre unità che avevano caratteristiche abbastanza ana loghe ai piropescherecci nipponici e armate con un cannone da 76 millimetri e due mitragliatrici, che fu rono chiamate rimorchiatori-dragamine e anch’esse in dividuate da una sigla alfanumerica che cominciava con le lettere R.D. e fece armare alcuni piroscafi, che svolsero la funzione di incrociatori ausiliari.
A fianco di tali unità, la Regia Marina destinò alcune navi da guerra di scarso valore bellico, come gli incro ciatori torpediniere declassati a esploratori Agordat e Coatit, caccia e torpediniere di tipo antiquato, ma anche i moderni mas prodotti in Italia e quelli di più cospicue dimensioni tipo Elco realizzati negli Stati Uniti, nonché alcuni veloci motoscafi del Corpo Na zionale Volontari Motonauti (2). Se la prassi di impie gare unità di superficie per proteggere i mercantili era vecchia di secoli, quella di utilizzare aeromobili era nata con la Prima guerra mondiale e i vertici della Regia Marina avevano compreso che l’utilizzo sia di velivoli che di dirigibili potevano concorrere valida mente alla difesa del traffico.
Tuttavia l’impiego degli aeromobili in tale tipo di attività, proprio perché mai prima attuato, fu all’inizio piuttosto incerto e lento e gli aerei e i dirigibili costruiti dalle ditte italiane oppure acquistati dalle industrie stra niere erano destinati prioritariamente a soddisfare le esigenze del fronte terrestre e per le operazioni in Adriatico. Comunque, essendo previsto dal citato De creto luogotenenziale che aveva istituito l’Ispettorato
per la Difesa del Traffico Nazionale che esso dispo nesse anche di mezzi aerei, il nuovo ente cominciò dal momento della sua costituzione ad averli e anche a creare le basi per farli operare.
Così, alla fine del 1917, l’Ispettorato poteva con tare su sessantacinque idrovolanti e due dirigibili che operavano rispettivamente da diciassette idroscali e da un paio di aeroporti. In particolare nel Mar Ligure e nel Tirreno settentrionale vi erano le stazioni idro volanti di San Remo (quattro velivoli), di Porto Mau rizio (cinque aerei), di Varazze (quattro idrovolanti), di Spezia e di Livorno (ognuna con cinque velivoli), di Piombino (quattro aerei) e l’aeroporto di Pontedera con un dirigibile; lungo le coste del Tirreno centrale si trovavano gli idroscali di Campiglia (un paio di ve livoli), di Civitavecchia (quattro idrovolanti), di Ponza (tre aerei), di Napoli (due velivoli), di Sapri (quattro idrovolanti) e l’aeroporto di Ciampino con un dirigibile; nel Tirreno meridionale e nelle acque della Sicilia vi erano le stazioni idrovolanti di Mi lazzo (cinque aerei), di Taormina-Giardini Naxos (tre velivoli), di Catania (quattro aeromobili), di Siracusa (tre idrovolanti), di Palermo e di Trapani (che ospi tavano ognuna quattro velivoli); infine in Sardegna
era stato realizzato l’idroscalo a Terranova Pausania con quattro aerei.
Poiché l’attività svolta dagli aeromobili per la pro tezione del traffico e per l’individuazione delle mine dava complessivamente buoni risultati, nel corso del 1918 a tali compiti fu destinato un numero sempre cre scente sia di idrovolanti sia di dirigibili e, per ospitarli, fu necessario realizzare nuovi idroscali e aeroporti. L’incremento degli aeromobili comportò nel marzo del 1918 di riordinare l’organigramma, cosicché le sezioni di idrovolanti divennero squadriglie, che a loro volta furono riunite in tre gruppi e pure in tre gruppi furono suddivisi i dirigibili. Tali gruppi dipendevano dai Co mandi in Capo dei Dipartimenti marittimi di Spezia e di Napoli e dal Comando dei Servizi della Regia Ma rina in Sicilia, mentre la squadriglia autonoma idrovo lanti che operava in Sardegna era ai diretti ordini del Comando Militare Marittimo della Maddalena.
Ai comandi dei gruppi fu devoluta la sorveglianza tecnica e disciplinare tanto delle squadriglie quanto degli idroscali che degli aeroporti, mentre l’impiego degli aeromobili venne affidato ai singoli Comandi Difesa Traffico.
Come prima ricordato, il progressivo aumento degli aeromobili fece sì che al 1° novembre 1918 dall’Ispet torato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale
dipendevano centocinquantatre aerei e sette dirigibili che operavano rispettivamente da ventidue idroscali e cinque aeroporti con centosettantaquattro piloti e ot tantasette osservatori (3).
Alla data dell’armistizio il loro schieramento era il se guente: nel Mar Ligure e nel Tirreno settentrionale vi erano gli idroscali di San Remo (con undici velivoli), di Porto Maurizio (con cinque aerei), di Rapallo (con tre dici idrovolanti, ai quali dal mese di luglio 1918 si ag giunsero quattro idrocaccia britannici Sopwith Baby), di Spezia (con undici velivoli), l’aeroporto di Pontedera (con tre dirigibili) e per breve tempo l’aeroscalo di Piom bino, operativo dal maggio all’ottobre di quell’anno; nel Tirreno centrale erano situate le stazioni idrovolanti di Orbetello (con dieci aerei), di Civitavecchia (con quattro velivoli), di Ponza (con cinque aeromobili), di Napoli (con undici idrovolanti), di Sapri (con sette velivoli) e gli aeroporti di Corneto Tarquinia, di Ciampino e di Ba gnoli (ognuno con un dirigibile); nel Tirreno meridionale e in Sicilia gli idroscali di Milazzo (con cinque aeromo bili), di Taormina-Giardini Naxos (con dodici velivoli), di Siracusa (con sei idrovolanti), di Trapani (con quattro aerei) e di Palermo dove, oltre all’idroscalo con dodici apparecchi, era stato realizzato anche un aeroporto da dove operava un dirigibile, mentre in Sardegna la sta zione idrovolanti di Terranova Pausania aveva aumen tato a sette i velivoli ospitati.
Oltre agli aerei e ai dirigibili, l’Ispettorato impiegò anche un pallone frenato (denominato pallone drago) da 714 metri cubi, che inviò nel gennaio del 1918 a Si racusa imbarcato su un pontone semovente munito di verricello mettendolo a disposizione del locale Ufficio Difesa Traffico. Il pallone fu impiegato per l’esplora zione e l’individuazione di eventuali mine special mente nelle acque fra Catania e Capo Passero. Nel maggio successivo esso fu spostato a Messina e utiliz zato per la sorveglianza nell’omonimo Stretto dei ferryboats che collegavano la Sicilia con la Calabria. Poiché il suo impiego si dimostrò assai utile, fu disposto di ap prontare un secondo pallone, che non entrò mai in ser vizio per il sopraggiungere della fine della guerra.
Per ciò che concerne i mezzi terrestri posti alle dipen denze dell’Ispettorato essi consistevano in pezzi di arti glieria, spesso di tipo antiquato, distribuiti lungo la costa.
Il loro compito era quello di difendere degli scali, con la denominazione di batterie porti di rifugio, op pure di proteggere dei tratti di costa lungo i quali sor gevano obiettivi importanti per lo sforzo bellico che potevano essere attaccati dal mare o interessati dal traf fico mercantile, dove non vi era la possibilità per le navi di ormeggiarsi, nel qual caso erano chiamate bat terie punti di rifugio. Infatti i piroscafi e i velieri, se ri tenevano che un sommergibile stesse per attaccarli, si dirigevano nelle acque antistanti queste batterie punti di rifugio dove si mettevano sotto la protezione dei can noni sistemati lungo la costa, i quali almeno avrebbero impedito al battello subacqueo di operare in superficie contro i mercantili, la tattica usuale che essi normal mente applicavano se il bersaglio era disarmato per ri sparmiare i costosi e scarsi siluri.
Anche l’aliquota di cannoni destinata a queste bat terie, come già gli aeromobili assegnati all’Ispettorato, era quella che rimaneva dopo aver soddisfatto le ne cessità del fronte terrestre e della protezione delle coste adriatiche ed è per questo motivo che essa fu sempre inferiore ai reali bisogni sia a livello quantitativo che qualitativo.
L’Ispettorato il 1° gennaio 1918 poteva contare com plessivamente su duecentosessantaquattro batterie con cinquecentocinquantasette cannoni serviti da cinque milasettecentocinquanta uomini, quasi tutti apparte nenti al Regio Esercito. Le batterie furono posizionate in maniera tale da garantire la quasi totale protezione del litorale della Riviera di Ponente in Liguria, interes sato dal vitale traffico fra Gibilterra e Genova, la difesa delle zone più importanti fra il capoluogo ligure e Sa lerno, una sufficiente protezione delle coste occidentali, settentrionali e orientali della Sicilia, una saltuaria di fesa di alcuni tratti del litorale meridionale di tale isola, di quello del Basso Tirreno a sud di Salerno e dello Jonio, della Sardegna e di alcune isole minori, ovvero della Capraia, dell’Elba, del Giglio, delle Formiche di Grosseto, di Giannutri, di Ischia, di Capri, di Favi gnana, di Marettimo e di Lampedusa.
Nel corso del 1918 vi fu un progressivo aumento del numero e della qualità delle bocche da fuoco disponi bili, come per esempio la sostituzione di cinquanta vec chi cannoni da 87 millimetri in bronzo con altrettanti
da 76 millimetri in acciaio forniti dalla Gran Bretagna, la cui gittata era di 8.000 metri, e l’installazione a Na poli, dopo l’incursione aerea avversaria la notte fra il 10 e l’11 marzo, di altri ventidue pezzi da 76 millimetri a doppio scopo, ovvero che potevano servire sia per il tiro contro aeromobili che contro bersagli navali (4).
Pertanto al 3 novembre 1918 risultavano in servizio trecentotrentaquattro batterie con settecentodue can noni e il personale addetto era salito a seimilacinque centottantadue uomini, dei quali ottocentoquarantatre appartenenti alla Regia Marina.
L’Ispettorato, oltre all’impiego dei vecchi mezzi per proteggere il traffico mercantile, era anche disposto ad avvalersi di apparecchi e servizi moderni, come gli idrofoni e la radiogoniometria. Riguardo i primi, che consentivano l’ascolto subacqueo dei rumori emessi da un sommergibile in moto (come quello prodotto dalle eliche, dalle pompe e dai propulsori elettrici), l’Ispet torato alla fine del 1917 aveva avuto modo di consul tare delle relazioni stilate dall’Ammiragliato britannico sugli idrofoni per stazioni fisse, ovvero gli idrofoni da fondo, che li aveva sperimentati ottenendo soddisfa centi risultati e li aveva adottati (5). Così pure la Regia Marina ne acquistò alcuni esemplari e, avendoli an ch’essa testati avendo riscontri positivi, dispose che ne venissero realizzati degli altri in Italia e all’inizio del 1918 cominciò gli studi per individuare le località dove sarebbe stato conveniente che fossero installati con tando sulla collaborazione delle autorità della Royal Navy che concorrevano alla vigilanza dello sbarra mento del Canale d’Otranto, che distaccarono per tale scopo una loro unità, la Levante, che fu in seguito rim piazzata da una nave italiana, la Città di Massa.
I lavori proseguirono alacremente, nonostante la no vità dell’apparecchio e gli inconvenienti che talvolta si palesarono, tanto che fu necessaria una continua ma nutenzione. Comunque, nonostante tali problemi, nei mesi successivi fuori dell’Adriatico vennero realizzate dodici stazioni idrofoniche, delle quali una a Crotone, due a Taranto, tre a Spezia, altrettante nello Stretto di Messina e a Gallipoli, città nella quale nel giugno del 1918 fu istituita la Scuola Idrofoni per addestrare il per sonale al loro impiego.
In più furono adottati degli idrofoni di piccole di
mensioni, i cosiddetti «tubi C» installati su alcune unità preposte alle scorte e alla caccia antisom, ma il loro uti lizzo al momento della fine del conflitto era ancora a livello sperimentale.
Per ciò che concerne il servizio radiogoniometrico, già impiegato con efficacia dai britannici e dai francesi, anche l’Ispettorato ne creò uno e all’inizio del 1918 nel Mar Ligure, nel Tirreno e nello Jonio erano in funzione le stazioni di Andora, Avenza, Livorno, Miseno, Gioia Tauro, Cinisi, La Maddalena, Ginosa, Crotone e Capo Spartivento Calabro. Le prime tre facevano capo al Cen tro d’Informazioni di Spezia, le successive quattro a quello di Napoli e le ultime tre a quello di Taranto. L’or ganizzazione iniziale prevedeva che le stazioni fornis sero i rilevamenti radiogoniometrici direttamente e nel modo più veloce al rispettivo Centro d’Informazioni e contemporaneamente all’Ufficio Centrale di Otranto.
Tuttavia, sempre al fine di ridurre i tempi di trasmis sione delle coordinate da dove un sommergibile avver sario aveva comunicato per farle avere ai comandi interessati e al naviglio che in quel momento si trovava in mare, così da evitare la zona nella quale il battello subacqueo operava, nel maggio del 1918 si ebbero delle modifiche nell’organizzazione del servizio, con le stazioni di Andora, Avenza, Livorno, Miseno, Cinisi, Gioia Tauro e La Maddalena che dipendevano da un
Centro istituito a Napoli e quelle di Capo Spartivento Calabro, di Crotone, di Ginosa insieme alle stazioni operanti nel Basso Adriatico che facevano capo al Cen tro di Otranto.
Con tale ristrutturazione allorché un segnale veniva radiogoniometrato, il punto in pochi minuti era comu nicato a Roma all’ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina e contemporaneamente il Centro di Na poli o di Otranto avvertiva le autorità costiere prossime alla posizione del sommergibile che a loro volta avver tivano le unità in navigazione.
Per migliorare il servizio furono presi precisi accordi con le autorità francesi e britanniche, cosicché ci si po tesse avvalere rapidamente anche dei segnali captati dalle loro stazioni radiogoniometriche.
Per ciò che concerne il rendimento del servizio fu notato che esso dava migliori risultati nello Jonio e nell’Adriatico perché in quei mari i sommergibili av versari usavano molto più spesso la radiotelegrafia, probabilmente anche per segnalare i propri movimenti ed evitare di essere attaccati per errore dalle navi della Kaiserliche und Königliche Kriegsmarine asburgica, mentre nel Mar Ligure e nel Tirreno i battelli comu nicavano raramente, specie dopo essersi resi conto dell’impiego delle stazioni radiogoniometriche. Que ste ultime si accorsero che gli u-boote che operavano
nel Mediterraneo occidentale aumentavano il loro traffico radiotelegrafico quando si avvicinavano alle coste della Spagna, evidentemente per mettersi in contatto con loro agenti per avere informazioni sui movimenti navali dell’Intesa e per organizzare il ri fornimento dei sommergibili.
Infine l’ultimo mezzo gestito dall’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale era rappresen tato dalle ostruzioni retali che dovevano essere impie gate per la protezione dei porti mercantili e di eventuali piroscafi danneggiati che, per evitare di affondare, si erano arenati lungo la costa.
Nel corso del 1917 l’Ispettorato promosse una serie di studi per la sistemazione ex novo di queste ostruzioni oppure per il miglioramento di quelle già posizionate nei principali porti dove sostavano i pi roscafi impegnati nel trasporto dei rifornimenti es senziali per lo sforzo bellico ma anche per quelli che rivestivano un valore strategico o che per la loro po sizione potevano essere più facilmente esposti a un attacco avversario.
Nel 1918 furono così protetti da ostruzioni gli scali di Porto Maurizio, di Savona, di Genova, di Spezia, di Livorno, di Civitavecchia, di Gaeta, di Torre An nunziata, della Maddalena, di Cagliari, di Messina, di Palermo, di Catania, di Augusta, di Siracusa, di Cro tone, di Taranto, di Gallipoli, di Brindisi, di Bari, di Barletta, di Ancona, di Porto Corsini, di Venezia, di Tripoli, di Tobruk e inoltre furono collocate ostruzioni anche in Albania a Valona, a Santi Quaranta e a Porto Palermo per garantire l’approvvigionamento dei re parti del Regio Esercito che operavano fuori del ter ritorio nazionale (6).
Verso un crescente impegno per dotare i piroscafi italiani di armamento, di impianti radiotelegrafici, di apparecchi fumogeni e di paramine
Come è già stato riportato, anche l’Ispettorato decise di proseguire gli sforzi per mettere i singoli piroscafi in grado di difendersi dagli attacchi dei sommergibili e di trasmettere e ricevere informazioni che potessero concorrere alla loro protezione.
Così al 1° gennaio 1918 su quattrocentoquattordici piroscafi italiani in servizio risultava che trecentocin
quantaquattro erano muniti di artiglieria, per comples sivi quattrocentottantotto cannoni dei quali due da 37 millimetri, altrettanti da 47 millimetri, centotrentaquat tro da 57 millimetri, trecentoventiquattro da 76 milli metri (in assoluto il calibro più diffuso), dodici da 102 millimetri e quattro da 120 millimetri.
Nel corso di quell’anno proseguì l’opera di munire i piroscafi di maggior tonnellaggio di cannoni di calibro superiore al 57 e al 76 millimetri, impiegando quelli da 102 e da 120 millimetri e così al 1° novembre 1918 su quattrocentosette piroscafi nazionali ancora operanti, tre centoventisette erano armati e di essi ottantadue avevano un cannone anche a prora (7). Per ciò che concerneva il numero delle bocche da fuoco installate, esso raggiunse la cifra di cinquecentotrentacinque, delle quali soltanto una da 37 millimetri, novantotto da 57 millimetri, tre centocinquantasette da 76 millimetri, venti da 102 mil limetri e ben cinquantanove da 120 millimetri.
Per quello che riguardava la radiotelegrafia, all’ini zio del 1918, nonostante le disposizioni di legge che rendevano obbligatoria l’installazione sui mercantili di grosso tonnellaggio degli appositi apparati, a causa
L'incrociatore corazzato CARLO ALBERTO (U.S.M.M.).
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerradella carenza di questi ultimi solamente duecentoqua rantuno piroscafi li montavano (quando per le norme prima citate avrebbero dovuto esserne dotati duecen tonovantatre), e alla fine del conflitto li avevano instal lati duecentocinquantasette mercantili (invece dei duecentonovantasette previsti).
Comunque, oltre a incrementare il numero degli ap parecchi montati sui vapori, si tentò pure di aumentare la possibilità che la nave potesse continuare a trasmettere anche dopo essere stata attaccata. L’esperienza aveva in segnato che talvolta quando un piroscafo veniva colpito da un siluro oppure da una mina la concussione del l’esplosione dell’arma causava la rottura degli alberi ren dendo impossibile per il mercantile trasmettere la richiesta di aiuto perché era caduto anche il cosiddetto «aereo», cioè il filo dell’antenna. Pertanto, per rimediare a tale inconveniente, fu stabilito che tutti i piroscafi mu niti di impianto radiotelegrafico avessero un «aereo» di rispetto sistemato sopra le sovrastrutture. Inoltre era stato notato che se il siluro o la mina detonavano nei pressi della stazione radiotelegrafica, l’operatore spesso rima neva ferito o ucciso e quindi non era più in grado di in viare il messaggio. Così si decise di dotare le stazioni radiotelegrafiche di un apparecchio automatico di soc corso che potesse trasmettere il segnale di allarme e il
nominativo del piroscafo senza impiegare il tasto morse. Questo apparato fu studiato e realizzato dall’officina ra diotelegrafica di San Vito a Spezia e cominciò a essere installato sui piroscafi a partire dal giugno del 1918 ed entro il 1° novembre successivo ventinove unità mer cantili italiane ne erano dotate.
Oltre alla sistemazione delle artiglierie e degli im pianti radiotelegrafici, l’Ispettorato giudicò opportuno dotare i piroscafi di due sistemi di difesa che si potreb bero definire «passivi», ovvero gli apparecchi fumo geni e i paramine.
I primi di essi, già impiegati da alcune Marine del l’Intesa, permettevano l’emissione di una densa nuvola di fumo che avrebbe permesso al mercantile di nascon dersi in caso di attacco da parte dei sommergibili av versari. Anche in Italia iniziarono gli studi per realizzare un apparecchio fumogeno, ma la sperimen tazione andò per le lunghe e così l’Ispettorato, che aveva disposto la loro adozione nel luglio del 1917, or dinò che sui piroscafi fossero montati quelli francesi del tipo Berger. Tuttavia, a causa di una serie di ritardi, la loro installazione a bordo dei mercantili italiani co minciò solamente nel marzo del 1918 e fu data la pre cedenza ai transatlantici, poi agli altri tipi di piroscafo e infine alle unità di scorta. Dal giugno seguente furono disponibili anche gli apparecchi fumogeni tipo Regia Marina ma la loro produzione fu scarsa e venne inter rotta al termine delle ostilità.
Per quello che riguarda i paramine, soprannominati «lontre», l’Ispettorato, al momento della sua istituzione, fu informato che in Gran Bretagna si stavano portando avanti esperimenti per testare la loro validità nel pro teggere le navi in moto dalle torpedini ad ancoramento. Fu pertanto inviata nel Regno Unito una commissione che, ritenendo efficace questa attrezzatura, perorò la sua adozione anche per i mercantili italiani, cosicché ne vennero ordinati centocinquanta esemplari alla ditta che li produceva, la Vickers Limited di Londra.
Fu redatta una lista dei piroscafi che avrebbero avuto la precedenza nell’installazione dei paramine, ovvia mente quelli che si riteneva più importanti per il traf fico nazionale, ma poiché alcuni di essi furono affondati per siluramento prima che potesse essere montato l’apparecchio, quelli a loro destinati vennero
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerrainstallati su altri piroscafi. Tuttavia, come anche per gli impianti fumogeni, pure la sistemazione dei paramine andò a rilento, sia per ritardi nella consegna degli esem plari da parte della Vickers, sia per i lavori ai quali do vevano essere sottoposti i mercantili per la loro installazione, che normalmente prevedeva l’immis sione in bacino e quindi il non potersi avvalere per un certo periodo di tempo di tali navi, quasi sempre quelle di maggior tonnellaggio.
Il montaggio dei paramine proseguì anche dopo la cessazione delle ostilità a causa dei numerosi banchi di torpedini che ancora insidiavano le zone di maggior traffico e alla fine del dicembre del 1918 risultò che essi erano stati installati su sessantatre piroscafi italiani.
Le pubblicazioni curate dall’Ispettorato
Come previsto fino dalla creazione dell’Ispettorato, la sua segreteria e il suo secondo reparto avevano il compito di provvedere a diffondere tramite pubblica zioni le notizie relative ai movimenti dei mercantili, alla loro protezione, ecc. Pertanto l’ente già dalla pri mavera del 1917 editò il «Bollettino d’informazione sui sommergibili» e nel marzo 1918 il «Bollettino delle comunicazioni», nel quale erano trascritte tutte le di sposizioni di carattere generale divulgate di urgenza con telegrammi circolari, quelle che rivestivano carat tere meno immediato e gli avvisi di navigazione. In più, quando lo si riteneva necessario, venivano stampate delle circolari relative a specifiche disposizioni che avevano bisogno di essere diffuse in maniera capillare.
A fianco di queste pubblicazioni già nel 1917 l’Ispettorato decise di redigere un manuale per la con dotta dei piroscafi, rendendosi conto che le sistema zioni di bordo e l’organizzazione interna di quelli italiani, salvo poche eccezioni, erano piuttosto defi cienti nel caso il bastimento fosse in pericolo di affon dare, sia a causa di eventi naturali, sia nel caso che fosse stato attaccato da un sommergibile.
Tale situazione dipendeva principalmente dal fatto che in tempo di pace gli armatori si erano quasi tutti at tenuti alla più rigida economia delle spese di esercizio, così da aumentare i loro guadagni, e in ciò si erano av valsi delle manchevoli disposizioni relative a ciò del Codice per la Marina mercantile allora in vigore e per
lo scarso controllo esercitato dalle autorità portuali.
Già nel 1916 l’Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina e poi dopo la sua costituzione l’Ispetto rato, cercarono di rimediare a tale situazione interes sando il ministero dei Trasporti marittimi e ferroviari, sia agendo direttamente e nel 1917 l’Ispettorato pub blicò la prima edizione del volume Norme per la con dotta delle navi mercantili in tempo di guerra, che rappresentò un vero e proprio breviario per i coman danti dei piroscafi, spiegando loro pure come dovevano comportarsi nel caso fossero stati intercettati da un bat tello subacqueo avversario e come adeguare le siste mazioni di bordo e l’organizzazione interna del mercantile per far fronte alla nuova minaccia.
Durante il 1918, a fianco di queste pubblicazioni, furono dati alle stampe gli «Avvisi ai Capitani», che servivano a far conoscere ai diretti interessati infor mazioni, consigli e norme che li riguardavano in ma niera specifica.
Nel settembre del 1918 ai vari comandi dipendenti dall’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Na zionale fu delegato l’incarico di provvedere al controllo delle sistemazioni di bordo e dell’organizzazione in terna dei piroscafi italiani, attività che fino a quel mo mento la legislazione relativa alla Marina mercantile aveva affidato alle autorità portuali. Le ispezioni, ese guite periodicamente, servivano ad accertare che tutto quanto era prescritto per il personale imbarcato e per il materiale fosse stato attuato e che i bastimenti potessero navigare in sicurezza sia isolatamente che in convoglio.
Sempre nel medesimo mese l’Ispettorato promosse la stampa della nuova edizione, più dettagliata rispetto alla prima, delle Norme per la condotta delle navi mercantili in tempo di guerra (la cui sigla era I.D.T.N. 1) che fu con segnata a tutti i comandanti dei piroscafi italiani. A essa erano allegate quattro appendici: la prima era intitolata Istruzioni per la navigazione in convoglio (già distribuita a partire dal febbraio del 1918 con la prima edizione, che si ispirava alla pubblicazione britannica C.B. 585), la se conda Istruzione per l’uso della R.T. sulle navi mercantili ed era un adattamento delle contemporanee norme fran cesi e britanniche (nel novembre successivo era pronta una seconda edizione che si basava sulle nuove disposi zioni usate dagli inglesi, ma non fu distribuita a causa
della cessazione delle ostilità), la terza Elenco dei segna lamenti luminosi in funzione lungo le coste nazionali (già pubblicata come opera monografica nel gennaio del 1918 e in seguito aggiornata) e la quarta Norme per l’esecu zione del tiro a bordo delle navi mercantili poiché, come riportato in precedenza, ormai buona parte di esse era do tata di armamento artiglieresco.
L’Ispettorato diede alle stampe anche un opuscolo dal titolo Norme per il servizio della Difesa del Traffico (al quale fu assegnato la sigla I.D.T.N. 2) che conteneva la sintesi delle disposizioni impartite dalle autorità im pegnate nella protezione dei mercantili.
Esso si divideva in quattro parti e le prime due, che trattavano del nuovo ordinamento, erano state edite nel l’ottobre del 1917, la terza, che riguardava le rotte, fu pubblicata solamente nel luglio del 1918 quando vi fu un assestamento delle varie linee di traffico alleate dopo che l’intensificata offensiva subacquea avversaria all’inizio dell’anno aveva obbligato le potenze dell’In tesa a cambiare sovente il loro percorso e organizza zione, mentre la quarta parte era inerente agli approdi nei porti protetti del Mediterraneo.
Grazie ai frequenti contatti con l’Ammiragliato britan nico, l’Ispettorato nel corso del 1918 curò la traduzione di tre importanti saggi editi dalla Royal Navy che costi tuirono la raccolta Studi circa la protezione del Traffico Quest’ultima si componeva di tre fascicoli: il primo era intitolato Note sulla tattica usata dai sommergibili nei loro attacchi contro i convogli (la pubblicazione originale britannica aveva la sigla C.B. 620 ed era apparsa nel 1917), il secondo aveva il titolo Note circa la protezione dei convogli a mezzo di pattugliamento a distanza (il vo lumetto della Royal Navy riportava la sigla C.B. 680 ed era stato stampato nello stesso 1917), e il terzo era intito lato Impiego degli idrofoni per la caccia ai sommergibili (l’opuscolo britannico era contrassegnato dalla sigla C.B. 791 ed era stato edito nel 1918).
Nel settembre di quello stesso anno l’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale, sempre allo scopo di proteggere le navi mercantili dalla minaccia dei sommergibili avversari, dopo mesi di contatto in particolar modo con gli enti della Royal Navy preposti allo studio della mimetizzazione dei piroscafi, fu in grado di pubblicare un altro opuscolo intitolato Del ca
muffamento delle navi mercantili, del quale si giudica opportuno trascrivere alcune parti, poiché esso fu il ri sultato di una lunga serie di studi e di esperimenti (8).
Nella premessa iniziale del volumetto era riportato che «lo scopo a cui mirarono a tutta prima gli sforzi di tutte le Marine alleate fu quello di ottenere la invisibilità delle navi, in determinate condizioni, o, per lo meno, quello di ridurne la visibilità, ed evidentemente, se que sto problema avesse avuto una soluzione, il sistema del camuffamento non avrebbe avuto ragione di essere
Si sono fatti studi e prove numerose, cercando di trarre vantaggio dalle teorie mimetiche e dalle diverse leggi ottiche (teoria di Tagher, ecc.) ma tutte queste ri cerche non hanno sortito un risultato pratico.
È risultata, al contrario, inesatta l’asserzione che un oggetto in mare, dipinto in un modo piuttosto che in un altro, possa essere sempre più o meno visibile. In questa questione nulla vi è d’assoluto, e un oggetto in mare, qualunque esso sia, se reso meno visibile sotto certe con dizioni di luce, sarà, per lo stesso motivo, reso maggior mente visibile col variare delle condizioni di luminosità. E le condizioni di luminosità in mare variano all’infinito e, contrariamente a quanto avviene in terra ferma, l’og getto di cui si vuole diminuire la visibilità non si trova mai nelle stesse condizioni di luce in cui giacciono i piani di sfondo lontani sui quali si profila.
Del resto, qualunque fosse il risultato ottenuto circa la visibilità, una nave potrà essere sempre scoperta dal nemico a causa del fumo o dell’alberatura, e si deve inoltre tener presente che a un sommergibile nemico non interessa tanto di scoprire una nave, quanto di po tere con facilità osservarla, per trarne gli elementi ne cessari a eseguire con successo il lancio.
Si è giunti perciò alla conclusione che la invisibilità o anche la diminuzione della visibilità delle navi in mare non sono praticamente realizzabili, e si è dovuto quindi rinunciare all’idea di ricorrere a speciali colo razioni per ottenere tale risultato».
L’opuscolo continuava precisando che pertanto «il solo scopo che si domanda alla speciale colorazione delle navi, quindi, rimane quello di rendere più difficile ai sottomarini nemici di stabilire gli elementi necessari per calcolare la manovra d’attacco. Ciò appunto si ot tiene coll’adottare un sistema di pitturazione che abbia
per effetto d’ingannare il sommergibile sulle vere di mensioni, sulla velocità e sulla rotta seguita dalla nave.
Questo effetto non può essere realizzato che a mezzo di estremi contrasti di forme e di colori che rendano il tutto asimmetrico e che alterino l’aspetto della sagoma tipica. Si tratta, in altre parole, di attirare maggior mente l’attenzione sopra certi punti per poterne ma scherare altri che si ritiene utili rimangano nascosti, creare, cioè, dei falsi punti».
Di seguito veniva illustrata la finalità del camuffa mento, ovvero che quest’ultimo «può, in qualche oc casione, solamente imbarazzare il nemico, fargli ritardare o mancare un attacco, o, senza trarlo com pletamente in inganno, sconcertarlo, obbligandolo a una più lunga osservazione al periscopio in modo che possano aumentare per noi le probabilità di scoprirlo, e quindi di combatterlo o di evitarlo, questo soltanto basterà a giustificare l’impiego del metodo» e che ad avvalorare la validità del camuffamento «si sa in modo certo che i tedeschi si preoccupano di ciò e ammae strano i propri ufficiali destinati ai sommergibili, sui sistemi adottati dagli alleati circa il camuffamento delle navi mercantili, perché imparino a conoscere il modo di neutralizzarne gli effetti».
Attenendosi agli studi e alle esperienze nella pubblica zione era specificato che «per indurre in errore il nemico circa la direzione della rotta seguita, sarà importante dare una disposizione tale agli elementi del camuffamento che tendano a ingannarlo circa il senso nel quale corrono le linee orizzontali della nave, e sarà utile di abolire tutte le rette verticali, tutte le linee parallele fra di loro e in gene rale tutte le linee regolari e previste.
Per creare l’illusione ottica di linee spezzate e di forme diverse da quelle vere, si farà uso di toni chiari e scuri, tenendo presente la necessità di evitare gli eccessi di tinte bianche che rendono la nave troppo visibile du rante la notte, quando l’atmosfera è poco luminosa».
In più era essenziale, oltre alla particolare pittura zione dell’unità, modificare diverse sue parti perché «troppo sovente gli alberi permettono delle precise in dicazioni sulla rotta seguita. Da ciò ne deriva il grande interesse di abolirli o almeno di conservarne uno solo che sia il più possibile vicino al fumaiolo, e disposto sopra un asse longitudinale diverso da quello del fuma
iolo stesso. Se non è possibile sopprimere gli alberi, sarà opportuno disporli sopra degli assi longitudinali diversi uno dall’altro e di ricalare l’albero di trinchetto.
I pennoni dovrebbero essere soppressi. Altrimenti sarà opportuno bracciarli lungo un piano parallelo a quello dell’asse della nave, e dar loro una leggera in clinazione rispetto al piano orizzontale».
Infine nel volumetto era indicato che se l’unità da camuffare aveva «più di un fumaiolo, sarà opportuno di prolungare, a mezzo di applicazioni posticce, i fu maioli posteriori, in modo tale che la loro linea che prima era orizzontale, sembri avere un’inclinazione che dalla prora salga verso poppa.
I fumaioli inclinati possono venire raddrizzati facil mente o anche inclinati in direzione opposta per mezzo di lamierino sottile adattato convenientemente sul piano longitudinale, all’involucro esterno degli stessi».
Considerazioni finali
Come è stato riportato, l’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale fu istituito in un mo mento veramente critico per l’Intesa, cioè poche setti mane dopo che le Potenze Centrali avevano scatenato la terza campagna sottomarina di lotta indiscriminata ai mercantili avversari, così da obbligare la coalizione antagonista a chiedere l’armistizio perché impossibili tata a proseguire lo sforzo bellico a causa della man canza di rifornimenti (9).
L’Ispettorato dalla sua creazione, seguendo quello che avevano fatto fino ad allora i vari comandi della Regia Marina che si erano occupati della protezione del traffico, proseguì l’attività per coordinarsi in maniera sempre più efficace specialmente con la Royal Navy britannica e la Marine Nationale francese che opera vano nel Mediterraneo e anche al di fuori di esso.
Il nuovo Ispettorato ereditò i mezzi e la struttura che la Regia Marina aveva destinato, già prima delle sua istituzione, alla tutela dei mercantili dalle insidie dei sommergibili avversari, le cui prestazioni operative, con il trascorrere del tempo, erano migliorate notevol mente, rendendoli sempre più temibili.
L’Ispettorato si trovò così a fronteggiare un avver sario che diveniva in maniera progressiva maggior mente pericoloso e, nonostante i cospicui mezzi navali,
aerei, terrestri, per le telecomunicazioni e per l’indivi duazione dei battelli subacquei avversari assegnati, essi durante il periodo della sua esistenza furono sempre in feriori alle reali necessità.
Nonostante ciò l’Ispettorato utilizzò al meglio quanto aveva a disposizione e si impegnò costante mente per rendere i piroscafi, almeno quelli più impor tanti, una preda difficile per i sommergibili curando a bordo di essi l’installazione di uno o più cannoni che li avrebbero messi in grado di difendersi attivamente, di un impianto radiotelegrafico così da tenerli aggiornati sui movimenti delle unità subacquee delle Potenze Centrali in modo da evitare che il mercantile attraver sasse le aree dove essi operavano e che, se a sua volta avvistava un sommergibile, potesse segnalarne tempe stivamente la presenza. Inoltre, nel caso il piroscafo fosse stato attaccato o magari addirittura colpito, la pre senza a bordo dell’apparato radiotelegrafico gli dava modo di chiedere di essere soccorso e quindi rimor chiato in un porto vicino, riparato e messo in condi zione di riprendere servizio.
Inoltre, sempre proseguendo questa policy di incremen tare la possibilità di sopravvivenza del singolo mercantile, fu iniziata l’installazione dei paramine, delle apparecchia ture fumogene e vennero condotti seri studi sul camuffa mento. A ciò, è opportuno rammentarlo, si accompagnò la notevole attività editoriale per la diffusione, special
NOTE
mente fra i comandanti dei mercantili, delle pubblicazioni curate dallo stesso Ispettorato per istruirli al fine di far fronte al pericolo rappresentato dai sommergibili.
L’efficacia dell’attività svolta dall’Ispettorato è te stimoniata dal fatto che avendo, con il passare del tempo, una sempre maggiore quantità di mezzi sui quali poteva contare unita al progressivo migliora mento della loro organizzazione e coordinamento, esso ottenne un’altrettanto graduale diminuzione delle per dite del naviglio mercantile italiano (per esempio dagli otto piroscafi e tredici velieri persi nel Mediterraneo nel gennaio del 1918, a un piroscafo e tre velieri affon dati nell’ottobre dello stesso anno).
Quanto fatto dall’Ispettorato, unitamente al trend po sitivo per l’Intesa assunto dal conflitto a partire dalla fine della primavera del 1918, servì a garantire l’arrivo in Italia dei rifornimenti che permisero alla popola zione civile di non risentire in misura eccessiva dello stato di guerra e alle due Forze armate nazionali di ope rare efficacemente per ottenere la vittoria finale. Così il Regio Esercito poté battersi senza risentire della man canza di rifornimenti prima sul Carso e, dopo la ritirata di Caporetto dell’ottobre del 1917, di resistere con suc cesso sul Piave per poi scatenare l’offensiva finale di Vittorio Veneto, e la stessa Regia Marina fu in grado di contendere con successo il controllo dell’Adriatico alla flotta austro-ungarica. 8
(1) Giorgio Giorgerini Augusto
storico
italiane, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1996, pp. 589-591, 602-607, 854-855. (2) AUSMM, Raccolta di base, busta 751, fascicolo 1: «Navi, siluranti, rimorchiatori, vedette, baleniere giapponesi destinati alla difesa del traffico nazionale». Il Corpo Nazionale Volontari Motonauti era stato costituito con Decreto Luogotenenziale n. 908 del 3 giugno 1915 arruolando coloro che, avendo l’idoneità fisica, si sarebbero offerti volontari per far parte di questo reparto mettendo a disposizione della Regia Marina il proprio motoscafo con il relativo equipaggio, ovvero marinai e motoristi, che sarebbero stati militarizzati e forniti di uniformi simili a quelle usate dalla Forza armata. Il natante avrebbe avuto installato un armamento costituito da cannoncini da 25 millimetri, mitragliatrici e bombe di profondità così da svolgere molteplici funzioni nelle acque costiere, vedi Erminio Bagnasco, I volontari motonauti della Grande Guerra, in Storia Militare, XXII (2014), 244, pp. 16-24.
(3) In realtà, l’assegnazione completa degli aeromobili all’Ispettorato, prevedeva centonovantanove idrovolanti e ventitré dirigibili, vedi AUSMM, Raccolta di base, busta 751, fascicolo 4: «Distribuzione degli aerei assegnati alla difesa del traffico».
(4) Il capoluogo campano era stato bombardato con 6.400 chilogrammi di bombe dal dirigibile LZ 59 della Marina tedesca decollato da Jambol in Bulgaria, senza che le difese terrestri avessero reagito efficacemente, suscitando grande scalpore anche fra i membri del Parlamento italiano, vedi Giovanni Neri-Alessandro Santarelli, Bombe tedesche su Napoli durante la Grande Guerra, in Storia Militare, V (1997), 44, pp. 45-49.
(5) In Gran Bretagna gli studi sugli idrofoni era stati portati avanti dal professore William Henry Bragg dell’Università di Cambridge nel 1914 e nel 1915, per poi essere affiancato dal capitano di fregata Cyril Percy Ryan della Royal Navy, vedi Paul Kemp, Convoy Protection. The Defence of Seaborne Trade, London, Arms and Armour Press, 1993, p. 38; John Jenkin, William and Lawrence Bragg, Father and Son. The Most Extraordinary Collaboration in Science, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 390-395.
(6) Il traffico marittimo, vol. II, cit., pp. 153-160.
(7) È opportuno rammentare che nel corso del 1918 erano affondati quaranta piroscafi di tonnellaggio superiore alle 1.000 tonnellate, perdite che erano state in parte compensate con la costruzione in Italia o l’acquisto all’estero di quattordici bastimenti a vapore.
(8) Una copia del volumetto è conservata in AUSMM, Raccolta di base, busta 1225, fascicolo 3. La Royal Navy stimava che l’impiego del camuffamento avesse fatto diminuire le perdite fra i piroscafi di circa il 25 %.
(9) Per rendersi conto dello stillicidio di perdite che afflissero le flotte mercantili delle Potenze dell’Intesa e dei paesi neutrali nei primi sei mesi del 1917 vedi ivi, busta 743, fascicolo 3: «Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina. Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale. Riassunto delle azioni dei som mergibili nemici nel 1° semestre 1917». Le autorità britanniche arrivarono addirittura a dichiarare che se il Regno Unito avesse continuato a subire le stesse perdite di naviglio mercantile come quelle patite nell’aprile del 1917 anche nei mesi successivi, sarebbe stato costretto ad arrendersi nel novembre. Comunque proprio nel l’aprile del 1917, esattamente il 6, gli Stati Uniti d’America si schierarono formalmente a fianco dell’Intesa, mettendo a disposizione di questa alleanza il loro potenziale bellico ed economico bilanciando l’uscita dal conflitto della Russia, sconvolta dalla rivoluzione.
F OCUS DIPLOMATICO
Penisola coreana: «denuclearizzazione» e difesa anti-missilistica.
Denuclearizzazione
In occasione della recente riunione dei ministri degli Esteri dell’East Asia Summit (EAS) del quadro del vertice dell’Association of Southeast Asian Na tions (ASEAN) tenutosi in Cambogia il 5 agosto scorso i partecipanti, che includevano rappresentanti della Cina, Corea del Sud, Giappone, Russia e Stati Uniti, hanno rilanciato il concetto di una «denuclea rizzazione» della penisola coreana. Si tratta di un’idea non nuova di cui si parla sin dal 1991 allor ché le due Coree stipularono un accordo che preve deva la denuclearizzazione di ambedue i paesi. Erano tempi diversi da quello attuale: il possesso dell’arma nucleare da parte della Corea del Nord non era allora neppure concepibile e l’accordo avvenne in conco mitanza con la decisione americana di ritirare le armi nucleari allora collocate in territorio sud coreano. Sull’effettivo significato del concetto di denucleariz zazione non si è giunti finora a un’interpretazione univoca. La sua ambiguità fu una delle cause del «fiasco» dell’incontro nel 2019 a Hanoi tra Trump e il leader della Corea del Nord Kim Jong, il che, nelle aspettative dell’ex Presidente americano, avrebbe do vuto sigillare una riconciliazione tra gli Stati Uniti e la DPRK. Come dimostrato dalla recente dichiara zione dell’ASEAN, il principio di una penisola co reana denuclearizzata non è stato mai archiviato anche se esso è divenuto di più improbabile realizza zione soprattutto a seguito dell’acquisizione del l’arma nucleare da parte della Corea del Nord.
Le prospettive di una denuclearizzazione sono dive nute ancora più incerte a seguito della venuta al potere nella Corea del Sud lo scorso anno di nuovo presidente, il conservatore Yun Suk-yeol. Quest’ultimo mantiene nei confronti di Pyongyang un atteggiamento assai meno conciliante del suo predecessore, il moderato Moon Jae-in che aveva invece rilanciato l’offensiva del sorriso verso la Corea del Nord (sunshine policy) già avviata venti anni prima dai suoi predecessori Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun.
Difesa anti-missilistica
Nel quadro di questa evoluzione politica generale è ritornata alla ribalta di recente anche un’altra questione strettamente legata all’evoluzione nucleare nella peni sola coreana e altrettanto delicata: quella dell’installa zione nella Corea del Sud di missili di difesa anti-missilistica americani appartenenti alla categoria THAAD (Terminal High Altitude Area Defense).
La capacità di intercettare missili in arrivo, soprat tutto se dotati di una testata nucleare, è sempre stata parte delle ambizioni strategiche degli stati nucleari. In linea di principio nessuno potrebbe obiettare allo svi luppo e allo spiegamento di siffatti sistemi visto che il loro scopo è di natura essenzialmente difensiva. Un tale sviluppo, tuttavia, scatena inevitabilmente una corsa agli armamenti e aumenta il rischio di una prolifera zione sia nucleare che missilistica. L’avversario di un paese che dispiega tali dispositivi cercherà con ogni mezzo di sviluppare o un’arma difensiva analoga o di accrescere le proprie capacità offensive. Durante la Guerra Fredda, sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti
Focus diplomatico
sottoscrissero nel 1972 il Trattato sui missili anti-bali stici (ABM) che mirava proprio a evitare tale eventua lità. Si trattò infatti di un’intesa che Mosca e Washington stipularono per impedire una spirale arma mentistica attraverso la proibizione reciproca dello spie gamento di sistemi di difesa anti-missilistica. Ai due paesi fu solo consentito di detenere un centinaio di mis sili destinati a proteggere le rispettive capitali. Lo scopo era quello di mantenere la stabilità strategica attraverso una riduzione degli armamenti e l’istituzionalizzazione di una reciproca vulnerabilità. L’ABM venne ricono sciuto da tutti come uno dei pilastri della pace e della sicurezza internazionali. Ciò nonostante, trenta anni dopo, gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione di George Bush Junior, si ritirarono dall’ABM e diedero l’avvio a un ambizioso programma di difesa anti-missilistica. Altri paesi iniziarono anch’essi a perseguire analoghe capacità ma senza riuscire a colmare il vantaggio tec nologico che avevano raggiunto gli Stati Uniti.
La corsa agli armamenti nucleari e missilistici cui si assiste in questi ultimi anni è in buona parte una con seguenza di tale sviluppo. I nuovi missili «ipersonici» che russi e cinesi stanno sviluppando oggi mirano in
fatti principalmente a neutralizzare il vantaggio tecno logico acquisito dagli Stati Uniti nella difesa anti-mis sili. Sull’effettiva capacità di intercettazione di un attacco missilistico massiccio permangono tuttavia al cuni dubbi. Gli americani stessi sostengono che le loro difese non sarebbero capaci di intercettare le migliaia di testate possedute dalla Russia. Diverso è il caso della Cina che risulta possederne circa 300.
La THAAD
La «THAAD» è una delle componenti dell’architet tura di difesa anti-missilistica statunitense che è com posta altresì da sistemi a più breve e a più lunga gittata. Come indica il suo acronimo, essa dovrebbe intercet tare i missili balistici nella fase terminale della loro tra iettoria. È un sistema terrestre e mobile schierato principalmente fuori dal territorio americano per pro teggere gli alleati e le forze americane dislocate al l’estero da attacchi missilistici provenienti da avversari «minori» (essi parlano di Iran e della Corea del Nord). Alcune unità risultano esser state fornite a Israele e agli Emirati, e sarebbero in corso trattative per possibili for niture all’Arabia Saudita. Sono state anche tempora neamente dispiegate anche in Romania in attesa della loro sostituzione da parte di sistemi a più lunga gittata.
Lo schieramento della THAAD nella Repubblica di Corea
Le potenzialità generali della difesa antimissilistica sono state studiate a fondo anche dalla Corea del Sud, uno dei paesi maggiormente esposti a possibili attacchi missilistici. Durante il mandato dei presidenti sudco reani Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun, l’opzione THAAD venne valutata con scetticismo soprattutto perché era incompatibile con la politica di disgelo con la Corea del Nord allora perseguita. Sussistevano anche motivazioni di natura militare che in realtà permangono ancora oggi, per giustificare tale scetticismo. Vista la prossimità del confine con la Corea del Nord al cuore del sistema politico e industriale sudcoreano (la capi tale Seoul e i suoi dintorni), non era certo allora e non sembra esserlo neppure oggi, che un sistema anti mis silistico possa difendere efficacemente il paese da un attacco del Nord. In effetti la Corea del Nord non ha
bisogno di missili balistici nucleari per colpire Seoul. L’artiglieria ordinaria, che non è intercettabile, e i mis sili convenzionali a corto raggio del Nord sarebbero sufficienti per causare al Sud danni irreparabili.
Lo scetticismo nei confronti della difesa missilistica non fu tuttavia condiviso dalle successive amministra zioni conservatrici dei presidenti Lee Myung-Bak e Park Geun-hye che seguirono nei confronti del Nord una linea meno conciliante anche perché nel frattempo era intervenuto il game changer rappresentato dall’ac quisto da parte della Corea del Nord, nel 2006, del l’arma nucleare.
Il nuovo quadro strategico indusse l’allora presiden tessa Park Geun-hye ad accettare l’offerta americana di installare alcune unità del sistema THAAD sul territorio della Repubblica di Corea. Alla fine del mandato della Park affluirono e furono dispiegati i primi missili THAAD e quando il successivo presidente, il moderato Moon Jae, venne insediato si scoprì che la presidenza Park aveva permesso di introdurre segretamente, alla vi gilia del passaggio dei poteri, ulteriori unità THAAD. Una delle prime decisioni del successore fu quella di congelare a tempo indeterminato lo spiegamento della THAAD. Si trattò tuttavia di una pausa di breve durata, vittima anch’essa del fallimento del vertice Stati Uniti/DPRK di Hanoi. Tale fallimento trascinò con sé anche il ben più sostanzioso e articolato processo di riav vicinamento bilaterale tra i due Stati coreani architettato dal presidente Moon. L’escalation senza precedenti della tensione causata dalla rottura dell’idillio tra Trump e Kim Jong-un, obbligò lo stesso Moon a scongelare il processo di installazione degli THAAD già presenti in Corea escludendo tuttavia di accrescerne il numero. Il novum introdotto ora dalla nuova amministrazione Yoon è stato quello di consentire all’ulteriore accrescimento degli THAAD schierati nel territorio del Sud.
Le preoccupazioni della Cina
La Russia e la Cina espressero sin dall’inizio la loro forte opposizione allo spiegamento del sistema THAAD nella Corea del Sud. Poiché esso doveva av venire in prossimità del proprio territorio, la Cina si trovò sin dall’inizio in prima linea nel denunciare tale iniziativa che è diventata oggi il maggiore irritant nei
rapporti tra Seoul e Pechino. La nuova amministra zione sud coreana si trova ora sotto la duplice pressione da un lato dell’alleato americano che ha voce in capi tolo poiché mantiene schierati nel Sud circa 30.000 suoi uomini e dall’altro del vicino cinese che allo sta zionamento si oppone vigorosamente. La questione è stata al centro di un recente burrascoso incontro tra i ministri degli esteri di Cina e Corea del Sud. Pechino ha lasciato intendere che potrebbe al limite tollerare il mantenimento dell’attuale schieramento THAAD ma mai un suo rafforzamento come progettato dal nuovo presidente coreano.
La Cina è sicuramente consapevole che il sistema THAAD, progettato per intercettare i missili durante la fase terminale della loro traiettoria, non costituisce una reale minaccia per i suoi missili strategici destinati a colpire gli Stati Uniti. Essa è probabilmente più preoc cupata dalla loro componente radar che potrebbe con sentire agli americani una più immediata individuazione e identificazione di possibili lanci balistici cinesi diretti contro il proprio territorio.
La Cina è una delle poche potenze nucleari che di chiara di attenersi al principio del non primo uso del l’arma nucleare. Di conseguenza un lancio nucleare cinese avverrebbe solo in risposta a un eventuale primo attacco nucleare americano e solo con il ridotto arse nale nucleare che sopravvivrebbe a un eventuale primo attacco americano. La presenza dei radar THAAD in Corea ridurrebbe ulteriormente la possibilità che una
successiva risposta nucleare della Cina raggiunga ef fettivamente il territorio degli Stati Uniti.
Quali soluzioni?
L’acquisto dell’arma nucleare da parte della Corea del Nord, che è all’origine dello spiegamento del si stema THAAD, causa alla Cina un doppio svantaggio strategico poiché indebolisce il Trattato di non prolife razione nucleare che permette alla Cina di mantenere, assieme agli altri 4 Stati nucleari il monopolio delle armi nucleari e riduce, con lo schieramento THAAD, la credibilità del deterrente nucleare cinese nei con fronti degli Stati Uniti. Non è poi da escludere che un giorno l’imprevedibile leader nord coreano possa rivol gere l’arma nucleare contro la stessa Cina. Altra ipotesi che Pechino non può ignorare è che la Corea del Sud, di fronte a una perdurante minaccia nucleare del Nord, si doti a sua volta dell’arma nucleare ovvero che essa chieda agli Stati Uniti di tornare a installare le armi nu cleari ritirate dal proprio territorio. Non si tratta di con getture totalmente astratte, poiché esse circolano da tempo in alcuni ambienti del Sud. Il fatto che il presi dente Yoon abbia di recente voluto negare il persegui mento di tali obbiettivi può esser visto come un’indicazione che essi non sono estranei al dibattito strategico sud coreano.
La maggiore vulnerabilità che deriva alla Cina dal l’acquisto dell’arma nucleare da parte della Corea del Nord e che si estrinseca in particolare attraverso lo spiegamento della THAAD costituisce uno dei motivi che inducono oggi Pechino ad aumentare il proprio ar senale nucleare e a sviluppare in particolare missili ipersonici. È questa una delle cause della spirale arma mentistica senza fine cui stiamo assistendo attualmente.
Occorre trovare vie alternative. La Cina potrebbe per esempio abbandonare sic et simpliciter la dottrina del non primo uso dell’arma nucleare il che le consenti rebbe di rafforzare la credibilità del suo ridotto arsenale nucleare. Potrebbe anche escludere selettivamente dalla garanzia del non primo uso solamente gli Stati Uniti e suoi alleati dell’area asiatica. Si tratterebbe però, in am bedue i casi, di un’ulteriore destabilizzazione dell’area asiatica e ancora un passo indietro nel già zoppicante percorso dell’arms control
Più opportunamente la Cina potrebbe proporre agli Stati Uniti un accordo reciproco di non primo uso ana logo a quello che essa ha già stipulato bilateralmente con la Russia. Da parte loro gli Stati Uniti, dopo aver installato i missili THAAD in Corea del Sud potreb bero offrirne il ritiro (i lanciatori sono mobili e quindi facilmente ritirabili) in cambio di uno smantellamento dell’arsenale nucleare nord coreano che è ingombrante per tutti (Cina compresa). Si riproporrebbe in tal caso una situazione analoga a quella degli Euromissili che negli anni ottanta vennero schierati dagli americani in Europa (Italia inclusa) al fine di realizzare poi un ritiro totale sia dei missili americani sia di quelli sovietici come stipulato dal trattato INF del 1987. Gli Stati Uniti si potrebbero in aggiunta impegnare formalmente a non rischierare proprie armi nucleari nella Corea del Sud e quest’ultima dovrebbe riconfermare formalmente la ri nuncia a dotarsi dell’arma nucleare. Una win win situa tion che finalmente darebbe concretezza al concetto di denuclearizzazione militare dell’intera penisola co reana un obiettivo che allo stato attuale rimane soltanto uno slogan e un lontano miraggio.
Carlo Trezza, Circolo di Studi DiplomaticiL’Ambasciatore ha presieduto il Missile Technology Control Regime, la Conferenza sul disarmo a Ginevra e l’Advisory Board del Se gretario generale delle Nazioni unite per le questioni del disarmo a New York. È stato Ambasciatore d’Italia per il disarmo e la non pro liferazione, e Ambasciatore della Repubblica di Corea. Attualmente coordina il gruppo italiano dell’European Leadership Network (ELN). Entra in carriera diplomatica italiana nel 1970 serve in Zambia, Israele e Germania e torna nel 1981 a Roma per lavorare presso il ministero degli Affari Esteri alla Direzione generale per gli affari politici. Nel 1984 è inviato a Madrid come Primo Consigliere. Nel 1989 diventa capo della Sezione stampa e informazione dell’Ambasciata d’Italia a Washington, un incarico che ricopre per tre anni. Dal 1992 al 1996 lavora come Capo del Dipartimento del ministero degli Affari Esteri a Roma per la sicurezza e il disarmo europeo. Nel 1997 è assegnato all’Ufficio del Segretario generale del ministero degli Affari Esteri. Nel 1998 è nominato Ambasciatore a Seoul. Rientrato al Ministero, dal 2002 è coordinatore per la Sicurezza e il Disarmo presso la Direzione generale per gli affari politici multi laterali e i diritti umani.
Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
O SSERVATORIO INTERNAZIONALE
Haiti, o il perenne ritorno
Agli inizi di ottobre, il Governo di Haiti ha lanciato un appello disperato alla comunità internazionale chie dendole, ancora una volta, di intervenire e aiutare quel disgraziato paese in preda alle violenze delle bande cri minali e una crisi economica pesantissima. Ma perché? L’ultima operazione di stabilizzazione dell’ONU, la MINUSTAH (Mission des Nations unies pour la sta bilisation en Haïti), ha lasciato l’isola nel 2017 seguita da feroci polemiche e critiche da parte sia del Governo sia della popolazione locale per il comportamento dei «caschi blu». La MINUSTAH, in ossequio alle più re centi dottrine delle operazioni di peacekeeping oltre a un robusto apparato militare, comprendeva anche set tori di attività dedicate agli affari civili, politici, assi stenza elettorale, protezione e promozione dei diritti umani, protezione dell’infanzia, assistenza umanitaria, riforma e formazione nei settori della giustizia, polizia e penitenziaria. La MINUSTAH, secondo le attuali pra tiche delle operazioni di peacekeeping, quando ha ter minato il suo mandato è stata sostituita da una piccola missione di follow up, in questo caso formata princi palmente da personale di polizia, la MINUJUST (Mis sion des Nations Unies pour l’appui à la Justice en Haïti) sino al 2019 quando a sua volta è subentrato un minuscolo ufficio, il BINUH (Bureau Intégré des Na tions Unies en Haïti), con limitate capacità di monito raggio, collegamento e consiglio sui temi della sicurezza e governance, mentre le attività di sviluppo e assistenza socioeconomica sono state assegnate al l’UNCT (United Nation Country Team), dove le varie agenzie e programmi dell’organizzazione (UNDP, WHO, UNICEF eccetera) lavorano insieme. In realtà tutta l’azione dell’ONU si scontra con una situazione locale, dove alle mai sanate problematiche isolane, sot tosviluppo e corruzione, si sono aggiunte gravissime emergenze di sicurezza dove bande armate criminali locali, appoggiate verosimilmente da organizzazioni di narcotrafficanti colombiani, centroamericani e messi cani, si affrontano in scontri sempre più violenti, che le Forze di sicurezza haitiane non sono in grado di ar ginare. Questa guerra fra bande, focalizzata al controllo del lucroso mercato e traffico di stupefacenti, in primis
verso i vicini Stati Uniti (ma anche verso l’Africa e l’Europa) deprime ancora di più le attività economiche, oramai al lumicino. L’appello di Port-au-Prince fa emergere quanto l’azione internazionale sia stata poco efficace. Per la cronaca, si sono avvicendate sull’isola caraibica, una Forza multinazionale (a guida statuni tense) tra il 1993 e il 1994, accompagnata dalla MI CIVH (Mission civile internationale en Haiti), una operazione congiunta ONU e OAS/OEA (Organizza zione degli Stati Americani). Tra il 1993 e il 1996 la Forza multinazionale è stata prima affiancata e poi ri levata dalla UNMIH (United Nations Mission in Haiti). Il biennio 1996 e 1997 è stato particolarmente difficile per l’isola, che ha visto alternarsi l’UNSMIH (United Nations Support Mission in Haiti) tra il giugno 1996 e il luglio 1997 e l’UNTMIH (United Nations Transition Mission in Haiti) tra il luglio e il novembre 1997 e la MIPONUH (Mission de police civile des Nations unies) tra il novembre 1997 e il marzo 2000. Di nuovo una forza multinazionale a guida franco-statunitense prende terra sull’isola a seguito di gravi tumulti nel 2004, per essere anche essa, affiancata e poi rilevata da una forza ONU, la sopracitata MINUSTAH in quel me desimo anno.
Una promessa da concretizzare Repubblica Democratica del Congo: finanziamenti in vista?
I paesi aderenti alla Comunità dell’Africa Orientale (EAC), che comprende Kenya, Tanzania, Uganda, Bu rundi, Ruanda, Sudan del Sud, Repubblica Democra tica del Congo sono alla ricerca di nuovi contributi per un fondo speciale istituito per finanziare una forza re gionale destinata a pacificare la regione orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Gli importi raccolti finora sono stati relativamente modesti per questa iniziativa, lanciata nell’aprile di quest’anno. Il ministro degli Esteri della RDC Christophe Lutundula Apala ha osservato che il Senegal, il cui presidente Macky Sall è l’attuale presidente di turno dell’Unione Africana (UA), ha contribuito con un milione di dollari. Il presidente dell’Angola Joao Lourenço ha donato l’equivalente di 2 milioni di dollari, mentre il Kenya
dovrebbe contribuire con 1,5 milioni di dollari. Altri potenziali contributori includono l’UA e l’UE, con le quali sono ancora in corso discussioni (viste le difficili relazioni tra EAC e UA, è difficile che Addis Abeba conceda un finanziamento importante). Il dispiega mento della Forza regionale intanto comincia a pren dere lentamente forma, con l’arrivo dei primi soldati burundesi e kenioti. Dovrebbero prendere parte alla ri conquista della città di Bunagana, che è sotto il con trollo delle forze ribelli dell’M23, entità che, come una maligna araba fenice, si forma e si riforma secondo le necessità e i progetti dei suoi mutevoli, numerosi (e na scosti) padrini. Questo schieramento, ancora in via di concretizzazione, a prima vista appare come uno stri dente contrasto con l’iniziativa in corso da parte del Governo di Kinshasa di accelerare il piano di ritiro della MONUSCO a seguito della ondata di violenze della fine del luglio scorso, costati 29 morti civili, 4 «caschi blu», 200 feriti e danni gravi alle installazioni dell’ONU saccheggiate e distrutte nel corso dei tumulti. Appare chiaro che alla prima occasione la RDC chie derà al Palazzo di Vetro l’evacuazione, la più rapida possibile, dei «caschi blu». Mentre la ragione della ri chiesta è chiara, cioè la presenza delle truppe interna zionali è sempre meno tollerata dalle popolazioni locali e questo ne rende la presenza inutile se non contropro ducente, il contesto sembrerebbe richiedere invece una presenza militare robusta in grado di aiutare le Forze locali per fare fronte a una violenza diffusa (in una sola drammatica giornata a metà settembre sono morte 150 persone a seguito di scontri tribali nelle regioni orien tali della RDC). Le frustrazioni locali contro la MO NUSCO sono state alimentate da una recente recrudescenza degli scontri con il gruppo ribelle M23 nell’est del Congo che hanno causato migliaia di sfol lati, mentre sono proseguiti anche gli attacchi di mili tanti probabilmente legati allo Stato islamico quali le ADF (Allied Democratic Forces) e questo nonostante lo stato di emergenza durato un anno. Quello che è dub bio è l’alternativa proposta, ovvero rimpiazzare truppe internazionali con altre, quelle messe a disposizione dalla EAC. Inoltre, il futuro della FIB (Force Interven tion Brigade), costola semi-indipendente della MONU
SCO, incaricata di attaccare ed eliminare le formazioni armate irregolari che infestano l’est della RDC (mentre il resto delle forze ONU è incaricato della mera prote zione delle popolazioni civili e dei campi di rifugiati e che non è formata, equipaggiata e addestrata per con durre azioni offensive) resta in una specie di limbo, nel senso che non è (ancora) chiaro cosa Kinshasa voglia farne. Una ipotesi è che una forza che promana da una organizzazione regionale africana (di cui la RDC fa parte dal 2022) sia più sintonia con i progetti di Kin shasa e con le sue necessità di migliorare le pessime relazioni con altri Stati dell’organizzazione, quali Ruanda, Burundi e Uganda e uscire da un tunnel di po lemiche con le Nazioni unite. Al riguardo, è risultato particolarmente indigesto per Kinshasa il ruolo di me diatore, e in ultima analisi, di controllore dello scenario politico interno e della governance, da parte della MO NUSCO così come la tutela dei diritti dell’uomo. La MONUSCO, che ha preso il posto di una precedente operazione delle Nazioni unite nel 2010, la MONUC, attivata nel 1999, è stata gradualmente ridimensionata per anni e il suo attuale mandato scade nel dicembre di quest’anno. La MONUSCO conta attualmente quasi 18.000 persone (170 osservatori militari (disarmati), 12.400 militari (incluso la menzionata FIB), 328 per sonale militare di staff, quasi 1.700 agenti di polizia, quasi 3.000 dipendenti civili (internazionali e locali) e oltre 300 UNVs (UN Volunteers).
Israele: un piccolo «Abraham accord» in prospettiva
Agli inizi di ottobre Israele ha rivelato di essere pros simo a un accordo «storico» con il Libano per risolvere una disputa di lunga data sul loro confine nelle acque del Mediterraneo che vantano ricche riserve di gas, dopo che una proposta redatta dagli Stati Uniti ha soddisfatto le «richieste» israeliane. Un accordo tra i paesi vicini, che rimangono tecnicamente in guerra, potrebbe segnare un passo importante verso lo sblocco della produzione di gas offshore per entrambi i paesi e l’avvio della normalizza zione diplomatica. I colloqui sono stati mediati dal diplo matico statunitense Amos Hochstein (inviato speciale e coordinatore degli affari energetici internazionali del Go
verno degli Stati Uniti), che ha cercato di avvicinare le posizioni delle due parti. Hochstein ha presentato una serie di proposte a Israele e Libano all’inizio di ottobre. Israele ha accolto favorevolmente la prima bozza di Ho chstein, ma il Libano ha chiesto degli emendamenti, che però Israele ha già dichiarato di voler rifiutare. I negoziati sono proseguiti e Israele ha affermato che l’ultima bozza di Hochstein ha portato a un accordo a portata di mano. «Tutte le nostre richieste sono state soddisfatte, i cam biamenti che abbiamo chiesto sono stati effettuati», ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale israe liano e negoziatore ai colloqui, Eyal Hulata. «Abbiamo protetto gli interessi di sicurezza di Israele e siamo sulla buona strada per un accordo storico», ha aggiunto. Una
internazionalesdotto che collega Karish alla costa israeliana, un passag gio chiave prima che la produzione possa iniziare. Se condo i termini della bozza americana trapelata alla stampa, tutto Karish cadrebbe sotto il controllo israeliano, mentre Qana, un altro potenziale giacimento di gas, sa rebbe diviso ma il suo sfruttamento sarebbe libanese. La società francese Total sarebbe autorizzata a cercare gas nel giacimento di Qana e Israele riceverebbe una quota delle entrate future. Il primo ministro israeliano Yair Lapid ha affermato che il suo Governo è impegnato a esportare più gas in Europa per aiutare a sostituire le con segne russe colpite dalla guerra in Ucraina. Ma le pro spettive delle elezioni generali previste per il 1° novembre in Israele hanno oscurato le recenti fasi dei ne
fonte libanese ha detto che l’ultima bozza proposta dagli Stati Uniti «include la maggior parte delle richieste o delle posizioni del Libano e le soddisfa». Hochstein ha inviato la sua proposta al capo negoziatore libanese, il vi cepresidente Elias Bou Saab. I paesi hanno riaperto i ne goziati sul confine marittimo nel 2020, ma il processo ha dovuto affrontare ripetuti intoppi. Una delle principali fonti di attrito era il giacimento di gas di Karish, che se condo Israele cadeva interamente nelle sue acque e non era oggetto di negoziazione. Il Libano ha rivendicato parte del campo di Karish e Hezbollah, il potente gruppo sciita sostenuto dall’Iran che detiene un’enorme influenza in Libano, ha minacciato l’uso della forza se Israele avesse iniziato la produzione a Karish. Israele ha detto che la produzione a Karish inizierà il prima possibile, in dipendentemente dalle richieste del Libano. La società, quotata a Londra, Energean ha iniziato a testare il ga
goziati, infatti il leader dell’opposizione Benjamin Neta nyahu, ha accusato Lapid di aver «ceduto» alle pressioni degli Hezbollah, che giocano un ruolo di primo piano nella politica libanese. Non è chiaro se Netanyahu, che resta determinato a rivendicare la carica di Premier che ha ricoperto dal 2009 al 2021, abbia visto i termini pro posti dell’accordo, ma ha comunque promesso che il Go verno di falchi che spera di formare il prossimo mese non sarà vincolato da alcun accordo con il Libano. La cronaca di questo possibile accordo necessita di alcune contestua lizzazioni. Il primo è la offensiva diplomatica a tutto campo che Israele sta compiendo nei riguardi dei paesi arabi, che si sta estendendo in ogni direzione, fino al Ma ghreb (e che guarda anche all’Africa, con la richiesta, si nora sospesa per la dura opposizione di Algeria e Sudafrica, di riottenere lo status di osservatore presso l’Unione Africana, sospeso nel 1973 quando nel corso
della guerra dello Yom Kippur le truppe israeliane pre sero terra nella parte africana dell’Egitto). Il Libano, ov viamente ha un ruolo particolare, dove oltre al confine in comune, in considerazione di una storia bilaterale con troversa, dettata dalla presenza dei campi di rifugiati pa lestinesi e dalla crescita impetuosa degli Hezbollah, che per i loro legami con l’Iran, considerato da Israele un ne mico mortale, sono una incognita di grande peso. Il pre sidente libanese Michel Aoun, nonostante, come cristiano sia un buon alleato degli sciiti (inclusi gli Hezboallah) ha approvato l’accordo finale che stabilirà i confini marittimi con Israele, risolvendo potenzialmente un conflitto de cennale tra i due paesi. Proprio la pesantissima crisi eco nomica e finanziaria del Libano è un elemento che non
Inoltre, anche in questo, la guerra russo-ucraina ha il suo peso spingendo Stati e società a cercare idrocarburi per entrare in un mercato che sta cambiando e che cambierà ulteriormente e proporsi come fornitori e partner energe tici e politici. L’accordo con il Libano si può leggere come parte del più ampio progetto di sfruttamento delle risorse energetiche del Mediterraneo orientale, con il coinvolgimento anche di Egitto, Grecia, Cipro (senza contare le difficili e altalenanti relazioni con la Turchia di Erdogan). Elemento positivo è il ruolo di mediazione degli Stati Uniti. Washington è alla ferma ricerca della stabilità regionale per ridurre i suoi impegni politici, fi nanziari e militari, e così poter fronteggiare altri contesti geopolitici come con la Cina.
si può ignorare nella nuova posizione di Beirut, alla di sperata ricerca di risorse per evitare il collasso del paese (si può citare la trionfale dichiarazione di Aoun, che ha commentato in merito: «Diventeremo un “petrostato”»). Ma il Libano si sta incamminando in una asperrima fase politica focalizzata alla elezione del nuovo Presidente della Repubblica destinato a succedere ad Aoun. Viste le condizioni di frammentazione politica e di disastro eco nomico diversi osservatori temono il riproporsi di scenari di blocco istituzionale analoghi all’Iraq e questo con tutti i rischi di stabilizzazione connessi in una area che di pro blemi ne ha già a sufficienza. Nel caso di una normaliz zazione con il Libano, la sicurezza strategica di Israele migliorerebbe in quanto potrebbe avviarsi l’atteso svi luppo dell’aeroporto di Haifa (nel raggio delle artiglierie degli Hezbollah), sinora bloccato e costituire una alter nativa all’unico hub nazionale di Tel Aviv-Ben Gurion.
ONU: forma e sostanza
L’Assemblea generale dell’ONU per discutere dei re ferendum di annessione alla Russia delle province oc cupate dell’Ucraina, è stata preceduta da un significativo passaggio procedurale. In sostanza, l’As semblea generale delle Nazioni unite ha votato lunedì 11 ottobre per respingere l’appello della Russia affinché l’Organismo (193 Stati), mantenesse uno scrutinio se greto sull’opportunità di condannare la mossa di Mosca di annettere quattro regioni parzialmente occupate in Ucraina. L’Assemblea generale ha deciso, con 107 voti favorevoli, di tenere una votazione pubblica — non se greta — su un progetto di risoluzione che condanna i referendum organizzati dai Governi autoproclamati delle regioni occupate della Russia e il tentativo di an nessione, entrambi considerati illegali. Solo 13 paesi, l’11 ottobre, si sono opposti a una votazione pubblica
sulla bozza di risoluzione. Altri 39 paesi si sono astenuti e gli altri paesi, comprese Russia e Cina, non hanno vo tato essendo in absentia. La Russia al riguardo ha affer mato che la pressione diplomatica occidentale sugli altri Stati significava che un dibattito onesto sul tema «po trebbe essere molto difficile se le posizioni vengono espresse pubblicamente». L’ambasciatore russo del l’ONU Vassily Nebenzia ha messo in dubbio le buone ragioni del rigetto della iniziativa moscovita dicendo «che cosa ha a che fare questo con la pace e la sicu rezza o il tentativo di risolvere i conflitti?», descrivendo il voto come «ancora un passo in più verso la divisione e l’escalation, che sono sicuro non è qualcosa di cui la maggioranza assoluta degli stati in questa stanza ha bi sogno». Nonostante il voto negativo, la Russia ha fatto un altro tentativo, ma questo non ha trovato neanche il minimo consenso per essere votato dall’Assemblea. Quel voto ha preparato, peggiorandolo, il risultato del voto ufficiale, dove solo 5 stati (Mosca compresa) hanno votato contro e ben 107 a favore (35 non hanno votato e 43 non si sono presentati al voto). Questo voto, seppur simbolico, dell’Assemblea generale rappresenta un deciso cambio di passo rispetto al passato ricordando il fastoso ricevimento presso la missione russa alle Na zioni unite a New York, dove dozzine di ambasciatori provenienti da Africa, Medio Oriente, America Latina e Asia, in occasione della festa nazionale del paese, meno di quattro mesi dopo che le Forze di Putin ave vano iniziato l’invasione dell’Ucraina. «Ringraziamo tutti voi per il vostro sostegno e la vostra posizione di principio contro la cosiddetta crociata anti-russa», aveva detto loro l’ambasciatore Vassily Nebenzia, dopo aver accusato diversi paesi, senza nominarli, di tentare di «cancellare» la Russia e la sua cultura. In ogni caso, il voto di questo ottobre riquadra le oscillazioni dei voti precedenti, che avevano fatto temere una solida presa di Mosca su molti stati. Per esempio, in occasione del voto dell’Assemblea generale delle Nazioni unite nel l’aprile scorso, per sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani (in quell’occasione Mosca avvertiva che anche una astensione sarebbe stata considerata un voto ostile, con tutte le conseguenze del caso), si vide un arretramento della coalizione antirussa. L’iniziativa, guidata dagli Stati Uniti ebbe comunque successo, ot
tenendo 93 voti a favore, 24 voti contrari e ben 58 aste nuti (e 18 assenti). Comunque, le crescenti astensioni elettorali segnalavano una crescente riluttanza a opporsi pubblicamente a Mosca, tanto che la stessa UE riconsi derava il suo piano, messo a punto nel mese di giugno per chiedere all’ONU di nominare un esperto per inda gare sulle violazioni dei diritti umani in Russia, per il timore che la metà dei 47 membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite a Ginevra potesse op porsi. Gli Stati occidentali hanno avuto successo nel concentrarsi sulle elezioni degli organi delle Nazioni unite. Per la prima volta da quando l’Agenzia delle Na zioni unite per l’infanzia UNICEF è stata creata nel 1946, la Russia non è riuscita a vincere la rielezione nel Consiglio in aprile e non è riuscita a ricoprire seggi in altri organismi. All’Organizzazione Mondiale della Sa nità, invece, a maggio scorso, circa 30 stati, metà dei quali dall’Africa, non si sono presentati al voto su una risoluzione proposta dall’Ucraina di condanna verso Mosca. L’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni unite, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato che la Russia è stata in grado di influenzare alcuni paesi con una falsa narrativa secondo cui le sanzioni occidentali sono responsabili di una crisi alimentare globale ali mentata dalla guerra di Mosca, ma ha affermato che non era stata tradotta in un maggiore sostegno alla Russia. «Più di 17 paesi africani si sono astenuti per paura delle tattiche intimidatorie russe contro di loro. Quindi dobbiamo esserne consapevoli», ha detto a luglio alla commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti. La situazione quindi richiedeva una pausa di riflessione e azioni destinate a (ri)compattare le as semblee di New York e Ginevra. Evidentemente l’evo luzione sul terreno, i selvaggi bombardamenti di artiglieria e missili su obiettivi civili, e la pesantissima offensiva diplomatica, in primo luogo degli Stati Uniti (il segretario di Stato Blinken e le sue due principali as sistenti, Vicki Nuland e Wendi Sherman hanno svolo una attività quasi frenetica contattando praticamente tutti gli Stati del mondo perorando la necessità di una azione contro Mosca) ha portato i suoi frutti (senza con tare l’altrettanto intenso lavorio del segretario alla Di fesa Lloyd Austin.
Enrico MagnaniM ARINE MILITARI
ITALIA
Il Presidente Mattarella visita il Cavour
Il 13 settembre, il Presidente della Repubblica, Ser gio Mattarella, ha visitato la portaerei Cavour al largo di Civitavecchia. Il Capo dello Stato era accompagnato dal Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio di squadra Enrico Credendino, dal parigrado Coman dante in Capo della Squadra Navale, Aurelio De Caro lis e dal Comandante dell’unità, Capitano di vascello di nave Cavour, Enrico Vignola.
Alla Marina Militare il comando dell’operazione «Agenor»
Dal 1 settembre 2022 per la prima volta nella breve storia di EMASOH (European-led Maritime Awareness in the Strait of Hormuz, dispositivo navale di sorve glianza dei traffici marittimi nello Stretto di Hormuz), il comando dell’operazione «Agenor» è stato affidato alla Marina Militare, con il relativo personale imbarcato sul pattugliatore polivalente d’altura Thaon di Revel, che funge da flagship. Partita dall’Italia il 12 agosto, l’unità è dunque impegnata in un’operazione internazionale di elevato profilo, a cui partecipa anche uno staff imbarcato formato da militari provenienti da Belgio, Danimarca, Francia, Olanda e Grecia: il dispositivo in mare è coa
diuvato da personale a terra, di base a Al Salam Camp in Oman, proveniente da Norvegia, Danimarca e ancora Francia. Lo staff dell’operazione «Agenor» è al co mando del contrammiraglio Stefano Costantino, che ha rilevato nell’incarico il parigrado belga Tanguy Botman: nel corso dell’attività, il Thaon di Revel e il personale imbarcato si impegneranno anche a promuovere il dia logo e la cooperazione a livello trans-regionale a sup porto della libertà di navigazione. L’iniziativa EMASOH — a cui partecipano Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Norvegia e Portogallo — è finalizzata ad assicurare la libertà di navigazione delle unità mer cantili nel Golfo Persico/Arabico, nello Stretto di Hor muz, nel Mar di Oman e nel Mar Arabico settentrionale: oltre alla unità navali, EMASOH fa affidamento su mezzi aerei per il monitoraggio delle aree d’interesse per la navigazione commerciale. Le operazioni del Thaon di Revel nella regione avranno una durata di 3 mesi e com prenderanno anche la partecipazione alla Italian Joint Task Force rischierata in Qatar per contribuire alla sicu rezza dei campionati mondiali di calcio ivi previsti dal 20 novembre al 18 dicembre.
L’ Amerigo Vespucci e la Storia infinita Nel 1962, la portaerei americana Independence in crociando la rotta dell’Amerigo Vespucci all’epoca in
crociera nel Mediterraneo, chiese all’unità di identifi carsi attraverso una comunicazione a lampi di luce: alla risposta «Nave scuola Amerigo Vespucci», la portaerei salutò con l’espressione rimasta nella storia «You are the most beautiful ship in the world (siete la nave più bella del mondo)». Il 1 settembre 2022, a sessant’anni di distanza, la Marina Militare e l’US Navy hanno ag giornato una pagina tra le più iconiche della storia del Vespucci: un’altra portaerei statunitense, la George H.W. Bush, ha incrociato la rotta del Vespucci in tran sito da Manfredonia a Taranto nel basso Adriatico. Il comandante, capitano di vascello David-Tavis Pollard, in ricordo dello storico evento avvenuto con l’Indepen dence, ha chiesto via radio «Siete il veliero Amerigo Vespucci della Marina Militare italiana?». Alla rispo sta affermativa del comandante pro-tempore del Ve spucci, capitano di vascello Massimiliano Siragusa, gli americani hanno risposto: «After 60 years you’re still the most beautiful ship in the world» «Dopo 60 anni siete ancora la nave più bella del mondo». Il nuovo in contro ha rappresentato l’opportunità per rinforzare il legame tra la Marina Militare e l’US Navy, nel solco di una tradizione che guarda al futuro.
Completato l’impegno NATO della fregata Antonio Marceglia
Nell’ultima settimana di agosto 2022, la fregata An tonio Marceglia ha completato un intenso periodo di attività operativa nel Mediterraneo con lo «Standing NATO Maritime Group 2» (SNMG 2), uno dei quattro dispositivi navali permanenti della Very High Readi ness Joint Task Force marittima inserito nella cornice della NATO Response Force dell’Alleanza Atlantica. Il Marceglia ha operato in Mediterraneo centrale e orien tale, partecipando alle attività di presenza e sorve glianza e garantendo contestualmente la sicurezza marittima, la stabilità dell’area e il libero uso delle vie di comunicazione. Durante queste attività, l’equipaggio del Marceglia ha interagito con il personale imbarcato su unità dell’US Navy, della Armada Española, della Marine Nationale francese e della Marina turca in mol teplici eventi operativi e addestrativi a difficoltà cre scente, finalizzati ad accrescere il livello di prontezza e interoperabilità tra le forze NATO. Tra gli eventi ad destrativi più significativi vanno ricordati i movimenti tattici delle unità navali per simulare l’appartenenza a forze contrapposte, nonché l’attività congiunta di
«force protection» tra il Marceglia, il suo gommone a chiglia rigida e il naviglio veloce in dotazione alle forze speciali dell’US Navy. Nella sede della Spezia, il Mar ceglia si sta preparando per un’operazione di antipira teria nel Golfo di Guinea destinata a concludersi nel dicembre 2022.
100 aeromobili per la Marina Militare
Con la recente consegna del 52° esemplare di elicot tero imbarcato «NH-90» (su 56 in programma), le Forze aeree della Marina Militare hanno raggiunto il traguardo dei 100 aeromobili in servizio. Si tratta di una flotta aerea moderna, con caratteristiche diverse e complementari, formata da velivoli ad ala fissa quale componente aerotattica imbarcata, da velivoli da tra sporto ed elicotteri medi e medio-pesanti, impiegati prevalentemente in mare e da bordo delle unità navali. La Marina Militare può contare oggi su una Aviazione Navale in evoluzione, che nei prossimi anni continuerà nel processo di rinnovamento con la progressiva sosti tuzione del velivolo AV-8B «Harrier II Plus» con l’F35B STOVL sviluppata per l’impiego da unità portaerei, il completamento della flotta degli elicotteri medi con la consegna dell’ultimo NH-90 nel 2023, l’ammodernamento della linea EH-101, la dismissione
del AB-212 da rimpiazzare con elicotteri leggeri, non ché con l’entrata in servizio nel 2023 dei primi sistemi a pilotaggio remoto imbarcati e, in prospettiva, con il completamento della linea pesante ad ala rotante.
L’Alpino subentra al Bergamini nello SNMG 2 della NATO
Dal 1 settembre, la fregata Alpino si è aggregata allo SNMG 2, avvicendando la fregata Bergamini. L’Alpino opererà nell’ambito dello SNMG 2 per un periodo di circa 3 mesi. Da ricordare che l’SNMG 2 opera per contrastare la minaccia del terrorismo, contribuire alla sorveglianza marittima e alla raccolta di informazioni relative alle attività che possono costituire un poten ziale pericolo per la sicurezza nazionale e alleata. Lo SNMG 2 opera sotto il controllo operativo dell’Allied Maritime Command (MARCOM, con sede a Nor thwood), garantendo l’assolvimento di compiti quali la partecipazione a esercitazioni, la capacity building e la conduzione delle missioni assegnate all’Alleanza Atlantica. Il Bergamini e le altre unità dello SNMG2 hanno operato suddivise in due «task unit», di cui la prima impegnata in attività operativa in Mar Egeo, mentre l’altra dispiegata nell’intero bacino del Mar Mediterraneo.
FRANCIA
Consegna di tre velivoli a controllo remoto
Ai primi di settembre e dopo la loro qualifica tec nico-operativa, la Direzione generale degli armamenti francese ha consegnato alla Marine Nationale tre si stemi noti come «Système de Mini Drones aériens em
barqués pour la Marine», SMDM, destinati a un prossimo impiego operativo. L’SMDM è un sistema realizzato dalla società Survey Copter, da riprodurre in ulteriori 8 esemplari destinati a entrare in servizio entro i prossimi due anni. Ciascun SMDM comprende due velivoli a controllo remoto «Aliaca» ad ala fissa, da im barcare a bordo di pattugliatori d’altura e fregate di sor veglianza: il velivolo ha un’autonomia di missione di 3 ore, viene lanciato da una piccola catapulta e recupe rato con una rete.
GIAPPONE
Programma per un’unità per la difesa antimissile balistici
Dopo poco più di due anni dopo l’abbandono del programma «Aegis Ashore» (realizzazione di siti mis silistici a terra per scopi difensivi, basati sul noto si stema in dotazione ad alcune Marine) e le discussioni a livello governativo sulla tipologia di unità navali desti nate a svolgere la funzione di difesa contro i missili ba listici, il ministero della Difesa giapponese ha annunciato il 31 agosto l’intenzione di costruite due
unità navali equipaggiate col suddetto Aegis. Le richie ste per il bilancio della Difesa per l’esercizio finanziario 2023 — in cui si prevede una spesa complessiva di circa 40 miliardi di dollari — comprendono anche i fondi per i primi studi sul sistema propulsivo, a cui seguiranno verosimilmente quelli per il progetto e la costruzione delle due unità. Ricordando che i finanziamenti sono comunque soggetti all’approvazione del Parlamento di Tokyo, fonti stampa nipponiche da confermare ipotiz zano che le due unità dovrebbero costare 7,1 miliardi di dollari, molto di più dei 4,3 miliardi di dollari a suo tempo preventivati per gli altrettanti sistemi «Aegis Ashore». Benché ancora non siano stati divulgati ulte riori dettagli, è verosimile che si tratterà di unità più grandi e più costose dei cacciatorpediniere lanciamissili classe «Maya», da poco entrati in linea: le prime stime parlano di una lunghezza nell’intorno di 210 metri e una larghezza di 40 metri, a cui corrisponderebbe un dislo camento di circa 20.000 tonnellate. Sebbene queste di mensioni non esaltino le qualità velocistiche dello scafo e sono quindi da verificare con maggior esattezza, esse dovrebbero comunque necessarie ad assicurare un’ade guata stabilità alla piattaforma, nonché facilitare l’in stallazione di un cospicuo numero di complessi per il lancio verticale di missili destinati appunto al contrasto di ordigni balistici lanciati contro obiettivi nipponici, con un impiego in aree marittime avanzate rispetto al l’arcipelago giapponese. Le ipotesi sull’armamento missilistico riguardano certamente i missili «standard» nelle varianti SM-3 Block IIA e SM-6, oltre che una
Il cacciatorpediniere lanciamissili HAGURO, in linea dal marzo 2021, è la più recente unità della Marina nipponica equipaggiata con il sistema «Aegis». Una versione avanzata di quest’ultimo sarà in dotazione alle due future unità che il Governo del Giappone ha previsto di destinare alla difesa contro missili balistici di teatro (foto JMSDF).
Marine militari
versione potenziata del missile da crociera «Type 12» per garantirgli di colpire bersagli terrestri a una distanza di 1.000 km. Si auspica anche un elevato livello di au tomazione, tale da poter imbarcare un equipaggio con tenuto, con una consistenza certamente inferiore ai circa 300 uomini e donne presenti sui «Maya». La pianifica zione di massima prevede l’ingresso in linea delle due unità nel 2027 e nel 2028, permettendo così anche un’eventuale adattamento degli ormeggi nelle basi na vali nipponiche per ospitare le due unità. L’incremento dei bilanci militari nipponici riflette la crescente impor tanza assegnata da Tokyo alle proprio Forze armate, di retta conseguenza della percezione delle minacce espresse ed esprimibili dalla Corea del Nord e della Re pubblica Popolare Cinese: all’inizio di settembre, il mi nistro della Difesa giapponese Yasukazu Hamada ha affermato che l’ingresso in linea delle due nuove grandi unità missilistiche permetterà agli altri cacciatorpedi niere lanciamissili nipponici equipaggiati con il sistema «Aegis» di focalizzarsi su altre funzioni critiche, in par ticolare il contrasto a potenziali incursioni a cura di unità navali cinesi nelle acque territoriali e nei possedi menti insulari di Tokyo. Attualmente, la Marina giap ponese ha in linea 8 cacciatorpediniere lanciamissili equipaggiate con il sistema «Aegis Ashore» (due classe «Maya», altrettanto classe «Atago»e quattro classe «Kongo»), realizzate secondo successive evoluzioni concettuale e progettuali originate dalle unità statuni tensi classe «Arleigh Burke».
GRAN BRETAGNA Triste inizio per WESTLANT 22
Il 27 agosto scorso, la portaerei britannica Prince of Wales è salpata da Portsmouth per partecipare a WE STLANT 22, un dispiegamento periodico a ridosso della costa orientale degli Stati Uniti di cui avrebbero dovuto far parte anche operazioni di volo con velivoli imbarcati F-35B britannici e statunitensi. L’avaria a un giunto di accoppiamento sull’asse di dritta, esterno allo scafo, ha obbligato il Prince of Wales a rientrare a Portsmouth e successivamente a entrare in bacino a Rosyth (in Scozia) per le necessarie riparazioni. L’unità è stata sostituita dalla gemella Queen Elizabeth, reduce dal tour transo ceanico del 2021 e salpata da Portsmouth il 7 settembre:
del gruppo navale fanno anche parte la fregata Richmond e il rifornitore polivalente di squadra Tideforce. Dopo le esercitazioni al largo della costa atlantica degli Stati Uniti — comprese attività addestrative con velivoli a controllo remoto «Banshee” e ulteriori prove di appontaggio corto degli F-35B con la tecnica nota come «Shipborne Vertical Rolling Landing, SRVL» — la Queen Elizabeth parteci perà al «Atlantic Future Forum» a New York (28-29 set tembre) e quindi rientrerà in Europa ai primi d’ottobre, per attività in Germania e poi nel Mar Baltico.
Mentre l’unità naviga in Atlantico, l’equipaggio della portaerei QUEEN ELI ZABETH si è schierato sul ponte di volo, a poppa, per rendere omaggio alla Regina britannica scomparsa l’8 settembre 2022; dalla mensola in basso a dritta, vengono sparate 96 salve di saluto (UK MoD).
Operazioni subacquee in Mediterraneo
Lo scorso 2 settembre, la Royal Navy ha annunciato che il sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Au dacious ha completato il suo secondo ciclo di opera zioni nell’ambito di dispositivi aeronavali britannici e NATO. Normalmente basato a Faslane (in Scozia), ma in azione in un’area marittima del Mediterraneo orien tale negli scorsi sei mesi, il battello è stato impegnato anche nell’operazione NATO «Sea Guardian», moni torizzando traffici marittimi di qualsiasi tipo. Quando non assegnato all’operazione «Sea Guardian», l’Auda cious ha affinato le sue capacità di contrasto a unità si milari lavorando assieme alla Marina Militare, in particolare con la fregata Carlo Margottini: il battello è infine approdato nella base NATO di Suda, nell’isola di Creta, per procedere alla pulizia della carena a cura di un team di subacquei specializzati che evita l’in gresso e la permanenza in bacino.
REPUBBLICA POPOLARE CINESE Nuove costruzioni a ritmo serrato
L’industria navale militare della Repubblica Popo lare Cinese continua a dimostrare una marcata prolifi cità. Un’immagine pubblicata in un blogger locale, noto come @lyman2003, mostra la costruzione con temporanea di cinque cacciatorpediniere lanciamissili «Type 052D» nel cantiere di Dalian, situato nella Cina settentrionale e uno dei due complessi cantieristici spe cializzato nella realizzazione di unità maggiori com battenti. La notizia delle costruzione di massa è stata confermata da un sito occidentale specializzato, che ha ricordato che a Dalian sono stati varati in uno stesso giorno di due anni fa un’unità «Type 052D» e una «Type 055». Mantenendo questo rateo costruttivo, che nel 2021 si è manifestato con la realizzazione di 18 cac ciatorpediniere, la Marina cinese conferma il suo status di Forza navale più consistente del mondo, una posi zione raggiunta lo scorso anno e confermata da un rap porto pubblicato dal Pentagono. Le unità in costruzione a Dalian si sommeranno ai 25 cacciatorpediniere «Type 052» attualmente in linea (per la precisione 13 «Type 052D» e 12 «Type 052DL»), a cui ne va aggiunto un
altro nel cantiere Jiangnan Changxing» sono conside rate la risposta cinese alle unità statunitensi equipag giate con il sistema «Aegis» e ultima evoluzione di un progetto avviato circa 15 anni fa e soggetto a migliorie nei sistemi e sensori imbarcati. La variante «Type 052D» ha un dislocamento a pieno carico di 7.500 ton nellate, una lunghezza di 157 metri e una larghezza di 17,2 metri: introdotta dal 14° esemplare in avanti, la variante «Type 052DL» è più lunga di 4 metri, neces sari per l’imbarco di nuovi elicotteri e con il disloca mento che raggiunge le 7.700 tonnellate.
SPAGNA
Il «Naval Strike Missile» sostituirà l’Harpoon
L’Armada Española ha selezionato il «Naval Strike Missile», NSM, prodotto dalla società norvegese Kon gsberg quale sostituto per l’ormai obsoleto missile anti nave «Harpoonv»: la nuova arma sarà imbarcata sulle fregate lanciamissili classe «Alvaro de Bazan» in servi zio e sulle analoghe future unità classe F-110/Bonifaz. La valutazione propedeutica alla scelta del nuovo missile ha compreso diversi aspetti quali le capacità operative, le doti di sopravvivenza, la manutenzione, ecc.; la Spa gna diventa così la 9a nazione ad adottare il NSM, ag giungendosi a Norvegia, Polonia, Malesia, Germania, Stati Uniti, Romania, Canada e Australia. La competi zione ha coinvolto altri due sistemi missilistici antinave, cioè l’Exocet MM40 Block 3C di MBDA e l’RBS 15 Mk.3+ della Saab: l’Armada prevede di acquisire il nuovo missile ben prima del ritiro dal servizio dell’Har poon, previsto per il 2030. Da parte sua, l’NSM è un missile antinave di 5a generazione, accreditato di un rag gio d’azione massima di oltre 100 miglia, dotato di un sistema di navigazione combinato fra inerziale, GPC e radar-altimetro, mentre la guida terminale è affidata a un sensore all’infrarosso che dialoga con una banca dati di bersagli incorporata nella testa dell’ordigno. La velocità massima del missile è di 0,9 Mach, con la possibilità di attaccare anche bersagli costieri/terrestri fissi.
Foto aerea, non di elevata qualità, dell’area del cantiere navale di Dalian dove è in corso la costruzione di 5 cacciatorpediniere lanciamissili «Type 052D» destinati alla Marina cinese (@lyman2003).
Gravi criticità della componente subacquea spagnola
La Marina spagnola sarà priva di una componente subacquea almeno fino alla fine di ottobre 2022: uno
dei due battelli tipo «S-70» rimasti in linea, Galerna, è impegnato nelle prove in mare dopo un periodo di la vori necessario ad allungarne le vita operativa fino al 2027-28. L’altro battello, il Tramontana, ha iniziato a settembre interventi finalizzati allo stesso scopo. La Marina spagnola prevede inoltre l’entrata in servizio del nuovo sottomarino Isaac Peral, progetto «S-80», nel secondo trimestre del 2023, al termine di un pro cesso realizzativo assai travagliato perché compren dente la riprogettazione totale del battello. Secondo le previsioni, la costruzione delle quattro unità tipo «S80» dovrebbe essere completata entro la fine di questo decennio: tuttavia, eventuali problemi riscontrabili con la messa a punto dei nuovi sottomarini potrebbe impli care che l’estensione della vita operativa di battelli en trati in servizio negli anni Ottanta quali Galerna e Tramontana non sia sufficiente a evitare l’indisponibi lità totale di unità subacquee spagnole.
STATI UNITI
Nuove costruzioni per l’US Navy
Il 5 agosto, la società General Dynamics NASSCO ha sottoscritto un contratto da 1,4 miliardi di dollari con l’US Navy per la costruzione del sesto esemplare di «ex peditionary seagoing vessel» (distintivo ottico ESB 8) e di due rifornitori di squadra classe «John Lewis», al mo mento identificati dai distintivi ottici T-AO 211 e T-AO 212. Il totale complessivo per la costruzione delle poten ziali 4 unità potrebbe raggiungere il valore di 2,7 miliardi di dollari. L’US Navy ha attualmente in linea 4 unità tipo
ESB (Montford Point, John Glenn, Lewis B. Puller, Her shel «Woody» Williams e Miguel Keith), mentre altre due sono in costruzione John L. Canley e Robert E. Simanek. Le «expeditionary seagoing vessel» sono piattaforme al tamente flessibili, configurate per un’ampia gamma di operazioni aeronavali, fra cui la neutralizzazione delle mine con assetto aerei e il supporto alle attività delle Forze speciali: lunghe 239 metri, le ESB hanno un ampio ponte di volo dimensionato per far operare elicotteri leg geri, medi e pesanti e convertiplani. I rifornitori di squa dra classe «John Lewis» sono concepiti per il trasferimento di carichi liquidi e solidi, sono lunghi 225 metri e hanno un dislocamento di circa 50.000 tonnellate: la capacità di carico liquido ammonta a 25 milioni di litri di combustibili. L’unità eponima è in servizio, mentre Harvey Milk, Earl Warren e Robert F. Kennedy sono in costruzione. La cerimonia d’impostazione del cacciator pediniere Jeremiah Denton (DDG 129), appartenente alla classe «Arleigh Burke Flight III», ha avuto invece luogo il 16 agosto nei cantieri di Pascagoula (nStato del Mississippi) del gruppo Huntington Ingalls Industries (HII). All’unità è stato assegnato il nome dell’ex-Sena tore Jeremiah Denton, veterano del conflitto vietnamita. Sistema chiave dei cacciatorpediniere lanciamissili classe «Arleigh Burke Flight III» è il radar attivo a facce piane e a scansione di fase AN/SPY-6(V)1, associato al sistema di gestione operativa «Aegis Baseline 10» e op portunamente potenziato per svolgere funzioni di difesa antiaerei e antimissili di area. Il gruppo HII Ingalls Ship building è anche alle prese con la costruzione dei caccia
avuto luogo il 27 agosto
Marine militari
torpediniere lanciamissili Lenah Sutcliffe Higbee (DDG 123), Jack H. Lucas (DDG 125), Ted Stevens (DDG 128) e George M. Neal (DDG 131). Il gruppo industriale HII è l’unica azienda degli Stati Uniti in grado di costruire portaerei, nonché leader nello sviluppo di tecnologie per scopi militari. Il 27 agosto 2022 HII ha organizzato — nei cantieri di Newport News, in Virginia — la cerimonia per l’impostazione della futura portaerei a propulsione nucleare Enterprise (distintivo ottico CVN 80). Nel suo indirizzo di saluto, il sottosegretario dell’US Navy Erik Raven ha ribadito il valore militare e politico delle por taerei: Raven ha anche reso omaggio ai veterano imbar cati sulle precedenti unità che hanno portato lo stesso nome della portaerei in costruzione, vale a dire la por taerei protagonista iconica della Seconda guerra mon diale, Enteprise/CV 6 (nota anche come «The Big E»), e la prima portaerei a propulsione nucleare del mondo, Enterprise/CVN 65, entrambe costruite nei cantieri di Newport News. Circa 10 tonnellate di acciaio recuperato da quest’ultima sono state utilizzate per realizzare i primi moduli dello scafo della nuova Enterprise, a cui se ne aggiungeranno altre 7 tonnellate, assicurando così la con tinuità della tradizione navale statunitense. La futura por taerei è il terzo esemplare della classe «Gerald Ford», concepita per sostituire progressivamente le unità classe «Nimitz» e caratterizzata da rilevanti innovazione quali un nuovo sistema di propulsione nucleare, un’isola di nuova concezione, catapulte elettromagnetiche, un mi gliore sistema di movimentazione degli armamenti de stinati ai velivoli imbarcati, una nuova configurazione
del ponte di volo per migliorare l’efficienza operativa dell’unità e un importante margine di crescita per l’in troduzione di innovazioni tecnologiche. L’Enterprise/CVN 80 è la prima portaerei a essere pro gettata con metodologie digitali, nonché a essere co struita in tal modo, utilizzando cioè computer portatili e tablet al posto dei classici disegni su carta del progetto esecutivo di dettaglio. L’Enterprise/CVN 80 è anche la prima di due portaerei acquisite mediante un unico con tratto stipulato dall’US Navy e in cui la seconda unità è la portaerei Doris Miller (CVN 81). Il 31 agosto ha avuto ufficialmente il via — negli stabilimenti Fincantieri Ma rinette Marine, a Marinette, nel Wisconsin — la costru zione della prima fregata lanciamissili classe «Constellation». L’inizio delle attività produttive si con cretizza dopo due anni e mezzo dall’assegnazione a Fin cantieri del contratto per il progetto di dettaglio e per la costruzione delle prima unità, battezzata Constellation (distintivo ottico FFG 62). Dopo la conclusione della «critical design review» a maggio 2022 e la «production readiness review» due mesi dopo, l’US Navy ha dato il permesso a Fincantieri Marinette Marine di iniziare le lavorazioni, a vale del predetto periodo di due anni e mezzo in cui la Marina statunitense e la società hanno lavorato in stretta cooperazione per completare fino all’80% il processo di stesura del progetto di dettaglio. Il progetto delle fregate lanciamissili classe «Constella tion» è ispirato da quelle della classe «Bergamini» della Marina Militare, con gli opportuni adattamenti per l’in stallazione di sistemi prodotti negli Stati Uniti, quali il già citato «Aegis Baseline 10». Fincantieri ha anche con dotto le attività di potenziamento infrastrutturale del can tiere di Marinette Marine, in modo sia di iniziare un’impresa sostanzialmente nuova sia di garantire il ri spetto delle tempistiche contrattuali: si prevede che la Constellation sarà consegnata all’US Navy nel 2026, con un requisito complessivo che per l’US Navy riguarda 20 unità e per il cui soddisfacimento esiste l’opzione del ri corso a un secondo produttore.
Missili ipersonici a bordo delle unità classe «Zumwalt»
Il 12 agosto, l’US Navy ha conferito al gruppo in dustriale Huntington Ingalls Industries l’incarico di in
Marine militari
stallare missili ipersonici a lungo raggio sui cacciator pediniere lanciamissili Zumwalt (DDG-1000) e Mi chael Monsoor (DDG-1001). Gli interventi sono destinati a svolgersi durante il prossimo periodo di ca renamento delle due unità, presumibilmente a partire da ottobre 2023. L’operazione riguarderà verosimil mente la rimozione dei due impianti da 155 mm e la modifica delle strutture sottostanti all’interno dello scafo, facendo spazio per imbarcare un sistema di lan cio verticale per un numero imprecisato di ordigni in corso di sviluppo nell’ambito del programma Common Hypersonic Glide Body (C-HGB), a cui partecipano, oltre all’US Navy, anche l’US Army e l’US Air Force.
Avvicendamento fra le portaerei dell’US Navy in Mediterraneo
Il 25 agosto, il gruppo navale incentrato sulla portae rei George H.W. Bush (CVN 77) e identificato con l’acronimo GHWBCSG, è transitato nello Stretto di Gi bilterra e ha iniziato un dispiegamento in Mediterraneo nell’area di responsabilità del comando Naval Forces Europe-Africa (NAVEUR-NAVAF). Le altre unità e i ve livoli del gruppo navale sono partiti dagli Stati Uniti al l’inizio di agosto 2022 e — prima di iniziare il transito verso Gibilterra — si sono aggregati nel GHWBCSG al largo delle coste orientali statunitensi. Si tratta del primo dispiegamento in Mediterraneo della portaerei George H.W. Bush, il cui gruppo navale ha rilevato l’analoga for mazione incentrata sulla portaerei Harry S. Truman, a sua volta denominata HSTCSG, nell’area da gennaio 2022 e rientrata negli Stati Uniti intorno all’8 settembre. A parte gli inquadramenti amministrativi delle singole unità navali, oltre alla portaerei il GHWCSG comprende l’incrociatore lanciamissili Leyte Gulf (CG 55), i caccia torpediniere lanciamissili Nitze (DDG 94), Truxtun (DDG 103), Farragut (DDG 99) e Delbert D. Black (DDG 119). In totale, il GHWBCSG comprende oltre 6.000 effettivi e in grado di svolgere un’ampia gamma di missioni in numerosi teatri marittimi del mondo.
TURCHIA
Il programma MILDEN per i nuovi sottomarini
È stato annunciato formalmente l’avvio del pro gramma per la costruzione di sottomarini di nuova ge
nerazione. Il programma è stato denominato MIL DEN, acronimo derivante dal turco MILli DENizalti, cioè «sottomarino nazionale». Al programma MIL DEN aveva accennato anche il Presidente turco Erdo gan durante il varo di uno dei battelli classe «Piris Reis», in corso di costruzione. Sotto il profilo opera tivo, la leadership politico-militare di Ankara valuta le unità subacquee come una componente centrale del crescente potere navale turco, soprattutto in una re gione come quella del Mar Nero dove le Forze navali locali non possiedono naviglio di questo tipo. A ciò vanno aggiunti i successi riscontrati dall’industria mi litare turca, con i velivoli a controllo remoto Bayraktar TB2 assurti a risorse di assoluto rilievo nel panorama mediatico del conflitto russo-ucraino: forte di questi successi e incoraggiata dagli sviluppi concettuali e tec nologici, l’industria militare turca è cresciuta anche nel settore dei sistemi navali, con particolare riferi mento a quelli subacquei, come dimostra la produ zione dei «Reis». Il programma MILDEN prevede battelli significativamente più grandi delle unità classe «Reis», a loro volta realizzati in base al progetto «Type 214TN» di matrice tedesca: si prevede un disloca mento in immersione di circa 2.700 tonnellate e una lunghezza di oltre 80 metri, da comparare con le 1.850 tonnellate e i 65 metri dei «Reis». All’esterno, i battelli MILDEN avranno alcune somiglianze con il progetto di base «Type 214» ma se ne discosteranno soprattutto nella configurazione della zona prodiera, più simile a quella degli ultimi modelli di battelli nipponici: la fal satorre avrà dimensioni ridotte. La ragion principale
per l’incremento dimensionale riguarda il potenzia mento dell’armamento, compresa la possibilità di im piegare missili land-attack prodotti in Turchia, «GEZGIN» e analoghi ai «Tomahawk» statunitensi e ai «Kalibr» russi. Un altro ordigno di produzione na zionale ipotizzabile per i nuovi battelli è il missile an tinave «ATMACA», che sta iniziando a sostituire gli «Harpoon» a bordo delle unità di superficie turche. Te nendo conto che i battelli «Type 214» possono traspor tare fino a 16 ordigni, le dimensioni dei MILGEN suggeriscono un maggior numero di armi. Altre mi gliorie tecnologiche riguarderanno i sensori elettroa custici passivi laterali, che beneficeranno della maggior lunghezza di scafo, e probabilmente anche i sensori sistemati sui sollevamenti in falsatorre. La pia nificazione navale turca prevede l’inizio della costru zione di 6 battelli tipo MILDEN nel 2025, in modo da avere in inventario nella seconda metà degli anni Trenta, 12 sottomarini equipaggiati con AIP.
UCRAINA
Corvette in costruzione
Il 18 agosto, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che la prima corvette classe «Ada» in corso di costru zione in Turchia sarà denominata Hetman Ivan Mazepa . Nell’otto bre 2020, Turchia e Ucraina hanno siglato un accordo di coo perazione militare con cui le due nazioni hanno manifestato l’in tenzione di avviare progetti co muni per la costruzione di navi militari, velivoli a controllo re moto e turbine a gas di propul sione. Il programma navale riguarda la costruzione di due corvette nei cantieri RMK Marine Shipyard, dove il primo esem plare è stato varato a settembre 2021. L’invasione russa dell’Ucraina ha sconvolto la pianificazione e il prosieguo della sua attuazione. Fonti militari ucraine hanno comunque rivelato che le corvette do
vrebbero essere armate con missili antinave «Har poon», senza peraltro escludere altre soluzioni quali il «Neptune» ucraino e i già citati ATMACA turco o norvegese NSM. Probabile è la presenza di un can none da 76 mm, di un impianto per la difesa di punto da 35 mm e di mitragliere da 12,7 mm. Per le opera zioni antisommergibili si dovrebbero imbarcare si luri MU-90.
Trasferimento di UUV per la guerra di mine
La Gran Bretagna ha avviato il trasferimento alla Marina ucraina di sei mezzi subacquei a controllo re moto (UUV) di tipo imprecisato: tre di essi sono stati prelevati dall’inventario della Royal Navy e gli altri tre verranno realizzati da industrie britanniche. Si tratta di sistemi essenziali per la Marina ucraina, concepiti per l’impiego in acque profonde fino a 100 metri, al fine di scoprire, localizzare e identificare le mine che im pediscono una consistente ripresa dei traffici marittimi ucraini. Oltre a fornire gli UUV, la Marina britannica sta addestrando il personale di quella ucraina destinato al loro impiego, un’attività a cura del Diving & Threat
Uno dei sei mezzi a controllo remoto per le operazioni di contromisure mine in corso di cessione dalla Gran Bretagna alla Marina ucraina (UK MoD).
Exploitation Group della Royal Navy, operante as sieme a personale della 6th Fleet dell’US Navy.
Michele CosentinoHE COSA SCRIVONO GLI ALTRI
«Riflessioni sull’Intelligence»
Il profilo monografico dell’ul timo numero della prestigiosa ri vista in parola, edita dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (gnosis.aisi.gov.it), ci viene chia ramente illustrato dall’Editoriale, che si propone «di offrire un per corso diacronico di riflessioni sul l’intelligence. L’itinerario guida attraverso le pagine della storia operativa, illustrando come l’attività in formativa abbia raggiunto nuovi orizzonti sotto la spinta della tecnologia e del carisma di agenti lungi miranti, capaci di cogliere — a livelli diversi e in tempi distinti — segnali di cambiamento e di intercettarne il potenziale con progettualità propizia, prassi illumi nante e una spiccata vocazione al futuro». Farà piacere ai lettori constatare che, nella ricca panoplia di 17 saggi — oltre alle usuali rubriche e al «punto di vista» del l’ambasciatore Sergio Romano (che anticipa il suo ul timo libro La scommessa di Putin) — per un complesso di 252 pagine (formato saggio 25x18 cm), ben cinque articoli siano dedicati a episodi e personaggi della sto ria della Marina, su cui in queste brevi note ci soffer meremo in particolare. Seguendo così puntualmente la «scaletta» dell’indice, il primo articolo di carattere na vale che troviamo, scritto da chi cura la presente ru brica, s’intitola Centum oculi vigilant pro te. Gli «occhi» della Marina in guerra e in pace, che analizza, in tre contesti storici differenti, tre episodi che videro in azione gli uomini della Marina in altrettante opera zioni di successo. Dall’esame critico del «colpo di Zu rigo» del 1917, in cui venne sventata la rete di spionaggio e complicità pericolosamente tesa dai ser vizi austriaci in Italia, alla cosiddetta «beffa delle navi» con la quale l’ddetto navale a Washington nel 1941, ammiraglio di divisione Alberto Lais, facendo segreta mente sabotare, dagli equipaggi dei mercantili italiani internati nei porti degli Stati Uniti ancora neutrali, riu scì a impedire che venissero addirittura consegnate agli inglesi sulla base della legge «affitti e prestiti», prima
di essere espulso come «persona non grata». E, infine, al prezioso aiuto che venne offerto agli Stati Uniti, nel momento più acuto della Guerra Fredda, con l’allora capitano di cor vetta Fulvio Martini che riuscì a fo tografare il transito sul Bosforo di navi russe con a bordo sezioni smon tate di quei missili destinati a essere installati a Cuba (1962), vicenda rac contata dal protagonista nel libro di memorie Nome in codice Ulisse. Segue poi, a firma di Umberto Porta, la straordinaria impresa del comandante Eliso Porta, che consentì nel 1941 il recupero di documenti e cifrari preziosi dallo scafo affondato del cacciatorpediniere inglese Mohawk nelle acque di fronte alla Tunisia pur sotto la vigi lanza della ricognizione nemica. Quindi, a firma di Claudio Rizza, la vicenda del piroscafo fluviale Gianicolo che, trasfor mato in nave-civetta, permise nel 1915 di individuare lungo le coste greche i punti di rifornimento dei som mergibili nemici in combutta con faccendieri locali. È la volta poi di Enrico Cernuschi con l’articolo Parola di nemico. Le informazioni raccolte tra i marinai in glesi prigionieri in Italia, 1940-1943, che esamina i compiti dei Servizi nel settore delicatissimo della Hu mint, ovvero delle fonti fiduciarie e Un caffè con l’Am miraglio di Adriano Soi con una testimonianza diretta sulla personalità dell’ammiraglio Fulvio Martini, per lungo tempo a capo del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, «gentiluomo ma soprattutto pro fessionista dell’intelligence che, come soleva dichia rare, si era trovato quasi per caso in quel mondo». In buona sostanza un bellissimo «spaccato» di storia na vale che si inserisce in un palinsesto estremamente ricco e variegato tra cui, a titolo esemplificativo, non possiamo non segnalare il saggio del generale Basilio Di Martino (La dimensione tecnologica dell’intelli gence. Insegnamenti dalla storia), del prof. Gastone
Che cosa scrivono gli altri
Breccia (Guerra irregolare e servizi d’informazione) e del gesuita americano Robert A. Graham S. J., storico della Seconda guerra mondiale e tra i massimi esperti in materia di diplomazia vaticana (L’occhio del Sim sulla città del Vaticano) Da sottolineare infine come ben dieci dei diciassette autori interessati alla stesura della Rivista (Di Martino, Alegi, Ferrante, Porta, Rizza, Cappellano, Punzo, Tirone, Vento e Breccia) siano col legati a diverso titolo con la Società italiana di Storia Militare (societaitalianastoriamlitare.org), a testimo nianza della vitalità della Società stessa e del personale impegno storiografico dei suoi soci.
«Ucraina. Cinque secoli di storia»
Nel mare magnum delle analisi e dei commenti stra tegici e geopolitici che ci ha offerto la guerra in corso in Ucraina a seguito dell’aggressione russa, è mancata si nora una visione storica complessiva dell’evoluzione dello stato ucraino e della sua identità nazionale che ci propone il presente fa scicolo del periodico di National Geo graphic in un ampio ed efficace palinsesto. Pur avendo avuto l’indi pendenza solo trent’anni fa, l’Ucraina infatti alle spalle ha una lunga storia segnata dalle proprie radici slave e dagli stati confinanti che, contenden dosene il controllo, ne hanno fatto un perenne teatro di guerra. E non a caso si dice, in termini geopolitici, «terre di confine, terre di sangue» e lo stesso toponimo «Ucraina», in valso a partire dal XVI secolo, si gnifica appunto «frontiera». In estrema sintesi, entrando subito in medias res, dalla fine del XIV secolo fino al XVIII, il territorio del l’attuale Ucraina era spartito fra tre stati: a est il Gran ducato di Mosca; a ovest il Granducato di Lituania (e più tardi la confederazione di Polonia e Lituania) e a sud il Khanato tataro (cioè la signoria musulmano-sunnita) di Crimea, che svolse un ruolo fondamentale nella difesa dei confini dell’islam contro i moscoviti ortodossi e i po
lacchi cattolici. La traiettoria storica dell’odierna Ucraina si è svolta al crocevia di queste tre formazioni statali, con la religione fattore determinante in tale processo. Il principato della Rus’ di Kiev, le cui origini risalgono al IX secolo col principe Oleg, aveva adottato il cristiane simo ortodosso, dando agli slavi orientali un’identità co mune pur sotto l’autorità del patriarca di Mosca. Nei territori governati dalla Polonia cattolica però una mi noranza decise di obbedire all’arcivescovado di Kiev, che ruppe definitivamente con la chiesa ortodossa russa alla fine del XVI secolo. Si formò così la «Chiesa uniate» sotto l’autorità del metropolita di Kiev e con il pontefice romano come riferimento spirituale, cioè una chiesa cattolica ma di rito orientale. I cosacchi, «un misto di avventurieri e contadini in fuga dalla servitù della gleba» (vocabolo di origine turca che significa «uomo libero», «vagabondo», «cercatore di fortuna»), a partire dal XVI secolo riuscirono a controllare parte dei territori centrali e nord-occidentali dell’Ucraina, con continue in cursioni contro i tatari, gli ottomani e i polacchi, finché nel 1654 il proto-stato cosacco l’ Hetmanato Zaporozhian, commise l’errore di accettare la protezione dello zarato russo e … mal gliene incolse; mai fidarsi dei russi! Infatti, un secolo più tardi, dopo averli sfruttati al proprio servizio sui vari campi di battaglia, all’epoca della Grande Caterina (1762-96), i cosac chi vennero soggiogati, al pari del khanato tataro. In questo modo la Russia ottenne il controllo dei territori intorno al Dnepr, un’area, allora come ora, di grande importanza geopolitica, in quanto essenziale per raggiungere Mosca e accedere al Mar d’Azov e al Mar Nero, dotata peraltro di un grande potenziale economico e commerciale. Nel frattempo, dopo la spartizione della Polonia del 1772, l’impero au striaco aveva occupato l’Ucraina occidentale, dove le ar mate asburgiche, nella regione chiamata allora Galizia, avrebbero poi combattuto contro i russi la Grande guerra. Nel XIX secolo la Russia vedeva l’Ucraina come una provincia del suo impero, incrementandone quindi
la progressiva russificazione e mettendo fuori legge la Chiesa Uniate. Ma l’identità ucraina si mantenne attra verso la lingua e una coscienza politica e nazionale che diede luogo già allora a diversi tentativi, sobillati dal l’impero austriaco, di rendere il paese uno stato indipen dente. Molto travagliate le vicende ucraine nel quinquennio 1917-22. Nel marzo 1917, dopo la Rivolu zione di febbraio, la Rada (parlamento) di Kiev chiese l’autonomia dell’Ucraina all’interno di una Russia che si sperava «liberale e federale» e, dopo la presa di potere di Lenin nell’ottobre successivo, venne proclamata la «repubblica popolare ucraina», alla quale però i bolsce vici nel dicembre successivo opposero una «repubblica dei soviet» occupando Kiev, da cui dovettero però sgom brare dopo l’armistizio di Brest-Litovsk (marzo 1918). Il paese venne allora occupato dai tedeschi che appog giarono l’ascesa di Pavlo Skoropad’skyj, discendente di un «atamano» (comandante) cosacco che instaurò un re gime autoritario e conservatore presto spazzato via dalle turbinose vicende della guerra civile, durante la quale l’Ucraina divenne lo scenario di una spietata lotta su più fronti. Nel 1920 i nazionalisti ucraini si schierarono con la rinata Polonia voluta dalla Conferenza di Versailles contro l’armata «rossa» in un conflitto che ebbe termine l’anno successivo, quando i polacchi, sacrificando alla
fine i loro alleati ucraini con le loro ambizioni nazio naliste, firmarono la pace con Lenin ottenendo in cambio la Galizia ex-austriaca. Così l’Ucraina cadde in mano dei bolscevici e divenne una delle quattro repubbliche socialiste che, nel dicembre 1922, costi tuirono l’Unione Sovietica. Terribile fu l’impatto dello stalinismo sul paese, con la sua logica russifi catrice e la forzata collettivizzazione delle campagne che provocò il famigerato Holodomor, una disastrosa carestia con milioni di vittime. Nel secondo conflitto mondiale, subito dopo l’invasione nazista, gli ucraini videro in un primo tempo gli invasori come possibili alleati per ottenere l’indipendenza da Mosca, spe ranze invero presto disilluse. La vittoria sovietica nella Grande guerra patriottica, la cui strategia asso miglia molto a quella posta in essere dai russi ai no stri giorni (basata cioè sulla triade «assediare, isolare e distruggere»), avrebbe assicurato all’Ucraina nuovi territori a nord-ovest a scapito della Polonia (che li avrebbe a sua volta riguadagnati a occidente a scapito della Germania, secondo gli accordi della conferenza di Potsdam), anche se movimenti di guerriglia antirussa sa rebbero sopravvissuti in Ucraina alla fine della guerra stessa. Una storia dunque complessa e tragica che ci porta sino ai tempi più recenti e testimonia quel perenne desiderio di indipendenza, realizzato solo nel 1991 con l’implosione dell’Unione Sovietica e adesso rimesso in forse dall’aggressione russa «con gli ucraini nei panni dei russi di ieri e i russi di oggi nel ruolo dei nazisti», come ha scritto Augusto Minzolini sulle colonne de Il Giornale del 27 febbraio scorso. È un vero peccato che gli autori del presente palinsesto di storia ucraina, all’ini zio della loro rievocazione non si siano spinti appena qualche decennio indietro: se così fosse stato avrebbero meglio spiegato ai lettori le radici del profondo afflato che lega nell’inconscio collettivo l’Italia ai territori ucraini, come abbiamo potuto constatare ai nostri giorni in termini di accoglienza dei profughi e di politica di aiuti allo stato ucraino in lotta, ancora una volta nella sua travagliata storia, per la propria libertà e indipendenza. Nel basso Medioevo infatti la Repubblica marinara di Genova, la «Superba» per antonomasia, non solo nell’ Egeo, ma anche nel Mar Nero settentrionale e nel Mar d’Azov ebbe floride colonie e ricchi stabilimenti com
Che cosa scrivono gli altri
merciali, il tutto dal 1266 al 1475. Le principali furono Caffa (Teodosia), Cembalo (Balaklava), Soldaia (Sudak) e Caulita (Yalta), in quel territorio, da ultimo ammini strato dal Banco di S. Giorgio, che i genovesi chiama vano «Gazaria»; colonie che, dopo più di due secoli di esistenza, vennero brutalmente conquistate e soffocate nel sangue dai turchi ottomani e dai tartari (le cui vicende sono state a suo tempo magistralmente raccontate dallo storico Roberto S. Lopez e, più recentemente, rievocate in www.archeome.it/ucraina-quando-la-crimea-era-unacolonia-della-repubblica–di–genova). Ripercorrendo così i momenti essenziali della travagliata storia ucraina, non può non venire in mente al lettore la celebre affer mazione del drammaturgo francese Raymond Queneau, secondo la quale «solo i popoli felici non hanno storia, perché la storia è la scienza dell’infelicità degli uomini», nonché la veridicità del mottetto geopolitico citato nelle premesse: «Terre di confine, Terre di sangue»!
«La
Russia nel Mediterraneo: una minaccia?»
Lo scorso giugno c’è stato un certo allarmismo in Italia riguardo alle manovre condotte dalla Marina russa (Voyenno-morskoi flot, VMF) nel bacino del Me diterraneo. Alcune navi sono state individuate al largo della penisola italiana, mentre altre sembrerebbero im pegnate in esercitazioni e nel tallonamento delle task force navali NATO in transito nel bacino marittimo. Chiaramente, la riattivazione nel 2013 del «quinto squadrone» operativo nel porto siriano di Tartus, scrive nell’articolo in parola, ha provocato qualche preoccupazione all’Italia e al resto dell’Alleanza Atlan tica. Tant’è che, già a maggio del 2021, ricorda l’au tore, l’allora Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, oggi Capo di Stato Maggiore della Difesa, parlava della «necessità di aumentare la capacità italiana di proiettare forze nel Mediterraneo», soprattutto in funzione del monito raggio delle basi russe in Libia e Siria. Il timore è infatti che i russi possano imporre delle cosiddette «bolle» anti access/aree denial (A2/AD), ovvero «zone pesan temente difese da sistemi antiaerei e antinave in grado di interdire ampie aree adiacenti — o per lo meno di
infliggere gravissime perdite — e rendere così difficol tosa la navigazione alleata nel Mediterraneo». L’inva sione dell’Ucraina ha aumentato ulteriormente la tensione, e la presenza russa nel Mediterraneo è addi rittura cresciuta parallelamente al dispiegamento di navi di Mosca nel Mar Nero. Al quinto squadrone sono stati aggiunti due incrociatori, Varyag prove niente dal Pacifico e Maresciallo Ustinov dal Mare del Nord. A conti fatti, Mosca dispiega più di nove assetti navali nella regione: due sottomarini di classe Kilo, due cacciatorpediniere di classe Udaloy, due fregate di tipo Gorshkov e Grigorovich e alcune navi ausiliarie. Os servando la composizione del «quinto squadrone», è intuibile che la presenza russa nel Mediterraneo sia so prattutto orientata a svolgere più che altro una missione di deterrenza, più che seriamente contestare la supre mazia navale occidentale. Anche qui, è necessario scendere al livello tecnico per provare a interpretare la strategia russa, sottolinea l’autore, nel senso che l’ado zione del missile da crociera Kalibr che, con una git tata fra i 1.500 e i 2.500 chilometri, rappresenta il principale strumento con cui la VMF è riuscita ad au mentare la potenza di fuoco delle proprie unità, anche se non tutte le navi del «quinto squadrone» hanno com pletato l’installazione dei lanciatori necessari. In buona sostanza. Conclude l’autore nella sua disamina critica: «la presenza navale russa nel Mediterraneo non va sottovalutata, anche se si tratta soprattutto di uno stru mento di deterrenza».
Ezio FerranteRUBRICHE
R ECENSIONI E SEGNALAZIONI
Ciaj ROCCHIMatteo DEMONTE (a cura di)Le stelle di Dora
Le sfide del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa
Edizioni Solferino Milano 2022 pp. 144 Euro 12,90
Il 3 settembre 1982, veniva trucidato — insieme alla moglie — dalla mafia Carlo Alberto dalla Chiesa.
Il fascicolo di settembre della Rivista Marittima in tende dunque ricordare con un gesto simbolico, quale è la «segnalazione» ovvero la recensione di un recen tissimo libro che è dedicato a tale illustre personaggio, direi anzi a tale storia. Appare superfluo asserire che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa non è stato solo un militare d’eccellenza, un uomo d’azione, un servitore dello Stato e delle Istituzioni repubblicane…egli, col suo martirio laico, è divenuto un reale simbolo della storia dell’Arma dei Carabinieri e della Repubblica tutta entrando a far parte, a pieno titolo, della storia pa tria contemporanea. In poche parole egli è assurto — insieme ad altri come i giudici Falcone e Borsellino — a essere simbolo per tutta la nazione.
Su queste premesse ci accingiamo, con piacere, a segnalare più che recensire l’interessante progetto editoriale intitolato «Le Stelle di Dora. Le sfide del generale Carlo Alberto dalla Chiesa», progetto che — lo preannunciamo subito — appare tipografica mente suddiviso in due parti. Una prima è un vero e proprio fumetto a colori in cui si ripercorrono le tappe di vita di questo grande uomo, partendo dal terribile evento del 3 settembre 1982 per poi percorrere all’in dietro, seppure in sintesi grafica, i maggiori episodi di vita del Generale. Una vita intensa e dedita inte gralmente allo Stato e all’Arma: dalla sua scelta di re sistenza durante la Seconda guerra mondiale in cui ancora ufficiale di fanteria consegue due croci di guerra sul fonte montenegrino che gli valgono l’in
gresso nell’Arma; in quei difficilissimi anni per l’Ita lia, egli sceglie l’antifascismo e l’antinazismo e si im pegna nella Resistenza. Nel 1948 entra a far parte delle forze di repressione del banditismo in Sicilia, che si occuperanno del bandito Salvatore Giuliano, contro cui l’Arma e lo Stato avranno successo; ma qui ha luogo il primo «contatto» ovvero la prima cono scenza tra il futuro Generale e «Cosa Nostra». Nel 1966 ritorna a Palermo come comandante della Le gione Carabinieri della città e qui inizia a interessarsi sempre di più di mafia, contribuendo moltissimo a una mappatura dei mafiosi. Lascia Palermo nel 1977, e sono questi gli anni di «piombo» e del terrorismo interno di cui le Brigate Rosse furono la massima espressione. Ed è proprio contro le BR che dalla Chiesa ottiene successi incredibili, anche se tale pe riodo è segnato dalla scomparsa della moglie Dora (1978; ecco perché il libro si riferisce alle «stelle di Dora»). Lasciata l’uniforme col grado apicale di Ge nerale di corpo d’armata, viene nominato Prefetto a Palermo, la città che molti anni prima già lo aveva visto protagonista di un incredibile servizio allo Stato e che lo vede Prefetto per soli 100 giorni.
Si sono sunteggiate alcune delle tappe della vita di Carlo Alberto dalla Chiesa perché vi è un sottile fil rouge che le lega tutte: il senso profondo di voler ab battere i nemici dello Stato e quindi della collettività.
La seconda parte sono invece delle riflessioni quasi a mo’ di «testimonianza» scritte da illustri personaggi (in primis il Ministro della Difesa, On. Guerini e poi il Ministro per le Politiche Giovanili, On. Fabiana Da done, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Amm. Giuseppe Cavo Dragone, il Coordinatore della Strut tura di missione per la valorizzazione degli anniversari nazionali, Paolo Vicchiarello; il Comandante Generale dell’Arma, Generale C.d.A. Teo Luzi).
In margine a tale volume è posta la biografia del Ge nerale e quindi una riflessione del Capo del V Reparto dello SM Difesa (vergata dal Gen. div Alfonso Manzo); termina il testo una poesia del capitano Francesco d’Ot tavio (del V reparto dello SM Difesa) intitolata «Da Via Carini si vede il mare».
Recensioni e segnalazioni
Questa graphic novel ovviamente è indirizzata ai giovani e ciò poiché Carlo Alberto dalla Chiesa è stato un uomo portatore di luce, quella luce e speranza di cui tutti hanno bisogno, ma massimamente i giovani. A loro sono necessariamente e inevitabilmente indi rizzati i «modelli» e Carlo Alberto dalla Chiesa è stato un modello sia per i giovani che per gli adulti; infatti come ha chiosato il Comandante Generale dell’Arma: «La tutela dei diritti inviolabili dei cittadini di Pa lermo e dell’intero paese, così come caparbiamente ed eroicamente difesi dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, prosegue attraverso l’imperitura me moria e il senso del dovere e dello spirito di sacrificio che Egli ci ha lasciato».
La Rivista Marittima dunque onora il generale dalla Chiesa e si compiace di questa iniziativa editoriale plaudendone la bellezza non solo delle immagini ma anche dei contenuti.
Daniele Sapienzae natura, sprazzi di cultura addirittura letteraria, poe tica, storica, accuratamente scelti per mostrarci un ventaglio ampio di scuole e approcci diversi di pen siero e cultura filosofica, religiosa, filologica, bota nica, delle scienze evolutive, geografica tra le più note o tra le meno note.
Renato FERRARO DI SILVI E CASTIGLIONE(a cura di)
A misura d’ambiente
Perché l’uomo non è al centro dell’universo
Edizioni All around Rotomail Italia S.p.A. Agosto 2021 pp. 157 Euro 15,00
Ispirandoci al giudizio di un autorevole giornalista e scrittore quale Gianni Riotta che descriveva anni fa la caratteristica di un buon libro, tra le altre quale, quella di lasciare il lettore più ricco di prima della sua lettura, con assoluta convinzione siamo in grado di dire che questo lavoro di Ferraro di Silvi e Casti glione è senz’altro non solo un ottimo libro perché risponde a tale parametro ma, aggiungiamo, è un la voro di bellezza incredibile, di grande arricchimento culturale, in alcuni passaggi persino di grande poesia e sensibilizzazione interiore; questo scritto seleziona, ricerca e porta alla luce, a vantaggio del lettore pur neofita, per introdurlo al tema del rapporto tra uomo
Tutto questo avviene in un unico libretto, dotta mente collazionato e frutto di un grande studio pre paratorio che, attraverso la sapiente illustrazione di più discipline, approda a far riflettere sul tema dei temi da millenni, il rapporto tra uomo e natura. Con brevi e movimentati capitoli che mantengono sempre incuriosita l’attenzione di chi legge già dai titoli quanto mai significativi ed espressivi, il testo ci re gala un caleidoscopio di conoscenze dalla poesia ita liana e dei classici, fino all’animismo della cultura giapponese comprendendo anche il pensiero di Karol Wojtyla: Etica della terra ed esordi dell’ecologismo americano , Salomone aveva due anelli , Ecologia profonda contro antropocentrismo , La mite rivolu zione del MU, Pace con Dio e con il creato, Utilita rismo e generazioni future , Mistica islamica e natura , Il sublime della natura , Religione della Terra, Al servizio della Terra madre. Parliamo di ben dieci grandi pensatori, filosofi e scienziati cui è de dicato ogni capitolo, provenienti, cosa molto insolita e interessante, da ogni continente e di diversa reli gione, così da evidenziare come le loro origini e pro venienze nazionali, culturali, esperienziali diverse, in base a quanto diverso possa essere l’habitat circo stante di ogni parte del nostro pianeta, li abbiano posti dinanzi al problema della sopravvivenza umana sul pianeta in rapporto con l’ambiente, con soluzioni e visioni addirittura opposte. Alla fine però il risultato ha un comune denominatore che trasversalmente fa interrogare ogni filosofo sulle sorti del nostro pianeta e sulla interazione tra noi e quella che è la nostra unica casa e risorsa e fonte di sopravvivenza. L’au tore descrive con parole chiare, sintetiche ma non semplicistiche, la loro biografia, la loro formazione di studi, la famiglia in cui crebbero, per farli raccon tare al lettore su come siano giunti a maturare un per corso di riflessione nella loro epoca non a noi coeva ma antesignana rispetto a quella che oggi è invece
Recensioni e segnalazioni
quasi una attenzione scontata, spesso ossessiva, molto alla moda, ma di fatto inascoltata sensibilizza zione ai governi del mondo circa l’inesorabile epi logo che vede l’evoluzione del clima e lo sfruttamento o la modificazione della natura, condi zionare e causare cambiamenti epocali della natura e dell’ambiente. Attraverso magistrali citazioni di au tori anche classici, l’autore rileva di ogni pensatore la diversa osservazione e relazione che l’uomo ha avuto con la natura circostante fino a un sovradimen sionamento del suo potere sulla natura, quasi di remmo con gli occhi degli antichi romani blasfemo, come si evince dalla descrizione negativa che autori antichi fecero di chi osava sfidare gli eventi naturali, manifestazioni deificate sulla terra del potere delle divinità. L’uomo ha visto evolversi il rapporto con il suo ambiente circostante con un suo ridimensiona mento radicale e la presa di coscienza che è in questa natura che dobbiamo vivere e non possiamo più igno rare i segnali che la natura stessa ci da, correlati a mi grazioni dovute a carestie, disastri geologici, cambiamenti climatici, condizioni di vita sempre più estreme in alcuni continenti tali dal mettere oggi il genere umano dinanzi alla consapevole domanda se riusciremo a vivere in fisiologico rapporto con l’am biente, ovvero ne abbiamo causato attivamente e ac celerato il cammino deteriore derivante dall’averlo sfruttato, modificato, depauperato.
Questo libro lo consigliamo per i motivi ora illu strati ma più di tutto perché è in grado di trattare un argomento molto strumentalizzato, dibattuto, ideolo gizzato, spesso affrontato con troppe connotazioni politiche «contro», in una errata ottica che mira a de scrivere solo l’antitetica disarmonia tra uomo e na tura, in modo fuori dal comune, riuscendo invece a stimolare la nostra riflessione e favorendo interesse verso un argomento che per lo più lascia indifferenti le nostre società consumistiche ed è nicchia di attivi sti, cultori dell’ambientalismo verso i quali la società guarda distratta, quasi infastidita. L’autore con questo approccio di diffusione della cultura passata e pre sente più autorevole dell’ambientalismo ci svela le sue nobili radici culturali e ci attira verso una presa di coscienza ormai davvero urgente della immagine
di cosa stiano divenendo i nostri oceani, la nostra terra, l’ecosistema, se non ci impegniamo alla costru zione della nostra permanenza sul pianeta a misura di ambiente e non a suo dispetto. Dal timore tipico della identificazione dei fenomeni naturali con le di vinità che schiacciano o puniscono l’uomo, che nel l’antica Roma potevano avere personaggi come Caligola o Plinio di fronte alle eruzioni vulcaniche, passando per la rivoluzione copernicana che pose l’uomo al centro dell’ universo, alla crisi post mo derna di tale archetipo che ci ha invece consegnato un pianeta irrimediabilmente modificato, danneg giato e sfruttato, ognuno dei personaggi che l’autore sceglie, ci insegna ad amare un po’ di più e rispettare la natura circostante vivendola come indica Leopardi nello Zibaldone o nella poesia Infinito «…e naufra gar m’è dolce in questo mare ...» citata da Remo Bodei, che ci rassicura: il sublime...della natura…che non è scomparso...».
Silvaggio