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Le sfide giuridiche alle «minacce ibride»

(corrierecomunicazioni.it).

Secondo l’European Parliament Research Service, una «minaccia ibrida» è un fenomeno derivante dalla convergenza e dall’interconnessione di elementi diversi che concorrono a formare un «pericolo imminente» complesso e multidimensionale (1). Dati i diversi livelli di intensità di una minaccia e dell’intenzionalità che la anima, l’EPRS distingue tra le definizioni di conflitto e guerra ibridi, per cui il primo individua una situazione in cui le parti astenendosi dall’uso delle Forze armate fanno affidamento su in-

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timidazione militare (pur non al livello di un attacco convenzionale), sfruttamento delle vulnerabilità economiche, politiche e tecnologiche, rimanendo al di sotto della soglia della guerra dichiarata formalmente (2); nella seconda accezione un paese ricorre all’uso delle Forze armate contro un soggetto politico statuale o meno, oltre che all’attivazione di altri mezzi (economici, politici, diplomatici, tecnologici).

La definizione di «minacce ibride» rimane dunque flessibile anche nella sua dimensione giuridica, assecondandone la natura multiforme e in continua evoluzione. Il concetto generale mira dunque a catturare l’insieme di attività coercitive e sovversive, metodi convenzionali e non posti in essere da attori statali o meno per destabilizzare un avversario, sebbene non dichiarato formalmente come tale. La «minaccia ibrida» è dunque identificata da nozioni più ampie che designano il verificarsi di minacce simultanee alla sicurezza (3). Secondo l’EPRS, tale concetto può spiegare situazioni diversificate, inclusi atti terroristici e di gruppi criminali armati, azioni contro la sicurezza informatica, controversie marittime, limitazioni all’uso dello spazio orbitale, atti economici ostili, operazioni militari coperte (4). Per questo motivo l’Unione europea ha spesso focalizzato l’attenzione sul concetto di minaccia, non necessariamente sovrapponibile a quello di «guerra ibrida», al fine di prevenire gli attacchi alla sicurezza dello spazio comune, senza trascurare il concetto di «guerra ibrida», che focalizza l’attenzione sulle varie attività, violente e non, non trascurando peraltro i paradigmi individuati dalla NATO (5).

Asimmetria giuridica e metodo interdisciplinare

Il fenomeno delle «minacce ibride» richiede un’attenzione particolare: sebbene questo termine sia ampiamente utilizzato, le sue categorizzazioni e implicazioni a livello giuridico sono meno diffuse, cosa che conduce a contesti di per sé stessi non sempre facilmente valutabili. È dunque palmare che il fenomeno necessiti di metodi interdisciplinari intersecanti politica, diritto, condotta delle operazioni e aspetti securitari. Date multiformità e sfuggenza della guerra ibrida, non esiste ancora una previsione normativa capace di regolamentarla in modo stringente; al momento si può dunque procedere solo a un contrasto per approssimazioni, analogie, analisi dei singoli casi. Gli esperti concordano largamente sul fatto che la caratteristica principale di questo fenomeno sia la cd. asimmetria giuridica (6). I soggetti politici ibridi si insinuano nelle lacune legislative, nelle vulnerabilità e nelle complessità dei sistemi giuridici occidentali, tesi a contemperare i diritti soggettivi con i doveri discendenti dall’appartenenza alla comunità, volti alla tutela della democrazia (7). Le minacce ibride sfruttano, tra i confini del noto, la terra di nessuno che annichila risposte e contromisure, e abilmente violano la sostanzialità del dettato legale, perpetrando azioni di un’imputabilità così ardua da determinare un’intricata mescolanza di ambiguità giuridica e fattuale che connota la legge stessa quale arma di guerra ibrida (lawfare) (8), lasciando la politica quale causa e principio ispiratore clausewitziano. Qualunque attore ibrido sfrutta le nebbie di qualsiasi guerra per creare una zona grigia, all’interno della quale

poter operare liberamente (9). Regolamentare giuridicamente la «guerra ibrida» è dunque una sfida, e lo sarà ancora di più in futuro, per i soggetti a cui è demandata la funzione legislativa.

Dal punto di vista giuridico, l’accezione «guerra ibrida» compare, per esempio, quando in presenza di un conflitto armato viene richiamata l’applicazione dei disposti del diritto internazionale umanitario (DIU), non alieno tuttavia dalla già citata «asimmetria» che la tipologia di conflitto genera (10). Gli studiosi di diritto internazionale, relazioni internazionali e analisi dei conflitti percepiscono la «guerra ibrida» come la combinazione di minacce alla sicurezza che in precedenza erano considerate separatamente. Il concetto di «guerra ibrida», infatti, contempla l’uso di tecniche che ampliando il quadro generale, trascendono le usuali capacità cinetiche esercitate da soggetti legittimi; mezzi non cinetici e di bassa intensità rientrano in questa definizione, richiamano alla mente tecniche cyber e cognitive puntate alla propaganda e mirate alle minoranze e ai movimenti d’opinione, senza dimenticare la rilevanza di attori chiave caratterizzati dall’uso di fondi di dubbia provenienza (11). Un contesto così complicato pone inevitabilmente nuove insidiose sfide all’efficace applicazione del diritto internazionale e delle legislazioni nazionali, chiamate, congiuntamente o in autonoma ma parallela coerenza, a cogliere le sfuggenti sfumature del fenomeno (12).

Si ritiene che queste attività siano dirette e coordinate con l’obiettivo di ottenere un «effetto sinergico nella dimensione fisica e psicologica del conflitto» (13), mentre numerosi studiosi vedono questo tipo di minaccia come intrinsecamente nuovo. La proliferazione della guerra ibrida è stata incoraggiata «dall’emergere di nuovi attori sub-statali, nuovi tipi di armi e nuove rappresentazioni ideologiche» (14). Altri ricercatori ritengono che la guerra ibrida riguardi pratiche presentate come nuove ma già esistenti in passato (15) per cui ritengono che il termine «guerra» pur fuorviante sia ancora generalmente accettato e che, oltre alle classiche azioni di guerra, vi sia oggi un preminente ricorso ad azioni conflittuali asimmetriche e ibride, intraprese da attori non statali non dichiarati (16). Come sottolineato dagli esperti, che hanno preso parte alla audizione davanti alla Commissione dell’Unione europea, nel novembre 2017, la cosiddetta guerra ibrida è un concetto politico più che legale, e l’asimmetria è la sua caratteristica principale. A tale proposito Robin Geiss (17) ha sostenuto che, sebbene ci siano molte definizioni di «guerra ibrida», l’elemento che le accomuna è il ricorso a «un uso inaspettato e non ortodosso di tattiche sovversive». Secondo Aurel Sari (18), la definizione di «minacce di guerra ibrida», inclusa nella Dichiarazione del vertice del Galles dei capi di Stato e di Governo della NATO (4-5 settembre 2014), ha posto l’accento sul fatto che tali minacce si dispieghino in «un progetto altamente integrato», in cui è coinvolta «una vasta gamma di forze armate, paramilitari e civili». Sari si concentra sulla nozione di «avversario ibrido» come colui che mira a creare un contesto di «asimmetria identificativa» sfruttando limiti regolamentari, complessità, incertezza(19), in modo da generare ambiguità giuridica, violare obblighi normativi, utilizzare la legge a difesa della sua narrativa strategica proponendo una contro-narrativa strumentale atta a creare un contesto che favorisca le

proprie operazioni. Questa definizione accentua l’uso della legge come strumento dello jus ad bellum e in bello (Lawfare) nelle sue diverse accezioni(20).

È interessante notare che, secondo Sari, escludere l’uso della Forza armata dalla definizione di «minacce ibride» «riduce l’ibridismo a un sinonimo di complessità». Il concetto di «minacce ibride» dovrebbe essere riservato a situazioni in cui Stati o attori non statali impiegano mezzi di guerra non violenti come strumenti di conflitto, integrandoli con l’uso della Forza armata o la minaccia della forza. Gli studiosi non hanno mostrato molto interesse per gli aspetti giuridici della «guerra

ibrida», poiché la maggior parte dei problemi legali legati a questo concetto — come la violazione dell’integrità territoriale, il sostegno ai movimenti separatisti o il mancato rispetto degli accordi internazionali — non sono nuovi. L’ampiezza e la fluidità concettuale ne rendono difficile l’identificazione e la rappresentazione giuridica (21). Proprio per il fatto che le «minacce ibride» siano ascrivibili a un concetto omnicomprensivo, e non esista una definizione universalmente condivisa, esse si prestano a distinguo e ambiguità. Secondo Robin Geiss, per ridurre il «ginepraio concettuale», non è necessario introdurre la nozione di «guerra ibrida», poiché la definizione esistente di «guerra» è di per sé sufficiente a comprenderla, semmai è utile specificare la natura della minaccia ibrida. Di fatto il lemma guerra compendia sia l’attrito convenzionale che una conflittualità in cui utilizzare tecniche per le quali «minacce ibride» o «conflitti ibridi» sono termini che compendiano una terminologia afferente altri mezzi di conflitto, come la disinformazione(22).

Il quadro giuridico applicabile

Nel diritto internazionale, l’uso della forza da parte degli Stati è regolato dal cosiddetto jus ad bellum, che definisce il diritto di intraprendere un’azione di «guerra

giusta» (23). In ambito istituzionale la regolamentazione statuita dalle NU tutela l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli Stati, riaffermando il principio di non ingerenza per questioni attinenti alle giurisdizioni nazionali, eccezion fatta per le fattispecie riguardanti il diritto di autodifesa e le misure che il Consiglio di Sicurezza è autorizzato a prendere di conseguenza (24). Il diritto all’autodifesa, consolidato nel diritto internazionale consuetudinario, è attivato da un attacco armato. Se l’intensità delle operazioni di un avversario ibrido non raggiunge il livello necessario o si limita alla minaccia della forza, il diritto di rispondere usando la stessa per autodifesa non può essere invo-

cato. Nel caso Nicaragua vs Stati Uniti, la Corte internazionale di giustizia (ICJ), ha riaffermato che il diritto all’autodifesa può essere esercitato solo in risposta a un «attacco armato». L’ICJ ha riscontrato che l’assistenza ai ribelli sotto forma di fornitura di armi o supporto logistico, non rientrava nell’ambito di applicazione di questo diritto; tuttavia, «tale assistenza può essere considerata come una minaccia dell’uso della forza, o equivalere a un intervento negli affari interni o esterni di altri Stati»(25). Questo introduce una sottile differenza giuridica tra uso della forza e attacco armato (26): distinguo non riconosciuto dagli Stati

Uniti, per i quali qualsiasi uso della forza fa scaturire, in linea di principio, il diritto all’autodifesa. Con il risultato che, combattendo il terrorismo, gli Stati Uniti hanno ampliato il concetto di «guerra», sia geograficamente che temporalmente (27). Un altro problema sorge con gli attacchi armati provenienti da attori non statali. Sebbene la pratica internazionale abbia accettato che il diritto all’autodifesa si estenda a tali attacchi, l’ICJ ha affermato che questo diritto non dovrebbe essere utilizzato se l’attacco proviene dall’interno, e non dall’esterno, del territorio del bersaglio (poiché metterebbe in gioco l’integrità territoriale dello Stato aggredito) (28). Ciò significa che se uno Stato recluta mercenari, contractors o altri attori non statali, al fine di avviare una «guerra per procura» (proxy war) o attività conflittuali di disturbo contro un altro Stato, sarà più difficile per lo Stato bersaglio attribuire la responsabilità dell’azione violenta al suo avversario(29).

Lo jus in bello (o International Humanitarian Law) stabilisce le regole su come le operazioni possono essere condotte durante un conflitto armato. I conflitti armati sono regolati non solo dalle Convenzioni CRI di Ginevra del 1949 e dai protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, ma anche dalle norme consuetudinarie internazionali.

Un «conflitto armato» può essere di carattere inter-

nazionale o meno (30) e la sua concettualizzazione trova sistematizzazione negli artt. 2 e 3 comuni alle Convenzioni di Ginevra (31). È generalmente accettato che debbano essere soddisfatti due requisiti: 1) un livello minimo di intensità, il che significa che le ostilità devono essere di carattere collettivo», o il Governo deve utilizzare la forza militare così come la forza di polizia; 2) i gruppi non governativi devono essere «parti in conflitto». Vale a dire che i gruppi devono essere organizzati, avere una struttura di comando e condurre operazioni militari (32).

Se una guerra ibrida si qualifica come IAC, le questioni di attribuzione, ai sensi del DIU e della legge sui

diritti umani, sono più semplici. Poiché la soglia per l’applicabilità della legge alla circostanza di conflitto armato internazionale è piuttosto bassa (dunque il diritto internazionale ha una maggiore incidenza), è probabile che un avversario ibrido neghi il proprio coinvolgimento in un tale conflitto armato o eviti il coinvolgimento diretto in operazioni di combattimento. Se le ostilità sono inevitabili, è nell’interesse dell’avversario usare tattiche ibride e impiegare deleghe (proxy actors) per nascondere il proprio coinvolgimento e far apparire il conflitto come puramente interno (NIAC) allo Stato bersaglio. Ciò con l’intento di «depotenziare» il rango del conflitto, da internazionale a nazionale e, conseguentemente, di alzare la soglia di applicabilità della normativa internazionale (con il ricorso al diritto interno), rendendo così più debole e isolata la posizione dello Stato bersaglio nella comunità internazionale.

Oggi le guerre formalmente dichiarate sono rare nelle relazioni internazionali. Tuttavia, per l’applicazione del complesso normativo afferente all’International Humanitarian Law, non sono necessari né dichiarazione né riconoscimento formale di uno stato di guerra (33). È interessante notare come gli Stati, in particolare quelli con un alto tasso di conflittualità interna, potenziale o reale, politicamente deboli e incapaci di controllare appieno il proprio territorio, stiano pericolosamente perdendo la «presa» sul monopolio della forza. Infatti, il numero di conflitti interstatali è diminuito, ma il numero di conflitti armati non internazionali (NIAC) è notevolmente aumentato(34). Con il risultato che molti NIAC, in un secondo momento, vengono gioco forza internazionalizzati attraverso l’intervento di altri Stati, individualmente o sotto l’egida delle organizzazioni internazionali, a sostegno di una o più parti in conflitto (35). Inoltre, è indubbio che il progresso tecnologico abbia reso i conflitti contemporanei più asimmetrici (36).

In caso di conflitto si applicano sia il diritto internazionale dei conflitti armati, sia il diritto internazionale per i diritti dell’uomo. La Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU o, in inglese, ECHR) ha chiarito che, in circostanze eccezionali, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo può essere applicata extra territorialmente anche nei casi riguardanti conflitti armati al di fuori dell’area geografica del Consiglio d’Europa (37). Tuttavia, l’applicazione della legge sui diritti umani è vincolata dal DIU, che opera come lex specialis (38). Coerentemente con la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia, nella causa Hassan contro Regno Unito, la Corte Europea dei Diritti Umani ha sottolineato che: «Anche in situazioni di conflitto armato internazionale, le salvaguardie ai sensi della Convenzione continuano ad applicarsi, sebbene interpretate sullo sfondo delle disposizioni diritto umanitario» (39). Quando si verificano violazioni del DIU, gli Stati hanno l’obbligo di perseguire i presunti autori di

La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) (wikipedia.it).

reato ai sensi del diritto interno. Oltre a ciò, tali violazioni possono essere perseguite anche da tribunali penali internazionali, di volta in volta istituiti e competenti per la repressione di attività individuali lesive di beni particolarmente protetti dal diritto internazionale. Tuttavia, come sottolineato da Andrey L. Kozik (40) all’udienza davanti al Committee on Legal Affairs and Human Rights, del novembre 2017, il DIU presenta lacune e un meccanismo di applicazione debole(41).In caso di «minacce ibride», non comparabili con le azioni che rientrano nell’ambito del DIU, gli Stati devono agire attraverso diritto penale interno (comprese le disposizioni sui crimini terroristici) e previsioni regolamentari afferenti i diritti umani. Gli strumenti giuridici statuiti in ambito internazionale, inoltre, in funzione della minaccia paventata e riconosciuta, trovano specifica applicazione nella prevenzione e repressione dei reati.

Nel caso di azioni ostili su larga scala, come le campagne di disinformazione, se da un lato va considerato il disposto dell’art. 17 della CEDU per cui nessuna disposizione convenzionale può essere interpretata nel senso di comportare un diritto a esercitare un’attività che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti imponendo a tali diritti e libertà limitazioni più estese di quelle previste, dall’altro vanno ponderate le misure deliberate sulla base del secondo paragrafo dell’art. 215 TFUE che possono essere utilizzate per combattere fenomeni diversi dal terrorismo internazionale e possono concretizzarsi in sanzioni di varia natura colpendo soggetti, e non solo Stati terzi, che pongono in essere campagne di disinformazione. Che la disinformazione possa rappresentare un’estrinsecazione bellica, lo ha riconosciuto il Tribunale dell’Unione nel respingere il ricorso dell’emittente RT France contro la decisione 2022/351 il Regolamento 2022/350. In tale contesto, per effetto dell’art. 33 della Convenzione, ogni Alta Parte Contraente può deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un’altra Alta Parte Contraente laddove ovviamente le tattiche ibride, con il coinvolgimento di terzi per procura, occultino i diretti responsabili.

Per quanto riguarda gli attacchi informatici, l’applicazione del dettato normativo è ancora oggetto di studio, specialmente per quanto riguarda il cyberspazio e le reazioni adottabili agli attacchi informatici, per i quali non esiste ancora una definizione uniformemente accettata (42). Nel 2013, il gruppo di esperti governativi delle Nazioni unite ha emesso un rapporto in cui dichiarava l’applicazione del diritto internazionale al cyberspazio, seguito, due anni dopo, da altro studio su norme, regole e principi di comportamento responsabile nel cyberspazio da parte degli Stati, fermo restando l’impegno al «non intervento negli affari interni dei singoli Stati» (43). Attualmente il dibattito sugli attacchi

informatici si svolge nei contesti dello jus ad bellum e dello jus in bello. Se consensualmente il diritto internazionale si applica al cyberspazio, il dibattito in relazione alla qualificazione degli attacchi informatici come reati fondamentali nell’ambito dell’International Criminal Law, è stato meno intenso.

La Convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d’Europa del 2001 (STCE n° 185), è l’unico strumento internazionale vincolante in questo campo, applicabile anche da Stati non membri e funge da linea guida per qualsiasi paese che sviluppi una legislazione nazionale organica contro la criminalità informatica; rappresenta, inoltre, un quadro di riferimento normativo dedicato alla cooperazione internazionale per il contrasto ai crimini informatici(44). Nel nostro paese l’articolo 37 del decreto legge «Aiuti», che avvicina a paesi come Stati Uniti e Francia e che richiede integrazioni con una serie di provvedimenti che ne consentono l’efficacia operativa e la tenuta giurisdizionale, contempla una norma che consente di reagire ad attacchi informatici anche provenienti dall’estero grazie anche al coinvolgimento delle strutture militari della Difesa (45).

Nel febbraio 2017 è stato pubblicato il Manuale di Tallinn 2.0 relativo al diritto internazionale e alla sua applicabilità alle operazioni informatiche (46) la pubblicazione, redatta da un gruppo di 19 esperti di diritto internazionale sotto l’egida del Centro di eccellenza per la difesa cibernetica della NATO basato a Tallinn, in Estonia, è un tentativo, non vincolante, di formalizzare l’applicazione del diritto internazionale al cyberspazio, dove il punto di vista espresso non è quello ufficiale dell’Alleanza, e dove è risultato difficile concordare un metodo adottabile circa l’applicazione della legge a situazioni specifiche. Come sottolineato da Kozik nel novembre 2017 il DIU, pur proibendo gli attacchi diretti contro obiettivi non legittimi, non colpisce tutti i tipi di azioni cibernetiche malevole (47).

Sebbene il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ritenga che la definizione di «attacco», contemplata nel DIU, possa estendersi ai casi di attacchi informatici(48) non è chiaro in quali situazioni uno Stato possa invocare il diritto alla difesa in caso di offesa. Il buon senso vorrebbe che agli Stati fosse consentito di adottare tutte le misure proporzionate e necessarie per evitare conseguenze dannose.

Lacune legislative e possibili soluzioni

Nascondendo il coinvolgimento nel conflitto, usando la forza tramite procura e conducendo le operazioni a un livello di intensità tale da non superare le soglie legali pertinenti, un attore ibrido può impiegare Forze armate contro un altro Stato, inibendone l’uso della forza in propria difesa tanto da creare una sorta di asimmetria legale. L’uso della legge a sostegno della guerra non è una novità (49). Secondo Sari, contrastare queste sfide legali comporta tre compiti, finora poco esplorati in ambito internazionale; il primo concerne l’elaborazione di una definizione giuridica dinamica e flessibile delle minacce ibride di cui l’asimmetria è caratteristica distintiva; per il secondo aspetto, che contempla le vulnerabilità legislative, va ricordato che, contro azioni equivalenti a un attacco armato, lo Stato bersaglio può usare la forza a fini di autodifesa; il terzo elemento si indirizza agli strumenti legislativi di prevenzione, deterrenza, e difesa attiva dalle minacce ibride(50). Vale

la pena rammentare che, in questo ambito, il Consiglio d’Europa non vanta alcuna competenza, in quanto la difesa nazionale esula dal campo di applicazione delle sue attività in base all’articolo 1, lettera d), dello Statuto, benché non si possa tralasciare l’appartenenza a Nato e UE di molteplici attori, da porre in funzione degli strumenti giuridici a disposizione in caso di attacco armato.

L’offesa portata contro un membro della NATO determina l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato, finalizzato a giungere a una risposta collettiva anche in caso di attacchi terroristici provenienti da entità esterne(51). Le minacce ibride che non raggiungono la soglia di un attacco armato possono essere affrontate sulla base dell’articolo 4, che stabilisce che i membri della NATO possono consultarsi ogniqualvolta integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza di qualcuno di loro sia minacciata (52). In generale, gli Stati devono essere in grado di contrastare le minacce ibride mediante l’uso di contromisure proporzionate (rappresaglie)(53).

Nell’Unione europea, l’articolo 42 paragrafi 1 e 2 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che «la politica di sicurezza e di difesa comune è parte integrante della politica estera e di sicurezza comune» e «include la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione». L’articolo 42, paragrafo 6 del TUE, consente agli Stati membri, le cui capacità militari soddisfino criteri più elevati, di stabilire una cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation, PESCO)(54) istituita con decisione del Consiglio dell’UE dell’8 dicembre 2017; l’articolo 42, paragrafo 7 del TUE, contiene una clausola di assistenza reciproca in caso di aggressione armata, ma la sua portata rimane poco chiara(55).

La NATO e l’UE, nei prossimi anni, saranno sempre più spesso chiamate a operare congiuntamente per trovare una comune definizione giuridica delle minacce ibride e per acquisire una coerente consapevolezza, così da provare a ovviare alle vulnerabilità e alle lacune legislative dinanzi alle inedite e nuove modalità, non sempre facilmente dimostrabili, di uso della forza, di intimidazione e di disinformazione. L’asimmetria giuridica, determinata dal sempre più frequente ricorso a strategie e tattiche ibride da parte di attori statali e non, costituirà un problema stringente per le Organizzazioni internazionali e rappresenterà una sfida affascinante per il diritto internazionale dei conflitti. In questo ambito NATO e UE dovranno integrare efficacemente competenze e strumenti giuridici, metodi di deterrenza, capacità preventive e difensive; ambedue le organizzazioni, già dall’aprile 2017, hanno istituito l’European Excellence Center for Countering Hybrid Threats, un think tank intergovernativo con sede a Helsinki, costituito da 13 Stati membri e rappresentanti dell’UE e della NATO(56).Fino a che punto le minacce ibride possono giustificare restrizioni ai diritti umani? Nel contrastare tali fattispecie gli Stati firmatari della CEDU possono fare riferimento all’articolo 15 co. 1, che consente agli Stati di derogare ai loro obblighi, ai sensi della Convenzione, in tempo di guerra o «altro tempo di emergenza pubblica che minacci la vita della nazione». Tale deroga dovrebbe essere applicata «nella misura strettamente richiesta dalle esigenze della situazione» senza essere incompatibile con altri obblighi previsti dal diritto internazionale e dagli inderogabili principi del diritto, e tenendo conto che gli Stati non possono derogare a particolari e stringenti previsioni (57).

Quando uno Stato deroga alla Convenzione, deve informarne il Segretario generale del Consiglio d’Europa. La CEDU si applica anche durante i conflitti armati internazionali, anche se deve essere interpretata in considerazione delle altre previsioni del diritto internazionale e del DIU tanto che gli obblighi derivanti dal disposto di cui all’art. 5 CEDU devono essere armonizzati con le previsioni della III e IV Convenzione di Ginevra, che ammettono più ampi poteri di detenzione per motivi di sicurezza (58). Qualora un contraente intenda esercitare tali poteri, pur non essendo necessario che avanzi una richiesta formale di deroga, dovrà dichiarare la sua volontà di non adempiere agli impegni assunti ratificando la Convenzione, non rientrando tra i compiti della Corte presumerne l’intenzione (59).

Gli Stati solitamente invocano la «sicurezza nazionale» per motivare il contrasto alle minacce ibride; ai sensi della Convenzione la sicurezza nazionale insieme con la «sicurezza pubblica» e la «prevenzione del crimine o del disordine», è considerata come un «obiettivo legittimo» che consente agli Stati di limitare alcuni diritti (60). L’ «integrità territoriale» costituisce un’altra motivazione legittima e limitante la libertà di espressione. Qualsiasi restrizione deve essere proporzionata, «prescritta dalla legge», «necessaria in una società democratica». L’art. 18 costituisce ulteriore salvaguardia contro gli abusi, prevedendo che le restrizioni «non devono essere applicate per scopi diversi da quelli per cui sono state prescritte».

La Corte EDU, nell’esaminare i casi in cui gli Stati hanno invocato la «sicurezza nazionale» per limitare diritti fondamentali, ha contribuito a stigmatizzare il termine della questione come vago e indefinito, tenuto conto della discrezionalità di cui godono gli Stati, e della labilità del confine tra legittimità e arbitrarietà. La Corte EDU, applicando il principio a casi pratici riguardanti la protezione della sicurezza e la salvaguardia della democrazia, ha conferito allo stesso sostanza effettiva, nella premessa che i casi giudicati godessero di base ragionevole e della qualità della legge interna di riferimento, della corretta applicabilità e della proporzionalità della stessa in relazione alla minaccia da provare(61). La sorveglianza segreta di individui e gruppi, anche in considerazione dello sviluppo tecnologico, è uno dei casi più importanti in cui è stata invocata la tutela della «sicurezza nazionale». La Corte EDU ritiene che le leggi, che permettono eccezionalmente e temporaneamente tale interferenza nella privacy, debbano essere «accessibili» alle persone interessate, «prevedibili» quanto ai loro effetti, e dettagliate. Non a caso la Corte sottolinea che gli Stati devono dimostrare sia l’esistenza di garanzie adeguate ed efficaci contro gli abusi ai danni dei cittadini in nome della sicurezza nazionale, sia che sussistano motivi fondati per attuare tali misure di sorveglianza, temporanea e autorizzata dalle autorità preposte, in ottemperanza ai diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. A tal proposito, è bene precisare che i singoli che ritengano lesi i propri diritti alla privatezza, possono adire ricorso alla Corte ex art. 34 della Convenzione e art. 47 del Regolamento della Corte in materia di contenuto di ricorso individuale.

Nel procedimento Roman Zakharov c. Russia, caratterizzato dall’intercettazione delle comunicazioni telefoniche basata sulla legge antiterrorismo, la Corte EDU ha riscontrato carenze giuridiche ravvisando il «rischio che un sistema di sorveglianza segreta, istituito per proteggere la sicurezza nazionale, potesse, di contro, addirittura distruggere la democrazia con il pretesto di difenderla» (62). È interessante notare come la Corte EDU stia ancora esaminando un numero rilevante di casi riguardanti l’intercettazione massiva di comunicazioni telefoniche esterne da parte di agenti dei servizi di intelligence britannici, e la conseguente condivisione di informazioni tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, come rivelato da Edward Snowden(63).Per quanto riguarda la libertà di espressione di cui all’art. 10 CEDU, quest’ultima non può introdurre alcuna fattispecie apologetica della violenza(64)tanto da poter fare escludere dalla Corte la possibilità di attuazione della previsione tutelante o risarcitoria ex articolo 17 della Convenzione, laddove le circostanze evidenzino un conclamato incitamento all’odio o a condizioni che negano i valori fondamentali della Convenzione stessa (65). La Corte EDU ha anche riconosciuto l’importanza di internet e delle nuove tecnologie, in merito all’esercizio della libertà personale di propagazione e ricezione delle informazioni; di contro sta individuando, elaborando e accogliendo misure legittime e funzionali a limitare,

fino a bloccare, gli accessi a internet da parte di propagandisti della violenza. Il punto chiave è quello di mantenere un equilibrio tra il diritto di espressione individuale e la legittima esigenza degli Stati di garantire la sicurezza e la stabilità nazionale, nella dimensione reale e nella comunità virtuale(66).

In un documento informativo del Consiglio d’Europa, circa lo stato di diritto su internet e nel più ampio mondo digitale, il commissario per i diritti umani, Nils Muižnieks, ha concluso che gli Stati che intendano interferire con i diritti fondamentali sulla base di una presunta minaccia alla sicurezza nazionale, devono dimostrare che la minaccia non possa essere sventata mediante il diritto penale ordinario, leggi speciali antiterrorismo comprese in linea con gli standard internazionali di diritto e procedura penale. Ciò vale anche per le azioni statali che riguardino internet e le comunicazioni elettroniche. Il mancato rispetto del requisito di cui sopra, viola lo stato di diritto internazionale(67).

Le preoccupazioni per la sicurezza degli Stati riguardo alle minacce ibride sono dunque legittime, in particolare se si considerino i modi in cui tali minacce possono minare il nucleo stesso delle società democratiche. In assenza di limitazioni riconosciute a livello internazionale sull’uso della vasta gamma di mezzi ibridi per la conduzione di un conflitto, gli Stati utilizzano il diritto penale interno come strumento di contrasto al fenomeno; tuttavia alcune delle misure interne, adottate in risposta alle minacce ibride, possono violare i diritti fondamentali. Per questo motivo la CEDU e la giurisprudenza della Corte EDU rappresentano gli essenziali strumenti di risposta, equilibrata ed efficace, alle domande che sorgono intorno a questi nuovi fenomeni. Le preoccupazioni, connesse alla salvaguardia del rispetto dei diritti umani nella lotta contro le minacce ibride, possono essere superate, per esempio, seguendo il modello interdisciplinare creato e attuato per combattere i terrorismi interni e trans-nazionali. Le risposte legislative degli Stati alle minacce ibride dovrebbero essere legittime, lecite, proporzionate al pericolo atteso e reale. In caso di dubbio, gli Stati dovrebbero richiedere il pronunciamento della Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto (Commissione di Venezia) su specifici disegni di legge (68). Per quanto riguarda la libertà di espressione, nulla vieterebbe di introdurre circostanziate e temporanee restrizioni volte a controllare il contenuto delle notizie naturalmente senza finalità discriminatorie o di censura generale. Inoltre, fenomeni come le campagne di disinformazione possono ingenerare un conflitto tra diritti umani individuali e libertà fondamentali, avendo da un lato la libertà di espressione, dall’altro il diritto all’informazione e il diritto a libere elezioni (come garantito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1).

Una risposta alle minacce ibride dovrebbe includere strumenti giuridici, di controspionaggio, diplomatici e militari. Il Consiglio d’Europa, sebbene non sia competente in materia di difesa, dovrebbe essere coinvolto nella progettazione di un modello integrato di contrasto alle minacce ibride, congiuntamente all’Unione europea, alla NATO e alle Nazioni Unite (69). Un altro aspetto non trascurabile è che l’«area grigia» giuridica indotta da queste nuove minacce, per natura divisive, può pericolosamente minare la cooperazione giuridica internazionale basata sulla fiducia reciproca e sulla comprensione comune delle norme applicabili(70).

Infine, come accennato in precedenza, per contrastare le minacce ibride gli Stati potrebbero fare riferimento all’esperienza acquisita sul campo nella lotta al terrorismo, forti della consapevolezza della natura transnazionale del fenomeno riportata traslata nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo (71) e in efficaci leggi penali nazionali in materia. Il Consiglio d’Europa ha sviluppato un quadro globale che mira a promuovere e monitorare i diritti fondamentali nella lotta al terrorismo (72). Questo quadro potrebbe servire da modello per contrastare le minacce ibride, nel pieno rispetto dei diritti umani, promuovendo ulteriori ratifiche della Convenzione sulla criminalità informatica e avviando una riflessione su come la convenzione viene applicata e se deve essere migliorata(73). 8

NOTE

(1) European Parliament Research Service (EPRS), Understanding hybrid Threats, At a glance, Brussels, June 2015, pp. 1-2. https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/ document.html?reference= EPRS_ATA (2015) 564355.

(2) European Commission, Joint communication to the European Parliament and the Council, Joint framework on countering hybrid threats, a European Union response, Brussels, 6 April 2016, JOIN (2016) 18 final, paragraph 1, p. 2. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016JC0018&from=EN. (3) J. Jordán, Hybrid Warfare: A Catch-all Concept, Estudios Globales, 16/10/2017, https://global-strategy.org/hybrid-warfare-a-catch-all-concept. (4) T. Balasevicius, Looking for Little Green Men: Understanding Russia’s Employment of Hybrid Warfare, Canadian Military Journal, Vol. 17, No. 3, Summer 2017, pp. 17-28. http://www.journal.forces.gc.ca/Vol17/no3/PDF/CMJ173Ep17.pdf. (5) G. Lasconjarias and J. A. Larsen, Editors, NATO’s Response to Hybrid-Threats, NATO Defence College, NDC Forum Papers Series, Rome, 2015. https://www.ndc.nato.int/news/news.php?icode=886. (6) R. McKeown, Legal asymmetries in asymmetric war, Review of International Studies, Vol. 41, No. 1, January 2015, pp. 117-138. (7) U. Leanza, I. Caracciolo, Il diritto internazionale. Diritto per gli stati e diritto per gli individui. Parte generale, G. Giappichelli Editore, Torino, 2012. (8) O. F. Kittrie, Lawfare: Law as a Weapon of War, Oxford Scholarship online, 2016. https://oxford.universitypressscholarship.com/view/10.1093/acprof:oso/ 9780190263577.001.0001/acprof-9780190263577. (9) R. Brooks, Rule of Law in the Grey Zone, Modern War Institute, Westpoint, New York State, 2018. https://mwi.usma.edu/rule-law-gray-zone. (10) B. Cilevics, Legal challenges related to hybrid war and human rights obligations, Parliamentary Assembly, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Report, Doc. 14523, 06 April 2018, p. 1. «The concept of “hybrid war” or “hybrid threat” raises several questions. The Committee on Legal Affairs and Human Rights considers that although there is no universal definition for these terms, the main feature of a “hybrid war” is its “legal asymmetry”, as hybrid adversaries deny their activities and operate on the very fringes of the law. While military actions are underway, international law, especially the right to self-defence and humanitarian law, apply. In the event of non-military actions, it is above all domestic criminal law that comes into play. In all cases, human rights must be respected. Any restriction of these rights must comply with the requirements resulting from the European Convention on Human Rights». https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTMLen.asp?fileid=24547&lang=en. (11) A. Gross, Refusing impunity for the killers of Sergey Magnitsky, Parliamentary Assembly, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Report, Doc. 13356, 27 January 2014, pp. 1-5. https://pace.coe.int/pdf /a6d4bcdecb8616bce3dca9e 148f28d4882042- 3d2a54eb80c2de42ff9db007c77 /doc.%2013356%20add.pdf. (12) D. Cantwell, Hybrid Warfare: Aggression and Coercion in the Gray Zone, American Society of International Law, Volume 21, Issue 14, November 29, 2017. https://www.asil.org/insights/volume/21/issue/14/hybrid-warfare-aggression-and-coercion-gray-zone. (13) F. G. Hoffman, Conflict in the 21st Century: The Rise of Hybrid Warfare, Potomac Institute for Policy Studies, Arlington, Virginia, December 2007, p. 8. (14) F. B. Huyghe, The impurity of war, International Review of the Red Cross, Vol. 91, No. 873, March 2009. Pp. 1-14,https://international-review.icrc.org/articles/impurity-war. (15) A. Deep, Hybrid War: Old Concept, New Techniques, Small Wars Journal, 03/02/2015, https://smallwarsjournal.com/jrnl/art/hybrid-war-old-concept-newtechniques «While the means by which state and non-state actors conduct hybrid war today have changed, the fundamental principle of utilizing a combination of conventional and irregular methods to achieve a political objective is consistent with older forms of conflict». (16) B. Renz and H. Smith, et al., Russia and Hybrid Warfare, Going Beyond the Label, Aleksanteri Papers 2016/1, Kikimora Publications, University of Helsinki, 2016, p.11. (17) Direttore dell’Istituto delle Nazioni unite per la ricerca sul disarmo. (18) Professore associato di diritto internazionale pubblico presso l’università di Exeter e direttore dell’Exeter Center for International Law. (19) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, Hybrid CoE Research Report 3, November 2021, pag. 26. https://www.hybridcoe.fi/wpcontent/uploads/2021/10/20211104_Hybrid_CoE_Research_Report_3_Hybrid_threats_and_the_law_WEB.pdf «According to the Assembly, hybrid adversaries exploit lacunae in the law and the complexity of legal systems, operate across legal boundaries and in under-regu-lated spaces, exploit legal thresholds, are prepared to commit substantial violations of the law and generate confusion and ambiguity to mask their actions». (20) S. D. Bachmann, A. B. Munoz Mosquera, Hybrid Warfare as Lawfare: Towards a Comprehensive Legal Approach, in, E. Cusumano, M. Corbe, editors, A CivilMilitary Response to Hybrid Threats, Palgrave Macmillan, London, 2018, pp. 61-76. (21) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, cit., pp. 16-18. (22) Council of Europe, Parliamentary Assembly, Legal challenges related to hybrid war and human rights obligations, pp. 1-16.http: / /semantic–pace.net/tools/ pdf.aspx?doc=aHR0cDovL2Fzc2VtYmx5LmNvZS5pbnQvbncveG1sL1hSZWYvWDJILURXLWV4dHIuYXNwP2ZpbGVpZD0yNDU0NyZsYW5nPUVO&xsl =aHR0cDovL2Fzc2VtYmx5LmNvZS5pbnQvbncveG1sL3hzbC1mby9QZGYvWFJlZi1XRC1BVC1YTUwyUERGLnhzbA==&xsltparams=ZmlsZWlkPTI0NTQ3. (23) S. Pietropaoli, Jus ad Bellum e Jus in Bello. La vicenda teorica di una grande dicotomia del diritto internazionale, Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 38, 2009, Il Diritto dei Nemici, Tomo I, dott. A. Giuffrè Editore, Milano, pag. 1171. «Secondo la risoluzione adottata dall’American Society of International Law a conclusione dell’Annual General Meeting del 2006, lo jus ad bellum è definito come quel settore del diritto internazionale, rappresentato fondamentalmente dalla Carta delle Nazioni Unite, che regola il ricorso all’uso della forza armata; lo jus in bello è invece quel settore del diritto internazionale che disciplina la condotta dei conflitti armati e l’occupazione bellica, ed è costituito principalmente anche se non esclusivamente dalle Convenzioni di Ginevra del 1949». (24) Vd. L’art. 2 della Carta delle NU, gli artt. 51 e 42, la risoluzione 2625 dell’Assemblea generale delle NU del 25 ottobre 1970. (25) International Court of Justice, Militarv and Puramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America). Merits, Judgment. I.C.J. Reports 1986, judgment of 27 June 1986, paragraph 195, p. 93. «(…) an armed attack must be understood as including not merely action by regular armed forces across an international border, but also the sending by or on behalf of a State of armed bands, groups, irregulars or mercenaries, which carry out acts of armed force against another State of such gravity as to amount to (inter alia) an actual armed attack conducted by regular forces, or its substantial involvement therein». https://www.icj-cij.org/public/files/case-related/70/070-19860627-JUD-01-00-EN.pdf. (26) N. Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Giappichelli, Edizione VII, Milano, 2021, pag.35. (27) M. Schmitt, Counter-Terrorism and the Use of Force in International Law, in, Fred L. Borch and Paul S. Wilson, editors, International Law and the War on Terror, International Law Studies, Volume 79, Naval War College, Newport, Rhode Island, 2003, pag. 8. https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi ?article=1288&context=ils. (28) ICJ, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion of 9 July 2004, paragraph 139. (29) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, op. cit., p. 25. (30) C. Marchand (Editor), G. L. Beruto (Associated Editor), The Distinction between International and Non-International Armed Conflicts: Challenges for IHL?, 38th Round Table on Current Issues of International Humanitarian Law (Sanremo, 3rd-5th September 2015), Franco Angeli, Milano,2016, pag.46. La IAC è definita nell’articolo 2 comune alle Convenzioni di Ginevra e nell’articolo 1, sezione 4, del Protocollo aggiuntivo I, mentre la NIAC nell’articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e nell’articolo 1, sezione 1 del Protocollo aggiuntivo II. (31) Art. 2 una IAC è una «guerra dichiarata o ... qualsiasi altro conflitto armato che possa sorgere tra due o più Stati». Art. 3 si applica ai «conflitti armati non di carattere internazionale che si verifichino nel territorio di una delle Alte Parti contraenti». (32) International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the Term «Armed Conflict» Defined in International Humanitarian Law?, Opinion Paper, March 2008, p. 3. Moreover, Article 1 Section «which take place in the territory of a High Contracting Party between its armed forces and dissident armed forces or other organized armed groups which, under responsible command, exercise such control over a part of its territory as to enable them to carry out sustained and concerted military operations and to implement this Protocol». (33) Vd. Artt. 2 e 3 della IV Convenzione di Ginevra. (34) I. Caracciolo, Il problema del diritto applicabile ai conflitti armati interni, alle guerre civili regionalizzate e alle guerre transnazionali, in I. Caracciolo, U. Montuoro, a cura di, Conflitti armati interni e regionalizzazione delle guerre civili, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, pp. 37-56. (35) N. Kalandarishvili-Mueller, Transforming a Prima Facie NIAC into an IAC: Finding the Answer in IHL, Israel Law Review, Volume 53, Issue 3, November 2020, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 334-354.

(36) M. N. Schmitt, War, Technology and the Law of Armed Conflict, in, Anthony M. Helm, Editor, The Law of War in the 21st Century: Weaponery and the the Use of Force, International Law Studies, Volume 82, 2006, Stockton Center for International Law, Stockton, California. (37) ECHR cases concerning international military operations in Iraq: Al-Sadoon & Mufdhi v. the United Kingdom, application no. 61498/08, judgment of 2 March 201; Al-Skeini and Others v. the United Kingdom, application no. 61498/08, and Al-Jedda v. the United Kingdom, application no. 55721/07, judgments of 7 July 2011 (Grand Chamber). See also a case concerning Turkish soldiers’ intervention in Iran: Pad and Others v. Turkey, Application no. 60167/00, judgment of 28 June 2007. (38) ICJ, Legality of the Threat of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, 8 July 1996, ICJ Reports 1996, para. 25. See also Noam Lubell, Challenges in applying human rights law to armed conflict, International review of the Red Cross, vol. 87/860, December 2005. (39) ECtHR, Hassan v. the UK, application no. 29750/09, judgment of 16 September 2014, paragraphs pp. 102-103. (40) Laureato con lode presso la Presidential Academy of Public Administration School of Law (Minsk, Bielorussia) ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto internazionale presso la Belarusian State University (2003). Insegna diritto internazionale pubblico e diritto del cyberspazio (IT) nelle università dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. È membro del Consiglio di amministrazione della Società internazionale per il diritto militare e il diritto di guerra, il gruppo di lavoro del Manuale di Tallinn 2.0. Ha pubblicato più di 40 articoli e co-autore di 5 libri. I suoi interessi primari sono il DIU e il Cyberspazio. (41) Parliamentary Assembly, To the members of the Committee on Legal Affairs and Human Rights, Synopsis of the meeting held in Paris on 13 November 2017, AS/Jur (2017) CB 08,15 November 2017. http://www.assembly.coe.int/committee/JUR/2017/JUR008E.pdf. (42) B. H. McClintock, Russian Information Warfare: A Reality That Needs a Response, July 21, 2017. The International Committee of the Red Cross (ICRC), for instance, defines it as any hostile measures against an enemy designed «to discover, alter, destroy, disrupt or transfer data stored in a computer, manipulated by a computer or transmitted through a computer», https://www.icrc.org/en/document/cyber-warfare. (43) UN, Reports of the Group of Governmental Experts on Developments in the Field of Information and Telecommunications in the Context of International Security, A/68/98, 24 June 2013, and A/70/174, 22 July 2015. (44) Council of Europe, Convention on Cybercrime, Budapest, 23.XI.2001, European Treaty Series, No. 185 https://rm.coe.int/1680081561. (45) Con una sentenza pronunciata l’8 aprile 2022 il Conseil Constitutionel francese ha dichiarato legittima la norma che consente alla procura della Repubblica di invocare il secret de la défense nationale per utilizzare apparati dello Stato diversi dalla magistratura. (46) M. N. Schmitt, Tallinn Manual 2.0 on the International Law Applicable to Cyber Operations, second edition, Cambridge University Press, Cambridge, 2017. (47) Regola 92, Manuale di Tallinn 2.0: un attacco informatico è «un’operazione informatica, sia offensiva che difensiva, che ci si può ragionevolmente aspettare causi lesioni o morte a persone o danni o distruzione a oggetti». Tale definizione implica che, per potersi qualificare come uso della forza, una cyber-operazione deve essere paragonabile in scala ed effetti a quelli di un attacco cinetico secondo la Regola 69 dello stesso Manuale. Pertanto, nel valutare se un’operazione informatica equivale a un uso della forza, il fatto che la forza sia stata agita con mezzi informatici è irrilevante. (48) International Committee of Red Cross (ICRC), Cyber warfare, 29 October 2010. https://www.icrc.org/en/document/cyber-warfare. (49) L’invasione giapponese della Manciuria nel 1931 presenta molte somiglianze con l’annessione russa della Crimea nel 2014. (50) A. Sari, Hybrid threats and the law: Building legal resilience, op. cit., pp. 26-27. (51) North Atlantic Treaty Organization (NATO), Statement by the North Atlantic Council, press release (2001)124, 12 September 2001, https://www.nato.int/ docu/pr/2001/p01-124e.htm. (52) S. L. Bumgardner, Article 4 of the North Atlantic Treaty, 34 Emory International Law Review, 71, 2019, p. 72, https://scholarlycommons.law.emory.edu /eilr/vol34/iss0/6. «One 21st Century view is that Article 4 enshrines territorial integrity, political independence, or security as NATO’s original threat perception.’ But this view overlooks Article 4 as a means, through consultation, to collectively consider threats that were something other than an armed attack». (53) S. Darcy, Retaliation and Reprisal, in, Marc Weller, edited by, The Oxford Handbook of the Use of Force in International Law, Oxford University Press, January 2015. (54) S. Blockmans & Dylan Macchiarini Crosson, PESCO: A Force for Positive Integration in EU Defence, European Foreign Affairs Review 26, Special Issue, 2021, Kluwer Law International BV, The Netherlands, pp. 87–110. (55) Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, C 326/13, Trattato sull’Unione Europea (versione consolidata), pp. 1-34. https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02 / DOC _ 1&format=PDF. (56) P. Pawlak, Countering hybrid threats: EU-NATO cooperation, briefing, European Parliament Research Service (EPRS), March 2017, pp. 1-12. https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/599315/EPRS_BRI(2017)599315_EN.pdf. (57) Il diritto alla vita (eccetto quanto riguarda i decessi derivanti da legittimi atti di guerra); il divieto di tortura e trattamenti o pene inumani o degradanti; il divieto di schiavitù e lavoro forzato; il rispetto del principio «nulla poena sine lege»; il divieto di pena capitale e il diritto a non essere processato o punito due volte. (58) Il caso Hassan contro il Regno Unito prende origine dal ricorso di un cittadino iracheno che denunciava l’illegittimità dell’arresto e della detenzione cui era stato sottoposto il fratello da parte dell’esercito britannico durante l’invasione dell’Iraq, in considerazione del mancato avviso di deroga alla Convenzione ex art. 15 CEDU. La Corte ha accolto le argomentazioni del Governo inglese secondo cui l’omissione di un avviso di deroga formale non ha impedito di considerare le caratteristiche del contesto di riferimento e le disposizioni del DIU nell’interpretazione e nell’applicazione dell’art. 5 CEDU. (59) R. Comte, State of emergency: proportionality issues concerning derogations under Article 15 of the European Convention on Human Rights, Council of Europe, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Declassified AS/Jur (2017) 03, 27 February 2017 Doc. 14506. http://www.assembly.coe.int/Committee/JUR/ 2017/20170227-ejdoc03-EN.pdf. (60) Diritto al rispetto della vita privata e familiare; libertà di espressione, di riunione e associazione (paragrafo 2 degli articoli 8, 10 e 11 della Convenzione); libertà di circolazione (paragrafo 3 dell’articolo 2 del Protocollo n. 4. La tutela della «sicurezza nazionale» può giustificare l’espulsione di uno straniero che risiede legalmente nel territorio di uno Stato senza bisogno di rispettare le garanzie procedurali ex art. 1 co. 2 del Protocollo n. 7). (61) ECHR, Research Division, National security and European case-law, Council of Europe, Report, 2013, p. 5. (62) 43 Roman Zakharov v. Russia, application no. 47143/06, judgment of 4 December 2015 (Grand Chamber), para. 232. (63) ECtHR, Great Chamber, Case of Big Brother Watch and Others v. The United Kingdom, Applications nos. 58170/13, 62322/14 and 24960/15, Judgment, Strasbourg, 25 May, 2021. https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-210077%22. (64) ECtHR, Zana v. Turkey, 18954/91, Judgment 25.11.1997. https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22002-7806%22. (65) ECtHR, Seurot c. France, ricorso n. 57383/00, decisione sulla ricevibilità del 18 maggio 2004. (66) Ahmet Yildirim c. Turchia, ricorso n. 311/10, sentenza del 18 dicembre 2012, e Cengiz e altri c. Turchia, ricorsi n. 48226/10 e 14017/11, sentenza 1 dicembre 2015. (67) European Council, Commissioner for Human Rights, The rule of law on the Internet and in the wider digital world, Issue Paper, December 2014, p. 107. (68) Council of Europe, Venice Commission, The European Commission for Democracy through Law, https://www.coe.int/en/web/human-rights-rule-of-law/venicecommission. (69) United Nations, Security Council, Prevention, Development Must Be at Centre of All Efforts Tackling Emerging Complex Threats to International Peace, Secretary-General Tells Security Council, 8144th Meeting, SC/13131, 20 December 2017, https://www.un.org/press/en/2017/sc13131.doc.htm. (70) M. M. Fogt, Legal Challenges or «Gaps» by Countering Hybrid Warfare-Building Resilience in Jus Ante Bellum, Southwestern Journal of International Law, Vol. XXVII, n.1, 2021, Southwestern Law School, Los Angeles, California, https://www.swlaw.edu/sites/default/files/2021-03/Full%20issue.pdf. (71) Council of Europe, Council of Europe Convention on the Prevention of Terrorism, Warsaw, 16.V.2005, Council of Europe Treaty Series-No. 196, https://rm.coe.int/16808c3f55. (72) Parliamentary Assembly Council of Europe (PACE), Mass Surveillance, Resolution 2045, 2015. http://assembly.coe.int/nw/xml/xref/xref-xml2htmlen.asp?fileid=21692&lang=en. Si veda anche, Parliamentary Assembly Council of Europe (PACE), Combating international terrorism while protecting Council of Europe standards and values, Resolution 2090, 2016. https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=22481&lang=en. (73) Council of Europe, Convention on Cybercrime, Budapest, 23.XI.2001, European Treaty Series - No. 185, https://rm.coe.int/1680081561.

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