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La geopolitica dei porti mediterranei
Alessandro Mazzetti
La geografia che muta
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Gli spazi geografici mutano non solo a causa dell’incedere del tempo e della politica, ma anche grazie alle continue trasformazioni economiche e tecnologiche. Per cui, paradossalmente, anche la geografia diviene una scienza a geometria variabile il che in pratica la pone da una sostanziale staticità della interpretazione classica in una dimensione di continuo divenire e quindi studio assolutamente contemporaneo. Un esempio banale lo si riscontra già sul finire dell’Ottocento quando il geografo tedesco Friedrich Ratzel (18441904) ebbe la grande intuizione di porre le prime basi della geografia politica. Sul finire del secolo le innovazioni tecnologiche e l’espandersi del sistema capitalistico costrinsero la società a sviluppare nuove forme di studio. Così oltre alla geografia politica nacque la sociologia e la geopolitica e altre scienze. Tutti strumenti indispensabili per meglio cogliere i mutamenti e le trasformazioni di una società che iniziava una corsa, sempre più progressiva e poderosa, mai vista in prece-
Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali. Collabora con le cattedre di storia contemporanea e sociologia dell’Europa dell’Università di Salerno.
Porto di Tangeri (ispionline.it).
denza. Certo non v’è dubbio che un lago rimane sempre un lago come una montagna resta tale, ma non dimeno la percezione dello spazio, la sua dimensione geopolitica e geoeconomica e naturalmente la sua importanza cambia in base a diversissimi fattori, come, per esempio, le strutture logistiche che si vanno man mano sviluppando. In pratica e per semplificare tentando di evitare ogni sorta di banalizzazione possiamo fare l’esempio di una baia con fondali profondi. Ebbene la stessa assume un valore geoeconomico diverso se è presente un porto o meno. Anche in questo caso le variabili sono molteplici poiché la sua importanza varia in base alla struttura portuale e ai sistemi d’interconnessione dell’entroterra. In ultimo e per fare un esempio massimamente chiarificante possiamo pensare alla creazione, ma sarebbe meglio parlare di riscoperta, delle nuove grandi rotte. Naturalmente ci riferiamo alla Nuova Via della Seta e alle Rotte Artiche. In breve una regione geografica rivierasca assume valore geoeconomico e geopolitico diverso in confronto ad altre realtà (per es. non rivierasche). Per cui per taluni aspetti possiamo considerare anche la geografia una scienza a geometria variabile, come accennavo sopra, allorquando venga letta con gli occhi della geopolitica. Naturalmente questo aspetto di assoluta importanza assume un valore eccezionalmente rilevante se lo si
unisce ad altri fattori che amplificano le variabili e la fluidità dei processi in corso come la realizzazioni di accordi internazionali che modificano i pregressi status quo quali appunto l’attuazione delle ZEE (Zone Economiche Esclusive) che modificheranno da qui a breve la dimensione navale e marittima delle nazioni e delle potenze. Un progetto ciclopico di ormai quarant’anni (1) che negli ultimi anni, con l’accentuarsi dei processi di marittimizzazione del sistema economico mondiale, assume carattere di estrema urgenza. Già in passato si è rivelato come grazie alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS) una significativa parte delle acque internazionali sparirà poiché verranno assorbite dalle acque nazionali dei paesi che affacciano su mari e oceani. Naturalmente anche questo fattore andrà enormemente a cambiare il valere economico e politico di intere aree geografiche. Come ultimo esempio pensiamo a porzioni d’acqua interessate al passaggio di gasdotti e oleodotti come le recenti vicende belliche hanno ampliamente dimostrato. Per cui la geografia in senso stretto dei luoghi non muta, a eccezione dell’intervento umano come la creazione dei canali, tunnel ecc. ecc., ma a mutare e a cambiare è la sua dimensione economica, commerciale e quindi geopolitica. In base a quanto sostenuto possiamo rimodulare l’antica massima napoleonica secondo la quale «la geografia è destino», che pur rimanendo validissima, forse può essere resa più attuale con i tempi come: «La geografia è destino, ma questo muta in base alle esigenze logistico commerciali».
L’inferenza del commercio internazionale sul destino del Mediterraneo
Proprio la storia del Mare tra le Terre (Mediterraneo) ci dà una chiara dimostrazione di quanto appena sostenuto. Cristoforo Colombo seguendo gli studi del fiorentino geografo Toscanelli si persuase di poter raggiungere l’India navigando verso ovest evitando così d’inoltrarsi nel Mediterraneo levantino fortemente conteso e pattugliato dalla flotta dell’Impero Ottomano e da quella della Serenissima Repubblica di Venezia. Dopo un breve soggiorno in Portogallo e deluso dal disinteresse della corte di Lisbona, egli decise di proporre l’impresa ai cattolicissimi regnanti di Spagna. Inutile ribadire come il Mediterraneo sino ad allora era stato il mercato più importante del mondo. Non è un caso che Colombo fu osteggiato in modo poderoso proprio dai mercanti aragonesi i quali videro da subito i rischi che l’impresa del genovese comportava per i loro commerci con l’Oriente. In vero fecero in modo da ritardare al massimo l’incontro tra le maestà e il navigante italiano preoccupandosi di non far giungere al genovese neanche quella piccola diaria spettante a coloro che risiedevano alla corte spagnola in attesa di essere ricevuti. La questione si risolse grazie all’intervento del padre confessore della regina Isabella di Castiglia il quale si prodigò per organizzare l’incontro tra il navigatore, oramai impoverito e intenzionato a rivolgersi alla corte francese (2). Questa sorta d’intrigo internazionale non deve certamente sorprendere poiché la nuova rotta per l’India avrebbe significato un muta-
La Tribuna dei Sovrani durante l'inaugurazione del canale, dall'opera «Voyage des souverains: Inauguration du Canal de Suez» di Gustave Nicole e Edouard Riou (Raistoria).
mento eccezionale non solo per il mercato della seta e dell’ambra, ma soprattutto delle spezie. Proprio quest’ultime costituivano una merce essenziale del commercio del quindicesimo secolo poiché non solo consentivano una grande resa economica, ma erano fondamentali per i processi di conservazione del cibo e per l’industria farmaceutica di allora. Con la scoperta dell’America l’asse economico e commerciale pian piano si spostò dall’antico Mare Nostrum all’Oceano Atlantico. Il nuovo mondo divenne ben presto il centro del commercio mondiale strappando il primato al Mare tra le Terre ed anche un momento di lotta geopolitica tra Spagna e Portogallo, in cui dovette intervenire la Chiesa Cattolica, che con Alessandro VI, prima, Giulio II poi provvidero con bolle pontificie a tentare di dirimere il «contenzioso» tra i due cattolicissimi regni (3). La preoccupazione per il «dominio del Mediterraneo» è tuttavia perdurata ed anzi si è rinnovata soprattutto allorquando l’imprenditore francese Ferdinand de Lessep incontrò il genio ingegneristico del trentino Luigi Negrelli (4), realizzando così il canale di Suez (inaugurato il 17 novembre del 1869). In breve, con Suez il Mediterraneo tornò al vecchio splendore non solo economico, ma anche commerciale e soprattutto politico. La via per il ricco Oriente era nuovamente aperta e questa passava per il Mediterraneo. Il mondo subì un impressionante sviluppo tecnologico mai visto in precedenza. La centralità del Mediterraneo fu intaccata solo dall’apertura di un altro canale quello di Panama che consentiva il passaggio da Atlantico a Pacifico. Certo l’apertura del canale centro americano ebbe una serie impressionante di ritardi e appena aperto scoppiò il primo conflitto mondiale che ne limitò molto il transito, ma oramai il processo mercantilistico commerciale era in corso. Questo stato di cose è cambiato definitivamente nel 2015 quando sono terminati i lavori su Suez. Con questi non solo si è dato vita a una doppia corsia consentendo un incremento notevolissimo del traffico mercantilistico proveniente dall’Oriente nel Mediterraneo, ma soprattutto hanno consentito il transito delle giganti del mare, una volta costrette a fare il periplo dell’Africa ed entrare nell’antico mare attraverso le Colonne d’Ercole. Proprio quest’ultimo aspetto è indubbiamente il più importante e significativo per meglio comprendere la logica e la creazione della Nuova Via della Seta che attraversando tutta l’Asia raggiunge il Mediterraneo congiungendosi con le nuove rotte artiche formando un unico circuito di navigazione.
Guerra economica e guerra tradizionale
Naturalmente questo dato assume un valore esponenziale se si considera il continuo processo di marittimizzazione dell’economia mondiale. Già in passato si è enucleato come proprio la dimensione talassocratica diviene indispensabile non solo per giocare un ruolo di primaria importanza in ambito politico, ma ancor più in ambito commerciale. In un sistema economico fondato sull’acquisto e la vendita di beni è chiaro che il trasporto ne costituisca il cuore. Proprio gli avvenimenti degli ultimi tempi hanno ribadito tale concetto, anche se sarebbe più opportuno parlare di priorità. Anzi è bene sottolineare come le attuali costrizioni e contrazioni del mercato causate dall’economia di guerra, per così dire, tradizionale siano state antici-
pate da quelle derivanti e provenienti dalla lunga guerra economica in corso che oramai da più di un decennio sta caratterizzando il nuovo secolo. A comprova di quanto detto possiamo portare per esempio non solo l’infinita guerra tra porti, sempre impegnati ad assicurarsi maggiori traffici sottraendoli ai competitors diretti, la crisi dei noli marittimi, ma anche quella dei container. Quest’ultima ha acuito notevolmente le difficoltà per forniture non solo dei semi lavorati e delle materie prime tanto da far lievitare i prezzi del nolo in maniera mai vista in precedenza. Parrebbe assurdo, ma spesso e volentieri il contenuto ha un valore economico inferiore a quello del nolo del contenitore. La stessa vicenda dell’Evergreen, che ha bloccato il canale di Suez per svariati giorni, assume una caratteristica più da spy story che da errore di navigazione. Per poi non parlare delle forniture energetiche che inevitabilmente si trasportano per via mare sia con natanti che attraverso oleodotti e gasdotti. In pratica l’attuale crisi, determinata dal conflitto in corso tra Ucraina e Russia, è stata solo accentuata dalle diseconomie procurate dalla guerra economica tra Occidente e Oriente, ma più propriamente tra Stati Uniti e Cina. Tale situazione si è maggiormente acuita a causa d’una Europa ancora incapace di giocare un ruolo da protagonista poiché troppo parcellizzata e totalmente priva di una visione unitaria sia in ambito militare che geoeconomico oltre che geopolitico. Quanto detto ribadisce come il nuovo millennio sia profondamente legato all’economia del mare che diviene assolutamente sistemico del neoliberismo. Questo fa sì che il mare, con tutte le sue sfaccettature e le sue strutture, divenga il luogo preferenziale della proiezione economica e geopolitica delle potenze intenzionate ad aumentare la loro proiezione e quindi anche il luogo di scontro e confronto. A questo punto è bene sottolineare una doverosa differenza tra guerra economica e quella tradizionale poiché se la seconda risponde a logiche e a intervalli irregolari, la prima si sviluppa spessissimo lungo direttrici ben definite a crescita progressiva aumentando così, quasi in modo del tutto naturale, attriti tra nazioni e potenze. Per cui l’acquisto o la realizzazione di un porto in prossimità di una rotta importante assume non solo un indubbio valore economico, ma se dotato di buoni fondali e approdi ha anche discrete possibilità d’impiego militare. L’ipotesi appena formulata assume un valore ancor più critico se a tale porto si somma la realizzazione nell’immediato entroterra di snodi ferroviari, stradali e la realizzazione di aeroporti. In pratica la logistica nata come scienza militare (5) diviene il terreno di scontro preferenziale per la guerra economica e a sua volta acuisce lo scontro tra potenze emergenti e dominanti. Non si può dar certo torto al geopolitico Parag Khanna quando ha esplicitamente affermato che il grado di forza di una potenza mondiale è semplicemente determinato dalla sua capacità d’interconnessione (6). Per cui la conduzione della guerra economica
odierna non è altro che un durissimo confronto per accaparrarsi le migliori strutture logistiche poiché solo con il controllo di quest’ultime si può dominare il commercio navale. Von Clausewitz ebbe a sostenere che la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi (7) ebbene oggi potremmo aggiungervi che essa è quasi totalmente finalizzata all’assicurarsi il dominio delle strutture logistiche in quanto attraverso esse non solo si ottiene il dominio economico, ma anche
Canale di Suez, rimorchiatori impegnati nelle manovre per liberare la EVER GREEN (corriere.it).
quello più propriamente politico. Che la logistica sia divenuta lo strumento principe per l’esercizio del Soft e Hard Power sembra del tutto evidente. Anzi proprio le attuali vicende relative al North Stream I e II lo dimostrano con forza e assoluta chiarezza. L’intento di Putin di legare l’UE al gas russo era del tutto evidente sin dalla realizzazione del North Stream I. Con l’apertura dei giacimenti di NLG a Sabetta nello Yamal, (insediamento nato inizialmente per fornire gas alla Cina e immediatamente adoperato per supplire l’aumento di richiesta di molti Stati europei) Mosca progetta la realizzazione del gemello mentre stringe sempre più maggiori accordi commerciali ed energetici con l’alleato
non amico turco. Infatti la fornitura energetica dei paesi europei settentrionali era prevista tramite i North Stream, mentre quelli meridionali dovevano approvvigionarsi tramite il South Stream che dalle coste orientali del Mar Nero avrebbe portato il suo preziosissimo carico di gas nei Balcani in Bulgheria per poi essere distribuito ai paesi europei mediterranei (8). Bocciata tale ipotesi, Mosca non si è certo persa d’animo progettando un gasdotto che dalle coste orientali del Mar Nero e attraverso la Turchia si snoda fino al confine con la Grecia. Una vera e propria tenaglia energetica fatta di infrastrutture e collegamenti rispondente, naturalmente, a una precisa strategia geopolitica russa. Proprio la dimensione energetica rilancia con forza l’importanza del Mediterraneo che ha la capacità di unire l’Europa al continente africano e a quello asiatico, in pratica i due continenti da dove provengono le fondamentali materie prime energetiche. Per cui si delinea la centralità del Mediterraneo non solo come Terra di Mezzo, ma come vero e proprio luogo di scambio e produzione energetico. Anche la tanto decantata transizione energetica rilancia le dinamiche mediterranee e dei suoi porti. È indubbio che pensare a una transizione energetica per decreto legge sia cosa folle oltre che inutile. Essa infatti ha bisogno non solo di un poderoso sviluppo tecnologico, ma anche di una enorme riorganizzazione tecnica e logistica e sociale. Per cui bisognerà pensare a sistemi di compromesso e perpetrabili nell’immediato che comunque siano in linea con l’abbattimento della produzione del CO2 (9) e dell’inquinamento in genere come il massiccio impiego di gas naturale liquefatto, idrogeno verde e altri. È del tutto evidente che al momento l’elettrico, per quanto preferibile e auspicabile, non è per svariatissimi motivi ancora applicabile su scala mondiale. Proprio la dimensione energetica diviene una chiave di volta e di lettura fondamentale della strategia portuale mondiale che assume un valore ancor più importante in un mare centrale e complesso, oltre che composito, come quello Mediterraneo. Infatti l’antico mare romano non solo si afferma come trait de union tra i tre continenti già citati, ma anche come dimensione geopolitica che unisce l’Oceano Atlantico all’Indo-Pacifico. Ma oltre ad assolvere queste già fondamentali funzioni esso stesso è luogo di primaria importanza nello scambio economico internazionale. Proprio la sua posizione centrale, il suo essere doppia cerniera (la prima riguardante Asia-Europa-Africa, mentre la seconda riguarda i due oceani) e luogo economico di eccezionale importanza fa sì che chi controlla la posizione centrale possa avere maggiori chances di controllare e condizionare il trasporto marittimo e quindi l’economia mondiale. In fondo molte logiche e strategie della guerra economica ripercorrono pedissequamente quelle della guerra tradizionale. Basti pensare alle innumerevoli pagine di strategia militare (vedasi la posizione centrale della strategia napoleo-
nica) o anche più semplicemente e banalmente agli scacchi nei quali chi domina il centro ha ottime possibilità di vittoria. Stiamo parlando di un spazio geografico circoscritto. Anzi proprio la sua fortissima dimensione geoeconomica spinge sempre più in là la sua estensione geopolitica la quale cresce progressivamente in base all’incremento dell’aspetto economico che muta e si trasforma grazie alla realizzazione di strutture logistiche complesse e fortemente integrate. In questa chiave di lettura il Mediterraneo assume valore oltre che atlantico anche baltico e artico per poi spingersi ben oltre al Golfo di Mannar e lo Stretto di Palk tra l’India e lo Stri Lanka fortemente ridimensionando il valore geopolitico dell’Oceano Indiano il quale sembrerebbe essere oramai divenuto figlio di due padri: Mediterraneo e Pacifico (10). Per cui sembrerebbe che il valore geoeconomico e geopolitico dell’antico mare aumenti in base alla sua dimensione economica tesa ad accrescere grazie e a causa della guerra dei porti in corso già da diversi anni e al continuo proliferare di infrastrutture che naturalmente ne rilanciano il suo ruolo. Una guerra e una corsa sempre più stringente che è soggetta alle continue accelerazioni determinate dalla crescita del gigantismo navale e dal processo di marittimizzazione del sistema economico oramai definibile come post-neoliberista (11). Oltre il 90% delle merci viene trasportata via mare il quale è caratterizzato dal dominio delle grandi alleanze sulle rotte strategiche mentre il gigantismo navale sembrerebbe non arrestarsi visto i poderosi ordinativi delle navi da oltre 15.000 teus che segnerebbero una ulteriore crescita di oltre il 17% al 2023 (12). Neanche la pandemia congiuntamente ai venti di guerra russo-ucraina sembrerebbero riuscire ad arrestare le dinamiche del trasporto marittimo nello specifico e dell’economia del mare in genere soprattutto nel Mediterraneo. Infatti se nel 2019 per il canale egiziano sono passate circa 19.000 navi, ossia circa un miliardo di tonnellate, nei primi otto mesi del 2022 ne sono già transitate 15.329. Una importantissima crescita che riesce a segnare un +15,1% sul periodo precedente. Un dato di assoluto interesse che conferma quello ancor più significativo poiché il Mediterraneo rappresenta circa il 12% del trasporto mondiale in genere e il 7-8% di quello relativo al petrolifero. In pratica uno specchio d’acqua, per quanto significativo e storicamente importante, della grandezza del 1% della superficie marittima complessiva dove si conta il 12% del trasporto marittimo, vero cuore del sistema economico. Questa tendenza di crescita complessiva va sempre più accreditandosi. Non a caso il divario tra porti nord europei e quelli mediterranei risulta essere diminuito come confermano i dati dell’indice UNCTAD Port Liner Shipping Connectivity Index, anche se tale crescita si determina più grazie ai porti nord africani come Tanger Med e Port Said che da quelli più propriamente europei (13). In più bisogna ben tenere conto del forte sviluppo dei porti turchi, della presenza russa e di certo non ultima quella estremamente attiva della Cina la quale, sia in modo diretto che in quello indiretto, controlla tanti porti del bacino mediterraneo sia in Africa che in Europa meridionale. La stessa crescita del Pireo è sicuramente attribuibile ai fortissimi investimenti cinesi più che a una strategia europea e men che meno greca. Proprio la Cina è il soggetto economico più attivo nel Mediterraneo sin da inizio secolo. Questo dato assume un valore eccezionale
poiché ribalta totalmente la lettura secondo la quale la Via della Seta sia stata una conseguenza dei lavori di Suez. Sembrerebbe invece, visto i forti interessi di Pechino nel Mediterraneo sin sul finire del secolo scorso, che i lavori di Suez siano stati una logica conseguenza degli investimenti cinesi finalizzati alla realizzazione della Belt and Road Initiative. Che la scelta talassocratica di Pechino sia divenuta necessità impellente dalla caduta del muro di Berlino sembrerebbe verità oramai consegnabile alla storia. Infatti proprio la caduta dell’antico alleato costringe la Cina in una sorta di isolamento socialista tellurocratico. Una condizione che avrebbe a lungo andare sicuramente strangolato lo Stato asiatico. Di certo è indubbio che i lavori di Suez e la realizzazione della Nuova Via della Seta hanno accelerato non poco la realizzazione e la fruizione delle due rotte artiche che comunque hanno avuto il pregio per Pechino di rafforzare la propria posizione internazionale sia dal punto economico e sia da quello più squisitamente geopolitico, congiuntamente a quella del suo alleato russo che ripresosi dalla caduta del muro era ed è intenzionato a giocare un ruolo importante non solo sulle acque del nord del mondo, ma anche nel Mediterraneo. Per cui per quanto detto è indubbio che l’UE debba fare un necessario e doveroso passo in avanti pensando a strategie veramente unitarie non solo in direzione di una politica estera, ma soprattutto economico, navale, marittima e soprattutto portuale. Solo con una fitta e robusta cabina di regia nazionale ed europea si potrà affrontare le attuali sfide geopolitiche e geoeconomiche nel quale i porti sono e divengono i perni fondamentali, i punti focali. Bisognerà finalmente abbandonare logiche, se pur storiche, del regionalismo ed europeo per giocare realmente un ruolo fondamentale nella geopolitica mondiale. Come sosteneva Ovidio volere è poco occorre volere con ardore per raggiungere lo scopo. 8
NOTE
(1) Le Zone Economiche Esclusive furono previste sin dal dicembre del 1982 quando in Giamaica a Montego Bay si dette vita alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (UNCLOS) alla presenza dei rappresentanti di oltre 150 nazioni. Il Trattato disciplina le ZEE con gli articoli che vanno dal 55 al 75. Fu una lunga gestazione poiché ci vollero circa 12 anni per le ratifiche dei vari Governi. Solo negli ultimi anni, soprattutto nel Mediterraneo, si è deciso di dar vita alle ZEE con non poche incomprensioni e diatribe tra gli Stati rivieraschi. (2) Elliott John H., La Spagna Imperiale 1469-1716, Il Mulino 2006. (3) Cfr. D. Ceccarelli Morolli, Appunti di geopolitica, Roma 2018, pp. 132 ss. (4) Valle M., Suez. Il canale, l’Egitto e l’Italia. Da Venezia a Cavour, da Mussolini a Mattei. Historica, 2018. (5) Tra i primissimi a considerare la logistica come «scienza militare» fu lo scrittore e filosofo greco Senofonte nei Memorabili. Sull’argomento si veda Mazzetti A. La Logistica come strumento della Geopolitica, Rivista Marittima, dicembre 2020. (6) Sull’argomento si legga Khanna P., Connetography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, 2016; dello stesso autore Il Movimento del mondo: Le forze che ci stanno sradicando e plasmando il destino dell’umanità, Fazi, 2021. (7) Von Clausewitz, Della Guerra, Mondadori, 1997. (8) Mazzetti A., Trump, Soleimani e la crisi iraniana. Libia, Russia e Turchia una ipotesi tutta mediterranea, Porto&Interporto, gennaio, 2020. (9) Benocci B., Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea, Rivista Marittima, luglio-agosto 2021. (10) Poddighe G. Infinito Mediterraneo in Analisi Difesa, 3 dicembre 2020. (11) Sembrerebbe surreale adoperare ancora la terminologia neoliberista per indicare l’attuale sistema economico poiché essa non risponde più a molte delle logiche imperanti per il cui era stato coniato tale termine. I lavori di Suez, la nascita delle nuove rotte intercontinentali, i continui processi di marittimizzazione dell’economia tra i quali il gigantismo navale sicuramente segnano una trasformazione assai significativa dell’economia non più definibile, quindi, neoliberista, ma preferibilmente post-neoliberista. (12) Rapporto RSM Italian Marittime Economy del 2021. (13) Su tale argomento e sul sistema portuale italiano si consigliano i lavori di Spirito P., Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della Seta, Rubbettino, 2018 e Il futuro dei sistemi portuali italiani. Governance, spazi marittimi, lavoro, Guida, 2021.