
26 minute read
Analisi storico-economica dell’importanza dei traffici marittimi nel Mediterraneo
Giorgio Sideri detto Callapoda da Candia att. Carta nautica del Mediterraneo, del mar Nero e del mare d’Azov (palazzoducale.visitmuve.it).
Davide Andreuccioli
Advertisement
MBA, economista, storico, manager bancario, collaboratore presso l’Università La Sapienza di Roma e L.U.I.S.S. Guido Carli, ufficiale della Riserva Selezionata della Marina Militare. L e città e le civiltà che nei secoli hanno registrato un maggiore sviluppo economico e sociale sono solitamente sorte in prossimità di bacini idrografici: mari e fiumi principalmente. Non a caso, il termine μέσος-ποταμός (1) indica la rilevanza soprattutto per il suo impatto economico e non solo per una semplice annotazione toponomastica che l’essere cinta dai fiumi Tigri ed Eufrate ha avuto per quella Regione. I fiumi sono stati sfruttati, grazie all’invenzione dello shaduf (2), non solo a livello agricolo, ma anche a livello logistico con i trasporti fluviali. Ciò ha permesso lo sviluppo delle prime grandi civiltà e la fondazione di alcune tra le prime città della storia, come Uruk e Ur.
Affinché i traffici commerciali marittimi possano nascere, svilupparsi e mantenersi, la conditio sine qua non resta la sicurezza delle acque. Quest’ultima deve essere intesa come un concetto ampio, che spazia dalla protezione contro eventuali imbarcazioni ostili sia di paesi belligeranti che semplicemente piratesche, alla assistenza che si rende necessaria verso le asperità che il navigar per mare intrinsecamente comporta.
Insomma, nulla di nuovo: l’acqua può essere la più semplice e diretta via di comunicazione, ma può nascondere in sé potenziali problematiche, che possono attivarsi improvvisamente e minacciare seriamente la rotta intrapresa. È necessario, quindi, che la Forza marittima di cui dispone lo Stato, sia strutturata e capace di intervenire prontamente, da rendere sicuri i convogli contro le varie asperità.
I secoli passati ci insegnano quanto questo assioma trovi poi una evidenza empirica.
La polis di Atene, come ci racconta il coevo Tucidide (3), ci fornisce un esempio dell’importanza del connubio militare ed economico a livello marittimo: durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), se, da un lato gli Spartani mostravano una evidente superiorità come Forza militare terrestre, gli Ateniesi, poterono resistere temporaneamente grazie ai rifornimenti di grano che via mare giungevano da zone lontane sul Bosforo. Addirittura, facendo un passo indietro, lo stesso autore greco ci indica che coloro che «ebbero nome di Greci, non si collegarono mai prima della guerra troiana per organizzare uno sforzo comune, per l’inconsistenza politica e
l’assoluta mancanza di reciproci rapporti, ma anche per questa famosa spedizione si riunirono quando avevano già acquistato maggiore dimestichezza con il mare» (4). Sempre Tucidide ci informa sinteticamente che «comunque, chi poteva esercitare la marineria, si creò una considerevole potenza, non solo in entrate economiche, ma anche in supremazia sugli altri. Spostandosi con la flotta, sottomettevano a tributo le isole, che costituivano uno sbocco particolarmente ricercato da quelli che non possedevano territorio sufficiente».
Fu Temistocle il promotore dello sviluppo navale ateniese, che mirava a una vera e propria talassocrazia che consentisse al popolo traffici sicuri con l’Asia Minore e l’Egitto e, contemporaneamente, proteggesse la popolazione da attacchi nemici, soprattutto dei Persiani. Ci riporta sempre Tucidide, infatti, che «si fece ormai chiaro che la salvezza della Grecia era consistita nelle navi: a ciò fornimmo noi i tre fattori di più fondamentale rilevanza: il numero maggiore di navi, lo stratego più abile, l’animo più impavido» (5) che evidentemente portarono gli Elleni alla vittoria di Salamina. Sempre Temistocle spinse i suoi concittadini, in vista delle guerre contro Serse, a investire sulla costruzione delle triremi, in quanto piccole, veloci, e facili da costruire, in un contesto di tensione geopolitica quale quello in cui si trovava la città-stato in quel periodo.
Lo sviluppo navale ai fini commerciali e militari in Grecia aveva visto i suoi albori già con la polis di Corinto che, sebbene in prima istanza basava la sua potenza commerciale sullo scalo terrestre che offriva ai viaggiatori e mercanti che attraversavano la Grecia, «quando i Greci incrementarono i negozi marittimi, quelli di Corinto, allestite parecchie navi, si volsero a sterminare i pirati e potendo offrire per mare e per terra un punto di smistamento al traffico commerciale, fecero poderosa l’economia del loro stato con l’afflusso di rendite».
Il caso delle cosiddette anfore greco-italiche (6) dimostra bene come lo sviluppo delle rotte commerciali marittime abbia generato la transizione da una economia interna o locale a una protesa al mercato internazionale. La novità di questo nuovo tipo di anfore stava nel fatto che erano destinate al trasporto di vino e sono state prodotte, in modo standardizzato, in più posti contemporaneamente. Il termine greco-italico, è stato coniato nel 1954 dall’archeologo francese Fernand Benoît, per citare appunto un tipo di anfora prodotta in luoghi diversi contemporaneamente e per un lungo periodo per il trasporto e commercio di vino, in questo nuovo crogiuolo di etnie che era il mondo greco-romano, da cui il nome. Queste anfore sono state prodotte da popoli diversi, che parlavano lingue diverse, ma che iniziarono a far parte di un mercato internazionale ben integrato, anche se ancora in assenza di una unità politica. Se la produzione era diffusa, molto maggiore era la distribuzione e il consumo del vino trasportato da queste anfore. Questa anfora segna chiaramente il passaggio a una economia più integrata (7).
Secoli più tardi, anche i Romani dovettero sviluppare la propria potenza navale per il duplice scopo economico e militare. Anche se, alle origini, vantavano una buona dimestichezza con la navigazione fluviale, il vero banco di prova diventò successivamente la navigazione marittima. Il progresso in quest’arte spesso era accelerato dalle conquiste (terrestri) di popolazioni locali che avevano un know-how marinaresco più evoluto dei Romani. Il punto di rottura si ebbe quando la nascente potenza capitolina andò a scontrarsi, per interessi economici, con quella punica. La flotta cartaginese, di fondazione fenicia, era praticamente la monopolista dei traffici economici e militari nel Mediterraneo occidentale, con delle basi nel Nordafrica, in Spagna, Baleari, Corsica, Sardegna e Sicilia occidentale.
Effettivamente, una volta che la conquista della Penisola stava volgendo al termine, i Romani si resero conto che per espandersi economicamente e politicamente dovevano affacciarsi sul Mediterraneo. Interessante è vedere la progressione con cui i vari accordi sui diritti mercantili di navigazione e rotte commerciali videro i ruoli di Cartagine e Roma partire da una situazione di netto squilibrio inizialmente a favore della prima, per poi progressivamente arrivare ad un livello quasi di parità (8). Proprio a questo punto lo scontro diventò inevitabile e il Mediterraneo occidentale divenne il campo di battaglia. Fu soprattutto la prima guerra punica a essere la battaglia navale che fece prendere coscienza al Senato romano dell’importanza di armare una flotta di triremi e quinqueremi capace di poter rivaleggiare con quella cartaginese. L’allestimento della flotta

e l’acquisizione delle necessarie competenze marittime fu, in verità, reso possibile dal contributo decisivo dei suoi alleati Greci, Etruschi, Osci e Messapi (9). L’invenzione del cosiddetto «corvo» consentì ai Romani di trasformare in «terrestri» anche le battaglie navali: infatti con l’abbordaggio delle navi nemiche, i legionari a bordo delle navi romane potevano ingaggiare un duello a colpi di gladio con gli omologhi cartaginesi.
La vittoria su Cartagine sbloccò quindi definitivamente ai Romani l’accesso al Mediterraneo che, da qui in avanti, diverrà per loro il mare nostrum, ossia sostanzialmente un lago incluso nelle dominazioni capitoline. Si deve dire, però, che l’economia romana, con l’aumentare della popolazione (soprattutto di cittadinanza romana, verso cui, almeno fino a Caligola, era gratuita la distribuzione di pane) e con l’aumentare dei lussi e dello sfarzo cui era abituata la classe dirigente, aveva una bilancia commerciale negativa, con le importazioni molto maggiori rispetto alle esportazioni. Le importazioni riguardavano quindi beni di prima necessità (principalmente grano e olio), materiali e schiavi. Tali traffici avvenivano soprattutto dalle colonie nordafricane e dell’Asia minore e, sebbene i Romani avessero sviluppato una rete stradale all’avanguardia per l’epoca, la via privilegiata restava il mare essenzialmente per tre motivi: economicità del trasporto, tonnellaggio trasportabile, rapidità della consegna. Come scritto in principio, però, il traffico marittimo aveva delle insidie ed il Senato romano già in epoca repubblicana istituì dapprima la carica dei duumviri navales (10) che avevano il compito di tenere sempre pronta e armata la flotta e di presiedere la lotta alla pirateria, come per esempio nel caso delle guerre illiriche (11).
L’apice del connubio economico-militare riguardo l’importanza della sicurezza marittima si ebbe però nel periodo 67 a.C.-57 a.C., quando alcuni fenomeni politici, soprattutto le guerre mitridatiche, ebbero ripercussioni economiche sull’approvvigionamento di grano verso l’Urbe. Come detto in precedenza, il cereale, nutrimento alla base della dieta romana dell’epoca, viaggiava sulle navi su rotte attraverso il Mediterraneo meridionale/orientale. Alcuni monarchi ellenistici, per fiaccare l’ego espansionistico romano, avevano iniziato a sovvenzionare sia economicamente, sia semplicemente fornendo riparo, le bande piratesche di estrazione prevalentemente cilicia. Il Senato, visto che la situazione era diventata insostenibile e causava ripercussioni economiche importanti oltre che generare un malcontento popolare diffuso, affidò a Gneo Pompeo (futuro Pompeo Magno) una magistratura speciale, ossia una carica proconsolare con poteri amplissimi in materia marittima: la Lex Gabinia (12) (Lex de piratis persequendis) che gli conferiva il comando navale assoluto per tre anni (de uno imperatore contra praedones constituendo), lo dotava prima di duecento e poi addirittura di cinquecento navi con cinquemila cavalieri e centoventimila soldati. Le particolarità di questa legge, rispetto alle magistrature straordinarie del passato, erano la durata, il tipo di potere (oltre che sul mare Mediterraneo ed Egeo, si estendeva per cinquanta miglia nell’entroterra) e la possibilità di attingere alle finanze pubbliche (13). L’attenzione del popolo romano per la sicurezza dei traffici marittimi può essere infatti sintetizzata dalla frase attribuita allo stesso Pompeo: «Navigare necesse est, vivere non est necesse» (14), con cui giustificava il voler salpare per forza, nonostante le condizioni proibitive del mare, per portare il grano a Roma.
Conclusa la guerra contro i pirati da parte di Pompeo, la Repubblica e successivamente l’Impero, poterono tenere saldi i propri traffici marittimi senza ostacoli così grandi come quello appena superato.
Per avere contezza della quantità (e quindi dell’importanza) del traffico marittimo commerciale, basti dire che sotto Augusto, l’Egitto inviava ogni anno a Roma 20.000.000 modii di grano, vale a dire circa 140.000 tonnellate (15). Qualche decennio più tardi, durante il regno neroniano, lo storico Flavio Giuseppe ci riporta che il grano egiziano poteva sfamare Roma per un terzo del proprio fabbisogno annuo (16). Annualmente, dovevano arrivare a Roma, per mare, 60.000.000 modii di grano, ossia circa 420.000 tonnellate, che cubavano rotte per circa 120.000 navi, che, tra l’altro, non navigavano durante la stagione invernale (mare clausum) (17). In epoca imperiale le navi commerciali erano scortate da imbarcazioni da guerra e precedute da navi tabellariae, che annunciavano l’arrivo della flotta che avrebbe liberato la plebe dalla fame.
Il crepuscolo dell’Impero romano (d’Occidente) vede

ancora la civiltà capitolina fare i conti con il mare: per motivi di sicurezza e difendibilità, la capitale viene spostata nel 402 d.C. da Roma a Ravenna, città che sfrutta la sua posizione prossima a una palude e contemporaneamente adiacente al porto di Classe. Proprio questa città resterà anche successivamente il pied-à-terre bizantino in Italia, anche perché Roma subirà una sorta di legge del contrappasso: proprio da Cartagine, ove i Vandali di Genserico si erano stabiliti dopo il lungo peregrinare in Europa, saccheggeranno l’Urbe nel 455 d.C. attaccandola per via marittima, in quanto, giunti a Ostia con le navi, risalirono il corso del Tevere e conquistarono la città.
Con la caduta dell’Impero romano (d’Occidente), l’economia marittima del mediterraneo occidentale subì un duro colpo: durante i secoli di dominio romano, infatti, si era creato un sistema economico prevalentemente centralizzato: la longa manus del Senato prima e dell’Imperatore poi, permeava gli scambi economici. Una parziale sostituzione di questa autorità centrale negli scambi commerciali e nella protezione militare delle rotte, venne in seguito svolta dal Papa. Era questa figura infatti, almeno nei primi secoli, a essere il garante dell’annona e quindi responsabile degli approvvigionamenti di grano verso l’Urbe e del mantenimento della Marina militare pontificia. A tale scopo, nel tempo, si cercò di rendere nuovamente funzionale il porto di Ostia, fino ad arrivare a papa Gregorio IV che a metà del IX secolo, fondò una «nuova Ostia» denominandola addirittura Gregoriopolis, nome che poi fu presto abbandonato per tornare all’antica toponomastica. Gli sforzi effettuati non bastarono comunque a salvare Roma da un nuovo sacco, questa volta a opera degli Arabi nell’846 (18).
Diversa la situazione nel mediterraneo orientale dove, da una parte, restò solido il potere centrale del basileus bizantino, dall’altra si sviluppò rapidamente lo Stato arabo che conquistò una repentina espansione in Asia minore e Nordafrica. Per entrambe queste formazioni statali, il Mediterraneo fungeva da primaria via di comunicazione commerciale e le rotte dovevano essere difese militarmente. I Bizantini inventarono circa nel VII secolo d.C. il cosiddetto fuoco greco, ossia un liquido infiammabile che, gettato sulle navi avversarie, poteva essere incendiato e causare quindi la distruzione dell’imbarcazione colpita. I «nuovi Romani», soprattutto con l’imperatore Teodosio nel VI secolo, cercarono di far tornare il Mediterraneo un mare interno ai loro domini, invadendo prima il regno vandalico del Nordafrica e poi riconquistando l’Italia a danno degli Ostrogoti. Le vicende alterne di queste spedizioni portarono in breve tempo a un frazionamento dei possedimenti bizantini in Italia a favore dei regni barbarici e al progressivo abbandono delle terre nordafricane e mediorientali a favore della nascente potenza islamica. Perdendo progressivamente terreno, i traffici bizantini via mare verso la Penisola finirono per concretizzarsi solamente nel trasbordo di funzionari statali e negli approvvigionamenti tra la Sicilia ove si estendevano le coltivazioni di grano e Ravenna ove si trovava l’esarcato. Le conquiste arabe dell’Asia Minore, Nordafrica e penisola iberica tra VII ed VIII secolo capovolsero sostanzialmente la situazione: il bacino che era stato per
La Battaglia di Ostia, affresco nella Stanza dell’Incendio di Borgo, Palazzi Pontifici in Vaticano (wikipedia.org).

secoli predominio di Roma e della Nuova Roma (Costantinopoli), vedeva ora la maggior estensione delle coste a dominio di una nuova potenza ostile. Iniziò quindi un periodo, durato secoli, di lotte navali per il predominio sulle rotte commerciali tra Oriente e Occidente, che segnò alternativamente il prevalere ora dell’una, ora dell’altra parte.
L’amministrazione islamica, con il progredire delle conquiste, aveva saputo sfruttare le istituzioni e le consuetudini delle città che assoggettava e tali erano sostanzialmente quelle reduci dell’Impero romano. Basti pensare che prima del X secolo il Mediterraneo veniva chiamato dagli Arabi al-bahr al-Rūmī ossia «il mare dei Romani» (19). Per cui i porti, le marinerie, le rotte e le relazioni commerciali molto spesso non fecero altro che cambiare i vessilli e i referenti, per poi continuare «darwinianamente» a esistere. Si creò, invero, un nuovo equilibrio finanziario nel mondo abbaside: il dīnār diventò presto una moneta forte, sia grazie alle riserve auree dello Stato, che grazie alla molteplicità delle trattative in cui fungeva da moneta corrente. Lo stato islamico iniziò quindi a favorire gli scambi e proteggere le rotte dalle minacce esterne: si deve pensare al marinaio islamico non più solo come pirata. Chiaramente la storiografia nei secoli si è rifatta a quelle che sono le principali fonti storiche dell’epoca e che raccontano dei marinai islamici solo quando vengono da essi attaccati e depredati, quindi etichettati come pirati. Basti pensare che la geografia redatta dal comandante del servizio di posta Ibn Khurradādhibih descrive gli itinerari marittimi dei mercanti provenienti in terra islamica dall’Impero carolingio, dal continente indiano e da quello russo. La relativa sicurezza delle rotte viene anche annotata da Willibaldo di Eichstatt che resoconta nel 760 il suo pellegrinaggio a Gerusalemme, il quale si svolge senza intoppi. Anche l’arabo Nasir Khusraw, in occasione alla visita della Città Santa nel 1046 riferisce che i pellegrinaggi di cristiani e musulmani si svolgono senza particolari problemi.
Il mondo commerciale cristiano quindi entrava ben volentieri in contatto con quello islamico e, al netto degli atti vicendevoli di pirateria, si era venuta a ristabilire una solida base scambi commerciali per via marittima.
In seguito, gli eventi legati alle Crociate modificarono, ma non sospesero l’affluenza navale mediterranea durante i secoli di conflitto. Il sud Italia, soprattutto la Puglia, vide il prolificare di porti che costituivano la base di partenza per la traversata del Mediterraneo alla volta della Terra Santa. Le Repubbliche Marinare, specialmente Pisa, Venezia e Genova, che già avevano rapporti commerciali con gli Stati islamici, consolidarono i loro approdi e le proprie basi commerciali sul Vicino Oriente e commerciavano tanto con le neo-conquistate città cristiane (San Giovanni d’Acri, Jaffa, Tiro…), che con quelle arabe. L’insediamento che si veniva a creare non era per forza legato al miglioramento delle condizioni commerciali, ma era avvantaggiato nella misura in cui si riuscivano a ottenere concessioni dai governi stranieri: si trattava innanzitutto di alloggi e magazzini, spesso un intero quartiere, poi del libero scambio e delle esenzioni fiscali, e infine dell’autonomia amministrativa, fiscale e giudiziaria all’interno del quartiere. In alcuni casi, questi avamposti commerciali divenivano in sostanza delle enclaves extraterritoriali, come per esempio la colonia genovese di Galata sul Corno d’oro.
Il consolidamento delle rotte fece sì che le marinerie repubblicane scacciarono poco a poco i pirati mori e saraceni dalle acque mediterranee e svilupparono il commercio internazionale con Bizantini e musulmani fino ad assicurarsi, a partire dal XIII secolo, il monopolio degli scambi marittimi a scapito dei marinai dell’Islam e dei Greci (20). Questo intenso traffico marittimo fece sì che ciascuno Stato ponesse molta attenzione sullo sviluppo delle navi, per avere i mezzi più performanti utili alla navigazione in tempo di pace e di guerra. Ancora non era delineata una marcata differenziazione tra la Marina mercantile e la Marina militare, per cui le stesse navi erano spesso in dual use. Fino almeno al XVII secolo era aperto il dibattito se, in ottica di conflitto navale, era migliore la propulsione velica o a remi, in quanto si doveva ben soppesare il trade-off tra una maggiore mobilità e una capacità di carico di artiglieria pesante. Per avere un’idea del grado di sviluppo dei cantieri navali italiani, basti pensare che nella battaglia di Lepanto (1571), delle centottantuno galee della Lega Santa, centoventiquattro erano veneziane, dodici pontificie e quarantacinque italo-spagnole (queste ultime per lo più costituite a Castellammare di Stabia) (21). Si può trarre spunto da questo episodio per
comprendere come le Marine degli Stati mediterranei dovevano spesso ricorrere ad alleanze tra loro per fronteggiare la flotta ottomana. Se, infatti, dopo un periodo di unità pan-islamica iniziale, molti territori di fede musulmana si erano resi indipendenti (spesso non formalmente, ma solo di fatto) da Baghdad e tale frazionamento aveva fatto sì che ciascuno Stato islamico singolarmente avesse una Forza navale relativa contenibile da parte delle altre potenze marittime europee, con la riunificazione del bacino del Mediterraneo meridionale da parte degli Ottomani, la Sublime Porta aveva riacquistato un peso preponderante sui traffici marittimi interni. L’economia ottomana, sebbene trovava fondamento sull’esportazione di molte materie prime, dipendeva sensibilmente da una serie di importazioni strategiche dall’Europa (tessuti, utensili in metallo, armi...) e per agevolare l’ingresso di questi materiali e gli scambi commerciali, iniziò con la concessione delle cosiddette «capitolazioni» che segnarono l’inizio della penetrazione prima economica e poi militare delle potenze europee nel proprio territorio (22). A supporto di tale strategia economica, la potenza ottomana iniziò una serie di conquiste per rendere il Mediterraneo nuovamente un mare «nazionale»: Egitto (1517), Dalmazia e Croazia (inizio XVI secolo), Malta (1565) Cipro (1571), Tunisi (1574). Quelle che tra queste erano fortezze europee, furono difese strenuamente dalle rispettive madrepatrie (principalmente la Serenissima Repubblica di Venezia), in quanto erano delle importantissime basi o scali commerciali verso l’Oriente. Gli interessi economici (con risvolti chiaramente politici) crearono anche alleanze ritenute «sconvenienti» secondo il pensiero dell’epoca: in risposta agli abboccamenti asburgo-safavidi degli anni 20 e 30 del Cinquecento, Francesco I di Francia siglò nel 1536 un trattato con Solimano I (che noi conosciamo come «il Magnifico», ma che gli Ottomani definivano Kanuni, ossia il Legislatore) in funzione antiasburgica; tale alleanza durò per secoli e permise ai Francesi di stabilire una salda testa di ponte economica nell’Impero ottomano.
Gli eventi quasi simultanei che cambiarono totalmente lo scenario mediterraneo, relegandolo anche abbastanza velocemente a una importanza secondaria per le rotte commerciali internazionali, furono la scoperta dell’America e la circumnavigazione dell’Africa. Le rotte oceaniche verso i continenti americano e asiatico permisero di aggirare il Mediterraneo e i suoi presidi europei e ottomani per insediarsi direttamente in questi nuovi mercati di approvvigionamento. Alle Repubbliche Marinare ed all’Impero ottomano succedettero come potenze navali i Paesi Bassi, il regno di Portogallo, l’Inghilterra e, per un periodo minore, la Spagna. Queste nazioni si erano infatti appropriate delle rotte oceaniche che avevano portato verso il continente americano e asiatico e avevano fatto dei propri porti delle vere e proprie piattaforme commerciali. Le nuove rotte portarono sì un maggiore afflusso di oro e di argento, ma soprattutto dei nuovi beni di lusso che andarono a ridurre la domanda di quelli tradizionalmente importati in Europa attraverso il Mar Mediterraneo e il Mar Nero e inoltre crearono una alternativa alle rotte che venivano solcate per andare a procurare tali beni.
Per comprendere l’evoluzione del mercato marittimo e la sua influenza sull’economia statale, si può esaminare il caso della Repubblica di Genova, analizzando i dati dei suoi traffici portuali (23) dopo una forte crescita del valore delle merci ivi transitate nella seconda metà del XIII secolo, si verificò un ridimensionamento e successivo assestamento per i due secoli successivi su valori di circa la metà del periodo precedente. Anche il numero dei bastimenti transitati per il porto di Genova subì un andamento analogo, ossia dalle 58 navi medie annue in entrata nel porto nel XIV secolo, si passò poi a una media di 40 nel secolo successivo, per poi risalire a inizio Cinquecento. Circa a metà del XVI secolo si verificò una ulteriore riduzione del numero dei transiti dovuta a penuria di traffici principalmente (24). L’aspetto interessante non è tanto la mole traffico portuale, ma la sua composizione: se infatti le navi genovesi costituivano i tre quarti circa del totale delle imbarcazioni transitanti fino ai primi trenta anni del Cinquecento, questo rapporto cominciò a calare e poi a invertirsi sulla fine del secolo. Tale evento si dovette sì all’affermazione della Repubblica di Ragusa come potenza navale mediterranea, ma in buona parte anche dall’erosione di traffici commerciali da parte degli Olandesi a danno dei Genovesi.
La Spagna, che fu per un secolo la nazione più potente al mondo (cosiddetto siglo de oro), non riuscì a

cavalcare il beneficio del primato che aveva sul continente americano e dovette lasciare spazio a nuove potenze marittime come l’Inghilterra, la Francia e il Portogallo. Anzi, l’euforia di aver trovato una nuova fonte d’oro per le casse statali, fece lievitare la spesa destinata alla flotta e all’esercito, che a sua volta causò la bancarotta del Regno nel 1557. L’aumento delle spese militari era dovuto sia a un consolidamento dei possedimenti terrestri, ma anche alla volontà di allestire una flotta capace di tenere sicure le rotte verso il Nuovo Mondo. Il problema per la Spagna era la sicurezza dei convogli che andavano e venivano dalle Americhe, in quanto erano sempre messi a repentaglio dai corsari britannici: si era creato uno stato di guerra (non dichiarata) tra le due potenze che durò circa un ventennio e che indusse il re spagnolo Filippo II ad ampliare la propria flotta sino ad arrivare a 138 navi (anche se il progetto originario era di 500) per invadere l’Inghilterra. Anche in questo caso, come a Lepanto, un gran numero delle navi spagnole era di fabbricazione napoletana, genovese e siciliana. Il regno d’Inghilterra, che nel 1587 contava solo 34 vascelli, fu oggetto di una «chiamata alle armi» da parte della sua regina Elisabetta I, che mobilitò il paese per la costruzione di nuove imbarcazioni, raggiungendo in circa un anno quasi la quota di 100 navi disponibili, che riuscirono a sconfiggere l’Invincibile Armata spagnola nelle acque della Manica (25).
Il Mediterraneo non perse quindi totalmente la sua importanza all’interno delle rotte commerciali tra Nordafrica, Asia Minore ed Europa, ma si adattò a quelle che furono le rinnovate esigenze delle potenze che solcavano e solcano le sue acque. Si confermò un bacino determinante per lo sviluppo commerciale delle nazioni, ma le bandiere issate sull’albero di poppa delle navi che lo attraversavano furono sempre più spesso di potenze oceaniche, come Inghilterra, Paesi Bassi e Francia, che non si affacciavano direttamente sulle sue sponde.
L’evento che ha dato nuova linfa vitale al mar Mediterraneo e accresciuto molto l’appetibilità economica delle sue rotte è senza dubbio la realizzazione del Canale di Suez nel 1869, peraltro con un ingente contributo italiano, sia a livello ingegneristico, che di maestranze. Rendendo quindi molto rapido il collegamento tra il bacino Mediterraneo, la penisola arabica, l’India e addirittura la Cina (quest’ultima era spesso raggiunta via mare tramite la rotta artica), si è venuta a creare una opportunità economica per l’iniziativa imprenditoriale che commercia con quei paesi, ma si è anche ampliata la necessità di una protezione militare che ne garantisca la sicurezza delle rotte.
Si è verificato anche uno scollamento rispetto al passato: nei secoli scorsi, l’iniziativa imprenditoriale era spesso statale, oppure di grandi gruppi economici che avevano comunque forti interessenze con l’amministrazione pubblica e quindi il dispiegamento di una Forza navale che proteggesse le rotte era uno scambio a somma zero. Nei tempi moderni, invece, l’imprenditoria è prevalentemente privata, mentre la sicurezza (per riprendere un tema di Wilhelm von Humboldt) è demandata allo Stato.
Oggi il trasporto marittimo è un settore fondamentale per l’economia dei paesi mediterranei: sebbene il Mediterraneo rappresenti solo circa l’1% della massa acquatica del pianeta, lungo questo mare si trasportano

Nave CARABINIERE di scorta ad un mercantile durante l’Operazione Atalanta.

circa il 15% del totale mondiale delle merci ed ha una prospettiva di crescita di circa il 4% annuo (26).
L’operazione antipirateria Atalanta, che si svolge lungo le coste del Corno d’Africa, secondo il documento XXVI n.3 del 2020 vede stanziati dall’Italia circa 26,7 milioni di euro annui come fabbisogno annuale per la sicurezza delle navi mercantili in transito nella zona del Golfo di Aden.
L’importanza del Mediterraneo continua a essere direttamente proporzionale a quella del Canale di Suez: il 90% del commercio internazionale avviene via mare e il collegamento tra il Mar Rosso e il Mediterraneo ne è uno degli snodi principali. Secondo il report di Cassa Depositi e Prestiti, nel 2019 per questo Canale sono transitate 1,2 milioni di tonnellate di merci e circa 19 mila navi (27) della sua crucialità si è reso conto anche l’uomo comune quando a marzo 2021 il blocco del Canale per pochi giorni ha causato ripercussioni su gran parte dei trasporti a livello internazionale. Per il Mediterraneo transitano circa un terzo dei servizi di linea mondiali del traffico container e negli ultimi anni è stato primo per crescita degli scambi: i due principali canali di ingresso, ossia lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez sono rispettivamente il terzo e il quinto snodo al mondo per volumi di merci in transito. Il presidio militare delle rotte, che le tenga al riparo principalmente da atti di pirateria, assume giocoforza un ruolo di primo piano affinché il Mare Nostrum continui a essere uno dei bacini principali del traffico mercantile. Le due rotte alternative, cioè la rotta artica e la circumnavigazione dell’Africa, sono ancora la prima poco praticabile (circa tre mesi l’anno) e la seconda troppo costosa (circa il doppio), per cui c’è ancora del margine a disposizione affinché l’Italia ed i paesi mediterranei si attrezzino per affrontare le sfide del futuro, che avranno come tematiche principali lo sviluppo di navi container con sempre maggior dislocamento e il posizionamento dei grandi gruppi di «shipping» che, attraverso operazioni di consolidamento verticale, possono diventare interlocutori di grande peso. Non è da sottovalutare anche la concorrenza «terrestre» della nuova Via della Seta che offrirà un percorso su rotaia sì più costoso, ma anche molto più veloce.
Un pensiero finale può essere rivolto al mercato domestico, dove il trasporto marittimo ha un tonnellaggio annuo di circa la metà rispetto a quello su gomma, nonostante l’Italia sia una Penisola per tre quarti bagnata dal mare. L’auspicio è che, in un futuro non lontano, il focus delle istituzioni e delle grandi aziende sul costo delle spedizioni e sulla sostenibilità ambientale dei trasporti, facciano invertire questa proporzione. 8
NOTE
(1) Traduzione dal greco: terra tra i fiumi. (2) Strumento per prelevare l’acqua dai fiumi e dirottarla verso canali di irrigazione. (3) Tucidide, Storie, a cura di Emilio Piccolo, Napoli 2009, pp. 8 e segg. (4) Ibidem. (5) Ibidem. (6) A. Caravale, I. Toffoletti, Anfore antiche. Conoscerle e identificarle, Atripalda 1998, pp. 88-89. (7) P.P.A. Furnari, C.U. Carlan, P.P. Duprat, Arquelogia e Economia Antigua no Mediterraneo, Sao Paulo 2019, pp. 26-41. (8) F. Cassola, Storia di Roma dalle origini a Cesare, Milano 2019, pag. 92. (9) Ibidem. (10) G. Bandelli, La Pirateria adriatica di età repubblicana come fenomeno endemico, in AA.VV, La pirateria nell’Adriatico antico, a cura di Lorenzo Braccesi, Venezia 2002, p. 64. (11) Liv. XLI, 1, 3: «Adversus Illyriorum classem creati duumviri navales erant, qui tuendae viginti navibus maris superi orae Anconam velut cardinem haberent; inde L. Cornelius dextra litora usque ad Tarentum, C. Furius laeva usque ad Aquileiam tueretur». (12) J. A. Davison, «Cicero and the Lex Gabinia». The Classical Review, vol. 44, n. 6, 1930, pp. 224-25. (13) Cicerone. De imperio Cn. Pompei, 52. (14) Plutarco, Vita di Pompeo, 50. (15) F. De Romanis, In tempi di guerra e di peste Horrea e mobilità del grano pubblico tra gli Antonini e i Severi, in AA.VV, Antiquités Africaines, t. 43, Parigi 2007, pp. 187-230. (16) Flavio Giuseppe, Bell. Iud., II, 386. (17) Bonacci, Lucia. Il Grano Gallico: Magazzini Di Stoccaggio e Tempi Di Trasporto a Roma. Pallas, n. 99, 2015, pp. 175-91. (18) F. Marazzi, Roma, il Lazio, il Mediterraneo: relazioni fra economia e politica dal VII al IX secolo, in AA.VV, La storia economica di Roma nell’Alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici, Firenze 1993, pp. 267-282. (19) D. M. Dunlop, Encyclopaedia of Islam, 2002. (20) C. Picard, Il mare dei califfi, Roma 2017, pagg. 10-12. (21) G. Candiani, Vele, remi e cannoni: l’impiego congiunto di navi, galee e galeazze nella flotta veneziana, Venezia 2009, pag. 119. (22) P.G. Donini, Il mondo islamico, Bari 2003, pp. 106-111. (23) L. Piccinno, Economia marittima e operatività portuale, in Atti della Società ligure di storia patria, Nuova Serie, vol. XL (CXIV) Fasc. I, Genova 2000, pp. 54-58. (24) E. Grendi, Traffico e navi nel porto di Genova fra 1500 e 1700, in La Repubblica Aristocratica, p.348. (25) A. Martelli, La disfatta dell’Invincibile Armada, Il Mulino, Bologna, 2008. (26) A. Carreño, E. Sanchez, S. Gomez, E. Martinez, L. Lloret, Salvaguardando las areas marinas protegidas del Mediterraneo en la creciente economia azul, 2019, p. 30. (27) A. Montanino, S. Camerano, R. Giuzio, L. Recagno, C. Valdes: Suez e le rotte alternative: il futuro dell’Italia nel commercio marittimo, per Cassa Depositi e Prestiti, 2021.
