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Gioie e dolori del siluro: dalle origini alla crisi dei primi anni della Seconda guerra mondiale - 1a Parte
Ricostruzione del NAUTILUS (1799) di Robert Fulton a Citè de
la Mer (wikipedia.org).
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In ambito anglosassone, ma non solo, è ancora in uso la parola torpedo per indicare l’arma subacquea che nel nostro paese conosciamo col nome di siluro. Questo termine richiama alla memoria un tipo di arma precedente, la torpedine, che nel tempo diventò la mina navale. La denominazione «torpedine» deriva dall’omonimo ordine delle razze elettriche (Torpediniformes) che presero il nome dal latino «torpere», che si riferiva a qualcosa di poco mobile (la parola torpore ha la stessa radice) ma che, stranamente poteva stupire. Di fatto questo pesce, grazie a un particolare organo definito organo elettrogeno, è in grado di produrre un campo elettrico la cui scarica può variare da 50 a 220 volt a seconda della specie, stordendo le sue prede.
In ambito navale, il termine fu usato per la prima volta dall’americano Robert Fulton, che così battezzò un tipo di carica di polvere da sparo rimorchiata e dotata di acciarini a contatto per far esplodere le cariche e affondare le navi da guerra avversarie. Nonostante non fosse un militare e tanto meno un analista di pro-
Keg Mine (Torpedine Confederata, «Infernal Machine») recuperata durante la Guerra Civile statunitense nella Mobile Bay. Il suo design ricalca i Bushnell’s keg ideati contro gli inglesi. Museo della guerra civile del Texas, Forth Worth (photo credit Jim Schmidt).
blemi strategici, aveva una concezione molto moderna del Potere Marittimo che sintetizzava con «la liberté de la mer fera le bonheur de le terre ». Egli aveva compreso che il dominio sul traffico marittimo avrebbe permesso di indebolire lo strapotere inglese sui mari ma per farlo doveva contrastarne la predominanza. Si rendeva quindi necessario sviluppare una nuova arma, insidiosa e rivoluzionaria, per cambiare il corso degli eventi in mare. Fulton intravide nelle armi subacquee il mezzo per raggiungere i suoi scopi e, memore dell’esperimento di Bushnell con l’american turtle, realizzò un battello subacqueo che fu denominato Nautilus. Per poter fornire un’adeguata letalità alla sua invenzione, Fulton giunse alla conclusione che l’arma migliore per questo tipo di battello era lo sviluppo di un’altra invenzione di Bushnell, il Bushnell’s keg, un barilotto esplosivo, ideato nel 1777 per colpire le navi inglesi alla fonda. Il loro sistema di attivazione era basato sulla semplice pressione di una leva che, agendo su un sistema a molla, causava la percussione del dispositivo di accensione delle polveri.
Vedremo come negli anni a venire il termine torpedine divenne sinonimo sia di mina subacquea che di siluro, distinguendosi poi nel tempo con lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate. Queste armi subacquee statiche furono sviluppate durante la guerra civile americana da Matthew F. Maury, un eclettico scienziato, astronomo e geografo di fama internazionale che ideò, nel 1861, il primo sistema elettrico per comandare a distanza delle torpedini navali ancorate al fondo. Un sistema che consentì al capitano Beverly Kennon di effettuare il minamento del fiume Potomac e di creare la prima difesa sistematica costiera lungo il Mississippi. I keg furono impiegati anche in seguito nella guerra civile guadagnandosi il soprannome di Infernal Machine. Nel 1886, la UK Royal Navy realizzò il primo sistema meccanico per regolare a priori la quota delle casse delle torpedini. Fino ad allora, esse venivano posate con una lunghezza del cavo di ormeggio, ovvero tra la cassa e l’ancora di ormeggio, uguale a quella ritenuta necessaria a seconda del tipo di fondo. In pratica, prima di allora era necessario avere una conoscenza accurata del fondo marino per evitare di posare le mine navali a profondità maggiori di quelle desiderate, per cui non sarebbero state utilizzabili. Questi ordigni erano di fatto statici o dovevano essere trasportati contro il bersaglio nemico all’estremità di lunghi pali prodieri,
Disegno del CSS Hunley, notare l’asta con in testa la carica esplosiva usata per affondare l’USS HOUSATONIC (da Popular Science Monthly, Volume 58).
Disegno del C.S.S. David, Confederate Torpedo Boat. Di prora la spar torpedo.
in modo da portare le cariche a contatto con lo scafo avversario. Queste cariche avrebbero dovuto poi esplodere al momento dell’urto. Si trattava comunque sempre di armi non autopropulse. In particolare, durante la guerra civile statunitense l’episodio più famoso fu l’attacco effettuato con queste armi da parte del submersible HL Hunley, che riuscì ad affondare il 17 febbraio 1864 uno sloop of war, dell’Unione, l’USS Housatonic.
Il termine «siluro», riferito alla forma di pesci appartenenti ai Siluriformes e derivato dal nome greco σίλουρος (pesci gatto) fu coniato dall’ammiraglio Simone Pacoret de Saint-Bon per queste armi subacquee autopropulse. Figura visionaria della Regia Marina italiana (a lui si devono l’introduzione delle navi classe «Caio Duilio», progettate da Benedetto Brin), intrepido comandante della Formidabile durante la battaglia di Lissa, ricoprì molte cariche istituzionali fino ad assumere la carica di capo di Stato Maggiore della Marina. Tra le tante sue iniziative, il riordinò delle scuole navali, la modernizzazione dell’istruzione tecnica e della flotta. Nel campo delle armi subacquee ordinò studi sulle torpedini statiche e sui siluri, e la nascita della specialità Torpedinieri.
La nascita del siluro
L’idea di portare cariche contro le unità nemiche portò in seguito all’idea di sviluppare delle torpedini autopropulse che in seguito vennero chiamate in Italia siluri. La prima arma subacquea che si avvicinò al
Lancio di prova del siluro salva costa di Luppis.
siluro moderno fu ideata dal capitano di fregata Giovanni Biagio Luppis, un ufficiale della Marina austroungarica, nato a Fiume nel 1813, che ideò il salva costa, un barilotto semovente e galleggiante da impiegarsi per la difesa costiera. Il mezzo veniva mosso da un meccanismo a orologeria e conteneva una carica di esplosivo tale da portar e danno a unità nemiche. L’ordigno, lungo circa un metro, disponeva di due timoni, di una vela in materiale vitreo e di una carica esplosiva, che sarebbe stata azionata solo al momento dell’impatto. Nonostante l’idea fosse innovativa, si dimostrò poco affidabile e sia il primo prototipo che il secondo (che se ne discostava poco), tra l’altro presentato ufficialmente nel 1860 all’imperatore Francesco Giuseppe nel porto di Fiume, non suscitarono molto interesse. Il caso volle però che Luppis conobbe un geniale ingegnere e imprenditore britannico, Robert Whitehead, che aveva lavorato nei cantieri di Marsiglia e di Trieste ed era all’epoca direttore dello Stabilimento tecnico fiumano. Nel 1864, dalla loro collaborazione, nacque un accordo che si rivelò proficuo per entrambi.
In pratica, Whitehead modificò l’idea di Luppis realizzando, nel 1866, il primo siluro vero e proprio, un cilindro affusolato lungo tre metri e mezzo con quattro lunghe pinne che si estendevano quasi per tutta la lunghezza del corpo, del diametro di 356 millimetri, con una carica esplosiva di fulmicotone di poco superiore ai 15 chili. Il siluro era propulso da un motore, generalmente descritto come un bicilindrico a V, basato su due cilindri eccentrici ad aria compressa immagazzinata a 370 psi in un serbatoio da 30 atmosfere, la cui pressione provocava la rotazione diretta del cilindro esterno (circa 100 giri/min) che era accoppiato all’unica elica che gli permetteva di navigare a una velocità di circa sei nodi e mezzo nelle prime 200 iarde per poi ridurre gradualmente nelle ultime 100. Gli esperimenti della nuova arma subacquea, chiamata in origine minenschiff, furono effettuati dalla cannoniera austriaca Gemse, attrezzata con un tubo di lancio, ideato dallo stesso Whitehead, che era stato collocato a prora. Nacque così il primo siluro, come lo concepiamo oggi, che venne presentato ufficialmente alla Commissione navale imperiale il 21 dicembre 1866. L’arma, sebbene avesse ancora problemi di stabilità, fu
comunque considerata rivoluzionaria in quanto poteva colpire in maniera autonoma unità navali a più di … 900 metri. In breve tempo, i siluri di Whitehead furono in grado di viaggiare a 18 nodi (1876), 24 nodi (1886) e infine a 30 nodi (1890). Il siluro più grande era lungo 5,8 metri, del diametro di 457 mm, in acciaio lucidato o bronzo, e possedeva una testata di 90 chilogrammi di fulmicotone. L’aria compressa, contenuta in un serbatoio a circa 90 atmosfere, muoveva le due eliche attraverso un motore Brotherhood a tre cilindri.
Nell’autunno del 1869 i rappresentanti della UK Royal Navy visitarono Fiume e riferirono favorevolmente sulle armi in prova. Le prove successive effettuate nel Regno Unito portarono alla commessa di un lotto di siluri Whitehead che furono ricevuti nel 1870. Nel 1871 l’Ammiragliato acquistò i diritti di produzione per sole £ 15.000 e l’anno successivo iniziò la produzione presso i Royal Laboratories, Woolwich. L’esempio della Royal Navy fu presto seguito da francesi, tedeschi e cinesi e Whitehead esportò i suoi siluri in tutto il mondo, ricevendo numerose richieste di miglioramento delle prestazioni sia tecniche che operative. I Tedeschi richiesero una velocità di 16 nodi con una portata di almeno 550 iarde, richiesta che portò alla sostituzione del motore bicilindrico Vee con un motore a tre cilindri, costruito da Peter Brother-hood, Ltd., di Peterborough. Nel 1872 Whitehead acquistò l’azienda e la ribattezzò Silurificio Whitehead. Con l’introduzione del nuovo motore, che migliorò le caratteristiche propulsive, e delle eliche controrotanti per stabilizzarne in parte il moto, non furono
poi apportati miglioramenti significativi fino all’introduzione del giroscopio per la guida azimutale nel 1895. Ma non era solo. I tedeschi, oltre a ordinare i siluri Whitehead, nel 1873, iniziarono a costruirne di propri con la ditta di L. Schwartzkopf, poi Berliner Maschinenbau A.G., che iniziò a produrre ottimi siluri in bronzo fosforoso, una lega ad Gli esperimenti della nuova arma subacquea, chiamata in origine minenschiff, furono effettuati dalla cannoniera austriaca GEMSE, attrezzata con un tubo di lancio, ideato dallo stesso Whitehead, che era stato collocato a prora (stampa del Gemse, 1861). alto contenuto di stagno e fosforo con alti valori di resistenza di carico, e un’elevata elasticità e resistenza. L’azienda iniziò presto a esportare armi in Russia, Giappone e Spagna. Nel 1885 la Gran Bretagna ordinò 50 di queste armi dalla Schwartzkopf perché la produzione in patria e a Fiume non poteva soddisfare la domanda. Oltre alle armi standard, furono prodotti molti tipi di siluro conformi alle specifiche delle diverse marine straniere. Per esempio nello stabilimento di Fiume, solo nel 1884, furono prodotti non meno di 17 diversi tipi di armi. La tabella seguente mostra i paesi in cui erano state esportate armi fino al 1881.
Storicamente la prima vittima di un siluro fu il vapore turco Intibah che, il 16 gennaio 1877 fu affondato con dei siluri, lanciati dalla nave Velikiy Knyaz Konstantin, al comando di Stepan Osipovich Makarov durante la guerra russo-turca. L’impiego di questa nuova arma si prospettò di un certo interesse per equipaggiare anche i primi battelli subacquei, riprendendo di fatto il concetto del Nautilus di Fulton. Nell’aspetto esteriore i siluri erano molto simili, sia nella forma che nelle prestazioni, costruiti con sezioni di coda e testa standard ma con quelle centrali diverse in relazione alle diverse esigenze. La forma originale, molto appuntita, era ritenuta più funzionale ma di fatto limitava il trasporto di testate più grandi. Nel 1883 un comitato, istituito per esaminare gli aspetti progettuali dei siluri, condusse delle prove tecniche per verificare se la forma del muso avesse qualche effetto sulla velocità dell’arma. Grazie
a uno studio di un ingegnere idrodinamico, William Froude, emerse che una testa smussata non mostrava svantaggi eccessivi nelle prestazioni di velocità. Fu così che la forma della testa assunse le caratteristiche odierne. Il primo mezzo subacqueo a lanciare dei siluri fu l’Abdül Hamid, un battello subacqueo ottoL’ABDÜL HAMID, il battello subacqueo ottomano che, nel 1888, affondò con successo una vec- mano che, nel 1888, affondò con chia nave bersaglio con un solo siluro (web). successo una vecchia nave bersaglio con un solo siluro. La sua storia è curiosa. Progettato dall’ingegnere svedese Nordenfelt, nel 1885, il battello a vapore aveva un’autonomia di 15 miglia a 4 nodi. Il prototipo, sebbene non fosse privo di difetti, venne acquistato dalla Grecia. La Turchia acquistò altre due unità Abdül Hamid e l’Abdül Mecid, che, a parte il lancio di un siluro contro un bersaglio statico, restarono inutilizzate per difficoltà di esercizio. Nel 1914, i due sommergibili furono ritrovati dai tedeschi pressoché intatte. Per completezza cito un siluro, decisamente innovativo per l’epoca, ideato da John Louis Lay (1) che non ebbe il successo e l’interesse che forse si meritava. Arruolatosi nella USN nel 1861, Lay si dedicò da subito allo sviluppo delle torpedini, conducendo studi al Philadelphia Navy Yard. Nel 1865, insieme all’ingegnere Wood, ottennero quattro brevetti relativi a un nuovo tipo di arma (US Letters Patent No’s 46.850-46.853, del 14 marzo 1865). Lay si congedò dalla Marina statunitense nel 1865 e lavorò per il Governo peruviano per le difese del porto di Callao. Al suo ritorno, nel 1867, perfezionò il «Lay Moveable Torpedo Submarine», un siluro simile a quello di Whitehead, disponibile in due lunghezze, ovvero 16 e 23 piedi, di sezione cilindrica con estremità coniche che contenevano cariche da 100 o 200 libbre di esplosivo. Questi strani siluri erano dotati di un’elica, o due eliche controrotanti o due eliche alimentate da un motore da 9 HP azionato ad anidride carbonica compressa o ammoniaca. Un siluro Lay da 23 piedi raggiunse in prova la velocità di 9 nodi. La caratteristica più importante del design era il fatto che, a differenza del siluro Whitehead, poteva essere controllato da una nave o da un operatore Siluro whitehead ottoman, Abdul-Hamid II Collection (Library of Congress). a terra tramite un cavo elettrico multipolare collegato al
siluro. Un’idea decisamente innovativa per quei tempi. A seguito di dimostrazioni tenutesi sia negli Stati Uniti che in Europa, il Governo russo ne acquistò i diritti di produzione in Russia e dopo aver importato impianti, macchinari e manodopera qualificata dall’America, produsse almeno dieci grandi siluri. Il siluro Lay, sebbene meccanicamente avanzato non ebbe molto successo, essendo di fatto molto costoso (il suo costo nel 1878 era di 15.000 dollari) e poco … prestante e si preferì sviluppare i siluri ideati da Whitehead.
Un’arma rivoluzionaria ma con tanti problemi
In linea con la dottrina di Alfred Thayer Mahan, l’obiettivo strategico era l’affondamento delle unità militari avversarie per acquisire il dominio del mare; notate bene che l’affondamento del naviglio mercantile era ancora proibito dalle regole di guerra per cui lo scontro sarebbe stato solo tra unità da guerra. Il targeting era quindi un fattore fondamentale che implicava necessariamente il riconoscimento del nemico, un avvicinamento quanto più occulto possibile e il lancio del siluro. Di fatto, all’inizio del secolo scorso l’attacco del
sommergibile non era considerato molto cavalleresco, per cui molti comandanti preferivano emergere e sparare con il cannone contro le navi. Forse dietro tutto c’era una certa mancanza di fiducia verso quei siluri che spesso mancavano il bersaglio o non scoppiavano. Inoltre, cosa non trascurabile, c’era il rischio di perLay torpedo presso la Newport Torpedo Station, Rhode Island, USA, primi anni 1870. dere l’assetto del battello dopo il lancio, un’ipotesi poi non così remota che poteva far emergere il battello ed esporlo al fuoco nemico. Tra i tanti problemi che assillavano i progettatori del tempo c’era il mantenimento della quota del siluro a una profondità costante, facendogli nel contempo mantenere la giusta direzione fino al momento dell’esplosione contro lo scafo nemico. Nella trattazione che seguirà non parlerò dei siluri navali e di quelli impiegati dagli aerei, che ebbero anch’essi non pochi problemi, ma di quelli lanciati dai sommergibili. La difficoltà di reperire informazioni ha richiesto una ricerca complessa delle valutazioni tecnico e operative di queste armi nel periodo degli anni 30-40 del secolo scorso. Queste sono relativamente disponibili in ambiente anglosassone ma molto meno in campo nazionale, dove spesso si ritrovano apprezzamenti di difficile valutazione, che a volte sembrano voler quasi nascondere tristi realtà nazionali, paradossalmente non tanto dissimili da quelle degli alleati e degli allora avversari. In questo articolo parlerò dei problemi legati ai siluri tedeschi e americani, che non furono poi tanto dissimili fra loro, in particolare per la genesi dei problemi. segue nel prossimo numero
NOTE
(1) Gray, Edwyn, Nineteenth Century Torpedoes and Their Inventors, Naval Institute Press, Annapolis, Maryland, 2004.
BIBBLIOGRAFIA
Edwyn Gray, Nineteenth Century Torpedoes and Their Inventors, Naval Institute Press, Annapolis, Maryland, (2004). Karl Doenitz, Memoirs: Ten Years And Twenty Days Paperback, March 22, (1997). David Wright, Habersham, Wolves Without Teeth: The German Torpedo Crisis in World War Two (2010), Electronic Theses and Dissertations. Caly Blair, Hitler’s U-Boat War: The Hunters 1939-1942. New York: Random House, (1996). Stephen Roskill, The War at Sea 1939�1945, Vol. II (Uckfield, East Sussex, United Kingdom, Naval & Military Press, (1956). Buford Rowland, William B.Boyd, U.S. NAVY Bureau of Ordnance in World War II, Chapter VI, the Library of the University of California, (1953). OP 635 (1st Rev)-TORPEDOES MK 14 AND 23 TYPES manual. Winston S. Churchill, The Second World War, Vol Two: Their Finest Hour (Boston: Houghton Mifflin, (1985). Morison, Samuel, History of United States Naval Operations in World War II, Vol 10, The Atlantic Battle Won, May 1943-May 1945. Champaign, IL: University of Illinois Press. ISBN 978-0252070617, (2002). Gian Carlo Poddighe, Sistemi di protezione subacquea nella Seconda guerra mondiale. Precedenti, scelte, tecnologie, aspetti costruttivi, (2018). Giorgio Miovich, Sistemi d’arma delle forze A/S e subacquee con elementi di acustica subacquea, edizioni Accademia navale Livorno, (1978). Erminio Bagnasco, Maurizio Brescia, Sommergibili italiani 1940-1943 parte I Mediterraneo, Dossier Storia Militare, (2013).