RIVISTA MARITTIMA
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868 PROPRIETARIO
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C.A. (aus) Gianluca BUCCILLI, Prof. Avv. Simone BUDELLI, A.S. (ris) Roberto CAMERINI, C.A. (ris) Francesco CHIAPPETTA, C.A. (ris) Michele COSENTINO, C.V. (ris) Sergio MURA, Prof.ssa Fiammetta SALMONI, Prof.ssa Margherita SCOGNAMIGLIO, Prof. Tommaso VALENTINI, Prof. Avv. Alessandro ZAMPONE
Gli articoli sono soggetti a Peer Review Double Blind
IN COPERTINA: Nave ALLIANCE supera gli 80 gradi di latitudine nord e continua la sua attività di ricerca scientifica con la campagna «High North 22» esplorando le zone più remote del pianeta.
LUGLIO-AGOSTO 2022 - anno CLIV
HANNO COLLABORATO:
Professor Emanuele Guarna Assanti Dottor Raffaele Ventura
Ammiraglio ispettore (aus) Aurelio Caligiore Dottoressa Giuseppina Corrente
Capitano di fregata Gino Lanzara Dottor Daniele Antonio Tunno
Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino
Capitano di vascello Daniele Panebianco Dottor Rodolfo Bastianelli
Professor Marco Gemignani Ambasciatore Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici Dottoressa Alice Dell’Era
Dottor Luca Peruzzi
Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Dottoressa Sarah Ibrahimi Zijno Avvocato Rita Silvaggio
Rivista Marittima Luglio-Agosto 2022
E ditoriale
«Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata, oltre che dalla corsa agli armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiusti zie tuttora esistenti nei popoli e tra le Nazioni, anche dalla man canza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita. Tale situazione genera un senso di pre carietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoi smo collettivo, di accaparramento e di prevaricazione [...]», sono parole di S. Giovanni Paolo II, pronunciate il 1 gennaio 1990 nel Suo messaggio inaugurale, in occasione della XXIII giornata mondiale della pace. Parole che a più di trent’anni di distanza conservano una sorprendente attua lità. La «sofferenza» della Terra è sempre più avvertita, i guasti dell’ecosistema sono evidenti mentre le cause sono tutt’ora oggetto di discussione. Non è questa la sede per dar torto agli uni o agli altri, quel che è certo è lo sfrut tamento disordinato e spesso incontrollato delle risorse non solo terrestri ma anche marine. Le necessità energe tiche dell’umanità sono inevitabili e in perenne crescita mentre il progresso tecnologico e scientifico finora non è riuscito a placare «in modo pulito» la profonda sete di energia del mondo industrializzato. Viviamo ancora nell’era del carbone (1) e molti attribuiscono principal mente a questo combustibile fossile l’attuale inquina mento che sarebbe tra i fondamenti dell’odierno disagio climatico. Di fatto, la questione energetica richiama il massiccio impiego di combustibili fossili (2) e l’aumento dell’effetto serra a esso connesso. Secondo l’European Environment Agency (EEA) (3), l’anidride carbonica (CO2) rappresenta la componente maggiore di gas serra (4) rilasciata nell’atmosfera. In dettaglio, l’emissione di gas serra in Unione europea suddivisa per inquinante è do vuta per l’80% dall’anidride carbonica; 11% dal metano; 6% dal monossido di diazoto (N2O) e per il 2% da idrofluo rocarburi. La principale fonte di anidride carbonica è ascri vibile alla produzione di energia elettrica ottenuta dalla combustione di carbone (centrali a carbone) e secondariamente dalle centrali a gas naturale e metano oltre che da tutti i mezzi di trasporto a combustione interna. Il surplus di anidride carbo nica allo stato gassoso surriscalda l’atmosfera poiché i fotoni pro venienti dal sole vengono assorbiti dalla CO2 e l’energia viene riemessa nell’infrarosso, generando calore. Per questo tali emissioni vengono definite come «gas serra» ed «effetto serra»; l’effetto surri
scaldante associato, con innalzamento progressivo delle temperature terrestri, crea una diminuzione delle calotte po lari e scioglimento dei ghiacciai continentali. Una delle chiavi per il contenimento dei gas serra è la transizione energetica, ovvero il passaggio da sorgenti energetiche ba sate sull’uso di fonti non rinnovabili come carbone, petrolio e gas a un più efficiente e meno inquinante mix di fonti rin novabili (solare; eolica; geotermica; idroelettrica; marina; biomassa). Al riguardo non possiamo non evidenziare come la Commissione europea, il 1 gennaio 2022, nei riguardi dell’energia nucleare si sia così espressa: «Prendendo in considerazione i consigli della comunità scientifica e l’at tuale progresso tecnologico, così come le sfide legate alla transizione tra i paesi membri, la Commissione europea ri tiene che vi sia un ruolo per il gas naturale e il nucleare come mezzi per facilitare la transizione verso un futuro guidato dalle risorse rinnovabili» (5). Comunque, per intenderci, senza l’effetto serra l’umanità non sarebbe mai esistita. Esso è un fenomeno naturale essenziale per la presenza e lo sviluppo della vita sulla Terra, al con trario, l’aumento dell’effetto serra causato dall’intervento dell’uomo, altera il normale equilibrio termico del pianeta e ciò ha portato nel corso dei decenni a mutamenti importanti dal punto di vista ambientale. In Italia, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dedica ampio spazio alla transizione ecologica (pur nella considerazione del forte impatto economico sulla società) e alla regolazione del cambiamento climatico, contribuendo, come stabilito dall’European Green Deal a rendere l’Europa, il primo continente a impatto climatico zero entro l’obiettivo auspicato del 2050 (neutralità climatica). L’Italia, come riportato nel citato PNRR: «È particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’aumento delle ondate di calore e delle siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali rischiano di subire gli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense». La Terra è la nostra casa comune e mentre ciascuno deve sentirsi membro attivamente partecipe, gli Stati devono perseguire politiche che garantiscano ai propri cittadini un ambiente ecologicamente sano e sicuro anche attraverso un’educa zione mirata alla responsabilità ecologica.
Tornando alla specificità del «Pianeta blu», sappiamo che il genere umano, sulla Terra, dipende diretta mente o indirettamente dall’oceano e dalla criosfera (6). Gli oceani e i mari coprono il 71% del superficie terrestre e contengono circa il 97% dell’acqua del Pianeta, supportando una vasta varietà di habitat naturali intrinsecamente interconnessi con il sistema climatico del nostro pianeta attraverso lo scambio di acqua, energia ed elementi chimici come il carbonio. Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’oceano e sulla criosfera producono cambiamenti dagli effetti incontrollabili. La Marina Militare è da molti anni attenta ai cambiamenti climatici e allo studio dei fenomeni correlati, interessanti il proprio dominio di elezione: il mare. Questa attenzione si traduce in molteplici attività sia a livello culturale sia a livello operativo. Nel primo caso possiamo citare a titolo di esempio il convegno svoltosi presso la Biblioteca dell’Istituto di Studi Militari Marittimi, il 29 e il 31 maggio dello scorso anno, che ha approfondito i temi legati alla protezione del mare e delle sue risorse. «Oceani Sunt Servandi - Proteggere il mare e le sue risorse» è il titolo assegnato dagli organizzatori a questo importante seminario, che ha visto la partecipazione del ministro della Tran sizione Ecologica, Professor Roberto Cingolani, del sindaco di Venezia Dottor Luigi Brugnaro e dell’allora Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone (attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa). Il convegno (7), rivolto principalmente ai giovani ufficiali frequen tatori dell’Istituto di Studi militari marittimi di Venezia, è stato voluto dal Comando scuole della Marina Militare, allora sotto la guida dell’Ammiraglio di squadra Enrico Credendino, attuale Capo di Stato Mag
Rivista Marittimagiore della Marina. Hanno partecipato, in qualità di rela tori, eminenti figure del mondo della scienza, ma anche dell’economia e dell’industria. Come ha rimarcato nell’in tervento conclusivo l’allora Comandante delle scuole della Marina, lo scopo è di sottolineare la necessità di far crescere nel paese la cultura marittima. In particolare: curiosità, cre scita culturale, consapevolezza marittima e necessità di esportare tale consapevolezza sono stati i concetti di sintesi rivolti ai giovani ufficiali. La Marina Militare esalta da sem pre il connubio tra tecnologia d’avanguardia e rispetto dell’ambiente che è destinato a concretizzarsi sempre più in una maggiore responsabilità ecologica. Si tratta di un dia logo aperto a tutti e per il bene di tutti, parte degli innume revoli compiti della Marina Italiana nell’ambito del lungo e profondo solco di una tradizione che fonda le sue basi su un’etica consapevole. Ci sia concesso a questo punto di fare, da marinai, un discorso pratico, immediato e tangibile. Proprio mentre sono in corso di stesura queste pa gine, nave Alliance (8) (equipaggiata dalla Marina Militare) sta navigando nelle fredde e insidiose acque oltre il Circolo Polare Artico, nel corso della nuova campagna navale denominata HIGH NORTH 22, tra i mari di Norvegia e Groenlandia. Si tratta di una missione scientifica la cui portata economica e politica, protratta da oltre un lustro, appare intuibile, basti pensare che l’area artica rappresenta un nodo cruciale per l’economia globale e la geopolitica, con ricadute importanti anche per il nostro paese. In particolare, quest’anno, oltre a consolidare i risultati scientifici sinora ottenuti, saranno impiegati sensori di ultima ge nerazione in un’area compresa tra lo Stretto di Fram (isole Svalbard — Norvegia e la Groenlandia), le stesse Isole Svalbard e lo Yermak Plateau (Nord Ovest isole Svalbard). Sarà realizzata una mappatura di aree inesplorate e saranno definite le dinamiche della circolazione marina e della distribuzione dei ghiacci. Tutto ciò per sottolineare come la Marina Militare sia continuamente impegnata nella sostenibilità ambien tale e nella diffusione della cultura marittima. Siamo sempre più coscienti di dover operare dal mare, sul mare, sotto gli oceani, nei cieli e oggi anche rivolgendoci allo spazio, secondo un’etica morale del massimo rispetto dell’ambiente e delle risorse: a difesa dell’Italia, del suo popolo e dei legittimi interessi nazionali.
NOTE
(1) Centrali a carbone operative: Cina 1069; India 294; USA 280; Russia 85; Giappone 82; Indonesia 75; Germania 74; Polonia 50; Italia 1 (fonte: Global Coal Plant Tracker, gennaio 2020).
(2) I combustibili fossili sono fonti energetiche che si sono formate in seguito alla decomposizione anaerobica (che avviene in assenza di ossigeno) di materia vivente che contiene energia come risultato di un processo antico di fotosintesi. Si possono trovare sotto forma di petrolio, carbone, gas naturale e altri com bustibili composti da idrocarburi.
(3) https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica. Accesso in data 15.07.2022.
(4) Si definiscono «gas serra» i gas nell’atmosfera che incidono sul bilancio energetico della terra. Questi gas generano il cosiddetto effetto serra. I principali gas serra, ovvero biossido di carbonio (CO2), metano e protossido di azoto, sono presenti per natura nell’atmosfera in concentrazioni limitate. Le fonti antropiche ne hanno tuttavia aumentato significativamente la presenza dall’inizio dell’ultimo secolo. (5) https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_2.
(6) La criosfera (dal greco kryos = ghiaccio, freddo) è la porzione variabile di superficie terrestre coperta o intrisa di acqua allo stato solido e che comprende: le coperture ghiacciate di mari, laghi e fiumi, le coperture nevose, i ghiacciai, le calotte polari e il suolo ghiacciato in modo temporaneo o perenne (permafrost). La criosfera è una parte integrante del sistema climatico globale. (Fonte Wikipedia.org).
(7) Convegno in streaming al seguente indirizzo: https://www.marina.difesa.it/media-cultura/Notiziario-online/Pagine/2021518_evento_oceani_sunt_servanti.aspx. (8) Nave Alliance (distintivo ottico A5345 - nominativo internazionale IALL) è un’unità polivalente di ricerca (NATO Research Vessel - NRV), svolge principalmente attività condotte dal
(Centre for Maritime Research and Experimentation - CMRE), per conto dell’Organizzazione
- STO) della NATO. Dal marzo 2016
con personale della Marina Militare grazie
marzo 2016, nave Alliance ha dipendenza organica, per il tramite del Comando Squadriglia
CMRE. Dal
(COMSQUAIDRO) e
Comando delle Forze di Contromisure Mine (MARICODRAG), dal Comando in Capo della Squadra navale (CINCNAV).
DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista MarittimaIn ricordo del Professor Mariano Gabriele
«O Capitano! Mio Capitano…»
È un anno triste per la Rivista Marittima, per la storia navale e per il miglior pensiero italiano consacrato al Potere Marittimo. Dopo le perdite ricordate nei mesi precedenti si è spento, il 7 agosto scorso, il Professor Ma riano Gabriele; Direttore generale presso il ministero del Bilancio e della Programmazione economica dal 1967 al 1995, libero docente di storia del Risorgimento e poi professore titolare. Ha insegnato storia e politica navale presso l’Istituto universitario navale di Napoli (1960-69), storia e politica navale e storia contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma (1960-85), nonché storia moderna presso l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti (1968-70). È stato per lunghi anni Consulente per la storia dello Stato Maggiore della Marina e della Commissione italiana di Storia militare, ha collaborato con gli Uffici storici dell’Esercito e della Marina. Il Professor Gabriele, membro del Comitato Scientifico, della Rivista Marittima era molto legato a questa testata con cui ha collaborato per più di sessant’anni. Il suo primo articolo risale al 1958: «La politica navale dei fenici» (Rivista Marittima luglio 1958) e ricordo, nel corso di una delle tante belle telefonate intercorse, quanto gli fosse rimasto impresso nella memoria quel Suo primo pezzo apparso sulla Rivista. Era un vero piacere con versare con il Professor Gabriele, del quale ho avuto modo di apprezzare e riconoscere, oltre alla brillante caratura di storico, un inconfondibile tratto di eleganza e signorilità. Egli è già stato giustamente commemorato, a partire dalla Società Italiana di Storia militare, di cui era Presi dente onorario, e nel ricordo di tanti studiosi, accademici, diplo matici e appassionati di storia.
In questa sede è doveroso ricordare brevemente ai lettori — in primis i più giovani — l’ampiezza della sua collaborazione con la Rivista Marittima e con l’Ufficio Storico della Marina Militare, di cui era membro decano del Comitato Consultivo (COMISTORIA). Tra i tanti articoli del Professor Gabriele possiamo ricordare, a titolo di esempio, «Leggi navali e sviluppo della Marina», Rivista Marit tima, luglio e agosto/settembre 1981: un dettagliato studio scritto sull’onda della Legge Navale del 1975 che ne confermava la validità operativa ed economica per il paese. Notevoli, e tra loro consequen ziali anche se apparsi in momenti diversi, furono pure: «Mediterraneo 1935-36», Rivista Marittima, maggio 1986; «1939 vigilia di guerra nel Mediterraneo», Rivista Marittima, luglio 1984; «L’Italia nel Me diterraneo tra Tedeschi e Alleati», Rivista Marittima, dicembre 1984; «L’offensiva fantasma», Rivista Marittima, giugno 1996. Si tratta di
di Daniele Sapienza - Capitano di vascello, Direttore “Rivista Marittima”lunghi e ben documentati saggi relativi al vero percorso, sinusoidale, della politica italiana ed europea di quegli anni e che si ricollegano, da un lato, alle ricerche di Giuliano Colliva, collaboratore per alcuni anni — in qualità di assistente — del Professor Gabriele, e che confermano, dall’altro, la sua capacità di andare oltre e, magari, contro qualsiasi vulgata. Grazie a ricerche fiorite in Francia nel pieno fulgore della grande stagione culturale mitterandiana ispirata alla lezione di apertura di Raymond Aron e considerando la Nouvelle histoire sostenuta dalla École des Annales, sono ancora oggi esemplari: «Frammenti di politica navale francese», Rivista Marittima, ottobre 1999; «I piani della Marina francese contro l’Italia nel 1939», Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, settembre 1988; «L’Operazione Vado», Rivista Marittima, novembre 1988. La scoperta delle cosiddette Carte Alicicco, ovvero l’aggiornato dossier anti-tedesco che Mussolini aveva raccolto fino al 25 luglio in vista della rottura dell’alleanza con la Germania e che erano state custodite, dopo il 9 settembre 1943, fino al ritorno del Principe Umberto a Roma nel 1944, furono attentamente analizzate dall’Autore mediante due lucidi articoli: «La Marina nelle carte Alicicco», Rivista Marittima, luglio 2003 e «Voci dalla Sicilia (lu glio-agosto 1943)», Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, giugno 2004. Possiamo anche menzionare il significativo «Sea Power anglosassone», Rivista Marittima, novembre 2016: un pezzo me diante il quale l’Autore traccia un lucido e analitico quadro del Potere Marittimo britannico che cede, inevita bilmente, il passo alla nuova potenza statunitense. Una sorta di summa del suo pensiero, ancora una volta caratterizzato da notizie non comunemente note e da acute considerazioni fu, per concludere con la monografia, «Il Potere Marittimo italiano, 1861-1915», pubblicato dall’USMM nel 2017. Infine, a titolo personale, non posso non ricordare i preziosi volumi pubblicati dal Professor Gabriele per conto dell’Ufficio Storico della Marina, ri guardanti i personaggi storici della nostra Forza armata: «Benedetto Brin», Roma, USMM, 1998; «Augusto Ri boty», Roma, USMM, 1999; «Ferdinando Acton», Roma, USMM, 2000; «Guglielmo Acton», Roma, USMM, 2000; «Simone Pacoret de Saint Bon», Roma, USMM, 2002; «Giovanni Bettòlo», Roma, USMM, 2004. Si tratta di libri che, se da un lato illuminano il percorso storico della Marina italiana, dall’altro lasciano trasparire il Suo profondo attaccamento e perché no, il suo amore per essa. È questo l’ultimo aspetto che si ritiene meritevole di specifica ricordanza in chiusura. Nel gennaio del 2018, a 91 anni, il Professor Gabriele scriveva per la Rivista Marittima un articolo dal titolo: «O Capitano! Mio Capitano…». L’articolo tratta dell’eroico sacrificio del Regio Cacciatorpediniere Espero e del suo comandante, Enrico Baroni, decorato alla memoria con la Medaglia d’oro al Valor Militare. Leggendo quel pezzo si avverte la profonda compenetrazione interiore dell’Autore, pur nel rigore di un preciso percorso storico, con le gesta del Comandante Baroni al quale rico nosceva la dedizione suprema all’onore e alla Patria. Al Comandante Baroni il Professor Gabriele dedica i primi versi della nota terza strofa dell’ode del poeta statunitense Walt Whitman: «O Captain! My Captain! Rise up and hear the bells/Rise up, for you the flag is flung, for you the bugle trills» - («O Capitano! Mio Capitano! Ri sorgi, odi le campane/Risorgi, per te è issata la bandiera, per te le trombe squillano»).
La Rivista Marittima vuole dedicare gli stessi versi al Profes sor Gabriele a testimonianza della propria vita spesa al servizio della Nazione, della cultura storica e della marittimità.
Sulla riforma costituzionale in tema di ambiente
1. La riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente.
La legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1, re cante «Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente», provvede a inserire nella Carta costituzionale, con quasi unanime condivi sione del consesso parlamentare (1), un espresso rife
rimento alla tutela dell’ambiente e degli animali, con un timido accenno all’ «interesse delle future genera zioni» (id est, il principio dello sviluppo sostenibile).
In particolare, integrando l’articolo 9 della Costitu zione, la legge introduce un terzo comma che inserisce, tra i principi fondamentali della Carta, dopo la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della
Docente di Diritto dell’ambiente e di Diritto delle società pubbliche, presso l’Università degli Studi di Roma Guglielmo Marconi. Dottore di ricerca in Diritto Pubblico, presso l’Università degli Studi di Firenze. Master di secondo livello in Diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi Roma Tre. Laurea in giurisprudenza, con lode, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Ha ricevuto il premio scientifico dipartimentale «Prof. Dante Cosi» (2021) per i suoi scritti in tema di diritto amministrativo e ambientale. Av vocato nel foro di Roma e consulente di amministrazioni pubbliche.
Emanuele Guarna AssantiNazione, la «tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future ge nerazioni», prevedendo altresì che «la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali» (in linea con l’art. 13 del Trattato sul funzionamento del l’Unione europea) (2).
Le modifiche riguardano anche l’articolo 41 della Costituzione, laddove ora si prevede espressamente che l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, (...)», e che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché
l’attività economica pubblica e privata possa essere in dirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
A fronte dell’attuale tendenza a collocare le proble matiche ambientali al centro del dibattito politico e giu ridico, e, in particolare, a fronte della ormai purtroppo inconfutabile crisi climatica (3), l’inserimento della tu tela dell’ambiente in Costituzione — obiettivo, peral tro, che si è sempre tentato di perseguire (4) — è apparso come non più rimandabile (5).
Al cospetto dell’inserimento di tale nuova Costitu zione «ambientale», caratterizzata dall’introduzione di formulazioni ridotte all’essenziale (e questo è sicura
mente uno dei lati positivi della riforma in commento), occorre interrogarsi sulla sua utilità e sul suo (possibile) impatto sull’ordinamento giuridico.
2. Ambiente e Costituzione nell’interpretazione tradizionale.
Il primo punto da sottolineare è che la tutela costi tuzionale dell’ambiente esiste da tempo e non v’è alcun dubbio sul fatto che la riforma costituzionale provi ad accogliere l’elaborazione, di stampo pretorio, sull’am biente inteso come «bene» o «valore trasversale» già preso in considerazione, secondo vari profili, dalla Co stituzione, come interpretata dalla Corte costituzionale.
L’ambiente viene, infatti, inteso nella sua accezione «lato» o «sistemica», come «ambiente in senso ampio», quale «valore» trasversale da salvaguardare e proteg gere, «anche» per le future generazioni (timido accenno al principio dello sviluppo sostenibile, che si è scelto dunque di non introdurre espressamente nella Carta), concetto che viene specificato nelle ulteriori nozioni di «ecosistemi», giustamente declinati al plurale, e «bio diversità», ovvero il novero delle diverse specie ani mali e vegetali.
È importante sottolineare che l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in tema di ambiente ha avuto luogo a prescindere da ogni riferimento costituzionale all’am biente stesso, e ben prima della introduzione della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» al l’art. 117, co. 2, (lett. S) Costituzione, a opera della Legge costituzionale n. 3/2001, con cui si è attribuita una com petenza legislativa esclusiva dello Stato in materia. Si trattò, al tempo, di una occasione persa per introdurre la tutela dell’ambiente, già dedotta per via giurisprudenziale (v. Cass. 5172/1979 e Corte cost. 210/1987 e 641/1987), tra i principi fondamentali della Costituzione (6).
La nozione giuridica di ambiente, infatti, già allora non costituiva più un bene o una serie di beni suscetti bili di tutela separata o disciplina settoriale (7) e, dun que, di un rigido riparto di competenze legislative (e amministrative), bensì un «valore primario e assoluto», trasversale, da salvaguardare tramite una vera e propria sinergia tra pubblici poteri (emblematica della impos sibilità di un rigido riparto di competenze legislative è, ad es., la ben nota e problematica attribuzione alla com
petenza concorrente delle regioni della materia «valo rizzazione dei beni culturali e ambientali» o quella re lativa al «governo del territorio»).
Si poté in tal modo affermare che «l’evoluzione le gislativa e la giurisprudenza costituzionale portano a escludere che possa identificarsi [in tema di ambiente] una materia in senso tecnico, qualificabile come tutela dell’ambiente, dal momento che non sembra configu rabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa in veste e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze» (Corte cost., n. 407 del 2002) (8).
Di qui, fu agevole per la Corte costituzionale de durre «una configurazione dell’ambiente come valore costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono es sere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono a esigenze meritevoli di disciplina uni forme sull’intero territorio nazionale» (sempre Corte cost., n. 407 del 2002) (9).
L’ambiente, infatti, costituisce un «bene immate
Sulla riforma costituzionale in tema di ambienteSulla riforma costituzionale in tema di ambiente
3. Iniziativa economica e ambiente.
Se la tutela dell’ambiente consiste nella mediazione tra esigenze economico-produttive e necessità di sal vaguardia delle sue componenti (12), la riforma costi tuzionale non poteva non incidere anche sull’art. 41, anzitutto prevedendo, al co. 2, che l’iniziativa econo mica privata, qualificata come libera, non può svolgersi in contrasto con il valore, preminente, dell’utilità so ciale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla li bertà, alla dignità umana e, da ultimo, anche «alla salute, all’ambiente»; nonché sul co. 3, prevedendo al tresì che la legge determina i programmi e i controlli opportuni affinché l’attività economica, pubblica e pri vata, possa essere indirizzata e coordinata, ora anche, «a fini sociali e ambientali».
La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sul tema del rapporto tra ambiente e iniziativa economica, diritti entrambi costituzionalmente tutelati.
riale», «oggetto di un interesse pubblico di valore co stituzionale primario e assoluto»: in altri termini, l’am biente va inteso come «sistema, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico e astratto» (Corte cost. n. 378 del 2007 e n. 126 del 2016).
E anche laddove l’ambiente viene a riguardare aspetti settoriali e anche diversi, quali ad es., la tutela del pae saggio, la Corte costituzionale non perde occasione per ricordare che si è di fronte a un «processo evolutivo di retto a riconoscere una nuova relazione tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda (...), essenziale ai fini dell’equilibrio ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una pluralità di in teressi e utilità collettive, anche di natura intergenerazio nale» (ex multis, Corte cost. n. 179 del 2019).
Ed è proprio secondo una visione «olistica» o «siste mica» o ancora «ecocentrica», secondo la più consoli data elaborazione pretoria e dottrinale (ambiente come principio, secondo altra definizione) (10), che il legisla tore sembra aver fatto propria la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione (11).
Nota è la vicenda relativa all’Ilva di Taranto (cfr. Corte cost. n. 85 del 2013, n. 182 del 2017 e n. 58 del 2018), dove si è posta come centrale la questione circa il bilanciamento tra diritti costituzionali egualmente tu telati: da un lato, l’iniziativa economica, dunque il di ritto al lavoro, e, dall’altro, la salute, il diritto a un ambiente salubre e a un ambiente di lavoro sicuro.
La Corte costituzionale ha affermato, sul punto, come non possa ritenersi, in linea teorica e astratta, pre cluso al legislatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva di quei settori ritenuti strategici per l’economia nazionale, precisando che il legislatore medesimo abbia però «finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività pro duttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti co stituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in am biente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.). Il sa crificio di tali fondamentali valori tutelati dalla Costituzione porta a ritenere che la normativa impu gnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», concludendo dunque che «rimuovere prontamente i fat
(greenme.it).tori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce condizione minima e indispensa bile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona».
La Corte ha infatti più volte stabilito che il bilancia mento tra diritti costituzionalmente tutelati deve essere condotto senza consentire una illimitata espansione di uno nei riguardi dell’altro, di modo che questo possa divenire «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente protette, giacché tutte, nel loro insieme, costituiscono espressione della dignità della persona: «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione re ciproca e non e ̀ possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» (cfr. Corte cost. n. 85 del 2013).
Da ciò deriva che la qualificazione di «primarietà» attribuita dalla giurisprudenza costituzionale all’am biente e alla salute non può implicare una rigida gerar chia tra diritti fondamentali; né tantomeno, l’aggettivo «fondamentale», attribuito al diritto alla salute dall’art. 32 Cost., potrebbe costituire indice rivelatore di un «ca rattere preminente» del diritto alla salute rispetto agli altri diritti della persona.
Il bilanciamento, dunque, occorre al fine di indivi duare un equilibrio tra diritti egualmente tutelati, che deve avvenire, secondo insegnamento costante, me diante l’utilizzo di criteri di proporzionalità e di ragio nevolezza, in modo tale da non consentire la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, ne ́ il sacrificio to tale di alcuni di essi, con l’obiettivo di garantire una tu
tela dinamica, sistemica e non frammentaria degli in teressi coinvolti (cfr. Corte cost. n. n. 264 del 2012, n. 85 del 2013 e n. 63 del 2016).
Dunque, anche senza un espresso riferimento al l’ambiente tra i limiti costituzionalmente riconosciuti alla iniziativa economica, la Corte costituzionale era già riuscita a individuarne portata e limiti. L’inseri mento dell’ambiente in Costituzione, dunque, non in ciderà sulle regole di giudizio già elaborate nell’ambito del giudizio di bilanciamento, che vede quale suo car dine il principio di proporzionalità.
L’interesse ambientale, anche in qualità di limite all’iniziativa economica, secondo consolidate posi zioni, non potrà mai costituire interesse «tiranno» (13).
4. La tutela dell’ambiente: una rincorsa ai principi. L’effetto conformativo dei principi e delle regole già contenuti nel Codice dell’ambiente.
Come visto, nel suo riferimento all’«ambiente», sia all’interno dei Principi fondamentali, sia all’interno delle disposizioni riguardanti i limiti alle attività pro duttive, la riforma costituzionale costituisce una paci fica recezione di quanto già candidamente ricavabile dall’interpretazione del testo fornita dalla Corte costi tuzionale (14) e dalla dottrina.
Occorre, del resto, notare come sia una caratteristica tipica del legislatore ambientale quella di prevedere sempre prima la disciplina di dettaglio e, successiva mente, quella di principio, muovendosi in senso con trario a ciò che si ritiene un corretto modo di legiferare. Così è avvenuto, infatti, per i principi introdotti, con la novella del 2008 (d.lgs. 4/2008), nel Codice dell’am
Sulla riforma costituzionale in tema di ambientebiente (15), che si pongono in effetti come «preambolo costituente» al medesimo (16); e così è avvenuto, con estremo ritardo rispetto alle altre Costituzioni europee (17), con l’attuale riforma costituzionale.
Tra i principi di respiro costituzionale vigenti (di rango, tuttavia, ordinario) emerge, anzitutto, l’art. 3-ter del Codice dell’ambiente, rubricato (in maniera oscura) «principio dell’azione ambientale», che recepisce tutti i principi del diritto europeo dell’ambiente, stabilendo che «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giu ridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via priori taria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che (...) regolano la po litica della comunità in materia ambientale», i quali, com’è noto, si pongono, in virtù della primazia del di ritto europeo, come principi superiori alle disposizioni costituzionali (salvo controlimiti).
L’art. 3-quater introduce expressis verbis il principio dello sviluppo sostenibile (18), affermando solenne mente che «ogni attività umana giuridicamente rile vante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni at tuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future» (co. 1).
Il comma 2 introduce una norma davvero poco ana lizzata e applicata, secondo cui «anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a
consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati con notata da discrezionalità gli interessi alla tutela del l’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione».
La norma è fondamentale perché recepisce essen zialmente, seppure a livello di legislazione ordinaria (ma ciò pare sufficiente), l’ambiente e il paesaggio (così sembra doversi intendere, in prospettiva costitu zionale, il riferimento al patrimonio culturale) quali li miti intrinseci al potere discrezionale della pubblica amministrazione, la quale, nel perseguire l’interesse pubblico, all’interno di ogni scelta discrezionale deve ponderare in ogni caso l’interesse ambientale e cultu rale, ponendosi dunque l’assenza di tale ponderazione quale violazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., integrato dall’art. 3-quater, co. 2.
Tale prospettiva è pure rafforzata dai commi succes sivi, dai quali emerge la caratteristica di principio con formativo delle scelte, sia di quelle organizzative, a monte (19), sia di quelle di azione, a valle, della pub blica amministrazione e dei soggetti privati, recependo il principio secondo il quale la qualità dell’ambiente costituisce esito di una sinergia di comportamenti vir tuosi sia della sfera pubblica, sia di quella privata.
Il comma 3 contiene l’essenza del principio, richie dendo che si individui, «data la complessità delle rela zioni e delle interferenze tra natura e attività umane», «un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ere ditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell’ambito delle dinamiche della produzione
(consap.it). Sulla riforma costituzionale in tema di ambienteSulla riforma costituzionale in tema di ambiente
e del consumo si inserisca altresì il principio di solida rietà per salvaguardare e per migliorare la qualità del l’ambiente anche futuro»; mentre il comma 4 solennemente auspica che «la risoluzione delle que stioni che involgono aspetti ambientali deve essere cer cata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il cor retto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi na turali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane».
La normativa ordinaria, dunque, precisa già in ma niera molto puntuale, ma purtroppo, ancora una volta (e necessariamente) programmatica, quanto introdotto
dificare il quadro giuridico per l’interprete, sia esso or gano giudicante, una pubblica amministrazione o altro operatore del diritto (21).
È vero che la Costituzione, con i suoi principi fon damentali, deve seguire i desiderata dei cittadini, ma è nondimeno vero, visto il contesto sociopolitico attuale molto sensibile alle istanze ambientali, che si tratta, di normazione prevalentemente a uso politico, anche de finibile «per slogan» o «iconica» (22).
solo di recente a livello costituzionale, costituendo una valida interpretazione e attuazione di principi costitu zionali fondamentali in tema di ambiente.
5. Una riforma programmatica e meramente ricognitiva. Profili critici.
La riforma costituzionale, non proponendo una vi sione innovativa delle problematiche ambientali, ma ponendosi, secondo taluni, anche come potenzialmente dannosa (20), ripercorre la tendenza seguita da tutte le recenti innovazioni legislative, definibili «educative», poiché volte a influenzare l’opinione e i comportamenti dei decisori politici e dei cittadini ma non certo a mo
E ciò considerando, anzitutto, che la Costituzione, seppure per il tramite di una interpretazione sistematica di norme già esistenti, nonché per via della interpreta zione (inevitabilmente) centralista dell’art. 117, co. 2, lett. s), già tutela(va) l’ambiente nonostante l’assenza di un suo riferimento tra i principi generali.
La riforma è, come visto, ricognitiva di principi già pacificamente affermati: sia a livello costituzionale, dove la tutela dell’ambiente, nella sua visione antropo centrica, è stata desunta dal combinato disposto dagli articoli 9 e 32 Cost. (il c.d. diritto a un ambiente salu bre) e, nella sua prospettiva ecocentrica, invece, da una analisi evolutiva dell’uno o dell’altro articolo e poi va lorizzando ormai quanto stabilito dall’art. 117, co. 2, lett. s) e a livello di legislazione ordinaria e v. artt. 3bis ss., d.lgs. 152/2006.
E, ancora, discendendo la tutela dell’ambiente da prin
Sulla riforma costituzionale in tema di ambiente
cipi di ordine internazionale ed europeo, questa si impone quotidianamente, per il tramite del diritto europeo, su ogni norma, anche di carattere costituzionale (salvo con trolimiti), che sia ad essa contraria e contrapposta.
Se, dunque, un significato è dato riscontrare alla ri forma costituzionale, esso è meramente simbolico, edu cativo, recettivo di quanto già pacificamente sentito dalla collettività. Si tratta di una riforma che provvede ad aumentare il catalogo di quelle norme programma tiche e di principio (es., il diritto al lavoro, il diritto al l’istruzione, la tutela del risparmio, il diritto al buon andamento della pubblica amministrazione), questa volta nel prisma di un imperativo valore ambientale (23), che rimangono molto spesso inattuate (anche se, come visto, in materia ambientale, sono già da tempo presenti disposizioni, primarie e secondarie, di grande momento, sostanzialmente però inattuate).
In tale contesto, il ruolo di creatore di nuovi interessi e di mediatore tra (già esistenti) interessi contrapposti continuerà a spettare alla Corte costituzionale (24) (in negabile è il ruolo conformativo della giurisprudenza nel diritto vivente), alla cui sapiente opera equilibra trice si rimette l’intero ordito costituzionale e gli inte ressi, anche di sviluppo socio-economico, ivi consacrati (e desumibili), che, a fronte delle moderne istanze di protezione ambientale, rischiano di soccom
bere al cospetto dei valori oggi ritenuti preminenti e compendiati, da ultimo, dalla ancora non ben definita nozione di «transizione ecologica» (25).
Questi, dunque, gli aspetti critici della riforma:
• In primo luogo, sebbene l’art. 9 Cost. costituisca uno degli elementi testuali dai quali, tramite interpreta zione estensiva, si sia mosso per concepire una tutela costituzionale dell’ambiente, l’aver insistito su tale articolo, dedicato al paesaggio e alla cultura, ele menti di una endiadi tutt’altro che eterogenea (26), può fare apparire il riferimento testuale all’ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi come ultroneo.
• Ambiente e paesaggio non si pongono, infatti, sullo stesso piano. L’uno è il contenitore (suscettibile pe raltro di diversi significati, limitati anche dal l’espresso riferimento a «ecosistemi e biodiversità», termini che parzialmente si sovrappongono, a se conda dell’interpretazione che se ne dà), l’altro uno dei possibili contenuti. L’uno è il tutto (da ambire, circondare), l’altro è uno specifico interesse, che concernente «la forma del territorio, o dell’am biente, creata dalla comunità umana che vi si è in sediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo» (27).
• Quanto alla introduzione del limite ambientale ri spetto all’iniziativa economica, esso riflette ancora
la logica oppositiva che permea la relazione tra ambiente ed economia, dunque la scelta tra l’uno e l’altro, non provvedendo ad accogliere quel ne cessario cambio di paradigma, auspicato da più re centi studi, verso un ambiente che sia concepito come motore per lo sviluppo (28). Spetterà alla Corte costituzionale conformare l’interesse am bientale in tal senso.
• Il terzo punto, connesso al secondo, riguarda il con cetto di sviluppo sostenibile (29) o, più in generale, il principio di sostenibilità, ormai oggetto di una ri levante elaborazione dottrinale (30). Quando si di scorre di ambiente ed economia, infatti, non può non venire in rilievo tale nozione, la cui mancata intro duzione in Costituzione, se da un lato, può far con cordare con chi scrive che «opportunamente il legislatore costituzionale ha lasciato cadere i riferi menti al principio dello sviluppo sostenibile (e ad altri possibili principi [specifici, ndr] del diritto am bientale europeo)», giacché la sua costituzionalizza zione avrebbe esposto la norma «a un precoce invecchiamento» (31), dall’altro però fa emergere la
sostanziale sovrapposizione del timido riferimento «anche all’interesse delle generazioni future» ri spetto al campo applicativo del principio di solida rietà (dunque, sia intergenerazionale, sia intragenerazionale) espresso dall’art. 2 Cost. (32). Tuttavia, alcuni aspetti positivi possono nondimeno cogliersi.
• Il primo, già accennato, è quello riguardante l’aspetto di moral suasion nei confronti della sfera pubblica e degli individui, l’effetto dunque «edu cativo» nei confronti della società civile, che dovrà però completarsi con serie politiche di sen sibilizzazione e altrettanti efficaci provvedimenti attuativi.
• Il secondo, invece, concerne l’aver ribadito, questa volta a livello costituzionale, l’aspetto conformativo dell’attività del legislatore, già affermato, come visto, dalla legislazione ordinaria, e connesso alla necessità che, nell’ambito delle attività volte a dare attuazione al precetto, le scelte legislative (e, a valle quelle am ministrative) siano orientate alla tutela dell’ambiente. Lungo quest’ultimo versante è possibile prevedere sin
da ora uno dei possibili sviluppi dell’innesto in Co stituzione della tutela dell’ambiente, sia nel suo rife rimento «all’ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi» (in prospettiva ecocentrica), sia con ri guardo all’inciso relativo alle «generazioni future» (in
NOTE
prospettiva dunque decisamente antropocentrica): presumibilmente, la Corte costituzionale utilizzerà il nuovo riferimento per dare seguito, anche in Italia, al contenzioso climatico (33), già diffuso in altri ordi namenti europei (ed extraeuropei).
8
(1) Sul percorso parlamentare di approvazione della riforma costituzionale, S. Neri, L’ambiente in Costituzione: il percorso parlamentare della riforma costituzionale in materia di tutela dell’ambiente, in Rass. Parl., 2022, p. 39 ss.
(2) Sul punto, F. Rescigno, Quale riforma per l’art. 9, in Federalismi, 2021, nonché Id., I diritti animali nella prospettiva contemporanea: l’antispecismo giuridico e la soggettivita�animale, in L. Scaffardi, V. Zeno-Zencovich (a cura di), Cibo e diritto. Una prospettiva comparata, vol. I, Roma, p. 829 ss.
(3) Sul riscaldamento globale e sulla conseguente crisi climatica, la letteratura, in particolare quella scientifica, è ormai assai ampia. Secondo i reports dell’IPPC si può riconoscere che il fattore determinante del surriscaldamento globale sia costituito dall’azione umana («most of the observed increase in globally averaged tem peratures since the mid-twentieth century is very likely due to the observed increase in anthropogenic greenhouse gas concentrations», IPPC, Fourth Assessment Report, AR4, 2007). Non a caso, si è provveduto a definire l’attuale era geologica quale «antropocene», ovvero quella fase storica «nella quale una sola specie, quella umana, è in grado di modificare gli equilibri, climatici, chimici, geomorfologici, biologici, del pianeta», E. Padoa-Schioppa, Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l’umanità, Bologna, 2021, p. 15.
(4) E v., ad es., sulle proposte di modifica dell’art. 9, sempre ai fini dell’inserimento della tutela dell’ambiente, che si sono susseguite negli anni a cavallo della riforma del titolo V della Costituzione, F. de Leonardis, L’ambiente tra i principi fondamentali della Costituzione, in Federalismi, 2004.
(5) Le problematiche ambientali sono oggi del tutto riassunte nel dibattito sviluppatosi intorno all’approvazione, a livello europeo, dello European Green deal e del Next Generation EU e, a livello nazionale, dei rispettivi Piani di ripresa e resilienza. È infatti agevole notare, da una prima lettura del PNRR, come esso sia tutto in centrato sulla lotta al cambiamento climatico. Sul PNRR, v. G. Montedoro, Il ruolo di Governo e Parlamento nell’elaborazione e nell’attuazione del PNRR, in giusti ziaamministrativa.it, nonché A. Sciortino, PNNR e riflessi sulla forma di governo italiana. Un ritorno all’indirizzo politico «normativo»?, in Federalismi, 2021.
(6) L’inserimento della tutela dell’ambiente nell’ambito del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni (art. 117 Cost.) ha condotto la dottrina ad affermare, efficacemente, che la tutela dell’ambiente è entrata in Costituzione «dalla finestra e non dalla porta principale», cfr. G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2021, p. 45.
(7) Questa era, ad es., la visione di M.S. Giannini, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, p. 15 ss. e di A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. dir, vol. XXXI, Milano, 1981, p. 507. Si veda anche sul punto, in chiave critica, il contributo di G. di Plinio, L’insostenibile evanescenza della co stituzionalizzazione dell’ambiente, in Federalismi, 2021, sia con riferimento alla «ricostruzione» del bene (o valore o materia?) ambiente da parte della Corte costi tuzionale, sia con riferimento alla possibilità di configurare un diritto dell’ambiente degno di una dignità scientifica autonoma.
(8) È il tema delle materie trasversali o materie-valori che comportano una netta difficoltà nell’individuare una linea di demarcazione tra competenza statale e com petenza regionale. Si tratta non solo dell’ambiente, ma anche, ad es., della tutela della concorrenza o dei livelli essenziali delle prestazioni.
17Rivista Marittima Luglio-Agosto 2022 (apiceuropa.com).
Sulla riforma costituzionale in tema di ambiente
(9) Di qui, ancora, tutte le problematiche concernenti gli interventi regionali in materia ambientale, risolti dalla Corte in senso permissivo, purché volti a incrementare (e non a ridurre) gli standard di tutela fissati dalla legge statale, laddove quest’ultima agisce come «limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato» (Corte cost., n. 378 del 2007 e, da ultimo, Corte cost. n. 63 e n. 88 del 2020) e, dunque, «quando si guarda all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti (...)» (Corte cost. n. 378 del 2007). (10) M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di quaderni costituzionali, 3, 2021, p. 287 ss.
(11) La tutela dell’ambiente può declinarsi (e anzi ha avuto grande fortuna proprio) secondo una visione antropocentrica: e v. l’elaborazione sussistente intorno al «diritto a un ambiente salubre», già affermato, a livello interno, da Cass. n. 5172 del 1979 e, da ultimo, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, sul caso Ilva: Corte Edu, n. 54414 del 2019. Ed è infatti la dicotomia antropocentrismo-ecocentrismo a dominare già la dizione accolta dalla lett. s) dell’art. 117, laddove, come visto, si attribuisce allo Stato la competenza legislativa in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, dove l’«ambiente» è tale in quanto casa dell’uomo e l’«ecosistema» è tale in quanto casa delle specie umane e vegetali. E ciò seppure la Corte costituzionale abbia spiegato che «l’ambiente come valore costituzionalmente protetto (e come entità organica complessa, cfr. Corte cost. n. 378 del 2007) fuoriesca da una visuale esclusivamente “antropocentrica”» e che «nella formulazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. s), ambiente ed ecosistema non si risolvono in un’endiadi» (Corte cost., n. 12 del 2009). In realtà la Corte stessa ammette che «col primo termine si vuole, soprattutto, fare riferimento a ciò che riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre con il secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé». Sulla distinzione, v. J. Luther, Antropocentrismo ed ecocentrismo nel diritto dell’ambiente in Germania e in Italia, in Pol. dir., n. 4, 1989, p. 673 ss. e spec. p. 674, dove compendia la problematica in esame chiedendosi se possiamo definire l’ambiente come «tutte le condizioni esterne della salute dell’uomo» oppure come «tutte le risorse naturali e culturali»; per la letteratura straniera, V. De Lucia, Beyond Anthropocentrism and Ecocentrism: A Biopolitical Reading of En vironmental Law, in Journal of Human Rights and the Environment, vol. 8, 2017, p. 181 ss.; nonché, il noto scritto di C. Stone, Should trees have standing? Toward Legal Rights for Natural Objects, in Southern California Law Review, 1972, p. 450 ss. (12) Cfr., nella prospettiva dei rapporti tra sviluppo industriale (in cui si concretizzano le principali e più impattanti iniziative economiche) e ambiente, quanto affermato da C. Feliziani, Industria e ambiente. Il principio di integrazione dalla rivoluzione industriale all’economia circolare, in Dir. amm., 2020, p. 843 ss., secondo la quale «lo sviluppo del diritto ambientale può essere descritto come un percorso inteso a riconciliare le ragioni dell’ambiente con quelle delle attività industriali o più latamente produttive, senza sacrificare le conquiste in termini di innovazione tecnologica e di progresso economico».
(13) Notano R. Luporini, M. Fermeglia, M.A. Tigre, The new Italian constitutional reform: what it means for environmental protection, future generations and climate litigation, in Climate Law Blog of the Sabin Center for Climate Change Law, che la riforma «bears thus a two-fold implication. First, it provides solid legal ground for public bodies in Italy to steer economic activities to pursue environmental (and climate) objectives. Second, it could influence decisions by administrative and judicial bodies, for example with regard to the approval of specific projects, such as oil and gas infrastructure and undertakings not in line with the Paris Agreement (see Section 3 below)». V’è da dire, quanto alla prima conseguenza, che questa riforma costituzionale non consente, se non attuata con legge ordinaria e con provvedimenti amministrativi, di indirizzare le attività economiche e produttive a finalità ambientali. Le norme di legge ordinaria, per questi fini, già esistono da tempo e, probabilmente a causa della loro ulteriore programmaticità, non sono state dovutamente prese in considerazione dagli operatori del diritto. Quanto alla seconda conseguenza, l’in teresse ambientale e climatico, come visto, non potrà mai porsi come interesse «tiranno» ma sarà anch’esso soggetto a giudizio di bilanciamento. Contra, invece, R. Bifulco, Primissime riflessioni intorno alla l. cost. 1/2022 in materia di tutela dell’ambiente, cit., p. 4, secondo cui «l’ambiente accede ad una sfera privilegiata, una sorta di riserva costituzionale, che lo mette al riparo dalla sfera della discrezionalità legislativa, da quella lotta per l’esistenza in cui un interesse o un principio deve confrontarsi con altri interessi o principi per trovare concreta espressione», ciò che condurrebbe nell’ottica dell’autore, «a un sicuro cambiamento nella nostra forma di Stato».
Neppure il diritto dell’Unione europea, che costituisce l’ordinamento più avanzato per la tutela dell’ambiente arriva a concepire l’interesse ambientale come interesse tiranno e cfr. M. Cecchetti, Osservazioni e ipotesi per un intervento di revisione dell’art. 9 della costituzione avente ad oggetto l’introduzione di una disciplina essenziale della tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Audizione presso la 1 Commissione permanente del Senato della Repubblica, p. 6: «i trattati europei individuano il “fondamento” delle politiche ambientali in una concezione tutt’altro che “integralista” o “utopistica” delle esigenze di salvaguardia degli ecosistemi, iscrivendo l’obiettivo di “un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente” nell’ambito del più vasto e complesso concetto di “sviluppo sostenibile dell’Europa” (...) e di “sviluppo sostenibile della Terra”».
(14) Rientrando, dunque, tale riforma nella categoria delle mere revisioni-bilancio e v. G. Silvestri, Spunti di riflessione sulla tipologia e sui limiti della revisione co stituzionale, in Studi in onore di P. Biscaretti di Ruffia, vol. II, Milano, 1987, p. 1187 ss.
(15) Cfr. P. Dell’Anno, Ambiente (Diritto amministrativo), in Id.. E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. I, Padova, p. 303 ss. (nonché Id., Diritto dell’ambiente, Padova, 2021): «la dottrina non ha mancato di censurare l’inversione logica seguita dal legislatore nella fase di creazione del c.d. codice ambientale. Prima sono state dettate tutte le norme che disciplinano le aree di pertinenza dell’attuale diritto ambientale e poi, al termine del processo di codificazione, è stata sovrapposta una serie di principi, senza neanche verificare se vi fosse coerenza - ovviamente involontaria - tra le nuove disposizioni a valenza generale e quelle già codificate in loro assenza». L’autore riscontra poi una carenza nella funzione che dovrebbero svolgere i principi generali in relazione alla rispettiva normativa di settore: «la codificazione dovrebbe avere la funzione di semplificare il catalogo delle norme disponibili, sia attraverso la loro reductio ad unitatem nei differenti settori, sia mediante la riconciliazione degli istituti, dei procedimenti, delle sanzioni con l’assunzione di principi ispiratori comuni», riscontrando invece che «il d. lgs. 152/2006 si muove nella direzione opposta. I tradizionali comparti legislativi (...) continuano a essere disciplinati secondo criteri difformi e spesso contrastanti tra di loro. Dunque, nessuna unificazione ma una mera giustapposizione. È stato più che raddoppiato il numero degli articoli che regolano i vari settori, ma la quantità delle norme — se si estende il giudizio ai commi ed alle proposizioni di ciascuno di essi — è cresciuta in misura esponenziale. La normativa tecnica allegata (...) è stata anch’essa moltiplicata all’inverosimile».
(16) P. Dell’Anno, Ambiente (Diritto amministrativo), cit.
(17) Cfr., ad es., sul punto, Servizio studi del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, p. 23 ss.
(18) Da intendere sia come obiettivo programmatico, e dunque come finalità da raggiungere (l’equilibrio nell’utilizzo delle risorse), sia come principio-criterio procedurale dell’azione dei pubblici poteri nell’esercizio delle proprie scelte discrezionali. La definizione di «sviluppo sostenibile» è stata introdotta, a livello internazionale, dalla World commission on Environment and Development (WCED - c.d. Commissione Brundtland), nel rapporto Our common future del 1987, che ha coniato la definizione per cui lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo «which meets the needs of the present generation whithout compromising the ability of the future generation to meet theirs». Il principio è stato poi accolto da tutte le successive dichiarazioni internazionali in tema di ambiente, come la Dichiarazione di Rio su Ambiente e sviluppo (1992), alla stregua della quale «al fine di pervenire a uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo» (principio 4). Il principio è stato poi recepito a livello di legislazione europea. Il Trattato di Amsterdam del 1997, anche se prima ancora il Trattato di Maastricht provvedeva a menzionare il concetto di «crescita sostenibile», ha introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, senza tuttavia fornirne una precisa definizione, portando la dottrina ad affermare che «il significato preciso della nozione non è chiaro» (cfr. L. Krämer, Environmental Law, London, p. 9): ciò che è chiaro è il suo ambito di applicazione, quello della politica economica e del mercato: dunque, l’economia. Oggi contenuto agli articoli 3, comma 3, TUE e 191 TFUE. Il primo recita: «l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico»; mentre il secondo: «la politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente», nonché «nel predisporre la sua politica in materia ambientale l’Unione tiene conto: (...) dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione, dello sviluppo socioe conomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni». Il principio è recepito anche dalla Carta di Nizza, il cui art. 37 recita: «un
Sulla riforma costituzionale in tema di ambiente
livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile» e, a livello internazionale, dalla Convenzione europea dei diritti fondamentali dell’uomo che, all’art. 8, stabilisce: «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza». (19) Per la tutela degli interessi diffusi, l’applicazione delle norme passa, oltre che per l’educazione degli individui e della pubblica amministrazione, per l’approntamento di strutture organizzative idonee a tutelare detti interessi, costituendo l’organizzazione amministrativa vera e propria «misura» della tutela, quantitativa e qualitativa, dei medesimi. Sul punto, per tutti, M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, nonché G. Berti, La pubblica ammini strazione come organizzazione, Padova, 1968, p. 73 ss. e, con specifico riferimento all’interesse ambientale, U. Pototschnig, Strumenti giuridici per la difesa della natura, in Foro amm., 1970, p. 474. La transizione ecologica ha imposto un ripensamento dell’organizzazione amministrativa deputata alla cura dell’interesse am bientale ma si sono riproposte tutte le problematiche di inefficienza già sperimentate. Il problema è che, in materia di tutela dell’ambiente, le competenze sono troppe e attribuite ai più svariati soggetti (es., Ministero dell’ambiente, oggi della Transizione ecologica; Ministero dello sviluppo economico; Ministero dei trasporti, oggi della Mobilità sostenibile, ecc.), il che, paradossalmente, conduce a un approccio del tutto inadeguato per affrontare la complessità delle problematiche ambientali, la quale viene ulteriormente complicata, tramite la previsione di ulteriori strutture amministrative con conseguente moltiplicazione e sovrapposizione delle competenze nonché duplicazione delle problematiche e v., ad es., la istituzione della Cabina di regia «Strategia Italia», con d.l. 109/2018 (composta dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Ministro dell’ambiente e dal Ministro delle infrastrutture, oltre che da rappresentanze degli enti locali) o anche alla trasformazione del Comitato in terministeriale per la programmazione economica (Cipe) in Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), con d.l. 111/2019, nonché infine, l’istituzione di un Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite), al quale possono partecipare i ministri in relazione alle materie oggetto di trattazione, istituito dall’articolo 4, d.l. 22/2021 con il compito di assicurare il coordinamento e la programmazione delle politiche nazionali per la transizione ecologica, approvando e monitorando i risultati del Piano per la transizione ecologica. (20) Tranchant il giudizio di G. di Plinio, L’insostenibile evanescenza della costituzionalizzazione dell’ambiente, in Federalismi, 2021, secondo cui «la riforma costi tuzionale in discussione (...) è inutile, forse dannosa, al limite stupida», frutto di un tributo al «fondamentalismo ambientale»: del resto, «si sa da decenni che “ambiente” è good politics, estremamente retributivo in termini di immagine. Tuttavia, scientificamente è sintagma privo di episteme, così come diritto dell’ambiente è disciplina priva di autonomia scientifica, completamente assorbibile in settori disciplinari robusti come il diritto costituzionale, o il diritto amministrativo, o anche tri butario, penale, civile» (p. 3).
(21) In tale solco, infatti, si collocano, ad esempio, per rimanere nell’ambito del diritto pubblico, molte delle recenti innovazioni della normativa penalistica ordinaria, dal c.d. «femminicidio», al c.d. «omicidio stradale», fattispecie non certo autonome bensì circostanziate del reato di omicidio, che dunque rispondono a logiche, forse generalpreventive, ma certamente di educazione e sensibilizzazione della popolazione, piuttosto che di innovazione dell’ordinamento giuridico.
(22) Che, secondo recente definizione, è quella normazione «per lo più inutile proprio perché non è corredata da autentiche norme e procedure per dar seguito a quella celebrazione di simboli» e che «non raramente è anche dannosa, perché genera confusione alterando la preesistente realtà dell’ordinamento», v. G. Severini, P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in Giustiziainsieme.it. Contra, invece, F. de Leonardis, La riforma “bilancio” dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost. nella legge costituzionale n. 1/2022: suggestioni a prima lettura, cit., per il quale «l’intera prima parte della Costi tuzione, quella sui principi, “riflette” (anzi deve riflettere) le convinzioni, la cultura, i desideri di un Paese; se, dunque, come tale, tutta la parte sui principi del testo costituzionale potrebbe essere definita come “riflessiva”, questo non è certo un valido motivo per sostenere l’inutilità di una esplicitazione dei vari principi che la compongono»: conseguentemente «la positivizzazione appare, dunque, avere un valore di per sé, tanto più se riferita a principi costituzionali».
(23) Molto efficacemente L. Cassetti, Salute e ambiente come limiti “prioritari” alla libertà di iniziativa economica?, in Federalismi, 2021, p. 6 parla di «marchio green a un sistema costituzionale che in verità da diversi decenni riconosce nell’ambiente un valore costituzionalmente protetto».
(24) Sappiamo che la creazione di strumenti di tutela per nuovi interessi spetta, in realtà, al legislatore ma sappiamo altresì come il Parlamento sia una istituzione molto spesso distaccata dalle esigenze reali e, quand’anche riesce a notarle, vi arriva con moltissimo ritardo: e questo è proprio il caso della riforma di cui si discute. (25) Sui vari significati da attribuire alla nozione, si veda F. de Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle ammi nistrazioni, in Dir. amm., 2021, p. 779 ss.; parlano di «latitudine indeterminata» della nozione, G. Severini, P. Carpentieri, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’articolo 9 della Costituzione, cit. Il processo di transizione ecologica ha richiesto addirittura uno sforzo organizzativo con la mutazione del nome del Ministero dell’ambiente (e della tutela del territorio e del mare) in «Ministero della transizione ecologica» e la modifica di alcune delle sue competenze, su cui v. A. Moliterni, Il Ministero della transizione ecologica: una proiezione del principio di integrazione?, in Giorn. dir. amm., 2021, p. 439 ss. Sul punto, centrale appare l’osservazione di T.E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in Federalismi, p. 4, secondo cui «per finire, segnalo un paradosso: nel mentre si lavora per inserire l’ambiente in co stituzione lo si esclude da una tutela ministeriale. (...) Delle due l’una: o l’ambiente è costituzionalizzato e allora deve avere un suo dicastero riferito alla gestione, come nel caso della salute o della giustizia, oppure rimane fuori dal testo costituzionale e diventa una mera questione di cd. transizione ecologica».
(26) Il paesaggio, infatti, viene inteso come «forma del territorio», ovvero come interazione tra fattori ambientali e antropici, dunque culturali, che ha reso l’Italia, nei millenni, un paese dotato di caratteristiche peculiari non riscontrabili in altre parti del mondo, secondo la fortunata definizione elaborata da A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, vol. II, Firenze, 1969, p. 381 ss. e Id., voce Paesaggio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 504 ss. V. anche G. Severini, Paesaggio: storia italiana, ed europea, di una veduta giuridica, in Aedon, 2019. (27) A. Predieri, voce Paesaggio, cit., p. 506. (28) Ne vede, invece, una «vera e propria rivoluzione destinata a modificare la Costituzione economica del nostro Paese», ponendosi la tutela dell’ambiente come «causa fondante la riespansione del ruolo statale nell’economia», F. de Leonardis, La riforma “bilancio” dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost., cit., p. 11 ss. L’autore riscontra, infatti, nella modifica costituzionale una occasione di rinascita dell’attività dei pubblici poteri in campo economico, anzi, «l’intero art. 41 Cost. come risultante dalle modifiche approvate con la legge n. 1/2022 potrebbe essere, oggi, definitivamente accostato alle tre definizioni di economia che si sono succedute nel tempo, la brown o red economy, la green economy e la blue economy».
(29) Per la letteratura italiana, v. F. Fracchia, Sviluppo sostenibile e diritti per le generazioni future, in Riv. quad. dir. amb., 2010, p. 13 ss., nonché Id., Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Napoli, 2010; per la letteratura straniera, R. Solow, An almost practical step toward sustainability, London-New York, 1992.
(30) Si vedano, in particolare, D. Porena, Il principio della sostenibilità. Contributo allo studio di un programma costituzionale di solidarietà intergenerazionale, Torino, 2017; Id., Il principio di sostenibilità. Sua “giuridicizzazione” e progressiva espansione nei sistemi giuridici contemporanei e nell’ordinamento costituzionale italiano, in Amb. Dir., 2020; R. Bifulco, Diritto e generazioni future. Problemi giuridici della responsabilita�intergenerazionale, Milano, 2008. Con riferimento specifico alla di mensione economico-finanziaria, L. Bartolucci, La sostenibilità del debito pubblico in Costituzione. Procedure euro-nazionali di bilancio e responsabilità verso le ge nerazioni future, Padova, 2020.
(31) R. Bifulco, Primissime riflessioni intorno alla l. cost. 1/2022 in materia di tutela dell’ambiente, cit., p. 7. Propongono, infatti, una lettura evolutiva del principio dello sviluppo sostenibile, G. Rossi e M. Monteduro (a cura di), L’ambiente per lo sviluppo. Profili giuridici ed economici, Torino, 2020. (32) Cfr., F. Fracchia, Sviluppo sostenibile e diritti per le generazioni future, cit., p. 32, secondo cui «un primo ed essenziale parametro costituzionale alla luce del quale scrutinare così le scelte pubbliche in materia di sviluppo sostenibile come le sue «omissioni» è costituito dall’art. 2 Cost.»; da ultimo, dello stesso autore, I doveri intergenerazionali. La prospettiva dell’amministrativista e l’esigenza di una teoria generale dei doveri intergenerazionali, in P. Pantalone (a cura di), Doveri in tergenerazionali e tutela dell’ambiente. Sviluppi, sfide e prospettive per Stati, imprese e individui, numero monografico Dir. ec., 2021.
(33) Sul punto, sia consentito un rinvio ai profili critici analizzati nel mio Il ruolo innovativo del contenzioso climatico tra legittimazione ad agire e separazione dei poteri dello Stato. Riflessioni a partire dal caso Urgenda, in Federalismi, 2021, pp. 1-29. Più in generale, sulla climate change litigation, v. W. Kahl, M.P. Weller, Climate change litigation. A handbook, Mu�nchen, Oxford, Baden-Baden, 2021; F. Sindico, M. Moise Mbengue, Comparative climate change litigation: beyond the usual suspects, Springer, 2021; L. Burgers, Should Judges Make Climate Change Law?, in Transnational Environmental Law, 2020, p. 55 ss.; J. Setzer, R. Byrnes, Global trends in climate change litigation: 2019 snapshot policy report, London, July 2019; D. Bodansky, J. Brunne�e, L. Rajamani, International climate change law, Oxford, 2017.
Sanzioni e transizione energetica
e transizione energetica
Le sanzioni internazionali e il loro impatto sull’efficienza energetica
Le sanzioni internazionali e il loro impatto sull’efficienza energetica
Dottorando in Studi Internazionali presso l'Università di Trento. È junior fellow del Centro Studi Geopolitica.info, per il quale co ordina le attività di ricerca del desk Africa subsahariana. I suoi interessi di studio si concentrano sulla sicurezza internazionale, sui conflitti territoriali e sulla competizione per le risorse naturali nell’area del Mediterraneo allargato e dell’Africa subsahariana.
Raffaele Ventura Rivista Marittima Luglio-AgostoLe sanzioni economiche sono state per millenni uno strumento nelle mani dei decisori politici. Celebre è il decreto di Megara descritto da Tu cidide e che per molti storici sarebbe stato decisivo nel successivo scoppio delle Guerre del Peloponneso (1). Il Decreto prevedeva un «pacchetto» di sanzioni che escludeva Megara dal mercato dell’Attica.
Nel corso del XX secolo, però, l’aumento dell’inter dipendenza economica e la sempre più capillare globa lizzazione delle catene produttive hanno reso le sanzioni internazionali uno strumento di politica alter nativo all’uso della forza militare (2). A partire dal se condo dopoguerra, le sanzioni hanno caratterizzato
tanto le relazioni tra grandi potenze, che tra medi e pic coli Stati. Tra le numerose sanzioni internazionali at tuate dalla Guerra fredda fino a oggi il settore energetico è stato preso di mira da circa il 20% del to tale (3), vista la sua importanza geopolitica e geoeco nomica. Rappresentativi sono gli effetti dell’embargo sull’importazione del petrolio da parte dei Paesi OPEC nel 1973 imposto a tutti gli Stati che supportavano Israele nella Guerra dello Yom Kippur. L’embargo im posto dall’OPEC fece collassare il mercato energetico statunitense e di molti paesi NATO e portò prima a una crisi energetica, che in poco tempo si trasformò in una crisi economica (4). Tale fu la portata di quelle sanzioni
che spinsero gli Stati Uniti a riconsiderare alcune po sizioni nei confronti dei paesi arabi coinvolti nella guerra e, soprattutto, a ripensare il proprio sistema di approvvigionamento energetico con l’obiettivo di ri durre la propria dipendenza energetica dall’esterno.
L’approvvigionamento energetico è infatti un ele mento centrale nelle società altamente industrializzate, oltre a essere una condizione necessaria per sostenere lo sviluppo economico e per difendere la sicurezza in ternazionale di un paese. Pertanto, la rilevanza geopo litica del discorso energetico rende l’eventuale applicazione di sanzioni energetiche verso la Russia o quelle di Mosca verso l’Europa un argomento partico larmente spinoso all’interno del blocco euroatlantico.
All’aspetto geopolitico, le sanzioni internazionali pos sono essere proposte anche con una finalità di lotta ai cambiamenti climatici. Infatti, alcuni critici dell’attuale regime internazionale di lotta ai cambiamenti climatici sostengono che l’assenza di vincoli e meccanismi di san zione per il mancato adempimento dei trattati stia por tando al fallimento della diplomazia climatica nel raggiungere gli obiettivi di diminuzione delle emissioni (5). Se il dibattito pubblico è sempre più attento all’effetto delle sanzioni internazionale sulla sicurezza energetica, la comprensione teorica ed empirica dell’effetto delle sanzioni sull’efficienza energetica dell’economia di uno stato, così come sulle politiche energetiche e ambientali, sono argomenti poco trattati in letteratura. Quindi, in un momento storico in cui l’utilizzo di sanzioni internazio nali ha assunto un’elevata rilevanza geopolitica e la lotta ai cambiamenti climatici diventa sempre più impellente, questo articolo cerca di comprendere se l’effetto delle sanzioni internazionali sulle politiche energetiche spinga il Paese bersaglio ad aumentare la propria efficienza ener getica, o a ridurre le proprie emissioni, o entrambe.
In questo articolo un primo breve paragrafo descrive alcuni concetti e il quadro analitico che si userà per ri spondere alle domande di ricerca. Una seconda sezione approfondisce la prima domanda di ricerca e una terza sezione è dedicata più specificamente alle sanzioni energetiche e vi si discute della seconda domanda di ri cerca. Infine, un’ultima sezione conclusiva riassume i principali risultati di questo contributo, tracciando pos sibili spunti per ricerche future.
L’approccio e il ragionamento dietro alle domande di ricerca
Questo articolo ricerca nella letteratura se le sanzioni spingano i paesi bersaglio (target) a migliorare la pro pria efficienza energetica, riducendo le emissioni da fonti fossili ad alta intensità di carbonio (carbon inten sity) oppure aumentando la quota di energie rinnovabili all’interno del proprio mix energetico1}, o ricorrendo a entrambe. Per efficienza energetica si fa riferimento alla definizione utilizzata da Wilson e altri a cui spesso viene fatto riferimento in letteratura (6). Quindi, l’eco nomia di un paese diviene più o meno efficiente in base al rapporto tra quantità di consumo energetico su unità di PIL. In altre parole, una minore energia necessaria per produrre un’unità di PIL determina un aumento del l’efficienza energetica. Migliorare l’efficienza energe tica di un paese può essere costoso e complesso, visto che un’efficace politica di mitigazione può produrre un profondo impatto sul sistema economico di un paese (7). Sostenere il processo di miglioramento dell’effi cienza energetica può promuovere allo stesso tempo in novazione tecnologica e sviluppo sostenibile (8).
Sanzioni e transizione energeticaSanzioni e transizione energetica
nomico-energetica che di solito comprende le energie tradizionali. Inoltre, la struttura economica e la posi zione geopolitica di un paese possono facilitare la tran sizione energetica, riflettendosi anche sul tipo di risposta messa in atto da un paese bersaglio di sanzioni.
L’efficacia delle sanzioni internazionali sull’energia
(spinergy.it).
Dallo scoppio del conflitto russo-ucraino nel feb braio 2022, le energie rinnovabili sembrano aver as sunto un rinnovato spessore geopolitico, oltre che ambientale (9). Tuttavia, finora non è stato riscontrato un chiaro effetto delle sanzioni internazionali sulle po litiche di mitigazione di un Paese bersaglio o minac ciato di riceverne. All’aumento dell’efficienza energetica dell’economia di un paese contribuiscono le energie rinnovabili, che potenzialmente mantengono lo stesso output energetico, ma ne riducono le emissioni. Questo, sebbene possa ridurre le tradizionali (inter)di pendenze economiche ed energetiche, genera nuove vulnerabilità alla sicurezza energetica di un paese, che si vedono maggiormente esposte a minacce di guerra cibernetica (10). Anche il passaggio da un’economia basata sulla produzione di beni agricoli o industriali a una di servizi può condizionare l’efficienza energetica di un paese. Quindi, la differenziazione del mix ener getico con energie provenienti da fonti rinnovabili non è l’unico modo per rendere più efficiente energetica mente un’economia, ma permette di abbattere grandi quantità di emissioni e di ridurre l’interdipendenza eco
La letteratura sulle sanzioni negli ultimi decenni è aumentata di pari passo con l’aumento dell’utilizzo delle sanzioni come strumento di politica estera. Oggi rappresenta uno strumento alternativo, se non sostitu tivo a quello militare per piegare le volontà politiche degli stati. Tuttavia, l’efficacia delle sanzioni è dibat tuta e non vi è un parere unanime sull’effettiva utilità delle sanzioni come alternativa all’intervento militare (11). La ragione principale che alimenta il dibattito sulle sanzioni è legata molto spesso a divergenze di na tura metodologica ed epistemologica. Talvolta, autori che definiscono le sanzioni in maniera diversa hanno dimostrato l’efficacia delle sanzioni sul piano econo mico assieme all’inefficacia sul piano politico all’in terno di uno stesso caso di studio. Per il fine specifico dell’articolo questo dibattito non verrà approfondito particolarmente, poiché l’attenzione sarà maggior mente rivolta a una nicchia della letteratura poco trat tata, ovvero l’effetto delle sanzioni sulle politiche energetiche dei paesi bersaglio, che è solo indiretta mente toccata da questa diatriba teorica.
I primi studi empirici su larga scala sull’effetto delle sanzioni sono stati quelli di Hufbauer, Schott ed Elliot del 1985, poi aggiornati nel 1990. Il loro contributo ten tava di collazionare per la prima volta l’efficacia delle sanzioni economiche dal 1914 al 1990 e di studiarne l’efficacia (12). Negli articoli seminali del 1985 e del 1990, Hufbauer, Schott ed Elliot esaminano l’efficacia delle sanzioni dalla prospettiva dei paesi sanzionatori su un campione di 115 sanzioni. Il loro metodo di valu tazione comprendeva sia il ritorno politico per il paese sanzionatore che un indicatore del risultato specifico della sanzione sulle attività dei paesi sanzionati (13). Dal lavoro di Hufbauer, Schott ed Elliott emerse che circa il 34% delle sanzioni aveva successo. Un tale ri sultato contribuì secondo Pape a cambiare la percezione
Sanzioni e transizione energetica
delle sanzioni come strumento di politica estera (14).
Tuttavia, proprio Pape nel 1997 pubblicò su «Inter national Security» un articolo altrettanto influente, con il quale criticava i risultati di Hufbauer, Schott ed El liott. Pape sostiene nel suo contributo che le sanzioni economiche sono solo una delle possibili strategie da mettere in atto per esprimere pressioni economiche in ternazionali e che dei quaranta casi in cui le sanzioni si erano dimostrate efficaci nell’articolo di Hufbauer, Schott ed Elliott, solo cinque hanno mostrato un chiaro successo (15). Nella sua critica, Pape dimostra come sia fondamentale, studiando gli effetti delle sanzioni, fare attenzione agli obiettivi politici, al contesto in cui vengono implementate e se a queste precedevano o se guivano altre tipologie di pressioni esterne (16). Alla fine del XX secolo emerse così la necessità di studiare le sanzioni come uno strumento di politica estera che può essere implementato in una moltitudine di diverse condizioni e che porta con sé numerose sfaccettature. Questo comporta che gli studiosi devono cercare di renderle operative e di includerle nelle loro analisi, per fornire una maggiore comprensione teorica ed empirica dell’argomento. Quindi, a partire da questo dibattito, la letteratura sulle sanzioni si è arricchito aumentando la sensibilità dei propri strumenti e della propria meto dologia, dividendo con maggiore accuratezza il design delle sanzioni, dallo scopo politico degli Stati sanzio natori e dagli effetti di queste sugli Stati sanzionati.
Una prima distinzione tra i diversi tipi di sanzioni viene individuata tra quelle a carattere unilaterale o mul tilaterale. Le sanzioni multilaterali possono essere a loro volta distinte se coinvolgono due o più Paesi che condi
vidono un fine politico o quelle imposte dal consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Le prime, a partire dal XX secolo e, più in particolare, con il secondo dopoguerra sono aumentate per frequenza e per varietà (17). Negli studi empirici che utilizzano panel data o time series cross sectional data per comprendere stati bersaglio di sanzioni (target), si tende a circoscrivere i paesi che ap plicano le sanzioni (senders) ai soli Stati Uniti, Unione europea e Nazioni unite, poiché sono storicamente i paesi che fanno più frequente uso di sanzioni (18).
Per le seconde si è registrato un maggiore utilizzo a partire dalla fine della Guerra fredda (19). Solo nella prima metà degli anni 90 le sanzioni imposte dalle Na zioni unite hanno superato tutte quelle applicate nei primi 45 anni di esistenza dell’ONU. L’allora Segreta rio generale dell’ONU, Boutros Boutros-Ghali propose anche di istituire all’interno delle Nazioni unite un’agenzia specializzata sulle sanzioni (20). L’ampio utilizzo da parte dell’ONU delle sanzioni come stru mento per contrastare le violazioni del diritto interna zionale vide l’apice proprio negli anni 90, per poi diminuire nel primo decennio del nuovo millennio.
Oltre alle sanzioni unilaterali o multilaterali e a quelle delle Nazioni unite, la letteratura distingue tra minaccia di sanzioni e sanzioni effettive, poiché è stato mostrato che gli stati bersaglio possono modificare la propria condotta per evitare l’applicazione di sanzioni nei loro confronti (21). Lo studio sia della minaccia che dell’imposizione delle sanzioni a partire dagli anni due mila si è basato sul rilascio di nuovi database come il Threat and Imposition of Sanctions (TIES) che ha visto la sua prima pubblicazione nel 2006, con la versione
Sanzioni e transizione energetica
aggiornata nel 2007 del dataset di Gary Hufbauer, Jef frey Schott ed Elliot Kimberley (HSE) o con il dataset sulle UN Targeted Sanctions tra il 1991 e il 2013 pub blicato nel 2014 (TSC) (22). Quest’ultimo, a differenza dei tre precedenti, raccoglie solo le sanzioni delle Na zioni unite dal 1991 al 2013, ma non codifica solo san zioni economiche e finanziarie. Vengono infatti incluse all’interno del TSC tutte le sanzioni individuali, politi che, economiche, militari e diplomatiche imposte dalle Nazioni unite e vengono distinte in base alle loro fina lità «coerce», «constrain», e «signal» (23).
Così lo sviluppo di nuovi datasets e l’avanzamento della comprensione teorica delle sanzioni ci permette oggi di avere un quadro più completo dell’effetto e del l’efficacia delle sanzioni. L’efficacia politica delle san zioni rimane spesso limitata, ma conosciamo molto meglio le diverse e ramificate conseguenze economi che delle sanzioni. Tuttavia, nonostante la corposa let teratura sull’argomento, l’attenzione sull’effetto delle sanzioni sull’energia e sui costi ambientali delle san zioni è stata minore. A oggi pochi studi empirici hanno analizzato questo aspetto delle sanzioni e rimane an cora poco chiaro come sanzioni economiche o altre mi rate al settore energetico possano influenzare le politiche energetiche dei paesi sanzionati.
L’effetto delle sanzioni energetiche
Negli ultimi ottant’anni le sanzioni che prendono di mira il settore energetico rappresentino il 20% del totale delle sanzioni economiche (24). 1} Pochi sono stati gli sforzi per studiare empiricamente l’effetto delle sanzioni su politiche energetiche dei paesi colpiti da sanzioni.
Come visto, nel comprendere l’effetto delle sanzioni sulle politiche energetiche di un paese, la letteratura di stingue tra sanzioni unilaterali o multilaterali. Tuttavia, questa distinzione non è sempre unanime, poiché in base all’oggetto della ricerca si ritroveranno diverse de scrizioni del concetto di unilaterale o multilaterale. Successivamente, si possono distinguere le sanzioni economiche che colpiscono indirettamente il settore energetico, da quelle mirate, invece, a danneggiarlo di rettamente. A loro volta, queste due categorie di san zioni possono essere ulteriormente suddivise in base al loro effetto, al design, a quanti paesi le applicano e, per quelle specifiche sul settore energetico, se colpiscono solo una parte del settore energetico o tutto il sistema. Tuttavia, due elementi sono fondamentali per compren dere le sanzioni energetiche: il fine delle sanzioni e le misure prese per raggiungere quegli obiettivi (25).
In uno dei pochi studi empirici sull’effetto delle san zioni sull’efficienza energetica, Chen e altri mostrano che le sanzioni internazionali portano a un declino del l’efficienza energetica attraverso tre meccanismi: ridu zione della crescita del PIL, restrizione dello sviluppo tecnologico e fuga di capitali (26). Questi tre meccani smi possono essere innescati in modo diverso in base al design delle sanzioni imposte. Il primo dei tre mecca nismi è quello legato all’effetto negativo delle sanzioni sulla crescita del PIL e, visto che la diminuzione del PIL aumenta il rapporto tra PIL e unità di energia per unità di PIL, viene aumentata così l’inefficienza energetica di uno stato (27). Il secondo meccanismo è quello del minore sviluppo tecnologico di un paese affetto da san zioni. Questo meccanismo si innesca quando sanzioni
Sanzioni e transizione energetica
internazionali vietano o limitano l’accesso alle tecnolo gie più avanzate al paese sanzionato. Infine, il terzo meccanismo, similmente al primo, riduce l’efficienza energetica del PIL poiché la fuga di capitali conduce a una riduzione degli investimenti che permettono il mi glioramento dell’efficienza energetica (28).
Le sanzioni hanno generalmente un effetto negativo sull’efficienza energetica del paese sanzionato e non è chiaro se i paesi colpiti da sanzioni siano interessati a svi luppare contromisure per rendere la propria economia meno carbon intensive, e la letteratura ancora non forni sce studi su grandi numeri. Quindi, ciò che emerge dagli studi di caso, comunque ancora pochi, è che la risposta dei paesi, come suggeriva già Pape nel 1997, è molto più sfaccettata e le sanzioni di per sé sono meno efficaci al livello politico, quando sono isolate. Numerosi fattori possono influenzare la tendenza di uno Stato a perseguire politiche di transizione energetica come contromisura alle sanzioni, soprattutto quelle mirate al settore energetico, o per evitarne di altre più severe nel corso del tempo.
In primo luogo, un diverso design delle sanzioni avrà anche un effetto diverso sul settore energetico che le riceve. Lo stato che emana le sanzioni potrà quindi prendere in considerazione diverse tipologie di san zioni sull’energia, che vanno dal fissare un prezzo dell’energia più alto, imporre delle quote fino ad arri vare a un embargo parziale o completo delle importa zioni energetiche provenienti dal paese bersaglio (29). Anche se il design delle sanzioni bersaglia il settore
energetico a diversa intensità, bisogna ricordare che l’obiettivo politico è solitamente quello di cambiare l’atteggiamento di uno stato. Quindi, lo stato sanzio nato è interessato a sviluppare contromisure per difen dere la propria sicurezza energetica e non per migliorare prima facie l’efficienza energetica. I paesi che dispongono di vasti depositi di idrocarburi, come Iran, Russia o Venezuela, hanno cercato di aggirare le sanzioni e trovare nella crescente domanda di energia dei paesi in via di sviluppo una valvola di sfogo. In questi paesi, oltre alla dimensione geostrategica del l’energia, si sommano anche l’effetto «lobby» dell’in dustria energetica e l’intenzione di non cedere alle pressioni dei paesi sanzionatori. Inoltre, bisogna con siderare che la crescita economica dei paesi asiatici ri
duce il potere delle sanzioni europee e americane, come ad esempio hanno dimostrato il caso dell’Iran o del Ve nezuela (30) (31). Nel caso del conflitto in Ucraina, scoppiato a febbraio 2022, Mosca ha provato a cercare nuove partnership e di rafforzare quelle preesistenti, soprattutto con la Cina. Tuttavia, la forte interdipen denza tra la Russia e l’UE per le forniture di gas e pe trolio hanno innescato una dinamica particolare: i Paesi che per primi hanno indetto sanzioni, e non solo quello che le ha subite, hanno speso grande capitale politico ed economico per rinnovare le proprie politiche ener getiche. Le sanzioni indette dal blocco euroatlantico non prevedevano misure dirette al settore energetico, che anzi continuano a essere oggetto di grande dibat
Sanzioni e transizione energetica
tito. Tuttavia, i Paesi dell’UE, per difendersi da possi bili contromisure sulle forniture energetiche imposte dal Paese target, hanno proposto «REPowerEU» e ri conosciuto l’importanza non solo ambientale, ma anche strategica, di una rapida transizione energetica (32). La risposta dell’UE alla questione energetica è stata, nel breve periodo, di cercare nuovi partner da cui importare gas e petrolio, al fine di alleggerire il giogo di Mosca sul settore energetico. Nel medio periodo, i Paesi europei hanno rivalutato anche la funzione geo politica di una più rapida transizione a fonti rinnovabili, riconsiderando anche l’uso del nucleare in Paesi come Germania e Italia.
Opposte sono le risposte alle sanzioni, quando i paesi bersaglio non dispongono di grandi giacimenti di com bustibili fossili. Questi paesi potranno perseguire tre al ternative. La prima li vede modificare il proprio atteggiamento prima ancora di ricevere le sanzioni. La seconda li spinge a differenziare il più possibile i propri fornitori. Infine, la terza è quella di sostenere una tran sizione energetica più pulita. Quest’ultima rimane la più complicata, poiché un paese sanzionato può avere ac cesso limitato alle tecnologie e assiste a una fuga di ca pitali. Così, anche quando strategicamente conveniente, percorrere una strada di sviluppo sostenibile come al ternativa a sanzioni energetiche rimane costoso (33).
Infine, anche il fattore ideologico o precedenti im pegni presi dai decisori politici di uno stato sanzionato nel raggiungere determinati obiettivi energetici pos
sono condizionare le contromisure energetiche alle san zioni. Paesi già fortemente vincolati da accordi inter nazionali o impegnati nei confronti della propria società civile nell’intraprendere una transizione ener getica possono essere spinti a espandere ulteriormente l’uso di energie provenienti da fonti rinnovabili. Questo potrebbe essere il caso di quei paesi europei che in ri sposta a possibili ritorsioni della Russia verso il blocco NATO nel contesto dell’attuale conflitto russo-ucraino, possono aumentare il proprio sforzo nella decarboniz zazione dell’economia, oltre a cercare di sopperire alle mancate forniture di Mosca rivolgendosi ad altri pro duttori di gas e petrolio (34).
In conclusione, le sanzioni internazionali producono effetti molto diversi sul settore energetico, indipenden
temente dagli obiettivi politici che le hanno causate. In generale i paesi sanzionati tenderanno a ridurre la pro pria efficienza energetica, ma numerosi fattori possono condizionare le scelte dei paesi bersaglio e spingerli ad adottare contromisure che comprendano l’aumento dell’utilizzo delle energie rinnovabili e a ridurre le pro prie emissioni.
Conclusioni e possibili sviluppi per la ricerca
Analizzando l’attuale letteratura, emerge quindi che l’effetto delle sanzioni economiche e più specifica mente energetiche sulle politiche degli stati bersaglio è un filone ancora poco trattato, ma molto promettente. Ancora meno discusso è l’effetto delle sanzioni sul
Sanzioni e transizione energetica
l’ambiente e sulle politiche di transizione energetica delle sanzioni che, come si è visto, tendono a peggio rare l’efficienza energetica dei paesi bersaglio. Anche quest’ultimo è un filone di ricerca altrettanto, se non più promettente del primo, poiché una delle misure pensate per rendere più applicati i trattati climatici è quella di prevedere sanzioni per gli Stati che non li ri spettano. Così, anche la creazione di un «Club clima tico», similmente a quanto suggerito dal premio Nobel per l’economia Nordhaus, rischia di essere poco effi cace (35). Poiché uno stato che non rispetta le regole del Club non sarebbe incentivato a cambiare compor tamento. Le sanzioni economiche potrebbero, infatti, non svolgere quella funzione coercitiva sugli stati non
NOTE
virtuosi, ma anzi ostacolerebbero il rispetto degli obiet tivi di riduzione delle emissioni previsti dal Club. Così, in un’ottica di lotta ai cambiamenti climatici e più in generale di transizione energetica, le sanzioni andreb bero riconsiderate. In conclusione, le sanzioni sono efficaci per danneg giare l’economia dello Stato bersaglio, talvolta meno a ottenere i risultati politici che gli Stati sanzionatori hanno prefigurato. Pertanto, disporre di una mag giore comprensione degli effetti delle sanzioni sul settore energetico del Paese sanzionato, non avan zerà semplicemente la conoscenza della teoria e della pratica, ma avrà anche effetti positivi in ambito di policy making 8
(1) Peter Brunt, «The Megarian Decree», in The American Journal of Philology, n. 3/1951, pp. 269-282.
(2) Anthony McGrew, «The Logics of Economic Globalization», In Global Political Economy edito da John Ravenhill, Capitolo 10, 2020, Oxford: Oxford University Press.
(3) Itay Fischhendlera, Lior Hermanb, Nir Maoz, «The political economy of energy sanctions: Insights from a global outlook 1938 –2017», in Energy Research & Social Science 34/2017, pp. 62-71.
(4) Charles Issawi (1978) The 1973 Oil Crisis and After, In Journal of Post Keynesian Economics, 1:2, 3-26, DOI: 10.1080/01603477.1978.11489099.
(5) Oliver Geden, «The Paris Agreement and the inherent inconsistency of climate policymaking», in WIRES Climate Change, n. 6/2016, pp. 790-797.
(6) Bruce Wilson, Luan Ho Trieu and Bruce Bowen, «Energy efficiency trends in Australia», in Energy Policy, n. 4/1994, pp. 287-295.
(7) International Energy Agency (IEA), Energy efficiency and economic stimulus, IEA, Paris, 2020.
(8) Wei Max, Patadia Shana and Kammen Daniel, «Putting renewables and energy efficiency to work: How many jobs can the clean energy industry generate in the US?», in Energy Policy, n. 2/2010, pp. 919-931.
(9) Come si evince dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen sull’energia del 7 settembre 2022, quando ha tracciato i diversi passaggi che l’Europa sta intraprendendo per far fronte alla crisi energetica. Tra questi, gli investimenti e il sempre maggiore affidamento alle rinnovabili è ciò che renderà l’UE «indipendente» secondo le parole della Presidente della Commissione europea. European Commission. «Press statement by Ursula von der Leyen, President of the European Commission, on energy». In Speech 5389/2022.
(10) Julia E. Sullivan, Dmitriy Kamensky, «How cyber-attacks in Ukraine show the vulnerability of the U.S. power grid», in The Electricity Journal, n. 3/2017, pp. 30-35.
(11) Robert Pape, «Why economic sanctions still do not work», in International Security, n. 1/1998, pp. 66-77.
(12) Gary Hufbauer, Jeffrey Schott, «Economic Sanctions reconsidered: history and current policy», Institute for International Economy, Washington DC, 1985.
(13) Drury A. Cooper, «Revisiting Economic Sanctions Reconsidered», in Journal of Peace Research, n. 4/1998, pp. 497–509.
(14) Robert Pape, «Why economic sanctions still do not work», in International Security, n. 1/1998, pp. 66-77.
(15) Le tre strategie di pressione economica internazionale sono per Pape: «economic sanctions, trade wars, and economic warfare». Robert Pape, «Why Economic Sanctions Do Not Work», in International Security, n. 2/1997, pp. 90-136.
(16) Ibidem.
(17) William H. Kaempfer, Anton D. Lowenberg, «Unilateral Versus Multilateral International Sanctions: A Public Choice Perspective», in International Studies Quarterly, n. 1/2002, pp. 37-58.
(18) Patrick M. Weber, Gerald Schneider, «How many hands to make sanctions work? Comparing EU and US sanctioning efforts», in European Economic Review, 1/2020, pp. 1-23.
(19) Kimberly Ann Elliot, «UN sanctions after the Cold War: New and evolving standards of measurement», in International Journal, n. 1/2010, pp. 85-97.
(20) Donald G. Boudreau, «On creating a United Nations sanctions agency » in International Peacekeeping, n. 4/1997, pp. 115-137.
(21) Morgan Clifton, Navin Bapat, Yoshiharu Kobayashi, «Threat and imposition of economic sanctions 1945-2005: Updating the TIES dataset», in Conflict Mana gement and Peace Science, 5/2014, pp. 541-558.
(22) Thomas J Biersteker, Sue E Eckert, Marcos Tourinho and Zuzana Huda�kova�, «UN targeted sanctions datasets (1991–2013)», in Journal of Peace Research , n. 3/2018, pp. 404-412.
(23) Ibidem.
(24) Itay Fischhendlera, Lior Hermanb, Nir Maoz, «The political economy of energy sanctions: Insights from a global outlook 1938 –2017», in Energy Research & Social Science 34/2017, pp. 62-71.
(25) Ibidem.
(26) Yin E. Chen, Qiang Fu, Xinxin Zhao, Xuemei Yuan, Chun-Ping Chang, «International sanctions’ impact on energy efficiency in target states», in Economic Mo delling, n. 82/2019, pp. 21-34.
(27) Xuemei Liu, «Explaining the relationship between CO2 emissions and national income: the role of energy consumption», in Economic Letters, n. 3/2005, pp. 325-328.
(28) Yin E. Chen, Qiang Fu, Xinxin Zhao, Xuemei Yuan, Chun-Ping Chang, «International sanctions’ impact on energy efficiency in target states», in Economic Mo delling, n. 82/2019, pp. 21-34.
(29) Itay Fischhendlera, Lior Hermanb,Nir Maoz, «The political economy of energy sanctions: Insights from a global outlook 1938 –2017», in Energy Research & Social Science 34/2017, pp. 62-71.
(30) Liudmila Popova, Ehsan Rasoulinezhad, «Have Sanctions Modified Iran’s Trade Policy? An Evidence of Asianization and De-Europeanization through the Gravity Model», in Economies, 4/2016, pp. 241-15.
(31) Frank Verrastro, «How Low Can Venezuelan Oil Production Go?», in CSIS analysis, 2018. https://www.csis.org/analysis/how-low-can-venezuelan-oil-production-go.
(32) European Commission, REPowerEU: Joint European Action for More Affordable, Secure and Sustainable Energy (COM/2022/108), 8 March 2022.
(33) Patrik Söderholm, «The green economy transition: the challenges of technological change for sustainability», Sustainable Earth, n. 6/2020, pp. 1-11.
(34) John Roberts, Julian Bowden, «The EU’s plans to replace Russian gas: Aspiration and reality», in Atlantic Council, 2022.
(35) William Nordhaus, William, «Climate Clubs: Overcoming Free-Riding in International Climate Policy», in American Economic Review, n. 4/2015, pp. 1339-70.
Introduzione
Col Decreto legge del 1° marzo 2021, n. 22, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle at tribuzioni dei Ministeri», convertito in legge, con mo dificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 aprile 2021, n. 55, il Ministero della tutela del territorio e del mare lascia il posto al Ministero della transizione ecologica.
Tale cambiamento è stato adottato poiché è stato re putato necessario istituire un ministero dedicato alla transizione ecologica che riunisse le competenze del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con le attribuzioni in materia di energia ripar tite, fino ad allora, tra altri dicasteri.
Al di là delle differenze lessicali rileva sottolineare la profonda operazione di cambiamento che è attualmente in atto in via Cristoforo Colombo, storica sede del Mi nistero che inizialmente si chiamava dell’Ambiente.
Con il DPCM nr.128 del 29 luglio 2021, pubblicato nella G.U. nr. 228 del 23 settembre 2021, al Ministero
sono iniziate le operazioni di cambiamento e, tra le più significative, si sottolinea la creazione di tre Diparti menti, affidati a tre autorevoli donne, due preesistenti alla creazione del MITE (DIPENT e DITEI), mentre il terzo è quello che accorpa in sé due vecchie Direzioni generali del MISE (Ministero dello sviluppo econo mico), alle quali si associa una terza Direzione generale del soppresso MATTM, in modo da costituire un’unica entità deputata alla gestione delle risorse energetiche e di conseguenza seguire le complesse fasi di quello che correntemente chiamiamo transizione energetica, vale a dire quel complesso sistema che consentirà al paese di percorrere un progressivo cammino che lo porterà all’abbandono dell’energia fossile per lasciare spazio alla produzione di energia da fonti rinnovabili e di ri durre progressivamente le emissioni in atmosfera dei cosiddetti gas serra che tanto influiscono nei cambia menti climatici in atto.
Per l’attuazione degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di competenza del Dicastero,
è stata istituita l’Unità di missione, articolata in una struttura di coordinamento ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, in due uffici di livello dirigenziale generale, con durata fino e non oltre il 31 dicembre 2026. Tale unità di missione rap presenta il punto di contatto con il Servizio centrale per il PNRR per l’espletamento degli adempimenti previsti dal Regolamento (UE) 2021/241, relativamente agli in terventi di competenza del Ministero della transizione ecologica.
Storia e competenze
Il Dicastero, il cui antesignano era il Dipartimento per l’ecologia, fu istituito, come Ministero dell’Am biente, con la legge 349/1986, assumendo funzioni at tribuite in precedenza al Ministero dei lavori pubblici e al Ministero per i beni culturali e ambientali, quali tu tela della biodiversità, degli ecosistemi e del patrimo nio marino-costiero, salvaguardia del territorio e delle acque, politiche di contrasto al cambiamento climatico e al surriscaldamento globale, sviluppo sostenibile, ef ficienza energetica ed economia circolare, gestione in tegrata del ciclo dei rifiuti, bonifica dei Siti d’interesse nazionale (SIN), valutazione ambientale delle opere strategiche, contrasto all’inquinamento atmosfericoacustico-elettromagnetico e dei rischi che derivano da prodotti chimici e organismi geneticamente modificati.
Successivamente, grazie alla riforma Bassanini, rea lizzata mediante il d.lgs. n. 300/1999, la struttura as sunse la denominazione di Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Nel 2006 il dicastero assunse la denominazione di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), ampliando le proprie competenze in materia di protezione del mare.
La necessità crescente di focalizzare le risorse su nuove forme di energia rinnovabile, la politica energe tica in riferimento ai combustibili alternativi, il contra sto ai cambiamenti climatici e al danno ambientale alla gestione dei rifiuti, la promozione dell’economia cir colare e l’uso efficiente delle risorse, sono alla base della nuova denominazione e dell’attribuzione di nuove competenze che ha dato origina alla nuova denomina zione Ministero della Transizione Ecologica (MiTE).
Il Ministero svolge anche un ruolo di indirizzo e vi gilanza sulle attività dell’Istituto Superiore per la Pro tezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dei parchi nazionali e delle aree marine protette. Promuove le buone pratiche ambientali, la mobilità sostenibile e la rigenerazione urbana secondo criteri di sostenibilità. Si occupa della promozione dell’educazione ambientale nelle scuole.
Il Ministero si avvale della collaborazione delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera grazie alla pre senza presso i propri edifici del Reparto Ambientale Marino (RAM), incardinato tra gli uffici di diretta collaborazione del Ministro e del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri (CUTFAA).
Organizzazione attuale
Attualmente il MiTE, oltre agli uffici di diretta col laborazione con gli organi di indirizzo politico, si arti cola in 3 Dipartimenti, a cui afferiscono le rispettive direzioni con diverse competenze:
Dal Ministero della Tutela del territorio e del mare al Ministero della transizione ecologica.1) Dipartimento amministrazione generale, pianifica zione e patrimonio naturale (DiAG) che esercita, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, le competenze del Ministero in materia di gestione delle risorse umane e degli acquisti, digitalizzazione e comunicazione, affari europei e internazionali e patrimonio natura listico e mare, focalizzandosi sull’innovazione tec nologica, digitalizzazione e comunicazione; sulla programmazione europea, affari europei e interna zionali; sulla biodiversità, aree protette, difesa del mare e tutela degli ambienti costieri e marini. Si suddivide in 4 direzioni:
— Direzione generale risorse umane e acquisti (RUA);
— Direzione generale innovazione tecnologica e comunicazione (ITC);
— Direzione generale attività europea e interna zionale (AEI);
— Direzione generale patrimonio naturalistico e mare (PNM).
2) Dipartimento sviluppo sostenibile (DiSS) che eser
cita, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, le compe tenze del Ministero in materia di economia circo lare, inclusa la definizione e implementazione della relativa strategia nazionale; uso sostenibile del suolo e delle risorse idriche, risanamento dei siti contaminati, esercizio dell’azione di risarcimento del danno ambientale, valutazioni e autorizzazioni ambientali, bioeconomia e finanza sostenibile. È organizzata in 3 direzioni:
— Direzione generale e economia circolare (EC);
— Direzione generale uso sostenibile del suolo e delle risorse idriche (USSRI);
— Direzione generale valutazioni ambientali (VA).
3) Dipartimento energia (DiE), che esercita, ai sensi del l’articolo 2, comma 5, le competenze del Ministero in materia di infrastrutture e sicurezza dei sistemi energetici e geominerari, approvvigionamento, effi cienza e competitività energetica, promozione delle energie rinnovabili e gestione degli incentivi energia. Si articola in 3 direzioni:
— Direzione generale infrastrutture e sicurezza (IS);
— Direzione generale competitività ed efficienza energetica (CEE);
— Direzione generale incentivi energia (IE).
Inoltre, rileva segnalare che è stata istituita un’Unità di missione per il PNRR, a struttura dipartimentale, al fine di gestire i vari progetti e fornire un valido sup porto tecnico.
L’unità di missione cura i molteplici aspetti relativi al funzionamento del sistema di governance per accelerare e razionalizzare il processo di attuazione, nonché elabora apposite analisi organizzative volte a verificare miglio rare l’efficacia del processo di attuazione del PNRR e nella valutazione, da un punto di vista tecnico, degli ef fetti e dell’efficacia delle proposte normative in materia.
L’Unità di missione individua e coordina tutte le at tività necessarie per l’attuazione degli interventi previ sti nel PNRR, anche mediante azioni di impulso e di monitoraggio, sulla base delle direttive del Ministro.
L’obiettivo della transizione ecologica
La politica energetica europea attraverso l’European Green Deal ha definito nuovi obiettivi energetici e cli matici estremamente ambiziosi che richiederanno la ri
Dal Ministero della Tutela del territorio e del mare al Ministero della transizione ecologica.duzione dei gas climalteranti al 55 per cento «fit for 55», nel 2030 e alla neutralità climatica nel 2050.
L’Italia è stato uno dei paesi promotori delle politi che di decarbonizzazione, lanciando numerose misure che stimolano investimenti importanti a favore dello sviluppo rinnovabile e dell’efficienza energetica.
Nel periodo 1990-2019, le emissioni totali di gas serra in Italia si sono ridotte del 19% (Total CO2 equi valent emissions without land use, land-use change and forestry), passando da 519 a 418 milioni di tonnellate CO2 equivalente.
Di queste le emissioni del settore delle industrie energetiche rappresentano circa il 22%, quelle delle in dustrie manifatturiere il 12% con riferimento ai con sumi energetici e il l’8% con riferimento ai processi industriali, quelle dei trasporti il 25%, mentre quelle del civile (residenziale, servizi e consumi energetici agricoltura) rappresentano il 19% circa. Non vanno pe raltro trascurate le emissioni prodotte dai rifiuti (4%) e quelle prodotte da coltivazioni e allevamenti (7%), dal momento che queste ultime sono caratterizzati da ridu zioni piuttosto contenute.
La suddetta riduzione rappresenta un risultato im portante, ma ancora lontano dagli obiettivi 2030 e 2050
Le azioni della transizione ecologica hanno lo scopo di raggiungere obiettivi strategici di decarbonizzazione e l’incremento della quota di energie rinnovabili. Per raggiungere questo obiettivo l’Italia può fare leva sul l’abbondanza di risorse rinnovabili, sole, vento e mare, a disposizione e soprattutto sulle nuove tecnologie oggi disponibili per la produzione di energia da fonti rinno vabili rispetto alle fonti fossili.
L’obiettivo è quello di sostenere la realizzazione di sistemi di generazione di energia rinnovabile off-shore, che combinino tecnologie ad alto potenziale di svi luppo con tecnologie più sperimentali (come i sistemi che sfruttano il moto ondoso), in assetti innovativi e in tegrati da sistemi di accumulo. In questo contesto si in serisce la creazione di impianti eolici, da realizzarsi anche in parchi situati in aree marine (il c.d. «eolico off-shore»).
L’Italia, avendo una notevole linea di costa affac ciata sul mare Mediterraneo, un mare ancora oggi ri tenuto «tranquillo» dal punto di vista delle perturbazioni atmosferiche, ben si presta alla realiz zazione di questa tipologia di impianti e di tutta l’in
per raggiungere i nuovi target del PNIEC (Piano Na zionale Integrato Energia e Clima). Dal Ministero della Tutela del territorio e del mare al Ministero della transizione ecologica.frastruttura necessaria al loro utilizzo, tra le quali spicca per ordine d’importanza la rete elettrica nazio nale indispensabile per il suo trasporto.
Un altro passo fondamentale riguarda la possibilità di una produzione agricola sostenibile con produzione energetica da fonti rinnovabili e con l’obiettivo di dif fondere impianti agro-foto-voltaici di medie e grandi dimensioni, contribuendo in tal modo a incrementare la sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte.
Il fine è quello di rendere più competitivo il settore agricolo, riducendo i costi di approvvigionamento ener getico, migliorando al contempo le prestazioni clima tiche-ambientali.
Per quanto riguarda la strategia europea sull’idro geno, nel luglio 2020, ha previsto una forte crescita del l’idrogeno verde nel mix energetico, per far fronte alle esigenze di progressiva decarbonizzazione di settori con assenza di soluzioni alternative. La strategia euro pea prevede un incremento nel mix energetico fino al 13-14 per cento entro il 2050, con un obiettivo di nuova capacità installata di elettrolizzatori per idrogeno verde pari a circa 40 GW a livello europeo.
Infine, assume grande importanza un’economia cir
colare basata sul riutilizzo dei prodotti che, nel recente passato, con troppa facilità venivano considerati rifiuti; un elemento strategico e rilevante per il raggiungimento dei target di decarbonizzazione europei, è lo sviluppo del biometano, ottenuto massimizzando il recupero energetico dei residui organici. Il biometano può con tribuire al raggiungimento dei target al 2030 con un ri sparmio complessivo di gas a effetto serra rispetto al ciclo vita del metano fossile tra l’80 e l’85 per cento.
Conclusioni
Confidare nella transizione ecologica per una na zione come l’Italia risulta fondamentale, in quanto la possibilità di disporre di finanziamenti mirati a un efficientamento energetico risultano indispensa bili per l’industria a forte vocazione manifatturiera del nostro paese. L’obiettivo è quello di abbando nare l’uso di combustibili fossili, ricorrendo a fonti di energia rinnovabili, per dare un nuovo impulso produttivo e soprattutto incidere in maniera rapida e determinante all’abbattimento significativo dei GHG ( green house gasses ) i cui effetti deleteri sul clima stiamo sperimentando di anno in anno con crescente disagio. 8
Dal Ministero della Tutela del territorio e del mare al Ministero della transizione ecologica.Geopolitica dinamica dell’energia
Gino Lanzara Rivista Marittima Luglio-Agosto 2022 Capitano di fregata (CM); laureato in Management e Comunicazione d’impresa e anche in Scienze Diplomatiche e Strategiche. Analista e studioso di geopolitica e di sicurezza, collabora in materia con diverse testate.La sicurezza energetica, oggi più che mai costituisce uno dei punti cardine della stabilità, cui non è estranea una gestione economica diversificata che, alla luce della transizione energetica, comporta sì forti investimenti, ma evita di dover rimettere la propria sorte in altre ed autocratiche mani.
Dissipiamo la nebbia alla Clausewitz, e chia riamo un concetto spesso negletto; per evitare fuorvianti massimalizzazioni è necessario es sere coscienti che la geopolitica è materia trasversale e che per poterla apprezzare sono necessarie flessibilità razionale e, soprattutto, apertura mentale verso un com plesso di discipline che, partendo dall’economia, pas sando per geografia e storia, senza tralasciare gli aspetti sociali, permettono di analizzare armonicamente un quadro ampio e completo delle situazioni. Non si ritiene
dunque sbagliato ampliare lo spazio concettuale inclu dendo geoeconomia e geostrategia; per Eduardo de Fi lippo gli esami non finiscono mai; aggiungiamo per fortuna, escludendo così qualsiasi limitazione all’ap profondimento. Nulla è statico, tutto è dinamico, come l’energia, materia complessa; associarla a valutazioni geopolitiche rende ancor più difficile la sua declina zione. L’eterogeneità dei suoi vari aspetti caratterizzanti la porta ad essere argomento coinvolgente, specialmente quando viene rammentata la sua evoluzione storica,
vista l’influenza esercitata dagli e sugli eventi succedu tisi nel tempo. A partire dagli shock petroliferi, passando per le Primavere arabe senza dimenticare il persiano Mossadeq, fino a giungere ai punti di faglia rappresen tati dalle crisi siriana e ucraina, gli ambiti economici si intrecciano con quelli politici. È da quando è iniziato il fenomeno che ha visto progredire la dipendenza ener getica dell’Ovest che diversi paesi hanno avvertito la necessità di concretizzare politiche non allineate con le regole di mercato determinate solo dalla domanda; è stato così che l’OPEC (1) ha potuto proporsi come or ganizzazione intergovernativa con scopi politici ed eco nomici ambivalenti. La geopolitica dell’energia, alla luce degli sviluppi ucraini, è forse lo strumento più utile a fornire i mezzi necessari ad affrontare gli interrogativi pendenti sul futuro occidentale prossimo venturo, te nendo conto che l’auspicato superamento dell’uso delle risorse energetiche fossili si sta rivelando molto più complicato di quanto auspicato, e che i titoli dei gior nali, oltre il sensazionalismo d’occasione, non riescono ad esprimere la compiutezza del problema e le inerenti dinamiche. La crisi energetica innescata dall’invasione russa ha evidenziato le difficoltà esistenti già dal 2020, rendendo evidente come e quanto l’economia globale sia vincolata a petrolio e gas. Le variabili incidenti sui prezzi sono state mutevoli; mentre nel 2020 il mercato ha subito il condizionamento di uno shock relativa mente alla fluttuazione della domanda, nel 2021 si è de lineato uno scenario di maggior consumo caratterizzato dall’instabilità dell’offerta. L’escalation dei prezzi ha messo in movimento geopolitica e geoeconomia, coin volgendo l’Opec Plus (2), che ha influito sul volume produttivo incidente sui prezzi sul mercato, andando a intaccare tenuta politica e stabilità economica generali; non a caso l’amministrazione Biden si è contrapposta a diversi produttori ritenuti responsabili del mancato in cremento utile a calmierare i prezzi. Non c’è dubbio che le incertezze generate da pandemia, guerre e politiche di decarbonizzazione possano innescare nuovi shock petroliferi. La crisi del 73 fu definita come inattesa, mal grado i segnali lanciati da James E. Akins, ambasciatore statunitense in Arabia Saudita, con l’articolo «This Time the Wolf is Here», in cui si evidenziavano i possibili ri schi innescati dalle tensioni geopolitiche mediorientali
a fronte della crescita della domanda; improvviso fu lo shock del dicembre 98, determinato dal domino reces sivo scatenatosi nel sud-est asiatico; imprevisto lo scos sone generato dall’attacco alle Torri Gemelle; sorprendente la shale revolution (3) americana, che ha colto i mercati impreparati nel comprenderne la svolta tecnologica. In proposito, va rammentato che per l’Eu ropa lo shale gas non è tema diretto, visto che la politica energetica di Bruxelles passa per il green deal (4), ma lo è diventato per via traversa costituendo un asset com merciale americano. Dato il periodo, in tema di em bargo e di shale oil, c’è sicuramente da rilevare il grado di vulnerabilità europea rispetto a quella americana. Il fatto che la shale oil revolution abbia incrementato l’estrazione di petrolio e gas a stelle e strisce, agevola i fraintendimenti, visto che la domanda interna americana non si è esaurita e che gli Stati Uniti hanno bisogno di greggio estero per permettere il funzionamento degli impianti di raffinazione. Il problema si incentra dunque su qualità e tipologia di petrolio necessario (5). L’im pianto sanzionatorio applicato alle importazioni petro lifere russe negli Stati Uniti, infatti, ha determinato il
Geopolitica dinamica dell’energiaGeopolitica dinamica dell’energia
calo non tanto del numero di barili, quanto del tipo di greggio. Fondamentale poi il business del gas, tanto che la Cina stessa, impegnatasi a ridurre le proprie emissioni di CO2 allo zero netto entro il 2060, inizierà l’importa zione di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. Che Pechino compri da Washington non deve sorprendere, visto che si tratta del più grande produttore mondiale di gas, prossimo ad acquisire le infrastrutture indispensa bili a diventarne il primo esportatore marittimo. In somma, geopolitica infiammata, ma accordi commerciali proficui. Del resto anche il presidente Biden non può non dare ascolto alle major energetiche, senza abbandonare la strategia della energy dominance con la Russia, dopo che Washington è passata dall’es sere cliente all’essere competitor dei petrostati tradizio nali. Nihil novi sub sole per un management preparato, nemmeno quando il quotidiano israeliano Haaretz ha ri portato la notizia, stupefacente solo per un parterre su perficiale, per cui l’Arabia Saudita, pur forte delle sue scorte petrolifere, ha espresso agli Stati Uniti la volontà, nel senso più lato della differenziazione economica, di puntare sul nucleare senza perdere la possibilità di ar
ricchire l’uranio (6). Insomma, una prospettiva che non può non far considerare sotto un’altra luce la casistica dei rentier state, ovvero di quei paesi che basano le loro economie sulla rendita garantita da monopoli assicurati o dalla posizione geografica o dall’esclusività del pos sesso di un bene. Cos’altro è la stessa Russia se non un rentier state energetico che non ha saputo diversificare la propria economia? La differenziazione economica, al momento, è aspetto più sensibile nel Golfo Persico, dove le economie si sono inizialmente fondate sulle en trate da vendita di idrocarburi, per indirizzarsi ora verso investimenti nelle risorse rinnovabili, secondo motiva zioni basate sui mutamenti sociali che richiedono un ampio consumo di energia, nel contenimento delle flut tuazioni dei prezzi, nelle problematiche relative al cam biamento climatico. Va da sé che gli approvvigionamenti di combustibile sono soggetti ad aspetti securitari regio nali e globali; a fronte del contenimento dei problemi relativi al trasporto del prodotto sia nell’ambito dei teatri americani grazie ad una strutturata rete di oleodotti, sia in quello africano e del Mare del Nord, il trasporto pe trolifero dal Medio Oriente rimane questione delicatis sima, in quanto vincolata sia alla stabilità interna dei fornitori, sia alla possibilità di utilizzare le rotte interes santi Canale di Suez, Mediterraneo, Stretto di Gibilterra, Oceano Atlantico. La Cina, divenuta il sesto produttore e il terzo consumatore, deve considerare le possibili chiusure dello Stretto di Malacca, optando altrimenti per il reperimento delle risorse russe, iraniane, uzbeke, malesi. I problemi insorgono per le forniture saudite, destinate ad attraversare l’Oceano Indiano costeggiando zone soggette a pirateria, o via oleodotto lungo paesi di transito. Che geografia e politica condizionino le evo luzioni delle relazioni internazionali lo si evince comun que facilmente dall’esame quasi quotidiano delle informazioni; conseguente al regime sanzionatorio in vigore, il sequestro della nave Pegas, battente bandiera russa e carica di petrolio iraniano, ha condotto ad un’azione ritorsiva pasdaran contro due petroliere gre che, cosa che riconduceva repentinamente l’attenzione all’instabilità che avvolge lo Stretto di Hormuz, arteria vitale del trasporto di gas e petrolio che divide la Re pubblica Islamica dalle monarchie del Golfo, e teatro nel quale si continua a svolgere lo scontro asimmetrico
tra Teheran, Washington e Gerusalemme (7). Hormuz, malgrado gli oleodotti, rimane un punto focale per il passaggio idrocarburico, ivi comprese le acque circo stanti dove Iran e Oman usufruiscono del diritto di su pervisione del commercio marittimo in transito. L’area del Middle East North Africa (MENA) rimane rilevante, anche e soprattutto per il suo coinvolgimento finanzia rio; i paesi MENA esportatori di greggio sono stati in teressati dalle crisi Covid-19, dal crollo dei prezzi, dal momento contingente generato dal conflitto ucraino, tutte instabilità che stanno evidenziando vulnerabilità latenti, testimoniate dal costante tentativo di risana mento dei deficit di bilancio con la perequazione della spesa fiscale che si vorrebbe distaccata dai cicli dei prezzi petroliferi che, invece, continuano a caratteriz zare il management della spesa pubblica. Il problema sta nel fatto che l’adozione di una politica fiscale espan siva durante le congiunture favorevoli costringe poi a scelte impopolari durante la contrazione dei prezzi pe troliferi, periodi nei quali la consistenza delle riserve valutarie gioca un ruolo vitale. In linea più generale, ta gliare la produzione per mantenere il livello dei prezzi più elevato può comportare una perdita di quota di mer cato riempita da produttori non aderenti alle politiche riduttive. L’area MENA, di fatto, è esposta a sfide di lungo termine collegate alla transizione energetica ed all’aumento dell’incertezza sulla crescita della domanda petrolifera, sfide affrontabili su quattro livelli: con una strategia di copertura, diversificando le attività e ridu cendo i rischi, combinando entrambe le ipotesi, concen trandosi sul proprio vantaggio competitivo. Il core di una strategia di copertura del rischio, consiste dunque
nella variazione delle esportazioni petrolifere in conco mitanza con la diminuzione della domanda di greggio con nuovi vettori energetici che possano essere prodotti utilizzando infrastrutture petrolifere e gasiere preesi stenti. Questa strategia deve tuttavia contemplare la pos sibilità per cui, con la crescita delle tecnologie decentralizzate, i sistemi energetici saranno caratteriz zati da un’elevata concorrenza. In accezione geoecono mica, si può dunque approfondire il concetto di protezione, utilizzato peraltro da Mahan, intendendolo in senso strategico-commerciale e protezionista. Tenuto conto che la geopolitica della protezione è la prosecu zione della guerra economica in un’arena tecnologica più matura (8), il campo energetico e quello nucleare in particolare, indicano l’importanza di stabilire ade guati standard protettivi e regolamentari che riportano al pensiero di Max Weber in merito al potere ed all’eser cizio monopolistico della violenza (9). Insomma l’eco nomia riveste diversi ruoli di base, che non si limitano al solo aspetto finanziario, ma allargano il campo a va lutazioni strategiche; da un lato le supply chain, oltre alla penuria a est e a ovest di gas e carbone, già dal 2020 presentano problemi nel trasporto marittimo e nella pro duzione di semiconduttori; dall’altro l’incremento del debito, che ha indotto il Congresso americano ad alzare il limite sul debito governativo accumulabile, mentre in Cina il default speculativo del real estate di Evergrande, in stile Lehman Brothers, turba la calma di Xi, vista anche l’interconnessione esistente (10) con altri aspetti produttivi. Di fatto, la capacità di assicurare settorial mente le necessarie forniture energetiche si è affievolita. Considerata l’insufficienza degli investimenti, in tema
Geopolitica dinamica dell’energiadi esaurimento delle risorse non è rilevante l’effettiva riserva o la quantità estratta, ma il flusso giornaliero di potenza utile netta; non è dunque importante il livello assoluto di potenza fungibile assicurata, quanto il livello indispensabile a rendere possibile l’incontro tra richiesta e produzione; nel caso di un’economia espansiva, tale punto si sposta verso l’alto, rendendo la crescita verde incerta, visto che non ci sono effettivi riscontri circa la possibilità di mantenere il trend economico basandoci sulla green technology anche perché il disinvestimento dalle attività che sostengono l’attualità contingente, po trebbe incentivare iniquità sociali. Le crisi che si stanno sperimentando, in sintesi, non sono dunque tutte ricon ducibili a eventi accidentali, ma si poggiano su strutture radicatesi nel tempo; in questo senso, pensare che l’at tuale scarsità di risorse energetiche possa essere risolta con un aumento produttivo saudita o grazie al fracking americano, è fuorviante, come è necessario considerare che se le cause di crisi sono dovute a limiti strutturali, sarà impossibile non considerare il possibile abbattersi di una stagflazione (11). Durante una crisi energetica i prezzi tendono al rialzo ed adottando politiche moneta rie espansive con tassi bassi, si generano ancora più pas sività, attendendo che l’economia reale riparta, ma con l’handicap del debito. Non a caso l’UE è consapevole dell’impossibilità dell’immediato sganciamento dalla Russia, perché si azzopperebbero le economie dei vari paesi, unici controllori locali dei prezzi dell’energia. Di fatto, l’obiettivo del G7 consiste nel ridurre le entrate finanziarie russe, ma non il flusso di petrolio, ricor dando tuttavia come le iniziative prese per il programma iracheno Oil for food e le eccezionalità previste per la
Libia abbiano portato ad ulteriori instabilità (12). E le sanzioni, strumento principe e più immediato della guerra economica? La normale domanda di prodotto è destinata a calare, con un contestuale decremento del costo e con il concretizzarsi di un’ipotesi poco gradita: l’innalzamento del prezzo del greggio di riferimento (il Brent) e lo spostamento degli acquisti di altri paesi, re frattari a linee sanzionatorie comuni, verso il prezzo a miglior mercato, scelta che premierebbe paradossal mente il paese sanzionato e comunque detentore dei maggiori volumi di prodotto esportati. La riuscita delle sanzioni non può concretizzarsi senza un razionamento coordinato delle importazioni da parte di tutti i paesi senza eccezioni, cosa estremamente difficile nel mondo della realpolitik. Dagli anni 80 il consumo energetico è aumentato secondo la percentuale media annua del 2%, con fasi caratterizzate da picchi del 6% alternate a mo menti di stagnazione. La storia dello sfruttamento delle risorse ha insegnato che quel che conta o è invisibile o non lo si è saputo vedere per tempo, e che per la sosti tuzione di qualunque fonte energetica si è atteso il suo esaurimento. Il mercato del gas, con prezzi spot così elevati da caratterizzare una crisi energetica, dà l’idea di cosa possa accadere quando diviene reale uno squi librio strutturale tra domanda e offerta. L’attuale situa zione ha dato modo di vedere l’Europa come un laboratorio geopolitico in attività, ove poter verificare teorie e, soprattutto, constatare gli effetti della realpoli tik; il Vecchio Continente è stato importatore principe di gas russo, secondo i parametri di una dipendenza che rende difficile trovare alternative (13). Il nostro paese è quello che più ricorre al gas naturale secondo percen
Geopolitica dinamica dell’energia Paesi del MENA.tuali quasi pari alla somma delle quote franco tedesche, secondo un paradigma che non può trascurare né la produzione nucleare transalpina (14), né il ricorso ger manico al carbone. Insomma, il Belpaese è energetica mente dipendente dalle forniture esterne, benché (magra consolazione) non possa dirsi il solo; la dipendenza si fonda su elementi strutturali e geografici, laddove è pe raltro molto più economico procedere via tubo, e tenuto conto che cali e problemi produttivi norvegesi ed alge rini, unitamente all’instabilità libica, hanno amplificato la dipendenza da Mosca. L’iceberg della crisi energetica aveva già cominciato a emergere negli ultimi due anni con la pandemia, trovando poi ulteriore spinta con l’in
dotto a una crisi inflattiva generalizzata. A ben vedere, gli elementi di una tempesta recessiva perfetta ci sono tutti, anche nella ormai non troppo lontana Cina. Anche per il gas si è venuta a creare una situazione volatile ca ratterizzata dal rialzo dei prezzi e dal ricorso agli stock disponibili; è nel 2021 che inizia il rally dei prezzi del gas. Il mondo ha fame compulsiva di energia (15); se oltre il 70% della domanda viene ancora soddisfatto grazie alle fonti fossili è perché è difficile superare il gap tecnologico rapportato alle necessità; quando la (presumibilmente ridimensionata) domanda petrolifera riprenderà il suo trend, il mercato dovrà essere pronto a confrontarsi con un’offerta quasi certamente insuffi
vasione russa; nel 2020 la crisi dei consumi dovuta al Covid-19, con i problemi connessi all’approvvigiona mento energetico, ha contribuito a creare situazioni ine dite, dovute a crolli storici dei prezzi al barile che portavano al paradosso per cui si sarebbe dovuto rice vere un compenso per l’acquisto del greggio; stesso an damento per il gas, con ribassi prolungati fino al 2021. Carenza di materie prime e scarso dinamismo di supply chain da diversificare perché non siano appesantite dal carico degli approvvigionamenti, hanno evidenziato le carenze di un sistema troppo rigido in relazione ad ac quisti e distribuzione di beni; il tutto in connessione con la struttura produttiva del sistema globale, che ha con
ciente, fino a giungere ai temuti e ristretti colli di botti glia, accompagnati da insostenibili crescite dei prezzi. Il petrolio rimarrà quindi ancora a lungo risorsa ener getica principale e pivot economico di riferimento, con l’OPEC pronto a coprire il 52% dell’offerta totale. Anche se è difficile individuare il volume della crescita futura della domanda di energia, rimane evidente l’an damento di fondo in considerazione di reddito, demo grafia, progresso tecnologico nel quale si confida per giungere all’abbattimento dei consumi con effetti espansivi sulle economie; la crescita economica rimane dunque legata alla crescita della domanda energetica, da collegare, quanto meno in via teorica, alla teoria del
picco elaborata nel 1956 dal geologo e geofisico ame ricano Marion King Hubbert (16), per cui una volta rag giunta la vetta di massima produzione, questa precipita repentinamente con effetti disastrosi sui prezzi. Tenuto conto che non c’è stata un’individuazione unanime del picco, si prevede che le oscillazioni non si porteranno oltre il 2030, ipotesi contrapposta alla più rassicurante teoria dell’altopiano ondulato del Cambridge Energy Research Associates del Massachussets (17), per cui il livello di produzione, raggiunto il suo massimo, dimi nuisce lentamente, senza traumi improvvisi. Realistica mente, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, il contributo delle risorse fossili, nell’arco dei prossimi
zione complessivamente superiore a quello di ogni altra fonte energetica, si dovrà attendere il XXII secolo, te nendo comunque conto che tali risorse comportano la necessità di impianti ancora molto costosi che, al mo mento, offrono un rendimento molto basso, e con un impatto ambientale non ottimale. La transizione ener getica con le sue rinnovabili obbligherà a essere dipen denti dall’estrazione mineraria di litio, nichel, rame e terre rare, tutti elementi chimici — appunto — non rin novabili, per i quali l’economia circolare non ha alter native in quanto ad approvvigionamenti. A proposito dell’incidenza che il mix energetico esercita sulle emis sioni di carbonio, non c’è dubbio che ogni comparto
30 anni, sarà solo scalfito dalle risorse alternative; quali fonti emergeranno dunque? Nonostante tutto, il carbone rimarrà la risorsa più idonea a sostenere l’aumento della domanda di energia, specie per quanto concerne la pro duzione elettrica nei paesi asiatici, contribuendo così ad aumentare la competitività economica regionale, se guito dal gas metano, con una bassa crescita assoluta del nucleare, che pure ritorna sulla scena, e una ancora più bassa crescita delle rinnovabili, che hanno inciso in maniera ridotta sul mix energetico dell’ultimo cinquan tennio, con una realistica e contenuta previsione di cre scita. Perché si possa affermare di essere entrati nell’era delle rinnovabili, con un peso sul totale della produ
energetico nazionale subirà scelte e orientamenti comu nitari in tema ambientale, cosa che porterà i vari Stati a ripensare il settore strategico dell’energia, con una re visione dei concetti di sovranità e di interesse nazionale, tutelato da una specifica governance di stampo realista che contempli la sicurezza economica quale elemento di benessere collettivo e di sviluppo, in accordo con quanto statuito dalle scuole americana e francese che privilegiano la cura dell’intelligence economica. L’ana lisi dell’energy mix, quantitativo e qualitativo, fornisce il dato utile alla comprensione della realtà economicopolitica, integrata dal particolare uso delle risorse e dalla posizione di terminali e supply chain. Inevitabile con
siderare che l’incremento della domanda energetica nei prossimi decenni richiederà un analogo incremento di capacità produttiva, con un contemporaneo aumento della dipendenza dalle fonti energetiche estere e con la necessità di coordinare, anche da un punto di vista strut turale e di distribuzione geografica, idonei interventi po litico-programmatici che tengano conto di bassi impatti inquinanti, di relativa facilità di estrazione, dei costi col laterali di produzione, trasporto e distribuzione, cui as sociare il vuoto di investimenti che ha reso l’industria petrolifera non in grado di fronteggiare scarsità dell’of ferta o aumento della domanda garantendo prezzi stabili e contenuti. E le scorte? I dati sono incerti se non com pletamente assenti; strategiche, ovvero detenute dai go verni; industriali, ovvero quelle detenute dalle compagnie petrolifere secondo obblighi di legge; obbli gatorie, imposte alle compagnie petrolifere per assicu rare gli approvvigionamenti; tutte con consistenze relative a consumi non superiori ai 90 giorni. Insomma, previsioni da tempo di pace; ma cosa fare quando il pa norama internazionale cambia imprevedibilmente aspetto? Il fondamento sta nella capacità logistica e ope rativa di saper prevedere le evoluzioni, diversificando risorse, politica energetica, realizzando infrastrutture. Nel dopoguerra la penuria di petrolio associata al timore della dipendenza da riserve fin troppo lontane, indusse gli Stati Uniti a considerare un uso massivo del gas, una linea che in Europa ha dovuto attendere le crisi degli anni 70, eccezion fatta per l’Italia, grazie a Enrico Mat tei, che ha valorizzato la via del gas fin dal 50. L’au mento dei prezzi, insieme agli eventi ucraini, ha riportato in primo piano l’atomo, argomento politica mente divisivo, ma che non impedisce a diversi paesi europei di far operare, nel contesto del mantenimento del proprio mix energetico, diversi reattori soggiacenti ad una legislazione securitaria resa ancora più stringente dopo l’incidente di Fukushima del 2011. Interessante e da valorizzare è l’Atto delegato sulla Tassonomia (18), esaminato dalla Commissione europea a febbraio e a lu glio 2022, che non ha potuto non includere, tuttavia con precisi distinguo, il nucleare fra le tecnologie ambien talmente accettabili, sostenibili e in grado di contribuire alla transizione energetica nonché al contenimento delle emissioni di gas a effetto serra. Sia ben chiaro: il nu
cleare ha un costo e gli investimenti da operare per la realizzazione di una centrale sono ammortizzabili alla lunga distanza; questo, tuttavia, non dovrebbe condurre a un’opposizione ideologica tout court, specialmente se si considera che la Germania, pur di spegnere le sue ul time tre centrali ha di fatto accettato un piano di rilancio per l’utilizzo della lignite, il combustibile fossile più in quinante. Razionalmente non ci dovrebbe essere un ab bandono pregiudiziale per la ricerca e lo sviluppo dei reattori nucleari di quarta generazione, gli Small Modu lar Reactors, benché i tempi di realizzazione di una cen trale non agevolerebbero di certo il celere sganciamento dai fornitori energetici d’oltre frontiera, e ci sarebbe co munque da risolvere la querelle incentrata sullo smalti mento delle scorie radioattive. Intanto il declino costruttivo nucleare degli anni 80 e 90 si è invertito, con nuove centrali in Cina, Corea, India, Russia, Francia e Regno Unito destinate a implementare la produzione più pregiata, quella di energia elettrica. Chi non produce direttamente energia atomica è destinato a importarla, specie se deve sostenere un’economia industrializzata ed evoluta. Italia e Danimarca non posseggono centrali, ma importano forti quantità di energia nucleare; nel 2021 il nostro paese ha acquistato 42,8 terawattora (twh) di energia elettrica, energia proveniente da cen trali nucleari francesi, svizzere o slovene, vicine ai con fini. Il gas naturale, di recente salito prepotentemente alla ribalta, è stata una risorsa a lungo poco valorizzata poiché considerata come un sottoprodotto petrolifero, e che presenta un legame territoriale particolarmente mar cato; solo ultimamente (19) è stato considerato quale strumento di politica estera per il quale si stanno realiz zando infrastrutture di rilevanza geopolitica prima an cora che economica. Per effetto della preclusione dell’OPEC agli investimenti stranieri, la produzione di gas naturale è squilibrata rispetto alla distribuzione delle riserve. Il mercato del gas non ha un organismo di coor dinamento produttivo e di politica estera come l’OPEC per il petrolio, anche se esiste già il Forum dei Paesi Esportatori di Gas; quel che presenta sono variabili geo politiche collegate ad equilibri regionali. La pratica so vietica di utilizzare il gas come strumento politico è tornata di moda nell’ultimo decennio, tanto che nella sua tesi di dottorato lo stesso Putin ha affermato che «la ri
nascita della Russia come potenza globale è legata alle sue ricchezze di energia», e ha portato alla scelta ragio nata di clienti più solvibili rispetto a quelli dell’Europa orientale. L’uso del gas come arma politica si sintetizza nel decidere a chi vendere, con quali modalità ed in quali quantità, un trend a cui si è cercato di ovviare con la rea lizzazione di gasdotti realizzati bypassando territori per tinenti ad attori politicamente poco empatici Gli elettrodotti, o i sistemi via tubo, che portino greggio o gas poco importa, innervano dunque il sistema di ap provvigionamento e di sostegno, ma soggiacciono a di namiche che individuano nodi geopolitici spesso difficili da sciogliere. Nel Mediterraneo orientale Turchia, ed Egitto (20) in sinergia diretta non mediata da Cipro con la Grecia (21), ambiscono alla posizione di hub energe tico, innescando peraltro pericolosi revisionismi delle ZEE; all’Eastmed in passato è stato affiancato il Nord Stream 2 che, nel tempo, ha evidenziato la miopia poli tica delle scelte continentali. Considerato che non si potrà non tenere conto delle valutazioni di fattibilità e sostenibilità, Eastmed ha comunque dimostrato come il sistema approvvigionativo energetico crei dipendenze politiche, aspetto che riporta alla già accennata e fonda mentale diversificazione (22), specie alla luce della con sistenza di prodotto disponibile al largo delle coste israeliane ed egiziane che riacuisce però tutte le fragilità
regionali collegate alla presenza, in Libano, della Mez zaluna Sciita iraniana. La guerra russo-ucraina, come tutti i conflitti, ha incrementato l’importanza di alcuni attori che hanno, quindi, il vantaggio di poter cogliere il momento favorevole per giocare un ruolo sempre più centrale nella partita globale dell’energia. Se l’eroga zione delle forniture di gas ha sempre avuto come sbocco privilegiato i mercati asiatici, il tentativo di sgan ciamento dell’UE dal gas russo offre ai paesi mediorien tali la prospettiva di ampliare la rete dei propri partenariati energetici. L’Egitto, ad esempio, che esporta la maggior parte del proprio gas in Pakistan, Cina e India, potrebbe ritrovarsi con questo partenariato al cen tro di un nuovo importante corridoio energetico, mentre Israele (23) riveste una rilevanza significativa grazie al maxi-giacimento Leviathan, a 130 chilometri da Haifa, con riserve stimate di circa 600 miliardi di metri cubi, seconde solo a quelle di Zohr. Rimane da comprendere chi si vorrà davvero beneficiare, nel breve periodo, tra oriente e occidente, dei flussi energetici anche alla luce di disponibilità ed efficienza infrastrutturale. Del resto, proprio quest’ultimo periodo ha consegnato alle crona che eventi che, in un’apparente paradossalità, in tema energetico e finanziario hanno colpito l’immaginario: il fiume azzurro di gas ha continuato finora, sia pur a sin ghiozzo, a scorrere, generando cospicui flussi finanziari
Geopolitica dinamica dell’energia (euractiv.it).all’ombra delle proposte di un price cap quanto mai dif ficile da stabilire. Secondo l’Economist, proprio gli in troiti derivanti dalla vendita dei combustibili hanno generato almeno nell’ultimo decennio quattro trilioni di dollari che hanno equipaggiato le truppe impegnate nel l’invasione ucraina; l’argent est le ressort principal de la guerre, lo è sempre stato, perché dovrebbe mutare solo ora? Il decoupling sanzionatorio occidentale con la Russia ha prodotto due conseguenze geopolitiche di ri lievo: la possibilità che Mosca dirotti le sue forniture energetiche verso Cina ed India, e che crei per sé stessa un inedito ruolo strategico nel momento della transi zione energetica che, tuttavia, non impedisce né a Saudi Aramco di alzare gli investimenti a 40-50 miliardi di dollari annui, né, agli americani, di bussare alle porte del, fino a ieri rogue, Venezuela. La nuova geopolitica, in fondo, potrebbe generare nuove potenze, con un caro energia capace di portare i paesi in recessione tecnica. La crescita inflattiva, determinata dall’aumento del costo delle materie prime porterebbe a nuovi e destabi lizzanti populismi, mentre le prossime elezioni ameri cane di mid-term risentirebbero dell’aumento dei prezzi con l’arrivo della temuta economia di guerra. Insomma, l’energia costituisce un indicatore immediato delle con dizioni politiche regionali e globali. Voce da considerare obbligatoriamente nel momento della deflagrazione dei conflitti, la politica delle risorse gioca due ruoli deter minanti, frontale e asimmetrico, incidendo sugli equili bri esistenti tra le urgenze incombenti e gli obiettivi di sostenibilità a più lunga scadenza. La sicurezza energe tica, oggi più che mai costituisce uno dei punti cardine della stabilità, cui non è estranea una gestione econo
mica diversificata che, alla luce della transizione ener getica, comporta sì forti investimenti, ma evita di dover rimettere la propria sorte in altre ed autocratiche mani. Il problema tuttavia risiede nella staticità, nel non saper reagire costruttivamente alle conseguenze delle non sempre ben ponderate decisioni precedenti, cosa che nel panorama europeo evidenzia iniziative politiche auto nome e non all’insegna della condivisione. L’energia tocca tasti importanti: ricchezza, produttività, equilibrio di potenza; il progresso tecnologico che ha premiato lo sfruttamento massivo dello scisto bituminoso (roccia sedimentaria), non solo ha compensato il lato econo mico, ma ha ristabilito un bilanciamento strategico delle risorse anche in sede finanziaria globale. La crisi ucraina ha di fatto anticipato drammaticamente un mo mento critico, quello in cui l’Occidente dovrà decidere senza demagogia come affrontare il suo futuro, consi derata l’esauribilità delle risorse fossili, le difficoltà dif fuse con le inevitabili e drammatiche conseguenze sociali. È certo che la transizione energetica globale por terà ad una geoenergia foriera di punti di faglia nei paesi esportatori di combustibili fossili; ma è anche vero che l’ingegno è vedere possibilità dove altri non ne vedono. Sono le parole di Enrico Mattei, un italiano, un sogna tore pragmatico che ha lasciato in eredità, a un paese energivoro e privo di materie prime, la capacità di pla smare, con il lavoro e l’impegno, il proprio futuro. Era un uomo d’altri tempi, è vero, ma è stato un uomo che, passato attraverso la guerra, ha saputo vedere le possi bilità. Non è facile, mai nulla lo è; ma è possibile. A noi, ora, sognando pragmaticamente, sta guardare ancora una volta al futuro. 8
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NOTE
(1) Organization of the Petroleum Exporting Countries, istituita nel 1960 a Baghdad da 5 paesi (Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Venezuela). In seguito tra il 1961 e il 2018 si sono in seguito aggiunti altri paesi: Algeria, Angola, EAU, Ecuador, Gabon, Libia, Nigeria, Guinea Equatoriale, Repubblica Democratica del Congo. Il Qatar, entrato nel 1961, è uscito nel 2019. L’OPEC è un cartello con lo scopo di unificare e coordinare le politiche di produzione ed esportazione del petrolio; svolge la funzione di mediazione fra i loro interessi e protegge le loro economie contrastando le flessioni di prezzo del greggio.
(2) Diversi grandi produttori mondiali di petrolio non fanno parte dell’OPEC. Per rimediare l’OPEC si è associata in maniera più ufficiosa con alcuni paesi; questa al leanza dell’OPEC con altri 10 paesi produttori, creatasi nel 2016, Da allora, l’OPEC si riunisce con Russia, Messico, Kazakistan, Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Malesia, Oman, Sudan, Sudan del Sud. I paesi OPEC+ non sono vincolati al rispetto delle decisioni prese dall’OPEC, specie quelle afferenti alle quote produttive, ma possono avere scambi con i concorrenti a seconda delle condizioni del mercato internazionale.
(3) https://www.strausscenter.org/energy-and-security-project/the-u-s-shale-revolution/.
(4) Insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione UE con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
(5) Light Sour.
(6) Da ricordare per gli interessi nucleari: Emirati Arabi Uniti, Turchia, Bangladesh, Bielorussia, Egitto, Giordania; ovvero produttori di petrolio e paesi poveri che cercano la via dello sviluppo.
(7) L’Arabia Saudita è il principale esportatore di petrolio; seguono Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Iran e Qatar, la Cina il più grande importatore, seguita da India, Giappone Corea del Sud e Singapore.
(8) Alessandro Aresu, Limes, La rete a stelle e strisce, 2018.
(9) Michele Basso, Max Weber. Tipi di Monopolio, Università degli Studi di Padova, 2020.
(10) I fertilizzanti sono prodotti in via quasi esclusiva col gas. Prezzi alti del gas causano prezzi alti delle derrate alimentari, causa primaria delle Primavere arabe del 2011. Da considerare anche produzione e impiego delle plastiche
(11) Indica la situazione in cui sono presenti nello stesso mercato e nello stesso momento sia l’aumento generale dei prezzi (inflazione), sia la mancanza di crescita economica in termini reali (stagnazione).
(12) La transizione energetica deve essere unita in Africa a una politica di sviluppo che eviti che la contrazione delle rendite dovuta al progressivo abbandono dei fossili (vd. Algeria e Libia) alimenti instabilità sociale.
(13) Per ridurre in breve tempo la dipendenza energetica dalla Russia, l’UE potrebbe investire in due infrastrutture: un gasdotto con la Spagna (che ha 6 rigassificatori) per portare in Italia il gas liquefatto, e un interconnettore per recapitare in Grecia l’elettricità prodotta in Egitto. I flussi non seguirebbero più un percorso da est a ovest, ma da ovest a est e da sud verso nord.
(14) Copre i 2/3 del fabbisogno elettrico nazionale.
(15) Aspettativa di vita delle fonti energetiche: petrolio 40 anni, gas naturale 60 anni, carbone 150 anni.
(16) Marion King Hubbert, Nuclear Energy and the Fossil Fuels Drilling and Production Practice, Spring Meeting of the Southern District Division of Production. American Petroleum Institute, San Antonio, Texas, Shell Development Company, giugno 1956.
(17) Presieduta da Daniel Howard Yergin, ricercatore americano nel settore energetico ed economico.
(18) La tassonomia è un elenco di regole che indirizza gli investimenti verso impatti ambientali positivi, accelerando l’implementazione del Green Deal. Individua fonti energetiche capaci di sostenere le rinnovabili intermittenti p. es. in caso di mancanza di vento e di sole, garantendo stabilità alla rete elettrica.
(19) Secondo gli operatori del settore, alla base del successo del Gnl c’è la tecnologia evoluta per il trasporto che permette di venderlo anche in paesi molti distanti dai luoghi di estrazione e produzione. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, entro il 2040 la quantità di gas trasportato attraverso gli oceani sarà maggiore di quello trasportato attraverso i gasdotti.
(20) Gli impianti di liquefazione egiziani permetterebbero al continente europeo di accedere ai giacimenti del Mediterraneo orientale senza essere costretti a realizzare gasdotti complessi come l’Eastmed; L’uso dell’impianto di Damietta, data la proprietà ENI, potrebbe peraltro favorire l’Italia. (21) I cavi elettrici sottomarini e bidirezionali tra Grecia ed Egitto erano già stati pianificati nel 2008; Primavere arabe e regime change in Egitto hanno bloccato i lavori. Il completamento dell’infrastruttura richiede 6/8 anni. Segnalata la preferenza americana per gli interconnettori, c’è da ricordare EuroAsia, il progetto di inter connessione tra le reti elettriche di Israele, Cipro e Grecia, lungo 1208 km di prevista entrata in funzione nel 2026.
(22) Durante la visita di Ursula von der Leyen in Egitto per l’East Mediterranean Gas Forum, è stato concluso un Memorandum d’Intesa trilaterale di 9 anni tra UE, Egitto e Israele per assicurare maggiori forniture di gas all’Europa.
(23) Secondo l’Università di Tel Aviv l’apporto israeliano sta diventando sempre più rilevante dato che l’invasione ucraina costringe l’Europa a una strategia in cui gli approvvigionamenti dai diversi paesi sono frammentati in funzione delle minori quantità di energia acquistata per acquirente.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Osservatorio di politica internazionale, la sicurezza energetica, settembre-dicembre 2021 n. 3, a cura ISPI.
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La Legge Salvamare
Tunno Daniele AntonioFinalmente, con la Legge 60/2022 (1), il nostro paese disporrà di uno strumento efficace e concreto, richiesto anche dall’Unione euro pea, che consentirà ai pescatori di portare a terra la plastica recuperata con le reti invece di scaricarla in mare, azione che prima costituiva il reato di trasporto illecito di rifiuti.
La legge, inoltre, prevede l’installazione di sistemi di raccolta alla foce dei fiumi per intercettare la plastica
prima che arrivi in mare e si occupa anche di dissala tori, educazione, campagne di pulizia, Posidonia ocea nica e tanto altro.
Quindi l’Italia si è dotata di uno strumento fondamen tale nel contrasto al c.d. «marine litter», rendendo i pe scatori protagonisti attivi per liberare il mare dai rifiuti.
Prima della Legge 60/2022
La legge in esame consente — a partire dal 25 giu
Laureato in Giurisprudenza nel 2001 presso l’Università degli studi di Siena, portando a termine un percorso fortemente improntato su materie di diritto internazionale e comparato. Successivamente si trasferisce a Milano dove realizza un percorso professionale trasversale tra legale, amministrativo e commerciale maturando esperienze tra multinazionali, pubblica amministrazione e studi professionali. Attualmente ricopre il ruolo di Regulatory Compliance Expert in un importante gruppo bancario internazionale con sede nel capoluogo lombardo. È appassionato di storia dei trattati, storia moderna, politica internazionale e geopolitica.
gno 2022 data dell’entrata in vigore della normativa — ai pescatori e alle diverse associazioni di settore di rac cogliere e portare a riva i rifiuti in mare, laghi, fiumi e lagune e di conferirli in appositi spazi predisposti nei porti italiani.
Un punto di svolta se si considera che fino a oggi chi portava rifiuti a riva rischiava di essere sanzionato o di pagare una tassa commisurata al quantitativo, come se li avesse prodotti a bordo.
I pescatori, dunque, finivano per ributtare in acqua la plastica pescata accidentalmente.
La possibilità di riportare a terra i rifiuti recuperati in mare accidentalmente dai pescatori è un importan tissimo e concreto passo avanti nella lotta all’inquina
mento da rifiuti e, in particolare, da plastica, visto che il mar Mediterraneo è tra le aree con la più alta con centrazione di microplastiche al mondo.
Il mar Mediterraneo, hotspot cruciale per la biodi versità, è stato infatti definito come una delle aree più impattate su scala globale dal «marine litter», con circa 62 milioni di rifiuti di plastica galleggianti sulla super ficie dell’intero bacino.
Per «marine litter» si intende «qualsiasi materiale solido persistente, fabbricato o trasformato e in seguito scartato, eliminato, abbandonato o disperso in am biente marino e costiero».
Materiali questi che sono in grado di impattare la biodiversità marina in una varietà di modalità: attra
verso l’intrappolamento, l’ingestione di detriti, la faci litazione del trasporto di organismi tramite il rafting su detriti marini, la fornitura di nuovi habitat e infine il trasporto e la cessione di composti tossici.
La Legge 60/2022, accompagnata da misure altret tanto essenziali nella prevenzione del fenomeno, quali l’educazione ambientale e le attività di sensibilizza zione nelle scuole e tra i cittadini, e da un adeguato sup porto alla filiera di raccolta a terra, rappresenta senza alcun dubbio una svolta nella salvaguardia dell’am biente e nella promozione dell’economia circolare.
Il contenuto della Legge 60/2022
La Legge in esame all’art. 1 specifica che la stessa persegue l’obiettivo di contribuire al risanamento del l’ecosistema marino e alla promozione dell’economia circolare, nonché alla sensibilizzazione della colletti vità per la diffusione di modelli comportamentali vir tuosi volti alla prevenzione dell’abbandono dei rifiuti in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle lagune e alla cor retta gestione dei rifiuti medesimi.
Ai fini della presente legge si applicano le defini zioni previste dal D.lgs. 152/2006 (Norme in materia ambiente) (2), dal D.lgs. 4/2012 (Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96) (3) e dal D.lgs. 197/2021 (Recepimento della Di rettiva UE 883/2019 relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi che modifica la Direttiva UE 65/2010 e abroga la Direttiva CE 59/2000) (4), nonché le seguenti:
a) «rifiuti accidentalmente pescati»: i rifiuti raccolti in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle lagune dalle reti durante le operazioni di pesca e quelli raccolti oc casionalmente in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle lagune con qualunque mezzo;
b) «rifiuti volontariamente raccolti»: i rifiuti raccolti mediante sistemi di cattura degli stessi, purché non interferiscano con le funzioni eco-sistemiche dei corpi idrici, e nel corso delle campagne di pulizia del mare, dei laghi, dei fiumi e delle lagune di cui alla lettera c);
c) «campagna di pulizia»: l’iniziativa preordinata all’effettuazione di operazioni di pulizia del mare,
dei laghi, dei fiumi e delle lagune nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 3;
d) «campagna di sensibilizzazione»: l’attività finaliz zata a promuovere e a diffondere modelli compor tamentali virtuosi di prevenzione dell’abbandono dei rifiuti in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle la gune;
e) «autorità competente»: il comune territorialmente competente;
f) «soggetto promotore della campagna di pulizia»: il soggetto, tra quelli abilitati a partecipare alle cam pagne di pulizia del mare, dei laghi, dei fiumi e delle lagune ai sensi dell’articolo 3, comma 3, che presenta all’autorità competente l’istanza di cui al citato articolo 3, comma 1;
g) «imprenditore ittico»: l’imprenditore di cui all’ar ticolo 4 del D.lgs. 4/2012;
h) «nave»: un’imbarcazione di qualsiasi tipo destinata al trasporto per acqua, compresi i pescherecci, le imbarcazioni da diporto, gli aliscafi, i veicoli a cu scino d’aria, i sommergibili e le imbarcazioni gal leggianti;
La Legge Salvamare Attività di Pesca (economiacircolare.com).La Legge Salvamare
ticolo 198 del D.lgs. 152/2006, che i rifiuti di cui al comma 1 del presente articolo siano conferiti ad appo site strutture di raccolta, anche temporanee, allestite in prossimità degli ormeggi.
Il comandante della nave o il conducente del na tante che approda in un piccolo porto non commer ciale, che è caratterizzato soltanto da un traffico sporadico o scarso di imbarcazioni da diporto, con ferisce i rifiuti accidentalmente pescati agli impianti portuali di raccolta integrati nel sistema comunale di gestione dei rifiuti.
Il conferimento dei rifiuti accidentalmente pescati all’impianto portuale di raccolta, previa pesatura degli stessi all’atto del conferimento, è gratuito per il confe rente ai sensi dell’articolo 8, comma 2, lettera d), del D.lgs. 197/2021 e si configura quale deposito tempo raneo ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera bb), del D.lgs. 152/2006 e alle condizioni previste dall’ar ticolo 185-bis del medesimo decreto legislativo.
i) «porto»: un luogo o un’area geografica cui siano state apportate migliorie e aggiunte attrezzature pro gettate principalmente per consentire l’attracco di navi, compresa la zona di ancoraggio all’interno della giurisdizione del porto.
La Legge 60/2022 prosegue con l’art. 2 il quale ri porta che, fatto salvo appunto quanto previsto dallo stesso, i rifiuti accidentalmente pescati sono equiparati ai rifiuti delle navi ai sensi dell’articolo 2, primo comma, punto 3), della citata Direttiva UE 883/2019 e sono conferiti separatamente ai sensi del comma 5 del presente articolo.
Il comandante della nave o il conducente del natante che approda in un porto conferisce i rifiuti accidental mente pescati in mare all’impianto portuale di raccolta, di cui all’articolo 4 del D.lgs. 197/2021.
Nel caso di ormeggio di un’imbarcazione in aree non comprese nella competenza territoriale di un’Au torità di sistema portuale ai sensi della Legge 84/1994 (Riordino della legislazione in materia portuale) (5), i comuni territorialmente competenti, nell’ambito della gestione dei rifiuti urbani, dispongono, ai sensi dell’ar
Con Decreto del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della Transizione ecologica sono individuate misure pre miali, a esclusione di provvidenze economiche, nei confronti del comandante del peschereccio soggetto al rispetto degli obblighi di conferimento disposti dal pre sente articolo, che non pregiudichino la tutela dell’eco sistema marino e il rispetto delle norme sulla sicurezza.
All’articolo 3 viene stabilito che i rifiuti di cui all’ar ticolo 1, comma 2, lettera b), possono essere raccolti anche mediante sistemi di cattura degli stessi e nell’am bito di specifiche campagne di pulizia organizzate su iniziativa dell’autorità competente ovvero su istanza presentata all’autorità competente dal soggetto promo tore della campagna, secondo le modalità individuate con decreto del Ministro della Transizione ecologica, di concerto con il Ministro delle Politiche agricole alimen tari e forestali, da adottare, acquisito il parere della Con ferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Nelle more dell’adozione del decreto di cui al comma 1, l’attività oggetto dell’istanza può essere iniziata tra scorsi trenta giorni dalla data di presentazione della stessa, fatta salva, per l’autorità competente, la possibi lità di adottare motivati provvedimenti di divieto del
l’inizio o della prosecuzione dell’attività medesima ov vero prescrizioni concernenti i soggetti abilitati a parte cipare alle campagne di pulizia, le aree interessate dalle stesse nonché le modalità di raccolta dei rifiuti.
Sono soggetti promotori delle campagne di pulizia di cui al comma 1 gli enti gestori delle aree protette, le associazioni ambientaliste, le associazioni dei pesca tori, le cooperative e le imprese di pesca, nonché i loro consorzi, le associazioni di pescatori sportive e ricrea tive, le associazioni sportive di subacquei e diportisti, le associazioni di categoria, i centri di immersione e di addestramento subacqueo nonché i gestori degli stabi limenti balneari.
Sono altresì soggetti promotori gli enti del Terzo set tore nonché, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le associazioni di promozione sociale, le fon
dazioni e le associazioni con finalità di promozione, tu tela e salvaguardia dei beni naturali e ambientali e gli altri soggetti individuati dall’autorità competente.
Gli enti gestori delle aree protette possono altresì realizzare, anche di concerto con gli organismi rappre sentativi degli imprenditori ittici, iniziative di comuni cazione pubblica e di educazione ambientale per la promozione delle campagne di cui al presente articolo. Ai rifiuti di cui al presente articolo si applicano le di sposizioni dell’articolo 2.
L’articolo 4 è dedicato al tema dell’economia circo lare: al fine di promuovere il riciclaggio della plastica e di altri materiali non compatibili con l’ecosistema marino e delle acque interne, nel rispetto dei criteri di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 179 del D.lgs. 152/2006, con decreto adottato ai sensi dell’articolo 17,
La Legge Salvamarecomma 3, della Legge 400/1988 (Disciplina dell’atti vità di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) (6), il Ministro della transizione ecologica stabilisce i criteri e le modalità con cui i ri fiuti accidentalmente pescati e i rifiuti volontariamente raccolti cessano di essere qualificati come rifiuti, ai sensi dell’articolo 184-ter del citato D.lgs. 152/2006.
L’articolo 5 della Legge 60/2022 specifica che bio masse vegetali, derivanti da piante marine o alghe, depositate naturalmente sul lido del mare e sull’are nile possono essere gestite con le modalità di cui al presente articolo.
Fatta salva la possibilità del mantenimento in loco o del trasporto a impianti di gestione dei rifiuti, la reim missione nell’ambiente naturale, anche mediante il riaf fondamento in mare o il trasferimento nell’area
retrodunale o in altre zone comunque appartenenti alla stessa unità fisiografia, è effettuata previa vagliatura fi nalizzata alla separazione della sabbia dal materiale or ganico nonché alla rimozione dei rifiuti frammisti di origine antropica, anche al fine dell’eventuale recupero della sabbia da destinare al ripascimento dell’arenile.
In caso di riaffondamento in mare, tale operazione è effettuata, in via sperimentale, in siti ritenuti idonei dall’autorità competente.
Gli accumuli antropici, costituiti da biomasse vege tali di origine marina completamente mineralizzata, sabbia e altro materiale inerte frammisto a materiale di origine antropica, prodotti dallo spostamento e dal suc cessivo accumulo in determinate aree, possono essere recuperati previa vagliatura di cui al comma 1.
Tale possibilità è valutata e autorizzata, caso per caso, dall’autorità competente, la quale verifica se sus sistono le condizioni per l’esclusione del materiale sab bioso dalla disciplina dei rifiuti ai sensi dell’articolo 185 del D.lgs. 152/2006, o se esso sia riutilizzabile nel l’ambito delle operazioni di recupero dei rifiuti urbani mediante il trattamento di cui al D.lgs. 152/2006 ov vero qualificabile come sottoprodotto ai sensi dell’ar ticolo 184-bis del medesimo decreto legislativo.
Fatto salvo quanto previsto dai commi 1 e 2, ai pro dotti costituiti di materia vegetale di provenienza agri cola o forestale, depositata naturalmente sulle sponde di laghi e fiumi e sulla battigia del mare, derivanti dalle operazioni di gestione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera n), del D.lgs. 152/2006, finalizzate alla sepa razione dei rifiuti frammisti di origine antropica, si ap plica l’articolo 185, comma 1, lettera f), del medesimo D.lgs. 152/2006.
Le regioni e le province autonome di Trento e di Bol zano competenti per territorio individuano criteri e mo dalità per la raccolta, la gestione e il riutilizzo dei prodotti di cui al periodo precedente, tenendo conto delle norme tecniche qualora adottate dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nell’ambito del Si stema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, ai sensi dell’articolo 4, comma 4, della Legge 132/2016 (Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) (7).
La Legge Salvamare Impatto inquinamento in mare (iconaclima.it).L’articolo 6 chiarisce che al fine di ridurre l’im patto dell’inquinamento marino derivante dai fiumi, le Autorità di bacino distrettuali introducono, nei pro pri atti di pianificazione, misure sperimentali nei corsi d’acqua dirette alla cattura dei rifiuti galleg gianti, compatibili con le esigenze idrauliche e di tu tela degli ecosistemi, alla cui attuazione si provvede anche mediante con specifici programmi.
La Legge 60/2022 continua con l’articolo 7 il quale indica che le attività tecnico-scientifiche funzionali alla protezione dell’ambiente marino che comportano l’im mersione subacquea in mare al di fuori degli ambiti portuali, svolte da personale del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente di cui alla Legge 132/2016, o da soggetti terzi che realizzano attività su bacquee di carattere tecnico-scientifico finalizzate alla tutela, al monitoraggio o al controllo ambientale ai sensi di un’apposita convenzione o in virtù di finanzia menti ministeriali si conformano alle linee guida ope rative adottate con decreto del Ministro della Transizione ecologica, di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, acquisito il parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ri cerca ambientale e sentito il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto.
L’articolo 8 tratta delle campagne di sensibilizza zione che possono essere effettuate per il consegui mento delle finalità della presente legge, delle strategie per l’ambiente marino di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 ottobre 2017 (Approva zione del Programma di misure, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, del D.lgs. 190/2017, relative alla defini zione di strategie per l’ambiente marino) (8) e degli obiettivi contenuti nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Na zioni unite il 25 settembre 2015 che tra i suoi obbiettivi (esattamente il numero 14) ha proprio quello di con servare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
Al fine di dare adeguata informazione ai pescatori e agli operatori del settore circa le modalità di conferimento dei rifiuti accidentalmente pescati o volontariamente rac colti, sono previste adeguate forme di pubblicità e sensi bilizzazione a cura delle Autorità di sistema portuale o a
cura dei comuni territorialmente competenti nell’ambito della gestione dei rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 198 del D.lgs. 152/2006 anche attraverso protocolli tecnici che assicurino la mappatura e la pubblicità delle aree adi bite alla raccolta e la massima semplificazione per i pe scatori e per gli operatori del settore.
L’articolo 9 è dedicato all’educazione ambientale nelle scuole per la salvaguardia dell’ambiente: il Mi nistero dell’Istruzione promuove, nelle scuole di ogni ordine e grado, la realizzazione di attività volte a ren dere gli alunni consapevoli dell’importanza della con servazione dell’ambiente e, in particolare, del mare e delle acque interne, nonché delle corrette modalità di conferimento dei rifiuti, coordinando tali attività con le misure e le iniziative previste, con riferimento alle tematiche ambientali, nell’ambito della Legge 92/2019
(Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’edu cazione civica) (9).
Il Ministro dell’istruzione tiene conto delle attività previste dal presente articolo nella definizione delle linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica di cui all’articolo 3, comma 1, della citata Legge 92/2019.
Nelle scuole sono inoltre promosse le corrette prati che di conferimento dei rifiuti e sul recupero e riuso dei beni e dei prodotti a fine ciclo, anche con riferi mento alla riduzione dell’utilizzo della plastica, e sui sistemi di riutilizzo disponibili.
Ai sensi dell’articolo 11 agli imprenditori ittici che, nell’esercizio delle proprie attività, utilizzano materiali di ridotto impatto ambientale, partecipano a campagne di pulizia o conferiscono i rifiuti accidentalmente pe
scati è attribuito un riconoscimento ambientale atte stante l’impegno per il rispetto dell’ambiente e la so stenibilità dell’attività di pesca da essi svolta.
Con decreto adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della Legge 400/1988 il Ministro della Tran sizione ecologica, di concerto con il Ministro delle Po litiche agricole alimentari e forestali, disciplina le procedure, le modalità e le condizioni per l’attribuzione del riconoscimento di cui al comma 1 del presente ar ticolo, anche ai fini dei programmi di etichettatura eco logica di cui all’articolo 18, comma 2, lettera d), del D.lgs. 4/2012.
È altresì prevista per i comuni la possibilità di rea lizzare un sistema incentivante per il rispetto del l’ambiente volto ad attribuire un riconoscimento ai possessori di imbarcazione, non esercenti attività professionale, che recuperano e conferiscono a terra i rifiuti in plastica accidentalmente pescati o volon tariamente raccolti.
L’articolo 12 prevede che, al fine di tutelare l’am biente marino e costiero, tutti gli impianti di desaliniz zazione sono sottoposti a preventiva valutazione di impatto ambientale, di cui alla parte seconda del D.lgs. 152/2006.
Gli scarichi degli impianti di desalinizzazione di cui al comma 1 sono autorizzati in conformità alla disci plina degli scarichi di cui alla parte terza del D.lgs. 152/2006.
Gli impianti di desalinizzazione destinati alla pro duzione di acqua per il consumo umano sono ammis sibili:
a) in situazioni di comprovata carenza idrica e in man canza di fonti idricopotabili alternative economica mente sostenibili;
b) qualora sia dimostrato che siano stati effettuati gli opportuni interventi per ridurre significativamente le perdite della rete degli acquedotti e per la razio nalizzazione dell’uso della risorsa idrica prevista dalla pianificazione di settore;
c) nei casi in cui gli impianti siano previsti nei piani di settore in materia di acque e in particolare nel piano d’ambito anche sulla base di un’analisi costi benefici.
Sono esclusi dal campo di applicazione del presente
articolo gli impianti di desalinizzazione installati a bordo delle navi, come definite all’articolo 136 del co dice della navigazione.
La legge poi con l’articolo 14 prevede che — al fine di coordinare l’azione di contrasto dell’inquinamento marino, anche dovuto alle plastiche, di ottimizzare l’azione dei pescatori per le finalità della presente legge e di monitorare l’andamento del recupero dei rifiuti conseguente all’attuazione della presente legge, garan tendo la diffusione dei dati e dei contributi — è isti tuito, presso il Ministero della Transizione ecologica, il Tavolo interministeriale di consultazione permanente che si riunisce almeno due volte l’anno ed è presieduto dal Ministro della Transizione ecologica o da un suo delegato.
Il tavolo è composto tra gli altri, da:
a) tre rappresentanti del Ministero della Transizione ecologica;
b) un rappresentante del Ministero delle Politiche agri cole alimentari e forestali;
c) un rappresentante del Ministero dello Sviluppo eco nomico;
d) cinque rappresentanti del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, di cui due rappre sentanti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
e) un rappresentante del Consiglio nazionale delle ri cerche (CNR);
f) un rappresentante del Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili;
g) due rappresentanti del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto;
h) cinque rappresentanti degli enti gestori delle aree marine protette;
i) tre rappresentanti delle regioni;
l) tre rappresentanti delle cooperative di pesca, due rap presentanti delle imprese di pesca e due rappresen tanti delle imprese di acquacoltura;
m) un rappresentante della Conferenza nazionale di co ordinamento delle Autorità di sistema portuale.
La legge 60/2022 infine con l’articolo 15 prevede che il Ministro della Transizione ecologica trasmette alle Camere, entro il 31 dicembre di ogni anno, una re lazione sull’attuazione della legge stessa.
Conclusioni
La normativa analizzata rappresenta sicuramente un’importante passo nella tutela ambientale del mare e non solo.
La Legge 60/2022 può rappresentare un primo concreto esempio – e speriamo che su questa scia ci siano altri provvedimenti di questa natura – di dispo sizione normativa che in modo concreto attua delle azioni volte alla tutela — nel caso specifico del mare, dei laghi e dei fiumi — dell’ambiente nel rispetto della recente modifica alla nostra carta fondamentale del 1948 per il tramite della Legge Costituzionale 11/2022 (10).
Nello specifico tale provvedimento normativo ha previsto la tutela dell’ambiente e della salute (chia ramente strettamente legati e interdipendenti tra loro) quali beni costituzionalmente garantiti e come tali meritevoli di specifica protezione a norma di legge. Nel dettaglio la Legge Costituzionale 11/2022 ha mo dificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione Italiana.
Il primo è stato modificato presentandosi ora come segue (sottolineata la parte aggiunta dalla citata Legge Costituzionale 11/2022):
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali »
L’art. 41 invece che ora riporta come segue (sottoli neata la parte introdotta dalla citata Legge Costituzio nale 11/2022):
«L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli oppor tuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali »
Delle nuove formulazioni costituzionale citate è degno di nota sicuramente quella «anche nell’interesse
Rifiuti in mare (corriere.it).
delle future generazioni» che mette in risalto una vi sione di lungo periodo circa la tutela ambientale che sarà sicuramente il focus — ancor di più rispetto a oggi — delle future generazioni.
L’Italia è arrivata a stabilire l’ambiente come valore tutelato a livello costituzionale abbastanza tardiva mente rispetto ad altri stati europei.
In tal senso la Spagna lo aveva già previsto nella Co stituzione sin dalla sua approvazione nel 1978 dopo la fine della dittatura franchista.
In altre costituzioni — Polonia (1997), Grecia (1975), Portogallo (1976) e Svezia (1974) — si ritrova
NOTE
(1) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 134 del 10/06/2022.
(2) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 88 del 14/04/2006.
(3) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 26 del 01/02/2012.
(4) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 285 del 30/11/2021.
(5) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 28 del 04/02/1994.
(6) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 214 del 12/09/1988.
(7) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 166 del 18/07/2016.
(8) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 274 del 23/11/2017.
(9) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale - n. 195 del 21/08/2019.
(10) Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 44 del 22/02/2022.
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AGENDA 2030 Un viaggio attraverso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile - Università degli Studi di Siena.
La Legge SalvamareContrammiraglio (ris.) del Genio Navale, ha frequentato l’Accademia Navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica all’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sotto marini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma nella Direzione generale degli Armamenti navali, il Segretariato generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti e lo Stato Maggiore della Marina, in incarichi relativi al procurement di sistemi navali, alla cooperazione internazionale e alle re lazioni con le Marine estere. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles, occupandosi di Politica militare e Pianificazione delle Forze. Nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn, occupandosi della gestione dei programmi d’armamento in coo perazione e delle discipline nel settore del programme management. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto Consigliere Nazionale dell’ANMI per il Lazio Settentrionale e successivamente Membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’ANMI. Dalla primavera del 2021 fa inoltre parte del Consiglio Direttivo e del Co mitato Scientifico del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar). Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere e ha pubblicato oltre 600 fra libri, saggi monografici, articoli e ricerche su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale: partecipa regolarmente a convegni e seminari su tematiche di si curezza marittima e geopolitica.
Michele Cosentino Rivista Marittima Luglio-AgostoFoto aerea della portaerei QUEEN ELIZABETH, fulcro del gruppo navale impegnato nel CSG 21: sul ponte di volo sono visibili 13 velivoli F-35B e due elicotteri Merlin HMA.2 (Royal Navy).
Il 9 dicembre 2021, al termine della manovra di or meggio nella base navale di Portsmouth, la por taerei britannica Queen Elizabeth ha concluso la campagna operativa e promozionale intorno al mondo ufficialmente nota come «Carrier Strike Group 21 de ployment». Con una durata di oltre 7 mesi e costellato da un miriade di eventi di varia natura in mare e in porto, la campagna aveva come obiettivo la concretiz zazione del concetto di «Global Britain», divulgato per la prima volta dalle autorità politiche britanniche nel marzo 2021: in sostanza, una nuova grand strategy orientata verso una presenza attiva in tutte le aree del globo ritenute d’interesse per Londra (1).
Il dispiegamento
All’interno della Royal Navy, il concetto di carrier strike era stato rivitalizzato verso il 2015, ma l’assenza di portaerei e di personale addestrato alle operazioni di volo aveva limitato le attività a studi e approfondimenti teorici. L’entrata in servizio della Queen Elizabeth
prima e del Prince of Wales dopo, nonché la progressiva disponibilità di velivoli a decollo corto e appontaggio verticale F-35B, hanno permesso di riprendere l’attività in mare, con una serie di esercitazioni NATO e nazionali propedeutiche al dispiegamento e conclusesi nel primi trimestre del 2021. Nel frattempo, e come sancito dal «Global Britain», l’attenzione strategica, politica, mili tare ed economica di Londra si è parzialmente riorien tata verso il teatro Indo-Pacifico, e l’invio di un consistente gruppo navale in quel teatro non poteva non simboleggiare meglio questo riorientamento. Al termine della visita compiuta dalla Regina Elisabetta II sul l’unità che porta il suo nome, la portaerei Queen Eliza beth è partita da Portsmouth il 22 maggio 2021, seguita da altre unità della Royal Navy, in particolare i caccia torpediniere lanciamissili Defender e Diamond, le fre gate Kent e Richmond (2) e le unità ausiliarie Fort Victoria e Tideforce; al gruppo navale — per l’occa sione denominato CSG21 e guidato dal contrammira glio Steve Moorehouse — si sono aggregati il
Rivista Marittima Luglio-Agosto 2022cacciatorpediniere lanciamissili statunitense The Sulli vans (un’unità classe «Arleigh Burke Flight I», normal mente di base in Florida e per l’occasione rischierato nelle acquee europee) e la fregata lanciamissili Evertsen della Marina olandese, mentre in maniera assai più di screta ha preso il mare da un’altra località del Regno Unito anche il sottomarino d’attacco a propulsione nu cleare Astute, eponimo di una classe di cui gli ultimi tre esemplari, su sette, sono tuttora in costruzione e allesti mento. Elemento chiave, organico alla portaerei, per l’attuazione del concetto «Carrier Strike» è stato il gruppo aereo imbarcato sulla Queen Elizabeth, compo sto per l’occasione da 18 velivoli ad ala fissa F-35B (di cui otto britannici e dieci statunitensi) (3), da sette eli cotteri «Merlin HM.2» (di cui tre dotati del sistema «Crowsnest» per la sorveglianza radar a lungo raggio e gli altri equipaggiati per le operazioni antisommergibili) e da tre «Merlin HC.4» per assalto e proiezione: gli ae romobili della portaerei hanno operato assieme a quattro elicotteri «Wildcat HMA.2» imbarcati sulle unità di
scorta. In totale, sulle unità inquadrate nell’UKCSG hanno operato circa 3.700 uomini e donne.
La campagna ha preso il nome di operazione «For tis»: il CGS21 è rimasto fuori sede per 244 giorni — di cui 136 in mare —, navigando per circa 50.000 mi glia e visitando porti di 42 nazioni e 3 territori d’oltre mare della Corona britannica, cioè Gibilterra, l’isola di Diego Garcia, e le due SBAs nell’isola di Cipro (4). Se si esamina quest’aspetto sotto il profilo della presenza, della diplomazia navale e dell’economia, il CSG21 ha interagito con entità statuali in cui risiede il 47% della popolazione mondiale e il 53% dei partner commerciali di Londra, e dunque in linea con quanto declinato in «Global Britain». Dal punto di vista politico-mediatico, a bordo del Queen Elizabeth sono stati ospitati 66 mi nistri, 106 ambasciatori e circa 500 ufficiali superiori di Forze armate estere, con le discendenti attività in mare e in porto, interviste e dirette televisive (5); non secondario è stato anche lo sforzo logistico per dar da mangiare ai 3.700 uomini e donne durante tutto il di
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive L’infografica riepilogativa dell’operazione «Fortis», con i crest delle unità navali e dei reparti aerei partecipanti e delle bandiere delle nazioni con le quali il Carrier Strike Group ha avuto interazioni di vario tipo (Royal Navy).spiegamento del CSG21, comprese le soste nei porti dove gli equipaggi sono stati confinati a bordo nel ri spetto delle procedure anti Covid-19. Importante ri mane il ruolo delle infrastrutture tecnico/logistiche a disposizione della Royal Navy, da Gibilterra a Singa pore, passando per la nuova base in Oman — con ban chine idonee all’ormeggio delle portaerei classe «Queen Elizabeth» — e Diego Garcia.
Un aspetto cruciale dell’approccio olistico dell’ope razione «Fortis» ha riguardato le operazioni militari, comprendenti attività addestrative e missioni reali: delle prime hanno fatto parte esercitazioni che hanno coinvolto unità navali e reparti aerei di 17 nazioni, in teatri operativi che hanno spaziato dall’Atlantico orien tale e al Pacifico occidentale, passando per l’Oceano Indiano. Fra le attività reali, vanno annoverate le 44 missioni di combattimento svolte dal gruppo aereo im barcato sulla Queen Elizabeth nell’ambito dell’opera zione «Inherent Resolve» contro obiettivi del sedicente Daesh in Siria e Iraq, missioni svolte tutte dal mare,
cioè dal Levante mediterraneo. Aggiungendo queste missioni a quelle di natura addestrativa, gli F-35B im barcati hanno totalizzato circa 1.280 sortite durante tutto il dispiegamento, equivalenti a 2.200 ore di volo di giorno e di notte, numeri importanti per acquisire l’esperienza sul campo in termini di sostenibilità ope rativa e logistica dei velivoli imbarcati per lunghi pe riodi e per missioni di lunga durata. Una considerazione analoga si applica all’impiego dei tre elicotteri «Merlin HM.2» equipaggiati con il sistema «Crowsnest», ma in una configurazione operativa em brionale nota come «pre-IOC» che la Royal Navy aveva comunque deciso di testare sul campo: durante il dispiegamento e con la possibilità di far volare con temporaneamente i tre elicotteri, il sistema ha totaliz zato 362 ore di volo in 7 mesi, cifra che da un lato suggerisce un graduale incremento verso il consegui mento della capacità operativa iniziale e dall’altro la sua non completa affidabilità nell’assicurare una co pertura completa durante le attività operative, allun
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive La fregata lanciamissili olandese EVERTSEN, in sosta nel porto di Catania, durante l’ultima fase delle operazioni con il gruppo navale della Royal Navy (Navy lookout).gando così i tempi per il conseguimento della piena ca pacità operativa.
Impegnativo e non poco si è rivelato il compito dei due cacciatorpediniere lanciamissili Defender e Dia mond, soprattutto quando il primo, in azione nel Mar Nero, è stato «infastidito» da velivoli e unità navali della flotta del Mar Nero, in un’esibizione giudicata poco professionale del comandante della nave, capi tano di fregata Vince Owen (6). Per dovere di cronaca va ricordato l’accordo firmato il 23 giugno 2021 sul Defender in porto a Odessa fra il ministro per il Procu rement militare britannico Jeremy Quinn e il vice mi nistro della Difesa ucraino Oleksandr Myroniuk in materia di cooperazione militare fra Kiev e Londra: un aspetto chiave dell’accordo riguarda il potenziamento delle capacità delle modeste forze navali ucraine, me diante la costruzione di pattugliatori lanciamissili co stieri e la fornitura di sistemi d’arma e materiali. Non c’è dubbio che il conflitto scoppiato il 24 febbraio 2022 avrà un impatto sui contenuti dell’accordo e sull’atteg
giamento futuro della Gran Bretagna nei confronti delle nazioni rivierasche del Mar Nero.
Diversa l’esperienza del Diamond, obbligato a so stare sei settimane a luglio-agosto 2021 nell’Arsenale di Taranto per la sostituzione di una delle due turbine a gas che compongono il sistema di propulsione. Anche se si è cercato di evidenziare l’aspetto positivo del l’evento, vale a dire la capacità di sostituire in tempi relativamente contenuti una turbina a gas durante una missione lontana dalla Gran Bretagna, l’evento ha rap presentato un’ulteriore dimostrazione della scarsa affi dabilità del predetto sistema, soprattutto in teatri marittimi caratterizzati da elevata temperatura dell’ac qua di mare, e ha comportato — assieme a un altro in conveniente tecnico a cui si è rimediato a Singapore — un cambio di programma che ha impedito il Diamond di partecipare alla parata navale per celebrare il 50° an niversario del Five Power Defence Agreement (FPDA) (7) e, soprattutto, alla scorta della Queen Elizabeth du rante il suo transito nel Mar Cinese Meridionale.
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Il cacciatorpediniere lanciamissili DIAMOND, ripreso all’ormeggio nella Stazione Navale Mar Grande, durante la sosta sei settimane per la sostituzione di una delle due turbine a gas, effettuata in Arsenale: in secondo piano, il rifornitore di squadra STROMBOLIGli effetti di una pandemia praticamente estesa a tutto il mondo hanno avuto un impatto negativo su di versi aspetti dell’operazione «Fortis», ma quello forse più sentito è stata l’impossibilità di effettuare la fran chigia in numerose località, per esempio il Giappone, altrimenti irraggiungibili per numerosi membri degli equipaggi. Opportunità di svago organizzate all’ultimo momento sono state all’ordine del giorno, per esempio un po’ di tempo trascorso dagli equipaggi in spiagge isolate o in luoghi dove non avrebbero comunque po tuto interagire con la popolazione locale: l’isola di Guam è stata una di queste opportunità, oltre a esserlo per numerosi eventi addestrativi, mentre durante la na vigazione di rientro, gli equipaggi di Diamond e De fender hanno potuto approfittare di una franchigia quasi normale in alcune città europee. Al di là di queste eccezioni e inclusa la sosta del Diamond a Taranto, è difficile che il dispiegamento possa essere ricordato con particolare affetto dalla maggior parte del perso nale a causa del lungo tempo di confinamento a bordo.
Un altro aspetto degno di nota riguarda infine le soste e le attività addestrative eseguite dalla Queen Eli zabeth nelle acque del Giappone e Corea del Sud, im portanti per la Marina nipponica per acquisire lezioni da travasare nel futuro impiego degli F-35B dai propri cacciatorpediniere portaelicotteri classe «Izumo» e per quella sudcoreana per ampliare il bagaglio delle proprie conoscenze, e quelle dell’industria locale, in relazione al programma di costruzione CVX.
Gli inconvenienti più gravi
Dopo il transito a salire del Canale di Suez e nel corso della normale attività di volo, la Queen Elizabeth è stata protagonista, il 17 novembre 2021, dell’inci dente che ha causato la perdita di un velivolo F-35B britannico. Le riprese, effettuate clandestinamente con uno smartphone da un membro dell’equipaggio posi zionato sull’isola prodiera e successivamente arrestato, hanno evidenziato una probabile perdita di potenza del propulsore del velivolo al momento di lasciare lo ski-
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Operazioni di volo con un convertiplano «Osprey» dei Marines in procinto di appontare sulla QUEEN ELIZABETH: la foto è stata scattata durante le esercitazioni condotte nel Pacifico occidentale con unità dell’US Navy (US Navy).Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive
jump, istantaneamente seguita dall’immediata espul sione del pilota dall’abitacolo. Per sua fortuna e abilità, il pilota è riuscito ad atterrare con il paracadute sul ponte di volo della portaerei e poi trasportato a terra per precauzione. Diverse fonti ufficiose hanno rivelato che la causa dell’incidente è stata la mancata rimo zione di una protezione in spugna della presa d’aria del propulsore, conseguentemente risucchiata da que st’ultimo e che ha quindi perso potenza: tuttavia, è dif ficile prevedere se, e quando, l’inchiesta seguita all’incidente ne rivelerà le cause esatte. Un aspetto ac certato è che il velivolo perso era uno dei più recenti F-35B in dotazione alle Forze armate britanniche, avendo eseguito il primo volo nel 2019 e consegnato in un configurazione più aggiornata rispetto agli esem plari entrati in linea in precedenza (8). L’F-35B è ca duto in mare in una zona dove il fondale raggiunge i 1.500 metri, in un punto approssimativamente situato a sud di Cipro: l’area dell’incidente è stata presidiata per qualche tempo da unità navali di superficie e su bacquee di nazioni NATO, per evitare possibili «intru sioni» di forze navali russe o comunque non amiche, senza dimenticare che una possibile intrusione avrebbe potuto facilmente causare un incidente internazionale dai risvolti drammatici. L’intervento immediato delle organizzazioni britanniche specializzate in questo campo ha permesso il recupero del velivolo, in colla borazione con l’US Navy e la Marina Militare; proba bilmente monitorata da qualche unità navale russa mantenutasi a un’opportuna distanza di sicurezza, l’operazione è avvenuta nella prima settimana di di cembre 2021. Se l’incidente non ha avuto un impatto significativo sulla prosecuzione del dispiegamento del CSG21, all’epoca nella fase finale, la perdita di un ae roplano costato mediamente 100 milioni di sterline e gli inconvenienti tecnici al Diamond simboleggiano inevitabilmente altrettante macchie di una campagna navale dagli esiti altrimenti positivi. Va da sé che l’in tero episodio dell’F-35B ha generato non poco imba razzato all’establishment militare britannico, rappresentando sia un errore da cui trarre lezioni im portanti sia i rischi insiti nelle operazioni aeronavali. Nel corso della sua esistenza, e anche in tempi non re moti, la Fleet Air Arm ha infatti perso numerosi veli
voli a causa di incidenti ma si trattava generalmente di macchine meno costose e più semplici da operare: una considerazione certamente valida è l’insufficiente disponibilità quantitativa dei moderni velivoli imbar cati, non solo per la Royal Navy ma anche per altre Marine, che obbliga a limitarne l’impiego su una o al massimo due portaerei, amplificando l’impatto dei ri schi di perdite dovute a incidenti. L’aspetto maggior mente negativo e assolutamente triste del dispiegamento del CSG è stato infine il probabile sui cidio — avvenuto il 10 luglio — di Daniel Harrison (9), un giovane graduato appartenente all’equipaggio della fregata Kent; al di là dell’assoluto riserbo sulle indagini e sulle cause del tragico evento, esso ha co munque offuscato l’immagine della Royal Navy, sicu ramente molto di più di quanto occorso con la perdita dell’ F-35B.
Rifornimento in mare fra il FORT VICTORIA e il TIDESPRING, il primo concepito per carichi solidi e il secondo per carichi liquidi. Fra le lezioni ap prese dall’operazione «Fortis», vi è l’ammodernamento della componente logistica d’altura della Marina britannica (Royal Navy). Due elicotteri «Merlin» equipaggiati con il radar del sistema «Crownests», le cui criticità sono state confermate dalla campagna navale. La Royal Navy ne prevede la sostituzione con un radar aeroportato da un velivolo a controllo remoto (Fleet Air Arm).Un bilancio
Per quanto riguarda gli aspetti economici del dispie gamento, il ministero della Difesa britannico — su spe cifica richiesta di un parlamentare laburista (10) — ha affermato pubblicamente che i costi dell’impresa si sono attestati sui 73 milioni di sterline, in aggiunta a quelli ricorrenti associati alle normali attività addestra tive necessarie a mantenere elevate le capacità opera tive delle unità di un Carrier Strike Group e dei relativi equipaggi: assumendo che nulla si possa recuperare dal relitto del velivolo, a questi 73 milioni di sterline, vanno sommati i 100 milioni relativi alla perdita del l’F-35B. Mettendo tutto sul piatto della bilancia, com preso il ritorno mediatico, il dispiegamento CSG21 è stato considerato un successo, almeno dagli organi isti tuzionali britannici. Certamente rilevanti sono state le operazioni contro il Daesh e l’attività di presenza in Mar Nero, soprattutto se si considera l’atteggiamento tenuto dalla Russia già in tempi non sospetti: conside razioni analoghe si possono applicare alle attività svolte nel Mar Cinese Meridionale, a valere come contributo, peraltro limitato nel tempo, della Gran Bretagna alla difesa del diritto marittimo internazionale. Nonostante la forte retorica dei media statali della Repubblica Po polare Cinese quando è stato annunciato il dispiega mento, la risposta di Pechino alla presenza del CSG21 nelle acque estremo-orientali si è rivelata di routine e di basso profilo: da parte sua, la fregata Richmond ha condotto pattugliamenti al largo della Corea per far ri spettare le sanzioni dell’ONU contro il regime nordco reano ed è stata l’unica unità del gruppo a transitare effettivamente nello stretto di Taiwan, evidentemente un’azione mantenuta di basso profilo per non esacer bare troppo gli animi. Ben diverso sarebbe forse stato infatti l’atteggiamento di Pechino se al transito avesse partecipato la Queen Elizabeth, magari eseguendo ope razioni di volo con gli F-35B, cosa che peraltro non av viene quando il transito è a cura di unità navali statunitensi. L’impatto politico-diplomatico ed econo mico del dispiegamento è un altro obiettivo di valore raggiunto, confermando la funzione della Royal Navy quale strumento di promozione di interessi politici, mi litari e commerciali e nonostante le restrizioni dovute al Covid-19: mettendo sulla bilancia costi da una parte
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Un’immagine aerea di nucleare a Autore).e risultati, anche di medio-lungo termine, dall’altra, la promozione del «marchio Gran Bretagna» ha avuto successo. Va detto che il dispiegamento in acque lon tane di un gruppo navale non è un esercizio del tutto nuovo per la Royal Navy, ma quello del CSG21 è stato il più rilevante negli ultimi 50 anni di storia navale bri tannica, secondo solo a quanto accaduto con l’opera zione «Corporate» (la riconquista delle Falkland) e tale da rappresentare simbolicamente la fine di un declino dagli effetti della disastrosa edizione 2010 della Stra tegic Defence & Security Review, SDSR (11).
Lezioni e rimedi
Il risultato complessivamente positivo del dispiega mento non deve indurre a pensare che la Royal Navy ne possa intraprendente uno ogni anno: rimane tuttavia il messaggio che la Marina britannica ha decisamente
imboccato la strada verso uno strumento aeronavale di cui fa parte un gruppo portaerei che può operare su scala globale, anche se non pochi rimangono gli incon venienti tecnici a cui si dovrà rimediare. Partendo dai numeri, appare chiaro che la presenza del The Sullivans e dell’Evertsen sia stata dettata dalla necessità di am pliare le prestazioni complessive della bolla mobile di difesa antiaerea/antimissile incentrata sulla Queen Eli zabeth, oltreché lo spettro delle capacità di presenza «fisica» in determinate circostanze; del resto, la fragi lità del sistema propulsivo dei sei cacciatorpediniere lanciamissili classe «Daring/Type 45» era già nota, tanto che alcuni di essi, già prima dell’operazione «For tis», hanno iniziato il programma di potenziamento ne cessario sia per eliminare gli inconvenienti alle turbine a gas, sia per potenziare la generazione di energia elet trica (12). Lo stesso discorso vale per gli F-35B imbar cati, con quelli del Corpo dei Marines chiamati a fare numero perché il processo di acquisizione di quelli bri tannici va troppo a rilento se rapportato alla disponibi lità di ponti di volo, cioè Queen Elizabeth e Prince of Wales; prima del dispiegamento, si aveva inoltre il ti more che la complessità dell’impresa — in particolare le operazioni nel Pacifico occidentale — avrebbero reso arduo garantire il necessario supporto tecnico-lo gistico ai velivoli, identificando nella rete logistica glo bale di Lockheed Martin la soluzione del problema. Infatti, una delle lezioni apprese dal personale del re parto aereo imbarcato sulla Queen Elizabeth — e da tutta la Royal Navy — nel gestire i 18 F-35B imbarcati risiede nell’aver trovato e mantenere il giusto equilibrio fra la consistenza e la specificità dei pezzi di rispetto da conservare a bordo per un’operazione di una deter minata durata e quanto sia invece necessario da ripia nare periodicamente, operazione quest’ultima da condurre a cura di uno o più hub logistici attrezzati allo scopo o attraverso l’impiego di un’unità ausiliaria con cepita per questa funzione. Il concetto di hub logistico non è certamente nuovo per la Royal Navy e appare al quanto simile all’architettura di basi navali e stazioni di carbonamento o rifornimento combustibile esistente sin dalla fine del XIX secolo lungo la via delle Indie e oltre. E la trasposizione moderna di un siffatto concetto fa affidamento a realtà quali Gibilterra, le basi a Cipro
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive La portaerei QUEEN ELIZABETH in navigazione nell’emisfero meridionale assieme al nuovo rifornitore polivalente di squadra della Marina neoze landese AOTEAROA (THB info Behling). Il cacciatorpediniere lanciamissili DARING, impacchettato nel corso degli interventi previsti dal Power Improvement Programme, PIP, finalizzato a eliminare le carenze del sistema propulsivo e di generazione dell’energia elettrica (BAE Systems).e in Oman, Diego Garcia e Singapore, proseguendo nel Pacifico occidentale con quanto disponibile in Giap pone e a Guam.
Se Gibilterra e Cipro, assieme alle capacità logisti che comunque disponibili nelle nazioni NATO medi terranee, sono in continuità storica con un retaggio incentrato sull’asse Gibilterra-Malta-Alessandria, at tenzione particolare meritano le scelte nell’ambito di una «Global Britain» che vede il deciso ritorno di Lon dra a est di Suez. All’amara lezione — sintetizzabile in una lunga marginalizzazione politica ed economica nell’emisfero orientale — appresa dopo la decisione del 1969 del graduale ritiro delle forze militari britan niche di stanza a est del e al contestuale abbandono delle installazioni militari, si è potuto rimediare anche grazie ai crescenti impegni assunti da Londra nella re gione del Golfo Persico, e di cui la Royal Navy è rima sta protagonista. La chiusura del cerchio è infine maturata con la «sostituzione» di Aden a cura della nuova base omanita di Duqm, situata in una posizione strategicamente favorevole per le operazioni nel Mar Arabico e nel Golfo Persico: approssimativamente equidistante dal Corno d’Africa e dallo Stretto di Hor muz, Duqm è stata dotata di infrastrutture, pagate dai contribuenti britannici, per il supporto logistico e ma nutentivo di unità navali anche di grandi dimensioni, comprese le portaerei classe «Queen Elizabeth», ed è naturalmente a disposizione degli alleati di Londra nella regione (13).
La dipendenza dell’UKCSG dal Fort Victoria, unica unità ausiliaria per il rifornimento di carichi solidi ri masta in linea dopo il ritiro dal servizio nel 2011 della gemella e ancora valida Fort George (14), ha acuito in qualche modo l’esigenza di accelerare il programma «Fleet Solid Support» per la costruzione di tre unità, ma con la costruzione del primo esemplare prevista a partire solo dal 2023; in questo caso, non può non es sere citato un esempio negativo di gestione poco «ca valleresca» del programma, dapprima orientato verso una competizione fra soggetti industriali anche non bri tannici e la successiva e definitiva decisione di restrin gere il campo della competizione a soggetti industriali del Regno Unito, mettendo definitivamente una pietra sopra il tanto sbandierato concetto del «value for money», assai di moda oltre Manica
In virtù dell’essenza stessa del Carrier Strike Group, cioè un gruppo navale incentrato su una portaerei do tata di un reparto aereo concepito e pensato per opera zioni di strike, la disponibilità operativa degli F-35B era un fattore di preoccupazione non indifferente per il commodoro Steve Moorhouse. Le operazioni di volo condotte dalla Queen Elizabeth in situazioni particolari si sono protratte quasi continuativamente nell’arco delle 24 ore, una procedura che sulle portaerei statuni tensi è limitata a 15-18 ore e che su quelle britanniche — sprovviste di catapulte e cavi d’arresto — impone un carico di lavoro certamente significativo. Moore house ha comunque dichiarato che, a fronte del numero
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Un rendering della proposta del Team Resolute per il programma «Fleet Solid Support», relativo alla costruzione di unità dedicate al rifornimento in mare di carichi solidi: si tratta della rielaborazione di un progetto spagnolo a cui si sono dedicate le società britanniche BMT e Harland & Wolff, quest’ultima nota per i cantieri di Belfast (Foto BMT).di velivoli imbarcati e grazie all’adattamento delle mis sioni a essi affidate e una conseguente configurazione della loro gestione a bordo, si è potuto mantenere un rateo di disponibilità giornaliera del 75%, un risultato significativo ottenuto grazie alla presenza di una massa critica di velivoli e alla garanzia di un regolare flusso di combustibile e materiali dalle unità ausiliarie (14).
All’indomani del rientro in Gran Bretagna del CSG21, grandi aspettative sono state dunque riposte sull’acquisizione di ulteriori F-35B prodotti e da pro durre per conto di Londra, anche se in tal senso «Global Britain» non aveva fornito né numeri definitivi e né tempi. Una risposta ufficiale è maturata ad aprile 2022, quando nel corso di un’interrogazione parlamentare, il già citato Ministro Jeremy Quinn ha affermato che la seconda tranche di acquisizione degli F-35B britannici riguarderà 26 velivoli, che si aggiungeranno ai 47 già consegnati e contrattualizzati (15); non è tuttavia chiaro se questa seconda tranche comprenderà anche il veli volo necessario a rimpiazzare quello perso per inci dente e poi recuperato, ma inutilizzabile. A parte ciò, l’obiettivo di medio termine riguarda co munque la disponibilità di quattro squadroni, con Quinn che ha anche dichiarato che la piani ficazione complessiva relativa a 138 F-35B è al momento confermata, ma rimane soggetta a va lutazioni future legate a nuovi programmi aero nautici. In attesa dell’arrivo dei nuovi aeroplani, la Royal Navy dovrà perciò ricorrere — se re quisiti e contingenze impreviste dovessero ri chiederlo — ad altre fonti di risorse, in primis i Marines statunitensi, sfruttando al contempo l’intercambiabilità e l’interoperabilità con altre Forze armate aventi in inventario l’F-35B.
Un altro problema da risolvere riguarda l’af fidabilità del già citato sistema aeroportato «Crowsnest». Definito ad alto rischio già da di versi anni e avviato diversi anni per dotare la Royal Navy di un radar aeroportato di allarme avanzato, il programma «Crowsnest» si basa tut tavia sull’aggiornamento di tecnologie risalenti ad almeno vent’anni fa: nell’ambito dell’inizia tiva Defence and Security Accelerator (DASA, avviata nel 2016 dal ministero della Difesa bri
tannico), è stato reso noto che il «Crowsnest» sarà riti rato dal servizio entro la fine dell’attuale decennio e dovrebbe — il condizionale è d’obbligo — essere so stituito da un sensore radar montato su un mezzo a con trollo remoto di idonee dimensioni.
Interoperabilità e interazione
Nell’analizzare risultati e lezioni apprese dal CSG 21, l’accento è stato più volte messo sia sull’interoperabilità delle unità e dei velivoli britannici con altre risorse si milari, sia sui vantaggi di detta interoperabilità: am pliando il concetto, non pochi fra i comandanti delle principali unità del CSG21 hanno parlato dei riscontri positivi dell’interazione con unità navali e aeromobili di altre Marine amiche e alleate, sperimentata durante le numerose esercitazioni svoltesi all’andata e al ritorno. È pertanto doveroso ricordare le interazioni con la Ma rina Militare, che ha pienamente sfruttato l’opportunità fornita dalla presenza nel teatro euromediterraneo di ri sorse pregiate quali appunto la Queen Elizabeth, i suoi
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Linea di fila aperta dal cacciatorpediniere lanciamissili ANDREA DORIA e compren dente un’analoga unità classe «Daring» e la portaerei QUEEN ELIZABETH, in una foto scattata durante l’esercitazione NATO «Steadfast Defender 2021».velivoli imbarcati e le altre unità del CSG21. Una prima interazione fra Marina Militare e Royal Navy si è avuta durante l’esercitazione NATO «Steadfast Defender 2021», svoltasi al largo della costa portoghese nel pe riodo maggio-giungo 2021: gli obiettivi dell’evento ri guardavano l’addestramento e l’incremento dell’interoperabilità fra le forze militari dei paesi NATO nel contesto di operazioni di protezione delle linee di comunicazioni marittime, nonché della deterrenza e della difesa degli interessi delle nazioni alleate in Eu ropa. Fra le 18 unità di superficie partecipanti alla «Ste adfast Defender 2021» vi erano quelle del CSG21 e il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, rapida mente integratosi nel dispositivo alleato di difesa con traerei e antimissili alleato e valorizzando così le capacità dei sensori e dei sistemi d’arma imbarcati. Il contributo dell’Andrea Doria è stato molto apprezzato dal commodoro Moorehouse ed è stato ribadito nella successiva e più significativa interazione con la Marina Militare, avvenuta su una scala più ampia nel Mediter raneo orientale quando il CSG21 era sulla via del ri torno. Infatti, nel periodo a cavallo del 20-21 novembre 2021, il gruppo navale incentrato sulla portaerei Cavour ha condotto con successo operazioni aeronavali a cui hanno partecipato uno dei tre F-35B al momento in do tazione all’Aviazione navale italiana, gli analoghi veli
voli presenti sulla portaerei Queen Elizabeth e l’F-35B dell’Aeronautica Militare; svoltosi nel Mediterraneo centrale a sud-est della Sicilia, l’evento è stato presen ziato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, ammira glio Giuseppe Cavo Dragone, dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio di squadra Enrico Credendino e dal Capo di Stato Maggiore del l’Aeronautica Militare, generale Luca Goretti. Alle ope razioni di cross-deck fra Cavour e Queen Elizabeth sono state associate anche eventi addestrativi finalizzati alla difesa di una task force formata da più portaerei, dove le capacità d’integrazione dell’Andrea Doria sono state nuovamente apprezzate dalla controparte britannica.
Dopo il CSG 21: prospettive, presenza e opportunità
Al rientro in patria la Queen Elizabeth ha iniziato un periodo di sosta per manutenzioni più o meno ampie, mentre il Prince of Wales è stato approntato per parte cipare all’esercitazione NATO Cold Response 2022 in qualità di nave ammiraglia della NATO Maritime High Readiness Force: per l’occasione, sul Prince of Wales è stato imbarcato un reparto aereo composto esclusiva mente da un numero imprecisato di elicotteri «Merlin» nelle versioni per il contrasto alle unità subacquee e le operazioni di eliassalto dal mare.
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Le portaerei CAVOUR e QUEEN ELIZABETH in navigazione nel Mediterraneo, in occasione delle attività congiunte effettuate a novembre 2021.Poi, all’improvviso (ma non tanto…), la Russia ha invaso l’Ucraina e il mondo è cambiato.
La Cold Response 2022 ha di conseguenza assunto un significato molto più ampio di quanto era stato pia nificato all’epoca della sua fase preparatoria e la Royal Navy, assieme alle altre marine NATO, ha dato inizio a una lunga fase di riflessione e analisi. Restringendo il campo al concetto CSG, la programmazione per una possibile replica dell’operazione «Fortis» a breve ter mine è stata messa temporaneamente da parte, obbli gando Londra a concentrare l’attenzione nei teatri marittimi d’immediato interesse, vale a dire il Mar di Barents, l’Atlantico settentrionale, il Mare del Nord e il Baltico. Da parte sua e in attesa delle nuove mac chine, la comunità britannica degli F-35B si è focaliz zata sul potenziamento delle capacità dei velivoli disponibili, per esempio accelerando l’integrazione del missile aria-superficie «Spear 3», ma lavorando anche in una prospettiva, al momento ambiziosa, di contem poraneo dispiegamento di due portaerei, seppur per un periodo di tempo limitato e con i rispetti gruppi di volo configurati in maniera da sfruttare tutte le potenzialità offerte da nuovi concetti e nuove tecnologie. In que st’ultimo settore, un’accelerazione è stata conferita allo sviluppo e alla sperimentazione di velivoli a controllo remoto per l’impiego nelle operazioni aeronavali, atti vità iniziata dal Prince of Wales già a settembre 2021 e necessaria per comprendere due cose: a quale futuro di medio e lungo termine andrà incontro la Fleet Air Arm della Royal Navy e come saranno configurati i futuri reparti aerei imbarcati sulle due portaerei.
Parlando di ambizioni e prospettive, soprattutto in
un clima di profonda incertezza come quella attuale, non si può non ritornare sull’attuazione della dimen sione militare, e in particolare aeronavale, del concetto «Global Britain». Già a luglio 2021, nel corso di una visita ufficiale in Giappone, il Segretario alla Difesa del governo britannico Ben Wallace aveva annunciato l’assegnazione permanente di due pattugliatori d’altura classe «River Batch II» — Spey e Tamar — alla re gione Indo-Pacifico, unità adesso in azione in quel l’area con il supporto tecnico-logistico fornito da Australia, Giappone e Singapore. Un’analoga misura ha riguardato il Mediterraneo, dove la Royal Navy ha deciso di assegnare in permanenza il Trent, gemello dei precedenti, a cui si è affiancato per breve tempo (aprile 2022), il Diamond e, forse, anche un sottomarino nu cleare d’attacco classe «Astute»: Trent e Diamond sono state inserite per qualche tempo nei gruppi navali per manenti che la NATO ha rischierato nella porzione cen
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive Foto aerea del cacciatorpediniere lanciamissili DIAMOND: l’inconveniente patito dal sistema propulsivo ha impedito all’unità di partecipare a tutti gli eventi previsti dall’operazione «Fortis», facendo sorgere non pochi dubbi sull’affidabilità complessiva del progetto (Royal Navy). Un F-35B dell’Aviazione Navale italiana ripreso a bordo della portaerei QUEEN ELIZABETH in occasione delle attività addestrative condotte in Mediterraneo a novembre 2021. Le capacità delle unità della Marina Militare sono state positivamente apprezzate dal commodore Moorhouse, alla guida del Carrier Strike Group britannico.Ai tempi della Mediterranean Fleet, metà anni Sessanta: il cacciatorpediniere lanciamissili IN TREPIDO in manovra nel Grand Harbour di Malta fra la portaerei britannica VICTORIOUS (in alto) e l’unità d’assalto anfibio statunitense CASAGRANDE. Ormai da oltre mezzo secolo, la presenza navale britannica nel bacino mediterraneo è diventata alquanto saltuaria, a corollario di decisioni politiche non sempre in sintonia con gli interessi strategici occidentali (Coll. Autore).
trorientale del bacino, mentre il battello opera con la massima discrezione.
Per Londra, tutto ciò sembra implicare una netta ten denza verso la concentrazione delle principali risorse aeronavali nazionali nei mari nord-europei e ad affi darsi a forme d’interoperabilità e interazione con altre marine NATO in altri teatri marittimi che rimangono comunque d’interesse per la Corona britannica ma in cui la Royal Navy non può, per carenze quantitative, esercitare forme di presenza concreta e visibile. Se nella regione Indo-Pacifico la presenza permanente di
NOTE
due pattugliatori d’altura operanti in siner gia con le Marine filoccidentali dell’area e con l’US Navy potrebbe ritenersi suffi ciente, così come lo sono anche i caccia mine dispiegati in permanenza nella regione del Golfo Persico, diverso è il qua dro geostrategico nel Mediterraneo, la cui importanza e criticità è aumentata dramma ticamente ed esponenzialmente come ri flesso di quanto accade nel Mar Nero. Alla luce delle risorse complessivamente dispo nibili, non è azzardato affermare l’esistenza di una lezione geopolitica probabilmente appresa da Londra a valle del CSG21 e in concomitanza del conflitto russo-ucraino, lezione sintetizzabile nella necessità di colmare un ine ludibile gap di presenza in tutto il Mediterraneo. E se la Royal Navy non può oggettivamente colmare questo gap, la lezione si tramuta in un’opportunità per l’Italia e la Marina Militare, che può confermare la saldezza di un rapporto duraturo con le nazioni NATO e le ca pacità della Forza armata non solo di riempire effica cemente quel vuoto, ma di agire contestualmente in tutto il Mediterraneo Allargato per rafforzare l’imma gine della Nazione sul piano internazionale e perse guirne gli obiettivi politico-strategici. 8
(1) Edito dal governo britannico, il titolo completo del documento è «Global Britain in a Competitive Age: the Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy». https://www.gov.uk/ government/publications/global-britain-in-a-competitive-age-the-integrated-review-of-security-defence-development-andforeign-policy.
(2) La fregata Richmond è l’unica unità del CSG basata a Devonport, e da lì salpata, anziché a Portsmouth.
(3) Gli F-35B britannici appartengono al 617 Squadron, un reparto formato da personale della Royal Navy e dalla Royal Air Force. I velivoli statunitensi appartengono al Marine Fighter Attack Squadron (VMFA) 211 del Corpo dei Marines, noto come «Wake Island Avengers», in ricordo delle loro operazioni nella Seconda guerra mondiale.
(4) Le «Sovereign Base Areas» (SBAs) di Akrotiri e Dhekelia, rispettivamente a ridosso di Limassol e Larnaca, sono due aree di 255 kmq su cui il Regno Unito esercita la propria sovranità tramite basi militari rimaste sotto il governo di Londra in forza del trattato che nel 1960 concesse l’indipendenza all’isola di Cipro. Uffi cialmente conosciuto come British Indian Ocean Territory, l’arcipelago delle Chagos, nel mezzo dell’oceano Indiano, ha una superficie complessiva di 60 kmq, con l’isola principale — Diego Garcia — sede d’installazioni militari britanniche e statunitensi.
(5) https://www.royalnavy.mod.uk/news-and-latest-activity/news/2021/december/09/091221-hms-queen-eliz abeth-returns-to-portsmouth-after-completing-globalmission.
(6) https://www.bbc.com/news/world-europe-57583363.
(7) L’FPDA è un accordo multilaterale in materia di cooperazione militare siglato nel 1971 da Australia, Regno Unito, Malesia, Nuova Zelanda e Singapore.
(8) Gli F-35 di tutte le versioni e in servizio con numerose forze aeree e aviazioni navali sono stati consegnati in configurazioni differenti — note come Blocks — e gradualmente più prestanti, fermo restando che per i velivoli più «anziani» sono previsti programmi di ammodernamento.
(9) https://www.forces.net/news/sailor-who-died-hms-kent-named.
(10) https://www.theyworkforyou.com/wrans/?id=2021-12-13.91830.h&s=defence+2021-12-15.2021-12-17#g91830.q0.
(11) Fra le decisioni annoverate nella SDSR 2010, da ricordare la dismissione anticipata dell’Ark Royal, ultima portaerei leggera classe «Invincible» rimasta in linea, e dei «Sea Harrier» dell’aviazione navale Britannica.
(12) Il programma è noto come Power Improvement Programme, PIP, e coinvolge diverse realtà industriali britanniche, prima fra tutte Rolls Royce. A febbraio 2022, tenendo conto delle unità già ai lavori e a quelle in corso di predisposizione per essi, nessuno dei sei «Daring» era operativamente disponibile, un vuoto capacitivo assai rischioso protrattosi per qualche tempo e in corso di progressivo riempimento.
(13) Janes Defence and Intelligence Review, Dr. Lee Willett, Key Indian Ocean ports bring access and influence, April 2022.
(14) Un’altra decisione maturata con la SDSR 2010.
(15) Flight Global, Richard Scott, How CSG21 deployment proved UK’s reborn carrier strike credentials, 14 April 2022.
(16) https://ukdefencejournal.org.uk/britain-clears-funding-for-additional-tranche-of-f-35-jets/.
Carrier Strike Group 21: Analisi, lezioni e prospettive«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»
Daniele PanebiancoCon questo articolo l’autore intende condividere alcune riflessioni su come l’etica — dottrina che attiene al comportamento pratico dell’uomo (viepiù se militare) improntato al perseguimento del vero bene della collettività e all’assolvimento dei doveri morali verso sé stessi e verso gli altri — sarà imprescindibile per il futuro di una Forza armata come la Marina Militare.
Capo Ufficio Politica delle Alleanze del 3° Reparto Pianificazione e Politica Marittima dello Stato Maggiore della Marina. Entrato in Accademia navale nel 1990, si è specializzato in «Contromisure Mine Navali» nel 1998. Ha comandato nave Gaeta e la Squadriglia cacciamine costieri 54, e ha servito sia a bordo di numerose unità navali, sia in diversi staff multinazionali, partecipando a molteplici attività e operazioni militari a livello nazionale, NATO, europeo, Nazioni unite e di coalizione. Più di recente, ha servito presso il Centro Innovazione Difesa e quale Consigliere del Ministro della Difesa per l’attuazione del programma di governo (2018-19). Ha conseguito la laurea specialistica in «Scienze Marittime e Navali» e «Scienze Politiche», e un Master di 2° livello in «Studi strategici e sicurezza internazionale». Ha progettato e curato la masterclass sulla «Sicurezza marittima» presso l’Università Link Campus University di Roma e l’Università statale di Brescia. È un assiduo collaboratore della Rivista Marittima.
Una doverosa premessa
Ho accettato con particolare interesse la richiesta della Direzione della Rivista Marittima di scrivere un articolo in cui si tratti di etica associata alla Forza ar mata da un punto di vista analitico. Non essendo un ac cademico, bensì un ufficiale superiore della Marina Militare, considero quindi un vero privilegio tale invito e con esso l’opportunità offertami nel poter condividere con i Lettori di tale prestigiosa testata scientifica alcune riflessioni sul tema presentato.
Prima di passare ai ragionamenti di merito, desidero proporre i risultati di una piccola ricerca sull’etica mi
litare, tratti da un testo consegnatomi all’ingresso in Accademia navale, avvenuto nell’oramai lontano 1990, riedito nel 2008 e tuttora distribuito a quanti continuano a fare quella medesima scelta; si tratta del volume, o meglio del manuale, intitolato «L’etica e i modi del l’Ufficiale. Guida di comportamento per l’Ufficiale di Marina». Seppur diretto a un audience specifico, ri tengo che taluni suoi contenuti possano in principio ri tenersi universali, come le qualità che devono essere insite in ogni buon ufficiale di Marina il cui destino, una volta completato e superati gli sbarramenti carat terizzanti il lungo iter formativo, è quello di diventare
«comandante». Egli è colui o colei che posto a capo di altri donne e uomini eserciterà su di essi il potere isti tuzionale conferitogli per guidarne le azioni (e rispon dendone dell’operato), per conseguire gli obiettivi assegnati all’unità navale posta sotto il suo comando. Senza voler considerare l’elenco che segue esaustivo, si riportano le principali qualità che il manuale indivi dua quali caratterizzanti la figura del «comandante». Esse sono: il senso dell’onore; la lealtà; il senso del do vere; la volontà; l’energia, l’entusiasmo e la perseve ranza (1); la forza d’animo (2); la fede (3); la fiducia; il buon senso, il giudizio e l’acume; il coraggio e la de cisione; il tatto; la perspicacia; lo spirito di collabora zione; la chiarezza di percezione; il controllo personale; la semplicità; l’iniziativa (4); la giustizia; l’assiduità; l’applicazione; la comprensione
Una prima analisi dei concetti di onore e di patria
Come accennato, il volume sopra citato approfondi sce con molto acume e brillantezza di esposizione le principali qualità che deve avere un comandante. Non potendo riproporre in questa sede il testo completo, si rimanda il lettore alle consuete note di fine articolo e al citato libro per gli approfondimenti ritenuti utili. Si riportano, invece, le spiegazioni fornite dal testo sul «senso dell’onore» e poco più avanti vedremo il per ché: «in uno spirito moralmente equilibrato e non in cline a compromessi, il senso dell’onore è innato e ha per base il rispetto e la stima di sé stessi, la coscienza del proprio valore e della propria dignità. Nel concetto di onore è implicito il superamento del dovere …omis sis… Il senso dell’onore impone a noi stessi ulteriori e altrettanto rigidi doveri, vincoli e leggi, di quanto non spettino al nostro stato. Sull’onore non si discute né si transige; lo si avverte quanto più si è moralmente ele vati; non a caso il culto dell’onore può essere conside rato una sorta di fede, così come la religione e l’amor di patria, ai quali viene spesso avvicinato» (5).
Il testo evidenzia che l’onore è strettamente legato alla lealtà di cui condivide immancabilmente la sorte poiché lealtà è «l’agire e il pensare con franchezza e limpidezza nei riguardi di un alto ideale, di un supe riore, di un’istituzione alle quali si debba rendere conto delle proprie azioni, ma è altrettanto importante inten
dere la lealtà come il franco e chiaro agire e pensare nei riguardi dei dipendenti e, più ampiamente, di tutti coloro ai quali si può anche non essere costretti a ren dere conto del proprio operare» (6).
Rimanendo idealmente ancora in Accademia navale, onore richiama il tradizionale motto della Marina Mili tare (che è Patria e Onore), il quale si trova stampigliato alla base della Torre dell’Orologio sul lato ovest dell’edi ficio che si affaccia sul piazzale allievi. Si tratta del punto più alto e centrale del palazzo allievi, sulla cui cima si trova la struttura con l’asta a cui è invergato il Tricolore della Marina Militare. Tale scelta non è casuale; il motto è stato scritto proprio lì, sotto la Bandiera della Forza ar mata a sovrastare il piazzale, proprio perché possa essere costantemente visto dagli allievi per buona parte del tempo che trascorrono all’interno dell’Istituto — ma anche quando impegnati nelle attività marinaresche, data l’ampia visibilità della Torre anche dal mare — per ispi rarne le azioni e informarne i comportamenti ai più ele vati ideali. Analogamente, il motto della Marina è presente ben visibile nei piazzali degli altri istituti di for mazione della Forza armata e di molti altri Comandi ed Enti distribuiti su tutto il territorio nazionale. Volendo soffermarsi per un attimo sul significato e
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»sul valore che può assumere in generale un motto quale sagace combinazione di poche parole che danno vita a una frase dal particolare effetto morale, desidero richia mare le riflessioni sull’essenza e le caratteristiche del Comando navale formulate dall’allora Comandante in Capo della Squadra navale (2019-21), ammiraglio di squadra Paolo Treu, raccolte e pubblicate in allegato al numero di ottobre 2020 del Notiziario della Marina con il titolo «Il sale del comando per una leadership sul mare» (7). In particolare, l’ammiraglio Treu, a un certo punto dell’esposizione si è avvalso proprio del ri chiamo agli «illuminanti motti delle nostre Navi, pas sate e presenti …omissis… riconoscendo in quei motti frammenti di saggezza, stelle di una costellazione an cora capace di indicarci la rotta per diventare un buon comandante» (8). Tra i motti passati in rassegna dal l’Ammiraglio, quello di nave Staffetta, «ubi navis ibi patria», «dove vi è la nave (da guerra) vi è la patria», nel sottendere il nesso tra la Patria e la nave da guerra, riconduce al valore del motto della Forza armata. In fatti, quello tra le navi della Marina e la Patria è un le game fondamentale poiché è proprio attraverso le navi militari e il senso dell’onore con cui servono a bordo comandanti ed equipaggi, che la Marina Militare ha
sempre assolto e può assolvere con fedeltà, efficacia, efficienza e senza soluzione di continuità i compiti sta biliti dalla legge, primo fra tutti la difesa dei confini e degli interessi marittimi della Nazione (9).
Continuando il nostro ragionamento, seguendo la suggestione del motto della Forza armata Patria e onore, che ne è poi il filo conduttore, i due termini componenti caratterizzano anche la definizione giuri dica della Bandiera della Repubblica italiana secondo il D.lgs. 66/2010, Codice dell’Ordinamento Militare (COM). Infatti, in base all’art. 96 del COM, «1. La Bandiera della Repubblica è il simbolo della Patria. 2. La Bandiera da combattimento affidata a una unità mi litare è, inoltre, il simbolo dell’onore dell’unità stessa nonché delle sue tradizioni, della sua storia, del ricordo dei suoi caduti, e va difesa fino all’estremo sacrificio. 3. Alla Bandiera vanno tributati i massimi onori». Anche se potrebbe trattarsi di una mera coincidenza, eppure la sequenza in cui quest’articolo di legge cita la Patria e l’onore è la stessa del motto della Forza ar mata, come a voler indicare che l’amor patrio genera in quale modo il senso dell’onore.
Significato intrinseco del giuramento
Come si può desumere da quanto esposto fin qui, Patria e Onore non sono termini che appartengono a una mera sfera romantica o di astratta morale, ma sono parte tanto del lungo percorso storico che ha portato all’unità nazionale, quanto del portato normativo at tuale delle Forze armate.
I termini del motto della Marina sono altresì presenti nella formula del giuramento che ogni militare recita quando indossa «le stellette», simbolo della condizione militare (10). Anche in questo caso non si tratta della riproposizione di un rito o di una tradizione militare, ma di una disposizione di legge. L’art. 575 del DPR 90/2010, Testo Unico dell’Ordinamento Militare (TUOM), stabilisce, infatti, sia la formula, sia le mo dalità per prestare il giuramento. La formula recita: «giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di os servarne la Costituzione e le leggi, e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio stato, per la di fesa della Patria e la salvaguardia delle libere istitu zioni». Normalmente, la si pronuncia per la prima volta
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata» Accademia navale di Livorno.in forma solenne, inquadrati insieme ai commilitoni del corso di appartenenza, alla fine di un periodo che, a se conda dei ruoli, varia, ma che di solito è di circa due mesi dal primo ingresso in Forza armata, per essere successivamente replicata in forma individuale e sot toscritta all’atto dell’assunzione o del passaggio di ruolo. Entrambi gli atti (giuramento in forma solenne e individuale) avvengono alla presenza della Bandiera e del Comandante di corpo.
Il giuramento sigilla un patto indissolubile tra il mi litare e lo Stato, un impegno solenne di fronte alla col lettività, in cui ciò che si dice e si pronuncia genera un vincolo interiore particolarmente significativo. In tal modo la società può acquisire maggiore sicurezza circa la prevedibilità del comportamento di quell’individuo. Attraverso il giuramento il militare si impegna, infatti, a far aderire il proprio pensiero e il proprio comporta mento alla difesa dell’onore e della sovranità del pro prio paese e, allo stesso tempo, la collettività investe lo stesso militare di fiducia, perché in caso di pericolo sa che potrà contare su di lui, sulla sua fedeltà, e che potrà prevederne un comportamento di difesa e di protezione (11). Ecco perché ogniqualvolta qualche militare infe dele tradisce con dei comportamenti delittuosi quel giu ramento, la condanna e il disdegno sociale è giustamente unanime.
La sottoscrizione del giuramento rappresenta un vero atto formale e solenne che vincola il militare allo Stato ed è custodito, come stabilito dalle norme, nella Raccolta Documentazione Caratteristica Valutativa (RDPV). Ciò offre uno spunto per evidenziare che i mi litari non firmano dei contratti individuali come av viene per altre categorie di lavoratori, ma è proprio il giuramento a conferire loro lo status di militare che, in base all’art. 621 del COM, «…omissis… comporta l’osservanza dei doveri e degli obblighi relativi alla di sciplina militare stabiliti dal presente codice e dal re golamento…omissis...».
Più volte, nel corso della carriera, ho avuto modo di riflettere sulle parole della formula del giuramento per cercare di comprenderne fino in fondo il significato. In effetti, tra tutti i sostantivi disponibili per specificare il modo in cui adempiere il proprio dovere di militare, sono stati scelti disciplina e onore. Sul secondo, il ma
nuale dell’Accademia ci ha già dato una interpreta zione. Vediamo cosa riporta sul primo: «la disciplina richiama anzitutto il concetto di ordine: senza di essa mancherebbe la struttura portante di ogni società. L’ordine e la disciplina costituiscono per ogni società organizzata una necessità indispensabile a un regolare sviluppo civile e di progresso. Perfino la natura, grande maestra, ci stupisce con le sue leggi esatte, ci meraviglia con la ferrea disciplina che impronta ogni suo aspetto, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. Quando tali qualità vengano a difettare, si ve rifica la distruzione, la morte di ogni organismo omissis…» (12). Mi soffermo ancora un attimo sul concetto di disciplina per un’ulteriore riflessione sul fatto che non si tratta e non può trattarsi di mera «sog gezione» a un set di regole, concetto a cui è solitamente associata la disciplina militare. Al contrario, disciplina consiste in una adesione interiore consapevole, che di venta sentita necessità e strumento di armonia, equili brio e bellezza quando, ad esempio, è associata all’arte
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata» Giuramento solenne dei volontari in ferma prefissata, Mariscuola Taranto, 2015 (PugliaPress).(disciplina artistica), allo sport (disciplina sportiva), alla musica (disciplina musicale), e così via. Ritengo che, riprendendo la spiegazione del manuale dell’Ac cademia navale, lo stesso possa riguardare la disciplina militare: per essere disciplinati nella sostanza e nella forma si deve avere ben interiorizzato il senso del l’onore, della fede, della lealtà e del dovere (13). La disciplina militare non deve essere dunque confusa con la coercizione della libertà e delle qualità personali. Tutto ciò che essa racchiude ha, infatti, l’obiettivo di integrare, armonizzare e valorizzare le qualità dei sin goli al fine di raggiungere uno scopo comune che non può che essere l’interesse della collettività che, inne gabilmente, si antepone all’interesse, spesso egoistico, del singolo individuo.
Un valore relativamente «moderno» per l’Italia: il concetto di patria
Eppure, i concetti di «Patria» e di «Forze armate» sembrano relativamente moderni. Ad esempio, secondo quando sostiene il famoso storico e saggista inglese Paul Kennedy (Wallsend, 17 giugno 1945) in una delle sue più importanti opere Ascesa e declino delle grandi
potenze (un classico per i cultori della geopolitica), «le forze in possesso delle nuove monarchie europee del 1500 erano esigue se schierate contro le imponenti ar mate ottomane o le truppe dell’impero cinese Ming; questo era valido all’inizio nel XVI secolo e, sotto certi aspetti, anche nel XVII, quando la bilancia della po tenza militare si stava rapidamente inclinando a favore dell’occidente». Ciò che interessante per i nostri fini, è quanto Kennedy sostiene sulle origini socioeconomi che della corsa alle armi tra le città-stato e, in seguito, tra regni europei più grandi. In particolare, con riferi mento all’Italia, dal momento in cui gli eserciti rivali non furono più formati dai cavalieri feudali — che combattevano in nome di alte virtù e valori etici e a cui era richiesto un codice di condotta irreprensibile, un complesso che portò, tra l’altro, alla coniazione del ter mine «cavalleria» (14) — ma da soldati di ventura pa gati dai mercanti con la supervisione dei magistrati, cioè degli amministratori delle città, fu quasi inevita bile che questi ultimi domandassero una valida contro partita per quel denaro. In altri termini, le città avrebbero richiesto il genere di armi e di tattiche che potevano condurre a una rapida vittoria, in maniera che si riducessero le spese delle guerre, di fatto «commer ciali». Questo sistema di mercato libero, continua Ken nedy, non solo costrinse i numerosi condottieri, cioè i capitani e spesso anche i fondatori delle compagnie di mercenari, a competere per i contratti, ma spinse anche artigiani e inventori a migliorare i loro prodotti bellici, così da ottenere nuove ordinazioni.
Tuttavia, la situazione dei piccoli Stati italiani intro dusse nelle coscienze anche l’idea che in uno Stato ben ordinato l’uso delle armi non fosse soltanto un’arte da cui si potesse trarre profitto o diletto, bensì un pubblico dovere. Va a Niccolò Machiavelli il merito e il vanto di avere intuito per primo questi principi. Con lui, infatti, la concezione della guerra viene ricondotta al moderno concetto etico, per cui essa non è il frutto della volontà di un capo, bensì un avvenimento legato a tutta la vita di un popolo (opera: Dell’arte e della guerra) (15).
Analogamente, sempre secondo Kennedy, nel domi nio marittimo si ebbero sviluppi per lo più paralleli a quelli avvenuti per terra. L’espansione del commercio marittimo specialmente oltreoceano, le rivalità tra le
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»flotte, la minaccia dei pirati barbareschi e delle galee ottomane, concorsero a creare, con l’aiuto delle nuove tecnologie dell’ingegneria navale, vascelli più grandi e meglio armati. A quei tempi non esisteva una rigida di stinzione tra navi da guerra e navi mercantili; pratica mente tutti i vascelli da carico di una missione erano armati di cannoni, per respingere pirati e altri predoni. Mentre, ad esempio, se da un lato Enrico VIII d’Inghil terra (1491-1547) incentivò la tendenza a costruire navi reali in modo che il monarca possedesse almeno un certo numero di navi da guerra tali da formare un nucleo attorno a cui si potesse radunare in tempo di guerra una grande flotta di mercantili armati, fondando di fatto la Royal Navy (1546), dall’altro Carlo V d’Asburgo (150058) tendeva, al contrario, a richiedere galeoni e galee private ai suoi possedimenti spagnoli e italiani piuttosto che costruire una sua Marina. In questo contesto si in serisce, ad esempio, l’attività della famiglia genovese dei Doria che, a partire dal famoso Andrea, mise al ser vizio dei reali spagnoli la propria flotta e le proprie ca pacità di condurla in battaglia per contrastare l’avanzata ottomana e le scorribande dei pirati barbareschi. Suo ni pote Gianandrea fu assoldato da Filippo II di Spagna per l’assemblamento della grande flotta della coalizione
cristiana, la Lega Santa — composta da unità spagnole; genovesi al comando di Gianandrea; papali al comando dell’ammiraglio Marcantonio Colonna e veneziane al comando del capitano general da mar, e futuro doge, Sebastiano Venier — che, alla guida del comandante ge nerale don Giovanni d’Austria, fratellastro del Re di Spagna, il 7 ottobre 1571, sconfisse a Lepanto la flotta ottomana al comando dell’ammiraglio Alì Pascià.
I «concorrenti» dello Strumento militare
Ludwig Josef Johann Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 - Cambridge, 29 aprile 1951), da diversi studiosi considerato tra i massimi pensatori del XX secolo e padre dello strutturalismo, asseriva: «che il sole si levi anche domani è solo un’ipotesi» (16). Questa semplice quanto lapidaria e inequivocabile affermazione descrive l’assoluta incertezza del futuro o, se si vuole, la certezza che ciò che oggi esiste non è affatto scontato che esi sterà per sempre, e ciò vale per tutto, incluso i macrosi stemi come gli Stati e le sue istituzioni. Infatti, la storia è densamente popolata di esempi di «ascesa e declino di grandi potenze», volendo così richiamare il titolo del precitato saggio di Paul Kennedy.
Questa premessa serve a introdurre un ragionamento
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata» Il dipinto del XVI secolo raffigura lo scontro tra galere cristiane e ottomane a Lepanto (National Maritime Museum, Greenwich, Londra).— meglio un quesito — che secondo una prospettiva attuale potrebbe apparire privo di fondamento e molti potrebbero rimanere perplessi o meravigliati al ri guardo. Si tratta, in sostanza, di introdurre il seguente interrogativo: lo Strumento militare così come lo ab biamo inteso a partire dall’unità d’Italia fino a oggi è destinato a durare inalterato nel futuro? in altri termini: è plausibile che le Forze armate continueranno a esi stere come le abbiamo sempre intese?
Tale domanda, da cui discendono le riflessioni che seguono, nasce da un ricordo di gioventù. Da ragazzino — siamo agli inizi degli anni 80 — mio padre mi por tava di tanto in tanto allo stadio, come oggi fanno molti papà. A quel tempo la sicurezza negli stadi era garantita dai Carabinieri e dai poliziotti dei Reparti Celere, nelle tipiche tenute antisommossa, che ricordo dispiegati in numeri cospicui (sono peraltro convinto che la visione di tutte quelle uniformi, nel tradizionale nero con i pan taloni bardati di rosso per i Carabinieri e grigio per la Celere, ma soprattutto il senso di sicurezza emanato da quei dispositivi, abbiano contribuito a far maturare in me il desiderio di servire un giorno, in uniforme, il mio paese, come poi in realtà è avvenuto).
Oggigiorno, andando allo stadio per ammirare una partita di calcio, a differenza di trenta anni fa, non vi sono più i Carabinieri o la «Celere», bensì gli Steward, cioè la nuova figura regolamentata dal D.M. del mini stero dell’Interno 8 agosto 2007 a cui compete «lo svol gimento delle mansioni connesse al mantenimento delle condizioni di sicurezza del l’impianto sportivo e degli spettatori prima, durante e dopo una manifestazione calcistica». Come è stato nel mio caso, immagino che ciò avrà una certa influenza su molti giovanissimi che, nella fase del consolida mento della propria perso nalità, potrebbero associare il concetto di sicurezza sem pre più a operatori civili, data peraltro la loro progres siva diffusione (e visibilità)
se pensiamo, ad esempio, oltre agli stadi, agli aeroporti dopo gli attacchi terroristici dell’«11 settembre». Senza sottacere il fatto che la sospensione del servizio di leva a partire dal 1° gennaio 2005 (L. 23 agosto 2004, n. 226), ha in qualche maniera tranciato un «cordone» che indub biamente avvicinava, o quantomeno faceva conoscere, l’Istituzione militare ai giovani. Questo per dire che le varie evoluzioni sociali, e con esse del concetto di etica e del sistema valoriale, avranno comunque una certa in fluenza sulle consapevolezze e le scelte dei cittadini di domani, compresi coloro che occuperanno posizioni di vertice e le cui decisioni — gioco-forza frutto anche di percezioni sviluppate nel corso dell’esistenza — influen zeranno anche l’ulteriore futuro dello Strumento mili tare, le cui dinamiche ed esigenze corrono il rischio di essere sempre meno conosciute dalla maggioranza della collettività.
Il filo di questo ragionamento porta inevitabilmente a pensare alle «compagnie militari private» — come abbiamo visto non una novità se si pensa ai mercenari, alle compagnie di ventura e ai mercantili armati dei se coli passati — che al giorno d’oggi sono paragonabili a veri e propri eserciti, presenti in diversi teatri di guerra di cui condividono le dinamiche con le Forze armate regolari. Pensiamo, ad esempio, al famoso Gruppo Wagner russo o a quello americano Blackwater e gli effetti delle loro attività rispettivamente in Libia e Iraq. Quello che posso dire quale testimone diretto è che durante il mio dispiegamento in Iraq nell’ambito
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata» Stagione calcistica 1976-77, partita Torino-Sampdoria (asromaultras.org).della NATO Training Mission, nel 2009, la sicurezza di Bagdad e delle altre città irachene — assicurata fino al 30 giugno di quell’anno dal US Army — a causa della scadenza dello Standard Force Agreement (SOFA) passò a soldati privati, perlopiù sudamericani.
In effetti a metà degli anni 2000, proprio a causa dell’insicurezza generalizzata soprattutto in Iraq e in Af ghanistan, il fenomeno dei Private Military and Security Companies (conosciuti anche con gli acronimi PMSC e PSC) ha cominciato a diffondersi attirando migliaia di ex-militari che, motivati da retribuzioni molto più elevate rispetto agli stipendi percepiti quali truppe re golari, hanno alimentato un busi ness che oggi è determinante per diversi delicati equilibri geopoli tici, tra i quali, al di là del corrente conflitto armato in Ucraina, quello in Libia, uno dei paesi di elevato interesse nazionale. Come noto, la Libia è tuttora divisa in due aree tra loro in conflitto e in competi zione, nelle quali è evidente la pre senza anche di attori stranieri che cercano di difendere o incremen tare i propri interessi, schierandosi a supporto dell’una o dell’altra fa zione. In particolare, a supporto
della parte occidentale, la Tripolitania, emerge sulle altre la presenza turca, men tre a supporto della parte orientale, la Cirenaica, quella russa. Entrambi eser citano la propria influenza sul territorio, tra le altre cose, con compagnie mili tari private, la citata Wagner per la Russia e la compa gnia Sadat per la Turchia (17). Ma non solo. Il ricorso a compagnie private di sicu rezza si è diffuso anche nel dominio marittimo, soprat tutto a partire dall’acuirsi del fenomeno della pirateria nel Corno d’Africa nella prima decade di questo secolo. Quale conseguenza, anche l’attuale portato normativo nazionale prevede la possibilità di impiegare a bordo delle navi italiane guar die giurate per servizi antipirateria (l’art. 2, co. 6 ter L. 25.02.2022, n. 15, ha prorogato i servizi antipirateria, esentando fino al 31 dicembre 2022 le guardie giurate da impiegare in servizi antipirateria dalla frequentazione dei corsi teorico-pratici individuati dal Ministero del l’interno).
Se pensiamo, inoltre, al quarto dominio operativo, cioè lo spazio cibernetico — generalmente ricono
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata» Steward in servizio (binews.it). Guardie giurate a bordo di un mercantile in ruolo antipirateria (Analisidifesa).«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»
sciuto, insieme al quinto, cioè lo Spazio extra-atmosfe rico, analogo agli altri domini tradizionali in cui avven gono i confronti nell’ambito dei più noti costituenti della geopolitica, ovverosia geostrategici, geoecono mici, geoculturali — in esso la sicurezza e la difesa del l’apparato statale e dei suoi interessi sono devolute a entità in prevalenza non militari. Basti pensare, nel caso nazionale, all’organizzazione per la sicurezza ciberne tica per la quale la recente adozione del D.L. 14 giugno 2021, n. 82, nel ridefinire l’architettura nazionale cyber, ha istituito l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) a tutela degli interessi nazionali nel campo della cybersicurezza. L’ACN assicura il coordinamento tra i soggetti pubblici coinvolti nella materia e promuove la realizzazione di azioni comuni volte a garantire la si curezza e la resilienza cibernetica necessarie allo svi luppo digitale del Paese (18). Non ultimo, mentre la pervasività delle cosiddette tecnologie emergenti di rompenti e dell’Intelligenza artificiale rendono dispo nibili oramai da tempo sistemi robotici in grado di sostituire l’uomo in tantissime attività, tra cui le ope razioni militari più pericolose (concetti di autonomous e unmanned), la sicurezza di tutti i computer — come si sa vettori di veri e propri attacchi informatici che possono indebolire o peggio ancora rendere inefficienti intere strutture statali, inclusi i dipartimenti di difesa — è assicurata da antivirus commerciali.
Per non parlare poi delle grandi imprese private — si pensi, ad esempio, a Tesla di Elon Musk o Amazon di Jeff Bezos, i cui fatturati sono paragonabili al PIL di numerose nazioni medie — che già oggi , ad esempio, sono in grado di competere con diverse istituzioni, tra cui le Difese, nella corsa allo Spazio o al sempre più popolato (e conteso) dominio subacqueo, inclusi i fon dali e i sottosuoli marini, una situazione che, volendo, richiama per certi versi le attività dei Doria nel dominio marittimo nel XVI secolo.
L’etica come garanzia della continuità dello Strumento militare
Naturalmente, se si volesse traguardare gli elementi sopra analizzati con la lente del foresight, ovvero della profondità temporale strategica che caratterizza lo studio previsionale dei futuri, un orizzonte temporale che nor
malmente abbraccia l’arco dei vent’anni a venire, risulta significativo chiedersi quale forma prenderanno le Forze armate del 2040 e quali saranno gli elementi che le ca ratterizzeranno, anche in virtù dell’evoluzione sia dei si stemi valoriale ed educativo, sia del costume sociale, evoluzione che, come la storia ci ha sempre insegnato, è alla base dei cosiddetti «scontri», o meglio «differenze» generazionali, a cui occorre aggiungere il progressivo invecchiamento della popolazione che influirà sui futuri reclutamenti. In tale contesto, possiamo ipotizzare che, se il sistema valoriale del futuro remoto sarà in parte o del tutto diverso dall’attuale, allora perfino la «fisiono mia» dello Strumento militare potrebbe subire delle mu tazioni, anche profonde, essendo esso stesso un’emanazione del tessuto socio-tecnologico, nonché la risultante di scelte e decisioni politiche, anch’esse espressioni della società del momento. Infatti, come in telligentemente osserva, tra gli altri, Michael Eliot Ho ward (Londra 29 novembre 1922, 30 novembre 2019), storico militare britannico, «il sistema militare di una na zione non è un settore indipendente del sistema sociale ma un aspetto di quest’ultimo, nella sua interezza» (19).
Ciò detto, non possiamo non convenire che ciò che, con tutte le probabilità, rimarrà immutato, sarà il biso gno della società di sicurezza e protezione dei propri beni e interessi e ciò sarà declinato sempre più secondo paradigmi e criteri di costo-efficacia. È evidente, infatti, che qualsiasi Strumento militare continui ad avere un costo significativo per i cittadini, anche ai nostri giorni — un valore che in ambito nazionale nell’attuale Eser cizio finanziario si attesta attorno ai 29 miliardi di euro (20) — per fornire servizi che, come si è visto, in parte possono essere reperiti altrove. Nondimeno è altrettanto corretto e doveroso affermare, con forte convinzione, che ciò che altrove non è ancora possibile reperire, e che si ritiene non lo sarà mai sia l’etica e l’insieme va loriale e delle tradizioni che caratterizza e permea le no stre Forze armate. Si tratta di un intreccio di contenuti valoriali consolidatosi nei secoli, brevemente passato in rassegna in queste pagine, che rende le Forze armate an cora irrinunciabili e insostituibili; tale intreccio le iden tifica con lo Stato stesso, come testimonia il pressoché unanime consenso che esse riscuotono durante i dibat timenti parlamentari e in occasione di celebrazioni na
zionali come nel caso della ricorrenza del 2 giugno, Festa della Repubblica, e del 4 novembre, Festa delle Forze armate e dell’unità nazionale.
Possiamo allora convenire che l’etica è ancora im prescindibile per motivare gli uomini e le donne in uni forme. In particolare, l’etica militare sostiene i servitori dello Stato con le stellette nel compiere azioni eroiche non attese dal comune cittadino, financo includere l’estremo sacrificio, proprio per quella scelta originaria di «servire in armi (e in uniforme)» il paese, avendovi prestato giuramento di fedeltà davanti alla Bandiera.
Verso una conclusione
Secondo una definizione generale elaborata dallo Stato Maggiore della Difesa, lo Strumento militare è «il complesso di forze, strutture organizzative, mezzi, materiali e funzioni per il conseguimento delle finalità che l’Autorità politica attribuisce alla Difesa» (21). Lo Strumento militare si identifica con le Forze armate, un’Istituzione relativamente recente, la cui origine la si può far risalire all’unità d’Italia, nel 1861. Quale Isti tuzione, le Forze armate incarnano per tradizione e per legge i più alti valori dello Stato, di cui sono al totale servizio incondizionato per «la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere Istituzioni», un servizio che esplicano attraverso l’assolvimento di quattro missioni che ne guidano le attività: 1) la «difesa dello Stato»; 2) la «difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterra nei»; 3) il «contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza internazionali»; 4) i «concorsi e i com piti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza» (22). Nel corso del tempo, la consistenza dello Strumento militare è stata funzione delle esigenze del periodo sto rico attraversato. Ad esempio, durante l’epoca della corsa agli armamenti che ha caratterizzato la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo, le Forze ar mate italiane erano arrivate a contare, alla vigilia del secondo conflitto mondiale (1939), oltre 1.600.000 unità (1.200.000 Regio Esercito, 295.000 Regia Ma rina; 105.000 Regia Aeronautica). Ciò è stato possibile anche grazie al servizio di leva, uno dei provvedimenti più longevi della storia, che prevedeva l’obbligo per tutti i cittadini a prestare servizio militare e che nel
l’Italia unita è durato 143 anni fino a quando, cioè, è stato sospeso, come visto, a partire dal 1° gennaio 2005, con la citata L. 226/2004. Da allora, la consi stenza del personale è stato oggetto di revisioni al ri basso per coniugare le esigenze di bilancio, fino all’ultimo provvedimento connesso con la L. 244/2012 che prevede un modello di Difesa su 150.000 unità entro il 1° gennaio 2025, (scadenza posticipata al 2033 con l’adozione del Disegno di Legge Delega sulla ri forma delle Forze armate approvato in Senato il 3 ago sto 2022), di cui 26.800 unità per la Marina Militare.
Tale tendenza — a cui occorre aggiungere la corsa verso l’autonomous e l’unmanned, le attività concor renziali delle grandi imprese private, senza tralasciare l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui fu turi reclutamenti — se proiettata all’orizzonte tempo rale del foresight determinerà un inevitabile adattamento dello Strumento militare.
Pertanto, il futuro di una Forza armata dipenderà non solo dai necessari e importanti provvedimenti adattivi verso il nuovo che avanza nonché dallo stanziamento di risorse adeguate (anche per sostenere un’efficace politica del personale), ma anche dalla consapevolezza che l’etica e il sistema valoriale costituzionale rimangano la «bandiera» di riferimento, soprattutto in una società in continua e rapida evoluzione come la nostra. Dal canto suo, la società civile dovrà anch’essa sostenere con con vinzione le Forze armate quale strumento di sicurezza, a difesa della Patria e dei valori democratici.
Di questo le Forze armate sono consapevoli ed evidenti sono gli sforzi compiuti negli ultimi anni per adattare lo Strumento militare al nuovo che avanza, e anticipare le tendenze securitarie proprio per continuare a essere ri spondenti alle esigenze di sicurezza e difesa a fronte delle molteplici e variegate sfide con cui il paese è chiamato a confrontarsi, come nel caso dell’emergenza pandemica, del ritorno della guerra in Europa con l’aggressione russa all’Ucraina, delle minacce ibride e, non in ultimo, delle nuove minacce cosiddette «non tradizionali», fino a in cludere gli effetti dei cambiamenti climatici.
In conclusione, le Forze armate continueranno a esi stere nella forma in cui sono state istituite quanto più la società — di cui sono a difesa, ma di cui sono anche emanazione — manterrà la consapevolezza della loro
«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»«Etica, primaria ragion d’essere di una Forza armata»
imprescindibile necessità, alimentando il bisogno di continuare a dotarsene. Tale bisogno rimarrà immutato fino a quando immutato rimarrà il bisogno di difendere
NOTE
i valori della nostra democrazia, custoditi dalla nostra Costituzione e che la Marina Militare ha racchiuso nel suo motto, Patria e Onore. 8
Articolo edito su invito della redazione.
(1) «La condizione sine qua non del successo è l’energia. Un uomo non è mai sconfitto, finché non crede di esserlo; ciò però non vuol significare che perseverando, egli sia imbattibile; perché è bene ricordare che perseveranza e tenacia non significano insensata ostinatezza. È vero che l’azione persistente non sempre riscuote il plauso; tuttavia, nessuno ama o ammira chi abbandona la lotta. Uno degli elementi essenziali dell’energia umana è la salute. Non si comprende mai abbastanza che per stare bene è necessario praticare frequentemente lo sport e praticarlo con metodo e costanza. I latini non dicevano a caso mens sana in corpore sano; questo proverbio, che ha due millenni di vita, dimostra quanta importanza abbia l’armonico sviluppo del fisico e dell’intelletto. Lo sportivo praticante, oltre ad avere il controllo dei suoi muscoli, acquista una aperta e ariosa mentalità che ben si presta allo sviluppo di quelle doti di spirito indispensabili a chi, nella vita, deve sempre tenersi pronto a cimentarsi con le forze della natura e, soprattutto, a dominare i propri atti» (L’etica e i modi dell’Ufficiale. Guida di comportamento per l’Ufficiale di Marina, Accademia navale, Livorno 2008, p. 13).
(2) «È il frutto di molte doti necessarie, non esclusa l’azione della volontà, che deve essere sempre vigile per il miglioramento di sé stessi. Si può porre un questionario le cui domande, che spaziano su vari argomenti, possono offrire un quadro abbastanza chiaro di quanto si vuole definire.
Siete, col vostro esempio, di ispirazione agli altri?
Siete dotati di sufficiente ottimismo per portare le cose a fondo, malgrado scoraggiamenti e rovesci di fortuna?
Siete in grado di influire sulle idee e le decisioni degli altri e di fare in modo che essi comprendano l’opportunità e il valore delle vostre idee?
Avete il coraggio morale necessario a porre in atto, senza timori, ciò che vi dettano la vostra coscienza e le vostre condizioni? Colui che può rispondere positivamente a queste domande e nell’intimo della sua coscienza è convinto di quanto afferma, ha senza dubbio in sé stesso i fondamenti di una forte personalità. La quasi totalità delle doti che necessitano di poter raggiungere questo scopo è già esistente nel suo animo e, con un continuo controllo di sé stesso e una costante applicazione, tali doti potranno essere messe in risalto e rafforzate. Qui entra in gioco il fattore volontà, che deve essere presente nelle azioni di una persona» (L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 14)
(3) «Un uomo vale per ciò che pensa e sente dentro di sé. Se perde la fede nei suoi compagni, diventa un cinico, un malpensante e sospettoso, e inoltre perde la fiducia sia dei superiori sia degli inferiori. La fede è indispensabile per raggiungere la vittoria, poiché per affrontare il pericolo e necessario avere entusiasmo, coraggio, decisione, slancio e volontà ferrea di superare e piegare il destino con l’animo che vince ogni battaglia. L’ufficiale che abbia fede e che la sappia risvegliare nei suoi dipendenti ha in mano uno strumento efficacissimo per guidare, educare e migliorare i suoi uomini» (L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 13).
(4) «L’iniziativa è il potere di progettare, pensare e attuare qualche cosa senza che altri lo dica. Per sviluppare tale dote è necessario indirizzare le proprie energie nel senso di migliorare la propria capacità mentale, addestrare i propri occhi a vedere cose che vanno fatte senza attendere che qualcuno lo dica, addestrare la propria mente in modo da far sì che nessuno debba dire come tali cose vanno fatte» (L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 13).
(5) L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 12.
(6) L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 12.
(7) Il sale del comando per una leadership sul mare, a cura dell’ammiraglio di squadra Paolo Treu Comandante in Capo della Squadra navale, Notiziario della Marina, anno LXVI - allegato al numero di ottobre 2020.
(8) A.S. Paolo Treu, ibid, p. 28.
(9) Tali compiti sono stabiliti sia dal COM (artt. 111,114, 115), sia dal Codice della Navigazione, (artt. 200, 1235 e 1237); sia dal D.Lgs. 259/2003, Codice delle Co municazioni elettroniche (art. 154) e riguardano: la vigilanza in mare a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittima, al di là del limite esterno delle acque territoriali; l’uso legittimo degli spazi marittimi da parte del naviglio mercantile battente bandiera nazionale, inclusa la flotta peschereccia; la salvaguardia dalle minacce negli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria; il concorso ai fini di prevenzione e di contrasto del traffico dei migranti via mare; il concorso al contrasto al traffico di sostanze stupefacenti; la vigilanza pesca; la prevenzione dell’inquinamento delle acque marine; il servizio, su base con corsuale ed emergenziale, del rifornimento idrico delle isole minori; la fornitura del servizio fari e segnalamento marittimo; la fornitura del servizio idrografico. Non da ultimo, in base al cit. art. 154 del D.Lgs 259/2003, la protezione dei cavi e delle condotte sottomarine. (10) Le stellette attribuiscono a coloro che le portano i doveri della particolare giurisdizione a cui sono soggetti: sono, quindi, il simbolo del solenne giuramento di servire e difendere con disciplina e onore la Patria, fino all’estremo sacrificio. Le stellette a cinque punte sulle uniformi furono prescritte la prima volta per gli ufficiali di fanteria con la «Istruzione sulla divisa degli ufficiali di fanteria» approvata con il Regio Decreto del 2 aprile del 1871. Seguirono altre disposizioni che, comunque, furono uniformate con il Regio Decreto (R.D.) del 13 dicembre 1871, con il quale si disponeva che «tutte le persone soggette alla giurisdizione militare, a mente dell’art. 323 del Codice Penale Militare, porteranno come segno caratteristico della divisa militare comune all’Esercito e all’Armata (l’antica denominazione della Regia Marina, N.d.R.), le stellette a cinque punte sul bavero dell’abito della rispettiva divisa». Per effetto del citato R.D. le stellette, prima ornamento, diventarono segno distintivo del militare in attività di servizio, di qualsiasi grado, arma e corpo. Probabilmente, si scelse la stella a cinque punte per distinguerla da quella asburgica a sei punte (Fonte: Ministero della Difesa, https://www.difesa.it/Area_Storica_HTML/pilloledistoria/Pagine/Le_stellette_simbolo_dei_militari_italiani.aspx, consultato il 8.08.2022).
(11) D. Panebianco, Tesi di laurea in Psicologia del Lavoro, Le condizioni di vita del militare di truppa della Marina italiana: considerazioni. Facoltà di Scienze politiche Università degli Studi di Trieste, a.a. 2003-2004. Relatore: Prof.ssa Sara Cervai, Correlatore: Dott.ssa Anna Fabbro.
(12) L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 3.
(13) L’etica e i modi dell’Ufficiale, ibid., p. 3.
(14) La cavalleria. Fin dall’alto medioevo si formò una casta militare di cavalieri, combattenti che potevano disporre a proprie spese di un cavallo e dell’armatura. Essi avevano il compito di aiutare il principe, a cui erano legati da vincoli di vassallaggio, nella difesa dei deboli. Nella Francia del XII Sec. fiorì nelle corti dei grandi signori feudali un’etica cavalleresca che esaltava le virtù della lealtà verso il proprio signore e gli altri cavalieri, oltre a valori quali la prodezza (coraggio e capacità di maneggiare le armi), la generosità (intesa come disinteresse per la ricchezza) e la cortesia. Fonte: sapere.it
(15) D. Panebianco, ibid
(16) Tractatus Logico-Philosophicus, l’unica opera pubblicata da Ludwig Wittgenstein — se si escludono un Dizionario per le scuole elementari e l’articolo Note sulla forma logica — considerato uno dei testi filosofici più importanti del Novecento (Fonte: https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=101173, consultato il 11.08.2022).
(17) Articolo di M. Allevato, B. Maarad. In Libia lo scontro è tra i mercenari di Turchia e Russia. Pubblicato su AGI il 20.05.2020 (hyperlink: https://www.agi.it/estero/news/2020-05-22/libia-mercenari-russia-turchia-8688505/, consultato il 29.06.2022).
(18) Fonte: https://www.acn.gov.it/, consultato il 29.06.2022.
(19) Michael E. Howard, Franco-Prussian war, p. 1., cit. in P Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, ibid. p. 254.
(20) C.d. «bilancio integrato», che include anche le risorse tecnicamente esterne al Dicastero Difesa, ovvero quelle attestate presso il ministero dello Sviluppo Eco nomico (per i programmi della Difesa dall’elevato contenuto tecnologico) e quelle presso il ministero dell’Economia e delle Finanze (per le missioni militari interna zionali). Fonte: ministero della Difesa, Documento Pluriennale Programmatico, DPP, per il triennio 2022-2024.
(21) Pubblicazione SMD-G-024, Glossario dei termini e delle definizioni, ed. 2009.
(22) Libro Bianco della Difesa, ed. 2015, art. 81.
I rapporti tra la Svezia e la Nato dal dopoguerra a oggi
Rodolfo BastianelliNato a Roma il 5 novembre 1969. Laureato in Giurisprudenza, ha effettuato un corso di specializzazione post-laurea presso l’Institut Français des Relations International (IFRI) a Parigi. Dopo aver lavorato presso le riviste Ideazione e Charta Minuta, dal 2011 segue la politica estera per L’Occidentale. È professore a contratto di Storia delle relazioni internazionali e collabora inoltre con LiMes, Informazioni della Difesa, Rivista di Politica, Affari Esteri e il settimanale on-line dello IAI, Affari Internazionali. Collabora con la Rivista Marittima dal 2009.
La tradizionale politica di neutralità seguita dalla Svezia si è profondamente modificata in questi ultimi anni in quanto la nuova politica estera di Mosca, improntata ad una linea più intraprendente ed assertiva, ha suscitato sempre più apprensione negli ambienti politici e militari svedesi. E con lo scoppio del con flitto in Ucraina l’adesione alla NATO, che in precedenza non incontrava l’approvazione unanime del mondo politico e della stessa opinione pubblica, oggi al contrario riscuote il favore del 51% degli svedesi.
La neutralità svedese nel dopoguerra e negli anni della «Guerra fredda»
Le origini della neutralità svedese risalgono al XIX Secolo ma, a differenza dei casi di Austria e Svizzera, quella della Svezia non ha alcun fondamento legale non essendo espressa nella Costituzione o garantita da un
trattato internazionale. Questa deriva essenzialmente da una scelta politica unilaterale del paese effettuata sulla base di elementi storici, strategici e geografici. Rimasta neutrale nel secondo conflitto mondiale, nel l’immediato dopoguerra i dirigenti politici svedesi ini ziarono a formulare un piano per la sicurezza nazionale in grado di assicurare la soluzione migliore per la Sve zia, e questo con un opinione pubblica che in massima parte auspicava il ritorno alla neutralità esistente negli anni Trenta e davanti ad un Unione Sovietica che già nel 1945, con la richiesta inoltrata a Stoccolma di re stituire i militari dell’Asse rifugiatisi in territorio sve dese, aveva messo in evidenza quale fosse il suo atteggiamento verso il paese scandinavo (1). Sul piano militare, la Svezia non appariva comunque una nazione impreparata. Dopo la guerra, Stoccolma disponeva di un apparato militare di alto livello grazie al quale il paese possedeva la quarta aeronautica più ampia tra quelle esistenti oltre che una considerevole forza na vale e terrestre. Era quindi evidente come nessun pro getto di difesa della penisola scandinava non potesse escludere la partecipazione svedese data appunto l’im portanza delle sue Forze armate.
La linea del governo di Stoccolma, e in particolare quella del ministro degli Esteri Östen Undén, era però di continuare con la politica di non allineamento, respin gendo quindi ogni possibilità che il paese potesse schie rarsi a fianco dell’occidente, una posizione che né il colpo di Stato attuato dalle forze comuniste a Praga nel 1948 né tantomeno il «Trattato Finno-Sovietico di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza ( FCMA )» sottoscritto poco dopo da Helsinki e Mosca contribuirono a mutare. Le ragioni della linea politica di neutralità assunta da Stoccolma andavano ricercate in una serie di ragioni, la più importante delle quali risiedeva proprio nella parti colarità delle relazioni che si stavano delineando tra Fin landia e Unione Sovietica e l’influenza che queste avevano per la politica estera svedese. Secondo il go verno di Stoccolma, un’eventuale adesione della Svezia alla NATO avrebbe probabilmente spinto Mosca a occu pare la Finlandia o quantomeno a chiedere l’installazione nel suo territorio di basi militari, uno scenario questo che avrebbe portato ad un notevole aumento delle tensioni nella penisola scandinava. Dal lato diplomatico, va ricor
dato comunque come tra il 1948 e il 1949 la Svezia aveva avviato dei negoziati per formare la «Scandinavian De fence Union», un progetto di alleanza, risoltosi poi in un insuccesso, che nelle intenzioni svedesi avrebbe dovuto costituire per Danimarca e Norvegia un modello alterna tivo di difesa rispetto alla NATO. Quando questi due paesi respinsero il progetto di Stoccolma, la stessa Svezia prese in considerazione l’idea di aderire all’Alleanza Atlantica, ma alla fine le considerazioni favorevoli al mantenimento di una politica di non allineamento pre valsero e, di conseguenza, la prospettiva di un ingresso nella NATO finì per uscire dall’agenda politica del paese.
Come è stato sottolineato dalla gran parte dei commen tatori, la decisione del governo svedese di seguire una politica di neutralità ha garantito al paese la più lunga fase di pace della sua storia, mentre sul piano politico la scelta di non aderire alla NATO è stata dettata essenzialmente dal timore che, nel caso un nuovo conflitto mondiale fosse esploso, la Svezia sarebbe stata obbligata a pren dervi parte in quanto membra dell’Alleanza. Tuttavia, questa posizione di equidistanza non ha mai impedito a Stoccolma nel corso degli anni di tenere attivi contatti con la NATO in base a quella che gli analisti hanno defi nito come una politica di equilibrio tra «integrazione» nel sistema di difesa occidentale e «controllo» sull’azione di quest’ultimo così da rendere la scelta della neutralità più credibile agli occhi della popolazione (2). La politica adottata dalla Svezia all’inizio degli anni Cinquanta inizio però a incontrare delle critiche, anche se si trattava di set tori minoritari del mondo politico.
A detta di questi, la scelta di Stoccolma di seguire una posizione di non allineamento era politicamente priva di senso, in quanto nell’ipotesi di un conflitto la Svezia sarebbe stata comunque tratta nelle ostilità, ri manendo inoltre al tempo stesso vulnerabile di fronte a un eventuale attacco sovietico in quanto priva di un apparato di deterrenza e della possibilità di richiedere l’assistenza militare della NATO. All’inizio degli anni Cinquanta l’atteggiamento dei paesi scandinavi verso l’Alleanza Atlantica appariva diversificato, andando a definire il quadro strategico che gli analisti avrebbero indicato con il termine di «equilibro nordico» All’in terno di questo scenario, se la Svezia sembrava difatti orientata verso la neutralità, Danimarca e Norvegia,
che pure formalmente avevano aderito alla NATO, ten devano analogamente a evitare una politica di con fronto con Mosca dichiarandosi contrarie a ospitare sul loro territorio delle basi militari straniere proprio con l’obiettivo di perseguire una posizione intermedia tra la neutralità svedese e il pieno allineamento ai pro grammi dell’Alleanza Atlantica, una scelta questa resa comunque più agevole anche dal fatto che la NATO di sponeva di una schiacciante superiorità militare la quale era in grado di assicurare la difesa della penisola scandinava (3). La posizione di neutralità e di sicurezza autonoma seguita dalla Svezia rimase incontrastata per i due decenni seguenti, anche se, in due occasioni, que sta venne ridefinita a seconda delle esigenze politiche del momento, come accadde nel 1959 in seguito all’«affare Hjalmarson» e poi soprattutto negli anni Sessanta con l’avvio della «politica estera attiva» at tuata dal Premier socialdemocratico Olof Palme (4). Così, se fino a quel momento la linea diplomatica se guita da Stoccolma si era basata sul realismo con l’obiettivo di tenere fuori il paese da un’eventuale con flitto e respingendo ogni pretesa di superiorità morale, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta la po litica estera svedese assunse toni più radicali, come di mostrato dalle dure critiche espresse dallo stesso Palme agli Stati Uniti per la guerra del Vietnam, ma soprat tutto impregnati di un idealismo anti-autoritario che su scitò forti critiche nelle capitali occidentali e portò a un allontanamento e a un sensibile raffreddamento delle relazioni tra la Svezia e la NATO (5). In seguito, un nuovo riorientamento della politica di sicurezza sve dese si ebbe negli anni Ottanta, quando da un lato il Parlamento, in risposta a diverse intrusioni effettuate da minisommergibili sovietici, avviò un programma di difesa sottomarina (AWS) modificando anche in ma niera più decisa le regola d’ingaggio per la Marina, dal l’altro però, spinto dalla convinzione che l’uso della forza avrebbe avuto un ruolo sempre più ridotto sulla scena politica internazionale, approvò una progressiva riduzione degli effettivi militari che lasciò dal 1972 al 1986 il bilancio della difesa praticamente inalterato (6). Sarà comunque con la fine della «Guerra fredda» che la politica estera e di difesa svedese subirà una pro fonda e completa trasformazione.
I rapporti tra la Svezia e la Nato dal dopoguerra a oggiI rapporti con la NATO dal crollo dell’Unione Sovietica a oggi
All’inizio degli anni Novanta, dopo il crollo del l’Unione Sovietica, dai documenti ufficiali rilasciati emerse come la Svezia, dietro la formula della neutra lità, aveva comunque un accordo segreto per cui, in caso di conflitto, l’assistenza militare occidentale era ritenuta necessaria per la sicurezza del paese. In un si mile scenario, il compito delle Forze armate di Stoc colma era essenzialmente quello di resistere finché le forze della NATO non fossero intervenute in appoggio di quelle svedesi. Di fatto, nonostante i diversi governi succedutisi dal 1949 in poi avessero sempre sostenuto il contrario, appariva dunque evidente come le Forze armate fossero state autorizzate a cooperare e a mante nere legami segreti con la NATO. Il nuovo quadro geo politico che si stava delineando portò di conseguenza a un sostanziale cambiamento non solo della politica estera svedese ma anche dello stesso concetto di neu tralità. Così nel 1992, il governo guidato da Carl Bildt avanzò quella che venne indicata come la «1992 For mula», un principio in base al quale la politica di neu tralità, in caso di guerra, cessava di venire considerata come «inevitabile», diventando soltanto un’opzione tra le altre a disposizione. E alla luce di questo cambia mento, tre anni dopo la Svezia entrò a far parte del l’Unione europea aderendo inoltre come osservatore all’«Unione Europea Occidentale» e venendo coin volta nei programmi «Partnership for Peace» e «Plan nning and Review Process» della NATO. Tuttavia, nonostante questa importante ridefinizione della poli
tica estera e di sicurezza, il consenso per un adesione a pieno titolo della Svezia nell’Alleanza Atlantica conti nuò a non incontrare l’appoggio del mondo politico, e questo per tutta una serie di ragioni. A favore della con tinuazione della politica di non allineamento, vi era in primo luogo la concezione, ormai radicata all’interno dell’opinione pubblica, che la neutralità aveva per messo alla Svezia di rimanere al di fuori dei conflitti esplosi nel XX Secolo, mentre sul piano militare la scelta di non entrare a far parte della NATO era ritenuta più consona alle esigenze del paese, in quanto avrebbe consentito alla Svezia una maggiore autonomia ed una politica estera più indipendente.
Infine, la maggior parte degli analisti riteneva come non esistessero immediati pericoli per la sicurezza sve dese, dato che la prospettiva di un attacco russo non ap pariva prevedibile per almeno dieci anni e la stessa Russia non sembrava poi assolutamente in grado di con durre un’invasione della Polonia, della Finlandia o degli Stati baltici. Sul finire degli anni Novanta, era quindi opi nione diffusa come la Svezia fosse capace di provvedere da sola alla sua difesa e che eventuali situazioni di crisi internazionali potessero essere risolte all’interno del l’ONU e dell’OSCE (7). Ma se fino agli inizi del XXI Secolo lo scenario per la Svezia appariva quantomai fa vorevole alla preservazione del non allineamento, dopo l’avvio da parte del Cremlino di una politica estera più intraprendente e dai tratti anti-occidentali anche l’atteg giamento di Stoccolma si è radicalmente mutato e nel paese si è incrementata la percezione che la Russia rap presenti una minaccia per la sicurezza nazionale, perce
La corvetta della marina svedese HMS HELSINGBORG in visita a Helsingborg (wikipedia.org). I rapporti tra la Svezia e la Nato dal dopoguerra a oggizione ulteriormente aumentata dopo la crisi ucraina del 2014 (8). Davanti a questo nuovo scenario, i piani militari svedesi hanno ovviamente dovuto modificarsi ed adat tarsi al mutato quadro strategico. Così sei anni fa il mini stro della Difesa Peter Hultqvist e il capo di Stato Maggiore Micael Bydén hanno formulato il nuovo pro getto di difesa, indicato come «Dottrina Hultqvist», il quale prevede il rafforzamento e il miglioramento delle capacità difensive del paese e una più stretta coopera zione regionale con la Finlandia, gli Stati Uniti e la NATO. E se nel 2014 il governo aveva già approvato il «Total Defence Service Act» con il quale si obbligava tutti i cittadini tra i 16 ed i 70 anni a contribuire alla difesa del paese nell’eventualità di una grave crisi internazionale, nel 2017 Stoccolma decideva di reintrodurre il servizio militare obbligatorio, mentre l’anno dopo lo stesso Bydén dichiarava come fosse necessario aggiungere al budget per la difesa almeno un Miliardo di € fino al 2021 altri menti le già limitate capacità di difesa territoriale si sa rebbero ulteriormente ridotte, aggiungendo inoltre che se si desiderava raggiungere un adeguato livello di deter renza il bilancio avrebbe dovuto essere più che raddop piato (9). Per gli analisti della NATO, l’ingresso della Svezia e della Finlandia nell’Alleanza Atlantica avrebbe sicuramente degli effetti politici e militari quantomai po sitivi. L’adesione di Stoccolma e Helsinki, che già coo perano attivamente con l’Alleanza (10), sul piano militare consentirebbe alla NATO di rafforzare la sicurezza della regione baltica permettendo inoltre un più stretto coordinamento tra i paesi scandinavi nel quadro della «Nordic Defence Cooperation» che fino a oggi non è stata invece priva di difficoltà, mentre lo stesso raggio d’azione della NATO si allarghe rebbe sensibilmente coprendo un’area che spazia dall’Atlantico al Baltico e dal mar Mediterraneo fino all’Artico.
Dal lato politico, la presenza della Svezia e della Finlandia contribuirebbe poi non solo a mi gliorare l’immagine della stessa NATO vista l’ot tima reputazione dei due paesi e il loro tradizionale rispetto dei diritti umani e della democrazia, ma rappresenterebbe per gli altri paesi che aspirano a entrarne a far parte un segnale che l’Alleanza ri mane disponibile ad accogliere nuovi membri.
Tra gli aspetti negativi dell’adesione della Svezia e della Finlandia vi sarebbe invece sicuramente un ulte riore peggioramento dei rapporti con Mosca, che con ogni probabilità aumenterebbe le pressioni contro i due paesi. E in proposito va ricordato come nel 2016 il mi nistro degli Esteri russo Lavrov aveva affermato che vi sarebbero state delle «conseguenze» se Helsinki e Stoc colma avessero aderito alla NATO (11), una posizione questa confermata due anni dopo anche dal ministro della Difesa Shoigu, secondo cui l’ingresso della Svezia e della Finlandia non avrebbe fatto altro che aumentare la sfiducia e distruggere l’attuale sistema di difesa co stringendo Mosca a prendere delle contromisure (12).
E nel Dicembre del 2018 il presidente della Commis sione Esteri del Consiglio della Federazione — la Ca mera Alta del Parlamento russo — Konstantin Kosachyov ribadiva come la Svezia avrebbe dovuto avere tutto l’interesse a rimanere neutrale in quanto così sarebbe rimasta al di fuori degli obiettivi militari di Mosca, tra i quali sarebbe stata invece inclusa se avesse aderito all’Alleanza (13). Rimasta un argomento divisivo sia per l’opinione pubblica che per le forze politiche sve desi, la prospettiva dell’adesione della Svezia alla NATO con lo scoppio del conflitto in Ucraina è andata però gua dagnando progressivamente consenso, tanto che il 18 Maggio il governo di minoranza guidato dalla Premier socialdemocratica Magdalena Andersson ha formal mente presentato la domanda di ammissione all’Alle
*Include il personale impiegato nella logistica, negli staff e nei servizi d’intelligence.
**Abolito nel 2010, il servizio militare è stato reintrodotto nel 2017. È previsto che ogni anno vengano arruolate 4.000 unità selezionate tra i cittadini maggiorenni di entrambi i sessi.
I rapporti tra la Svezia e la Nato dal dopoguerra a oggi EFFETTIVI DELLE FORZE ARMATE SVEDESI E SPESE PER LA DIFESAanza Atlantica (14). La reazione del Cremlino davanti al nuovo quadro strategico che si creerebbe nel Baltico con l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO è stata quantomai ambigua, in quanto se da un lato Putin ha affermato come l’adesione di Helsinki e Stoccolma non costituisce un «pericolo diretto» per la Russia, dal l’altro ha però sottolineato che Mosca «risponderà» qua lora venissero installate delle postazioni militari all’interno del territorio svedese e finlandese. Tuttavia per molti analisti le dichiarazioni di Putin starebbero a significare come il governo russo è disposto a tollerare l’ammissione dei due paesi nell’Alleanza Atlantica e che non dispiegherà delle truppe ai loro confini (15). Il per
NOTE
corso verso l’ingresso formale di Stoccolma ed Helsinki nella NATO presenta però ancora degli ostacoli, essendo richiesto il consenso di tutti i paesi membri perché l’ade sione di Svezia e Finlandia possa essere completata. Di fatti, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso le sue riserve prospettando addirittura un suo eventuale veto in quanto accusando i due paesi non solo di dare ospitalità agli appartenenti del «Partito dei La voratori del Kurdistan» (PKK), una formazione consi derata da Ankara come un gruppo terroristico, ma anche di aver imposto tre anni fa un embargo sulle forniture di armi alla Turchia dopo le azioni attuate dalle forze mili tari turche in Siria (16). 8
(1) Il 2 Giugno 1945 l’Unione Sovietica richiese alla Svezia di estradare 150 militari estoni e lettoni appartenenti alle «Waffen SS» che erano stati arruolati dai tedeschi nel corso del conflitto. Il Parlamento svedese approvò la richiesta e il 25 Gennaio 1946 questi, insieme a 3.000 soldati tedeschi, furono imbarcati nel porto di Trelleborg e trasferiti in Unione Sovietica. Ma se i militari tedeschi erano da considerarsi «prigionieri di guerra», lo status degli estoni e dei lettoni era invece incerto, in quanto Mosca, ritenendoli cittadini sovietici, li considerava dei traditori avendo combattuto per la Germania e quindi punibili con la pena di morte. Anni dopo, la condotta svedese venne considerata «umiliante» dai commentatori, e nel 1994 alcuni superstiti vennero ricevuti a Palazzo Reale dove l’allora ministro degli Esteri di Stoccolma ammise che la consegna a Mosca era da considerarsi una palese ingiustizia.
(2) Vedi su questo Magnus Petersson, Sweden and the Scandinavian Defence Dilemma, apparso su «Scandinavian Journal of History», Vol. 37, No. 2, Anno 2012, pagg. 221-229.
(3) Sulla politica seguita dai paesi scandinavi verso la NATO nel dopoguerra vedi Nils Orvik, Scandinavia, NATO, and Northern Security, pubblicato su «International Organization», Vol. 20, No. 3, Estate 1966, pagg. 380-396.
(4) L’«Affare Hjalmarson» esplose nell’estate del 1959 quando il governo Socialdemocratico decise di escludere dalla delegazione svedese all’ONU il leader con servatore Jarl Hjalmarson, in quanto la sua linea fortemente anti-comunista avrebbe potuto porre a rischio la neutralità di Stoccolma. In quell’occasione, il governo ribadì in modo incondizionato il rispetto della sua linea politica e negò categoricamente ogni contatto per un un’eventuale cooperazione in tempo di guerra con la NATO.
(5) Su questo vedi Robert Dalsjö, The hidden rationality of Sweden’s policy of neutrality during the Cold War, pubblicato su «Cold War History», Vol. 14, No. 2, Anno 2014, pagg. 175-194.
(6) Sulla politica estera e di sicurezza seguita dalla Svezia tra gli anni Sessanta e Ottanta vedi Paul M. Cole, Sweden’s Security Policy in the 1980s, pubblicato su «SAIS Review», Vol. 8, No 1, Inverno/Primavera 1988, pagg. 213- 227.
(7) Sulla politica di sicurezza svedese negli anni Novanta e la posizione verso la NATO vedi Laura C. Ferreira-Pereira, Swedish Military Neutrality in the Post-Cold War: «Old Habits Die Hard», apparso su «Perspectives on European Security and Society», Vol. 6, No. 3, Anno 2005, pagg. 463-489.
(8) Questo radicale mutamento nella politica svedese è riscontrabile dai rapporti della Commissione Difesa di Stoccolma, che se nel 2013 affermava come l’Europa attraversava uno dei momenti più pacifici della sua storia, un anno più tardi sottolineava invece che «….la politica di aggressione intrapresa dalla Russia costituisce il più grande pericolo per la sicurezza europea dal secondo conflitto mondiale….», aggiungendo come Mosca ambisse di nuovo a raggiungere uno status di grande potenza e per questo era pronta ad usare le minoranze russofone residenti nei paesi confinanti per raggiungere i suoi obiettivi in politica estera. Vedi su questo Barbara Kunz, Sweden’s NATO Workaround. Swedish security and defence policy against the backdrop of Russian revisionism, Institut Français des Relations In ternationales (IFRI), Focus Stratégique No. 64, Novembre 2015.
(9) Vedi su questo Charly Salonius-Pasternak, The Defence of Finland and Sweden. Continuity and Variance in Strategy and Public Opinion, Finnish Institute of In ternational Affairs, Briefing Paper No. 240, Giugno 2018.
(10) Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg nel 2018 ha però dichiarato che, anche se Finlandia e Svezia intrattengono uno stretto rapporto di colla borazione con l’Alleanza, questa non ha alcun obbligo legale di assistenza militare verso Stoccolma in caso di grave crisi o di un conflitto, esistendo una simile ob bligazione solo verso i paesi membri. Vedi su questo Nato has no legal duty to come to Sweden’s aid, says secretary-general, The Local, 15 Gennaio 2018. Il testo è consultabile al sito https://www.thelocal.se /20180115/nato-has-no-legal-duty-to-come-to-swedens-aid-says-secretary-general.
(11) Su questo vedi Enlargement to the North? Sweden, Finland and NATO, Konrad Adenauer Stiftung, Berlino 2016.
(12) Russia threatens response if Finland and Sweden join NATO, YLE News, 25 Luglio 2018.
(13) Kosachyov suggests incentivizing European countries not entering NATO, Interfax, 18 Dicembre 2018. (14) In merito alla posizione delle forze politiche, i quattro partiti del centro-destra, i «Moderati», i «Liberali», il «Partito di Centro» e i «Cristiano-Democratici», si sono sempre dichiarati a favore di un ingresso della Svezia nella NATO, mentre nel centro-sinistra i Socialdemocratici, che in passato si erano opposti all’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, ora hanno invece appoggiato la richiesta di adesione, anche se una parte dei suoi membri continua a esprimere delle riserve sostenendo come il paese dovrebbe mantenere il suo non allineamento e non entrare quindi a far parte della NATO. Contrari all’ingresso della Svezia restano poi i Verdi e il «Partito della Sinistra», la formazione degli ex-comunisti, che in passato ha auspicato l’interruzione di ogni forma di cooperazione con la NATO e ora sostiene come la proposta di adesione dovrebbe essere sottoposta al giudizio degli elettori attraverso un referendum popolare. Riguardo infine ai «Democratici Sve desi», il partito di estrema destra anti-immigrazione, questo in passato si era detto contrario all’ingresso nella NATO pur sostenendo l’incremento del bilancio per la difesa ma si è ora dichiarato favorevole all’ingresso della Svezia nell’Alleanza vista anche la richiesta di adesione presentata dalla Finlandia. L’atteggiamento degli elettori dei diversi partiti svedesi in merito all’adesione alla NATO è consultabile al sito https://www.statista.com/statistics/1293392/survey-perception-nato-member ship-sweden-political-party/.
(15) Putin signals acceptance of Finland and Sweden joining Nato, Financial Times, 16 Maggio 2022.
(16) Il governo di Ankara ha avanzato alla Svezia cinque richieste, tra le quali la cessazione di ogni sostegno politico e finanziario al PKK e alle milizie curde attive in Siria unitamente alla fine dell’embargo sulla vendita di armi alla Turchia. Vedi su questo Turkey demands ‘concrete steps’ to back Nordics’ NATO bids, Associated Press, 25 Maggio 2022.
I rapporti tra la Svezia e la Nato dal dopoguerra a oggiLaureato con la lode presso l’Università di Pisa con una tesi in «Storia e tecnica militare» (1994), ha quindi conseguito con suc cesso il Dottorato di ricerca in «Storia militare» presso l’Uni versità di Padova e infine il post-dottorato di ricerca in «Scienze storiche e filosofiche» presso l’Università di Pisa. Dopo essere stato «cultore della materia» (dal 1994 al 1998) presso la cat tedra di «Storia e tecnica militare» nell’Università di Pisa, è stato nominato docente di «Storia Navale» presso l’Accademia navale di Livorno (dal 1996 a oggi). È consigliere dello Stato Maggiore della M.M. per la pubblicistica navale; è consulente del Museo storico-navale di Venezia e del Museo tecnico-navale della Spezia; è membro del Comitato scientifico del Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della M.M., nonché membro or dinario del Comitato consultivo dello stesso Ufficio Storico; membro del Comitato scientifico della Rivista Marittima. Autore di circa centocinquanta pubblicazioni in Italia e all’estero, fra le quali otto opere monografiche di storia navale, nonché di al cune voci edite nel The Oxford Encyclopedia of Maritime Hi story; collabora come autore con il Dizionario biografico degli Italiani (Treccani); come relatore, ha presentato proprie rela zioni in oltre un centinaio di convegni.
Introduzione
Molte importanti Marine cominciarono ad annoverare fra il loro naviglio i battelli subacquei fra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Tali unità inizialmente erano contraddistinte da notevoli deficienze per quello che concerneva il loro armamento, la quota operativa, la velocità e l’autonomia sia in superficie che in partico lare in immersione.
Pure per il sommergibile, come quasi per qualsiasi mezzo di nuova ideazione, parallelamente alla sua im missione in servizio si svilupparono gli studi per incre mentarne la sicurezza, per migliorare le prestazioni e per determinare quale avrebbe potuto essere la più va lida dottrina d’impiego in una futura guerra.
Al contrario risultavano quasi del tutto inesistenti le ricerche per individuare le contromisure per sconfig gere i battelli subacquei, specialmente quando opera vano sottacqua e pertanto, allorché il 28 luglio 1914 cominciò la Grande guerra, già dalle prime settimane di ostilità i sommergibili della Kaiserliche Marine ger manica si misero in evidenza cogliendo importanti suc cessi contro navi da guerra avversarie nel Mare del Nord e nella Manica. (1)
Tuttavia da lì a breve accadde un avvenimento che avrebbe cambiato per sempre la guerra sul mare, mo strando quanto i battelli subacquei avrebbero potuto in
Rivista Marittima Luglio-Agosto Marco Gemignanifluenzare l’andamento di un conflitto insidiando per manentemente il traffico mercantile avversario e rico prendo in misura ancora più efficace il compito che per secoli avevano svolto le navi corsare. Infatti il 20 otto bre 1914 il sommergibile tedesco U 17 del tenente di vascello Johannes Feldkirchner intercettò a 14 miglia a ovest/sud-ovest dal porto norvegese di Skudeneshavn il vecchio piroscafo britannico Glitra, varato nel 1882 come Saxon Prince. Il mercantile era salpato da Gran gemouth con destinazione Stavanger con un carico di ferro, carbone e olio e il comandante Feldkirchner, dopo averlo fermato senza difficoltà, vi inviò a bordo quattro suoi uomini i quali constatarono che la nave trasportava merci che potevano essere considerate di contrabbando. I tedeschi permisero all’equipaggio bri tannico di abbandonare il piroscafo e di allontanarsi con le scialuppe, dopodiché aprirono le valvole Kin
gston e lo fecero affondare, dimostrando come poteva essere facile fermare all’improvviso un mercantile, ispezionarlo e poi distruggerlo senza far correre grossi rischi al sommergibile. (2)
Quest’ultimo in effetti, per le sue ridotte dimensioni non era molto visibile durante la navigazione in emer sione e, una volta che si fosse immerso, non era più in dividuabile se non quando alzava il periscopio oppure al momento del lancio dei siluri che, essendo questi ultimi muniti di motori ad aria compressa, lasciavano una scia di bolle che, salendo in superficie, svelava la posizione del battello. Inoltre all’epoca i sommergibili, quando agi vano in immersione, non dovevano temere altro tipo di offesa da parte del nemico se non le mine e, se stavano in affioramento, la possibilità di essere speronati.
Poco dopo gli eclatanti risultati colti dai sommergi bili tedeschi, anche i loro alleati austro-ungarici comin ciarono a ottenerne alcuni nel bacino del Mediterraneo, sia pure in maniera assai più sporadica anche per il minor numero di battelli subacquei che avevano a di sposizione, per le loro caratteristiche, per l’inaffidabilità dei siluri impiegati e per la scarsezza di bersagli. Il primo successo avuto dai sommergibili della Kaiserli che und Königliche Kriegsmarine asburgica fu il dan neggiamento il 21 dicembre 1914, con uno dei due siluri lanciati dall’U 12 del tenente di vascello Egon Lerch, della moderna corazzata di tipo monocalibro Jean Bart, che in quel momento serviva come unità di bandiera del viceammiraglio Augustin Boué de Lapeyrère, coman dante della Prima Armata Navale francese. (3)
Nei mesi successivi, anche in conseguenza delle operazioni condotte dai britannici e dai francesi all’im boccatura dei Dardanelli per costringere alla resa l’Im pero Ottomano che nel novembre del 1914 si era schierato al fianco della Germania e dell’Austria-Un gheria, la Marina tedesca inviò nel Mediterraneo propri sommergibili. I primi di essi, l’UB 7 e l’UB 8 del tipo di piccola crociera armati di siluri, furono trasferiti nella primavera del 1915 tramite ferrovia a Pola smon tati, dove vennero riassemblati dal personale germanico inviato a operare nella più importante base della Ma rina asburgica. Quasi in contemporanea i tedeschi ini ziarono il trasferimento anche dei battelli di maggiori dimensioni, che giungevano nel Mediterraneo in navi
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Il viceammiraglio Paolo Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Marina dal 1° aprile 1913 all’11 ottobre 1915 e poi dal 9 febbraio 1917 fin oltre la fine della Grande Guerra, assommando a tale carica anche quella di comandante in capo delle forze navali mobilitate (USMM).L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra gazione superando, senza grosse difficoltà, lo Stretto di Gibilterra. Fra di essi il primo che giunse nell’antico Mare Nostrum fu l’U 21 del capitano di corvetta Otto Hersing che, dopo essersi rifornito a Cattaro, fece rotta verso l’Egeo dove affondò un paio di corazzate britan niche di tipo predreadnought, la Triumph il 25 maggio e la Majestic due giorni dopo. (4)
Nel frattempo il governo italiano, retto da Antonio Salandra, dopo aver fatto firmare il cosiddetto Patto se greto di Londra il 26 aprile 1915 con il quale si impe gnava a entrare nel conflitto a fianco dell’Intesa entro un mese, il 3 maggio aveva denunciato la Triplice Al leanza della quale faceva parte dal 1882 e che la legava alla Germania e all’Austria-Ungheria e il successivo 24 maggio aveva dichiarato guerra a quest’ultima. (5)
L’Italia, all’epoca come oggi, basava buona parte della sua attività economica sull’importazione di ma terie prime dall’estero e sull’esportazione di semilavo rati o prodotti finiti via mare, attività che veniva svolta per poco più della metà del tonnellaggio dalla propria Marina Mercantile che, al 31 dicembre 1914, quindi pochi mesi prima dell’ingresso nel conflitto, contava quattromilasettecentosettantatre velieri e novecento
quarantanove piroscafi (dei quali settecentocinquanta due con scafo metallico e centonovantasette in legno) che assommavano, rispettivamente, a 348.959 e a 933.156 tonnellate di stazza netta. (6)
Nel 1914 il movimento delle merci nei porti italiani ascese a 21.483.605 tonnellate per l’importazione e a 7.674.771 per l’esportazione e il 54,4% di tali beni fu imbarcato su piroscafi e velieri nazionali. Fu calcolato che con l’ingresso in guerra dell’Italia vi sarebbe stata una diminuzione dell’importazione di beni voluttuari ma sarebbero aumentati quelli che servivano per lo sforzo bellico, per cui complessivamente venne stimato che il nostro paese avrebbe avuto necessità di circa 18.500.000 tonnellate di rifornimenti l’anno (special mente carbone, cereali e metalli) per cui anche in que ste condizioni la sola Marina Mercantile italiana non avrebbe potuto da sola garantire l’approvvigionamento del paese, sebbene potenziata dal naviglio commerciale nemico che sostava nei porti nazionali che sarebbe stato requisito all’apertura delle ostilità. (7) Pertanto sarebbe stato necessario confidare sul supporto dei pi roscafi e dei velieri degli alleati, impiegare maggior mente i collegamenti ferroviari e comunque difendere
Il militare austro-ungarico come U 18 e che causò serie perdite al naviglio militare 1916 alla U-Flotille Flandern che operava nel Mare del Nord e nella Manica, per alla propria base di Zeebrügge al rientro da una missione a causa dell’esplo sione accidentale pozzo che la conteneva (Collezione Fulvio Petronio).nel miglior modo possibile i mercantili, specialmente dall’insidia dei sommergibili avversari.
I primi provvedimenti per la protezione del traffico mercantile italiano
Il capo di Stato Maggiore della Regia Marina, il vi ceammiraglio Paolo Thaon di Revel, nella primavera del 1915 in vista del prossimo ingresso nel conflitto dell’Italia, ben conscio della necessità di preservare la flotta mercantile italiana dal pericolo rappresentato dai battelli subacquei, fece redigere un elenco di disposi zioni che si giudicava valide per parare tale minaccia e lo inviò alla Direzione generale della Marina Mercan tile affinché, a sua volta, lo trasmettesse ai capitani di porto i quali, in forma riservata, lo avrebbero comuni cato ai comandanti dei piroscafi italiani. (8)
Queste prescrizioni successivamente furono raccolte in una pubblicazione intitolata Norme ai Capitani delle navi mercantili ed a tutti i naviganti per premunirsi contro attacchi di sommergibili, distribuita dal luglio del 1915 e in seguito più volte aggiornata in base alle esperienze pratiche.
Nella premessa iniziale dell’opuscolo era riportato che quest’ultimo era stato dato alle stampe perché i bat
telli subacquei dello schieramento avversario avevano cominciato ad attaccare anche i mercantili del l’Intesa e quindi era stato ritenuto opportuno informare i loro co mandanti sulle tattiche impiegate dai sommergibili in modo da met terli in condizione di contromano vrare per fuggire o comunque per far fallire l’attacco.
Poiché i sommergibili austroungarici e quelli tedeschi avreb bero operato nel Mediterraneo appoggiandosi prevalentemente alle basi asburgiche situate nel l’Adriatico, i vertici della Marina italiana, di quella britannica e di quella francese si accordarono per creare uno sbarramento nel Canale di Otranto, tratto di mare fra la costa pugliese e quella albanese che, nella parte più ampia, era largo circa 40 miglia e che i battelli av versari erano obbligati ad attraversare all’inizio e alla fine delle loro missioni.
Per vigilare il Canale i britannici all’inizio invia rono sessantacinque piropescherecci, chiamati drifter, su ognuno dei quali l’Arsenale di Taranto installò un cannone da 57 millimetri. Il 26 settembre 1915 essi cominciarono il pattugliamento, operando in gruppi di sei unità comandati da un ufficiale. Ogni drifter ri morchiava una rete indicatrice leggera di acciaio con maglie parecchio larghe, lunga circa 1.000 metri e alta 20; questa rete era formata da più sezioni di un centi naio di metri l’una, collegate fra loro in maniera tale che, se un sommergibile incappava in una di esse, questa si separava dalle altre e veniva trascinata dal battello subacqueo, la cui posizione era rivelata dai gavitelli galleggianti di vetro e dai fuochi indicatori montati sulle reti. Talvolta la rete era lasciata sospesa ai gavitelli che servivano a mantenere in affioramento la sua relinga superiore e il piropeschereccio la sor vegliava navigando nelle vicinanze. I gruppi dei drif ter stavano a 3 miglia di distanza uno dall’altro e le unità di ognuna delle formazioni si mantenevano a un
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Il piroscafo italiano RE UMBERTO mentre sta affondando spezzato in due il 4 dicembre 1915 per aver urtato una delle mine lasciate dall’UC 14 fra l’Isola di Saseno e la Penisola di Karaburun all’ingresso della Baia di Valona (Museo Storico della Terza Armata).intervallo tale da evitare che le reti si impigliassero l’una nell’altra.
Se un sommergibile avesse urtato una rete, assai pro babilmente sarebbe stato obbligato a emergere, dove avrebbe trovato i drifter pronti a sparargli addosso con i loro cannoni, mentre se fosse rimasto sottacqua, sa rebbe stato attaccato con le prime rudimentali bombe di profondità di cui questi piropescherecci erano muniti.
Tuttavia questo sbarramento non era molto efficace e il 30 settembre vi fu la prima perdita di un piroscafo italiano, quando il Cirene di 3.236 tonnellate di stazza lorda (tls) fu affondato a cannonate nelle acque del l’Isola di Koufonìsion, in Egeo, dall’U 39 tedesco co mandato dal tenente di vascello Walther Forstmann, alla sua prima missione in Mediterraneo.
Occorre evidenziare che l’Italia in quel periodo non era in guerra contro la Germania (le ostilità sarebbero ini ziate ufficialmente nell’agosto del 1916) ma quest’ultima, per appoggiare l’Austria-Ungheria contro la nuova av versaria, aveva disposto che alcuni suoi sommergibili con i propri equipaggi fossero iscritti fittiziamente nel quadro
del naviglio militare della Kaiserliche und Königliche Kriegsmarine asburgica, cosicché potessero operare ai danni del naviglio militare e mercantile italiano. (9)
Nei mesi successivi, di fronte all’aumento delle per dite, le autorità navali italiane cominciarono se riamente a sospettare che esse non potessero essere tutte causate dai battelli austro-ungarici, ma che alzando la bandiera asburgica, se costretti a venire a galla, in realtà operassero unità subac quee tedesche. (10)
Il viceammiraglio Camillo Corsi, nuovo ministro della Marina dal 30 settembre 1915, era convinto di ciò e così, per eliminare qual
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Il cacciatorpediniere INTREPIDO, molto attivo in Adriatico nei primi mesi del conflitto, affondato anch’esso il 4 dicembre 1915 per aver urtato una mina depositata dall’UC 14 al largo di Valona (U.S.M.M.). Il viceammiraglio Camillo Corsi, mini stro della Marina dal 30 settembre 1915, che si trovò ad affrontare l’incremento delle perdite di naviglio militare e specialmente mercantile causato dai sommergibili avversari (U.S.M.M.).L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra siasi dubbio a livello operativo, dette disposizione che a partire dal 19 dicembre i comandanti delle navi ita liane allorché avvistavano un sommergibile, a meno che non lo identificassero come appartenente alle Po tenze dell’Intesa, dovevano considerarlo ostile, anche se avesse alzato la bandiera tedesca, situazione che po teva essere considerata uno stratagemma, ovvero una ruse de guerre.
I continui attacchi al traffico mercantile da parte dei sommergibili austro-ungarici e specialmente germanici fecero nascere la necessità di una più stretta collabora zione fra le principali Marine alleate impegnate nella protezione del traffico e così fu organizzato un incontro a Parigi fra i loro rappresentanti. Data la complessità delle questioni da affrontare, le riunioni si tennero dal 29 novembre al 3 dicembre 1915 e vi parteciparono per la Regia Marina il capitano di vascello Mario Grassi, per la Royal Navy il parigrado Percy Grant e per la Marine Nationale il viceammiraglio Pierre Alexis Ronarc’h.
Gli accordi presi e ben presto concretati riguarda rono la suddivisione del Mediterraneo in diciotto zone che vennero ripartite fra le tre Marine, le quali dove vano cercare di pattugliare le rotte sulle quali venivano instradati i mercantili per spostarsi da un porto all’altro, la necessità di dotare di armamento i piroscafi, di limi tare al minimo i viaggi per il trasferimento di truppe e materiali bellici, caricando al massimo i mercantili che dovevano navigare in gruppi di due o tre unità per po tersi mutualmente soccorrere in caso di necessità. Inol tre fu stilato uno schema di servizio interalleato per le comunicazioni radiotelegrafiche per segnalare gli av vistamenti e gli attacchi effettuati dai sommergibili; fu stabilito che se un mercantile individuava un battello subacqueo avrebbe trasmesso «ALLO» ripetuto cinque volte, seguito dalle coordinate, dal gruppo orario e dal nome della nave che stava inviando il messaggio, men tre se l’unità fosse stata attaccata, il piroscafo avrebbe inviato il segnale «SOS SOS SOS SSSS» ripetuto tre volte e, come il primo tipo di messaggio, seguito dalle coordinate, dal gruppo orario e dal nome della nave at taccata, che era stata costretta a fermarsi e necessitava di soccorso. Inoltre, poiché all’epoca praticamente tutti i velieri e oltre la metà dei piroscafi non erano muniti di impianti per le radiocomunicazioni, furono conve
nuti i segnali che i semafori alleati posizionati lungo le coste avrebbero alzato per informare i mercantili che transitavano nelle acque a essi antistanti dell’eventuale presenza di battelli subacquei avversari.
Il viceammiraglio Corsi, ben deciso a rendere esecu tive le decisioni prese a Parigi, nello stesso mese di di cembre fece convocare presso il Ministero della Marina a Roma i rappresentanti delle società armatrici italiane per informarli circa la necessità di installare sulle proprie navi le bocche da fuoco messe a disposizione dalla Forza Armata unitamente ai cannonieri e questa sua azione fece sì che entro un anno circa duecento piroscafi nazio nali fossero armati con pezzi di artiglieria, i cui calibri più diffusi erano il 57, il 76 e il 102 millimetri.
In considerazione dell’importanza di coordinare gli sforzi italiani, britannici e francesi per la protezione del traffico, nei mesi successivi si tennero altre due riunioni di alto livello. La prima di esse si svolse a Malta (dal 2 al 9 marzo 1916) nel corso della quale fra le varie de cisioni prese vi fu quella di proseguire l’uso delle rotte pattugliate che dovevano essere percorse dai mercan tili, che esse fossero mantenute segrete e, se possibile, che corressero parallelamente a una decina di miglia dalla linea di costa dei paesi alleati, mentre era bene allontanarle dai li torali greci e spagnoli.
La seconda confe renza fu tenuta a Londra il 23 e il 24 gennaio 1917 e per la Regia Ma rina vi parteciparono il viceammiraglio Corsi, il contrammiraglio Paolo Marzolo, sottocapo di Stato Maggiore, i quali dopo aver evidenziato il progressivo aumento delle perdite dei mer cantili dell’Intesa e neu trali nel bacino del Mediterraneo (nel se condo semestre del 1916 ben duecentocin
Il contrammiraglio Paolo Marzolo, sottocapo di Stato Maggiore della Marina (U.S.M.M.).quantasette navi, delle quali ottanta velieri e centoqua rantacinque piroscafi alleati e cinque velieri e ventisette piroscafi appartenenti a paesi neutrali) sostennero che il sistema delle rotte pattugliate non stava dando buoni risultati e quindi era opportuno adottare quello dei con vogli scortati. La Regia Marina pertanto scelse tale so luzione per i collegamenti tra i porti del Mar Ligure e Gibilterra, mentre per le altre destinazioni si mantenne il sistema delle rotte pattugliate, che dove possibile fu rono tracciate più a ridosso della costa cosicché i mer cantili fossero eventualmente attaccati solo da un lato e in più si raccomandò ai loro comandanti di navigare di notte, perché ci si era resi conto che raramente i som mergibili agivano con il buio.
La creazione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale e la sua organizzazione centrale
Nello stesso periodo nel quale si stava svolgendo l’appena citata conferenza di Londra, le autorità mili tari e politiche della Germania e dell’Austria-Ungheria si stavano accordando per scatenare una terza offensiva con i sommergibili contro il naviglio mercantile del l’Intesa che, annunciata ufficialmente il 31 gennaio 1917, iniziò il giorno successivo. (11)
Il governo italiano e i vertici della Regia Marina, ben
consci di tale pericolo e della necessità di coordinare nel miglior modo possibile anche a livello nazionale la pro tezione dei mercantili che portavano i rifornimenti vitali per la sopravvivenza della popolazione e per la conti nuazione dello sforzo bellico al fianco dell’Intesa, deci sero l’istituzione di un organismo apposito, basandosi sul Reparto Antisommergibili dell’Ufficio del Capo di Stato Maggiore della Marina, che fino ad allora si era occupato di tale attività. (12) Il nuovo ente fu denomi nato Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Na zionale con il Decreto Luogotenenziale n. 332 del 27 febbraio 1917 firmato dall’ammiraglio Tomaso di Sa voia duca di Genova. (13)
L’ente fu creato su proposta del ministro della Marina, il viceammiraglio Camillo Corsi, di concerto con il mi nistro dell’Interno Vittorio Emanuele Orlando, con quello della Guerra, il generale Paolo Morrone, con quello di Grazia e Giustizia e dei Culti, l’avvocato Ettore Sacchi, e con quello dei Trasporti Marittimi e Ferroviari, istituito recentemente con Regio Decreto n. 756 del 22 giugno 1916, il banchiere Enrico Arlotta.
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Nel medesimo provvedimento legislativo era stabi lito che i servizi riguardanti la difesa contro i sommer gibili che insidiavano il traffico marittimo erano riuniti e posti alle dipendenze dirette di un ufficiale ammira glio che avrebbe avuto il titolo di ispettore per la Difesa Il piroscafo PRINCIPE UMBERTO, trasformato in trasporto truppe, silurato dal sommergibile austro-ungarico U 5 la sera dell’8 giugno 1916 mentre stava trasportando dall’Albania in Italia alcuni reparti del 55° Reggimento Fanteria. A causa del suo rapido affondamento perirono quasi duemila militari (Museo Storico della Terza Armata).del Traffico Marittimo Nazionale, il quale avrebbe preso tutti i provvedimenti e compiuto le operazioni necessarie per salvaguardare il movimento dei mercan tili. Il primo che resse tale incarico fu il contrammira glio Giuseppe Mortola dall’8 marzo 1917 fino al 21 febbraio 1918, quando fu sostituito dal parigrado Pio Lobetti Bodoni che lo resse fin dopo la cessazione delle ostilità. (14)
L’ammiraglio, attenendosi agli ordini impartiti dal capo di Stato Maggiore della Marina, poiché comunque il nuovo ente era sottoposto gerarchicamente all’Uffi cio del Capo di Stato Maggiore della Marina, avrebbe pertanto sovrinteso alla predisposizione, alla distribu zione e all’impiego dei mezzi di difesa e di offesa na vali, subacquei, aerei e terrestri per contenere le azioni dei sommergibili avversari e avrebbe stabilito i cosid detti porti e punti di rifugio. Egli avrebbe poi conti nuato l’attività per dotare di un armamento efficace le unità mercantili italiane così da metterle in grado di fronteggiare i battelli subacquei e per proporre un pre mio in denaro per le navi che avessero affondato o dan neggiato uno di questi ultimi. (15)
L’ispettore avrebbe dovuto sottoporre alle superiori autorità eventuali schemi per sottoscrivere accordi con
i paesi neutrali riguardanti il trattamento che essi avreb bero riservato ai mercantili italiani dotati di armamento difensivo allorché avessero attraversato le loro acque territoriali e infine a lui sarebbe spettato il compito di emanare le disposizioni per disciplinare la navigazione dei mercantili nella maniera che avrebbe ritenuto più opportuna al fine di garantirne la tutela. Egli, per otte nere ciò, avrebbe potuto contare sul concorso dei pre fetti e delle locali autorità sia civili che militari per la sollecita esecuzione delle sue disposizioni.
Infine, nel citato Decreto Luogotenenziale, era ri portato che il Ministero della Marina avrebbe provve duto con un apposito decreto all’unificazione e al riordinamento degli uffici che sarebbero confluiti nel nuovo Ispettorato.
Il viceammiraglio Corsi, ben consapevole dell’im portanza di quest’ultimo organismo, con il Decreto Mi nisteriale del 23 marzo 1917 stabilì che esso fosse strutturato su una segreteria e su tre reparti.
La segreteria, retta da un tenente di vascello, si sa rebbe occupata delle pratiche generali, avrebbe conser vato l’archivio ordinario e quello con la documentazione classificata, avrebbe mantenuto la corrispondenza con gli addetti navali delle Marine alleate e il carteggio ri
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Il battello austro-ungarico U 5, che prima di affondare il PRINCIPE UMBERTO aveva colato a picco l’incrociatore corazzato francese LÉON GAMBETTA al largo di Santa Maria di Leuca il 27 aprile 1915 e il sommergibile italiano NEREIDE vicino all’Isola di Pelagosa il 5 agosto successivo (Collezione Fulvio Petronio).guardante eventuali proposte di invenzioni per miglio rare la lotta antisommergibile, si sarebbe occupata della compilazione di pubblicazioni e di disegni e della ge stione del personale.
Il primo reparto, comandato dall’ufficiale dell’Arma di Artiglieria del Regio Esercito distaccato presso l’Uf ficio del Capo di Stato Maggiore della Marina, avrebbe avuto il compito di sovrintendere al servizio dei can noni sistemati nei porti e nei punti di rifugio in base alle direttive ricevute dall’ispettore per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale e di mantenere i contatti con i vari enti dell’Esercito per favorire i provvedi menti di loro competenza.
Il secondo reparto, posto agli ordini di un ufficiale superiore di Marina del Corpo dello Stato Maggiore coadiuvato da un tenente di vascello del Ruolo Nor male o di Complemento, si sarebbe occupato degli studi relativi al convogliamento del traffico, alle prati che riguardanti la condotta delle navigazioni compren denti le rotte consigliate e le pubblicazioni inerenti, la raccolta delle informazioni concernenti l’attività dei sommergibili avversari (attacchi da essi effettuati ed eventuali relativi affondamenti), loro avvistamenti e so
spetti tentativi di rifornirli in maniera illegale e scoperta di mine, eventi che sarebbero stati riportati in appositi bollettini redatti con scadenza giornaliera, mensile e semestrale. Inoltre tale reparto avrebbe redatto verbali, questionari e impiantato pratiche concernenti il perso nale della Marina Mercantile.
Il terzo reparto, anche questo al comando di un uf ficiale superiore dello Stato Maggiore assistito da un tenente di vascello del Ruolo Normale o di Comple mento, era quello maggiormente operativo. Esso in fatti doveva sovrintendere all’organizzazione dei convogli, a stabilire le date di partenza e di arrivo, all’assegnazione delle scorte e all’installazione a bordo dei mercantili dei pezzi di artiglieria, degli ap parati fumogeni, di quelli radiotelegrafici e in seguito anche dei paramine; aveva il compito di gestire le te lecomunicazioni sia in mare che a terra inerenti i se gnali di soccorso; garantire la difesa del traffico impiegando caccia, torpediniere, mas, navi pattuglia, sommergibili e aeromobili; sovrintendere alla prote zione dei porti tramite ostruzioni fisse e occasionali, e rastrellamenti delle acque a essi antistanti, e infine assicurare la vigilanza costiera impiegando distacca
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Le forze subacquee della Kaiserliche und Königliche Kriegsmarine asburgica, oltre ad essere potenziate dall’iscrizione nei suoi quadri di sommergibili tedeschi, riuscirono a rimettere a galla e far entrare in servizio anche il sommergibile francese CURIE, affondato mentre stava cercando di penetrare dentro la base di Pola il 20 dicembre 1914. Esso operò sotto bandiera austro-ungarica con la nuova designazione di U 14 e, fra le unità che affondò, vi fu anche il vapore MILAZZO da 11.477 tsl, una delle navi più grandi della flotta mercantile italiana, silurato il 29 agosto 1917 a 250 miglia a est di Malta (Collezione Fulvio Petronio).menti di vedette del Regio Esercito e i necessari col legamenti telefonici e telegrafici.
Nel medesimo Decreto Ministeriale era stabilito che l’ispettore per la Difesa del Traffico Marittimo Nazio nale si sarebbe avvalso della collaborazione del capo del Terzo Reparto dell’Ufficio del Capo di Stato Mag giore per ciò che atteneva l’installazione dell’arma mento sui mercantili e le notizie sui loro movimenti, mentre per quello che riguardava le questioni di natura legale e diplomatica concernenti l’attività dei sommer gibili avversari, l’applicazione delle sanzioni discipli nari ma anche penali a carico dei comandanti e dei membri degli equipaggi delle unità mercantili italiane, la trasmissione dei verbali al Ministero dei Trasporti Marittimi e Ferroviari per la cancellazione delle matri cole delle navi perse e la compilazione delle statistiche dei mercantili nazionali, alleati e neutrali affondati avrebbe potuto contare sull’assistenza del personale dell’Ufficio del Capo di Stato Maggiore competente nei vari settori. (16)
Questo ente, al momento in cui fu istituito, ebbe come area assegnata quella che andava dalla frontiera fra l’Italia e la Francia fino a Punta Stilo in Calabria, comprendendo la Sardegna e la Sicilia e le altre isole minori; da Punta Stilo iniziava il settore affidato al Co mando in capo del Dipartimento marittimo di Taranto e al Comando in capo dell’Armata.
La struttura periferica dell’Ispettorato si basava, per quello che concerneva l’esecuzione delle sue di rettive generali, per il controllo diretto sui movimenti dei convogli e per l’approntamento e l’impiego di tutti i mezzi per la protezione del traffico, nel tratto di mare di propria giurisdizione dai Comandi superiori, ovvero dai Comandi in capo dei Dipartimenti Marit timi di Spezia (dal confine italo-francese fino a Torre Canneto), di Napoli (da Torre Canneto a Capo Suvero, comprendendo le Isole Pontine e quelle Partenopee) e di Taranto (da Fiumara Assi a Capo Santa Maria di Leuca e la congiungente da questa località a Prevesa), dal Comando Militare Marittimo della Maddalena (l’intera Sardegna), dal Comando dei Servizi della
Regia Marina in Sicilia (tutta questa isola e la parte continentale da Capo Suvero a Punta Stilo) e dal Co mando superiore navale in Libia (dal Golfo di Sollum a est e Ras Agir a ovest fino alla congiungente fra Ras el Hamama e Ras Makhabez).
Da tali organi dipendevano i Comandi Difesa Traf fico istituiti nei principali porti nazionali, cioè dal primo Genova, Livorno e Civitavecchia, dal secondo Napoli, dal terzo Taranto, dal quarto La Maddalena, dal quinto Messina e Palermo, dal sesto Tripoli. Essi avevano compiti solamente di natura esecutiva e la di retta responsabilità della gestione del servizio nelle acque di propria giurisdizione regolando i trasferi menti dei mercantili, la formazione dei convogli, l’as
La giurisdizione dell’Ispettorato e il suo ordinamento perifericoL’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Il cacciatorpediniere CORAZZIERE, che fu intensamente impiegato per scortare i convogli che trasportavano truppe e rifornimenti al contingente italiano che si era insediato nel campo trincerato di Valona (U.S.M.M.).
segnazione delle scorte, diramando le istruzioni delle rotte da seguire ai capi convoglio e facendo eseguire il dragaggio delle zone dove si riteneva che l’avver sario avesse allestito dei banchi di mine. Inoltre i Co mandi Difesa Traffico si occupavano dell’impiego dei mezzi antisommergibile facendo loro svolgere delle apposite crociere volte alla caccia dei battelli subac quei avversari e organizzando pattugliamenti per la protezione dei mercantili.
Questi Comandi godevano di un’ampia autonomia per lo svolgimento delle attività a essi affidate per es sere il più possibile flessibili in considerazione delle mutevoli condizioni alle quali dovevano quotidiana mente far fronte così da evitare di far intervenire le au torità superiori o quelle centrali, la cui intromissione poteva risultare intempestiva.
Poiché le aree di competenza di alcuni di questi Co
mandi Difesa Traffico erano parecchio estese, a loro volta essi avevano sottoposti gli Uffici Difesa Traffico ubicati nei porti di minore importanza. Pertanto dal Co mando Difesa Traffico di Genova dipendevano gli Uf fici Difesa Traffico di Porto Maurizio e di Savona, da quello di Livorno era sottoposto Portoferraio, da quello di Taranto sottostavano Crotone e Gallipoli, da quello della Maddalena dipendevano Cagliari e Golfo Aranci, da quello di Messina Siracusa, da quello di Palermo Trapani, e da quello di Tripoli dipendevano Bengasi e Tobruk; inoltre vi era l’Ufficio Difesa Traffico di Spe zia che, in considerazione della presenza della locale base navale, era autonomo.
La collaborazione con gli altri enti alleati
L’attività svolta dall’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale era indipendente e asso luta per quello che si riferiva ai movimenti dei mercan tili nelle acque territoriali italiane e si armonizzava con quella delle autorità navali francesi e britanniche per quei servizi che necessariamente si allacciavano alle corrispondenti attività delle due Potenze alle quali l’Ita lia si era unita. Pertanto avevano un carattere interal leato il servizio di convogliamento sulle grandi linee di traffico di interesse dell’Intesa e le relative norme organiche, pure quando qualcuna di esse era specifica mente assegnata alla Regia Marina, alla Marine Natio nale francese oppure alla Royal Navy britannica, la gestione delle notizie riguardanti l’attività dei battelli subacquei avversari e il servizio delle comunicazioni radiotelegrafiche.
Proprio per assolvere nel miglior modo possibile questi compiti l’Ispettorato era in contatto diretto con la Direction Générale de la Guerre Sousmarine isti tuita presso il Ministero della Marina d’oltralpe e la Trade and Convoy Division dell’Ammiragliato bri tannico. Inoltre, sempre per tale scopo, furono creati nei porti esteri di maggiore importanza per il traffico mercantile riguardante l’Italia degli appositi organi smi, chiamati Uffici Regia Marina all’Estero, coman dati da ufficiali del Corpo dello Stato Maggiore che svolgevano la funzione di collegamento con i locali rappresentanti delle Marine alleate, esercitavano un’attività di tutela del traffico nazionale che si svol
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerrageva nel tratto di mare di competenza, provvedevano a impartire le opportune istruzioni ai mercantili ita liani, cercavano di dirimere le questioni che poteva sorgere nel porto dove risiedevano relative all’im barco e allo sbarco dei rifornimenti e far pervenire all’Ispettorato per la difesa del traffico qualsiasi in formazione di competenza.
Nel corso del 1917 furono istituiti questi uffici a Gi bilterra, a Port Said in Egitto e a Villafranca in Francia; successivamente, durante il 1918, ne vennero aperti altri sei a Barcellona in Spagna (che ebbe la speciale denominazione di Regio Consolato Generale d’ItaliaUfficio Navale), a Biserta in Tunisia, a New York negli Stati Uniti, e a Corfù, al Pireo e a Salonicco in Grecia (questi ultimi tre ospitati a bordo di una nave staziona ria della Regia Marina).
L’alto controllo della gestione e della protezione del
traffico dell’Intesa nel Mediterraneo era stato assegnato all’ammiraglio comandante in capo delle forze navali britanniche in questo mare, il quale era assistito da un ammiraglio italiano e da uno francese, che dovevano rappresentare le necessità riguardanti i traffici diretta mente interessanti i rispettivi paesi. Essi, unitamente a un ammiraglio nipponico, costituivano la Commissione interalleata di Malta. (17)
Tale ente, poiché era stato accettato che l’Ispettorato per la difesa del traffico dovesse occuparsi in modo in dipendente della protezione dei mercantili nelle acque italiane, esercitava la sua azione di controllo sul resto del bacino del Mediterraneo e, dall’inizio del 1918, pure su tutte le grandi linee di traffico.
L’Ispettorato aveva contatti diretti con la Commis sione interalleata di Malta grazie all’ammiraglio ita liano membro della stessa. 8
L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra Un idrocaccia Macchi che, come altri velivoli e dirigibili della Regia Marina, concorse validamente alla difesa del traffico mercantile lungo le coste italiane (U.S.M.M.).L’istituzione dell’Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale durante la Grande guerra
NOTE
(1) In particolare il 5 settembre 1914 il battello subacqueo tedesco U 21 comandato dal tenente di vascello Otto Hersing colpì con un siluro l’incrociatore leggero bri tannico Pathfinder mentre stava uscendo dal Firth of Forth in Scozia causando l’esplosione del suo deposito munizioni prodiero; l’unità affondò in soli quattro minuti con la quasi totalità del suo equipaggio. Poco più di due settimane dopo, il 22 settembre, si ebbe un’ancora più importante vittoria ottenuta da un sommergibile ger manico, quando l’U 9 del tenente di vascello Otto Weddigen, al largo della costa dei Paesi Bassi, affondò i tre incrociatori corazzati britannici Aboukir, Hogue e Cressy causando la perdita di millequattrocentocinquantanove uomini dei circa duemiladuecento che vi erano imbarcati. Nel frattempo pure la Marina tedesca aveva avuto modo di sperimentare l’efficacia dei battelli subacquei avversari, allorché il 13 settembre fu la volta del sommergibile E 9 della Royal Navy britannica comandato dal capitano di corvetta Max Kennedy Horton a colare a picco con un siluro il vecchio incrociatore leggero tedesco da poco rimodernato Hela a 6 miglia a sud-ovest dell’Isola di Helgoland, vedi Marco Gemignani, Considerazioni sull’impiego dei sommergibili nel primo conflitto mondiale, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», XII (1998), 2, pp. 139-141.
(2) All’azione condotta dall’U 17 assistette la torpediniera norvegese Hai, la quale doveva pattugliare le acque territoriali del suo paese e non intervenne in difesa del piroscafo in quanto era stato fermato dal battello tedesco fuori di esse. La torpediniera, una volta che l’U 17 si fu allontanato, prese a rimorchio le lance con a bordo l’equipaggio del Glitra, che condusse in salvo a Skudeneshavn, vedi Daniel Allen Butler, The Age of Cunard: A Transatlantic History 1839-2003, Annapolis, Li ghthouse Press, 2003, p. 211.
(3) Michael Wilson-Paul Kemp, Mediterranean Submarines. Submarine Warfare in World War One, Wilmslow, Crécy Publishing, 1997, pp. 30-31.
(4) Ivi, pp. 34, 51-55, 57-59.
(5) Il 10 maggio 1915 a Parigi i rappresentanti della Marina italiana, di quella francese e di quella britannica avevano sottoscritto un accordo navale con il quale le ultime due si impegnavano a dare il loro concorso alla prima fino alla distruzione della flotta asburgica o alla cessazione delle ostilità, vedi Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare (d’ora in poi AUSMM), Raccolta di base, busta 356, fascicolo 1: «Convention Navale».
(6) Sulle condizioni della Marina mercantile italiana al 31 dicembre 1914. Relazione del direttore generale della Marina mercantile a S.E. il Ministro per i Trasporti Marittimi e Ferroviari, Roma, Officina Poligrafica Italiana, 1916, p. 103.
(7) AUSMM, Raccolta di base, busta 404: lettera del viceammiraglio Leone Viale al ministro degli Affari Esteri Sidney Sonnino redatta a Roma il 21 maggio 1915, con n. di prot. 12497 A e avente oggetto «Trattamento delle navi mercantili nemiche presenti nei porti del Regno e Colonie allo scoppio delle ostilità».
(8) Ivi: lettera del viceammiraglio Paolo Thaon di Revel al direttore generale della Marina Mercantile Carlo Bruno redatta a Roma il 19 maggio 1915, con n. di prot. 12.694 e avente oggetto «Norme per evitare attacchi di sommergibili».
(9) Anche la prima e la terza perdita subite dalla Regia Marina attribuite a battelli subacquei avversari, il sommergibile Medusa e l’incrociatore corazzato Amalfi, silurati il 10 giugno e il 7 luglio 1915 rispettivamente dagli austro-ungarici U 11 e U 26, furono in realtà vittime di battelli tedeschi, l’UB 13 e l’UB 14 comandati in tempi diversi dal sottotenente di vascello Heino von Heimburg vedi Danilo Pellegrini-Pierpaolo Zagnoni, I sommergibili Medusa: due vicende parallele, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», VIII (1994), 4, pp. 100-104; AUSMM, Raccolta di base, busta 462, fascicolo 8: rapporto del contrammiraglio Umberto Cagni al viceammiraglio Leone Viale, redatto a Venezia il 14 luglio 1915, con n. di prot. 260 RR e avente oggetto «Circa perdita dell’Amalfi»; Danilo Pelle grini-Pierpaolo Zagnoni, L’ultima crociera della R.N. Amalfi, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», V (1991), 3, pp. 197-214. Per completezza si riporta che in quelle stesse settimane le Regia Marina perse altre tre unità a causa dei battelli subacquei, in tali casi realmente austro-ungarici: la torpediniera 5 PN affondata dall’U 10 il 27 giugno, l’incrociatore corazzato Giuseppe Garibaldi silurato il 18 luglio dall’U 4 e il sommergibile Nereide colpito dall’U 5 il 5 agosto, vedi AUSMM, Raccolta di base, busta 2770bis, fascicolo 29: «Stato Maggiore della Marina. Ufficio Storico. Unità della Marina Militare italiana perdute in Mediterraneo durante la Prima guerra Mondiale (24.5.1915-4.11.1918)»; ivi, busta 463, fascicolo 4: lettera del viceammiraglio Ernesto Presbitero al viceammiraglio Luigi Amedeo di Savoia redatta a Taranto il 13 agosto 1915, con n. di prot. 740 RR e avente oggetto «Affondamento del sommergibile Nereide». (10) La prova di tale supposizione si ebbe nel marzo del 1916 quando il 16 di quel mese uno di questi sommergibili tedeschi del tipo posamine, l’UC 12 del tenente di vascello Eberhard Fröhner, ribattezzato U 24 nella Marina austro-ungarica, fu urtato da una delle torpedini che stava rilasciando mentre provvedeva a minare na vigando in immersione le acque antistanti Taranto. L’esplosione dell’arma spezzò in due il battello uccidendo istantaneamente tutti i membri dell’equipaggio e i tronconi furono recuperati dai mezzi della Regia Marina e portati nel locale Arsenale. Durante la loro ispezione fu appurata la reale nazionalità del sommergibile, ma il governo italiano preferì non protestare a livello diplomatico perché all’interno dei due tronconi furono rinvenuti importanti documenti classificati e il battello, riparato, rientrò in servizio il 13 aprile 1917 come X 1, primo sommergibile posamine della Regia Marina, vedi Aldo Casanova Fuga, Taranto, 16 marzo 1916. Un sommergibile misterioso, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», V (1991), 4, pp. 191-207.
(11) La prima campagna era iniziata il 18 febbraio 1915 ed era cessata il 18 settembre successivo e il successo più eclatante colto dalla flotta subacquea tedesca in quel periodo fu l’affondamento del transatlantico britannico Lusitania, silurato il 7 maggio dall’U 20 del tenente di vascello Walther Schwieger che aveva causato la morte di mil lecentonovantotto persone, fra le quali centoventotto di nazionalità statunitense; la seconda campagna era cominciata nel febbraio del 1916, ma era cessata già nell’aprile seguente per le proteste sollevate dal governo di Washington dopo la perdita del traghetto francese Sussex nella Manica il 24 marzo a opera dell’UB 29 del sottotenente di vascello Herbert Pustkuchen, evento nel quale erano rimasti feriti tre cittadini statunitensi, vedi Alberto Santoni, Storia e politica dell’età contemporanea, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1993, pp. 99, 101-104; Paul G. Halpern, A Naval History of World War I, Annapolis, Naval Institute Press, 1994, pp. 298-302, 307-308. (12) AUSMM, Raccolta di base, busta 751, fascicolo 4: «Ispettorato per la Difesa del Traffico Marittimo Nazionale. Promemoria», redatto a Roma il 28 dicembre 1917. (13) L’atto fu riportato sulla «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» del 6 marzo 1917, n. 54, pp. 1107-1108. L’ammiraglio Tomaso di Savoia, zio del re Vittorio Emanuele III, era divenuto luogotenente generale del Regno con il Regio Decreto n. 699 del 25 maggio 1915, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» del 26 maggio 1915, n. 131 (Straordinario), p. 3253 perché il nipote aveva deciso di lasciare Roma e spostarsi nelle retrovie del fronte per poter seguire meglio l’andamento delle operazioni belliche. Così il sovrano aveva affidato allo zio, rimasto nella capitale, parte delle sue funzioni, attività che Tomaso di Savoia continuò a svolgere ben oltre la cessazione delle ostilità, ovvero fino al 7 luglio 1919, vedi il Regio Decreto n. 1082 del 6 luglio 1919, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia» il 7 luglio 1919, n. 160, p. 1909.
(14) AUSMM, Biografie ufficiali, busta M 3, fascicolo 41 bis: «Mortola Giuseppe»; ivi, busta L 1, fascicolo 18: «Lobetti Bodoni Pio».
(15) La scelta già ricordata anche da parte delle autorità italiane di proseguire l’installazione dell’armamento sui mercantili derivò dall’analisi delle statistiche redatte dai britannici, nelle quali venne evidenziato che su duecento mercantili attaccati dai battelli subacquei avversari nel 1916, si erano verificati ben cento affondamenti fra i centoventidue disarmati e solamente sette perdite fra i settantotto muniti di artiglieria. Tuttavia l’installazioni di bo cche da fuoco sui piroscafi produsse dei problemi a livello diplomatico perché anche se alcuni Stati con i quali le Potenze dell’Intesa mantenevano cospicui rapporti commerciali, come ad esempio il Brasile, il Messico, il Perù e l’Uruguay non mostrarono remore ad accogliere nei loro porti i bastimenti armati, ve ne furono altri, come il Cile e la Colombia, che li avrebbero ammessi esclusivamente se preavvisati, oppure, come l’Argentina, che avrebbe concesso l’ingresso soltanto se avessero sbarcato il munizionamento all’entrata delle rade. I Paesi Bassi, attenendosi in maniera rigida alla loro dichiarata neutralità, non permisero che i mercantili dotati di armamento si trattenessero nei loro porti più di ventiquattro ore, vedi Marco Gemignani, La guerra antisom dell’Intesa nel Mediterraneo durante il primo conflitto mondiale, in «Bollettino d’Archivio del l’Ufficio Storico della Marina Militare», XIX (2005), 4, pp. 51-52.
(16) Il Decreto Ministeriale del 23 marzo 1917 è riportato in Il traffico marittimo, vol. II, Roma, Ufficio del Capo di Stato Maggiore-Ufficio Storico, 1932, pp. 221-223.
(17) Il Giappone era entrato nel conflitto schierandosi a fianco dell’Intesa il 23 agosto 1914 perché era interessato a occupare alcuni arcipelaghi che i tedeschi pos sedevano nel Pacifico e la loro concessione in Cina. I nipponici, dopo aver ottenuto quanto desideravano in quell’area, non avevano più fattivamente partecipato alla guerra fino a quando, su richiesta britannica, nell’aprile del 1917 inviarono nel Mediterraneo otto cacciatorpediniere e l’incrociatore protetto Akashi, ai quali si aggiunsero nell’agosto successivo altri sei caccia, dei quali un paio ceduti dalla Royal Navy, e l’incrociatore corazzato Idzumo che rimpiazzò l’Akashi come nave di bandiera della formazione. Le unità giapponesi furono intensamente impiegate per la protezione del traffico dell’Intesa, subendo il serio danneggiamento del caccia Sakaki, colpito l’11 giugno 1917 al largo di Creta da un siluro lanciato dal sommergibile austro-ungarico U 27 del tenente di vascello Robert Teufl von Fernland, vedi Norman Friedman, Japan, in All the World’s Fighting Ships 1906-1921, a cura di Robert Gardiner, London, Conway Maritime Press, 1985, p. 242.
F OCUS DIPLOMATICO
Scenari mediorientali e nel mercato globale dell’energia. La visita di Biden nella regione. I precedenti.
Il Medio Oriente è stato in modo crescente un’area di interesse primario per gli Stati Uniti a partire dagli anni successivi alla Prima guerra mondiale quando le risorse petrolifere diventavano sempre più importanti nell’economia e nella politica internazionale. Compa gnie petrolifere americane entravano già negli anni Venti e Trenta soprattutto in quella che stava diven tando l’Arabia Saudita ma anche in paesi in cui predo minante era il controllo britannico come l’Iraq e l’Iran.
Questo interesse aumentò enormemente con lo svi luppo della motorizzazione di massa, della petrolchi mica e dell’uso del petrolio durante il Secondo conflitto mondiale. Per tale sviluppo le risorse americane e dell’area caraibica erano sempre meno sufficienti.
Lo storico incontro nel 1945 a Suez di Roosevelt di ritorno da Yalta con il re Ibn Saud segnò l’inizio di quel rapporto privilegiato tra i due paesi basato sulla garan zia di sicurezza americana alla monarchia saudita in cambio di approvvigionamenti petroliferi sicuri e a buon mercato gestiti da società statunitensi che negli anni successivi avrebbero costituito entità congiunte con i sauditi.
Parallelamente la costituzione dello Stato di Israele determinava l’impegno americano a garantirne la sicu rezza e a farne un punto centrale della presenza di Wa shington nella regione soprattutto dopo che gli Stati Uniti a seguito della crisi di Suez avevano sostituito i britannici e i francesi nella loro posizione egemonica in Medio Oriente. Washington riusciva così a gestire con sostanziale successo la contemporanea alleanza con l’Arabia Saudita e con Israele malgrado la durezza della retorica e dei comportamenti nei rapporti tra i due paesi, mitigati tuttavia nella sostanza dalla comune av versione ai regimi repubblicani e di orientamento radi cale che si insediavano negli anni Cinquanta e Sessanta dall’Egitto alla Siria all’Iraq all’Algeria alla Libia e allo Yemen del Sud, e che pur professando il non allinea mento avevano più o meno intensi rapporti con l’Unione Sovietica sui piani politico, economico e mi litare. Questo dato di fatto travalicava la solidarietà di
facciata dell’Arabia Saudita e altre monarchie nell’am bito della Lega Araba e delle Nazioni unite contro Israele e il sionismo e a sostegno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, soprattutto dopo l’occupazione israeliana della Cisgiordania e del Sinai a seguito della guerra dei sei giorni. I profughi palesti nesi venivano in realtà utilizzati nelle rivalità interarabe e nelle trattative con l’Occidente ed erano frequentemente vittime di marginalizzazioni e stragi. Dopo la riaffermazione del principio dei due Stati, già presente nella Risoluzione delle Nazioni unite alla base della nascita di Israele, rigettata allora dagli Stati arabi, gli americani, al pari degli europei, cercarono di avviare processi per la soluzione della questione pale stinese. Il punto più alto si ebbe con gli accordi di Oslo del 1993 seguiti anche dopo l’assassinio del primo mi nistro Rabin dai tentativi condotti soprattutto da Clin ton con Barak e Arafat, dalle attività e proposte del «Quartetto» formato da Stati Uniti, UE, Russia e ONU, e da una iniziativa della Lega Araba per un riconosci mento dello Stato di Israele entro i confini del 1967 in cambio della costituzione dello Stato Palestinese con Gerusalemme Est come capitale. Non vi furono tuttavia risultati concreti anche perché, accanto alle ambiguità di Arafat, la politica dell’incoraggiamento degli inse
Focus diplomatico
diamenti nei territori occupati da parte dei Governi del Likud, con relativi presidi di sicurezza, vanificava pro gressivamente la prospettiva dei due Stati.
L’Arabia Saudita aveva intanto mantenuto il suo ruolo centrale per gli Stati Uniti. Nel 1973 aveva inne scato assieme agli altri paesi produttori il primo shock petrolifero. L’occasione fu l’embargo contro i paesi oc cidentali che sostenevano Israele nella guerra del Kip pur, ma la ragione sottostante del forte e improvviso aumento dei prezzi era lo scarto tra il grande aumento della domanda dovuto ai grandi progressi economici e sociali negli anni precedenti sulle due rive settentrionali dell’Atlantico e in Giappone, consentiti in buona parte dai bassi costi dell’energia, e le carenze dell’offerta do vute alla scarsità di investimenti per i quali era neces sario un aumento di quei prezzi.
Negli anni successivi l’Arabia Saudita e le nuove monarchie del Golfo riuscirono abilmente, d’intesa con le grandi compagnie petrolifere, a mantenere prezzi e conseguenti profitti adeguati ai nuovi necessari inve stimenti, ma non fino al punto da favorire nuove entrate nel mercato dell’energia dal lato dell’offerta. Vi era inoltre la preoccupazione di non aggravare la crisi eco nomica nei paesi occidentali (stagflazione) innescata dall’aumento dei prezzi del petrolio le cui conseguenze si ripercuotevano ovunque e danneggiavano gli stessi
esportatori. Questa politica di calmieramento, facilitata da bassi costi di estrazione rispetto ad altri teatri pro duttivi, contrastava nell’ambito dell’OPEC con quella di altri paesi, in genere quelli che anche sul piano po litico avevano posizioni di maggiore contestazione nei confronti dell’Occidente, come l’Algeria, l’Iraq e l’Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, cui si aggiun geva il Venezuela, più interessati a profitti immediati e meno sensibili a considerazioni di lungo periodo. Per quanto riguarda l’Iraq e l’Iran i loro comportamenti nel cartello dei produttori erano inoltre influenzati dalla guerra che li opponeva nel corso degli anni 80 e dai re lativi costi.
Nell’insieme, il peso delle produzioni di Arabia Sau dita e paesi del Golfo e l’offerta determinata dagli in vestimenti dovuti all’aumento di prezzi e profitti negli anni precedenti avevano a loro volta determinato una stabilizzazione e poi una riduzione dei prezzi stessi. Questo ha avuto effetti non soltanto sulla ripresa eco nomica verificatasi in quegli anni in Occidente, ma anche sul peggioramento delle condizioni dell’Unione Sovietica che con una fortissima dipendenza dal l’esportazione di idrocarburi aveva beneficiato dei pre cedenti aumenti dei prezzi e ora si trovava nelle gravi difficoltà che assieme a vari altri noti fattori hanno ac celerato il suo collasso.
Sugli equilibri mediorientali e a livello globale hanno inoltre influito a partire dagli anni Settanta-Ot tanta l’aumento del ruolo del gas per la produzione di energia elettrica grazie ai tubi dall’ dell’Unione Sovie tica, dal Mare del Nord e dall’Algeria, nonché alle nuove tecnologie per la liquefazione e la rigassifica zione di cui ha beneficiato soprattutto il Qatar che in termini politici è giunto negli anni successivi a sfidare l’Arabia Saudita con proprie agende di egemonia re gionale, ad allearsi con la Turchia e a entrare in rotta di collisione con gli Emirati in Libia e nel Corno d’Africa. Non ne ha beneficiato invece che in misura limitata l’Iran, altro grande detentore di riserve di gas, a causa delle sanzioni cui era sottoposto.
I prezzi degli idrocarburi sono rimasti sostanzial mente stabili nel corso degli anni Novanta dopo la breve impennata dovuta alla Prima guerra del Golfo causata dall’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di
Saddam Hussein che con l’acquisizione delle risorse petrolifere di tale paese costituiva una minaccia intol lerabile per l’Arabia Saudita che pur aveva sostenuto Baghdad durante la sua guerra con l’Iran.
La ferma reazione di una vasta coalizione guidata dagli Stati Uniti e formata da paesi occidentali e arabi respinse l’aggressore fuori dal Kuwait e con un severo regime sanzionatorio ne indebolì fortemente le capacità militari ed economiche. La situazione cambiò in parte all’inizio di questo secolo, apertosi con l’attacco terro ristico di Al Qaeda agli Stati Uniti l’11 settembre del 2001. Gli organizzatori e gli esecutori degli attentati erano quasi tutti sauditi. L’Amministrazione Bush jr. ne trasse la conclusione che accanto a quello saudita fosse opportuno un nuovo centro di influenza ameri cana in Medio Oriente per contenere l’Iran e prevenire la penetrazione cinese rimuovendo Saddam Hussein e insediando in Iraq un sistema politico democratico e fi looccidentale.
Sappiamo che questa azione non ha prodotto i risul tati voluti da Washington facendo tra l’altro crescere l’influenza iraniana nella regione.
Si consolidava contemporaneamente la grande cre scita economica della Cina e di altri paesi asiatici ini ziata nei due decenni precedenti con un forte aumento delle loro importazioni di petrolio e gas liquefatto dal Medio Oriente. Questo determinava un nuovo aumento dei prezzi degli idrocarburi, con un suo arresto a causa della crisi economico-finanziaria del 2008-2009 e dei suoi seguiti in Europa e poi per la paralisi delle attività economiche nel 2020 dovuta alla pandemia quando il prezzo del greggio diventò in un giorno addirittura ne gativo. La ripresa post-pandemia produsse nel 20212022 un nuovo aumento della domanda e quindi dei prezzi, accentuato dalla guerra in Ucraina e dalla ridu zione delle importazioni di idrocarburi russi in Europa, in Giappone e in Corea del Sud solo in parte compen sate da quelle di petrolio di Cina e India.
La fine della dipendenza energetica diretta degli Stati Uniti dal Medio Oriente e le sue conseguenze politiche
Un altro fattore nell’equazione energetica globale con effetti di relativa stabilizzazione dei prezzi che
compensavano parzialmente il loro aumento dovuto alla domanda asiatica è stato lo sviluppo negli Stati Uniti a partire dall’inizio di questo secolo dell’estra zione di petrolio e gas attraverso la frammentazione di rocce bituminose (shale oil e shale gas).
Questo ha comportato che gli Stati Uniti sono tornati a essere in pochi anni il primo produttore di idrocarburi a livello mondiale assieme alla Russia e, per il petrolio, all’Arabia Saudita. A questo si è aggiunto, sotto le Am ministrazioni democratiche e negli Stati controllati da quel partito, lo sviluppo di energie rinnovabili e di mi sure per l’efficientamento energetico nel quadro del contrasto ai cambiamenti climatici. È quindi venuta meno la dipendenza energetica americana dal Medio Oriente con una conseguente minore attenzione prima ria alle sue vicende mentre cresceva quella per l’AsiaPacifico in conseguenza della crescita della potenza economica, politica e militare della Cina. Tale ridu zione dell’attenzione non va tuttavia esagerata consi derato il ruolo di potenza globale degli Stati Uniti, anche sotto il profilo del suo interesse al controllo di quella che rimane la principale area di presenza di ri sorse per la produzione di energia nel mondo, con un aumento delle quote di esportazioni verso l’Asia. Come ebbe a dire Obama nel suo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni unite nel settembre del 2013, «gli Stati Uniti sono pronti a usare tutti gli elementi del loro potere per assicurare l’interesse fondamentale al libero flusso di energia dal Medio Oriente verso il mondo che dipende ancora dai rifornimenti dalla re gione una cui interruzione destabilizzerebbe l’intera economia globale».
Rimane inoltre la preoccupazione per l’espansioni smo iraniano e per la possibile acquisizione da parte di Teheran di una capacità militare nucleare e di vettori missilistici per il suo impiego, accanto all’esigenza di garantire la sicurezza di Israele.
Obama aveva affrontato la questione, malgrado le opposizioni di Israele e dell’Arabia Saudita, con la con clusione dell’Accordo del 2015 (JCPOA) dopo un lungo negoziato assieme agli europei, alla Cina e alla Russia e un duro regime sanzionatorio (a dimostrazione che se mirate per scopi specifici e ottenibili le sanzioni funzionano). Sulla base di tale accordo l’Iran aveva fer
mato l’arricchimento dell’uranio oltre una soglia mi nima sufficiente per usi pacifici ai sensi del Trattato di non proliferazione in cambio della progressiva rimo zione delle sanzioni.
Questo avveniva allorché gli Stati Uniti con gli al leati occidentali inclusa la Turchia con le sue particolari agende, la Russia, i Governi arabi della regione, l’Iran e diversi attori locali, dai curdi a varie forze siriane isla miste o nazionaliste, dovevano affrontare il nemico co mune costituito dall’Isis il cui insediamento territoriale tra l’Iraq e la Siria era il risultato di una genesi nei cui sviluppi vi erano state complicità e strumentalizzazioni di varia natura vicine e lontane nel tempo.
Sconfitto l’Isis sul campo tutte le contraddizioni tra le forze che lo avevano combattuto si sono palesemente manifestate.
Riguardo all’Iran, la successiva decisione di Trump di uscire dal JCPOA e di introdurre nuove sanzioni uni laterali ha rafforzato le tendenze più radicali del sistema politico iraniano che hanno strumentalizzato l’inaffida bilità degli impegni americani e ripreso l’arricchimento dell’uranio portandolo pericolosamente ad avvicinarsi alla soglia utile alla produzione di bombe nucleari.
Biden, spinto dagli altri membri del gruppo nego ziale, ha cercato di riattivare l’accordo, ma i condizio namenti reciproci e, dopo l’aggressione russa all’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali, un di verso atteggiamento di Mosca, ne hanno finora impedita la conclusione ostacolata anche da una accentuazione dei comportamenti repressivi del regime iraniano.
Come fermare l’ulteriore avvicinamento dell’Iran alla soglia nucleare militare e i conseguenti rischi di un pericolosissimo processo di proliferazione nella re gione e oltre? Le sanzioni non sembrano questa volta avere effetto mentre sale la tensione con Israele, accentuata dalle azioni terroristiche antiisraeliane di Hamas e Hezbollah, sostenute e armate dall’Iran, nonché da uccisioni mirate di scienziati ira niani impegnati nel programma nucleare.
È in questo stato di cose che si è verificata la visita appena conclusasi del presidente Biden nella regione, mentre la guerra in Ucraina, con le sue conseguenze sull’economia mondiale, ha fatto crescere l’esigenza di disporre in misura maggiore delle risorse energetiche
mediorientali nella fase di transizione verso la decar bonizzazione.
Le finalità e gli esiti della visita di Biden in Medio Oriente
La visita ha avuto diverse finalità. Nell’ordine cro nologico delle diverse tappe queste si possono artico lare come segue con l’indicazione dei risultati conseguiti allo stato attuale delle conoscenze.
1. La rivitalizzazione dei rapporti con Israele da parte di un presidente democratico dopo il forte allinea mento che vi era stato tra Trump e Netaniahu, e al tempo stesso l’implicito sostegno al primo ministro pro tempore Lapid in vista del suo probabile con fronto elettorale con lo stesso Netaniahu.
Secondo le prevalenti valutazioni della stampa israe liana e internazionale l’empatia è scattata anche se non su tutto. In particolare sulle modalità per il rag giungimento di certi obbiettivi non è stata registrata una perfetta identità di vedute. Biden ha ribadito l’in flessibile impegno americano a garantire la sicurezza di Israele, anche con nuove forniture militari, e la vo lontà di intensificare i rapporti in tutti i campi. Ha evidenziato l’importanza degli accordi di Abramo e di un loro allargamento ad altri paesi arabi, cosa cer tamente gradita agli interlocutori israeliani. Ha ribadito la posizione americana in favore della soluzione dei due Stati senza peraltro dare indica zioni, almeno pubblicamente, sulla volontà di riav viare un processo per la sua realizzazione. Né pubblicamente ha riaffermato la posizione ameri cana sugli insediamenti. Sull’Iran ha affermato l’im pegno americano a impedire con ogni mezzo l’acquisizione dell’arma nucleare da parte di Tehe ran, ma non ha aderito alla richiesta israeliana di fis sare una data per la fine della trattativa sulla riattivazione del JCPOA né a quella di avviare una pianificazione congiunta per un «piano B» dopo la fine di tale trattativa. Biden sa che un attacco mili tare preventivo avrebbe conseguenze disastrose sotto tutti i profili. Ma la via diplomatica, che oltre tutto introdurrebbe nel mercato degli idrocarburi ri sorse preziose per un calmieramento dei prezzi, richiederebbe una volontà delle parti di superare co
diplomaticoraggiosamente punti di dissenso che al momento non appare vicina.
2. Riprendere un dialogo con l’Autorità nazionale pa lestinese sostanzialmente inesistente dall’avvento della presidenza Trump. Anche a Betlemme, ove Biden ha incontrato Abu Mazen, la riaffermazione della soluzione dei due Stati non è stata accompa gnata dall’impegno ad adoperarsi per un suo rilancio essendo anzi stato detto che non vi sono al momento le condizioni. Biden ha comunque attribuito agli Stati Uniti il merito di aver convinto gli israeliani a fer mare alcuni interventi a Gerusalemme Est ove, ha detto, sarà riaperto il Consolato americano chiuso da Trump, cosi come sarà consentita la riapertura del l’ufficio dell’ANP a Washington. Tutto questo, as sieme a un rilancio degli aiuti in particolare in campo sanitario ma non solo, ha costituito una rottura del ghiaccio ma resta lontano da quel che vorrebbero i palestinesi dalla principale potenza mondiale.
3. Ottenere dall’Arabia Saudita un maggiore avvicina mento a Israele fino all’adesione agli accordi di Abramo e la costituzione di un più strutturato fronte
di contenimento dell’Iran, un aumento sostanzioso della produzione di greggio per calmierarne il prezzo i cui livelli costituiscono una seria preoccu pazione di politica interna per il Presidente ameri cano, e ristabilire per queste finalità un rapporto appannato dalla vicenda Khassogi e dalle critiche ri volte dallo stesso Biden al principe ereditario Mo hamed bin Salman per le sue responsabilità rilevate dall’intelligence statunitense.
Sul primo punto qualche risultato simbolico vi è stato, come l’apertura dello spazio aereo saudita ai voli civili israeliani, ma non vi sono stati progressi sull’ade sione agli accordi di Abramo rimanendo la condizione saudita a una piena normalizzazione dei rapporti alla soluzione della questione palestinese sulla base della già menzionata proposta della Lega Araba. Anche in mancanza di riconoscimenti formali non mancano tut tavia rapporti di fatto su temi di interesse comune so prattutto in materia di sicurezza.
Sull’Iran la posizione saudita non è diversa da quella americana, ma Riad non sembra volere la costituzione di un fronte strutturato e formalizzato. Tra Arabia Sau
Focus diplomatico
dita e Iran sono stati avviati contatti in Iraq, con i buoni uffici del primo ministro Mustafa Khadimi che non ri sulta siano stati ostacolati dagli Stati Uniti, per una nor malizzazione dei rapporti e nella prospettiva di un assetto di sicurezza regionale. Rimangono natural mente profonde differenza, ma alcuni risultati sem brano conseguiti, come la tenuta del cessate il fuoco in Yemen, di cui lo stesso Biden ha rilevato l’importanza, le facilitazioni dei pellegrinaggi reciproci delle rispet tive popolazioni sciite, rapporti tra think-tank dei due paesi. Sul secondo punto vi sarebbe stato l’impegno saudita ad aumentare del 50% la sua produzione di pe trolio ma anche l’affermazione della volontà di non in terrompere il dialogo e laddove possibile il coordinamento con la Russia nell’ambito dell’OPEC+.
Questi elementi, sia riguardo al petrolio che alla que stione iraniana, sono stati sostanzialmente confermati nell’incontro con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo allargato a Egitto, Giordania e Iraq, nel quale soprattutto sul secondo aspetto paesi come l’Oman, il Qatar e ovviamente l’Iraq hanno da tempo rapporti eco nomici e diplomatici con Teheran, anche con la volontà di facilitare un dialogo sulla sicurezza regionale mentre gli stessi Emirati Arabi, membri originari degli accordi di Abramo e protagonisti di una intensificazione dei rapporti con Israele in tutti i campi, hanno annunciato il prossimo invio di un loro ambasciatore a Teheran.
Freddo, almeno nelle apparenze, è stato l’incontro di Biden con Mohamed bin Salman, assai più caloroso quello con il Re.
Il Presidente americano, incalzato in patria da par lamentari e opinionisti, ha detto di aver sollevato il caso Khassogi e ha affermato l’interesse della sua Ammini strazione al rispetto dei diritti umani e a una evoluzione delle libertà politiche e degli assetti istituzionali in senso democratico. Bin Salman ha successivamente af
fermato che simili interferenze non sono gradite.
La missione di Biden in Medio Oriente sembra quindi aver avuto nel suo complesso esiti solo mode ratamente positivi rispetto agli obbiettivi perseguiti. Quello principale dell’aumento della produzione petro lifera e quindi del calmieramento dei prezzi, di impor tanza primaria per l’economia globale e per la politica interna americana, sembra raggiunto fino a prova con traria, ma senza le auspicate prese di distanza dalla Russia né dalla Cina con i quali tutti i paesi della re gione intrattengono rapporti di vario tipo.
Sull’Iran Biden non ha aderito a tutte le richieste di Israele, continuando a voler privilegiare, almeno fin quando possibile, la sia pur difficilissima via diploma tica da sostenere anche con un aumento della deter renza attraverso maggiori forniture militari. A questa linea sembrano aderire anche i paesi arabi sunniti, con intensità diverse, inclusi alcuni di quelli che dentro o fuori gli accordi di Abramo stanno intensificando i rap porti con Israele.
Resta sullo sfondo la questione palestinese, sempre strumentalizzabile. È comunque da ritenere che il man tenimento in tempi indefiniti dello statu quo grazie a una assoluta, per quanto necessaria, superiorità mili tare, non basti ad assicurare pace e sicurezza ai cittadini di Israele, alla regione e quindi anche a noi europei che dovremmo probabilmente riattivare, auspicabilmente assieme agli Stati Uniti, un ruolo di facilitazione di una soluzione, ben sapendo che quella dei due Stati è pra ticamente vanificata dalla politica degli insediamenti.
Su un piano più generale il tempo dirà se la visita di Biden e i suoi seguiti avranno effettivamente contri buito a rafforzare la posizione degli Stati Uniti e la si curezza nella regione.
Maurizio Melani, Circolo di Studi DiplomaticiL’ambasciatore Maurizio Melani è stato direttore generale per la Promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, ambasciatore in Iraq, rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell’UE, direttore generale per l’Africa, ambasciatore in Etiopia, capo dell’Ufficio per i rapporti con il parlamento nel Gabinetto del ministro degli Esteri, capo della Segreteria del sottosegretario di Stato delegato alla cooperazione. Ha prestato servizio nella Rappresentanza permanente presso la CEE, nelle ambasciate ad Addis Abeba, Londra e Dar es Salaam e nelle Direzioni generali dell’Emigrazione, degli Affari politici e degli Affari economici. Docente di Relazioni internazionali e autore di libri, saggi e articoli su temi politici ed economici internazionali.
Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
O SSERVATORIO INTERNAZIONALE
Tokyo e la visione FOIP nell’impalcatura securitaria dell’Indo-Pacifico. Il Giappone rientra in scena quale leader strategico regionale.
Nell’ultimo decennio, il ruolo del Giappone nell’im palcatura securitaria dell’Indo-Pacifico ha visto impor tanti trasformazioni. Se, in passato, Tokyo veniva caratterizzata come una potenza «reattiva», «adattabile» o «riluttante», sotto la guida dell’ex premier Abe Shinzō, il paese ha progressivamente adottato un approccio «pro attivo» che ne ha riconfigurato l’immagine di leader stra tegico regionale (1). Esempio chiave di questa trasformazione è la visione per un Indo-Pacifico Libero e Aperto (FOIP) lanciata da Tokyo nel 2016 e successi vamente assorbita dagli Stati Uniti di Donald Trump (2).
La FOIP ambisce a garantire la pace, stabilità e prospe rità della regione oggi definita Indo-Pacifico, rendendola un esempio di «bene pubblico internazionale», ovvero un’area il cui accesso e utilizzo rimangano aperti equa mente a tutti i membri della comunità internazionale (3). Di base, si tratta quindi di una visione strategica in chiave economica, politico-diplomatica e securitaria volta a sostenere, ma anche modellare, l’ordine regionale in funzione degli interessi e dei valori di Tokyo.
Il teatro d’azione in cui questa visione si manifesta è quello marittimo. Come affermato nel Libro Bianco emesso dal ministero della Difesa giapponese (2019), «garantire la sicurezza del traffico marittimo è fonda mentale per l’esistenza» di un arcipelago dipendente per
il 99.6% dal trasporto via mare (p.178) (4). Alla luce di tale dipendenza, si può quindi affermare che, per una po tenza marittima quale il Giappone, l’ordine regionale è sinonimo di un ordine navale fondato sullo stato di di ritto. La dimensione marittima di questa visione ne per mea sia la nomenclatura che le origini. Già nel 2007, in un discorso di fronte al parlamento indiano, Abe aveva parlato della «confluenza dei due mari» e della necessità di mantenere queste acque libere, aperte e trasparenti (5). Nello stesso anno, l’allora primo ministro aveva spinto per la formazione del famoso Quad, il Dialogo di Sicu rezza Quadrilaterale, ovvero un «concerto di potenze marittime capaci di bilanciare la proiezione navale ci nese negli oceani Pacifico e, in misura minore, Indiano» (p.39) (6). Una volta ritornato al potere nel 2012, Abe aveva riproposto questa «strategia in base alla quale l’Australia, l’India, il Giappone e lo stato americano delle Hawaii [avrebbero dovuto] unirsi nel tutelare il tratto di acque in comune che si estende, a forma di dia mante, dalla regione dell’Oceano Indiano alla parte oc cidentale del Pacifico» (7). Anche il discorso preparato per la visita di Abe a Jakarta nel 2013 reiterava questa necessità di consolidare i legami con altre potenze ma rittime della regione (8). Intervenendo alla tredicesima edizione dello Shangri-La Dialogue, il premier giappo nese si fece infine portavoce di tre principi a sostegno dello stato di diritto proprio in un contesto marittimo: 1) avanzare rivendicazioni sulla base del diritto internazio
nale; 2) astenersi dall’uso della forza o coercizione nel l’avanzare le proprie rivendicazioni; 3) risolvere le con troversie con mezzi pacifici (9). Nella visione di Abe, il Giappone avrebbe dovuto quindi necessariamente tra sformarsi da un «paese protetto dai mari» in «paese che protegga i mari» (10).
L’ideazione di una specifica iniziativa etichettata come FOIP vuole pertanto delineare e rendere operativi i parametri di questa visione preesistente. La centralità della sicurezza e stabilità dei mari e oceani che circon dano il Giappone permea chiaramente i tre cardini del l’iniziativa FOIP: 1) promuovere lo stato di diritto, la libertà di navigazione e il libero scambio; 2) perseguire la prosperità economica rafforzando la connettività e gli accordi di scambio tra gli attori regionali; 3) promuovere la pace e stabilità della regione. Il primo cardine rimanda indirettamente ai tre principi avanzati da Abe allo Shan gri-La Dialogue e pone particolare enfasi sulla libertà di navigazione. Sebbene Tokyo non partecipi direttamente alle Freedom of Navigation Operations americane, il paese condivide la definizione di tale principio promossa dagli Stati Uniti secondo cui il diritto di transito non of fensivo è applicabile sia nel caso di imbarcazioni com merciali che militari. Le forze marittime di autodifesa giapponesi effettuano, inoltre, scali in diversi porti del l’Indo-Pacifico e partecipano a numerose esercitazioni navali sia con attori regionali che extra-regionali.
Il secondo cardine, in particolare, prevede la realizza zione di infrastrutture di qualità, tra cui porti, in aree chiave della regione. Osservando la mappa di tali inizia tive, è chiaro che uno degli obiettivi principali è facilitare la realizzazione di quei corridoi e infrastrutture che si col leghino alle principali rotte marittime da cui il paese di pende. Anche, la realizzazione di corridoi via terra nel Sud-Est asiatico, quali ad esempio l’East-West Economic Corridor, o il Southern Economic Corridor, vuole diver sificare le rotte commerciali, riducendo la dipendenza dallo Stretto di Malacca, uno dei principali chokepoint della regione. Pertanto, la connettività regionale è pro mossa in funzione della diversificazione, accesso, utilizzo e sicurezza delle rotte che collegano gli hub emergenti dell’economia globale all’arcipelago giapponese. Anche il terzo cardine ha una componente marcatamente marit
tima. Difatti, l’obiettivo di promuovere la pace e stabilità regionale viene portato avanti attraverso programmi di Capacity-building e Maritime Domain Awareness rivolti alle guardie costiere dei paesi che si affacciano sulle acque del Mar Cinese Meridionale, e dell’Oceano In diano. Tra i paesi con cui Tokyo ha attuato progetti per la sicurezza marittima si annoverano, quindi, Myanmar, Malesia, Indonesia, Brunei, Cambogia, Vietnam, Thai landia, Filippine, Sri Lanka, Djibouti e Kenya (11).
L’importanza attribuita al teatro marittimo non è una novità, vista la conformazione geografica dell’arcipe lago giapponese. Già durante la guerra fredda, la sta bilità dei mari e oceani attorno al Giappone ricopriva un ruolo cruciale per l’allora emergente potenza eco nomica nipponica. È però la crescente assertività cinese (12) nel Mar Cinese Orientale e Meridionale a confer mare l’importanza della governance marittima quale centro di gravità della strategia di Tokyo (13). Alla luce di ciò, la FOIP di Abe può essere interpretata come una reazione duplice alle attività cinesi. Da un lato, questa vuole rispondere all’espansionismo cinese nelle acque dell’Indo-Pacifico sia a livello pratico che normativo. Come sottolineato in precedenza, la visione FOIP è di venuta la cornice di riferimento per l’approfondimento delle relazioni con gli stati del litorale asiatico così come per la cooperazione con varie potenze marittime regionali ed extraregionali. L’avvio della visione FOIP è stato, ad esempio, seguito dal rilancio del Quad e dall’estensione della collaborazione tra le quattro forze navali partecipanti a questo meccanismo (14). Tokyo si è inoltre avvicinata ai paesi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale sia bilateralmente, che attraverso l’iniziativa Vientiane, la quale è stata incorporata al l’interno della FOIP. Attraverso questa visione, inoltre, Tokyo ha incoraggiato la presenza navale europea nell’Indo-Pacifico quale risposta al comportamento as sertivo di Pechino. Sia la marina francese che quella inglese, e più recentemente quella tedesca e quella olandese, hanno fatto scalo al porto giapponese di Yo kosuka e hanno preso parte a esercitazioni navali con giunte a cui partecipano anche le forze di autodifesa di Tokyo. A livello normativo, la FOIP rappresenta, in vece, il mezzo con cui Tokyo si è fatta promotrice di
un modello di condotta marittima opposto a quello cinese, ovvero uno che sia fondato sul rispetto per le norme e regole del diritto internazionale. In altre parole, il Giappone si è proposto come fautore di un modello che, al contrario di quello attribuito alla Cina, rigetta la risoluzione delle dispute e controversie regionali attraverso misure coercitive e unilaterali (15).
Dall’altro, la FOIP vuole anche essere un’alternativa alla BRI (Belt and Road Initiative) cinese, in modo particolare, alla direttrice marittima di questa iniziativa. La BRI di Pechino si sviluppa, infatti, in due direzioni, una terrestre che attraversa l’Asia Centrale, e una marittima che collega via mare la Cina ai principali scali portuali dell’economia globale. In confronto, le iniziative per la connettività avanzate all’interno della FOIP si concentrano proprio in quei punti nevralgici che corrispondono allo spazio coperto dalla via della seta ma rittima. Anche in questo caso, le iniziative pratiche sono accompagnate dal ten tativo di promuovere gli standard normativi per la realizzazione di infrastrutture critiche che facilitino il trasporto di merci e risorse energetiche attraverso le importanti rotte dell’Indo-Pacifico. Questo obiettivo è dettato dalla volontà di minimizzare il rischio che Pechino controlli queste infrastrutture, le militarizzi e, in caso di una crisi, ne limiti l’accesso e utilizzo. Tale preoccupazione sca turisce dalle modalità con cui Pechino porta avanti i propri investimenti. Nel 2017, ad esempio, lo Sri Lanka, impossibilitato a ripagare il debito per la rea lizzazione del porto di Hambantota, raggiunse un accordo che prevedeva la cessione alla Cina dei diritti di utilizzo del porto per un periodo di 99 anni (16). Simili episodi, che i critici hanno definito una forma di Debt Trap Diplomacy cinese, avrebbero quindi spinto il Giappone a rispondere con un proprio brand contrapposto al modello cinese (17).
Alla luce di ciò, in molti vedono la FOIP come una strategia per contenere Pechino. Il governo di Tokyo si oppone, però, a questa interpretazione so stenendo che la propria visione non sia orientata a escludere alcun attore specifico. Tokyo menziona, a prova di ciò, la possibilità che il Giappone collabori con la Repubblica Popolare Cinese nella realizzazione di progetti infrastrutturali in paesi terzi. Tuttavia, questa collaborazione rimane condi zionale al rispetto da parte della Cina degli standard prefissati da Tokyo. Inoltre, le due potenze asiatiche continuano a competere per l’appalto di questi progetti infrastrutturali (18). Vari ricercatori ritengono, pertanto, che la visione FOIP presenti contemporaneamente caratteristiche sia cooperative che competitive (19). Se il fattore Cina rimane sicuramente un elemento centrale, è però importante riconoscere come questa visione si caratterizzi per un outlook sfaccettato. Dissuadere Pechino e bilanciarne il crescente peso e influenza nella regione sono sicuramente una componente importante della FOIP. Altrettanto importante è però la volontà di Tokyo di riproporsi come una potenza stabilizzatrice e garante della stabilità regionale.
La FOIP ambisce, infatti, anche a rilanciare l’immagine del paese nella co munità internazionale. Avanzando questa visione, il Giappone vuole prendere le distanze dalle storiche critiche secondo cui Tokyo sarebbe un attore passivo
e incapace di rispondere adeguatamente alle sfide che af fliggono la comunità internazionale. Pertanto, la FOIP sarebbe quindi la manifestazione pratica della linea poli tica avviata da Abe nel 2013 volta a trasformare il paese in un attore che offra un «contributo proattivo alla pace» in qualità di «alleato alla pari» degli Stati Uniti (20). Va inoltre aggiunto che, sebbene il governo di Tokyo pre senti la FOIP come una visione inclusiva e aperta a tutti, di base, questa rimane un brand marcatamente legato alla figura dell’ex primo ministro e, per estensione, al paese. Sin dal suo lancio, l’apparato diplomatico giapponese ha, quindi, speso un enorme capitale diplomatico per diffon dere questa visione e assicurarsi che rimanga l’etichetta standard per comprendere e analizzare l’ordine regionale e la stabilità nell’Indo-Pacifico. Emblematico a riguardo è il tentativo, ben riuscito, di convincere l’Amministra zione Biden a non abbandonare il termine FOIP durante la turbolenta transizione dalla presidenza Trump (21).
La visione FOIP è inoltre sopravvissuta a due cambi di governo e, a 6 anni dal suo lancio, continua a rimanere un elemento centrale che guida l’approccio strategico giapponese. Questa costituisce, difatti, il fondamento su cui l’attuale premier Kishida intende realizzare la propria
NOTE
(1) Si veda: https://bit.ly/3Nd0sGE.
«Visione per la Pace», ed è lo strumento attraverso cui portare avanti quella che il primo ministro ha definito una pragmatica «diplomazia realista per la nuova era» (22). Attraverso questi due slogan, Kishida vuole infatti esten dere il raggio d’azione della FOIP piuttosto che prenderne le distanze. Il governo giapponese ha, quindi, annunciato che presenterà un «Free and Open Indo-Pacific Plan for Peace» entro il prossimo anno in cui andrà a delineare nel dettaglio le aree in cui il paese si impegna a investire e collaborare per sostenere la stabilità e pace regionale. In linea con la visione attuale, la sicurezza nel teatro ma rittimo manterrà un ruolo di primo piano. Sicuramente la visione FOIP non è esente da critiche così come contrad dizioni. Secondo alcuni, questa è infatti una visione stra tegica che manca di chiarezza e risultati pratici (23). Nonostante queste critiche, la FOIP continuerà a infor mare le iniziative avanzate dal governo di Tokyo e a rap presentare il brand di riferimento non solo per bilanciare il crescente peso cinese nella regione, ma anche per ri lanciare l’influenza di Tokyo quale attore responsabile, leader e garante della sicurezza e stabilità regionale.
Alice Dell’Era(2) Si veda Dell’Era A. Il Giappone e il QUAD - Intervista al Prof. Giulio Pugliese (EUI-Oxford). (2021) Consultabile su: bit.ly/3p6FFeY.
(3) Ministry of Defense. Defense of Japan 2019. (2019) Consultabile su: https://bit.ly/3OsrXx9.
(4) Kantei, Annual Report 2019 «Japan’s Actions against Piracy off the Coast of Somalia and in the Gulf of Aden». (2020) Consultabile su: https://bit.ly/3Oz8735.
(5) Abe S., «Confluence of the Two Seas» Speech by H.E. Mr. Shinzo Abe, Prime Minister of Japan at the Parliament of the Republic of India. (2007) The World and Japan Database. Consultabile su: https://bit.ly/3y9C6JJ.
(6) Pugliese G., Il Dialogo di Sicurezza Quadrilaterale nell’Indo-Pacifico. Focus Euroatlantico XII, (2021), p.39.
(7) Abe S.,. Asia’s Democratic Security Diamond. Project Syndicate. (2012) Consultabile su: https://bit.ly/3OxwqhW.
(8) Abe S., The Bounty of the Open Seas: Five New Principles for Japanese Diplomacy. (2013) The world and Japan Database. Consultabile su: https://bit.ly/39HakuF.
(9) Abe S., The 13th IISS Asian Security Summit -The Shangri-La Dialogue - Keynote Address by Prime Minister Abe. (2014) The World and Japan Database. Con sultabile su: https://bit.ly/3xLVECD.
(10) Abe S., Message from Prime Minister Shinzo Abe on the Occasion of Marine Day. Kantei (2013) Consultabile su: https://bit.ly/3bkBS9u.
(11) Si vedano i documenti relativi alla visione FOIP consultabili su: https://bit.ly/3NbOxJt.
(12) A riguardo si rimanda a: Natalizia G. e Termine L., Tracing the modes of China’s revisionism in the Indo-Pacific. Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica, (2021) pp. 83-99. Per la timeline delle attività cinesi, si veda: https://on.cfr.org/3HEMo7X.
(13) Si rimanda a tal proposito https://bit.ly/3tR63f5.
(14) Nel 2021, ad esempio, un cacciatorpediniere delle forze di autodifesa giapponesi ha per la prima volta scortato una fregata australiana durante un’esercitazione navale bilaterale al largo dello Shikoku. Si veda: https://s.nikkei.com/3Nr0bQR.
(15) Si veda: Envall H. D. P., e Wilkins T. S., Japan and the new Indo-Pacific order: the rise of an entrepreneurial power. The Pacific Review, (2022) 1-32.
(16) Si veda: https://nyti.ms/3ObVQ4R.
(17) Nagy S., Sino-Japanese Reactive Diplomacy as Seen Through the Interplay of the Belt Road Initiative (BRI) and the Free and Open Indo-Pacific Vision (FOIP). China Report, Vol. 57 n.1, (2021) pp. 7-21.
(18) Si veda a riguardo: Insisa A., e Pugliese G., The Free and Open Indo-Pacific versus the Belt and Road: Spheres of Influence and Sino-Japanese Relations. The Pacific Review, vol. 35 n.3, (2022) pp. 1-29.
(19) A riguardo, si rimanda a: Koga K., Japan’s Indo-Pacific Question: Countering China or Shaping a New Regional Order?, International Affairs, Vol. 96 n.1, (2020) pp. 49-73.
(20) Abe S., Japan is Back: Policy Speech by Prime Minister of Japan Shinzo Abe at the Center for Strategic and International Studies. (2013) Ministry of Foreign Affairs. Consultabile su: https://bit.ly/3zU9FRa.
(21) L’Amministrazione Biden aveva infatti cercato di prendere le distanze dalle politiche e iniziative del predecessore Trump, inclusa la strategia FOIP, preferendo riferirsi all’Indo-Pacifico con l’espressione «sicuro e prospero» invece che «libero e aperto». Si veda a tal proposito: https://bit.ly/3Os50tK.
(22) Si veda: https://bit.ly/3QCfbxT.
(23) Si rimanda a: Rossiter A., The «Free and Open Indo-Pacific» Strategy and Japan’s Emerging Security Posture. Rising Powers Quarterly, Vol. 3 n. 2, (2018). Si veda anche: https://bit.ly/2w5I4Li.
M ARINE MILITARI
ITALIA
Rientro di Nave Duilio dopo intensa attività negli USA
Il caccia lanciamissili Caio Duilio (D 554) ha fatto rientro alla base navale di La Spezia lo scorso 22 luglio dopo una lunga attività iniziata con l’esercitazione Mare Aperto dello scorso maggio e che poi, si e ̀ pro tratta fino al rientro, portando l’unità ai comandi del C.V. Jacopo Rollo, a percorrere più di 8.000 mn in piena integrazione con il CSG (Carrier Task Group) 10 dell’US Navy incentrato sulla portaerei George H.W. Bush (CVN 77) classe «Nimitz», e a impegnarsi in un’attivita ̀ addestrativa intensissima, che ha visto il coinvolgimento di 14 unita ̀ di superficie, 3 sottomarini di cui uno brasiliano e uno colombiano, 72 velivoli nonché la 26th Marine Expeditionary Unit per oltre un mese, dando vita a scenari operativi con caratteristiche multi- dominio e multi-minaccia, come ha rimarcato il comandante della Prima divisione navale, contrammi raglio Lorenzano Di Renzo, al rientro dell’unità. Nave Duilio ha partecipato all’esercitazione COMPTUEX (Composite Training Unit Exercise), terza e ultima fase del processo di addestramento e integrazione delle navi che costituiscono il gruppo portaerei (Carrier Strike Group) americano. Un percorso addestrativo molto
complesso, finalizzato al conseguimento della piena in teroperabilità tra i vari assetti navali, nonché alla piena integrazione con il CSG George H.W. Bush. Missione compiuta dunque per nave Duilio, la prima unità della Marina Militare a condurre questo ciclo addestrativo negli Stati Uniti, arricchendo il patrimonio di espe rienze operative della Forza armata e aprendo nuove vie di collaborazione nel dominio marittimo. Tale atti vità rientra nel percorso che la Marina Militare sta por tando avanti e si inserisce nel più ampio contesto della difesa nazionale: contribuire a proiettare il Sistema Paese al centro dello scenario internazionale, rendendo l’Italia protagonista delle operazioni marittime a ele vata complessità.
Rientro a La Spezia per la fregata Rizzo
Al termine di un impegno operativo in Golfo di Gui nea della durata di 124 giorni, dopo aver percorso circa 18.000 miglia, contribuendo ad assicurare la liberta ̀ di na vigazione e la sicurezza delle linee di comunicazione ma rittima, ha fatto rientro alla base navale di La Spezia la fregata Luigi Rizzo (F 595). Tale attività si è specificata nell’intervento condotto dalla fregata Rizzo sotto il co mando del C.F. Andrea Cecchini, nella notte tra il 3 e il 4 aprile in soccorso al mercantile Arch. Gabriel, unita ̀ bat
Spezia lo scorso 22 luglio dopo una lunga attività iniziata con l’esercitazione integrandosi nell’ambito dell’attività addestrativa preparatoria e certificativa portaerei GEORGE H.W. BUSH (CVN 77) classe «Nimitz» (US Navy).tente bandiera delle Marshall Islands e vittima di attacco pirata a circa 280 mn a sud di Lagos, Nigeria. L’inter vento della fregata ha assicurato l’incolumità dell’equi paggio e la riconsegna del controllo della nave al proprio comandante. Nel periodo di presenza dell’unita ̀ italiana nell’area non sono stati registrati rapimenti di marittimi, evento purtroppo ricorrente negli anni passati e fonte di grande preoccupazione per la gente di mare. Grazie al l’intensa e proficua collaborazione con il cluster marit timo nazionale sono state svolte numerose esercitazioni di antipirateria con la collaborazione delle navi battenti bandiera nazionale, impiegando gli elicotteri organici di bordo per l’invio sui mercantili del boarding team della Brigata Marina San Marco (BMSM).
Taglio lamiera per la seconda unità LSS
Con una cerimonia tenutasi presso lo stabilimento Fincantieri di Castellammare di Stabia lo scorso 22 lu glio, è stata celebrato il taglio della prima lamiera della seconda unità da supporto logistico (LSS, Logistic Sup
port Ship) classe «Vulcano» che ha ricevuto il nome Atlante. Questo primo importante traguardo avviene sol tanto a sette mesi di distanza dalla firma dell’emenda mento al contratto LSS n°5 siglato il 20 dicembre scorso tra OCCAR e il Consorzio temporaneo di industrie com posto da Fincantieri e Leonardo. Questo particolare evento rappresenta l’entrata in produzione della seconda unità tipo LSS per la Marina Militare, a cui è previsto venga consegnata nel 2025. Il programma franco-ita liano LSS è guidato da OCCAR per conto della DGA, la direzione generale degli armamenti francese, e della sua controparte italiana, NAVARM. Il programma pre vede lo sviluppo e la produzione di 6 navi (2 per l’Italia e 4 per la Francia) e il supporto in servizio, a cui s’ag giunge una terza unità per la MM.
Compagnia Fucilieri del San Marco in Kosovo
Dopo quasi vent’anni dall’ultimo dispiegamento della Brigata San Marco nei Balcani, nell’ultima de cade di luglio, la 3a Compagnia An-Nasiriyah del 2°
La fregata LUIGI RIZZO (F 595), al termine di un impegno operativo in Golfo di Guinea della durata di 124 giorni, dopo aver percorso circa 18.000 miglia, contribuendo ad assicurare la liberta�di navigazione e la sicurezza delle linee di comunicazione marittima, ha fatto rientro alla base navale di La Spezia lo scorso 25 giugno. Marine militariMarine militari
Battaglione Assalto Venezia - 1° Reggimento San Marco è stata dispiegata in Kosovo prendendo parte al l’operazione KFOR-Joint Enterprise, alla quale parte cipano 28 paesi NATO e partner, con un impegno complessivo di circa 3.800 uomini e donne. I fucilieri di Marina impiegati, sotto la guida del Reggimento Pie monte Cavalleria (2°) dell’Esercito Italiano, in attivita ̀ di pattugliamento dell’area di operazione, congiunta mente alle altre forze alleate e dell’ordine locali, a di fesa e protezione del Villaggio Campo Italia presso la localita ̀ di Belo Polje, in attivita ̀ di difesa e protezione del monastero di Visoki Dečani e nel garantire una Quick Reaction Force nell’area di operazione.
Partecipazione agli SNMG2 e SNMCMG2
La LSS Vulcano (A 5335) e la fregata Martinengo (F 596) rispettivamente ai comandi del C.V. Alberto Maria Mancini e del C.F. Edoardo Ristori hanno fatto ritorno alle rispettive basi navali di stazionamento (La Spezia e Taranto) dopo aver preso parte al Secondo gruppo navale permanente della NATO (SNMG2) per tutto il mese di luglio. Le due unità hanno partecipato alle attività operative e addestrative con il dispositivo NATO guidato — dal 1 luglio — dal Rear Admiral Mi chael Scott Sciretta (US Navy) e composto da assetti navali forniti dalle nazioni facenti parte dell’Alleanza, chiamate a dare il loro contributo a salvaguardia della sicurezza nel Mediterraneo. Durante il periodo di as segnazione, oltre alle significative interazioni con il Carrier Strike Group 8 guidato dalla portaerei Harry S. Truman (CVN 75) sono state condotte anche numerose interazioni con unità navali e assetti aerei esterni al di spositivo NATO, in particolare con le Marine greca e turca. Il cacciamine Alghero (5556) si e ̀ invece aggre gato all’inizio del mese di luglio al Secondo gruppo na vale permanente di Contromisure mine della NATO (SNMCMG2), che fornisce all’Alleanza una pronta ca pacita ̀ operativa, indispensabile per assicurare il libero accesso ai porti e la sicurezza della navigazione nel Mediterraneo dalla possibile presenza di mine.
Conclusa la campagna «High North 22»
Dopo oltre 80 giorni di attività scientifica in Oceano Artico e 12.400 mn percorse, nave Alliance (A 5345)
ha fatto rientro a La Spezia portando a termine due im portanti campagne alle alte altitudini: la sesta campa gna di ricerca del programma «High North» e la campagna «NREP 22». Con un equipaggio di 47 ele menti al comando del capitano di fregata Pasquale Per rina, l’unità polivalente di ricerca idro-oceanografica che opera a favore della NATO e della MM, alle dipen denze del Comando delle Forze di contromisure mine della Marina Militare, una volta giunta nel porto di Tromsø, ha visto l’alternarsi di due team scientifici, quello composto da personale del CMRE (Centre for Maritime Research and Experimentation) della NATO, che ha portato avanti il Sea Trial NREP22 (Nordic Re
Marine militari
cognized Environmental Picture 22), e quello dell’Isti tuto Idrografico della Marina Militare che invece ha continuato l’annuale campagna «High North 22». Du rante le attività sono stati impiegati sensori di ultima generazione, in un’area di operazioni a latitudini ele vate comprese tra lo Stretto di Fram, Mar di Groenlan dia, le Isole Svalbard e lo Yermak Plateau per definire la mappatura di aree inesplorate, le caratteristiche e le dinamiche della colonna d’acqua e del fondale in rela
zione ai processi sedimentari, alla circolazione e alla distribuzione dei ghiacci. Punto di forza della campa gna «High North 2022» e ̀ stata la presenza di otto gio vani aspiranti idrografi, imbarcati in tirocinio formativo, tra ufficiali e sottufficiali della Marina Mi litare, personale di marine estere e studenti dell’Uni versita ̀ di Genova che, a chiusura del corso del corso specialistico-accademico riconosciuto internazional mente di FIG/IHO/ICA Hydrographic Surveyor hanno potuto effettuare il loro tirocinio pratico a bordo, arric chendosi di un bagaglio professionale e culturale senza paragoni e portando a termine la loro prima campagna idro-oceanografica.
Campagna idrografica in Libano per nave Magnaghi
Nel corso del mese di luglio, nave Magnaghi (A 5303) e il suo equipaggio al comando del C.F. Alessan dro Peveri, hanno collaborato alla raccolta di dati per la realizzazione della carta nautica del porto di Tripoli in supporto alle istituzioni libanesi e per la sicurezza della navigazione costiera e dei traffici commerciali, nel più ampio contesto del piano di cooperazione Ita lia/Libano. Durante tutta l’attività, un sottufficiale della marina libanese in formazione presso l’Istituto Idrogra fico della Marina di Genova, ha operato a bordo inte grato nell’equipaggio per il tirocinio pratico necessario a conseguire la qualifica di idrografic surveyor.
ARABIA SAUDITA Consegnata la seconda corvetta classe «Al Jubail»
Il gruppo Navantia ha consegnato alla Marina Sau dita la seconda delle cinque corvette classe «Al Jubail» lo scorso 26 luglio presso il sito cantieristico di Navan tia a San Ferdinando (Cadice). Si tratta dell’unità Al Diriyah (830), la cui costruzione è stata lanciata nel maggio 2019 a distanza di tre anni dalla firma del con tratto nonostante la pandemia e le problematiche di ap provvigionamento materiali. Alla cerimonia ha partecipato fra le diverse personalità militari e civili, il comandante in capo della Marina Saudita, l’ammira glio Fahad Bin Abdullah Al-Ghofaily, il quale ha ri marcato come il programma «Alsarawat» legato alla
Dopo oltre 80 giorni di attività scientifica in Oceano Artico e 12.400 mn percorse, nave ALLIANCE (A 5345) ha fatto rientro alla fine di luglio a La Spezia, portando a termine due importanti campagne alle alte altitudini: la sesta cam pagna di ricerca del programma «High North» e la campagna «NREP 22».Marine militari
costruzione e messa in servizio delle cinque corvette, relativo supporto e trasferimento di tecnologie è un im portante contributo al raggiungimento dei traguardi fis sati dalla Vision 2030 del governo Saudita, incrementando le capacità navale ma al tempo stesso le capacità dell’industria nazionale. A distanza di 18 mesi dall’esecutività del contratto, nel luglio 2020 è stata varata la prima unità seguita dalle altre quattro a un intervallo di quattro mesi una dall’altra. Nel frat tempo circa 500 unità del personale saudita sono state addestrate in Spagna presso il Centro addestrativo di Navantia. La corvetta Al Diriyah è stata sottoposta a un’intensa attività di prove in mare a partire dallo scorso gennaio che secondo le immagini divulgate dallo stesso Ministero della Difesa saudita avrebbero compreso almeno un lancio di missile superficie-aria MBDA VL MICA.
tre catapulte tipo EMALS (Electromagnetic Aircraft Launch System), due ascensori principali ed è in grado d’impiegare il più recente velivolo imbarcato da com battimento cinese Shenyang «J-35» in fase di sviluppo nonché velivoli ad ala fissa AEW (Airborne Early War ning). Lo sviluppo del nuovo progetto di portaerei ci nese che ha dimensioni e dislocamento molto vicini a quello delle portaerei della US Navy è da inserirsi nel piano di potenziamento della capacità della PLAN e delle Forze armate cinesi che consentirà a queste ultime di estendere la capacità di controllo e strike navale sulle acque dell’Oceano Pacifico e Indiano.
COREA DEL SUD
Creato il Comando Aeronavale
La Marina della Corea del Sud ha istituito lo scorso 15 luglio il Naval Air Command, trasferendo al mede simo i reparti e le piattaforme aeree ed elicotteristiche in servizio. Destinato a potenziare le capacità antisom della Forza armata, il nuovo Comando riceverà a par tire dal 2023 i sei nuovi velivoli ASuW/ASW Boeing «P-8A Poseidon» destinati ad affiancare e in futuro rimpiazzare i velivoli «P-3» in servizio mentre a partire dal 2025 è previsto l’arrivo dei 12 «MH-60R Sea hawk» destinati a essere acquisiti a breve. Nel frat tempo al nuovo Comando oggi basato sul 6th Air Wing sono stati trasferiti i velivoli ASuW/ASW «P-3C» e «CK», i velivoli da trasporto «F-406 Caravan II», gli elicotteri «AW 159 Wildcat», «Super Lynx/Lynx», «UH-60P» e «UH-1H».
CINA
Varata la portaerei classe «Fujian»
Con una grande cerimonia tenutasi presso i cantieri Jiangnan del gruppo cantieristico China Shipbuilding Industry Corporation di Shangai, la Marina della Re pubblica Popolare Cinese ha varato la terza portaerei battezzata Fujian dal nome della provincia più vicina a Taiwan. Il progetto «Tipo 003» rappresenta un signi ficativo salto tecnologico e capacitivo da parte della PLAN (People’s Liberation Army Navy) in quanto in aggiunta a un dislocamento di circa 80.000-90.000 ton nellate, una lunghezza di circa 320 metri e un sistema propulsivo convenzionale, l’unità è equipaggiata con
GIAPPONE
Nuovi OPV per la JMSDF
Secondo quanto annunciato dal Ministero della Di fesa giapponese, quest’ultimo ha assegnato lo scorso 30 giugno un contratto per la costruzione della nuova generazione di OPV ai cantieri Japan Marine United. Questi ultimi verranno impiegati per attività di sorve glianza e monitoraggio del naviglio militare straniero nel Mare del Giappone, Mar Cinese Orientale e Oceano Pacifico in tempo di pace, attività oggi svolta dalle unità di prima linea, oltre a portare a termine altre mis sioni fra cui il supporto alla popolazione in caso di ca lamità. Secondo quanto comunicato, ciascuna
Il gruppo Navantia ha consegnato il 26 luglio alla Marina Saudita la corvetta AL DIRIYAH (830), seconda delle cinque unità classe «Al Jubail» presso il sito cantieristico di Navantia a San Ferdinando (Cadice) (Ministero Difesa saudita).Marine militari
piattaforma avrà un dislocamento di circa 1.920 ton nellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 95 e 12 metri, un sistema propulsivo in configurazione CODLAD (Combined Diesel-eLectric And Diesel) in grado di assicurare una velocità massima superiore ai 20 nodi. L’armamento sarà incentrato su di un cannone da 30 mm e disporranno di un ponte di volo poppiero con hangar, un equipaggio ridotto a circa 30 elementi grazie a un’elevata automazione nonché spazi e attrez zature per l’imbarco di carichi containerizzati per atti vità HADR (Humanitarian And Disaster Relief).
Varo del secondo OPV classe «Shunkou»
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Shim soneki del gruppo MHI (Mitsubishi Heavy Industries) è stato varato il secondo degli OPV classe «Shunkou» per la Guardia Costiera giapponese. Si tratta dell’unità Asa nagi (PLH 43) che al pari del capoclasse ha un disloca mento di circa 6.700 tonnellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 140 e 16,5 metri, un sistema propulsivo con quattro motori diesel IHI-SEMT Pielstick «16 PC2.4 V 400» su due assi, in grado di assicurare una velocità massima di 25 nodi, ponte di volo poppiero e hangar per accogliere elicotteri della classe «AS332/EC225» (due in hangar), nonché armamento basato su di un cannone «Bo fors» da 40 mm e due da 20 mm.
GRAN BRETAGNA
Droni a bordo della portaerei Prince of Wales (R 09)
Il gruppo QinetiQ ha ricevuto un contratto dalla Royal Navy per la sperimentazione dei droni bersaglio «Banshee Jet80+» quali velivoli senza pilota nell’am bito delle operazioni dei Carrier Strike Group. Tale spe rimentazione, strettamente collegata con il programma «Vampire Phase 1» della Royal Navy, vedrà QinetiQ Target Systems utilizzare i sistemi «Banshee» in mis sioni addestrative e ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), emulando nel primo caso missili da crociera e velivoli da combattimento per stimolare e te stare la risposta del sistema di combattimento delle unità navali oltre a essere impiegati come decoy. Nel secondo caso, i Banshee verranno impiegati come piat taforme per compiti ISR di rapida identificazione ottica di tracce radar, il tutto gestito dal sistema di comando
e controllo MAPLE. Tale sperimentazione verrà rea lizzata da bordo della portaerei Prince of Wales nel corso dell’imminente dispiegamento nelle acque anti stante la costa orientale degli Stati Uniti.
Primi test del sistema laser «Dragonfire»
Il programma Dragonfire destinato allo sviluppo e dimostrazione delle capacità di un sistema d’arma a energia diretta laser (LDEW, Laser Directed Energy Weapon) lanciato dal Ministero della Difesa britan nico e gestito da un team industriale guidato dal gruppo MBDA, ha avviato con successo una serie di prove per dimostrare la precisione e la potenza della nuova arma laser. Secondo quanto comunicato da MBDA, il consorzio Dragonfire che rappresenta una collaborazione fra il Ministero della Difesa UK con il DSTL (Defence Science and Technology Labora tory) e un team industriale comprendente MBDA, Leonardo e QinetiQ, ha recentemente condotto il primo test a bassa potenza del sistema, dimostrando che il medesimo può tracciare con successo bersagli aerei e sul mare con una precisione eccezionalmente elevata. La fase successiva vedrà condurre un test laser statico ad alta potenza, mantenendo l’elevata precisione del sistema di puntamento. Il passo ancora successivo sarà invece rivolto a combinare i risultati di queste due prove, accoppiando la precisione di tracciamento recentemente testata e il laser ad alta potenza, coinvolgendo bersagli in scenari operativa mente rappresentativi.
Il gruppo QinetiQ ha ricevuto un contratto dalla Royal Navy per la sperimentazione dei droni bersaglio «Banshee Jet80+» quali velivoli senza pi lota nell’ambito delle operazioni dei Carrier Strike Group (UK MoD Crown Copyright).Marine militari
Via libera alla terza fase programma «Proteus»
Il Ministero della Difesa britannico, attraverso i suoi dipartimenti responsabili dei programmi di approvvi gionamento e sviluppo delle capacita ̀ future, ha asse gnato a Leonardo un contratto quadriennale del valore di 71 milioni di euro (60 milioni di sterline) relativo alla terza fase del programma per lo sviluppo di un di mostratore tecnologico ad ala rotante a pilotaggio re moto (RWUAS - Rotary Wing Uncrewed Air System). Il programma prevede lo sviluppo di un prototipo avan zato modulare con un peso fino a 2-3 tonnellate, desti nato ad attività dimostrative in volo e denominato «Proteus» negli ambienti della Difesa britannica. Ca ratterizzato da un’elevata capacita ̀ di carico e ampio volume, unitamente alla capacita ̀ di operare in condi zioni ambientali difficili, il prototipo duale RWUAS potrà effettuare diversi tipi di missione nel campo della difesa e degli impieghi di pubblica utilità, fra cui intel ligence, sorveglianza e ricognizione, missioni navali, supporto logistico. Si tratta di un elemento centrale nella «vision» delle future capacita ̀ dell’Aviazione na vale britannica nel contrasto alle minacce sottomarine.
INDIA
Consegnata la portaerei Vikrant (R 11)
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri CSL (Cochin ShipYard Limited) di Cochin lo scorso 28 lu glio, è stata consegnata alla Marina indiana la portaerei di produzione nazionale (IAC, Indigenous Aircraft Car rier) Vikrant (R 11). Coincidente in termini temporali con il 75° anniversario dell’indipendenza della nazione e battezzata con il nome della prima portaerei che ha svolto un ruolo principale nel conflitto del 1971, con la consegna della portaerei Vikrant, la cui entrata in ser vizio è prevista a breve, l’India entra nel ristretto club della nazioni in grado di costruire una portaerei e co stituisce un’importante traguardo nell’ambito dell’ini ziativa del «Made in India» con oltre il 76% dei sistemi imbarcati nonché gli stessi materiali costruttivi, fra cui il ferro dello scafo, prodotti localmente. Con un dislo camento a pieno carico vicino alle 45.000 tonnellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 262 e 62 metri, ben 14 ponti di cui 5 nelle sovrastrutture per un’altezza totale di 59 metri, l’unità dispone di un si stema propulsivo incentrato su quattro turbine a gas General Electric «LM2500+», per il cui progetto è stato interessato il gruppo Fincantieri, in grado di assicurare una velocità di crociera e massima rispettivamente di 18 e 28 nodi e un’autonomia di 7.500 mn. Progettata internamente dalla Marina indiana, l’unità dispone di un ponte di volo e sistema per il lancio e recupero dei velivoli ad ala fissa tipo STOBAR (Short Take-Off but Arrested Landing) ed è in grado di accogliere un gruppo di volo con 30 macchine fra cui velivoli «MiG-
Il Ministero della Difesa britannico ha assegnato a Leonardo un contratto quadriennale del valore di 71 milioni di euro relativo alla terza fase del programma per lo sviluppo di un dimostratore tecnologico ad ala rotante a pilotaggio remoto (RWUAS - Rotary Wing Uncrewed Air System). Qui ri preso il dimostratore «SW-4 Solo» di Leonardo utilizzato nelle precedenti fasi (Leonardo). Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri CSL (Cochin ShipYard Limited) di Cochin lo scorso 28 luglio, è stata consegnata alla Marina indiana la portaerei di produzione nazionale (IAC, Indigenous Aircraft Carrier) VIKRANT (R 11) (Ministero Difesa indiano).Marine militari
29K», elicotteri «Kamov Ka-31» per la scoperta aerea lontana, multiruolo Sikorsky «SH-60R» in aggiunta a velivoli di produzione nazionale, in particolare l’elicot tero ALH (Advanced Light Helicopters) e il caccia im barcato LCS (Light Combat Aircraft). Caratterizzata a un alto livello di automazione in termini propulsivi, conduzione e sopravvivenza, l’unità dispone di un equipaggio di circa 1700 elementi con alloggi per uffi ciali donne.
INTERNAZIONALE
Accordo italo-francese per supporto cannoni da 76/62 mm
Nell’ambito della cooperazione bilaterale tra Italia e Francia e dell’incontro avvenuto lo scorso 7 luglio, presso la sede della Direction Centrale du Service de Soutien de la Flotte francese, fra il Comandante Logi stico della Marina ammiraglio Giuseppe Abbamonte e l’omologo della Marine Nationale Française IGAHC Guillaume de Garidel-Thoron, questi ultimi in qualita ̀ di delegati dei rispettivi Ministeri della Difesa, e l’ing. Marco De Fazio, Managing Director di Leonardo Elec tronics Division - Defence Systems Business Unit, hanno sottoscritto un protocollo di intesa trilaterale tra Marina Militare, Marine Nationale e la societa ̀ Leo nardo. In base a quest’ultimo, le parti si impegnano a proseguire nella fruttuosa cooperazione iniziata nel 2015 per la manutenzione presso gli enti tecnici della Marina alla Spezia (MARINARSEN e CSSN) dei si
stemi «Super Rapido» da 76/62 mm installati sulle unita ̀ francesi della classe «Forbin», «Aquitaine» e sulle prossime FDI (Frégates de défense et d’interven tion) classe «Amiral Ronarc’h».
Finanziamento europeo per il programma EPC
La Commissione europea ha annunciato lo scorso 20 luglio i programmi nel settore della difesa e sicu rezza che sono stati selezioni nell’ambito dell’EDF (European Defence Fund) 2021. Fra questi l’European Patrol Corvette (EPC) coordinato dalla società Naviris Italy, joint-venture fra Fincantieri e Naval Group e comprendente questi stessi gruppi in aggiunta a Navan tia e società medio-piccole greche, norvegesi e danesi. Il programma della durata di 24 mesi e destinato a un finanziamento comunitario massimo di 50 milioni di euro vedrà la realizzazione di studi preliminari e più evoluti per la realizzazione di unità di seconda linea, in particolare corvette, caratterizzate da avanzate tec nologie e capacità modulari per soddisfare i requisiti dei paesi (Italia, Francia, Grecia e Portogallo quale os servatore) che prendono parte al programma PESCO.
ISRAELE
Droni VTOL per la Marina israeliana
La società israeliana Steadicopter è stata selezionata dalla Marina israeliana per la fornitura di velivoli senza pilota a decollo e atterraggio verticale (VTOL, Vertical Take-Off and Landing) «Black Eagle 50E». Con un peso massimo di 50 kg di cui 30 dedicati al carico utile e bat terie, i velivoli «Black Eagle 50E» si caratterizzano per
La Marina Militare, Marine Nationale e Leonardo hanno siglato un accordo per proseguire nella fruttuosa cooperazione per la manutenzione presso gli enti tecnici della MM dei sistemi «Super Rapido» da 76/62 mm installati sulle unita�francesi della classe «Forbin», «Aquitaine» qui ripresa, e sulle prossime FDI (Fre�gates de de�fense et d'intervention) classe «Amiral Ro narc’h» (Naval Group). La società israeliana Steadicopter è stata selezionata dalla Marina israe liana per la fornitura di velivoli senza pilota a decollo e atterraggio verticale (VTOL, Vertical Take-Off and Landing) «Black Eagle 50E» (Steadicopter).Marine militari
una propulsione elettrica in grado di assicurare un’auto nomia di circa due ore. Il carico utile per missioni di sor veglianza e designazione bersagli dovrebbe essere basato su di un sensore elettro-ottico diurno/notturno.
QATAR
Consegnato secondo OPV classe «Musherib»
Alla presenza del vice Primo ministro e ministro della Difesa del Qatar H.E. Khalid bin Mohamed Al Attiyah e del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, si e ̀ svolta lo scorso 7 luglio presso lo stabilimento di Muggiano (La Spezia) la cerimonia di consegna del l’OPV Sheraouh (Q 62), seconda unita ̀ della classe commissionata a Fincantieri dal Ministero della Difesa del Qatar nell’ambito del programma di acquisizione navale del valore complessivo di quasi quattro miliardi di euro che comprende oltre ai due OPV, le quattro cor vette classe «Al Zubarah», un’unità LPD e un ampio pacchetto di supporto e addestramento.
reparto, il braccio operativo del GUGI, il Direttorato Principale per le ricerche su alti fondali, il quale di pende direttamente dal Ministero della Difesa russo. Una versione modificata del sottomarino a propul sione nucleare «Oscar II» («Progetto 949A»), la spe ciale piattaforma che nel corso del suo sviluppo e costruzione ha subito un consistente allungamento fino alla lunghezza di 184 metri (e circa 18 metri di larghezza), superiore a quella dei sottomarini SSBN classe «Typhoon» (Progetto 941) più corti di circa 11 metri, presenta un sistema propulsivo nucleare e di spone di un sistema di aggancio e trasporto sotto la pancia per il veicolo subacqueo autonomo a propul sione nucleare «Poseidon» («Kanyon» per la NATO).
Precedentemente noto come progetto «Status-6», il «Poseidon» è stato sviluppato dal bureau Rubin ed è capace di trasportare carichi sia convenzionali che nu cleari. Sebbene il Belgorod venga definito dal Mini stero della Difesa russo come piattaforma per ricerche, spedizioni scientifiche e soccorso in aree re moto del Globo, l’unità insieme al «Poseidon» è stata definita dal presidente Putin come una delle armi a di sposizione dell’arsenale nucleare russo.
STATI UNITI
Prima dispiegamento per unità LCS nel Golfo
Con l’arrivo dopo un viaggio di circa 10.000 mn nel Bahrein il 25 giugno dell’unità Sioux City (LCS 11) classe «Freedom» è iniziato il primo dispiegamento operativo in Medio Oriente di un’unità tipo LCS (Lit toral Combat Ship).
RUSSIA
Consegnato il sottomarino Belgorod (K 329)
Con una cerimonia tenutasi l’8 luglio scorso presso i cantieri Sevmash di Severodvinsk, alla presenza del C.S.M. della Marina della Federazione russa, ammi raglio Nikolai Yevmenov, è stato consegnato il sotto marino Belgorod (K 329) «Progetto 09852». Impostato nel luglio 1992 e varato nell’aprile 2019, l’unità avrebbe effettuato le prime prove a mare nella prima metà del 2022 e sarebbe stata assegnata alla 29° Divisione Sottomarini che rappresenta uno speciale
Alla presenza del vice Primo ministro e ministro della Difesa del Qatar H.E. Khalid bin Mohamed Al Attiyah e del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, si e�svolta lo scorso 7 luglio presso lo stabilimento di Muggiano (La Spe zia) la cerimonia di consegna dell’OPV SHERAOUH (Q 62), seconda e ultima unita�della classe (Fincantieri). Con l’arrivo dopo un viaggio di circa 10.000 mn nel Bahrein il 25 giugno dell’unità SIOUX CITY (LCS 11) classe «Freedom», è iniziato il primo dispiegamento operativo in Medio Oriente di un’unità tipo LCS (Littoral Com bat Ship) (US Navy).Entra in servizio l’unità Fort Lauderdale (LPD 28)
Con una cerimonia tenutasi lo scorso 30 luglio presso i cantieri di Huntington Ingalls alla presenza del l’Assistant Commandant dell’USMC, generale Eric Smith, è stata immessa in servizio l’unità anfibia tipo LPD (Landing Platform Dock) Fort Lauderdale (LPD 28). Si tratta della dodicesima unità «Flight I» della classe «Sant’Antonio» che incorpora una serie di mi glioramenti produttivi e modifiche sviluppate per il programma «LX(R)» destinato allo sviluppo e produ zione delle nuove unità destinate a rimpiazzare le navi tipo LSD (Landing Ship Dock) delle classi «Whidbey
Assegnato contratto per programma DDG(X)
I gruppi General Dynamics e Huntington Ingalls In dustries hanno rispettivamente annunciato lo scorso 22 luglio che le proprie divisioni Bath Iron Works e Ingalls Shipbuilding hanno ricevuto un contratto di valore non precisato dalla US Navy per lo sviluppo ingegneristico e la progettazione della prossima generazione di caccia lanciamissili nell’ambito del programma DDG(X).
Esercitata l’opzione per la terza unità classe «Constellation»
L’US Naval Sea Systems Command ha esercitato
Marine militari Con una cerimonia tenutasi lo scorso 30 luglio presso i cantieri di Huntington Ingalls alla presenza dell’Assistant Commandant dell’USMC, generale Eric Smith, è stata immessa in servizio l’unità anfibia tipo LPD (Landing Platform Dock) FORT LAUDERDALE (LPD 28) (US Navy).Marine militari
segnando il 16 giugno a Fincantieri Marinette Marine un contratto del valore di 536 milioni di dollari per la costruzione della fregata Chesapeake (FFG 64). Nel frattempo il programma ha superato con successo il tra guardo della CDR (Critical Design Review) per l’unità capoclasse che si accinge al lancio della fase costruttiva.
Inizio costruzione capoclasse e nuove navi T-ATS
Presso i cantieri Austal USA si è tenuta lo scorso 11 luglio la cerimonia del taglio lamiera per la prima unità della classe «Navajo». Si tratta di unità da rimorchio e salvataggio tipo T-ATS di nuova generazione di cui sono in corso di acquisizione quattro unità di cui la se conda coppia è stata ordinata ai cantieri Austal USA nello stesso mese di luglio.
Accettazione di nuove unità
Nell’ultima decade del mese di luglio, la US Navy ha preso in carico due unità navali di diverso tipo. Si tratta della sedicesima Littoral Combat Ship (LCS) costruita dai cantieri Austal USA che riceverà il nome Santa Bar bara (LCS 32), consegnata lo scorso 21 luglio. A que st’ultima ha fatto seguito la rifornitrice di squadra capoclasse John Lewis (T-AO 205) il 26 luglio che offre alla Marina americana un significativo salto di qualità e capacità nel settore del supporto logistico della Flotta. Si tratta della prima di 20 unità di cui risultano in diverse fasi costruttive e di allestimento altre tre navi a cui s’ag giungono ulteriori due già contrattualizzate. Queste due unità sono state precedute il 9 giugno dalla consegna da
parte del gruppo Textron Systems del nuovo SSC (Ship to Shore Connector) LCAC (Landing Craft, Air Cu shion) 104 destinato a essere impiegato principalmente dalle unità anfibie, di cui risultano in produzione le ge melle LCAC 105 a LCAC 116.
Nuove munizioni da 30 mm
La US Navy ha assegnato un contratto alla control lata americana del gruppo tedesco Rheinmetall per lo sviluppo del nuovo munizionamento Airbust da 30 mm x 173 «Mk 340 MOD 0» KEET (Kinetic Energy Elec tronically Timed) destinato a incrementare significati vamente le capacità degli attuali e futuri sistemi d’arma contro bersagli navali e aerei.
SVEZIA
Impostazione del sottomarino AIP capoclasse «Blekinge»
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Saab Kockums a Karlskrona lo scorso 30 giugno, è stato im postato il primo dei due battelli AIP classe «Blekinge». Esattamente a cinque anni dal lancio del programma con l’assegnazione del relativo contratto, i cantieri Saab Kockums hanno congiunto due delle cinque se zioni in cui è realizzato lo scafo dei battelli di nuova generazione caratterizzati da avanzate soluzioni e tec nologie nel settore subacqueo. Il raggiungimento di questo importante traguardo nella costruzione del primo battello dimostra che l’industria navale svedese mantiene la capacità di costruire unità subacquee, ca
Lo scorso 26 luglio i cantieri NASSCO hanno consegnato alla US Navy la rifornitrice di squadra capoclasse JOHN LEWIS (T-AO 205) che offre un significativo salto di qualità e capacità nel settore del supporto logistico della Flotta alla Forza armata (US Navy).pacità riconosciuta a poche nazioni al mondo. L’unità capoclasse è destinata alla consegna nel 2027 seguita dalla seconda l’anno successivo.
TURCHIA
Lancio della nuova versione del sistema «Atamca»
Il gruppo Roketsan specializzato nello sviluppo e pro duzione di sistemi missilistici ha completo con successo lo scorso inizio luglio il lancio di una nuova versione del sistema antinave/attacco terrestre «Atmaca». Si tratta della versione per impiego da batteria missilistica co
stiera e caratterizzato da un nuovo sistema di guida con sensore all’immagine termica (IIR, Imaging Infrared).
La Marina turca e gli UAV
Con la consegna da parte del gruppo TAI (Turkish Ae rospace Industries) del terzo velivolo senza pilota a lunga autonomia e impiego a medie altitudini tipo «Aksungur» sale a 21 il numero degli UAV in servizio di cui dieci Baykar Technologies «Bayraktar TB2», quattro «AnkaS» e quattro «Anka-B» forniti dal gruppo TAI in aggiunta ai tre «Aksungur». Questi ultimi, caratterizzati da un’apertura alare e una lunghezza rispettivamente di 24 e 11,6 metri e un peso massimo al decollo di 3300 kg, sono equipaggiati con due motori diesel TEI «PD-170» da 170 hp ciascuno in grado di assicurare una velocità di crociera di 250 km/h un’altitudine operativa di oltre 12.000 m nonché un’autonomia di volo con un carico di 750 kg pari a 12 ore o senza di oltre 50 ore di volo. L’UAV dispone di tre punti d’attacco per sezione alare rispettivamente da 500, 300 e 150 kg. La piattaforma è dotata di un sistema EO/IR di sorveglianza e designa zione bersagli a favore di bombe a guida laser, missili «L-UMTAS» anch’essi a guida laser, munizioni smart «MAM-L» e «MAM-C» oltre a razzi guidati «Cirit» e SDB (Small Diamter Bomb).
Luca Peruzzi Marine militari Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Saab Kockums a Karlskrona lo scorso 30 giugno, è stato impostato il primo dei due battelli AIP classe «Ble kinge» (Ministero Difesa Svedese). Il gruppo Roketsan specializzato nello sviluppo e produzione di sistemi missilistici ha completo con successo lo scorso inizio luglio il lancio di una nuova versione del sistema antinave/attacco terrestre «Atmaca» (Roketsan).C HE COSA SCRIVONO GLI ALTRI
«Timeless Battle, Evolving Interpretations»
Non ci volle molto perché Midway iniziasse a essere riconosciuta come molto più di una semplice vittoria. Fu una «battaglia decisiva» e un «punto di svolta» in tutta la guerra. Non c’è da stupirsi che nel 1948, l’ana lisi del Naval War College degli Stati Uniti (nota come «Bates Report») si riferisse già a Midway come «una delle più importanti battaglie navali della storia». Le grandi linee di Mid way sono state ben comprese per ge nerazioni. I giapponesi, intenti a portare gli americani al tavolo delle trattative e porre fine alla guerra alle loro condizioni, stavano cercando di sferrare un colpo finale contro la Ma rina degli Stati Uniti. Con le coraz zate americane già affondate o paralizzate a seguito del suo attacco a Pearl Harbor, l’ammiraglio Iso roku Yamamoto (comandante in capo della flotta combinata giappo nese) sperava che il modo più si curo per infliggere un nuovo colpo decisivo al morale americano fosse quello di distruggere le restanti portaerei della US Navy. E quale modo migliore per portare quelle navi in battaglia se non organizzare una grande operazione aeronavale vicino alla loro base principale a Pearl Har bor? Sfortunatamente per i piani giapponesi, i code breaker statunitensi avevano già compromesso il principale codice operativo navale del Giappone: JN25b. Il 14 maggio, appena tre settimane prima che Ya mamoto aprisse la sua nuova offensiva, gli americani iniziarono a venire a conoscenza di un’imminente ope razione mirata su Midway. Ciò diede a Nimitz poco tempo per mettere insieme un piano di battaglia e raci molare le forze necessarie. Stava correndo rischi spa ventosi. Se infatti avesse perso le sue rimanenti portaerei ora, a soli sei mesi dall’inizio della guerra, non sarebbero state sostituite fino alla metà del 1944! Nimitz, però, era determinato a dare battaglia. Riparata
la p. a. Yorktown dai danni che aveva subito nella bat taglia del Mar dei Coralli del mese precedente, con le altre due portaerei disponibili — l’Enterprise (CV-6), e la Hornet (CV-8) — si dispose in una posizione per fetta, a circa 320 miglia nautiche a NE di Midway per tendere un’imboscata al gruppo portaerei giapponese (Kidō Butai) se avesse sferrato l’attacco, come previsto, da NO dell’atollo. Allo stesso tempo, Nimitz si affrettò a disporre una dozzina di sottomarini in posizione nelle vicinanze, rinforzare sostanzialmente la potenza aerea e terrestre di Midway, ordinando alla sua pur considerevole guar nigione dei Marines di scavare e prepararsi per la battaglia. Nel giro di poco tempo, il palcosce nico era pronto. La mattina del 4 giugno, quasi esattamente dove e quando i codebreaker statunitensi avevano previsto, la potente forza di quattro portaerei del vice ammi raglio Chūichi Nagumo — Akagi, Kaga, Hiryū e Sōryū — si materia lizzò lanciando un attacco all’alba contro l’atollo. La battaglia era ini ziata. Ma le fasi iniziali del mattino sembravano tutti andare per la strada del Giappone. Midway fu pesante mente bombardata, la sua forza di caccia decimata. Nu merosi attacchi americani contro il Kidō Butai furono sconfitti con pesanti perdite e nessun danno inflitto ai giapponesi. Ma subito dopo, con una serie di eventi quasi inimmaginabilmente fortunati, la Marina degli Stati Uniti riuscì a sorprendere il Kidō Butai con attac chi da parte di due gruppi di aerei dalla Yorktown e dall’Enterprise. Nel giro di soli sette minuti, Akagi, Kaga e Sōryū rimasero paralizzati, in fiamme e alla fine condannati. L’Hiryū avrebbe fatto la stessa fine nel tardo pomeriggio. Quando la battaglia si concluse fi nalmente il 7 giugno, i risultati erano assolutamente sbilanciati. Il Giappone aveva perso quattro portaerei, un incrociatore pesante, 248 aerei e 3.057marinai, mentre le perdite americane ammontarono alla sola p.a. Yorktown, un cacciatorpediniere, circa 150 aerei e 307
Che cosa scrivono gli altri
marinai. Era stata una disfatta per la Martina impe riale giapponese! «Non solo, era stata una disfatta che ha frenato lo slancio del Giappone, consentendo agli americani di intraprendere la loro successiva offensiva intorno a Guadalcanal — commenta l’Autore dell’ar ticolo, Jonathan Parshall, coautore del libro «Shattered Sword. The Untold History of the battle of Midway» (2005) insieme ad Anthony Tully —. In buona so stanza, dopo Midway, l’America sarebbe sempre stata all’offensiva, il Giappone sulla difensiva. Dopo la ra pida ma incisiva rievocazione in termini strategici della battaglia, l’Autore passa poi in maniera dettagliata al l’analisi della storiografia della battaglia stessa, mettendo in evidenza quali siano stati i princi pali contributi apparsi sulla comprensione della battaglia negli ultimi ottant’anni dai fatti, in un lungo percorso critico di correzione di errori e millanterie nel frattempo apparsi (come i pretesi affondamenti di portaerei giapponesi da parte dei bombardieri ad alta quota B-17 dell’aviazione dell’esercito o del sommergibile USS Nautilus), ma successi vamente smentiti, tanto da fargli auspicare che, anche del suo libro, fra mezzo secolo, si possa poter dire: «un’opera preziosa, ma da allora superata nel suo apprezzamento di [questo] o [quello] a seguito della scoperta
delle fonti X, Y e Z — un giudizio che dichiara — di accogliere dav vero con favore, «perché significhe rebbe che la storia sta facendo quello che dovrebbe fare: aggior narsi e cambiare se stessa per riflet tere nuove conoscenze». Mentre i contributi che i codebreaker statuni tensi hanno dato alla vittoria di Mid way sono ben noti, sempre sul periodico in parola si segnala l’arti colo di John Prados, Give Credit Where It’s Due, in cui si pone in ri salto come i crittoanalisti abbiano svolto un ruolo altrettanto impor tante, anche se meno apprezzato, nel determinare le intenzioni giapponesi che hanno portato alla battaglia del Mar dei Coralli («Lo scontro navale del 4-8 maggio 1942 che divenne il primo in cui le navi da guerra contendenti non si vi dero mai», sottolinea l’Autore).
«Dopo Putin. L’invasione dell’Ucraina e la guerra d’Europa»
Nel 72 ° giorno di guerra in Ucraina (e mentre si stendono le presenti note siamo arrivati già al quinto mese e la pace sembra ancora lontana!), il quotidiano Il Foglio, fondato da Giuliano Ferrara nel 1996 e ora diretto da Claudio Ce rasa, nel supplemento in parola, a cura di Paola Peduzzi e Matteo Mat zuzzi, in venti contributi critici, ci offre un quadro d’insieme della situazione ucraina da diverse angola zioni (geopolitiche, strate giche e geo-economiche) e di cui porremo in risalto alcuni punti chiave. Inte ressante innanzitutto si pre senta l’analisi della
IL FOGLIO - SUPPLEMENTO, 7 MAGGIO 2022 Immagine artistica dell’attacco dei bombardieri in picchiata SBD Dauntless della portaerei USS YORKTOWN contro la giapponese Sōryū (usni.proceedings.org).Che cosa scrivono gli altri
«visione» che sta alla base dell’aggressione russa. «Putin ha invaso l’Ucraina perché non la considera una nazione indipendente e sovrana: è roba sua, roba della Federazione russa, da sola non esiste — scrive Paola Peduzzi, vicedirettrice del quotidiano — ha sbagliato i calcoli militari perché, non con templando l’esistenza dell’Ucraina, non ha messo in conto che esistesse un popolo ucraino pronto a com battere e a difendersi […] e se la premessa è questa, un piano d’attacco quasi non serve, spiegare ai sol dati che devono battersi non serve, persino utilizzare la parola «guerra» non serve: basta riferirsi a un’operazione per restaurare l’ordine, tanto il ca stello di carte verrà giù con un soffio […ma non riu scendo a ottenere quello che voleva con l’esercito, Putin è passato al terrore, cioè] da un’invasione ter ritoriale a un progetto di sterminio all’insegna del motto “stermineremo chi resiste”», riducendo a un cumulo di carta straccia le norme di quel diritto uma nitario dei conflitti armati, messo laboriosamente a punto dalla comunità internazionale dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale. Sul fronte asiatico Giulia Pompili ci ricorda che, se l’economia è sem pre una priorità per la Cina, (donde la necessità di non venire isolata dai mercati internazionali), sotto il profilo prettamente politico-strategico, la sua fina lità resta sempre quella di «marginalizzare» l’Ame rica e i suoi irriducibili alleati. É la guerra a quello che viene considerato «il poliziotto del mondo», la volontà di minare dalle fondamenta il sistema a guida americana e creare un’alternativa che risponda a criteri più cinesi, quindi anche più autoritari. Il riavvicinamento tra Cina e Russia, la partnership tra Xi Jinping e Vladimir Putin, nasce proprio su questa base, cioè la revisione dell’ordine internazionale li berale! Dopo le roboanti dichiarazioni sull’amicizia «senza limiti, salda come una roccia», schierandosi con Mosca contro quelle che sono state definite «le unilaterali illegali sanzioni imposte alla Russia» dall’Occidente e votando contro la sospensione della Russia dal Consiglio Onu sui diritti umani, Xi però si è mantenuto nel corso della crisi ucraina in una po sizione di «cauto equilibrismo», arrivando poi a con venire, nelle nota telefonata col presidente Macron
del 10 maggio, « sul rispetto dell’integrità territo riale e la sovranità dell’Ucraina e sull’urgenza di raggiungere un cessate il fuoco » ( https://www.ad nkronos.com/ucraina-telefonata-macron-xi-urgentearrivare-a-cessate-il-fuoco), senza però passare dalle parole ai fatti in termini di pressioni politiche sul Cremlino (e, più recentemente, di fronte all’esplicita richiesta del segretario di Stato americano Blinken avanzata al margine del summit del G20 a Bali, ri fiutandosi però, con la posizione assunta dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi, di condannare esplici tamente l’aggressione russa). Certo enormi sono le differenze tra i due personaggi nel senso che «Putin è muscolare, mentre Xi non ama il rischio. Putin è uno scommettitore […] che in politica, soprattutto se la posta in gioco è alta, può perdere male, ma anche vincere molto: basti pensare al 2014 con la Crimea, ottenuta a costi bassissimi»! A sua volta il direttore Cerasa al punto di domanda se la pandemia prima e la guerra poi hanno contribuito a far saltare la glo balizzazione spingendola verso un buco nero senza futuro, sul filo dell’ottimismo confida «in una glo balizzazione diversa, non morta, forse persino più vi tale, all’interno della quale forse gli stessi paesi che hanno messo insieme il 60% del Pil globale per sfi dare il modello autocratico dalla Russia avranno il dovere di dimostrare che la forza messa in campo dall’Occidente contro Putin è una forza replicabile anche su un’altra scala: quella economica. E così la globalizzazione del futuro sarà costretta a ridisegnare le catene di approvvigionamento, accorciando le di stanze, orientando le proprie delocalizzazioni guidati non più dalla logica del dove si risparmia di più ma dove si rischia di meno, passando rapidamente dalla logica della produzione just in time (si produce quello che serve al prezzo più basso possibile) a quella del just in case (si produce più di quello che serve a costi leggermente più alti per avere degli im pianti più vicini in grado di sopperire all’eventuale mancata produzione degli impianti più lontani). Nel «mondo dopo Putin» varrà ancora il principio per cui «diffondere la libertà economica resterà ancora a lungo il modello migliore per garantire la prosperità dei paesi liberi».
Che cosa scrivono gli altri «Il ruolo delle marine militari nell’Europa della difesa»
Dalla fine della Guerra fredda le marine militari euro pee hanno subìto un ridimensionamento delle proprie ca pacità in esito a una netta riduzione dei loro bilanci. Tra le cause principali la necessità di allocare risorse in settori diversi dalla difesa, l’inizio della guerra principalmente terrestre e in parte aerea contro il terrorismo dopo i fatti del 9/11 e la connotazione principalmente terrestre degli interventi di stabilizzazione nei Balcani, Medio Oriente e Africa. L’Europa ha quindi, in una certa misura, «margi nalizzato il ruolo delle marine militari» rendendo i loro compiti di deterrenza, con trollo del mare e difesa collet tiva secondari. Allo stesso tempo è gradualmente dimi nuita la consapevolezza poli tica e culturale nei confronti delle marine in quanto attori chiave per garantire la sicu rezza e la difesa europea, un fenomeno che prende il nome di «sea blindness» [cioè in termini di dottrina statunitense: «an inability to appre ciate the central role the oceans and naval power have played in securing our strategic security and economic prosperity»]. In questo contesto rapidamente delineato, scrive la studiosa Flavia Pace, «le marine europee si sono focalizzate su missioni a basso livello di intensità, come ricerca e soccorso in mare e contrasto alla pirateria. Si stima che tra il 1999 e il 2018 le marine europee abbiano perso il 32% dei loro mezzi combattenti di superficie». Numerosi invero sono i casi in cui le marine europee hanno dovuto ridimensionale le loro flotte nel corso del ventunesimo secolo: la flotta olandese, per esempio, è passata dall’essere una delle migliori della Guerra fredda a una di secondo livello; la Spagna, sempre a causa dei tagli al bilancio, ha dovuto dismettere la sua unica por taerei, mentre la Germania si è dovuta accontentare di una flotta relativamente piccola e la Marine nationale ha
riscontrato numerose difficoltà a causa del rinvio dell’ac quisto di nuove fregate e dalle limitazioni dovute alla pre senza di un’unica portaerei. Ai nostri giorni — ben viene sottolineato dall’Autrice — gli sviluppi geopolitici in atto richiedono però un maggiore impegno delle marine mi litari europee in diversi scacchieri, dall’Artico (che ha visto un significativo incremento della presenza della flotta russa) al Mediterraneo allargato, ragion per cui le marine europee non si debbono far trovare impreparate. Lo scorso marzo il Consiglio dell’Unione europea ha adottato lo «», il documento strategico per rafforzare la politica di sicurezza e difesa europea nei prossimi 5-10 anni. Un documento che rive ste una particolare impor tanza per delineare anche il futuro della sicurezza marit tima e delle marine militari europee, mirando ad «aumen tare gli impegni dell’UE in mare», migliorare l’interope rabilità delle forze navali at traverso esercitazioni e organizzando all’uopo scali portuali per le navi militari europee. In sintesi «nel qua dro dello Strategic Compass le marine devono ambire a quattro principali obiettivi: preparare le forze a operazioni anfibie per la gestione di crisi in nuove aree; rafforzare la loro resilienza combinando e attuando le strategie già esistenti e facendo riferimento a un’unica Maritime Task Force europea; investire in capacità navali di fascia alta e realizzare un quadro di cooperazione flessibile per la difesa di aree strategiche». Con tali finalità «è però es senziale per gli stati europei — conclude l’Autrice — aumentare i propri investimenti nelle marine e non solo nella strategia dei mezzi ma anche nella comune consapevolezza dello stretto legame che intercorre tra il dominio marittimo e la sicurezza, il commercio, la libertà e una crescita socio-economica a livello europeo». Il fu turo delle marine militari europee deve dunque essere basato sul superamento della «sea blindness».
Ezio Ferrante IAI AFFARI INTERNAZIONALI, 22 MAGGIO 2022 Gruppo portaerei Nato in navigazione fotografato il 6 febbraio 2022 nel Mediterraneo. Al centro la portaerei italiana CAVOUR, a sinistra la francese CHARLES DE GAULLE, a destra la statunitense HARRY S. TRUMAN (www.osservatorelibero.it).RUBRICHE
R ECENSIONI E SEGNALAZIONI
Matteo BRESSANGiorgio CUZZELLI (a cura di)
Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo Riflessioni sui conflitti nel mondo contemporaneo
Ledizioni editore 2022 pp. 190 Euro 18,90
Ogni capitolo è affrontato da autorevoli esperti e stu diosi, tra cui, Emanuele Gentili, Fiammetta Borgia, Germano Dottori, Virgilio Ilari, Stefano Felician Bec cari, Niccolò Petrelli, Claudio Bertolotti, Flavia Gia cobbe ed Emanuele Rossi, i quali analizzano sia i conflitti convenzionali, che quelli ibridi e asimmetrici, ma anche i nuovi campi di battaglia, la guerra ciberne tica o l’information warfare, la Space War, e dei casi studio come il ruolo della Wagner, la fine della guerra in Afghanistan e la conquista talebana, ma anche Israele e Hamas o ancora l’Iran e gli Hezbollah.
Gli autori individuano un filo conduttore che unisce tutte le diverse forme di conflitto cui assistiamo, ovvero sia l’imposizione della propria volontà con la forza verso l’avversario, rivelando che nonostante l’effetto che il pro gresso tecnologico ha avuto sui campi di battaglia, o la stessa evoluzione dei luoghi di battaglia, le idee di Clau sewitz trovano ancora fondamento nel nostro tempo.
Proprio ai nuovi luoghi della battaglia è dedicata la seconda parte del libro, che affronta temi come la Space War, la guerra cibernetica e l’information war fare, quest’ultima analizzata da Emanuele Rossi, il quale mette in luce come la nuova organizzazione della società e l’influenza sempre maggiore che i media e i social network hanno sulla vita delle persone, abbiano di fatto reso la guerra dell’informazione uno dei campi di battaglia più complessi e in sempre più rapida evo luzione. L’infowar infatti, rappresenta oggi una parte integrante dei conflitti ibridi.
La quarta e ultima sezione del libro è dedicata ai case studies, tra questi Matteo Bressan analizza il caso della Wagner e la diffusione delle Private Military and Security Companies (PMSC), sulle quali, in campo di diritto internazionale, il dibattito è ancora aperto e la legislazione tutt’ora carente. Le PMSCs russe sono di
ventate dei veri e propri strumenti della guerra ibrida e sebbene l’Occidente gli abbia rivolto l’attenzione sol tanto negli ultimi anni, non sono uno strumento nuovo nella storia della Russia, risalente addirittura all’epoca degli Zar. Una particolare attenzione è rivolta alla Wa gner, la più nota PMC russa, della quale Bressan traccia un’attenta analisi, partendo proprio dal suo manager principale, lo «chef di Putin», Prigozhin.
Tra gli altri casi di studio che il libro ci offre, Claudio Bertolotti affronta il conflitto in Afghanistan a partire dal suo inizio fino alla caduta di Kabul e la definitiva con quista talebana. L’ultimo case study analizzato, nonché ultimo capitolo del libro, è l’attualissimo spettro della Cina, trattato da Stefano Felician Beccari.
Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo, offre un quadro completo sui conflitti contemporanei, sull’evoluzione e l’insorgere di nuove guerre a partire dalla fine del confronto bipolare, ribaltando così le fa cili illusioni dell’epoca in cui viviamo, cresciuta con l’idea di vivere in una società senza rischi in cui la guerra, sia essa tradizionale o irregolare, è esclusa.
Sarah Ibrahimi ZijnoMaria Cristina LOCORI (a cura di)
Un abbraccio forte Luciano Lettere di un alpino italiano 1941-1943
Tralerighe libri - Andrea Giannattasi editore Lucca, 2020 pp. 160 Euro 14,25
Il momento storico e geopolitico in cui recensiamo questo libro bellissimo e toccante lo rende drammati camente attuale, anche alla luce dei recenti accadimenti di conflitto nel cuore d’Europa. Questa raccolta episto lare tra un soldato disperso nell’inverno russo della Se conda guerra mondiale e i suoi angosciati genitori ci consegna uno spaccato storico, umano, intimo e intro spettivo del rapporto tra Luciano Giorgio Trefiletti e i suoi affetti più cari. Egli si rivolge con la tenerezza e la ricerca quasi fisica di questo legame affettivo, pur nella lontananza, tipiche di un fanciullo verso la sua
Recensioni e segnalazioni
amatissima madre. Ella è già provata dalla grave ma lattia del marito Paolo, sottufficiale della Regia Marina, la precoce morte di una delle figlie, del fratello Giu seppe nella Grande guerra, già prima di veder partire per il medesimo destino il figlio Luciano Giorgio. Le tradizioni di una tipica famiglia siciliana sono onorate dando al primogenito Luciano il nome del nonno pa terno, e l’appartenenza alla Marina del padre è altresì onorata col secondo nome Giorgio, nome della nave su cui era imbarcato alla nascita di Luciano. Egli scom pare in un campo avverso che ingoia migliaia di gio vani militari assiderati e senza equipaggiamento, che servono la patria come possono. E oggi, ahimè, che la guerra è così vicina, ci appare più vicina anche la storia interiore di questo ragazzo della provincia ligure per il quale, come descrive la curatrice, «...la famiglia è il perno intorno al quale ruotano i sentimenti, le aspet tative, le relazioni...». Forse in questo momento storico siamo più motivati a guardare nell’animo di un militare italiano che, sotto una bandiera, quella della sua terra trasversale ai secoli, in terra o imbarcato in mare, po trebbe non tornare mai più dai suoi cari e di cui resta solo memoria della sua esistenza e del suo sacrificio nella corrispondenza. Leggendo questa raccolta episto lare, messa a disposizione dalla sorella ancora in vita del giovane soldato, Paola, ci appare tutta la tragedia e la sofferenza della guerra, pur mai esplicitata da Lu ciano per non dare dolore alla madre Maria. La imma giniamo solo questa sofferenza leggendo qua e là della sua gioia per aver ricevuto dalla madre un sapone, o dei francobolli o della cioccolata. Questo militare di leva, sottolinea la curatrice, non quindi volontario o mosso da una adesione fideistica al regime fascista, vuole però fare il suo dovere. Egli mostra una inaspet tata maturità quando cerca in tutte le sue lettere, sempre ironiche, fino all’ultima a inverno avanzato e prima di svanire nel nulla, la forza di nascondere ai propri geni tori e alla madre in particolar modo, le sofferenze, le paure, la stanchezza, il freddo, la disperazione. La prima cosa che colpisce è che tutte le lettere siano ani mate da grande forza d’animo, ottimismo, positività e invito alla madre, che immagina molto angosciata, a rasserenarsi, a restare tranquilla. Appare incredibile la resilienza di questo ragazzo di 20 anni proiettato nelle immani sofferenze di una guerra invernale nelle steppe russe che, anche dopo aver sopportato 40 ore di treno e diversi giorni di marcia, non proferisce il minimo la mento o disagio pur di dare notizie liete alla propria mamma. La lettera n. 56 ne è la rappresentazione pla
stica più alta. Il figlio anziché cercare conforto e con solazione nella amatissima madre, invertendo i ruoli è lui a farsi maturo uomo che, al contrario, della madre si prende cura facendo di tutto per placare le preoccu pazioni di questa «...sii tranquilla per il tuo alpino. Vedo con piacere che i miei scritti sono riusciti a tran quillizzarti e desidero che riescano sempre a darti quella nota di calma e tranquillità...il tempo così tanto dichiarato avverso si mantiene magnifico e favorisce le nostre fatiche!». Il tenore commovente, quanto di improbabile sincerità ed enfasi, con cui obnubila qual siasi sofferenza o doglianza o paura o difficoltà non muta nelle lettere del mese del dicembre russo, che im maginiamo terribile. L’unica sofferenza di cui Luciano esprime il peso è quella di non avere scritti della sua mamma per un mese, come nella lettera n. 78 del 3 di cembre 1942 «...questo tuo scritto mi ha sollevato mol tissimo. Debbo dirti perciò tutta la mia gioia e tranquillità. Non so come ringraziarti…Ho trascorso un mese tristissimo - lo ricorderò finché vivrò - in at tesa di una tua parola di conforto e tuo perdono...». Le sue uniche gioie sono le parole e i gesti a lui rivolti di mamma e papà, come nella lettera n. 84 del 19 dicem bre 1942 «…Il sapermi così ricordato da voi mi dà grande gioia e forza d’animo che uniti al morale splen dido mi rendono (a mio parere) contento di tutto…» Commovente Luciano il 28 dicembre scrive ancora in lettera n. 87 «…come vedi è una vita che si conduce abbastanza bene malgrado il sacrificio di qualche ora di sonno, è una vita calma che noi trascorriamo con la necessaria disinvoltura…». Una brusca interruzione fa seguire l’ultima lettera da un austero comunicato del Comandante del Reggimento che risponde alle richie ste di notizie dei genitori di Luciano dandolo per di sperso. Però, dopo tante lettere di quotidiano e quasi gioioso afflato di intima relazione con la famiglia, quasi ci appare non come un addio o la certezza del tra gico epilogo di una vita spezzata in guerra senza la pie tas di un ultimo tributo o abbraccio, ma un saluto, come vivesse per sempre nella memoria di chi lo amava, un distacco temporaneo che ci fa immaginare Luciano in camminarsi verso la battaglia quasi sereno, pensando già alla prossima lettera che scriverà alla mamma a sera, nella sua branda di ritorno dalla battaglia. Non dimenticatemi, sembra dire Luciano in queste lettere parlando alla madre e al padre. E noi aggiungiamo, non dimentichiamo la storia dei nostri militari caduti.
Rita Silvaggio