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MAGGIO 2022 - Anno CLV
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MAGGIO 2022
RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
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Lo sviluppo del cyberspazio in campo militare negli Stati Uniti Giancarlo Elia Valori
Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi Pierluigi Barberini
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Sommario IL SUPPLEMENTO PER GLI ABBONATI RAPPORTO MARINA MILITARE 2021 QUESTO MESE CON LA RIVISTA MARITTIMA
SPECIALE
6 Il Future Combat Naval System 2035
54 L'intelligenza artificiale e le operazioni aeronavali Michele Cosentino
68 La strategia europea per la sicurezza cibernetica Julian Colamedici
78 Wargame: breve analisi di come è nato in Prussia
e come può pesare sul contesto tattico, strategico e operativo Riccardo Lancioni
88 La corsa tecnologica cinese: impatto strategico sulle operazioni militari Cesare Torreggiani
nelle operazioni multi-dominio Come affrontare la sfida tecnologica e della sostenibilità
PRIMO PIANO
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Lo sviluppo del cyberspazio in campo militare negli Stati Uniti Giancarlo Elia Valori
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
98 Il terrorismo internazionale nel corso del XX secolo 28 Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
parte I
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte
Pierluigi Barberini
RUBRICHE
38 L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore Gianmarco Donolato
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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine Militari Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni
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MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
PROPRIETARIO
EDITORE DIFESA SERVIZI SPA UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel. +39 06 36807248-54 Fax +39 06 36807249 rivistamarittima@marina.difesa.it www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Pagine/Rivista_Home.aspx
DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza
CAPO REDATTORE Capitano di fregata Gino Lanzara
REDAZIONE Capitano di corvetta Danilo Ceccarelli Morolli Sottotenente di vascello Margherita D’Ambrosio Guardiamarina Giorgio Carosella Sottocapo di prima classe scelto Luigi Di Russo Tel. + 39 06 36807254
SEGRETERIA DI REDAZIONE Primo luogotenente Riccardo Gonizzi Addetto amministrativo Gaetano Lanzo
UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI
IN COPERTINA: L’avveniristica plancia di comando del primo Pattugliatore Polivalente d’Altura (PPA) PAOLO THAON DI REVEL, nell’ambito del piano di rinnovamento della flotta della Marina Militare.
MAGGIO 2022 - anno CLIV HANNO COLLABORATO:
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Professor Giancarlo Elia Valori
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COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA MARITTIMA
Dottor Gianmarco Donolato Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Tenente dei Carabinieri Julian Colamedici Dottor Riccardo Lancioni Guardiamarina Cesare Torreggiani Professoressa Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte Ambasciatore Giorgio Malfatti di Monte Tretto, Circolo di Studi Diplomatici
Prof. Antonello BIAGINI, Ambasciatore Paolo CASARDI Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI, Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI Prof. Massimo DE LEONARDIS, Prof. Mariano GABRIELE Prof. Marco GEMIGNANI, A.S. (ris) Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE
Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
COMITATO EDITORIALE DELLA RIVISTA MARITTIMA
Dottor Enrico Cernuschi
C.A. (aus) Gianluca BUCCILLI, Prof. Avv. Simone BUDELLI, A.S. (ris) Roberto CAMERINI, C.A. (ris) Francesco CHIAPPETTA, C.A. (ris) Michele COSENTINO, C.V. (ris) Sergio MURA,
Dottoressa Rita Silvaggio
Dottor Cosimo Graziani Dottor Luca Peruzzi
Guardiamarina Giacomo Innocenti
Prof.ssa Fiammetta SALMONI, Prof.ssa Margherita SCOGNAMIGLIO, Prof. Tommaso VALENTINI, Prof. Avv. Alessandro ZAMPONE Gli articoli sono soggetti a peer review double blind
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E ditoriale È
emersa una rinnovata, diffusa sensibilità in capo ai problemi, tra loro inscindibili, della sicurezza e della difesa, tanto più in considerazione di un accesso sempre più globalizzato alla conoscenza e alla tecnologia applicata in campo bellico. Il prossimo futuro vedrà la competizione tra gli Stati confrontarsi sempre più in termini di innovazione tecnologica, interoperabilità e digitalizzazione, allo scopo di perseguire e mantenere un vantaggio militare, sia tattico sia strategico. Di fronte alle minacce e agli ambienti operativi in rapida evoluzione si intravedono, inoltre, scenari di confronto sempre più complessi e multidimensionali dove minacce ibride, confronto tecnologico, competizione per l’accesso alle risorse naturali, sfruttamento dei nuovi domini cibernetico e spaziale e, di pari passo, la necessità di una sostenibilità ambientale, costituiranno gli elementi cardine di confronto. E il confronto altro non è, da sempre, che il riuscire a evitare mediante l’uso combinato — con intelligenza — della diplomazia, della tecnologia, dell’intelligence e della forza: lo scontro. In tale contesto il mare continuerà a costituire il «teatro strategico» per eccellenza nell’ambito della competizione globale, tanto dal punto di vista geopolitico quanto da quello geoeconomico. Per l’Italia sarà sempre più essenziale agire secondo un approccio, ormai ineludibile, come «Sistema Paese». Ciò implicherà che istituzioni, ministeri, grandi e piccole realtà industriali e imprenditoriali, mondo accademico e libera professione dovranno sempre più operare in maniera sinergica, coordinata e inclusiva, allo scopo di mantenere un adeguato vantaggio a livello tecnologico, a livello culturale e a livello organizzativo. Per quanto riguarda la sfera militare, sarà necessario amplificare il livello di risposta di ogni singola piattaforma o sistema di combattimento; in breve: il successo non dipenderà soltanto dal livello tecnologico o dal grado di sofisticazione raggiunto dei singoli componenti, quanto piuttosto dalla superiorità informativa, dalla capacità di inter-connessione, nonché dal sinergico e coordinato utilizzo di tutte le risorse e di tutti i sistemi, in un’ottica interforze e inter-alleata. E solo la capacità di innovare e introdurre soluzioni alternative permetterà di affrontare le sfide del presente e del futuro. Per questo la Marina Militare ha redatto un documento agile, ma completo: Il Future Combat Naval System 2035 nelle operazioni multi-dominio, ovvero come poter affrontare la sfida tecnologica e insieme quella della sostenibilità. Prima di analizzare più in profondità questo documento, si ritiene opportuno definire cosa si intenda per innovazione tecnologica. In generale, un’innovazione tecnologica è un prodotto o un processo nuovo o migliorato, SEGUE A PAGINA 4
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le cui caratteristiche tecnologiche sono significativamente diverse da quelle precedenti. Il mondo attuale è intriso di innovazione tecnologica, che sembra incedere con una progressione quasi geometrica. La tecnologia odierna tocca tutti gli aspetti della vita umana: dalle comunicazioni, alla medicina, dai trasporti marittimi a quelli terrestri, fino a giungere ovviamente agli armamenti. Che cosa è allora l’innovazione tecnologica? Innovare significa rinnovare, rendere nuovo, rifare. Dunque innovare significa in generale apportare un cambiamento, in positivo, a qualcosa già esistente. In campo militare esistono ulteriori sfumature che è opportuno evidenziare: «Gamma di armi, equipaggiamento, strutture e mezzi utilizzati specificamente per scopi bellici. Include le conoscenze necessarie per costruire tale tecnologia, per impiegarla in combattimento e per ripararla e ricostituirla» (1). Sempre nell’ambito militare, occorre ulteriormente notare come l’innovazione tecnologica modifica, rafforzandole e incrementandole, le capacità e le modalità di combattimento esistenti, permettendo di conseguire un netto vantaggio (sia in campo tattico che in quello strategico), prima che l’avversario si adatti a esso (2). Ottenere un significativo vantaggio sull’avversario rimane dunque l’obiettivo da conseguire con particolare riguardo ai mezzi unmanned (mezzi senza pilota), i sistemi d’arma a energia diretta (laser/elettromagnetica) e quelli ipersonici, l’intelligenza artificiale, i computer quantistici e i sistemi intelligence. Nel dominio marittimo grande impulso sta avendo l’innovazione tecnologica nei sistemi unmanned subacquei, che già oggi costituiscono una realtà con varie componenti specialistiche che impiegano gli AUV (Autonomous Underwater Veichle). In tale ambito la Marina Militare, all’interno del proprio Comando delle Forze di Contromisure Mine e nell’ambito del Comando Subacqueo Incursori (Forze Speciali della Marina Militare), ha maturato negli ultimi decenni una precisa dottrina d’impiego. In particolare, la componente specialistica imbarcata è capace di operare sia dalle unità cacciamine sia autonomamente in versione «deployable», con veicoli unmanned (REMUS 100 e HUGIN 1000) in grado di raggiungere la profondità operativa di 3000 metri. Tali sistemi sono capaci di eseguire, in autonomia, ricerca e localizzazione di oggetti subacquei quali relitti e oggetti di ridotte dimensioni grazie alla disponibilità di sensori di ultima generazione (side scan sonar), con possibilità di svolgere un amplio range di missioni militari, nonché a supporto della collettività e dei principali Enti di ricerca e Università nazionali. In questo caso l’innovazione tecnologica mira a sviluppare sistemi unmanned subacquei sempre più complessi, efficaci e di maggiori dimensioni, che potranno operare con le unità navali d’altura e con i nostri sottomarini in operazioni navali complesse e articolate anche nel ruolo expeditionary. Parimenti un grande impulso tecnologico sta avendo la Info War (letteralmente la «guerra delle informazioni»), che possiede come scopo quello di cercare di orientare la pubblica opinione e, di conseguenza, la classe dirigente e i centri di potere (in pratica si tratta di uno strumento teso alla manipolazione sociale). Se in passato si parlava di «propaganda», al giorno d’oggi l’innovazione tecnologica ha reso l’Info War, attraverso il complesso dei sistemi informatici e dei social, più subdola e difficile da individuare (vedasi per esempio le fake news o le campagne di misinformation). In breve, l’Info War è un’arma molto pericolosa dove spesso l’unica adeguata risposta è costituita dalla coscienza e dall’analisi critica di ciascuno degli utilizzatori di tali sistemi. Come si usa dire in Marina: tutto dipende dal corretto apprezzamento della situazione. E proprio questa cultura, estremamente pratica, rappresenta uno degli obiettivi di fondo della Forza Armata, anche tramite la Rivista Marittima, nel suo vivere la vita del paese, con il popolo e per il bene della comunità. Ed è così che al giorno d’oggi, il campo di battaglia moderno è molto più complesso rispetto al passato, tanto più che le operazioni militari si sono spostate oltre i tradizionali domini di terra, mare e cielo, inglobando anche i domini cyber e lo spazio (Outer Space). In particolare il dominio cyber è stato precisato nero su bianco dalla NATO in occasione del vertice di Varsavia del 2016, riconoscendo ufficialmente il fatto che un attacco cibernetico può causare danni tali da far scattare, ai sensi dell’articolo 5 del Trattato Atlantico, la reazione collettiva dell’Alleanza. Il riconoscimento del dominio spazio da parte della NATO è invece avvenuto in occasione dell’incontro tra i ministri degli Esteri dell’Alleanza, svoltosi a Bruxelles nel 2019, in considerazione della sua rilevanza per la deterrenza e la difesa sia dal punto di vista della navigazione nello spazio sia dal punto di vista dell’intelligence e dell’individuazione delle minacce. In merito a ciò risulta significativa la definizione che gli statunitensi danno per le operazioni multi-dominio (MDO Multi Domain Operations) (3): «La capacità di contrastare e sconfiggere un avversario di livello (near peer adversary) che sia in grado di contestare la superiorità degli Stati Uniti in tutti i domini: aria, terra, marittimo, spaziale e cyberspazio. Sia che si tratti del livello di competizione o
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di aperto conflitto, gli Stati Uniti intendono insieme agli alleati internazionali scoraggiare e sconfiggere i potenziali avversari nel periodo 2025-50». Date queste premesse, il Future Combat Naval System 2035, rappresenta per la Forza armata: «Un elemento centrale dello Strumento Marittimo destinato a fronteggiare gli scenari futuri, da sviluppare attraverso un processo capace di adattarsi dinamicamente all’innovazione». In pratica, si tratta di apprezzare rapidamente i cambiamenti, insieme alla capacità di attuare misure idonee a sfruttare efficacemente le opportunità dell’innovazione. Nel multi-dominio, la Marina Militare dovrà disporre di capacità di difesa antimissile per intercettare ordigni ipersonici e balistici, così da assicurare la protezione del territorio italiano e, va da sé, degli abitanti. Dovrà inoltre disporre di armi a energia diretta (per esempio a tecnologia laser) per l’impiego sopra la superficie, graduando la risposta a partire dal livello non letale sino al livello cinetico distruttivo. Nell’ambito subacqueo sarà indispensabile sviluppare sempre più le capacità dei sensori elettro-acustici, oltre che disporre di una flotta di mezzi autonomi (unmanned) subacquei con spiccate capacità modulari, ad alta resilienza e durevolezza nel loro particolarissimo ambiente. Servono inoltre costanti capacità di interoperabilità e modalità innovative di comunicazione nel dominio elettromagnetico, acustico e ottico. È importante sottolineare come le navi, i sommergibili e gli aeromobili dovranno continuare a evolversi quali veri e propri hub strategici, mantenendo e incrementando le capacità di muoversi e operare in uno scenario multi-dominio. Il Future Combat Naval System guarda anche allo spazio e aerospazio; pertanto lo «Strumento» aeronavale dovrà integrarsi pienamente nella capacità Space Situational Awareness/Space Surveillance & Tracking che la Difesa italiana sta sviluppando col fine di concorrere a offrire al paese un’autonomia strategica per l’accesso allo spazio (includendo con ciò anche l’ipotesi di effettuare lanci di piccoli satelliti da piattaforma navale). Sarà parimenti necessario perseguire ogni possibile sinergia in ambito Difesa e inter-dicastero affinché le informazioni operative e i dati sensibili di satelliti e piattaforme aerospaziali siano integrati nella Maritime Situational Awareness di diretta responsabilità dalla Marina Militare. Per quanto riguarda l’impiego dei sistemi unmanned, il ruolo che essi svolgeranno sarà sempre più cruciale e la loro acquisizione dovrà procedere con la massima priorità, considerando tutti gli scenari della complessa e articola dimensione marittima, compreso lo scenario in cui operano le Forze speciali. Come già accennato, nel complesso scenario multi-dominio in cui la nostra Marina dovrà operare, sarà necessario mantenere il vantaggio informativo, compresa la connettività degli assetti e la capacità di condivisione e analisi dei dati, essenziali per sviluppare e addestrare i sistemi di autoapprendimento e mantenere la superiorità informativa e decisionale. Un’ottica centrata sul «sistema dei sistemi» piuttosto che sulla singola piattaforma. Naturalmente, sistemi e scenari così complessi imporranno la necessità di un adeguato supporto soprattutto dal punto di vista della preparazione del personale, che dovrà avvalersi di un sistema di addestramento distribuito di Forza armata avanzato - Live Virtual Constructive. Dovrà essere largamente impiegato il Modeling & Simulation come già accade per i sommergibili U 212 e per il JSF (Joint Strike Fighter). Ciò imporrà di doversi misurare sempre più con il concetto di sostenibilità, in quanto per essere competitivi sarà necessario perseguire il mantenimento dei sistemi allo stato dell’arte, compreso l’aggiornamento hardware e software, la qualità, la sicurezza dei dati, inclusi i necessari strumenti tecnico-amministrativi e le infrastrutture di sostegno. Tutto questo secondo un carattere di ecosostenibilità dei mezzi, intendendo con ciò: minori emissioni; riduzione dei consumi; maggiore autonomia operativa; maggiore ricorso a fonti energetiche rinnovabili e materiali riciclabili. A fronte di tanta dinamicità nello sviluppo tecnologico delle capacità militari, come sempre l’elemento dominante e centrale del Future Combat Naval System 2035 resta la persona, che manterrà un ruolo preminente nei processi decisionali. Infine, dovrà ricercarsi sempre più la compenetrazione e la massima sinergia tra Forze armate, industria e mondo accademico. In estrema sintesi: in avanti e in anticipo; sul mare e dal mare! NOTE (1) www.britannica.com/technology/military-technology. (2) Cfr DoD Defence Innovation Board, https://innovation.defense.gov/About1. (3) https://sgp.fas.org/crs/natsec/IF11409.pdf, uploaded 22 oct 2021.
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PRIMO PIANO
Lo sviluppo del cyberspazio in campo militare negli Stati Uniti Note per uno «stato dell’arte» Giancarlo Elia Valori È attualmente alla guida di International World Group; presiede Global Strategic Business, Fondazione Abertis Italia e la Fondazione di studi Internazionali e di geopolitica. È presidente onorario di Huawei Technologies Italia. È vice presidente dell’Alleanza Internazionale degli Imprenditori per la Blue Economy, avviata nell’ambito dei lavori del Forum Internazionale di Shenzhen. È titolare della «Cattedra della pace e della cooperazione regionale» presso la Hebrew University di Gerusalemme, nonché della «Cattedra della Pace» presso la Yeshiva University di New York. È professore straordinario di Economia politica e internazionale nell’Università di Pechino nonché direttore del Comitato consultivo per gli Studi Internazionali della stessa Università. Presiede l’Istituto per le Relazioni tra le due Coree, la Cina e gli Stati Uniti ed è direttore onorario della Fondazione Kim Il Sung - Kim Jong II. È Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France. È vice presidente dell’Istituto Weizmann di Parigi, è membro numerario della Reale Accademia di scienze economiche e finanziarie di Barcellona e componente dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Salisburgo. È Ambasciatore dell’Unesco. È insignito del «Gran Premio Letterario 2011» da parte del Consiglio Mondiale del Panafricanismo e, nel 2019, del Premio Italia Informa. Cav. Gr. Cr. dell’Ordine al Merito della Repubblica, Cavaliere del Lavoro, Officier della Légion d’Honneur, Cav. Gr. Croce dell’Ordine al Merito Melitense (SMOM).
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I membri del Cyber Command degli Stati Uniti lavorano nell'Integrated Cyber Center, Joint Operations Center a Fort George G. Meade, Md. (Foto di Josef Cole).
§1. Premesse Le armi e l’equipaggiamento sono la base della capacità di combattimento militare e un fattore importante nel determinare l’esito delle guerre (1). Nell’attuale situazione di concorrenza sempre più agguerrita tra le grandi potenze e di militarizzazione più evidente del cyberspazio, tutti i paesi hanno aumentato gli investimenti in tale settore, rafforzato lo sviluppo e il dispiegamento di armi e attrezzature del cyberspazio
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(2); parimenti hanno promosso la ricerca, lo sviluppo, la trasformazione e l’applicazione delle tecnologie emergenti e hanno cercato di plasmare nuove tecnologie per lo sviluppo militare e le operazioni future. In tale contesto globale s’impone all’attenzione del lettore, l’US Cyber Command ente statunitense che ha creato la Joint Cyber Warfighting Architecture (in sigla «JCWA»), che costituisce un’architettura di sistema quale strumento guida per l’acquisizione di capacità e mezzo per supportare gli investimenti per la guerra informatica (inizialmente quando il Comando fu creato mancava di risorse e capacità). Per la cronaca, dal 2021, le Forze armate statunitensi continueranno a utilizzare la JCWA e a fare affidamento su vari servizi per sviluppare e migliorare sistemi e strumenti di guerra informatica. In concreto, la JCWA include diversi programmi di acquisizione, ma anche strumenti e sensori informatici per supportare le operazioni informatiche. Secondo il budget per l’anno fiscale 2022 del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, la US Air Force è responsabile della richiesta per un budget alla Joint Cyber Command and Control (in sigla JCC2) di 79 milioni di dollari, più del doppio dei 38,4 milioni dell’anno precedente; ciò a causa di alcuni programmi, inclusi il progetto Internet Key Exchange (in sigla IKE), ossia uno strumento abilitato all’intelligenza artificiale (3) che fornirà un nuovo modo per le forze informatiche di comprendere il quadro operativo comune in campo bellico. Saranno trasferiti fondi al progetto, e lo sviluppo del software dell’IKE è passato dalla fase di pianificazione a quella di esecuzione. Il progetto IKE è considerato un precursore del JCC2 (Joint Cyber Command and Control), uno dei pilastri del JCWA, a disposizione dell’US Cyber Command. L’Aeronautica militare degli Stati Uniti è responsabile della Piattaforma Unificata (UP) per l’anno fiscale 2022. Il budget di ricerca e sviluppo è di 101,8 milioni di dollari; non di meno, l’esercito degli Stati Uniti si occuperà pure del budget di ricerca e sviluppo del Persistent Cyber Training Environment (in sigla PCTE) che per l’anno fiscale 2022 è di 52,9 milioni di dollari; mentre il budget della Joint Common Access Platform (in sigla JCAP) dell’esercito a stelle e strisce è finora tenuto segreto.
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Second il portale Security Insider (4), l’esercito degli Stati Uniti prevede di distribuire la versione 4 della piattaforma PCTE all’US Cyber Command, nel primo trimestre di quest’anno. La versione contribuisce, con un motore più intuitivo, a consentire una migliore attività di addestramento, ovvero esercitazioni e moduli disponibili per le truppe, progettati per ridurre la ridondanza e consentire una migliore formazione individuale e di squadra. La principale esercitazione annuale dell’US Cyber Command ossia la Cyber Flag 21-2, nel giugno 2021 ha nuovamente utilizzato la piattaforma PCTE, consentendo allo US Cyber Command di espandere l’esercizio delle attività. Lo JCC2 cerca di integrare i dati provenienti da una varietà di fonti per contribuire a: informare e sostenere il processo decisionale dei comandanti; valutare la prontezza fino al livello individuale; visualizzare il cyberspazio; dare consapevolezza della situazione a tutti i livelli delle forze di combattimento. Il progetto IKE offre agli utenti, lungo tutta la catena di comando, la possibilità di: pianificare, preparare, eseguire e valutare le operazioni di sicurezza informatica. IKE verrà utilizzato per mappare la rete e valutare la prontezza del gruppo informatico e delle forze di comando nel cyberspazio. IKE consente ai comandanti di comprendere lo stato delle forze amiche e nemiche nel cyberspazio, che è fondamentale per il comando e il controllo dello stesso. IKE è già utilizzato dalle truppe da combattimento statunitensi e attualmente conta migliaia di utenti militari.
§2. Il futuribile assetto della JCAP, ovvero la «Joint Common Access Platform» La JCAP utilizza un approccio innovativo di acquisizione del software e il sistema è aggiornato trimestralmente per aggiungere nuove funzionalità, dando in particolare all’US Army la libertà di continuare a ripetere e aggiungere gradualmente più funzionalità al sistema medesimo. La Mattel Technologies ha annunciato nel dicembre 2020 di aver ricevuto un contratto da 265 milioni di dollari per supportare il progetto in 42 mesi. L’esercito degli Stati Uniti ha inoltre assegnato un contratto da 2,4 miliardi di dollari a 14 società per fornire servizi IT (Information Te-
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chnology) per il complesso della gamma cibernetica nazionale. Le società forniranno pianificazione ed esecuzione degli incidenti, sicurezza del sito, gestione della tecnologia dell’informazione e modernizzazione della gamma e supporto operativo per le Forze armate nelle missioni informatiche. La difesa della sicurezza della rete è il fondamento della capacità di combattimento del cyberspazio e un’importante garanzia per le operazioni militari. Guidati dall’idea di collaborazione guidata dall’esercito e dall’industria, gli Stati Uniti e il Regno Unito fanno pieno uso delle tecnologie e delle capacità del settore per rafforzare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e apparecchiature per la sicurezza della rete e migliorare la resa della rete nelle sue capacità di difesa. Nel contempo la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) ha sviluppato un nuovo software di sicurezza informatica per droni, il così detto High Assurance Cyber Military System (HACMS) e ha invitato gli hacker a partecipare alla conferenza sulla sicurezza informatica DEFCON (DEFense readiness CONdition: condizione di prontezza difensiva) negli Stati Uniti d’America. I ri-
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§3. Ulteriori aspetti e progetti, ovvero non solo Stati Uniti
Gli specialisti della guerra informatica in servizio con il 175th Cyberspace Operations Group del Maryland Air National Guard (foto di J.M. Eddins defense.gov).
sultati mostrano che anche i professionisti non sono in grado di crackare tale software; anche se personalmente ritengo che chi riuscisse a farlo, non si esporrebbe allo scoperto preferendo dichiararsi «battuto». Dal canto suo l’High Assurance Cyber Military System (HACMS) utilizza tecniche di «metodi formali» per garantire matematicamente che non vi siano difetti di software che consentirebbero agli hacker di entrare e impossessarsi di un sistema informatico. L’architettura del software separa rigorosamente le diverse funzioni del sistema di controllo dello specifico compito e, anche se gli hacker fossero in grado di entrare nel software della fotocamera del drone, non sarebbero comunque in grado di dirottare il suo sistema di comando e controllo. Inoltre, a settembre DARPA ha lanciato il progetto Hardening Development Toolchain Defense Against Burst Execution Engine (HARDEN), che mira ad aiutare gli sviluppatori a comprendere il comportamento di emergenza nei computer per impedire agli aggressori informatici di utilizzare le capacità integrate dei sistemi critici per generare calcoli dannosi e accidentali.
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L’US Army Ground Vehicle Systems Center, in collaborazione con l’ente texano Southwest Research Institute (SwRI) (5), ha sviluppato un nuovo sistema di rilevamento delle intrusioni (6) (detto IDS Intrusion Detection System) per proteggere i mezzi militari di terra dagli attacchi alla sicurezza informatica per reti di semoventi più connesse e automatizzate, in maniera da fondare una resilienza informatica. La nuova tecnologia della Intrusion Detection System utilizza algoritmi e impronte digitali per rilevare eventuali anomalie nei sistemi di comunicazione incorporati nei veicoli da combattimento a terra. Gli algoritmi di sistema trasmetteranno le informazioni tramite il protocollo Controller Area Network (CAN) per identificare i nodi sconosciuti o non validi collegati alla rete del veicolo. La US Air Force sviluppa il software di rilevamento di documenti dannosi detto Whiddler (7). Questo è uno strumento applicativo di scansione software multithreading (8), compatibile con cluster, eseguente analisi statiche sui file. Dopo aver completato le osservazioni del file, il software calcola la probabilità che il file sia dannoso oppure no, e il livello di soglia può essere regolato dall’utente. Dal canto suo, l’Inghilterra, non sembra star a guardare. Infatti, la Defense and Security Accelerator Agency (DASA) del Regno Unito ha lanciato nell’agosto 2021 il progetto d’Innovation Focus Area (IFA), denominato Reducing the Cyber Attack Surface, per sviluppare tecnologie onde prevenire gli attacchi informatici su piattaforme militari, con l’obiettivo di aiutare a eliminare le vulnerabilità informatiche e ridurre gli attacchi informatici con possibilità di attacco devastante. Inoltre, la DASA sta lavorando a un altro progetto di sicurezza informatica IFA chiamato Autonomous Cyber Defense of Military Systems, che cerca di sviluppare agenti autonomi per proteggere reti e sistemi militari. Sempre il Regno Unito ha creato un nuovo focus denominato Military Systems Information Assurance (MSIA) nell’ottobre scorso per concentrarsi sull’identificazione, lo sviluppo e la promozione di soluzioni tecnologiche di assicurazione dell’informazione. In breve il MSIA è una parte importante delle
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misure adottate per rafforzare le capacità di sicurezza informatica del Regno Unito e garantire la sicurezza delle infrastrutture critiche e della difesa del paese. La Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) ha annunciato nel maggio 2021 il lancio del programma Mission Integrated Network Control (MINC). Il progetto è una parte essenziale del mosaic warfare, che mira a garantire che i dati critici trovino la strada per l’utente giusto al momento giusto in un ambiente competitivo, controllando in modo sicuro qualsiasi comunicazione o risorsa di rete disponibile. Il MINC cambierà il paradigma della configurazione manuale statica dell’architettura rigida chiusa, spostandosi verso metodi autonomi di adattamento di applicazioni e reti alle mutevoli condizioni militari. Il progetto MINC non intende sviluppare alcun nuovo hardware di comunicazione e risorse di rete, bensì algoritmi e software di rete e di sistema di comunicazione per configurare e controllare opportunisticamente le risorse disponibili. Nell’aprile 2021, lo US Cyber Command ha rilasciato una richiesta di servizi di supporto per soluzioni interdominio Wolfdoor. Wolfdoor (9) è una soluzione perimetrale creata nel 2018 per spostare in modo sicuro i dati dallo US Cyber Command alla comunità di intelligence, al Dipartimento della Difesa e alle reti commerciali. Le soluzioni sollecitate dallo US Cyber Command verranno utilizzate per espandere l’infrastruttura Wolfdoor per soddisfare le crescenti esigenze di missione e di flusso di dati. Secondo l’invito a presentare proposte, il contraente aiuterà a mantenere, replicare ed espandere l’infrastruttura di condivisione dei dati per supportare i sistemi di missione.
§4. L’apporto della US Navy Per quanto riguarda la US Navy, essa continua a portare avanti il progetto denominato come Overmatch, cioè il tentativo di costruire una rete marittima di navi, sensori, armi e piattaforme che consentirà alla Marina di collegare le sue operazioni e fornire ai comandanti una più ampia con-
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sapevolezza della situazione in tempo reale. La chiave del progetto è lo sviluppo delle reti, dell’infrastruttura, dell’architettura dei dati, degli strumenti e dell’analisi che supportano l’ambiente operativo e di sviluppo per ottenere un vantaggio marittimo duraturo utilizzando sistemi con e senza pilota. Inoltre il progetto Strong Victory sfrutterà le ultime tecnologie digitali, come intelligenza artificiale, apprendimento automatico, tecnologie dell’informazione e di rete, per migliorare la prontezza al combattimento della flotta globale. La Marina statunitense prevede anche di aggiudicare contratti di piena implementazione per la rete marittima integrata e i servizi alle imprese, il così detto Consolidated Afloat Networks and Enterprise Services (in sigla «CANES»). Il CANES costituisce la spina dorsale della modernizzazione della Marina americana e di sicurezza informatica sulle sue navi e rete marittima; essa è integrata e aggiornata, e svolgerà un ruolo fondamentale negli sforzi di quest’arma per realizzare una propria visione per le operazioni marittime distribuite nei mari del mondo. Secondo il documento di bilancio fiscale 2022 della US Navy, il CANES sostituirà e modernizzerà le reti marittime esistenti con l’hardware, il software e l’infrastruttura di servizio di livello aziendale necessari per consentire la guerra dell’informazione all’interno e al di là del dominio tattico; i centri operativi sottomarini e marittimi forniranno l’infrastruttura completa, inclusi hardware, software, apparecchiature di elaborazione, archiviazione e utenti finali, per enclave di informazioni (SCI) non classificate, di coalizione, segrete e sensibili. Lo US Naval Cyber Command ha fornito agli sviluppatori i requisiti per il Naval Sea Systems Command onde determinare in che modo gli avversari potrebbero compromettere i sistemi di bordo, e nel giro di una settimana gli sviluppatori hanno identificato potenziali vulnerabilità informatiche e consigliato correzioni. Lo US Naval Cyber Command ha affermato che la forza lavoro informatica della Marina è già cresciuta ed è matura.
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Inoltre lo US Naval Cyber Command ha affermato che l’industria è un partner importante in quanto fornisce esperienza e scale di esperienze fattive che non possono essere generate all’interno della Marina; tuttavia un processo di sviluppo rapido e agile dalla generazione o della modifica dei requisiti al test e all’accettazione richiede l’integrazione con elementi operativi interni con stretta sincronizzazione. Se tutto lo sviluppo delle capacità fosse esternalizzato all’industria, lo US Naval Cyber Command perderebbe la capacità di gettare le basi per lo sviluppo professionale e la crescita dei dipendenti del Governo in posizioni tecniche e di leadership più avanzate.
§5. La visione della NATO: cenni La NATO sta sviluppando nuove tecnologie cloud per stabilire standard tecnici sul campo e garantire l’interoperabilità tra gli Stati membri. L’attuale progetto di tecnologia cloud che ha attirato molta attenzione è il sistema detto Firefly (10), sviluppato dalla società francese Thales. Il sistema dispiegherà la prima capacità di cloud di difesa dispiegabile a livello di scenario della NATO e consentirà alle proprie forze di ricevere, analizzare e trasmettere dati tra quartier generali statici e in tempo reale attraverso i teatri di operazione. Firefly utilizza un’architettura di sistema all-in-one, inclusa la gestione delle applicazioni, la rete IT e la sicurezza, per cui rappresenta un approccio olistico alle risorse di comando e controllo dispiegabili dell’Alleanza Atlantica.
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Inoltre Firefly è progettato per fornire servizi di comando e controllo alle forze di risposta della NATO e consentire la collaborazione tra utenti statici e dispiegati a sostegno di grandi operazioni congiunte (MJO Major Joint Operations) o minori (Smaller Joint Operations). Il sistema Firefly fornirà otto punti di presenza dispiegabili per comunicazioni e informazioni (DPOP) per fornire servizi di comunicazione con il comando NATO e applicazioni di forza dispiegate e servizi di informazione. Pertanto Firefly integrerà e interagirà con i sistemi informativi e di comunicazione già esistenti nella NATO e fornirà a paesi e partner la connettività della rete di missioni congiunte (FMN) per operazioni, missioni ed esercitazioni in maniera da comunicare efficacemente. I servizi specifici di Firefly includono servizi di: comunicazione, infrastrutturali, di supporto alle imprese, ambienti di staging e implementazione.
§6. Lo spazio dei «social» La US Defense Counterintelligence and Security Agency (DCSA) ha emesso nell’agosto 2021 una richiesta di informazioni per strumenti in grado di cercare automaticamente sui social media e altri siti web pubblici: post, azioni e interazioni, per cercare informazioni riguardo a indagini sulle minacce interne. Lo strumento deve soddisfare tutti i requisiti tecnici federali e del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America per l’accesso e l’utilizzo dei sistemi governativi, e deve essere progettato per ottenere automati-
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camente informazioni elettroniche open source e consentire agli investigatori del Centro di analisi e gestione delle minacce del Dipartimento della Difesa (DoD Insider Threat Management and Analysis Center) di eseguire ricerche nei database attraverso i nomi. I risultati del recupero di tale strumento dovrebbero includere: foto, testo e azioni — tipo i like o i retweet — presi online da «autori chiave» senza richiedere agli analisti del Department of Defense Insider Threat Managment and Analysis Center (11) di visitare i siti dei social media. L’esercito degli Stati Uniti d’America ha annunciato nel maggio 2021 di aver sviluppato un metodo per rilevare i deepfake (12), che potrebbe portare allo sviluppo di una tecnologia militare avanzata per aiutare i soldati a rilevare e identificare rapidamente le minacce legate alla predetta questione. I deepfake sono media sintetici in cui una persona in un’immagine o in un video esistente viene sostituita con la somiglianza di qualcun altro. Sebbene l’atto di falsificare i contenuti non sia nuovo, i deepfake sfruttano le potenti tecniche dell’apprendimento automatico e dell’intelligenza artificiale per manipolare o generare contenuti visivi e audio con un alto potenziale di inganno. I principali metodi di machine learning utilizzati per creare deepfake si basano sul deep learning e coinvolgono l’addestramento di architetture di reti neurali generative, come gli autoencoder o le reti generative di contraddittorio (GAN). L’obiettivo di questo sforzo di ricerca contro i deep-
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fake è sviluppare una tecnologia di riconoscimento biometrico facciale leggera, a basso costo ma ad alte prestazioni, che si traduce in una soluzione tecnologica innovativa chiamata DefakeHop. Le prestazioni di DefakeHop sono significativamente in anticipo rispetto all’attuale stato dell’arte del settore e la sua innovazione chiave è un framework teorico e matematico chiamato Continuous Subspace Learning (SSL).
§7. La «deterrenza integrata» statunitense: dall’intelligenza artificiale al 5G Riguardo invece al 5G, il Dipartimento della Difesa lo considera una priorità chiave per la modernizzazione, richiedendo 1,5 miliardi di dollari di finanziamenti per programmi 5G e microelettronica nella sua richiesta di bilancio fiscale 2021. Nel 2020, il Dipartimento della Difesa aveva annunciato un investimento di 600 milioni di dollari in banchi di prova 5G in cinque strutture militari statunitensi, con sforzi di test incentrati su come i militari possano sfruttare diverse applicazioni o concetti, tra cui l’utilizzo dinamico dello spettro, comando e controllo abilitati al 5G, biblioteca intelligente e logistica, realtà virtuale e incrementata. I primi 5 siti costituiscono il Batch 1 del programma 5G del Dipartimento della Difesa. Nel 2021, il Dipartimento della Difesa ha assegnato contratti a sette siti Batch 2. Le iniziative in queste basi includono la connettività wireless, l’uso del 5G per migliorare la prontezza della missione dell’aeromobile e l’addestramento immersivo abilitato al 5G. In entrambi i
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lotti, ogni progetto include un banco di prova, applicazioni in fase di dimostrazione e miglioramenti della rete o strumenti che siano in grado di essere utilizzati per ottimizzare le reti 5G. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America ritiene che il suo piano 5G comprenda tre forze trainanti: (a) accelerazione, stimolando l’uso della tecnologia 5G attraverso esperimenti e sviluppo di prototipi avanzati per applicazioni a duplice uso; (b) penetrazione operativa, attraverso lo sviluppo della tecnologia per proteggere il 5G e sostenere l’uso non sicuro delle reti sicure; (c) l’innovazione, conducendo la ricerca e lo sviluppo necessari per giungere in 6G e oltre. Il programma ha compiuto progressi significativi a giugno con la dimostrazione di successo di una suite di reti 5G avanzate progettate e costruite esclusivamente negli Stati Uniti d’America per la modernizzazione della logistica. Il progetto prototipo, intitolato Smart Warehouse Technology Early Capability Demonstration, prevede un investimento totale di 90 milioni di dollari e utilizza 380 MHz di spettro a banda media e onde millimetriche, fornendo download ad alta velocità di 1,5 gigabit al secondo e latenza inferiore a 15 millisecondi (13). Il prototipo del sistema dimostrato è basato sullo standard Open Radio Network di nuova generazione ed è conforme alle specifiche Zero Trust Architecture del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America per la sicurezza locale e la connettività sicura ad altre reti. Al termine del progetto, il sistema prototipo sarà
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distribuito come rete privata alla base logistica del Corpo dei Marines ad Albany (Georgia) utilizzando fino a 750 megahertz di larghezza di banda disponibile per prestazioni più elevate. Il prototipo è la prima dimostrazione di avanzamento nel Batch 1 di progetti 5G. In dettaglio, sempre nell’ambito del piano 5G, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha assegnato nel marzo 2022 un contratto triennale da 10 milioni di dollari alla Cubic Nuvotronics, una consociata interamente controllata dalla statunitense Cubic Corporation. In base al contratto, Cubic Nuvotronics svilupperà un ricetrasmettitore per comunicazioni di rete wireless (WNCT) dual-band, ad altissime prestazioni, di piccole dimensioni, leggero e a bassa potenza per applicazioni militari. Il funzionamento simultaneo a doppia banda del WNCT fornisce una maggiore resilienza operativa e garantisce anche una bassa latenza per i dati ad alta velocità senza alcuna interferenza con l’attuale spettro operativo del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. Il Dipartimento ha assegnato alla Viasat — società di comunicazioni con sede in California — due contratti nel settembre 2021 per studiare l’uso e l’implementazione delle reti 5G sul campo di battaglia, con l’obiettivo di esplorare come la tecnologia 5G può migliorare le capacità operative. La Viasat sfrutterà la sua esperienza di sicurezza informatica, di rete e wireless 5G per aiutare il Dipartimento della Difesa a capire come utilizzare al meglio la tecnologia 5G per consentire operazioni multi-dominio nei futuri piani operativi congiunti, comprese le capacità Joint All-Domain Command and Control (JADC2). Il Dipartimento della Difesa ha assegnato inoltre alla Penguin Computing due contratti per un totale di 68 milioni di dollari nel settembre 2021 per la fornitura di due super computer ad alte prestazioni e delle relative capacità per la Marina e l’Aeronautica. Finanziato dal Programma di modernizzazione del calcolo ad alte prestazioni (HPCMP) del Dipartimento della Difesa, il sistema e il software miglioreranno significativamente la capacità del Dipartimento della Difesa di risolvere i problemi più impegnativi e ardui dal punto di vista computazionale. Queste capacità di elaborazione avanzate sono disponibili per tutte le agenzie dipendenti dai Servizi e del Dipartimento della Difesa.
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All’inizio del 2022 sono state fatte interessanti scoperte nella ricerca sull’informatica quantistica finanziata dall’Esercito e dall’Aeronautica degli Stati Uniti d’America; tra queste l’University of Massachusetts Amherst ha trovato un nuovo modo per correggere spontaneamente gli errori nell’informatica quantistica, in modo da proteggere le informazioni quantistiche dall’ipertermia. L’impatto degli errori nel sistema di guida può essere notevolmente migliorato, contribuendo così a ridurre il carico sui futuri computer. Inoltre la Louisiana State University ha corretto le informazioni distorte nel sistema quantistico composto da fotoni attraverso la tecnologia di apprendimento automatico e i risultati della ricerca possono essere utilizzati nella comunicazione quantistica, nella crittografia quantistica e nel rilevamento quantistico. Infine la Pritzker School of Molecular Engineering dell’Università di Chicago ha stabilito un nuovo metodo per la comunicazione quantistica, inviando entangled qubit attraverso un cavo di comunicazione per collegare due nodi di rete, aprendo così la strada all’applicazione di reti quantistiche su larga scala. Oltre a tutto questo la US Air Force Research Laboratory ha annunciato nel gennaio 2021 che la US Air Force Office of Scientific Research (AFOSR), la National Research Foundation of Korea e il Korea Institute for Information and Communication Technology Planning and Evaluation (IITP) hanno lanciato congiuntamente una gara d’appalto per fornire sovvenzioni triennali che promuovano congiuntamente la scienza e la tecnologia dell’informazione quantistica. Il progetto mira a continuare a fornire opportunità a scienziati e ingegneri di entrambi i paesi per far avanzare reciprocamente le tecnologie emergenti. Le aree della futura ricerca collaborativa elencate nel progetto includono l’elaborazione delle informazioni quantistiche, la simulazione quantistica, lo sviluppo di nuovi qubit e altro ancora.
§8. Verso una conclusione… aperta Quanto finora riportato è solo un incipit di una problematica complessa che possiede un ampio spettro di applicazioni e conseguenze, sullo stesso modo di «pensare» strategicamente e ho proceduto, volutamente, per flash informativi (né si avrebbe potuto fare diversamente). Pertanto, quando si parla di IA, Machine Learning e quanto d’altro, si tratta di metodologie agili, contrarie ai waterfall tradizionali (14) per non parlare delle ricadute della quantistica nella vita delle comunicazioni oppure del 5G. Anche in tali ambiti gli Stati Uniti si evidenziano come la super-potenza mondiale per capacità, uso delle tecnologie e anche sapiente selezione di gruppi d’impresa all’avanguardia nonché di contatti proficui e profondi col mondo della ricerca e dell’università. Gli Stati Uniti e i paesi europei rafforzeranno sempre più la ricerca in tale settore e miglioreranno lo sviluppo della tecnologia e delle apparecchiature di rete di comunicazione sul campo di battaglia, innovando le infrastrutture, migliorando i programmi applicativi, introducendo tecnologie emergenti ed espandendo i canali di rete, con l’obiettivo di creare un sistema senza interruzioni, sicuro, affidabile ed efficiente quale rete di comunicazione, che utilizzi una valida integrazione dei dati per ottenere vantaggi in termini di consapevolezza situazionale, comando, controllo e processo decisionale. In particolare, le Forze armate statunitensi ritengono che sia quanto mai urgente migliorare la capacità di produrre rapidamente un software sicuro e resiliente per mantenere un vantaggio competitivo da grande potenza. Tutto ciò è inevitabile. Con la promozione della competizione strategica tra le grandi potenze come direzione di marcia principale, gli Stati Uniti prestano sempre più attenzione al confronto delle informazioni nel dominio cognitivo, con l’obiettivo di rafforzare la consapevolezza situazionale rafforzando la raccolta di informazioni pubbliche, sviluppare tecnologie di identifica-
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Diagramma concettuale dell'architettura Joint Cyber Warfighting (rappresentazione GAO della documentazione del Dipartimento della Difesa defense.gov).
zione e di individuazione per proteggere la sicurezza dell’informazione presso l’opinione pubblica, nonché esercitare influenza per combattere la volontà bellica di avversari strategici. Tutto ciò si traduce nel realizzare la superiorità dell’informazione nelle operazioni e, possibilmente, raggiungere l’obiettivo di «sconfiggere il nemico senza combattere». Tuttavia, nell’ambito di un processo di gestione e quindi di decision making si presuppone un vero e proprio cambiamento di mentalità dei leader contemporanei. I software, si ritiene, non potranno essere sufficienti né potenti abbastanza se non accompagnati da una struttura di leadership che abbia la chiarezza sulla big picture, cioè degli obiettivi strategici, e allo stesso tempo la capacità di muoversi con la stessa flessibilità del software. Questo comporta anche un necessario upgrade della classe politica e quindi dei decision maker, affinché le decisioni possano essere prese anche in considerazione di una dimensione «etica», ovvero quell’ «etica della responsabilità». 8 NOTE (1) Cfr. Ferdinando Sanfelice di Monteforte, La Strategia. Antologia sul dibattito strategico ordinata per argomenti, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, passim. (2) Lo spazio cyber è uno spazio di criticità geopolitiche, cfr. Ceccarelli Morolli, Appunti di Geopolitica, Ed. Valore Italiano, Roma 2018. (3) Sul tema, cfr. G. E. Valori, Intelligenza artificiale tra mito e realtà. Motore di sviluppo o pericolo imminente?, Soveria Mannelli, Ed. Rubbettino, 2021, passim. (4) Ved.: www.secrss.com. (5) www.swri.org. (6) Denominato come: Intrusion Detection System, in sigla IDS. (7) Cfr.: https://www.overtdefense.com/2021/07/13/whiddler-air-force-licenses-its-anti-malware-software-to-the-private-sector. (8) Ossia una suddivisione di un processo in due o più filoni (istanze) o sottoprocessi che vengono eseguiti concorretemene da un sistema di elaborazione monoprocessore (monothreading) o multiprocessore (multithreading). (9) https://intelligencecommunitynews.com/uscybercom-posts-wolfdoor-rfi. (10) www.ncia.nato.int/about-us/newsroom/agency-awards-firefly-contract-for-deployable-communications-and-information-systems.html. (11) www.dcsa.mil/Portals/69/documents/about/err/DSS_ACCESS_v6i1.pdf. (12) Il deepfake è definito come un «filmato che presenta immagini corporee e facciali catturate in Internet, rielaborate e adattate a un contesto diverso da quello originario tramite un sofisticato algoritmo» (cfr. www.treccani.it/vocabolario/deepfake_%28Neologismi%29). (13) In informatica e telecomunicazioni, la latenza (ovvero tempo di latenza, in inglese, latency), indica in un sistema di elaborazione dati e o di telecomunicazioni, l’intervallo di tempo che intercorre fra il momento in cui viene inviato l’input/segnale al sistema e il momento in cui è disponibile il suo output. (14) I waterfall prevedono l’esecuzione lineare di una precisa sequenza di fasi, ciascuna delle quali genera un output utilizzato come input dalla fase successiva, da qui l’origine del termine «a cascata».
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PRIMO PIANO
Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi Pierluigi Barberini
Introduzione Nel corso degli ultimi decenni, i sistemi «unmanned», cioè senza operatore umano a bordo (comunemente chiamati «droni») si sono resi protagonisti di uno sviluppo fondamentale a livello militare, entrando a far parte degli arsenali di numerosi paesi e andando a rafforzare le capacità operative esprimibili dalle Forze ar-
mate di diversi Stati. Il dominio aereo rappresenta senza ombra di dubbio quello in cui i sistemi unmanned hanno avuto lo sviluppo maggiore, e nel quale essi vengono quotidianamente impiegati in missioni operative che spaziano da quelle di tipo «Intelligence, Surveillance, Reconnaissance» (ISR) a quelle che prevedono l’ingaggio di obiettivi a terra mediante il munizionamento tra-
Analista responsabile del desk Difesa & Sicurezza del CeSI - Centro Studi Internazionali. Laureato con lode e menzione speciale in Relazioni Internazionali - Major in Global Studies - presso l’Università LUISS, ha svolto un periodo di studio all’estero in Israele. Durante il percorso di laurea magistrale ha frequentato una Summer School congiunta LUISS-Esercito italiano, prendendo parte, per due settimane, alla missione NATO KFOR - Joint Enterprise in Kosovo. Ha conseguito un master di II Livello in «Homeland Security». Commentatore televisivo e radiofonico per network quali TV2000, RaiNews, TgCom24 e Radio Vaticana, i suoi ambiti di analisi si focalizzano su multi-dominio, sicurezza marittima, difesa europea, nuove tecnologie e green defense.
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I test di Leonardo sui nuovi sistemi unmanned su nave FASAN
sportato da tali assetti, andando così a integrare in modo strutturato le capacità esprimibili dai velivoli pilotati. Tuttavia, nel corso degli ultimi tempi, e con uno sguardo proiettato verso il futuro, sta crescendo sempre più lo sviluppo di sistemi unmanned in ambito marittimo, con numerose Forze navali che guardando con sempre maggiore attenzione e interesse al mondo dei cosiddetti «Maritime Unmanned Systems» (MUS). In generale, nella categoria dei sistemi unmanned marittimi, vengono ricompresi tutti i sistemi, sottosistemi, veicoli, componenti, equipaggiamento e logistica per operare piattaforme senza pilota: caratteristica fondamentale è pertanto l’assenza di personale umano a bordo di tali mezzi (1). Nel dominio marittimo, tali sistemi possono includere assetti navali di superficie, assetti che operano sotto la superficie e assetti aerei. Questa analisi si concentrerà sulle prime due tipologie, prendendo in esame le potenzialità e le ripercussioni tecnologiche, dottrinali e operative sottese allo sviluppo dei cosiddetti «Unmanned Surface Vehicles» (USVs) e «Unmanned Underwater Vehicles» (UUVs).
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Il contesto di riferimento: tra sviluppo tecnologico e competizione geopolitica I sistemi unmanned marittimi costituiscono già una realtà e a oggi vi sono vari sistemi che sono operativi, in alcuni casi già da numerosi anni, presso diverse Marine militari nel mondo. Si pensi, a titolo di esempio, alla US Navy, che già nel 2003 utilizzò l’Autonomous Underwater Vehicle (AUV) Swordfish Mk 18 Mod 1, basato sulla piattaforma REMUS 100 — un sistema di piccole dimensioni, della lunghezza di circa 1,60 metri — in attività di ricerca e contrasto alle mine navali in Iraq, nell’ambito dell’Operazione Iraqi Freedom (2003-2011) (2). Tuttavia, in tempi recenti, e soprattutto con uno sguardo rivolto al futuro, si stanno sviluppando sistemi unmanned sempre più complessi e di maggiori dimensioni, che possano operare insieme alle unità navali tradizionali con equipaggio a bordo, integrandosi a pieno titolo nella condotta di operazioni navali complesse e strutturate, ma che possano anche operare in completa autonomia, sostituendosi alle unità tradizionali nello svolgimento di determinate funzioni, sgravando in tal
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Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
modo gli assetti con equipaggio a bordo, più grandi e costosi, da compiti meno complessi nonché più ripetitivi e degradanti per il personale. La rinnovata attenzione verso tali sistemi è dovuta a molteplici fattori; tuttavia, due in particolare sono quelli degni di menzione in quanto, probabilmente più di altri, risultano decisivi nel determinare il forte interesse che sta emergendo, ormai da tempo, nei confronti di tali piattaforme. Il primo fattore è inevitabilmente legato allo sviluppo tecnologico. I progressi compiuti in settori quali la robotica, l’Intelligenza Artificiale, le telecomunicazioni, la miniaturizzazione di sensori sempre più performanti e complessi, permettono oggi di progettare e realizzare piattaforme navali da combattimento complesse, in grado di operare con pochissimo personale a bordo (le cosiddette navi «optionally manned» o «lightly manned») oppure in maniera completamente autonoma, senza alcun bisogno dell’operatore umano fisicamente presente a bordo del vascello (i sistemi unmanned per l’appunto). Il secondo fattore è legato invece alle attuali dinamiche geopolitiche globali e al contesto operativo che ne deriva per le Forze navali. Come dimostrato dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, il sistema internazionale è da anni entrato in una fase che vede nel ritorno alla competizione globale tra grandi potenze una delle dinamiche fondamentali che plasmeranno gli attuali e futuri equilibri mondiali. Lo stesso ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato nel mese di aprile come la guerra mossa dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, definita da Mosca «un’operazione militare speciale», abbia, tra i suoi obiettivi, quello di porre fine a un ordine internazionale basato sulla predominanza degli Stati Uniti e dei paesi loro alleati (3). Anche la Repubblica Popolare Cinese aspira a diventare una potenza globale di prim’ordine entro il 2049 e a instaurare un’architettura mondiale alternativa a livello politico, economico e culturale a quella occidentale, in cui le proprie Forze armate possano competere alla pari con quelle di qualsiasi altro attore internazionale (4). Tale scenario si traduce, a livello militare e operativo, in un ritorno a forme di conflittualità convenzionale e di competizione con avversari cosiddetti near-peer o peer-to-peer, dina-
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mica esemplificata non solo dal conflitto inter-statale tra Russia e Ucraina, ma anche dal ritiro americano e NATO dall’Afghanistan. Tale evento in qualche modo, infatti, va a cristallizzare la rinnovata attenzione da parte delle Forze armate americane (e occidentali) verso la competizione con eserciti e forze regolari, segnando parallelamente una riduzione dell’impegno nella lotta al terrorismo e dell’attenzione prioritaria accordata alle operazioni di contro-insorgenza. In altre parole, le grandi potenze mondiali stanno preparandosi per un confronto a più livelli dove lo strumento militare svolgerà un ruolo di primo piano, con diversi attori apparentemente disposti a utilizzarlo (o quantomeno a minacciarne l’utilizzo) al fine di aumentare la propria sfera di influenza e di imporre la propria agenda a livello internazionale su competitor e avversari. Lo scenario appena descritto ha delle ripercussioni importanti a livello marittimo: infatti, tale dominio è al centro della competizione geopolitica globale e presenta crescenti e complesse minacce in termini di sicurezza. Da un lato si pensi al fatto che il 90% circa dei beni commercializzati a livello globale sono trasportati
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Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
dottrine operative e nuove capacità per la US Navy, nell’ambito delle quali lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi dovrebbe costituire uno dei fattori più importanti.
Le operazioni marittime distribuite della US Navy e lo sviluppo di una flotta unmanned
In questa immagine dell'handout della Marina degli Stati Uniti, un drone di sorveglianza marittima senza pilota MQ-9 SEA GUARDIAN sorvola la USS CORONADO nell'Oceano Pacifico durante un'esercitazione (foto di Shannon Renfroe tramite AP).
via mare (5), che il 98% circa delle comunicazioni digitali mondiali viaggia attraverso le dorsali dei cavi di comunicazione sottomarini, i quali si estendono per oltre 1,2 milioni di chilometri sul fondo dei mari (6). Si può dunque affermare che gli oceani costituiscano le arterie del commercio e dell’economia mondiali (attraverso le cosiddette Sea Lines of Communication SLOCs) ma anche il sistema nervoso delle comunicazioni digitali globali che unisce tutti i principali nodi planetari (attraverso la rete di cavi sottomarini). Non sorprende, dunque, che il dominio marittimo nella sua interezza sia al centro degli interessi economici, commerciali, infrastrutturali, e di conseguenza anche politici e securitari, di una vasta platea di attori internazionali. Dall’altro lato, la regione dell’Indo-Pacifico, caratterizzata da immense distese oceaniche e distanze geografiche rilevanti, sarà sempre più al centro della contrapposizione tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima percepita sempre più da Washington come il competitor strategico numero uno nel lungo periodo. Da queste considerazioni e dallo scenario geopolitico appena descritto, deriva la necessità di sviluppare nuove
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La US Navy è, di fatto, uno degli attori che da tempo sta investendo maggiormente sulle tecnologie di tipo unmanned in ambiente marittimo, cercando di sviluppare sia nuove capacità sia nuovi concetti operativi circa l’impiego attivo di tali piattaforme in contesti navali più o meno complessi. Il cambiamento, tuttavia, non è solo di carattere tecnologico e operativo, ma anche e soprattutto dottrinale. Si può affermare, infatti, che lo sviluppo di sistemi unmanned marittimi, seppur in corso da decenni, abbia negli ultimi anni acquisito ulteriore importanza alla luce del parallelo sviluppo della nuova dottrina delle cosiddette «Distributed Maritime Operations» (DMO Operazioni Marittime Distribuite). Lo sviluppo di tale dottrina parte dall’analisi del contesto securitario e operativo in cui la US Navy ritiene di dover operare in maniera prioritaria in futuro, ovvero il teatro dell’Indo-Pacifico. In tale contesto, le enormi distanze geografiche, lo sviluppo delle capacità aero-navali da parte delle Forze armate cinesi, nonché la crescita delle capacità missilistiche delle stesse e la creazione di una serie di bolle «Anti-Access/Area-Denial» (A2/AD) nella regione, focalizzate sulla componente anti-nave, hanno portato la Marina americana ad avviare un processo di riflessione per comprendere come adattarsi ed evolversi per rispondere al meglio a tali minacce. Da qui nasce la dottrina delle DMO, ancora in fase di completa definizione, il cui concetto base consiste nel disporre di una flotta più agile, versatile e distribuita, che non faccia più riferimento unicamente al singolo gruppo da battaglia delle portaerei americane, il Carrier Strike Group, ma che preveda invece un’architettura più ampia e distribuita, in grado allo stesso tempo di integrare tutti gli assetti a livello della flotta, al fine di sincronizzarne gli effetti attraverso lo spettro di tutti i domini operativi (7). L’idea di fondo è dunque quella di avere una flotta più «dispersa» e distribuita e meno concentrata, al fine di aumentarne le capacità di sopravvivenza in termini difensivi, ma anche la letalità da parte dei propri assetti offensivi (8).
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Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
Lo sviluppo di nuove dottrine d’impiego delle proprie forze da parte della US Navy (e, in parallelo, dello US Marine Corps, con le «Expeditionary Advanced Base Operations» - EABO) si riflette anche nella pianificazione di medio e lungo periodo della struttura e della composizione della flotta navale americana. Negli ultimi anni, tra l’immissione in servizio attivo di nuove unità e la ritirata dal servizio attivo delle piattaforme più obsolete, la dimensione complessiva della flotta navale americana oscillava tra le 270 e le 300 navi circa (9). In particolare, secondo alcune fonti, la US Navy, ad aprile 2022, vanta 298 unità in servizio attivo (10). Nel 2017, la US Navy ha rilasciato un piano (Navy’s Force-Level Goal) che prevede la costruzione e il mantenimento di una flotta composta complessivamente da 355 unità navali, obiettivo approvato ufficialmente dal Congresso americano nel 2018 e da raggiungere nel corso dei prossimi anni. Tale obiettivo deriva da alcune valutazioni compiute dalla US Navy nel 2016, relativamente al contesto geopolitico e operativo di riferimento, tipologia delle minacce da affrontare, obiettivi politico-strategici da raggiungere e profili di impiego operativo delle navi. Tale piano da 355 unità non prevede alcuna tipologia di sistema unmanned, ma solo e unicamente navi con equipaggio a bordo (11). Tuttavia, a partire dal 2019, la US Navy e più in generale il Dipartimento della Difesa americano hanno iniziato a lavorare a un nuovo piano di lungo periodo (Navy’s Next Force-Level Goal) che tenga conto dei mutamenti nel contesto geopolitico di riferimento, degli ulteriori progressi compiuti dalle Forze armate cinesi nel corso degli ultimi anni, ma anche dei cambiamenti dottrinali in corso proprio all’interno della stessa US Navy, e più in generale in ambito a tutte le Forze armate americane. Secondo diverse dichiarazioni rilasciate da ufficiali della Marina americana e del Pentagono nel corso degli ultimi anni, il nuovo piano introdurrà un cambiamento nell’architettura della flotta del tipo di quelli che avvengono una sola volta in una generazione (once-in-ageneration change) (12), per rimarcare la profondità e l’importanza di tale processo. In particolare, sul modello della dottrina delle DMO, la nuova flotta americana dovrebbe avere un’architettura più «distribuita» rispetto a quella prevista nel piano da 355 navi o in
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quelli che sono stati approvati nel corso degli anni precedenti. Nello specifico, secondo tale modello, la composizione della futura flotta americana dovrebbe essere caratterizzata da: una percentuale minore di unità maggiori, quali incrociatori, cacciatorpedinieri ed eventualmente anche di grandi navi anfibie e di portaerei; una percentuale maggiore di unità minori, quali fregate, corvette e nel caso anche di navi anfibie e di portaerei dalle dimensioni più contenute; infine, da una terza linea di navi di superficie, delle dimensioni di corvette e pattugliatori, che saranno di tipo unmanned o caratterizzate da una presenza estremamente ridotta di personale a bordo (lightly manned) oppure del tipo optionally manned, cioè con possibilità di operare sia con sia senza equipaggio, in aggiunta inoltre a sistemi di tipo UUV (13). Ecco che dunque, nelle intenzioni della US Navy e dello US Marine Corps, la transizione verso un’architettura della flotta navale più distribuita, che rifletta le caratteristiche appena menzionate, e l’ingresso in servizio attivo di una serie di sistemi unmanned serviranno proprio a supportare il passaggio e l’implementazione delle nuove dottrine di impiego a livello marittimo, nello specifico appunto le Distributed Maritime Operations della US Navy e le Expeditionary Advanced Base Operations dei Marines. In tal senso, secondo diversi documenti rilasciati dalla Marina americana nel corso degli ultimi mesi, si parla di una flotta
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Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
composta da un massimo di 688 unità navali, di cui massimo 242 unmanned, nella versione più ambiziosa e difficilmente realizzabile, rilasciata nel dicembre 2020, durante le ultime settimane dell’amministrazione Trump, oppure di una flotta costituita da un massimo di 512 unità, di cui massimo 140 unmanned, in un nuovo documento rilasciato nel giugno 2021, pochi mesi dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden (14), una visione sicuramente più pragmatica e percorribile. Di recente, nel febbraio 2022, l’ammiraglio Mike Gilday, Chief of Naval Operations, ha dichiarato come la US Navy necessiti di una flotta composta in totale da circa 513 navi, di cui 150 unmanned, tra sistemi di superficie e sottomarini (15). Nell’aprile del 2022, la US Navy ha presentato il piano di costruzioni navali a lungo termine (30 anni) per la propria flotta, il quale include tre studi differenti per il «Force-Level Goal» dei prossimi anni. Secondo tali studi, la composizione della flotta nei prossimi decenni potrà variare in un range compreso tra le 321 e le 404 unità totali, di cui tra le 45 e le 204 di tipo unmanned (16). Riassumendo, l’enfasi riposta sul concetto di architettura distribuita e sulla necessità di sviluppare unità unmanned riflette il cambiamento dottrinale in corso nell’ambito della US Navy e dello US Marine Corps, a sua volta parte di un più ampio processo di riflessione da parte delle Forze armate americane circa lo sviluppo Il drone X-47B della marina statunitense viene lanciato a maggio al largo della portaerei a propulsione nucleare USS GEORGE HW BUSH al largo della costa della Virginia (foto di Erik Hildebrandt U.S. Navy).
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delle cosiddette Operazioni Multi-Dominio, il quale rappresenta la risposta da parte del Dipartimento della Difesa americano al nuovo scenario geopolitico e militare e soprattutto al crescente confronto con la Repubblica Popolare Cinese nell’Indo-Pacifico, confronto di cui la dimensione marittima rappresenta forse il dominio più importante e decisivo. In tale ottica, il passaggio a una flotta più distribuita e l’entrata in servizio di sistemi marittimi unmanned, nelle intenzioni americane, dovrebbero offrire una serie di vantaggi, rispetto proprio al confronto con la Cina. Da un punto di vista operativo, l’entrata in servizio di sistemi marittimi unmanned permetterebbe di aumentare il numero complessivo di unità navali facenti parte della flotta americana, al fine di tenere il passo con la Marina militare cinese, ormai divenuta la più grande al mondo in termini di numero di navi complessive in servizio (17); a sua volta, ciò dovrebbe permettere di implementare il passaggio verso un’architettura più distribuita della flotta americana, elemento che si traduce in una maggiore difficoltà da parte dei competitor nel monitorare, individuare, identificare e, in ultima istanza, eventualmente colpire le unità statunitensi; inoltre, l’utilizzo di sistemi unmanned permetterebbe di sostenere un certo numero di perdite in caso di conflitto, in termini di capacità complessive esprimibili dalla Marina, senza tradursi anche in perdite di vite umane; da ultimo, permetterebbe di aumentare la versatilità, la modularità e la «riconfigurabilità» della flotta, alla luce dei molteplici carichi di payload differenti che i sistemi unmanned dovrebbero trasportare (18). Un ulteriore vantaggio è quello legato ai fattori economici: secondo la US Navy, infatti, al fine di generare un determinato pacchetto di capacità navali, una flotta unmanned non sarebbe più costosa rispetto a quella con equipaggio a bordo, al contrario, porterebbe financo a una riduzione dei costi complessivi. Infine, in virtù dei progressi tecnologici fin qui compiuti e del fatto che diversi applicativi e soluzioni sono già testati da tempo, l’integrazione di una flotta unmanned sarebbe tecnicamente fattibile (technically feasible), andando da un lato a fare leva su sistemi in parte già esistenti, e dall’altro su concetti e tecnologie che, da un punto di vista di ricerca e sviluppo, non presen-
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terebbero particolari rischi in più rispetto allo studio di sistemi paralleli per le unità manned. In sintesi, la US Navy ritiene che il rischio tecnologico complessivo dovuto alla realizzazione, integrazione e mantenimento di una flotta unmanned sia gestibile e non superi quello legato allo sviluppo di nuove capacità e tecnologie per le navi con equipaggio (si pensi, in tal senso, al progetto della classe «Zumwalt», costato complessivamente circa 22,5 miliardi di dollari per la realizzazione di sole tre unità (19)). Come detto, dunque, la Marina americana sta da anni testando e sviluppando diversi sistemi marittimi di tipo unmanned. Tra le unità di superficie, la US Navy distingue quattro categorie: large, medium, small e very small. In particolare, sono le prime due categorie (large e medium) quelle che, nelle intenzioni della Marina americana, dovrebbero affiancarsi alle unità tradizionali con equipaggio a bordo per la condotta di operazioni navali complesse e strutturate. I sistemi «Large Unmanned Surface Vehicles» (LUSVs) dovrebbero avere un dislocamento compreso tra le 1000 e le 2000 tonnellate e dovrebbero essere equipaggiati con 16-32 celle di lancio verticali per missili anti-nave e «land-attack», mentre i sistemi «Medium Unmanned Surface Vehicles» (MUSVs) dovrebbero avere un dislocamento attorno alle 500 tonnellate ed essere equipaggiati con sensori di tipo ISR ed EW (Electronic Warfare). Dunque, la US Navy, al momento, sta vagliando delle soluzioni che permettano di avere in futuro sistemi unmanned dediti alla condotta tanto di operazioni di combattimento, in supporto alle unità principali con equipaggio a bordo, quanto di attività di presenza, sorveglianza, pattugliamento e ricognizione. Per quanto concerne invece i sistemi unmanned sottomarini, anch’essi classificabili in quattro categorie — small, medium, large ed extra-large — la US Navy, sempre nell’ambito della futura strutturazione di una flotta ad architettura distribuita, sta focalizzando gli sforzi sull’ultima categoria. Uno dei principali progetti in fase di studio, relativo proprio alla realizzazione di un sistema «Extra-Large Unmanned Undersea Vehicle» (XLUUV) è il Programma Orca, il cui partner industriale selezionato è l’azienda Boeing. Tale UUV, che si ispira a sua volta al sistema Echo Voyager della
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stessa Boeing, dovrebbe avere una lunghezza attorno ai 16 metri, un dislocamento attorno alle 50 tonnellate e un raggio operativo fino a circa 10.000 km (20). Al momento, a livello di payload, l’attenzione è posta sulla capacità di trasportare e rilasciare mine navali, ma in futuro lo sviluppo della piattaforma potrebbe portare all’integrazione di siluri anti-sottomarino (21). Come accennato in precedenza, accanto allo sviluppo di singoli sistemi e applicativi a livello tecnologico, la US Navy sta cercando di comprendere come sfruttare al massimo le capacità delle piattaforme unmanned anche da un punto di vista dottrinale e operativo. In tale ottica, nel settembre 2021, la Marina americana ha istituito la Task Force 59 (22), la prima task force completamente unmanned nella storia della US Navy. Creata dallo US Naval Forces Central Command (NAVCENT), nell’area di responsabilità della US 5th Fleet, la Task Force opera nel Medio Oriente e, avvalendosi di sistemi quali gli USVs Sea Hunter, Sea Hawk e Mantas T-12, nonché di «Unmanned Aerial Vehicles» (UAVs) come l’MQ-9B Sea Guardian, intende perseguire tre obiettivi principali: a livello operativo, incrementare le capacità di maritime situational awareness a livello regionale, in un’area percorsa da elevate tensioni geopolitiche e securitarie e in cui la dimensione marittima sta assumendo un’importanza crescente; a livello dottrinale, testare nuovi «Concepts of Operations» (CONOPS) relativi all’impiego di si-
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Gli ingegneri della Lockheed Martin a Palm Beach, in Florida, progetteranno un veicolo sottomarino senza pilota extra large, Orca, per la Marina degli Stati Uniti per supportare i requisiti della missione della Marina (per gentile concessione di Lockheed Martin).
stemi unmanned e all’integrazione di tali assetti nell’ambito della condotta di operazioni navali più o meno complesse, in sinergia con unità tradizionali con equipaggio a bordo; infine, a livello tecnologico, testare sul campo gli ultimi sviluppi in settori quali la robotica, il cyber e l’Intelligenza Artificiale, in modo tale da migliorare ulteriormente le soluzioni attualmente in fase di studio, di progettazione e di test.
Le iniziative della NATO Anche la NATO si sta muovendo in tale direzione, ben consapevole dell’importanza di sviluppare piattaforme unmanned in ambito marittimo. Durante il Summit NATO di Bruxelles tenutosi nel luglio del 2018, i capi di Stato e di Governo dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica ribadirono l’importanza strategica del dominio marittimo e la necessità di investire in tecnologie di tipo unmanned in tale settore. Sulla scia di tali dichiarazioni, a distanza di poche settimane, nell’ottobre del 2018, i ministri della Difesa di 13 Stati membri (Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Turchia) firmarono una dichiarazione di intenti con l’obiettivo di sviluppare forme di cooperazione mirate allo sviluppo e all’introduzione di piattaforme unmanned nel dominio marittimo, dando così vita al Maritime Unmanned Systems (MUS) High Visibility Project (23). Tale iniziativa ha visto poi l’ade-
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sione di altri Stati, tra cui la Francia nel 2019 e Australia, Canada e Romania nel 2020. Al fine di valutare concretamente i risultati raggiunti nell’ambito di tale iniziativa, nel 2019 e poi nel 2021 è stata organizzata l’esercitazione multinazionale REP(MUS) — Recognized Environmental Picture, Maritime Unmanned Systems — ospitata in entrambe le edizioni dal Portogallo, e organizzata in collaborazione con l’Università di Porto e il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) della stessa NATO. L’obiettivo di entrambe le esercitazioni, cui ha preso parte anche l’Italia, consisteva nel testare l’impiego, in ambito marittimo, di molteplici piattaforme unmanned di diversa tipologia (unità di superficie, subacquee e aeree), verificando anche le modalità attraverso cui integrare tali sistemi con le unità navali munite di equipaggio nella condotta di operazioni navali tradizionali. In particolare, l’esercitazione REPMUS 21 si è rivelata estremamente importante poiché ha posto l’attenzione su due concetti fondamentali: interoperabilità e multi-dominio. Da un lato, infatti, tale esercitazione ha permesso di testare e integrare fra loro assetti e tecnologie diversi sviluppati da paesi differenti, rafforzando in tal modo l’interoperabilità tra le Forze armate dei paesi NATO in un segmento ancora in fase di sviluppo, e dunque non completamente maturo, come quello dei sistemi unmanned marittimi. Tale fattore è importante in quanto permette di progettare e sviluppare tali piattaforme nell’ottica di renderle fin dall’inizio interoperabili con i sistemi complementari realizzati dagli altri Stati membri. Dall’altro lato, secondo quanto dichiarato da Sean Trevethan, il direttore del NATO Maritime Unmanned Systems Innovation and Coordination Cell (24), nel corso dell’esercitazione sarebbe stata testata per la prima volta la capacità di connettere e integrare fra loro assetti unmanned operanti in contemporanea sopra e sotto la superficie dell’acqua, insieme ad assetti aerei in volo nell’area di operazioni. Di fatto, tale capacità di connettere sistemi in real-time, integrandoli perfettamente e permettendo loro di scambiarsi dati e informazioni in maniera costante e continuativa rappresenta uno degli abilitanti cruciali che si intendono sviluppare nell’ambito delle Operazioni Multi-Dominio. Essa costituisce inoltre
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una capacità fondamentale e caratteristica proprio delle piattaforme unmanned: infatti, in uno scenario futuro (in realtà non troppo lontano), in cui una serie di assetti senza equipaggio sono posti a sorveglianza e protezione di una infrastruttura critica, come per esempio un’area portuale, risulta fondamentale avere sistemi di superficie, subacquei e aerei in grado di svolgere missioni di pattugliamento continuo dell’area di interesse, ma in grado anche di scambiarsi informazioni in real-time tra di loro e con i nodi di comando e controllo, al fine di costruire e mantenere una situational awareness completa e costantemente aggiornata. In sostanza, riuscire a integrare i dati e le informazioni provenienti da assetti che operano in contemporanea sopra la superficie dell’acqua, al di sotto di essa e nello spazio aereo è fondamentale tanto in uno scenario operativo, nell’ambito della condotta di Operazioni Multi-Dominio, quanto nel caso di sistemi posti a continua sorveglianza e protezione di un’infrastruttura critica statica.
Conclusione Dallo scenario descritto emerge dunque come la progettazione e lo sviluppo di sistemi unmanned a livello marittimo stiano ricevendo un’attenzione sempre maggiore da parte delle Forze navali di diversi paesi, con gli Stati Uniti, come spesso accade, in prima linea nello sperimentare nuove tecnologie e piattaforme. Se fino a oggi il focus degli sforzi di ricerca e sviluppo è stato posto prevalentemente su sistemi di piccole dimensioni, in futuro l’attenzione si volgerà sempre più verso la progettazione e realizzazione di piattaforme più grandi e complesse, in grado di svolgere sia il ruolo di «sensori», al fine di incrementare la maritime situational awareness in una determinata area, sia il ruolo di «attuatori», partecipando in maniera attiva a operazioni navali complesse, ad alta intensità, e integrandosi con le unità navali tradizionali con equipaggio a bordo. La strada verso una flotta del futuro «ibrida», composta sia da assetti manned che unmanned, è ancora lunga; tuttavia, le premesse, a livello tecnologico, operativo e dottrinale, sembrano essere promettenti. 8
NOTE (1) NATO, Maritime Unmanned Systems, 2019, 20190909_190909-NMUS.pdf (nato.int). (2) M. Eckstein, US Navy nears decisions on new small, medium underwater drones, Defense News, 12 agosto 2021, US Navy nears decisions on new small, medium underwater drones (defensenews.com). (3) N. Musumeci, Russian foreign minister says Russia’s war with Ukraine is «meant to put an end» to US world domination and NATO expansion, Business Insider, 11 aprile 2022, Russian Foreign Minister: Ukraine War Meant to Stop US Domination (businessinsider.com). (4) China’s National Defense in the New Era, rilasciato da The State Council Information Office of the People’s Republic of China, 2019, . (5) Organisation for Economic Co-operation and Development, OECD, Ocean shipping and shipbuilding - OECD. (6) Audizione ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, 10 marzo 2022, evento | WebTV (camera.it). (7) E. Lundquist, DMO is Navy’s Operational Approach to Winning the High-End Fight at Sea, Seapower Magazine, 2 febbraio 2021, DMO is Navy’s Operational Approach to Winning the High-End Fight at Sea - Seapower (seapowermagazine.org). (8) B. Rosenberg, Distributed Maritime Operations: Dispersing The Fleet For Survivability And Lethality, Breaking defense, 15 settembre 2021, Distributed Maritime Operations: Dispersing The Fleet For Survivability And Lethality - Breaking Defense. (9) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 2. (10) R. O’Rourke, Defense Primer: Naval Forces, Congressional Research Service, 21 aprile 2022, IF10486 (congress.gov), pag. 2. (11) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 3. (12) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (13) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (14) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 8. (15) S. LaGrone e M. Shelbourne, CNO Gilday: We Need a Naval Force of Over 500 Ships, USNI News, 18 febbraio 2022, CNO Gilday: ‘We Need a Naval Force of Over 500 Ships’ - USNI News. (16) R. O’Rourke, Defense Primer: Naval Forces, Congressional Research Service, 21 aprile 2022, IF10486 (congress.gov), pag. 2. (17) F. Bahtic, Chinese Navy is the largest navy in world, new report shows, Naval Today, 5 novembre 2021, Chinese Navy is the largest navy in world, new report shows - Naval Today. (18) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (19) United States Government Accountability Office, DEFENSE ACQUISITIONS - Assessments of Selected Weapon Programs, marzo 2015, GAO-15-342SP, DEFENSE ACQUISITIONS: Assessments of Selected Weapon Programs, pag. 81. (20) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 21. (21) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 19. (22) US Naval Force Central Command, U.S. 5th Fleet Launches New Task Force to Integrate Unmanned Systems, 9 settembre 2021, U.S. 5th Fleet Launches New Task Force to Integrate Unmanned Systems > U.S. Naval Forces Central Command > Display (navy.mil). (23) NATO, Maritime Unmanned Systems, Factsheet, febbraio 2022, 2102-factsheet-mus.pdf (nato.int). (24) NATO, NATO tests unmanned vehicles at exercise REP(MUS) 21, 24 settembre 2021, NATO Multimedia - NATO tests unmanned vehicles at exercise REP(MUS) 21.
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PRIMO PIANO
L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore Gianmarco Donolato
Il sommergibile VENUTI dotato di un sistema di propulsione silenziosa basato sulla tecnologia delle celle a combustibile in cui l’energia elettrica viene prodotta tramite la reazione di ossigeno e idrogeno
Laureato in Relazioni Internazionali Comparate all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Dopo aver svolto un tirocinio a Mosca, presso la Camera di Commercio italo-russa, e uno a Bruxelles, alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’UE, si è trasferito nella capitale europea per lavorare alla Commissione europea. Collabora con il Centro Studi Geopolitica.info, per il quale si occupa di spazio post-sovietico e politiche energetiche e per il quale coordina il desk Energia e Ambiente.
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l ruolo dell’idrogeno nel dibattito sulla transizione energetica e le sfide a essa legate sta acquisendo sempre più peso e la prospettiva di vedere un suo utilizzo nei prossimi decenni si fa sempre più concreta. L’idrogeno sta assumendo un ruolo sempre più importante nello sviluppo di un’economia a zero emissioni di carbonio. La possibilità di produrre idrogeno verde, ovvero prodotto tramite elettrolisi dell’acqua con energia derivante da fonti rinnovabili, rendono l’idrogeno una risorsa potenzialmente illimitata e un vettore energetico ecologico, in quanto non genera anidride carbonica o altri gas a effetto serra. Non si possono ignorare le evidenti difficoltà che sono collegate a uno sviluppo e a un utilizzo commerciale dell’idrogeno, soprattutto nella sua variante verde, difficoltà principalmente legate ai costi necessari per la sua produzione e al ritardo dello sviluppo tecnologico del settore. Ciononostante, l’idrogeno sta conoscendo una crescente attenzione a livello politico e industriale, poiché detiene il potenziale di diventare il principale vettore nella transizione globale verso un’economia a basse emissioni di CO2. L’idrogeno verde o rinnovabile può essere utilizzato sia come vettore energetico o carburante per alimentare
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la mobilità sostenibile, sia per veicoli che per mezzi più pesanti, come camion o navi. Una delle applicazioni su cui si punta di più è l’alimentazione di celle a combustibile per i veicoli elettrici. In alternativa, l’idrogeno può essere utilizzato per immagazzinare l’energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili e per sopperire alla scarsezza di produzione quando le condizioni metereologiche non permettono di fare affidamento su di esse. L’idrogeno, dunque, ha potenzialità sia in quanto sostituto diretto degli idrocarburi utilizzati come combustibili per la mobilità, sia come «gregario» delle fonti di energia rinnovabile quali eolico o solare. Inoltre, con le dovute modifiche tecniche, l’idrogeno può sostituire il gas naturale nelle applicazioni domestiche relative al riscaldamento degli ambienti e delle risorse idriche. In breve, l’idrogeno ha enormi potenzialità che dovranno essere sviluppate con lungimiranza e a cui dovranno essere dedicati sostanziali investimenti, sia privati che pubblici (1). L’obiettivo di questo articolo è definire le maggiori potenzialità dell’idrogeno in tre contesti principali: lo sviluppo tecnologico a livello infrastrutturale legato alle hydrogen valleys e nell’ambito delle zone portuali, la possibilità di utilizzare l’idrogeno come carburante
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L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore
per navi (sia per uso civile che militare) e sottomarini e le questioni di sicurezza energetica e le conseguenze geopolitiche di una maggiore implementazione delle politiche energetiche gravitanti attorno all’idrogeno. Cercheremo anche di definire le principali difficoltà e gli ostacoli più impegnativi per il raggiungimento degli obiettivi definiti dagli accordi internazionali sul clima nel settore dell’idrogeno.
Hydrogen valleys e aree portuali italiane Sviluppo infrastrutturale e tecnologico per l’idrogeno Cos’è una hydrogen valley e perché risulta essere un concetto importante non solo per il percorso di decarbonizzazione dei sistemi economici mondiali, ma anche per la mobilità, l’innovazione tecnologica e il rinnovamento delle infrastrutture? Il concetto di hydrogen valley, letteralmente valle dell’idrogeno, indica un’area geografica in cui l’applicazione dell’idrogeno ha un valore fondamentale. Le cosiddette valli possono consistere in categorie geografiche diverse, ovvero si possono definire tali città, intere regioni isole, poli industriali, clusters economici e aree portuali. In ognuna di queste declinazioni, le applicazioni dell’idrogeno sono combinate in un ecosistema integrato. Tale applicazione rende una valle un’interessante proposta per lo sviluppo di sistemi economici e logistici alternativi e, soprattutto, a basse emissioni di gas a effetto serra. Lo scopo delle hydrogen valleys, oltre che quello di sviluppare determinate aree economico-geografiche di un Paese, è di dimostrare che un’economia basata sull’utilizzo dell’idrogeno è non solo possibile ma anche economicamente preferibile. Il potenziale della tecnologia è notevole. Con un’ampia gamma di possibili usi, l’idrogeno offre un percorso realistico per ridurre le emissioni in applicazioni e industrie hard to abate, termine utilizzato per indicare quei settori le cui emissioni, alla tecnologia attuale, sono difficili da abbattere. Le categorie interessate sono, tra le altre, i trasporti pesanti, il riscaldamento, la produzione di acciaio e l’industria chimica (2). Come evidenziato in precedenza, le difficoltà nel lanciare l’utilizzo dell’idrogeno sono numerose e complesse. Il settore deve riuscire a ridurre i costi di produzione e distribuzione e colmare le lacune infra-
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strutturali. Sarà solo il coordinamento tra parti interessate, industria, Governi, enti di ricerca e istituzioni a riuscire a dare risposta ai molti interrogativi ancora aperti. In particolare, la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo e l’intervento nei mercati svolgeranno un ruolo cruciale nello sviluppo dell’economia dell’idrogeno come opzione praticabile per la società (3). Ottenere risultati concreti nell’impiego dell’idrogeno rinnovabile e renderlo una quota consistente del mix energetico globale del futuro richiede la definizione di politiche nazionali e internazionali innovative e lo sviluppo di strutture di mercato adeguate, che puntino a stimolare l’innovazione nelle catene di valore. Servono, inoltre, economie di scala che possano ridurre i costi e lo sviluppo delle necessarie infrastrutture a livello globale. Il successo è possibile, ma questa radicale trasformazione richiederà uno stretto coordinamento tra politica, tecnologia, capitali e società per evitare di cadere nelle trappole e nelle inefficienze del passato. È da questa constatazione che nasce l’interesse per le valli dell’idrogeno: modelli di integrazione intersettoriale che può tracciare la strada per un utilizzo e un impiego su più larga scala di un’economia basata sull’idrogeno. Per il presente articolo, ci concentreremo sulle potenzialità delle hydrogen valleys che l’Italia potrebbe sviluppare nelle sue aree portuali nei prossimi anni o decenni.
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L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore
Come indicato, una valle dell’idrogeno è un’area geografica in cui un ecosistema integrato consuma e funziona grazie a una quantità significativa di idrogeno. Idealmente, una valley dovrebbe coprire l’intera catena del valore dell’idrogeno: produzione, stoccaggio, distribuzione e uso finale. In quanto tali, le valli dell’idrogeno offrono un modello per aumentare e rendere questa tecnologia una soluzione praticabile. È importante ribadire il concetto alla base di questi progetti, ovvero quello di dimostrare ai decisori politici e alla società il valore che l’idrogeno offre nel più ampio contesto del sistema energetico attraverso la sua capacità di integrazione settoriale. Sebbene molti progetti dimostrativi abbiano già avuto successo, la maturità e i vantaggi delle singole tecnologie dell’idrogeno, in genere isolate o di applicabilità limitata, devono ancora essere impiegate e studiate su larga scala (4). A livello industriale, Snam ha avviato una campagna sperimentale nei pressi di Salerno per l’uso di idrogeno miscelato con gas naturale al 10%, poi trasportato attraverso una sezione di gasdotto a uso commerciale per servire utenti industriali impiegati nella generazione termica. A Troia, in Puglia, nell’ambito dei progetti INGRID e STORE&GO, è stato testato un impianto pilota per la produzione di idrogeno da elettrolisi, con risultati vicini ad 1MWe. Per il test, l’idrogeno è stato stoccato in forma gassosa e in idruri metallici, utilizzato nelle
Presso il Centro Ricerche Casaccia, alle porte di Roma, sorgerà la prima Hydrogen Valley italiana (casaccia.enea.it).
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stazioni di rifornimento e in fuel cells (5) e, con l’aiuto di sistemi di cattura di CO2, è stato utilizzato per la produzione di metano sintetico. Tuttavia, dopo la conclusione dei test, l’impianto ha interrotto le operazioni, a dimostrazione del fatto che alla fase sperimentale molto spesso non segue un’effettiva implementazione. D’altro canto, ogni piccolo passo è utile nel raggiungimento degli obiettivi climatici. Infatti, progetti di ricerca a livello nazionale non mancano e i risultati sono spesso incoraggianti. Il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche (6)) ed ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (7)) collaborano allo sviluppo di nuove tecnologie legate alla filiera dell’idrogeno, con particolare riferimento alle applicazioni Power to Gas. In questo contesto, ENEA ha proposto la creazione di una demo Valley dell’idrogeno integrata, finanziata dal ministero dello Sviluppo Economico nel quadro della missione innovazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il progetto verrà avviato con un investimento iniziale di 14 milioni di euro. Il progetto coinvolgerà università, istituti di ricerca, associazioni e imprese, per dare impulso alla transizione energetica e alla decarbonizzazione. Possibilità nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica Per il progetto sopracitato, al Centro di ricerche di Casaccia di ENEA saranno realizzati due gasdotti, completamente attrezzati e dedicati a diverse destinazioni d’uso: uno per l’idrogeno puro e l’altro per una miscela di gas naturale e idrogeno. Questi gasdotti collegheranno le fonti di produzione di idrogeno (fonti rinnovabili) con le applicazioni di uso finale distribuite in tutto il centro per dare vita a un vero ecosistema di idrogeno. Verrà quindi sviluppata una vera rete per l’idrogeno con l’obiettivo di testare diverse tecnologie e strategie operative per far incontrare domanda e offerta in futuro, nonché per fornire servizi di ricerca e sviluppo per gli operatori industriali che necessitano di una validazione su scala dei loro prodotti. Verrà introdotta una rete di sensori per il monitoraggio delle condotte e, a un livello superiore, un sistema onnicomprensivo per l’acquisizione e l’analisi dei dati. Infine, verranno effettuati studi approfonditi e analisi rispetto alla dimen-
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L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore
sione normativa della demo Valley dell’idrogeno, al fine di affrontare sistematicamente questioni di sicurezza, autorizzazioni e altre procedure amministrative, nonché l’accettazione pubblica dell’idrogeno in tutti i suoi aspetti. Il progetto è molto interessante poiché potrà aiutare a rafforzare la base tecnica e normativa per lo sviluppo delle altre hydrogen valleys previste. L’obiettivo principale del progetto è creare un’infrastruttura integrata che possa dimostrare la fattibilità, funzionalità, sostenibilità, resilienza e sicurezza di un ecosistema basato sull’idrogeno, oltre a offrire all’industria la possibilità di sperimentare e convalidare, grazie alla sperimentazione in un ambiente dedicato, le soluzioni tecnologiche più innovative. Il focus verrà posto, come definito dalle stesse fonti ENEA (8), sui seguenti fattori: — produzione di idrogeno da elettrolisi attraverso tecnologie mature per garantire un’adeguata produzione di idrogeno, accoppiando l’utilizzo dell’energia rinnovabile prodotta in loco con energia elettrica proveniente dalla rete esistente; — produzione di idrogeno da varie fonti energetiche con l’utilizzo di tecnologie emergenti e in fase precommerciale; — trasporto di idrogeno miscelato con GNL attraverso un gasdotto dedicato, realizzato per la sperimentazione di miscele CH4/H2 (metano/idrogeno) in diverse percentuali, al fine di valutare la risposta della rete e le prestazioni delle utenze connesse; — trasporto e distribuzione di idrogeno puro attraverso una pipeline dedicata; — realizzazione di una stazione per il rifornimento diretto per veicoli alimentati a idrogeno (autobus, auto, carrelli elevatori); — produzione di energia elettrica da idrogeno puro e da miscela metano/idrogeno, con fuel cells; — test di componenti innovativi (sensori, flussimetri, ecc.) e dei sistemi di acquisizione dati, telegestione e supervisione di componenti e sottosistemi; — produzione di metano sintetico e rinnovabile 100% da idrogeno verde; — separazione dell’idrogeno dalla miscela CH4/H2 al fine di sfruttare un’unica rete gas per CH4/H2, idrogeno puro e metano puro.
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— studi volti a valutare le prestazioni dei materiali e dei componenti da utilizzare per la distribuzione di miscele con idrogeno nell’attuale rete di distribuzione del metano. Obiettivi paralleli e trasversali sono: — definizione di linee guida in ambito legislativo, regolamentare, amministrativo, e campi di autorizzazione, nonché azioni di informazione e formazione a promuovere l’accettazione pubblica dell’idrogeno in collaborazione con il Dipartimento nazionale dei Vigili del Fuoco; — individuazione delle tecnologie abilitanti, sviluppo dei modelli business e creazione di figure professionali che favoriscano lo sviluppo dell’economia dell’idrogeno. I test proseguiranno per tre anni, al termine dei quali il principale risultato del progetto sarà la creazione di una piattaforma polivalente per testare e validare le tecnologie relative alla filiera dell’idrogeno nel suo complesso. Si tratta, chiaramente, solamente di uno dei numerosi esempi di studi sperimentali sull’implementazione di un’economia basata sull’idrogeno, non esaustivo, ma sicuramente rilevante dal punto di vista della ricerca e dell’innovazione tecnologica.
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L’idrogeno nel sistema energetico: valli dell’idrogeno e aree portuali premono sull’acceleratore
Un grande disributore di idrogeno verde con cui rifornire il resto d'Italia. Nascerà nella Sicilia sud-orientale, tra Catania e Siracusa (repubblica.it).
Cerchiamo di illustrare in che modo progetti come questo potranno essere utili per la blue economy italiana, per la portualità e per la sicurezza del nostro paese. Hydrogen valleys italiane Le potenzialità dell’idrogeno e delle valli dell’idrogeno per le aree portuali italiane è evidente. Con lo slancio fornito dalle istituzioni europee (dalla Commissione Europea in particolare) si potrà puntare in maniera strutturata e coerente sullo sviluppo delle tecnologie illustrate in precedenza. L’Hydrogen Strategy for a Climate-neutral Europe (9) lanciata dalla Commissione europea l’8 luglio 2020 vedrà concreta attuazione grazie alla European Clean Hydrogen Alliance (10), uno strumento a supporto della suddetta strategia che riunirà al suo interno industria, ricerca, istituzioni pubbliche e società civile. L’Italia cela potenzialità significative e potrà diventare pioniere del settore con i giusti investimenti e la giusta pianificazione. L’Italia può contare su una filiera industriale e centri di ricerca di rilevanza internazionale: puntando sul proprio estro creativo e sulla leadership tecnologica in molti settori manifatturieri, sarà possibile complementare gli evidenti vantaggi strategici forniti dalla
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conformazione territoriale del nostro paese e rendere la penisola un hub tecnologico innovativo e d’avanguardia dal punto di vista infrastrutturale (11). Più precisamente, la propensione marittima dell’Italia la rendono il modello ideale per sviluppare hydrogen valleys in corrispondenza delle aree portuali. Come definito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), le aree portuali avranno un ruolo fondamentale per il rilancio economico-industriale nel prossimo futuro. Non ci si può abbandonare alla semplificazione rappresentata dalla convinzione che l’economia basata sull’idrogeno sarà la panacea per la tradizionale lentezza e inefficienza del sistema burocratico e produttivo italiano. Tuttavia, è sicuramente saggio credere che un settore emergente come quello dell’idrogeno possa rappresentare una nuova interessante e innovativa possibilità per l’economia italiana — ed europea. Il ruolo che un paese potrà ricoprire nei mercati dell’idrogeno rinnovabile, infatti, dipenderà dalla sua abilità di produrre e distribuire idrogeno in maniera efficiente rispetto ai costi e su vasta scala. La produzione di idrogeno rinnovabile tramite elettrolisi richiede sia energia rinnovabile che acqua dolce, dunque, per analizzare il potenziale di idrogeno rinnovabile di un paese, sono necessari tre parametri: disponibilità di risorse rinnovabili, disponibilità di fonti d’acqua dolce, potenziale infrastrutturale, ovvero la capacità di un paese di costruire e gestire la produzione, il trasporto, e la distribuzione della risorsa energetica. Per quanto riguarda il primo parametro, la disponibilità di risorse rinnovabili, l’attuale situazione di crisi dovuta alla guerra in Ucraina e gli sforzi proposti dal pacchetto Fit for 55 della Commissione europea rendono evidente quanto i paesi UE e l’Italia in particolare debbano affrontare l’eccessiva dipendenza da idrocarburi provenienti da paesi terzi. La risposta a breve termine riguarda l’assicurarsi canali di approvvigionamento di gas naturale alternativi a quello russo, da cui l’Italia dipende per il 40% circa. Nel medio e lungo termine, tuttavia, sarà necessario spingere sulle rinnovabili, sia in termini di maggiore produzione che di snellimento degli ostacoli burocratici e dei permessi relativi alla realizzazione di progetti, che al momento sembrano rappresentare l’ostacolo maggiore per una più veloce implementazione delle
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politiche energetiche. Considerando ciò, ci si può aspettare un’accelerazione sostanziale nel giro di un paio di decenni, se non meno, che potrebbero garantire l’energia proveniente da fonti rinnovabili in eccesso necessaria per l’elettrolisi e, dunque, per la produzione di idrogeno verde. Risulta evidente che ridurre i tempi di questo passaggio permetterebbe all’Italia di inserirsi in maniera decisa nel mercato dell’idrogeno, evitando di farlo a mercato saturo. Prendendo in esame il secondo parametro: le risorse idriche non mancano nel nostro paese, ma la gestione del sistema idrico è criticamente disfunzionale. I livelli di sprechi e perdite del sistema idrico sono preoccupanti e le istituzioni europee hanno insistito affinché il PNRR comprendesse interventi concreti sulle risorse idriche nazionali, a riprova dell’importanza della questione (12). Un’economia basata sull’idrogeno non potrà che reclamare un miglioramento generale del servizio idrico del paese: ciò rappresenta sicuramente una sfida non trascurabile, ma allo stesso tempo potrebbe spingere per la risoluzione di un problema che affligge le regioni italiane, soprattutto quelle centro-meridionali, da decenni. Inoltre, tecnologie sviluppate anche in Italia sembrerebbero poter fornire la possibilità di utilizzare l’acqua marina per l’elettrolisi e la produzione di idrogeno verde. Questo si inserirebbe perfettamente nella progettazione delle valli dell’idrogeno nelle portualità italiane, se non altro per la banale vicinanza geografica alle risorse dei nostri mari. In aggiunta, l’utilizzo di acqua marina compenserebbe la carenza di risorse idriche del Nord Africa, area geografica designata per accompagnare la transizione energetica europea. Si tenga conto che sono necessari 9 litri di acqua per ogni kg di H2 prodotto (13). Infine, considerando il terzo parametro, il potenziale infrastrutturale è da considerare da un punto di vista più ampio e non solo in quanto necessario per la distribuzione e gestione dell’idrogeno. Lasciando ad altre sedi l’analisi degli interventi infrastrutturali necessari per permettere alle attuali reti di accompagnare l’ammodernamento e la decarbonizzazione, consideriamo quanto sarà necessario realizzare in ambito delle hydrogen valleys site in corrispondenza delle aree portuali. Al momento, sono sette le valli dell’idrogeno ita-
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liane: uno dei progetti — già operativo — si trova in Lombardia e riguarda i trasporti ferroviari. Assorbendo i fondi del Recovery Plan, la regione Piemonte si è candidata per ospitare il Centro nazionale di Alta tecnologia dell’idrogeno, il secondo progetto. Una terza valle sarà gestita da Snam e dall’università di Modena e Reggio Emilia per dare vita a un Hydrogen Innovation Center che si occuperà di automazione delle filiere produttive di elettrolizzatori e celle a combustibile, stazioni di rifornimento di idrogeno, nuove applicazioni a supporto dei veicoli a guida autonoma. Il quarto programma è quello proposto in precedenza in questo articolo, ovvero l’incubatore tecnologico per lo sviluppo della filiera dell’idrogeno del Centro ricerche di Casaccia di ENEA. Il progetto che ha preso il via presso l’acciaieria Ast di Terni e che metterà a disposizione parte dell’idrogeno che verrà prodotto nell’area industriale rappresenta la quinta proposta. Gli ultimi due progetti si trovano in Puglia e Sicilia: Edison e Snam, a cui si sono unite Saipem e Alboran, realizzeranno tre impianti di produzione di idrogeno verde nelle aree di Brindisi, Taranto e Cerignola, per una produzione potenziale di 300 milioni di
Diventando partner del progetto europeo LIFE3H, coordinato dalla Regione Abruzzo, il porto di Civitavecchia si candida a diventare la prima Hydrogen valley portuale italiana (messaggeromarittimo.it).
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metri cubi all’anno. In Sicilia, infine, la Regione punta alla creazione di un Centro nazionale di alta tecnologia dell’idrogeno, in modo da poter diventare un punto di riferimento per tutta l’area del Mediterraneo (14). In parallelo a queste sette valli, esiste un progetto tripartito che sta attirando parecchia attenzione a livello di ricerca e politico. Si tratta del progetto LIFE3H, il cui obiettivo generale è quello di creare, sperimentare e replicare tre hydrogen valleys in cui verranno impiegati autobus alimentati a idrogeno. Tale fonte proverrà dalle produzioni in eccesso degli insediamenti industriali locali. Il progetto testerà nuove soluzioni di trasporto per migliorare la qualità dell’aria. I siti che ospiteranno queste tre valli sono: città storica di Terni (vicino a una delle più grandi acciaierie italiane), Porto di Civitavecchia, Altopiano delle Rocche. Per quanto riguarda la sezione del Porto di Civitavecchia, l’obiettivo è realizzare un progetto con la collaborazione dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno centro settentrionale per lo sviluppo di un porto green, con una serie di impianti mirati a inserire nel mix energetico energie rinnovabili e di idrogeno. Un obiettivo secondario è quello di porre le basi per
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una valle transregionale, che abbia un focus specifico sullo sviluppo del trasporto pubblico locale su strada. In questo modo sarà possibile implementare politiche locali integrate, tra cui la diffusione di stazioni di rifornimento di idrogeno e di veicoli a celle a combustibile. LIFE3H è coordinato dalla Regione Abruzzo con un partenariato tra enti pubblici, istituti di ricerca, partner industriali e società di consulenza. Il progetto è co-finanziato dal programma UE LIFE 2020, è iniziato nel settembre 2021 e durerà 4 anni.
Idrogeno nell’ambito marittimo: aree portuali, navi e sottomarini La messa a sistema crea innovazione La transizione energetica è un processo impegnativo e complesso, per il quale sarà possibile raggiungere risultati solamente mettendo a sistema i diversi sforzi portati avanti da centri di ricerca, università, aziende, istituzioni, regioni, mercati, finanza. Le aree portuali hanno caratteristiche che le rendono incubatrici di potenzialità, sia dal punto di vista infrastrutturale che per la naturale apertura verso l’esterno e, quindi, verso il commercio. Una delle dimostrazioni al riguardo più recenti e più significative è stata offerta dalla città della Spezia. All’evento «Green Hydrogen Gulf», tenutosi a inizio febbraio 2022 e organizzato dal Distretto ligure delle Tecnologie marine, è stato proposto un workshop che ha portato a confrontarsi alla Spezia tecnici e interessi diversi e che ha posto le basi per «i primi veri stati generali dell’idrogeno». Confindustria, Confartigianato e Cna hanno mandato propri rappresentanti, a dimostrazione dell’interesse condiviso da più enti. Anche la Regione Liguria e il Comune della Spezia hanno partecipato: importante la loro rassicurazione istituzionale sull’intenzione di agevolare il più possibile gli iter amministrativi per l’implementazione dei progetti legati all’idrogeno. Enel ha un progetto in essere nella zona retroportuale della Spezia, dove verrà installato un polo di produzione dell’idrogeno (significativamente in sostituzione di una centrale a carbone). La discussione verteva sulle potenzialità del settore, ma anche sulle difficoltà e sugli ostacoli, primo fra tutti il costo per la produzione di idrogeno: un chilogrammo di
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H2 verde costa circa 8 euro, portando un Mwh di energia così prodotta a raggiungere i 265 euro. Sono stati indicati gli utilizzatori finali principali dell’idrogeno: i porti, le navi cargo, gli yacht, il comparto militare, un giorno anche le crociere, a dimostrazione dell’orientamento «marittimo» dell’idrogeno. Proponiamo un breve passaggio di un articolo che ha ripreso quanto discusso all’evento di febbraio scorso: «un progetto su scala maggiore è quello di Enel Green Power che, al fianco della nuova centrale a turbogas a Melara, utilizzerà le sue aree per un impianto di produzione di idrogeno tramite un elettrolizzatore, che dovrebbe essere operativo già nel 2024». «Inizialmente sarà connesso alla rete elettrica nazionale — sottolinea Lorenzo Ducci, responsabile attività commerciale idrogeno — ma entro il 2027 sarà alimentato da un impianto fotovoltaico installato proprio in area Enel. Produrrà fino a 200 tonnellate all’anno di idrogeno. Per il consumo finale abbiamo sottoscritto due memorandum, con Fincantieri e Adsp. È emerso, parlando in particolare con il cantiere del Muggiano, che non ci potrà essere un progetto nel breve periodo perché, semplicemente, non è pronta la tecnologia per utilizzarlo. Stiamo dunque lavorando con Confindustria, con l’idea di individuare partner industriali che debbano decarbonizzare i propri processi produttivi già nel breve periodo». «Snam sta lavorando per rendere le proprie infrastrutture odierne utilizzabili in prospettiva anche per l’idrogeno. L’ecosistema porto si presta particolarmente alle applicazioni dell’idrogeno», assicura Dina Lanzi, head of technical business unit hydrogen di Snam, che lavora a sua volta con Fincantieri e MSC per studiare come costruire le future navi a idrogeno e come garantire lo stoccaggio del combustibile verde. Fincantieri utilizza l’idrogeno alla Spezia «da molto tempo, visto che è installato sui nostri sottomarini. Certo in scala molto più piccola rispetto a quelle che serviranno in futuro» sottolinea Massimo De Benedetti (15). Queste righe ribadiscono i concetti espressi finora: necessità di unire varie discipline, creare una rete che colleghi diversi portatori di interesse, appoggiarsi sulle istituzioni e mirare alle aziende specializzate in infrastrutture ed energia. Solo così potrà vedere la luce un’economia basata sull’idrogeno.
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Progetti sperimentali per la navigazione Lo sviluppo infrastrutturale legato a un ruolo di maggiore peso dell’idrogeno non è l’unica opportunità che questo tipo di fonte di energia offre. Infatti, uno degli obiettivi affidati all’idrogeno è quello di decarbonizzare i trasporti pesanti e i trasporti marittimi, che sono, al momento, inclusi nella categoria hard to abate in quanto non facilmente alimentabili con energia elettrica. La ricerca e la sperimentazione per la propulsione delle navi è partita già da qualche anno e mostra risultati promettenti. L’idrogeno applicato alla propulsione delle navi e al risparmio energetico sono scenari industriali dove Fincantieri, per citare un esempio, è in prima linea. L’idrogeno al momento è l’unica soluzione che potrebbe portare all’obbiettivo della nave a zero emissioni e Fincantieri, colosso italiano della navalmeccanica e leader mondiale nella costruzione di navi da crociera (ma attivo in molti altri ambiti, dal militare ai mezzi offshore), partecipa a diverse iniziative mirare proprio a sviluppare le tecnologie dell’H2 in ambito navale. L’azienda con base a Trieste si sta concentrando su alcuni progetti di ricerca che prendono in conside-
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razione fuel cells alimentate a idrogeno. Inoltre, similmente a quanto illustrato per il progetto di ENEA nel Centro di ricerche di Casaccia, il gruppo Fincantieri sta definendo, grazie al supporto di alcuni enti istituzionali, le normative applicabili all’idrogeno nel contesto marittimo. Oltre all’innovazione tecnologica, è assolutamente necessario procedere a gran velocità nel contesto regolativo e burocratico in modo da evitare ostacoli normativi che ovviamente rallenterebbero il lancio dell’idrogeno su larga scala e ne renderebbero l’applicazione più difficoltosa di quanto i normali meccanismi di mercato già la rendano. Lo sforzo di Fincantieri in questo senso sarà dunque prolifico e importante per le future applicazioni in ambito marittimo. Cionondimeno, l’applicazione dei modelli è quantomai necessaria per testare la risposta della tecnologia alle condizioni reali — non stupisce che Fincantieri stia partecipando a una ricerca finanziata dal ministero dello Sviluppo Economico (MISE) che prevede test su di un sistema di generazione a fuel cell installato su una barca-laboratorio di 20 metri. Il progetto, chiamato TecBIA (Tecnologie a basso impatto ambientale per la
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produzione di energia su mezzi navali), si ripropone di studiare le tecnologie associate alla produzione di energia su mezzi navali e ha a disposizione circa 5 milioni di euro (16). Attualmente tecnologie che consentano alle navi di utilizzare l’idrogeno come combustibile propulsore non sono facilmente accessibili, rendendo quindi la ricerca e la sperimentazione due fattori fondamentali in questa fase. Le celle a combustibile dovranno essere in grado di produrre diversi megawatt di potenza, con picchi di 60 o 70 MW: livelli molto distanti da quelli attuali. Una seconda alternativa per avere navi a idrogeno è quella di utilizzare l’idrogeno direttamente come combustibile, ma, come appena affermato, la tecnologia è ancora lontana dal permettere un utilizzo di questo tipo: per lo sviluppo della tecnologia si porrà il problema dello stoccaggio a bassissime temperature e quello della scarsa densità dell’idrogeno che renderà necessario trovare soluzioni all’eccessivo spazio occupato dai serbatoi. Considerando, poi, che sarà necessaria un’infrastruttura di rifornimento nei porti italiani, ma non solo, si dovrà concepire la nave a idrogeno all’interno di un disegno che si realizzi nel contesto di un ecosistema che deve ancora svilupparsi. Nel prossimo decennio probabilmente si assisterà alla prima nave da crociera che utilizza l’idrogeno non per la propulsione ma per il carico alberghiero, che comunque assorbe un terzo della potenza. Nella decade successiva ci potranno essere navi totalmente a idrogeno, non solamente per il comparto crocieristico, ma anche per la logistica e il trasporto di merci (17). Applicazioni al settore della Difesa rendono il potenziale di questo elemento ancora maggiore. La Marina Militare italiana è attiva sul fronte dell’idrogeno già da una ventina d’anni. I sottomarini classe U212A sono alimentati da celle a combustibile e sono dotati di una propulsione indipendente dall’aria in grado di garantire ai mezzi subacquei una lunga permanenza negli abissi e con impatto ambientale quasi nullo. La scelta di alimentare i mezzi subacquei a idrogeno vent’anni fa era drasticamente innovativa e continua a esserlo tutt’ora. Fu dettata da chiari motivi strategici, in quanto permette ai mezzi di rimanere «invisibili» nelle profondità marine molto a lungo, ma
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anche ambientale. L’unico prodotto di scarto, infatti, è acqua ossigenata, che viene utilizzata a bordo dei sottomarini per vari usi. La Marina, avendo una tale expertise nel settore dell’idrogeno, poiché spinta dalla necessità di assicurarsi punti di rifornimento sull’intero globo, potrà fornire importantissime informazioni e dati per rendere l’idrogeno una possibilità concreta della blue economy, sia a livello civile che militare di superficie. «Dagli abissi del mare, emergono dunque tecnologie di sviluppo sostenibile che, opportunamente collocate come volano di un sistema di ingranaggi, operante in sinergia, tra realtà industriali e mondo accademico nazionali, rappresentano un’opportunità per il comparto industriale, navale e subacqueo e, potenzialmente, di sostegno all’industria nazionale di altri settori strategici per la Difesa e per il paese, nell’ottica di aprire nuovi sbocchi sui mercati, rispondenti a una vision convintamente orientata alla crescita e all’arricchimento del Sistema Paese» (18). Gianpaolo Damiano Bono, capitano di fregata del Genio Navale e sommergibilista, parla degli U212, costruiti alla Spezia: «Nei primi anni Duemila iniziammo le sperimentazioni di quella tecnologia [fuel cells]. Oggi sono unità dalla complessità progettuale tra le più elevate al mondo nel nostro settore». Il risultato è un battello molto difficile da individuare con sonar passivi e infrarossi, aspetto vitale per un’unità da guerra. «Le criticità anche per noi sono nello stoccaggio e nei costi, compensati tuttavia dai vantaggi operativi. Anche la Marina Militare può trarre vantaggio ovviamente da iniziative comuni sulla via dell’idrogeno. Bisogna sollecitare la governance, rischiamo sennò che
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la tecnologia vada più avanti delle normative per utilizzarla» (19). La prospettiva attuale è che i fondi e l’attenzione delle istituzioni italiane ed europee stiano venendo sempre di più indirizzati a progetti sperimentali come quelli descritti in precedenza (TecBIA e Casaccia). Il PNRR italiano potrà essere un trampolino di lancio fondamentale, considerando che esso consiste non solo in finanziamenti e fondi destinati almeno al 37% alla transizione ecologica e almeno al 20% alla transazione digitale, ma richiede anche che vengano portate avanti riforme per facilitare e accelerare i processi amministrativi per l’applicazione delle soluzioni verdi. Certamente la proposta RePowerEU della Commissione europea e la volontà europea sempre più ferma di sganciarsi dalla sovra-dipendenza dagli idrocarburi russi comporterà ulteriori passi in avanti nella definizione di politiche verdi, a prescindere da tutte le difficoltà del caso. Ribadiamo l’importanza di non perdere un’occasione più unica che rara per rilanciare l’economia da decenni stagnante del nostro paese. Le potenzialità della Blue Economy in Italia sono enormi e necessitano «semplicemente» della giusta programmazione e dello spirito di innovazione adatto. Nel concreto, ciò significa mettere a sistemi gli sforzi portati avanti su più fronti: riproponendo l’esempio del progetto TecBIA, osserviamo come alcune delle tecnologie impiegato dal ministero della Difesa per la propulsione dei sottomarini a idrogeno è stata adattata per permettere al prototipo di nave progettato. Pochi mesi fa, presso il cantiere navale di Castellammare di Stabia, è stata varata Zeus — Zero Emission Ultimate Ship — la prima nave a
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idrogeno progettata da Fincantieri. Le dimensioni sono di circa 25 metri di lunghezza, per 170 tonnellate di peso. Zeus è caratterizzata da un impianto fuel cell unico nel suo genere per la navigazione in mare. La propulsione avviene grazie a circa 50 Kg di idrogeno contenuto in 8 bombole a idruri metallici. L’idrogeno alimenta celle da 130 kW che garantiscono circa 8 ore di navigazione a 7,5 nodi. Il sistema non è troppo distante da quello utilizzato per i sottomarini. In aggiunta, tuttavia, la nave può contare su un impianto ibrido composto da due generatori diesel e due motori elettrici a supporto delle celle (20). Ora la nave verrà testata in mare e offrirà risposte fondamentali per lo sviluppo di sistemi su più grande scala, per navi da crociera, navi da guerra e grandi portacontainer. Le dimensioni molto maggiori rendono più complicato ottenere una propulsione e un’autonomia sufficienti, ma permettono di prevedere applicazioni di sistemi di maggiore portata e, soprattutto, di studiare un nuovo modello di tecnologie per la produzione di energia elettrica e termica a bordo delle navi stesse. Per il momento Zeus utilizzerà un quadro di propulsione multi-modalità che «permetterà di alimentare i motori in 4 diversi modi: zero noise, in cui si utilizzano esclusivamente batterie al litio capaci di garantire un’autonomia di 4 ore di navigazione alla velocità di 4 nodi; zero emission, in cui l’energia elettrica viene fornita dalle fuel cell; navigazione su diesel generatore con batterie in ricarica; navigazione su diesel generatore per i trasferimenti, con una autonomia di 60 ore a nove nodi» (21). Lo scoglio tecnico da superare è l’autonomia dell’unità in rapporto al volume occupato dal combusti-
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bile. Il gasolio garantisce una traversata oceanica con un serbatoio di dimensione «1», per il metanolo ne serve uno due volte e mezza più grande, per l’idrogeno liquido 4,6 volte e per le batterie circa 50 volte di più. Esistono collaborazioni multinazionali in essere per alcune realtà italiane (Siemens, per esempio, si sta occupando dell’ottimizzazione delle celle a combustibile).
Geopolitica dell’idrogeno e sicurezza energetica Unione Europea e rete dell’idrogeno per la sicurezza energetica Da una prospettiva geopolitica, se i sistemi energetici futuri dell’idrogeno rinnovabile saranno concentrati come quelli a idrocarburi attuali o decentralizzati come le rinnovabili dipenderà fortemente dalle strutture di mercato, dalla tecnologia, e dalla disponibilità di infrastrutture abilitanti. L’Unione europea è ovviamente attiva per fare il possibile affinché le regole impostate da Bruxelles facilitino un deployment dell’idrogeno il più velocemente ed efficacemente possibile: l’UE vuole rendere il continente europeo un precursore della tecnologia legata all’idrogeno in seno agli obiettivi verdi inseriti nel Green Deal. Nel nuovo Regolamento sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi (22) si afferma che entro il 2030 le stazioni di rifornimento dell’idrogeno dovranno essere accessibili almeno ogni 150 chilometri lungo la rete di trasporto automobilistico transeuropeo (TEN-T). Inoltre, ogni nodo della TENT dovrà avere una stazione di rifornimento di idrogeno per servire sia camion che automobili. La rete TEN-T è un progetto dell’UE per costruire un sistema di strade,
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ferrovie, aeroporti e infrastrutture idriche. Con la Clean Hydrogen Partnership l’UE vuole compiere un nuovo grande passo in avanti per portare tecnologie innovative dal laboratorio alla fabbrica e, in definitiva, alle imprese e ai consumatori europei. L’obiettivo è portare il costo dell’idrogeno pulito al di sotto di 1,8 euro al chilo entro il 2030 (23). Tutto ciò è importante se si tiene a mente la necessità di migliorare il livello di sicurezza energetica dell’intera Unione, in particolare nella prospettiva proiettata dalla crisi in Ucraina e dalla necessità di svincolarsi dalla dipendenza dagli idrocarburi russi. Vari studi (24) indicano l’impiego di gas alternativi e rinnovabili potrà migliorare la sicurezza energetica europea, rendere il continente più energeticamente resiliente e dare stimolo all’industria e all’infrastruttura comunitaria. In questo contesto si inserisce perfettamente il concetto alla base della «Bussola Strategica» europea, un documento pubblicato qualche mese fa da Bruxelles. Date le priorità solitamente non militari della sicurezza
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europea (25), l’integrazione dei sistemi e delle reti energetiche si integra perfettamente con l’intenzione di serrare le file per una risposta coesa all’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre, in maniera ancora più evidente, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo infrastrutturale (compreso quello energetico e digitale) saranno tasselli fondamentali per l’implementazione del nuovo piano della Commissione europea denominato Global Gateway: un piano che «mira a raggiungere connessioni sostenibili e affidabili per le persone e il pianeta. Contribuirà ad affrontare le sfide globali più urgenti, dalla lotta ai cambiamenti climatici al miglioramento dei sistemi sanitari e al rafforzamento della competitività e della sicurezza delle catene di approvvigionamento globali». Grazie a un approccio «Team Europa» (che riunisce l’UE e gli Stati membri con le loro istituzioni finanziarie e di sviluppo, comprese la Banca Europea per gli Investimenti, BEI, e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, BERS), il piano punterà
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a mobilitare il settore privato al fine di stimolare gli investimenti per un impatto trasformativo (26). Nonostante questo documento strategico punti più alla cooperazione internazionale con paesi terzi, è chiaro che le opportunità che si creeranno stimoleranno la ricerca e l’innovazione tecnologica per tutti i settori compresi dal piano, tra cui energia, trasporti, digitalizzazione. Sicurezza energetica italiana Tradizionalmente dipendente da fonti di energia esterne e bloccata da iter amministrativi eccessivamente lunghi, l’Italia potrà beneficiare dalla transizione energetica in maniera significativa, non solo dal punto di vista economico-industriale, ma anche in termini di sicurezza energetica, intesa come la disponibilità di risorse energetiche costanti, affidabili e a prezzi accessibili. La sostituzione del gas russo, da cui l’Italia dipende al momento per circa il 40%, passerà necessariamente attraverso un aumento progressivo dell’idrogeno. Allo stato attuale, esso ha una penetrazione di
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meno dell’1% nel mix energetico, ma si vuole arrivare al 20% entro il 2050 e schierarlo in diversi settori: marittimo, trasporto pesante, industriale e per il riscaldamento. L’Italia deve creare una propria strategia, con obiettivi precisi e il percorso per raggiungerli, sia a livello di trasporti che di utilizzo dell’idrogeno in sostituzione diretta del gas (27). Il PNRR rappresenta un primo passo in questa direzione, come già citato in precedenza: in particolare per il rinnovo di parte della flotta navale e per la sua immissione nella rete gasiera attualmente in funzione. Per la parte relativa ai trasporti, in dettaglio quelli marittimi, esistono anche Progetti Integrati di Interesse Comune Europe (IPCEI), uno strumento che favorisce l’introduzione di tecnologie innovative e che può contribuire ad abbattere le barriere che impediscono l’utilizzo dell’idrogeno nei trasporti marittimi (28). Avviare collaborazioni internazionali è quantomai fondamentale in questa fase. Per citare un esempio, la Germania è già attiva e sta portando avanti progetti per lo sviluppo delle tecnologie dell’idrogeno (29). In questo modo, si potrà tracciare la strada per il futuro dell’hydrogen economy da una posizione di mercato dominante. In futuro vi saranno paesi esportatori di idrogeno, magari sotto forma di ammoniaca, e quindi serviranno terminal di ricevimento. Lo si riceverà dal Golfo Persico, dall’Africa ma anche da più lontano, forse dall’Australia o dal Cile. Quindi i porti hanno già oggi un ruolo centrale nella transizione energetica, non solo come hub, ma anche domani, come stazioni di rifornimento per terra e per mare. Da qui, l’importanza strategica di sviluppare l’infrastruttura portuale e retroportuale: ciò assicurerebbe completa assimilazione del mercato dell’idrogeno nel sistema economico nazionale e garantirebbe un generale miglioramento della sicurezza energetica del paese. Ma non solo: l’innovazione tecnologica dovrà interessare anche le infrastrutture energetiche e permettere un generale ripensamento e ammodernamento delle reti esistenti.
Conclusione In questo articolo si è cercato di illustrare le potenzialità e le criticità dell’idrogeno come combustibile alternativo agli idrocarburi tradizionali e alla filiera
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economico-industriale a esso collegata. Tramite alcuni esempi concreti di applicazione della tecnologia legata all’idrogeno a progetti di interesse nazionale, si è cercato di comprendere quali sono i punti su cui scienza e politica si dovranno concentrare per far sì che l’economia basata sull’idrogeno possa prendere piede nella maniera più efficace e veloce possibile. I progetti illustrati si concentrano su studi sperimentali condotti da diverse realtà: centri di ricerca, aziende specializzate nello sviluppo infrastrutturale, enti presenti nelle aree portuali, e così via, a dimostrazione del fatto che l’integrazione settoriale è l’approccio preferito per lo sviluppo di un settore ancora in divenire. All’interno dell’articolo sono state presentate le caratteristiche delle valli dell’idrogeno e le loro potenzialità per l’Italia, soprattutto quando associate a ecosistemi basati sulla portualità. Gli studi in essere sul territorio italiano hanno lo scopo di apportare importanti risultati all’innovazione tecnologica e infrastrutturale per rendere il nostro paese uno dei campioni del settore dell’idrogeno a livello mondiale. La naturale e tradizionale predisposizione marittima
dell’Italia la rendono uno dei protagonisti potenziali per lo sviluppo internazionale della filiera dell’idrogeno. I giusti investimenti, basati su decisioni lungimiranti e affiancate da studi scientifici all’avanguardia sono il fattore che può spingere sull’acceleratore della transizione energetica e sullo sviluppo economicoindustriale dell’Italia. L’innovazione tecnologica potrà essere applicata all’infrastruttura ma anche ai sistemi di navigazione (incluse le applicazioni civili, commerciali e militari). I vari programmi nazionali e comunitari (PNRR, Global Gateway, Hydrogen Strategy for a Climate-neutral Europe, European Clean Hydrogen Alliance, ecc.) permetteranno un’implementazione più efficace delle varie iniziative dedicate allo sviluppo dell’idrogeno. Infine, programmare un sistema energetico basato sull’idrogeno in maniera via via crescente aiuterà a diminuire la dipendenza da idrocarburi provenienti da paesi terzi e, quindi, permetterà di ricalibrare la geopolitica energetica dell’UE e dell’Italia, oltre che garantire un miglioramento della sicurezza energetica su più fronti. 8
NOTE (1) ISPI, aprile 2021, www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-geopolitica-dellidrogeno-rinnovabile-30233. (2) McKinsey, 01/2022, www.mckinsey.com/business-functions/sustainability/our-insights/sectors-are-unevenly-exposed-in-the-net-zero-transition. (3) Mission Innovation, 05/2019, http://mission-innovation.net/2019/05/13/hydrogen-valleys-demonstrating-the-power-of-hydrogen. (4) Mission Innovation, 05/2019, http://mission-innovation.net/2019/05/13/hydrogen-valleys-demonstrating-the-power-of-hydrogen. (5) Una fuel cell, o cella elettrochimica, è un sistema che converte l’energia chimica di un combustibile (spesso idrogeno) e un agente ossidante (spesso ossigeno) in elettricità attraverso una coppia di reazioni redox. (6) www.cnr.it. (7) www.enea.it/it. (8) ENEA, 01/2021, www.eai.enea.it/component/jdownloads/?task=download.send&id=1231&catid=61&Itemid=101. (9) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52020DC0301. (10) https://ec.europa.eu/growth/industry/strategy/industrial-alliances/european-clean-hydrogen-alliance_en. (11) Rienergia, 10/2021, https://rienergia.staffettaonline.com/articolo/34855 /Nasce+l%E2%80%99 Hydrogen+Valley:+tecnologia+italiana+a+servizio+della+transizione/Monteleone. (12) Per maggiori informazioni, si consulti: — Rienergia, 03/2022, — Rienergia, 03/2022, https://rienergia.staffettaonline.com/articolo/34953/Servizio+idrico:+ i+primi+timidi+passi+verso+un+percorso+virtuoso+di+miglioramento/Massarutto. (13) Rivista Energia, 02/2021, www.rivistaenergia.it/2021/02/qualche-interrogativo-da-dipanare-sullidrogeno-verde. (14) Repubblica, 10/2021, www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2021/10/04/news/l_italia_ad_idrogeno_la_scommessa_parte_da_sette_valley_-320301189. (15) Città della Spezia, 02/2022, www.cittadellaspezia.com/2022/02/03/industria-ricerca-e-politica-d’accordo-sara-il-golfo-dellidrogeno-429646. (16) Fincantieri, www.fincantieri.com/it/innovazione/progetti-di-innovazione. (17) Industria Italiana, 06/2021, www.industriaitaliana.it/fincantieri-ricerca-sviluppo-idrogeno-blue-economy-navi/. (18) Ministero della Difesa italiano, www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/per-ambiente/flotta-verde/Pagine/I_Combustibili_alternativi.aspx. (19) Citta della Spezia, 02/2022, www.cittadellaspezia.com/2022/02/03/industria-ricerca-e-politica-daccordo-sara-il-golfo-dellidrogeno-429646. (20) Hydrogen News, 02/2022, https://hydrogen-news.it/zeus-la-prima-nave-a-idrogeno-di-fincantieri-e-stata-varata-a-castellammare-di-stabia. (21) Il Sole24Ore, 09/2020, www.ilsole24ore.com/art/fincantieri-avvia-costruzione-zeus-nave-sperimentale-zero-emissioni-ADOecDr?refresh_ce=1. (22) EurLex, 07/2021, https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:dbb134db-e575-11eb-a1a5-01aa75ed71a1.0006.02/DOC_1&format=PDF. (23) Euractiv, 12/2021, www.euractiv.com/section/energy/news/e2-billion-clean-hydrogen-partnership-another-move-away-from-hydrogen-cars/?utm_source=piano &utm_medium=email&utm_campaign=17753&pnespid=qqtsV3tbP7gVhOfOvzWxSIOd5EOpV4tnI7aty7d4pR1m1ZRgX07c9m9m_aDeAQHHiO3s1P4ibw. (24) Si veda, per esempio: E3G, 03/2022, www.e3g.org/publications/eu-can-stop-russian-gas-imports-by-2025. (25) Sweeney&Winn, Defence Studies, 02/2022, www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14702436.2022.2036608. (26) Commissione Europea, https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/stronger-europe-world/global-gateway_it. (27) Citta della Spezia, 02/2022, www.cittadellaspezia.com/2022/02/03/industria-ricerca-e-politica-d’accordo-sara-il-golfo-dellidrogeno-429646. (28) Industria Italiana, 06/2021, www.industriaitaliana.it/fincantieri-ricerca-sviluppo-idrogeno-blue-economy-navi. (29) Siemens è presente in un impianto di idrogeno prodotto da energia solare a Dubai. Uno studio congiunto emiratino-tedesco sul ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica è stato pubblicato a gennaio 2021 e il 4 novembre 2021, durante la COP 26, è stata annunciata una task force congiunta per promuovere la cooperazione sull’idrogeno verde tra i due paesi. Anche la Francia ha espresso interesse nel cooperare con gli EAU nel settore dell’idrogeno.
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PRIMO PIANO
L’intelligenza artificiale
e le operazioni aeronavali Michele Cosentino Contrammiraglio (r) del Genio Navale. Ha frequentato l’Accademia navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica presso l’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sottomarini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma presso la Direzione generale degli armamenti navali, il segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti e lo Stato Maggiore della Marina. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles; nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto consigliere nazionale dell’ANMI per il Lazio settentrionale. Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere (Rivista Marittima, Storia Militare, Rivista Italiana Difesa, Difesa Oggi, Tecnologia & Difesa, Panorama Difesa, Warship, Proceedings, ecc.) e ha pubblicato oltre 600 fra articoli, saggi monografici, ricerche e libri su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale.
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nari più o meno futuristici, le applicazioni pratiche dell’IA riguardano lo svolgimento di compiti e mansioni complessi, intricati e spesso ridondanti; rimanendo nel settore militare, piuttosto che sostituire l’essere umano nella partecipazione a un’operazione o a un’attività comunque legata alla sicurezza del paese, l’IA supporta l’essere umano a condurre in maniera più efficace quell’operazione o quell’attività. L’applicazione dell’IA nell’ambito della Marina Militare prende le mosse dall’attuazione del concetto «Il Future Combat Naval System 2035 nelle operazioni multi-dominio» (1), in sostanza la visione sullo strumento aeronavale nazionale del futuro e le linee d’indirizzo per sviluppare e sostenere capacità a elevato contenuto di innovazione tecnologica.
Qualche definizione e applicazioni generali
Personale del Marine Corps Forces Cyberspace Command in azione nel centro operativo cyber di Fort Meade, nel Maryland. Un’evoluta interfaccia uomo-macchina rappresenta il principale elemento «visivo» per inserire l’essere umano nella catena decisionale (US DoD).
N
el moderno panorama militare — soprattutto anglosassone — sono sempre più alla ribalta idee e concetti legati all’impiego dell’intelligenza artificiale (indicata di seguito per comodità con l’acronimo IA), a cui si attribuiscono importanti capacità legate alla condotta delle operazioni che stravolgerebbero principi fondamentali vecchi di secoli. L’impiego dell’IA sul campo di battaglia — di cui fa anche parte l’ambiente marittimo — richiama alla mente sciami di velivoli o unità navali a controllo remoto impegnati ad attaccare uno o più obiettivi a loro discrezione dall’aria e sul mare, nonché schiere di androidi robotizzati intelligenti che avanzano imperterriti o quasi attraverso le linee nemiche, il tutto controllato da super computer assai potenti. Al di là di siffatti sce-
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La definizione di IA è stata modificata molte volte sin dal 1956, quando nel corso di una conferenza sul tema svoltasi al Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire, diversi scienziati e ricercatori si riunirono per teorizzare l’impiego combinato di robot, reti neurali e processi di programmazione. Secondo il Parlamento europeo, l’IA è «l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. L’IA permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico» (2). Fra le altre definizioni di IA vi è quella del Politecnico di Milano, secondo il quale essa è «il ramo delle scienze informatiche che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità tipiche dell’essere umano e in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni solitamente affidate agli esseri umani» (3). In particolare, le capacità tipiche dell’essere umano riguardano la comprensione e l’elaborazione del linguaggio naturale e delle immagini, l’apprendimento, il ragionamento e la capacità di pianificazione e l’interazione con altri esseri umani, macchine e ambiente. A differenza dei software tradizionali, un sistema d’IA non si basa sulla programmazione — cioè sull’operato di personale specializzato che scrive il codice di funzionamento del sistema — 55
L’intelligenza artificiale e le operazioni aeronavali
Il concetto di BAE Systems per la centrale operativa di combattimento del futuro, incentrata su architettura informatica aperta, intelligenza artificiale e realtà aumentata (BAE Systems).
ma su tecniche di apprendimento: vengono cioè definiti degli algoritmi che elaborano un’enorme quantità di dati dai quali è il sistema stesso che deve derivare le proprie capacità di comprensione e ragionamento. L’uso dell’IA è ineludibilmente associato a quello di altre due tecnologie fondamentali: la prima è il supercalcolo, a cura di macchine eccezionalmente veloci, mentre la seconda riguarda il cloud computing, cioè la distribuzione di servizi di calcolo — server, risorse di archiviazione, database, rete, software, analisi e intelligence — mediante il web. Nell’infografica a pagina seguente sono mostrate le applicazioni più comuni e già nell’uso quotidiano dell’IA: si va dagli assistenti personali presenti nei nostri computer e smartphone alla domotica, dagli acquisiti e dalla pubblicità in rete ad applicazioni particolari nell’agricoltura e nella sicurezza informatica, ambito quest’ultimo imprescindibile negli scenari multidominio delle attuali e future operazioni militari.
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L’applicazione dell’IA si può far ricadere in due macrocategorie: l’applicazione in senso lato e un’applicazione specifica. Nella prima macrocategoria, l’IA prova a imitare il cervello umano in maniera totalmente autonoma, mentre la seconda macrocategoria riguarda la produzione di computer intelligenti in grado di risolvere problemi complessi: e mentre non si è ancora arrivati a «creare» un’IA che sostituisce totalmente il cervello umano, i progressi concreti e sostanziali nelle applicazioni specifiche sembrano rappresentare importanti opportunità in questa direzione. Di conseguenza, al giorno d’oggi l’IA viene impiegata in circostanze specifiche, per esempio nell’aviazione commerciale, dove un pilota è normalmente impiegato soltanto per poco tempo nella condotta manuale del velivolo, con il resto delle operazioni affidato al pilota automatico. Gli assistenti vocali utilizzati in numerose abitazioni del XXI secolo sono ulteriori esempi di applicazione dell’IA in circostanze spe-
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cifiche, finalizzate a migliorare la qualità della vita domestica di milioni di esseri umani. Prima di analizzare l’uso dell’IA in ambito militare, è molto importante ricordare che all’utente di uno smartphone, di un computer o di un tablet non serve
conoscere i meccanismi e le logiche della programmazione, dell’interconnessione e delle tecnologie associate per impiegare al meglio uno dei predetti congegni, perché il loro sistema operativo è stato progettato per funzionare con le informazioni introdotte da un utente normalmente in possesso di medie capacità intellettuali. I progressi dell’IA per applicazioni specifiche possono essere sfruttati al meglio se associati alle capacità cerebrali proprie degli esseri umani che, inserite dunque in un sistema noto come HITL (human-in-the-loop), risultano enormemente potenziate: per esempio, mentre è noto che diversi sistemi basati unicamente sull’IA hanno quasi sempre prevalso su scacchisti di valore mondiale, i migliori successi sono ottenuti quando l’IA è associata con quella umana. In un sistema HITL qual è per esempio un simulatore di volo, le decisioni dell’essere umano e le operazioni che ne conseguono sono
Immagine al computer di una delle 6 navi senza equipaggio che Fincantieri costruirà per la compagnia Ocean Infinity: lunghe 85 metri, propulse da un sistema ad ammoniaca e gestite da una centrale di controllo a terra, le unità saranno impegnate nella raccolta d’informazioni finalizzate alla valorizzazione industriale delle risorse marittime (Fincantieri).
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Dicembre 2021: un velivolo a controllo remoto MQ-25 «Stingray» viene approntato al decollo a bordo della portaerei GEORGE BUSH mediante dispositivi montati sulle braccia degli operatori. Una versione prototipica del velivolo era stata collaudata 8 anni prima mediante dispositivi analoghi, ma assai più ingombranti e molto meno intelligenti (US Navy).
ottimizzate dall’integrazione dell’IA nel sistema stesso; in generale, un sistema HITL si basa essenzialmente sulla formulazione di raccomandazioni generate dall’IA che l’essere umano è chiamato ad attuare o meno, o anche a posporre, portando alla conclusione che la combinazione fra l’essere umano e l’IA generale porta a risultati decisionali ottimali. Esempi «militari» dell’applicazione di sistemi HITL sono i velivoli a controllo remoto dedicati soprattutto alle funzioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, imbarcati e/o basati a terra, ormai diffusi su larga scala negli scenari marittimi e terrestri. Nelle direttive del Pentagono formulate ormai da tempo (4), esiste la convinzione che i sistemi HITL, in cui un essere umano può intervenire per interrompere un processo automatizzato se necessario, giocheranno un ruolo chiave per un’applicazione sempre più diffusa dell’IA in ambito militare.
L’intelligenza artificiale e l’ambito militare Come spesso è accaduto in altri contesti militari caratterizzati da un elevato livello di tecnologie avanzate, gli Stati Uniti e il Pentagono giocano un ruolo chiave
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nell’applicazione dell’IA a questo specifico contesto, soprattutto se associato ad altre innovazioni: l’argomento è stato dunque oggetto di documenti ufficiali, discussioni, conferenze, tavole rotonde e proposte di ricerca che hanno coinvolto una miriade di soggetti pubblici e privati, stimolando altresì un approccio in tal senso utilizzato anche da diverse altre nazioni di tutto il pianeta. In linea di principio, il primo e più ovvio caso di applicazione dell’IA agli scenari militari ha riguardato la già citata gestione dei mezzi autonomi e a controllo remoto, che grazie a ciò hanno potuto espandere la loro valenza operativa (5): infatti, l’integrazione di maggiori capacità in termini di IA contribuisce non solo a ridurre eventuali menomazioni fisiche al personale, ma permette anche di adottare tattiche d’impiego più rischiose, migliorare l’accuratezza nelle determinazione dei bersagli e operare più rapidamente, più lontano e più a lungo, incrementando in sintesi la flessibilità e la mobilità di tutto l’insieme. Per avere un’idea di quanto si possa diffondere l’applicazioni dell’IA unicamente ai velivoli a controllo remoto, basterà ricordare che 11.000 macchine di questo tipo, di tutte le categorie e dimen-
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sioni, rappresentano circa il 40% del numero totale di aerei militari statunitensi (6). Il XXI secolo ha visto una drastica espansione nell’impiego dell’informatica in molteplici attività della vita di tutti i giorni, che con lo sfruttamento dell’IA ha raggiunto livelli di efficienza e rapidità mai visti prima. Questo principio è dunque facilmente applicabile anche all’ambito militare, già a partire da alcune funzioni comuni alle Forze terrestri, navali e aeree, mutuandole — fra cui amministrazione, pianificazione generale, logistica e manutenzione, intelligence — direttamente dal mondo commerciale. L’amministrazione è sostanzialmente una funzione che riguarda la generazione e la trattazione di posta elettronica e cartacea, fatture, fogli di calcolo, presentazioni Power Point, e documenti in vari formati: l’IA può velocizzare questi processi, per esempio individuando i soggetti che hanno bisogno dell’informazione «X», «Y» o «Z» e il metodo più semplice e rapido per farla giungere a essi, così come il recupero e il reimmagazzinamento e la ricategorizzazione dell’informazione stessa. In termini di pianificazione generale, l’IA può innanzitutto aiutare nel coordinare la raccolta d’informa-
zioni in possesso di numerosi elementi di un’organizzazione militare e riguardanti eventi similari occorsi nel passato più o meno recente, al fine di discriminare quali siano le procedure e le azioni migliori ed efficaci applicabili a una circostanza contingente. In pratica, si tratta di discriminare dal famoso «precedente» tutto ciò che potrebbe tornare utile per il presente, ma con uno sguardo al futuro. Scendendo in qualche dettaglio, la fase più critica di una pianificazione militare — la redazione degli ordini operativi alle unità e ai reparti subordinati — può essere facilitata dall’impiego dell’IA, evitando la compilazione di centinaia di pagine di documenti, annessi, allegati e tavole: una nota società statunitense ha sviluppato un’applicazione nota come Tabletop Commander in cui le metodologie di redazione di un ordine d’operazioni sono state trasformate in simulazioni tridimensionali — accattivanti alla visione e generate in pochi giorni — in cui mezzi e reparti interagiscono, visualizzandone la posizione e altri elementi di rilievo e riprogrammandone rapidamente eventuali movimenti prima e durante l’ingaggio con forze nemiche. Logistica e manutenzione sono due ambiti contestuali che maggiormente possono benefi-
Un computer quantistico di IBM svelato al pubblico nel 2018 e contenente un processore con 50 qubits: l’evoluzione della specie si sintetizza nell’aumento del numero di qubits e nel conseguente incremento della potenza computazionale (IBM).
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Un mezzo subacqueo prototipico ECHO VOYAGER del programma «Orca» della Boeing: definito XLUUV, eXtra Large Unmanned Underwater Vehicle, il mezzo ha dimensioni tali — 26 metri di lunghezza — da poter sfruttare un cospicuo carico utile per operazioni di contromisure mine e sorveglianza antisommergibili (Boeing).
ciare dell’applicazione dell’IA, determinando le esatte quantità di materiali (soprattutto pezzi di rispetto specifici) da movimentare nel più breve possibile dal punto A al punto B, via terra, via mare e/o via aerea, nonché per determinare quali scorte di materiali e dove vanno ripianate, sfruttando eventualmente anche modelli di cooperazione internazionale. Lo stesso concetto è valido per le manutenzioni programmate, siano esse riferite a sistemi e impianti in dotazione a una nave o a un velivolo militare e a un mezzo terrestre, nonché alle infrastrutture associate, il tutto avente come obiettivo il passaggio dal principio «just in time» a quello del «sense and respond» (7). Dovendo analizzare e discriminare una mole immensa di informazioni, il settore dell’intelligence è forse quello più vantaggioso per l’applicazione dell’IA: per esempio, basti pensare al connubio fra miniaturizzazione e IA per consentire a uno corposo sciame comprendente svariate decine di piccolissimi droni di ottenere in tempo reale informazioni elaborate e pronte all’impiego riguardanti una vasta aerea geografica a terra e sul mare, e potenzialmente anche sotto il mare. Da ricordare inoltre l’impiego dell’IA per tracciare con continuità i movimenti di un bersaglio e per assicurarne il puntamento a cura di un sistema d’arma. Tutte e quattro le funzioni militari sopra citate rientrano a pieno titolo nella gestione di uno strumento aeronavale, ma un passaggio propedeutico all’introduzione
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dell’IA all’ambito delle operazioni navali ha riguardato l’applicazione della realtà aumentata — in particolare nell’interfaccia uomo-macchina — nei sistemi di gestione operativa, normalmente definiti con l’acronimo anglosassone CMS (Combat Management System), in dotazione alle unità navali di moderna generazione. La realtà aumentata è la realtà, così come percepita sensorialmente e intellettualmente dall’individuo, arricchita di informazioni in formato digitale, cioè un potenziamento — mediante dispositivi ad alta tecnologia — delle possibilità fornite dai 5 sensi e dall’intelletto umano.
Operazioni navali e intelligenza artificiale Prima di esaminare quali sono gli ambiti applicativi pratici dell’IA alle operazioni navali, è opportuno ricordare che il sistema di combattimento di un’unità navale è formato dal già citato sistema di gestione operativa/CMS e dall’insieme integrato di armi, sensori elettronici attivi e passivi. L’obiettivo dell’applicazione dell’IA per il funzionamento del sistema di combattimento è sostanzialmente quello di accrescere le potenzialità del processo decisionale — sviluppato all’interno del CMS — necessario al comandante e ai suoi collaboratori per rispondere efficacemente e rapidamente a una vasta gamma di minacce; del resto, mentre l’impiego della cartografia elettronica per la condotta della navigazione è diventata ormai una routine anche sulle unità navali
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Il mezzo di superficie a controllo remoto PROTECTOR, impiegato dalla Marina israeliana per la sorveglianza e le protezione delle infrastrutture portuali e industriali costiere nazionali: l’intelligenza artificiale applicata all’architettura informatica di cui fa parte il PROTECTOR ne amplia capacità e prestazioni complessive (Rafael).
militari, l’aspetto cruciale è diventato la capacità dell’IA nel rivoluzionare il concetto di comando e controllo dell’unità stessa, se non addirittura di un’intera formazione navale o di tutta una flotta. In termini pratici, applicare l’IA agli elementi hardware e software del CMS significa imitare i processi dell’architettura neurale di un essere umano e generare quelli di autoapprendimento — noti come machine learning — necessari ad analizzare un gran mole d’informazioni. La combinazione fra l’architettura neurale artificiale e gli algoritmi di deep learning (8) consente poi sia di generare senza soluzione di continuità il quadro di situazione tattica in un intorno più o meno esteso dell’unità navale sia di assistere il personale a prendere le decisioni dettate dalle circostanze, in pratica potenziandone le capacità reattive, nonché fornire le indicazioni per il più efficace impiego dei sistemi d’arma in dotazione. Naturalmente, tutto ciò avviene in tempi estremamente rapidi, superiori a quelli ottenibili dai CMS tradizionali, e tutto ciò è indipendente dalla tipologia di unità navale di superficie e subacquea, essendo parimenti applicabile ai mezzi a controllo remoto connessi a un’architettura formata da più CMS dotati di IA, ampliando in sintesi l’orizzonte operativo della predetta architettura. Le iniziative in tal senso sono finalizzate in primis a introdurre CMS basati appunto sull’IA e destinati a potenziare le capacità di identificazione delle minacce e di valutare gli scenari operativi, un obiettivo che ri-
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chiede tuttavia non poche e costose attività di ricerca e sviluppo da laboratorio in cui sono particolarmente attive organizzazioni militari e società private di Regno Unito e Stati Uniti, e anche della Repubblica Popolare Cinese. La Royal Navy sta lavorando da qualche anno al programma STARTLE, un’architettura software che — ricevendo in entrata le informazioni provenienti dai sensori imbarcati — è chiamata a generare decisioni reattive contro la più vasta gamma di minacce, il tutto alla velocità della luce o quasi. Più in dettaglio, STARTLE riconosce gli schemi comportamentali, coordina il funzionamento di software di simulazione associati sfruttando processi di deep learning e consente agli utenti di migliorare la Maritime Domain Awareness per identificare, tracciare e ingaggiare potenziali bersagli. Nell’US Navy è da tempo attivo il programma Consolidated Afloat Networks and Enterprise Services (CANES), un’architettura sistemistica in corso di espansione e potenziamento con l’introduzione di algoritmi di IA e tale da poter collegare i CMS di unità navali di superficie e subacquee con comandi basati a terra e altri nodi tattici, con l’obiettivo di massimizzare l’interoperabilità fra piattaforme navali e sistemi correlati e abbreviare i cicli operativi per difendersi anche contro gli attacchi cyber. Proprio in virtù della presenza di un numero sempre crescente di sensori elettronici ed elettro-ottici e della pletora di informazioni in entrata da vari nodi, un versione dell’architettura CANES do-
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Il programma STARTLE, finanziato dalla Difesa britannica e dalla società Roke, riguarda un algoritmo che riconosce schemi comportamentali, coordina il funzionamento di software di simulazione associati sfruttando processi di deep learning e consente agli utenti di migliorare la Maritime Domain Awareness (UK MoD, Roke).
tata di IA può razionalizzare e discriminare le predette informazioni, rimuovere le possibili anomalie (falsi segnali, esche, ecc.) e assistere gli operatori nell’assunzione di decisioni cruciali, nonché proteggere meglio il tutto dalle minacce cibernetiche. L’US Navy ha pianificato la progressiva adozione di questa nuova versione del CANES su tutte le unità navali, comprese le portaerei a propulsione nucleare classe «Ford» e i sottomarini nucleari d’attacco classe «Virginia»; a proposito di operazioni nel dominio subacqueo, va ricordato che per la loro condotta è richiesta molta pazienza, particolari abilità «investigative» e, soprattutto, la capacità di reagire efficacemente a improvvisi cambiamenti di situazione, ragione per cui applicando l’IA ai CMS dei moderni sottomarini si contribuisce a ridurre la fatica fisica e mentale e lo stress degli operatori, incrementandone al contempo le competenze professionali. A fattore comune fra i CMS basati sull’IA vi è la capacità di imparare costantemente dai feedback ricevuti dall’ ambiente circostante, una peculiarità dovuta al già citato concetto di machine learning (9), attuato
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mediante algoritmi di deep learning. Un siffatto sviluppo suggerisce due prospettive: l’applicazione dell’IA anche al sistema per il controllo della piattaforma — genericamente definito IPMS, Integrated Platform Management System, e «fratello» del CMS — nonché lo sviluppo di un unico sistema, sempre basato sull’IA, risultante dall’amalgama fra le funzioni affidate a CMS e IMPS e opportunamente configurato per assicurare il funzionamento e l’impiego complessivo dell’unità militare. La seconda prospettiva, conseguente alla prima, è che in un futuro non troppo lontano anche in campo navale militare si possa giungere a naviglio operante in totale autonomia, senza supervisione dell’uomo, uno scenario parzialmente già in atto in ambito sperimentale mercantile con sistemi al momento focalizzati sull’impiego di informazioni basilari (batimetria, temperatura e salinità dell’acqua, forza del vento, ecc.) e sull’assistenza alla navigazione e alle procedure anticollisione. Se questi sviluppi sembrano ancora lontani per unità navali militari di una certa dimensione, è altrettanto
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Quest’infografica sintetizza le iniziative e i programmi navali statunitensi nell’ambito della «Unmanned Systems Integrated Roadmap 2013-2038», con particolare riferimento ai mezzi di superficie e subacquee dedicati alle contromisure mine e alla sicurezza marittima. Da rilevare che l’infografica non raffigura mezzi più grandi quali l’ECHO VOYAGER e quelli citati più avanti, oggetto di programma separati (US DoD).
vero che queste potenzialità sono quelle che già governano l’impiego dei mezzi a controllo remoto operanti sopra e sotto il mare.
Sopra e sotto i mari, intelligentemente Applicare l’IA ai predetti mezzi — ormai d’uso comune nelle operazioni navali di numerose Marine — significa ampliarne le capacità intrinseche, spaziando dalla semplice condotta della navigazione in superficie e subacquea al completo funzionamento in autonomia, senza vincoli fisici con la nave o il battello madre. Un distinzione generale in funzione dell’ambiente fisico ci porta agli Unmanned Underwater Vehicles (UUVs) e agli Unmanned Surface Vehicles (USVs), la maggior parte dei quali ancora impiegati sotto il diretto controllo di un operatore e quindi apparentemente privi di una vera e propria autonomia operativa; infatti, un UUV o
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USV può essere controllato attraverso un collegamento in radio-frequenza, anche satellitare, circostanza che consente all’operatore di mantenersi a distanza di sicurezza dal mezzo (10). Una sottocategoria di mezzi navali a controllo remoto che fruiscono di un certo grado di autonomia sono comunemente classificati come Autonomous Underwater Vehicles (AUVs) e Autonomous Surface Vehicles (ASVs), in grado dunque di svolgere uno o più compiti senza controllo umano, sfruttando l’interazione fra l’ambiente circostante e un computer residente in essi. Come illustrato nella figura qui sopra, la strategia del Pentagono fa rientrare le operazioni affidate ai mezzi navali autonomi e a controllo remoto di superficie e subacquei nelle due grandi famiglie delle contromisure mine e della sicurezza marittima: di quest’ultima fanno inoltre parte funzioni specifiche quali raccolta d’informazioni, sorveglianza, ricognizione,
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RANGER (in primo piano) e NOMAD sono due unità navali di superficie a controllo remoto che l’US Navy sta sperimentando in una serie di funzioni peculiari, per esempio il lancio di missili superficie-aria e superficie-superficie, potenziate da una più ampia applicazione dell’intelligenza artificiale (US Navy).
supporto alle operazioni speciali, sicurezza dei porti e delle infrastrutture costiere e guerra elettronica. Una verosimile prospettiva di evoluzione di queste funzioni ne amplierà — sul mare e sotto il mare — lo spettro per includere anche la difesa contraerei e antimissili, il contrasto antisommergibili e antinave e altre forme di ingaggio cinetico più o meno letale. A differenza dei CMS, UUVs/USVs e AUVs/ASVs — e soprattutto i secondi — sono gli «oggetti» più idonei per l’applicazione dell’IA, perché il grado di controllo umano su di esso è in costante diminuzione. I medesimi concetti degli algoritmi di deep learning impiegati per i CMS possono essere egualmente applicati agli AUVs/ASVs, in grado dunque di imparare costantemente da sé stessi e dall’ambiente circostante e migliorare le loro capacità per eseguire le missioni a loro affidate con un grado sempre più crescente di perspicacia e intuizione. Per esempio, lo sviluppo di appositi algoritmi per il puntamento autonomo di sistemi d’arma in dotazione — missili e siluri — consentirà ai predetti mezzi di svolgere l’intera gamma di funzioni cinetiche, aggiungendo a un concetto d’impiego attualmente in modalità unicamente passiva (sorveglianza e scoperta di un bersaglio) anche modalità attive (neutralizzazione e/o eliminazione del bersaglio), operando in contesti sia litoranei, sia costieri e sia alturieri: è inol-
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tre evidente che queste forme d’impiego sono più o meno facilmente inseribili in un’architettura C5ISTRE&K (11) di cui fanno parte anche unità e mezzi navali tradizionali dotati di CMS con IA, il tutto in azione in uno scenario aeronavale multidominio di una certa complessità. Dunque, l’autonomia funzionale garantita dall’IA consentirà di trasformare AUVs/ASVs in altrettanti sistemi d’arma autonomi e letali, genericamente identificati dall’acronimo LAWS, Lethal Autonomous Weapon Systems, e la cui utilizzazione implica considerazioni di natura giuridica e morale. Sotto il profilo puramente operativo, l’impiego di un mezzo navale autonomo armato amplia notevolmente lo spettro capacitivo di uno strumento aeronavale, perché sarebbe per esempio possibile ingaggiare bersagli — sul mare e nel dominio subacqueo — anche a prescindere dall’intervento dell’uomo, soprattutto in aree marittime alturiere dove il rischio di danni collaterali a naviglio mercantile e infrastrutture civili sarebbe minimo o assente. Comunque, fino a quando non saranno stabilite regole internazionali sull’impiego dei LAWS, aspetto che esula dallo scopo di queste note e che rientra negli ambiti della convenzione delle Nazioni unite sulle «Certain Conventional Weapons, CCW» (12), è abbastanza verosimile che il loro sviluppo prosegua sotto traccia e senza clamore.
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L’intelligenza artificiale e le operazioni aeronavali
Il mezzo subacqueo a controllo prototipico MANTA della Royal Navy è in corso di valutazione per la realizzazione di mezzi analoghi ma appartenenti alla categoria extra-large, impiegabili da postazioni costiere e unità di superficie di adeguate dimensioni (Royal Navy).
A prescindere da quest’aspetto peraltro importante per gli sviluppi futuri di medio-lungo termine e ampliando le due grandi famiglie identificate dal Pentagono, si può dire che all’odierno stato dell’arte UUVs/USVs e AUVs/ASVs dotati di IA possono essere proficuamente utilizzati per un’ampia gamma di funzioni non letali, comunque di natura bellica: la sorveglianza attiva di aree litoranee e costiere, la scoperta, identificazione e neutralizzazione di mine, l’interferenza nelle comunicazioni nemiche, la raccolta d’informazioni e il potenziamento delle comunicazioni nel dominio subacqueo e la condotta di campagne idrooceanografiche finalizzate a future operazioni in determinate zone marittime. In estrema sintesi, lo scopo dei mezzi a controllo remoto dotati di IA e in azione negli scenari marittimi è l’incremento della produttività delle unità navali classiche, consentendo loro e ai loro equipaggi di svolgere compiti più importanti e più specialistici, accrescendo così l’efficacia delle procedure operative e garantendo maggiori probabilità di raggiungere gli obiettivi prefissati.
L’attuazione dei concetti e le criticità Cosa serve dunque per un’applicazione diffusa dell’IA negli ambiti navali militari? All’interrogativo si può rispondere circoscrivendo l’ambito soltanto ai
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CMS di un’unità navale militare, ma appare evidente che il ragionamento si può estendere anche a entità diverse, quali appunto i mezzi navali autonomi e a controllo remoto. Gli elementi hardware essenziali sono quindi un computer con elevatissime capacità di calcolo e con un’interfaccia uomo-macchina assai evoluta e comprendente almeno la realtà aumentata, mentre sul versante software è necessario uno o più algoritmi d’IA strettamente legati alle funzioni esercitate dal sistema di gestione operativa. I normali computer basati sul metodo computazionale classico — cioè il sistema binario 0-1, che esegue i calcoli uno alla volta — non riescono infatti a processare in tempi ragionevoli l’immensa mole di dati necessari al funzionamento di un’IA; la soluzione è il ricorso ai computer quantistici che sfruttano le leggi della fisica e della meccanica quantistica (quella delle particelle subatomiche), moltiplicando esponenzialmente potenza e velocità anche per calcoli estremamente complessi (13). Occorre però ricordare alcuni aspetti che rappresentano altrettanti limiti: in primo luogo, un computer quantistico ha oggi un costo molto più elevato dei calcolatori impiegati nei moderni sistemi di gestione operativa, ma questa limitazione potrà essere superata con l’avvio di una produzione di serie sempre più marcata. In secondo luogo, la mole dei dati da acquisire e processare è
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La centrale operativa di una futuristica unità subacquea SMX31E, un concetto sviluppato dalla società francese Naval Group e relativo a un battello «tutto elettrico» in cui si fa ampio uso dell’intelligenza artificiale e, verosimilmente, di energia elettrica (Naval Group).
troppo ampia per essere contenuta anche all’interno di un computer quantistico, ragion per cui si fa uso del cosiddetto cloud computing, che in ambito militare diventa combat cloud (14): il problema è che le informazioni — sotto forma di file digitali di qualunque formato (.pdf, .jpeg, .avi, .tiff, .mp4, ecc.) — occuperanno sempre e comunque uno determinato spazio fisico non del tutto comprimibile, nel senso che ci sarà sempre bisogno di uno o più luoghi in cui immagazzinare queste informazioni, processarle e poi distribuirle agli utenti attraverso una rete di comunicazioni bidirezionale collegata al combat cloud. Essendo impossibile avere un siffatto spazio fisico a bordo di un’unità navale, esso dovrà forzatamente risiedere a terra ed è
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verosimile che, per esempio, il Pentagono e analoghe istituzioni di altre nazioni, abbiano iniziato a «immagazzinare» le informazioni gradualmente acquisite e acquisibili in una o più determinate località segrete e ovviamente protette: l’accesso a tali informazioni — mediante collegamento datalink tradizionale o satellitare e con un’opportuna serie di credenziali gerarchicamente organizzate — deve essere protetto da una barriera antintrusione estremamente solida ed efficace; analogo ragionamento in termini di protezione si applica pure al predetto collegamento fra unità navale e combat cloud, forse l’elemento dell’architettura informativa più facilmente penetrabile. In sostanza, l’unità navale accede al combat cloud, il suo sistema di ge-
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stione operativa basato sull’IA e su un computer quantistico estrae e analizza le informazioni dal combat cloud e presenta sull’interfaccia uomo-macchina una soluzione operativa al comandante della nave: durante questo processo, il binomio IA/computer quantistico apprende come operare, in modo da svolgere successivamente il compito assegnato con maggior efficacia. Un aspetto critico non secondario dell’applicazione dell’IA all’ambito militare riguarda inoltre la quantità di energia elettrica necessaria a far lavorare un computer quantistico, un problema relativamente semplice da risolvere in ambito terrestre, ma non altrettanto semplice a bordo di un’unità navale di superficie, e soprattutto subacquea. Infine, la criticità risiede anche negli investimenti necessari ad attuare tutti i concetti espressi, in un epoca non certamente favorevole per i bilanci militari e in cui alcune nazioni non si fanno certamente scrupolo di dimostrare la propria aggressività anche negli ambito cibernetici.
Quale futuro? Come ricordato in apertura, anche la Marina Militare ha decisamente intrapreso la strada dell’evoluzione e una delle prime applicazioni di IA è prevista a bordo dei futuri sottomarini U212 NFS (Near Future Submarine). La decisione è coerente con l’assunto che ogni
epoca dello sviluppo umano ha portato a una trasformazione delle operazioni navali: pertanto, il debutto degli scenari multidimensionali ha indotto tutte le principali Forze navali a considerare nuove e differenze circostanze sotto forma di rischi e opportunità. I sistemi basati sull’IA offrono l’opportunità di andare oltre ciò che è umanamente possibile, e introducono una nuova caratterizzazione nella dimensione cyber delle operazioni navali. Tuttavia, queste moderne tecnologie garantiscono un vantaggio operativo solamente quando l’equazione bellica è asimmetrica ed è opportuno che i responsabili della dottrina, della strategia e della pianificazione — anche nel settore navale militare — riflettano attentamente su dove condurrà questo percorso di elevatissima automazione. Se respingere lo sviluppo di sistemi basati sull’IA potrebbe rappresentare un rischio che potrebbe rivelarsi costoso nel lungo termine, non bisogna dimenticare che una fuga in avanti rispetto al regime attuale potrebbe portare a uno scenario di confronto fra dispositivi militari, compresi quelli navali, governati da sistemi basati sull’IA. In un tale scenario definibile di hyperwar, dove il ciclo decisione-azione può essere totalmente compromesso, il confine fra crisi e conflitto può diventare estremamente labile e debole anche sul mare e sotto il mare, e svanire dunque facilmente e drammaticamente. 8
NOTE (1) www.marina.difesa.it/media-cultura/Notiziario-online/Documents/Il%20Future%20Combat%20Naval%20System%202035.pdf. (2)www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20200827STO85804/che-cos-e-l-intelligenza-artificiale-e-come-viene-usata. (3)www.digital4.biz/executive/ai-cos-e-l-intelligenza-artificiale-e-come-puo-aiutare-le-imprese. (4) US Defense Department, Autonomy in Weapon Systems, Directive 3000.09, Washington, DC, November 21, 2012. (5) I sistemi autonomi svolgono la loro missione sfruttando algoritmi e informazioni inseriti in essi prima dell’inizio della missione stessa e non hanno alcuni bisogno di interazioni fisica, elettronica via etere con un operatore. I sistemi a controllo remoto richiedono una o più delle predette interazioni. (6) US Defense Department, Summer Study on Autonomy, Defense Science Board, Washington, DC, June 2016. (7) Il mondo della logistica militare ha visto dapprima il passaggio dal principio «just in case» (basato sull’analisi di esigenze potenziali, con conseguenti onerosi immagazzinamenti di materiali per far fronte a ogni tipo di emergenza ipotizzata) a quello «just in time» (basata sul principio di un’accurata attività di pianificazione e programmazione preventiva, fondata sulla determinazione delle esigenze effettive). In tempi più recenti, si assiste alla migrazione verso il principio «sense and respond», svincolato dalle informazioni dell’utente e finalizzato a soddisfare, in maniera reattiva e dinamica, i requisiti a supporto di Forze militari rischierati in teatri operativi anche distanti dalle normali basi stanziali. (8) Il deep learning — apprendimento in profondità — è un insieme di tecniche basate su reti neurali artificiali organizzate in diversi strati, dove ogni strato calcola i valori per quello successivo affinché l’informazione venga elaborata in maniera sempre più completa. L. Deng e D. Yu, Deep Learning, Methods and Applications in Foundations and Trends in Signal Processing, vol. 7, n. 3-4, 2014. (9) Il machine learning si concretizza come uno sviluppo di applicazioni software in cui il sistema — il CMS nel caso della nave militare — amplia e approfondisce le proprie conoscenze e migliora le proprie prestazioni attraverso l’esperienza. Maaike Verbruggen and Vincent Boulanin, Mapping the Development of Autonomy in Weapon Systems, SIPRI, November 2017. (10) Nonostante la loro sempre più accentuata diffusione a bordo delle unità navali, l’autore ha volutamente omesso i mezzi aerei a controllo remoto (Unmanned Aerial Vehicles (UAVs), perché una loro trattazione avrebbe irrimediabilmente allungato la lunghezza del saggio. Cionondimeno, i concetti dell’IA sono applicabili anche a essi. (11) L’acronimo C5ISTRE&K indica Command, Control, Computers, Communications, Cyber, Intelligence, Surveillance, Targeting, Reconnaissance, Engagement & Kill. (12) www.armscontrol.org/factsheets/CCW. (13) Nel computing quantistico l’unità di lavoro è il bit quantistico, noto come qubit. Esso può essere 0-1 o 0 e 1 contemporaneamente, una capacità possibile grazie alla sovrapposizione degli stati quantistici, che abilita i calcoli in parallelo anziché eseguirli uno alla volta. (14) Il cloud computing si può definire un’architettura informatica in cui vengono inserite e processate tutte le informazioni raccolte da varie fonti, e quindi distribuite agli utenti che ne hanno bisogno. Un esempio di cloud computing del mondo civile viene da servizi video quali Youtube, Netflix, Google, One Drive, a cui ciascuno di noi può accedere secondo diverse modalità e utilizzando diversi tipi di piattaforme (televisore, smartphone, PC e tablet).
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PRIMO PIANO
La strategia europea per la sicurezza cibernetica Tra sfide attuali e prospettive future Julian Colamedici (1) Dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma TRE, ha frequentato la Scuola navale militare «F. Morosini» e l’Accademia militare di Modena. Studia diritto e politiche dell’Unione europea, con particolare interesse per la politica estera, di sicurezza e difesa comune.
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Il cyberspazio, assunto alla dignità di «dominio strategico», si è rivelato un terreno unico nel suo genere. Stati, organizzazioni internazionali, gruppi di interesse transnazionali, attori non-statali, terroristi, hacker e criminali più o meno organizzati si contendono online potere, influenza, risorse o, più prosaicamente, occasioni di profitto. Dinanzi alla sfida posta dalla «decade digitale», l’Unione europea (UE) e i suoi membri si scoprono esposti a rischi, minacce e pericoli del tutto inediti a epoche precedenti. Rischi, minacce e pericoli che, dunque, richiedono altrettanto inedite misure e strategie di contrasto. Muovendo da simili premesse, il presente articolo si propone di analizzare brevemente punti salienti ed elementi chiave della «nuova» strategia europea per la cybersicurezza, cercando di metterli in relazione al quadro generale di policy e iniziative unionali in materia e dando infine conto, quando possibile, di sviluppi recenti, e prospettive future.
(aicom.it).
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li attacchi subiti tra l’11 e il 12 maggio 2022 da diversi siti web istituzionali italiani e di altri Stati europei, sebbene non del tutto inattesi, hanno rilanciato prepotentemente il dibattito sulla cybersicurezza nazionale (2). Proprio in quei giorni, a Roma, si concludevano i lavori del Cybertech Europe — un appuntamento di altissimo profilo industriale e istituzionale, con ampia
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partecipazione di autorità civili e militari, dirigenti pubblici, vertici aziendali ed esperti di sicurezza e difesa cibernetica (3). Nel frattempo, il presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, si trovava negli Stati Uniti per un viaggio istituzionale (4). Un tempismo particolarmente eloquente. Al di là delle prime rivendicazioni, attribuzioni di responsabilità e possibili eziologie geopolitiche dell’at-
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tacco, ciò che appare più rilevante ai nostri fini è sottolineare ancora una volta quanto la sicurezza delle infrastrutture cibernetiche ci riguardi da vicino. Un messaggio che l’Unione europea (UE) in realtà ha colto da tempo (5), sebbene con significative differenze e discontinuità tra i vari membri. Un segnale positivo in questo senso è senza dubbio la notizia dell’accordo politico «provvisorio» raggiunto tra Parlamento europeo e Consiglio dell’UE sulla direttiva NIS2 (6). Quest’ultima, qualora adottata, aggiornerà la precedente direttiva NIS del 2016 (7) affinando, tra le altre cose, l’actio finium regundorum relativa alla qualifica di «operatori di servizi essenziali», rilevante ai fini dell’applicabilità del regime di protezione previsto dalla norma. La rivoluzione digitale ha inciso in profondità sul nostro modo di stare al mondo, è evidente. Generalmente rendendoci le cose più facili: i viaggi sono più brevi, le comunicazioni più veloci, i servizi più accessibili. Tuttavia, è altresì patente come accanto alle pressocché inesauribili potenzialità dischiuse da tali nuovi strumenti si siano aperte altrettante, pericolose faglie per la nostra sicurezza. La pandemia non ha fatto altro che accelerare questo processo, con tutto il suo portato di vulnerabilità e rischi. E la rivoluzione digitale è ancora in corso: dall’intelligenza artificiale all’uso sempre più estensivo di criptovalute, passando per le ancora futuribili possibilità di metaverso, quantum computing, Internet of Things (IoT) e Cloud, gli orizzonti del possibile si estendono, aprendo a scenari tutti ancora da scrivere. Scenari ai quali bisogna nondimeno prepararsi, sviluppando e investendo non solo sulle capacità di ri-
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sposta agli attacchi, ma anche e soprattutto su quelle di previsione dei rischi. E proprio in questa direzione si sono mossi i lavori del Threathunt 2030, organizzato dall’ENISA ad Atene il 6 maggio scorso, dove — per far fronte a quello che è stato definito un «fastevolving cybersecurity threat landscape» — sono state approfondite le potenzialità di applicazione di tecniche di foresighting alla previsione e identificazione delle nuove e future minacce che potrebbero emergere di qui al 2030 (8). E ciò dà soltanto parzialmente conto del livello di attenzione che si sta concentrando sul tema.
La «nuova» strategia europea per la sicurezza cibernetica Approvata il 16 dicembre 2020, la EU Cybersecurity Strategy marca un importante passo verso la protezione dello spazio cibernetico unionale (9). La «nuova» Strategia europea per la cybersicurezza infatti, acquisita già da tempo quella fondamentale consapevolezza della rilevanza e dell’attualità della minaccia cibernetica, propone più chiari obiettivi, tempi e modalità di realizzazione che, qualora implementati a pieno e periodicamente aggiornati, garantirebbero un avanzato sistema di tutele e responsabilità in grado di difendere cittadini e utenti dai principali pericoli alla propria sicurezza digitale, godendo al tempo stesso dei migliori frutti dello sviluppo tecnologico odierno e a venire. Già nel 2013, in realtà, la Commissione pubblicava congiuntamente all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE — allora la bri-
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tannica Catherine Ashton — una cybersecurity strategy, con lo scopo di raggiungere la «resilienza cibernetica», ridurre «drasticamente» il crimine informatico, sviluppare policy e capacità di «difesa cibernetica» nel quadro della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) e stabilire una «coerente» policy europea per il cyberspazio, promuovendone i valori fondanti. Sette anni più tardi, con lo sguardo rivolto a quella che viene definita «la decade digitale», il nuovo documento strategico si pone quale ulteriore pietra miliare per marcare e indirizzare il percorso verso una «trasformazione digitale» che si svolgerà in un sempre più complesso «threat environment» (10). Il testo, suddiviso in quattro capitoli (I. Introduction; II. Thinking Global, Acting European; III. Cybersecurity in the EU Institutions, Bodies and Agencies; IV. Conclusions), affronta il tema della cybersicurezza in una prospettiva globale e olistica, dal contrasto al cybercrime alla cyber defence, passando per sicurezza delle informazioni, delle infrastrutture critiche e dei servizi essenziali fino alle tecnologie cd. «disruptive». Un focus particolare è rivolto all’importanza degli investimenti nella transizione digitale, affinché avvenga in modo sicuro e coordinato, integrando la dimensione della sicurezza cibernetica nei processi di sviluppo di settori chiave quali intelligenza artificiale, crittografia e quantum computing (11). Da questo punto di vista, è significativo notare il collegamento al Fondo europeo per la difesa (EDF, dalla sigla in inglese) — a sua volta strettamente legato alla Cooperazione strutturata permanente (PESCO, dall’inglese), tra i cui progetti spiccano diverse iniziative ri-
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levanti per la cybersicurezza europea, per esempio la EU Cyber Academia and Innovation Hub, i Cyber Rapid Response Teams and Mutual Assistance in Cyber Security, o ancora la Cyber Threats and Incident Response Information Sharing Platform, cui partecipa anche l’Italia (12) — e agli strumenti finanziari di rilievo esterno, quali quelli relativi alla politica di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (13). Ma procediamo con ordine.
«Introduction» L’Introduzione apre il documento chiarendo un punto nodale: la cybersicurezza è «parte integrante» della più generale sicurezza degli europei. Il segnale è chiaro, ci si rivolge in primo luogo agli europei, a quegli utenti che ogni giorno, per i più svariati motivi, utilizzano servizi digitali o si affidano a strutture e apparati interconnessi. I quali, si afferma nel documento, «deserve to do so within the assurance that they will be shielded from cyber threats» (14). Il testo si apre dunque ribadendo la rilevanza strategica della cybersicurezza per l’UE, collegandola subito dopo a doppio filo il più alto obiettivo di costruire un’Europa «resiliente, verde e digitale» (15). La Strategia ricorda infatti come pressocché tutti i settori che investono il quotidiano svolgersi della vita di una comunità politica — «trasporti, energia e salute, telecomunicazioni, finanza, sicurezza, processi democratici, spazio e difesa», per citare soltanto quelli riportati — sono sempre più interconnessi e, pertanto, più esposti ad attacchi. A ciò si aggiunga, prosegue il testo, la considerazione per cui il numero dei di-
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spositivi connessi già supera il numero di persone sul pianeta, ed è destinato ad aumentare. Processo a cui la pandemia ha dato un ulteriore slancio. In una parola: gli europei del futuro saranno più connessi, più spesso e avranno a disposizione una quantità e qualità di servizi e apparati in continua crescita. Ciò significa, allo stesso tempo: più rischi, più spesso e con maggiore potenziale di danno. Ad aggravare e rendere più complesso tale scenario, il documento chiama in causa le molteplici tensioni geopolitiche — attualmente ancor più severe a causa del conflitto in Ucraina, ma non solo. Si consenta su questo punto qualche più generale riflessione: se la geopolitica ha tradizionalmente riguardato relazioni competitive tra
L’utente, la persona fisica, resta infatti il vero «anello debole» della lunga catena che traccia il «perimetro difensivo» di un’infrastruttura informatica (16). E ciò vale anche, e soprattutto, per quelle infrastrutture che vengono comunemente definite «critiche». Ma andiamo oltre. L’Introduzione prosegue dichiarando che gli attacchi alle infrastrutture critiche sono «a major global risk», affermando come le preoccupazioni per la sicurezza risultano in «a major disincentive to using online services», ribadendo come oramai quasi ogni attività investigativa «has a digital component» e rammentando come, sebbene servizi digitali e finanza siano tra i principali target degli attacchi, la «cyber readiness and awareness»
attori in concorrenza per assicurarsi potere, spazi e risorse, lo spazio cibernetico, le risorse necessarie a sviluppare le tecnologie per proteggerlo e il potere che ne deriva non fanno eccezione. Anzi. Come il cambiamento climatico è un moltiplicatore di rischio, così la digitalizzazione è un moltiplicatore di possibilità. Ma è un moltiplicatore «neutrale», ovvero il segno non è determinabile a priori, dipende dall’uso che se ne fa. E la natura di quest’ultimo, per di più, non è sempre evidente. Al contrario, spesso può rivelarsi addirittura ingannevole, nascosta, mascherata. E per questo richiede una complessa opera di sensibilizzazione e formazione a tutti i livelli, una vera e propria «alfabetizzazione».
tra imprese e individui resti bassa, così come le competenze in materia di cybersicurezza tra i lavoratori (17). La conclusione, alla quale la Strategia si propone di porre un primo argine, è che l’UE manca della necessaria «collective situational awareness of cyber threats», ciò per diversi motivi, tra i quali il documento elenca la mancanza di raccoglimento e condivisione sistematica delle informazioni da parte delle autorità nazionali e la troppo limitata assistenza operativa tra membri e l’assenza di meccanismi operativi tra membri e istituzioni europee in caso di «large-scale, cross-border cyber incidents or crisis» (18).
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«Thinking Global, Acting European» Il secondo capitolo, intitolato Thinking Global, Acting European, procede a una sistematica indicazione di proposte concrete per indirizzare l’azione dell’Unione sul tema. Segnatamente, in questa parte la Strategia divide gli interventi in «regolatori», di «investimento» e di «policy», da attuare su altrettante «aree d’azione»: «resilienza, sovranità tecnologica e leadership»; «costruire una capacità operativa di prevenzione, dissuasione e risposta»; «promuovere un cyber spazio globale e aperto» (19). La sistematica del capitolo segue tale suddivisione logico-funzionale, articolandosi in altrettanti paragrafi. Il primo, dedicato a resilienza, sovranità tecnologia
sviluppare una maggiore capacità di prevenzione, deterrenza e risposta alle minacce cibernetiche (21). In questa parte la Strategia si rivolge soprattutto a quelle «comunità» — network, agenzie, istituzioni, autorità, uffici e organismi, sia europei che nazionali — a vario titolo coinvolte nella prevenzione e nel contrasto a cyber criminali e hacker, con particolare riferimento a organi tecnici, magistratura, Forze dell’ordine, diplomazia e Forze armate (22). Anche qui, un rapido sguardo alla sistematica dei sotto-paragrafi consente di trarre uno schizzo ai nostri fini sufficientemente esaustivo del quadro complessivo. Nell’ordine: in prima posizione viene enunciata la proposta di formare una Joint Cyber Unit, la quale
e leadership, affronta i temi legati alla protezione delle infrastrutture critiche e dei servizi essenziali, alla sicurezza delle comunicazioni, alle nuove tecnologie (5G, IoT, Cloud, ecc.), alla sovranità digitale, investimenti e catene di approvvigionamento, alla ricerca, innovazione, tutela della proprietà intellettuale e formazione dei lavoratori (20). Tra le «iniziative strategiche» proposte, si segnala in particolare quella di elaborare una revisione della direttiva NIS del 2016 — proposito che, come si è detto in apertura, sembrerebbe attualmente molto vicino alla realizzazione. Il secondo tratta invece gli aspetti più strettamente «operativi», indicando alcune possibili soluzioni per
acquisirebbe la funzione di centro di raccordo operativo europeo per la cybersicurezza, incrementando le capacità comuni di reazione agli incidenti e gestione delle crisi cibernetiche, assicurando al contempo maggiore condivisione informativa e coordinamento operativo in stretto raccordo con le autorità nazionali e le istituzioni unionali (23); al secondo posto, viene affrontato il problema del contrasto al crimine informatico. L’assunto di base è semplice e chiarificante: non basta edificare un sistema resiliente (ovvero capace di assorbire il colpo e tornare alla forma iniziale), è necessario identificare e perseguire i responsabili degli attacchi affinché siano assicurate
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giustizia e deterrenza, un po’ come avviene per l’ordinaria criminalità (24); segue la «diplomazia cibernetica», declinata attraverso lo strumento della cyber diplomacy toolbox europea, che riguarda principalmente l’applicazione di misure restrittive e sanzionatorie per dissuadere e rispondere ad attacchi cibernetici provenienti da paesi ostili, entità a essi riconducibili o altri attori non statali — oltre alla straordinariamente complessa attività di cyber intelligence necessaria all’attribuzione di responsabilità, all’analisi di contesto e a orientare le relative decisioni politico-diplomatiche (25); infine, ma evidentemente non per importanza, si tocca il tema della difesa cibernetica, rimarcando come quest’ultima debba essere integrata e sviluppata con la parallela dimensione della cybersicurezza. Si ribadisce inoltre, in questo senso, l’interesse a spronare i paesi membri verso un pieno utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione dall’EDF e dai progetti PESCO per potenziare la ricerca, l’innovazione e le capacità militari nel cyber spazio — oramai pacificamente riconosciuto sia dall’UE che dalla NATO quale dominio strategico a pieno titolo (26). Il terzo paragrafo, quello relativo alla promozione di uno spazio cibernetico globale e aperto, muove lungo tre direttrici: il ruolo guida dell’Unione europea quale «potenza normativa», ovvero la peculiare capacità dei Ventisette di fissare standard, norme e modelli che si impongono a livello internazionale quale punto di riferimento; l’impegno nella cooperazione con organizzazioni internazionali, regionali e con gli altri stakeholder rilevanti in una prospettiva trasversale e
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multilivello; il supporto allo sviluppo capacitivo e al contrasto delle minacce cibernetiche a favore di Stati partner per rafforzare le capacità globali di reazione e resilienza (27).
«Cybersecurity in the EU Institutions, Bodies and Agencies» La cybersicurezza delle istituzioni europee, oggetto del terzo capitolo, conchiude il viaggio ideale avviato nel secondo, rivolgendo l’attenzione nuovamente verso l’interno dopo aver posato lo sguardo sul vasto mondo. Un capitolo assai più breve degli altri — soltanto una pagina — che si limita a richiamare l’allerta sul fatto che l’UE e le sue articolazioni sono, e verosimilmente continueranno a essere, oggetto di attacchi cibernetici. Soprattutto al fine di spionaggio, precisa il documento in esame (28). Il che non è per nulla un dato secondario, anzi. Proprio tale osservazione porta al punto successivo, laddove si parla di sistemi di sicurezza delle informazioni, classificate e non, al fine di incrementarne l’interoperabilità, la coerenza e la sicurezza. Interessante in proposito la proposta di adottare regolamenti comuni per istituzioni e agenzie UE e di rafforzare il mandato del CERT-EU (Computer Emergency Response Team for the EU institutions, bodies and agencies, istituito nel 2011 e avente sede a Bruxelles) (29).
Conclusioni L’Unione europea, talvolta accusata di venire «da Venere» (30), talaltra elogiata proprio per questa sua peculiare modalità di esercitare il potere — anche definita, con fortunata espressione, «potenza civile» (31)
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— può in verità già intervenire incisivamente su più campi e attraverso differenti meccanismi, dalla politica commerciale alla cooperazione allo sviluppo, passando per partenariati, politica di vicinato, allargamento, condizionalità e regimi sanzionatori. Il che rende l’UE un attore particolarmente capace di elaborare ed esercitare innovative forme di risposta «ibrida», «multidimensionale» (32). Ma tali mezzi non bastano, se non vi è anche la capacità di implementarli efficacemente, difenderli in maniera credibile e indirizzarli verso un fine chiaro e condiviso. Lo stesso vale, a maggior ragione, nel cyberspazio. Il novero delle minacce cibernetiche si è infatti allargato e approfondito di pari passo con la diffusione e il progresso tecnico delle tecnologie digitali. I sempre più numerosi e potenzialmente distruttivi attacchi hacker, complice l’attuale instabilità geopolitica e il generale deterioramento della sicurezza internazionale, hanno reso palese come tali strumenti possano essere piegati a volontà malevole, tanto per contribuire a realizzare le agende politiche di paesi e attori ostili che per perseguire più prosaici interessi economici di gruppi terroristici e criminali. La quantità e qualità di dati, anche sensibili, a disposizione online è cresciuta esponenzialmente, il che rende impellente la necessità di proteggerli adeguatamente da «fughe» (leaks) che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza e la privacy sia dei singoli individui colpiti che di imprese e istituzioni, strutture pubbliche e private, con difficilmente misurabili ripercussioni sulla stessa sicurezza nazionale del paese oggetto degli attacchi (33). In questo senso, è altresì importante acquisire il concetto di «sovranità digitale» che, lungi dal-
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l’essere novella manifestazione di autarchismo postmoderno, si presenta piuttosto come vero e proprio argine di protezione dalle minacciose esondazioni cibernetiche che potrebbero altrimenti minare le fondamenta digitali di sistemi strategici, servizi essenziali e infrastrutture critiche, a grave detrimento della sicurezza dell’intero Sistema-Paese e, in definitiva, dello spazio comune europeo. L’individuazione di interessi comuni si presenta pertanto come il vero nodo da sciogliere perché l’auspicata «autonomia strategica» — in questa sede meglio declinata sotto forma di «sovranità tecnologica» — possa traslare dal piano delle intenzioni a quello dei fatti. E, accanto al quadro delineato dalla «nuova» EU Cybersecurity Strategy, una reale e fruttuosa sinergia con gli ambiziosi obiettivi fissati in questo campo dal più recente Strategic Compass sarà in questo senso decisiva (34). Dichiarare l’obiettivo, naturalmente, non vuol dire raggiungerlo. L’Europa resta ancora geopoliticamente disomogenea e le spesso inconciliabili percezioni dei propri interessi nazionali rendono difficili, quando non addirittura impossibili, compromessi ottimali. Soprattutto quando si affrontato temi politicamente sensibili, quali quelli legati alle politiche di sicurezza e difesa. E il cyberspazio sembra non fare eccezione, al contrario. Difficoltà invero già note, alle quali l’Unione europea ha in questi anni tentato di rispondere agendo, nello specifico settore, su più piani e a diverse «velocità». Accettando, per esempio, sempre maggiori quote di differenziazione tra i propri membri — talvolta anche al di fuori della cornice giuridica dei Trattati e del quadro istituzionale da questi definito. Il che, se da un lato
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La strategia europea per la sicurezza cibernetica
consente più ambiziosi avanzamenti verso l’integrazione, dall’altro accentua e consolida pericolose discontinuità all’interno dell’ancora fragile costruzione unionale (35). Come lo spazio fisico, quello cibernetico è al contempo teatro e oggetto di competizione internazionale, rendendone sicurezza, difesa e controllo problemi di natura eminentemente geopolitica. E di geopolitica anche l’Unione europea ha ripreso a parlare negli ultimi anni. Torna dunque la geopolitica in Europa? Senza dubbio nel vocabolario, ma nei fatti? E infine, sarà davvero realizzabile a Bruxelles quell’uniformità di interessi, bisogni e valori necessaria per agire geopoliticamente? Un’ultima considerazione sia concessa sul punto: la
geopolitica, che pur si fonda sull’analisi realistica degli interessi in gioco e dei rapporti di potere, se da una parte consente di perseguire con maggiore efficacia obiettivi concreti e di leggere il mondo per quello che è, dall’altra — se non ricondotta nella cornice di una chiara progettualità politica, di una superiore strategia comune — espone al rischio di trascurare come questo dovrebbe/potrebbe essere. Rischio che l’Unione europea, in quanto realizzazione ancora in larga parte appartenente al domani, dovrà sempre più tenere presente. Colmare lo iato tra progettualità politica, strategia e realtà dei fatti appare altresì compito più arduo che mai, e la risposta a queste domande potrebbe svelare, alla fine, il futuro stesso del progetto europeo. 8
NOTE (1) Le opinioni espresse dall’autore non sono in alcun modo riconducibili all’Amministrazione di appartenenza e non ne rappresentano necessariamente il pensiero. Ogni posizione è da considerarsi solo ed esclusivamente personale. (2) V., per es., D. Fadda, A. Longo, «Attacco cyber dalla Russia all’Italia: down siti Senato, Difesa, perché è evento grave», Cybersecurity360 (https://www.cybersecurity 360.it/cybersecurity-nazionale/attacco-cyber-dalla-russia-allitalia-down-siti-istituzionali/). (3) CyberTech Europe 2022, Roma, 10-11 maggio 2022 (https://italy.cybertechconference.com). (4) Goverrno Italiano - Presidenza del Consiglio dei Ministri, PM Draghi in the United States, sito istituzionale, 11 maggio 2022 (www.governo.it/it/node/19810). (5) Per una breve panoramica sull’argomento, l’autore si permette di rimandare a J. Colamedici, Moving Towards a More Cybersecure EU. A brief Overview, The CoESPU Magazine, 1-2022 (www.coespu.org/magazine/coespu-magazine-1-2022). (6) D. Aliperto, Cybersecurity, l’Ue stringe sulla Nis2: focus sulla cooperazione, CorCom, 13/05/2022 (https://www.corrierecomunicazioni.it/cyber-security/cybersecurity-lue-stringe-sulla-nis2-focus-sulla-cooperazione). (7) Directive (EU) 2016/1148 of the European Parliament and of the Council of 6 July 2016 concerning measures for a high common level of security of network and information systems across the Union (https://eur-lex.europa.eu/eli/dir/2016/1148/oj). (8) ENISA, Threathunt 2030: How to Hunt Down Emerging & Future Cyber Threats, sito istituzionale, 12 maggio 2022 (www.enisa.europa.eu/news/enisa-news/threathunt-2030-how-to-hunt-down-emerging-future-cyber-threats). (9) European Commission (EC) & High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy (HR), The EU’s Cybersecurity Strategy for the Digital Decade, 16/12/2020 (https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/library/eus-cybersecurity-strategy-digital-decade-0). (10) EC & HR, The EU’s Cybersecurity Strategy for the Digital Decade, cit., p. 1. (11) Ibid., pp. 4-5. (12) EU Council & European Council, Permanent Structured Cooperation (PESCO)’s projects - Overview, sito istituzionale, aggiornato a novembre 2021 (www.consilium.europa.eu/media/53013/20211115-pesco-projects-with-description.pdf). (13) EC & HR, The EU’s Cybersecurity Strategy for the Digital Decade, cit., p. 5. (14) Ibid., p. 1. (15) Ibid. (16) G. Giacomello, Rischi e minacce nel cyberspazio, in P. Foradori, G. Giacomello (a cura di), Sicurezza globale. Le nuove minacce, il Mulino, Bologna, 2014, p. 239, dove l’Autore fa riferimento a B. Schneier, Beyond Fear: Thinking Sensibly about Security in an Uncertain World, New York, Copernicus Book, 2003. (17) EC & HR, The EU’s Cybersecurity Strategy for the Digital Decade, cit., pp. 2-3. (18) Ibid., p. 4. (19) Ibid. (20) Ibid., pp. 5-12. (21) Ibid., pp. 13-19. (22) Ibid., p. 13. (23) Ibid., p. 14. (24) Ibid., p. 15. (25) Ibid., pp. 16-17. (26) Ibid., pp. 18-19. (27) Ibid., pp. 19-23. (28) V. G. Giacomello, Rischi e minacce nel cyberspazio, cit., pp. 247-249, dove l’autore definisce lo spionaggio online come «uno dei maggiori rischi nel cyberspazio». (29) EC & HR, The EU’s Cybersecurity Strategy for the Digital Decade, cit., p. 24. (30) Cfr. R. Kagan, Of Paradise and Power: America and Europe in the New World Order, Alfred A. Knopf, New York, 2003. (31) Cfr. M. Dassù, A. Missiroli, Europa potenza civile, European Union Institute for Strategic Studies (ISS), 28/03/2002 (www.iss.europa.eu/content/europa-potenzacivile). (32) Cfr. L. Cinciripini, The hybrid response of the EU and NATO to the Russia-Ukraine conflict, Sicurezza, Terrorismo e Società, 15 (2022), pp. 69 e ss. (33) V., su Big Data e diritto alla privacy, J. Colamedici, La privacy nell’era dell’homo digitalis, in N. Rumine, J. Colamedici, Téchne e Privacy. Le sfide della tecnologia alla prova del legislatore, Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 2019-4, pp. 56-62. (34) V. EU Council, A Strategic Compass for Security and Defence - For a European Union that protects its citizens, values and interests and contributes to international peace and security, Bruxelles, 21/03/2022, p. 3 (https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7371-2022-INIT/en/pdf). (35) Cfr. N. Pirozzi, M. Bonomi, The Impact of Differentiation on EU Governance: Effectiveness, Sustainability and Accountability, EU IDEA Research Papers, n. 12, EU IDEA, novembre 2021 (https://euidea.eu/2021/11/30/the-impact-of-differentiation-on-eu-governance-effectiveness-sustainability-and-accountability).
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PRIMO PIANO
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breve analisi di come è nato in Prussia e come può pesare sul contesto tattico, strategico e operativo Riccardo Lancioni Laurea triennale in Storia; laurea magistrale in Relazioni internazionali. Ufficiale di complemento del XIX corso AUFP (ha prestato servizio a bordo di nave Andrea Doria e poi presso la SNM Francesco Morosini di Venezia); attualmente GM SM della Riserva. Autore di «La guerra per il Sinai», storia operativa della guerra dello Yom Kippur sul fronte del canale, Edizioni Chillemi, 2021.
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Battaglia di Waterloo: le truppe britanniche ricevono la carica dei corazzieri francesi (wikipedia.org).
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in dalla notte dei tempi l’uomo ha condotto giochi, forse, come afferma Matthew B. Caffrey jr., il gioco è addirittura più vecchio della civiltà stessa. Culture diverse hanno inventato il gioco ma con l’avanzare dello sviluppo umano e con il continuo susseguirsi di società sempre più complesse sono nati i primi giochi strategici: «Se un arco in miniatura può aiutare il figlio di un cacciatore a imparare a tirare, un tipo molto
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differente di giocattolo era necessario perché il figlio di un capo, re o faraone, imparasse a soverchiare il figlio del vicino» (1). I Greci non applicavano forse lo stesso spirito agonistico alle Olimpiadi? I Romani invece? Se è vero che uno degli intrattenimenti favoriti dei cives dell’Urbe era vedere i combattimenti nell’arena è altrettanto vero che all’Anfiteatro Flavio si mettevano in scena anche reali battaglie navali (2). Per arrivare a un tipo di gioco
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che sia simulativo, affidabile, basato su dati fattuali e soprattutto utile ai militari è necessario tralasciare i vari Go e scacchi al pari del romano Latruncoli e del vichingo Hnefatafl, avanzando nei secoli per arrivare nel Regno di Prussia degli ultimi anni di Federico il Grande. L’esercito che, secondo la celebre massima di Voltaire, «disponeva di uno Stato» aveva commissionato la prima vera mappatura del proprio territorio a fini militari, sebbene le carte verranno poi impiegate anche da Napoleone per vincere la campagna del 1806 culminata nella duplice battaglia di Jena-Auerstedt, saranno determinanti per il primo vero wargame moderno. Quando il conte von Reisswitz, consigliere a Breslau, presentò la propria opera ai principi nel 1811 si poteva davvero definirla simulazione. Aveva costruito un tavolo 3D con un’esatta riproduzione di reale terreno in scala, per le unità invece aveva realizzato dei blocchetti con i colori reggimentali rappresentanti lo spazio che la stessa avrebbe occupato sul campo. Gli ordini venivano dati a un arbitro che gestiva i vari movimenti e riportava sia gli esiti degli scontri sia le perdite subite riferendo ai singoli giocatori solamente ciò che avrebbero dovuto sapere se fossero stati in battaglia. Le tavole di calcolo a disposizione dell’arbitro erano molto complesse e comprendevano gittate, terreno, coperture, attrito (3) e così via aggiungendo il dado per tenere in considerazione l’incertezza sempre presente in uno scontro, ciò che poi von Clausewitz definirà la nebbia di guerra. Tanto efficace fu la dimostrazione che gli venne chiesto di esporre il gioco al re Federico Guglielmo III. Tenendo presente il periodo di tumultuosa riforma militare e ricostruzione delle capacità belliche portata avanti in primis da Scharnhorst e Gneisenau (4) in uno Stato che da anni si stava approcciando alla guerra con metodo scientifico e che solo ora dava spazio alle nuove idee tanto importanti per le future campagne (5), il gioco non poteva non impressionare un monarca (6) che per di più non aveva ereditato le virtù marziali del nonno. Terminate le guerre napoleoniche, nel 1824 il tenente Georg von Reissewitz, figlio del Barone, adattò il gioco del padre per renderlo impiegabile quale vero strumento di studio della guerra per i giovani ufficiali del nuovo esercito prussiano. Utilizzando una mappa
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cartacea e semplificando il sistema dei colori si poté ottenere una diffusione nettamente superiore rispetto al primo tavolo in sabbia o a quello in ceramica del Re. Con tali caratteristiche, il nuovo Istruzioni per la rappresentazione tattica sotto forma di Kriegsspiel (7) venne presentato al capo di Stato Maggiore, il generale von Muffling che aveva svolto un ruolo decisivo quale liaison officer tra Wellington e Blücher, de facto Gneisenau nella fase cruciale dopo Ligny, durante la campagna di Waterloo nel 1815. Sebbene dapprima avesse accolto la novità con una certa freddezza, dopo averne compreso le potenzialità esclamò entusiasta: «Non è un gioco per niente! è un allenamento per la guerra! Dovrei raccomandarlo all’intero esercito» (8). Ma fece mai la differenza? Per rispondere a tale domanda bisogna arrivare alle guerre di unificazione tedesche. Da «semplice» tenente Helmuth von Moltke si era fatto promotore dell’uso del Kriegsspiel quale strumento per la preparazione degli ufficiali arrivando a fondare la società di wargame di Magdeburgo nel 1828. Divenuto capo di Stato Maggiore, nel 1859 cambiò il nome e la modalità di ammissione alla Preussische Kriegsakademie che, sita presso l’Unter den Linden a Berlino, formava gli ufficiali del Generalstab. Per comprendere la levatura dell’insegnamento basti ricordare come uno dei suoi direttori era stato, il già citato, von Clausewitz padre del Vom Kriege (9). Il candidato doveva essere sottoposto a valutazione positiva da parte del comandante dell’unità di manovra a cui apparteneva proprio durante le simulazioni di movimenti tattici di reparto. Ma questa fu solo una delle novità introdotte da Moltke ora che aveva la Kriegsakademie alle sue dirette dipendenze. Tra i metodi d’insegnamento più efficaci vi erano infatti le cosiddette «cavalcate di Staff». Tra il 1858 e il 1881, ogni anno, prese l’intero corpo studenti e gran parte del suo Generalstab, Grossegeneralstab dal 1870, per raggiungere uno dei possibili corridoi d’invasione al Regno di Prussia e poi Impero tedesco. Una volta sul posto una discussione dal più giovane al più alto in grado doveva terminare con l’unanimità per un piano di operazioni che poi sarebbe stato eseguito da vere truppe disponibili nelle guarnigioni in loco (10). Con queste modalità era preparato il corpo ufficiali e soprattutto lo Stato Maggiore destinato a vincere tutte le
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guerre necessarie a unire la Germania. La tanto celebrata autonomia decisionale basata sugli obiettivi, Auftragstaktik (11), era possibile data la superiore abilità di manovra dei tedeschi e la loro superba capacità di comprendere la situazione sul campo grazie al continuo esercizio e all’impiego dei wargame. Tale tradizione continuerà poi fino al 1945; sebbene con alterne vicende, è ben conosciuta la persistente intromissione del Kaiser Guglielmo II nelle grandi manovre del suo esercito e nei wargame intaccando fortemente le reali possibilità addestrative semplicemente perché non si poteva far perdere il monarca. Ma cosa si può dire per quanto concerne il legame tra wargame ed elemento marittimo? Fatte le dovute premesse storiche introduttive è ora possibile analizzare due eventi in cui il wargame è stato uno strumento importante, se non decisivo, per il successo dell’azione tattica o strategica sul mare. Per ampliare il più possibile il campo vedremo dapprima cosa era il WATU e come ha pesato sul secondo conflitto mondiale per poi passare al rilancio dei wargame in
ambito USN (United States Navy) avvenuto nell’ultimo decennio della Guerra Fredda.
WATU (Western Approaches Tactical Unit) Nell’estate del 1940 con la Francia occupata, la Gran Bretagna si trovò a doversi confrontare con le preponderanti risorse e l’incredibile macchina bellica del III Reich. Avendo a disposizione i porti del golfo di Biscaglia la campagna sottomarina tedesca, forte di un comandante veterano della Grande guerra, poteva veramente cominciare. Karl Dönitz ben sapendo che il sistema dei convogli era risultato determinante per la vittoria britannica durante il precedente conflitto voleva ora contrastarlo con la concentrazione tattica: nacque così la rudeltaktik, il branco di lupi (12). Nel giugno 1940 tutte le rotte per i Western Approaces passavano a nord dell’Irlanda per incrementare la distanza dalle nuove basi tedesche; ciononostante, da luglio a ottobre, 282 navi vennero affondate mentre da parte dei sommergibilisti si rilevava l’incapacità delle scorte di proteggere i mer-
WATU Wren Officer (confermato come Laidlaw in The Sphere - 26 maggio 1945) che spiega la situazione a Tooley-Hawkins nel ruolo di un comandante di scorta (Photo IWM Collection) (Collezione ufficiale dell'Ammiragliato IWM da paxsims.files.wordpress.com).
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Lo staff dell'Unità tattica degli approcci occidentali - 22 gennaio 1945. Nota i segni di gesso, che indicano le mosse chiave del wargame, sul piano tattico (Collezione ufficiale dell'Ammiragliato IWM da paxsims.files.wordpress.com).
cantili (13). È ben noto come sul lungo periodo la battaglia dell’Atlantico, importantissima per l’esito della guerra, fu vinta dagli alleati grazie a risorse preponderanti, sviluppo tecnologico in campo aereo, elettronico e acustico, chiusura del Mid-Atlantic Gap, decrittazione e implementazione di tattiche ASW (Anti-submarine Warfare) sempre più sofisticate elaborate dal WATU. «Lo sforzo antisottomarino britannico, chiaramente il meglio riuscito dei belligeranti della Seconda guerra mondiale, ebbe successo in larga parte per via della capacità di gestire i due requisiti fondamentali dell’ASW: efficiente collezione, confronto e comunicazione delle informazioni di intelligence e lo sviluppo di un appropriato approccio dottrinale» (14). Ma cosa era nello specifico il WATU? La Western Approaches Tactical Unit nacque nel gennaio 1942 al fine di collezionare, trasferire e integrare informazioni per lo sviluppo di nuove tattiche per le scorte (15). Al comando venne posto il capitano (16) Gilbert Roberts;
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impossibilitato a servire a bordo per via della tubercolosi era stato un’entusiasta propositore dei wargame durante il periodo alla Royal Navy’s Tactical School a Portsmouth. Al suo arrivo a Liverpool passò subito a interrogare gli ufficiali del Western Approaces Command, dove scoprì che l’unica tattica impiegata fino a quel momento era di dirigere sulla presunta posizione dell’UBoot, condurre una ricerca con l’ASDIC (17) per localizzarlo o forzarlo a immergersi, il che gli avrebbe comportato la perdita del contatto; in caso di azione notturna si sarebbe proceduto al tiro di illuminanti per tentare di individuare i battelli in attacco in superficie. Era evidente che la risposta britannica, o più in generale alleata, non era adeguata al tipo di minaccia. Roberts si mise subito a lavoro e riuscì a redigere un regolamento per gestire wargame anche con le modestissime risorse a lui disponibili, essenzialmente una piccola sala dove tenere le lezioni e un pavimento usato come tavolo tattico diviso in settori con modellini di nave molto rozzi. Il tempo di un turno rappresentava due minuti di azione reale e i giocatori avevano delle piccole feritoie per vedere il tavolo dovendo rimanere
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WATU Wren organizza una serie di segnalini di convoglio per un wargame (Collezione IWM di foto).
dietro dei pannelli: in questo modo si ricreava la scarsità di informazioni disponibili a un comandante di scorta in mare. Il calcolo dei tempi e il rapporto delle distanze permetteva di ricreare nel gioco ogni situazione possibile nella realtà, dal contributo aereo al lancio di cariche di profondità e dalla ricerca ASDIC all’ingaggio in superficie con l’artiglieria (18). Eseguiti i primi test fu evidente quale fosse uno dei principali problemi: solo un numero limitato di comandanti di scorte prendevano in considerazione il punto di vista del nemico. Come ricorda Otto Kretschmer, comandante dell’U-99, la tattica preferita non era attaccare dall’esterno ma entrare silenziosamente nel convoglio e impiegare la nave bersaglio come copertura. Si tenga presente che le distanze d’ingaggio in questione erano ridottissime, Kretschmer affondò l’HMS Laurentic da appena 250 m (19). Esattamente ciò che fu da subito palese al WATU (20). Vi è però un aspetto che non va sottovalutato: fin dal primo momento infatti, il contributo delle Women’s Royal Naval Service fu decisivo.
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Le cosiddette Wrens furono insostituibili per controllare gli U-Boot nelle simulazioni e più in generale per mandare avanti il gioco laddove il personale disponibile oltre a loro era ridottissimo. Per contrastare questa tattica e impedire al battello di evadere la scorta venne approcciato il problema dapprima tramite studio diretto, statistico, e poi con molteplici giochi in cui vennero coinvolti anche gli ufficiali della Royal Navy Jean Laidlaw e Janet Okell, il risultato fu la manovra Raspberry che consisteva nell’assumere uno schema di ricerca triangolare a poppa del convoglio per cercare con il radar e a vista l’U-Boot in emersione per poi cannoneggiarlo, o impiegare l’hedgehog o le cariche di profondità in caso si fosse immerso. Questa fu la prima vera manovra che permise con ottime probabilità di affondare il nemico (21). Nei mesi successivi vennero messi a punto diversi schemi per proteggere i vitali mercantili con particolare attenzione all’impiego dei nuovi radar per localizzare la minaccia prima che potesse colpire. Il momento di
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Western Approaches War Museum, Liverpool (paxsims.wordpress.com).
maggior tensione però fu costituito sicuramente dalla visita del re, Giorgio VI. Il monarca, avendo frequentato Dartmouth, aveva servito sull’HMS Collingwood proprio durante la battaglia dello Jutland; la corazzata britannica infatti era riuscita a colpire la più moderna unità tedesca, l’incrociatore da battaglia SMS Derfflinger (22). In materia di combattimento navale dunque, non si poteva certo pensare che l’inquilino di Buckingham Palace fosse uno sprovveduto. Dopo aver preso parte a una dimostrazione il sovrano indicò il pavimento con ancora i segni di gesso e disse: «Questa è la chiave della battaglia dell’Atlantico» (23). Quando nel maggio 1943 per contrastare il crescente traffico alleato vennero creati branchi di lupi sempre più grandi, divenne chiaro che i ruoli si erano invertiti e ora erano gli U-Boot a dover combattere in grave inferiorità; alla fine del mese, 41 battelli tedeschi non fecero ritorno, una chiara sconfitta che passò alla storia come il «mag-
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gio nero». L’attrito imposto alla componente sottomarina tedesca era infatti insostenibile, circa un terzo delle unità in mare. In luglio il tonnellaggio affondato fu inferiore a quello varato da parte alleata, i branchi di lupi vennero ritirati e con essi la battaglia dell’Atlantico ebbe finalmente la sua conclusione con tutto il suo peso sull’esito finale del conflitto in Europa (24). La concreta analisi della realtà tramite lo studio e il wargame permisero un miglioramento sostanziale della capacità di risposta dei partecipanti ai corsi, in totale circa 5.000 ufficiali alleati, uno dei quali niente meno che il recentemente scomparso Filippo di Edimburgo, consentendo l’impiego ottimale e sinergico di tutti i mezzi e delle nuove tecnologie disponibili svolgendo il ruolo di pivot per il learning process sull’ASW che interessò la Royal Navy durante la guerra (25).
Strategic Studies Group e Global War Game Nei primi anni 70, l’uso del wargame all’interno delle Forze armate statunitensi aveva subito un netto calo ri-
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spetto al periodo d’oro del primo dopoguerra dove era integrato direttamente nel regolare corso di studio al Naval War College, cosa che aveva permesso l’analisi approfondita di nuovi decisivi concetti operativi relativi alle Carrier Task Force, al ruolo dei sottomarini nei futuri conflitti e il supporto logistico necessario all’intera Marina se dispiegata nell’immensità dell’Oceano Pacifico (26). La drammatica situazione in cui si trovarono le Forze armate statunitensi in Vietnam contribuì fortemente a recuperare l’impiego del wargame, e fu la Marina a riaprire la vecchia strada. Nel 1972 l’ammiraglio Stansfield Turner divenne presidente del Naval War College; per comprendere la rilevanza e la reputazione dell’istituto basti dire che il ruolo di presidente era stato ricoperto in passato da Alfred Thayer Mahan, uno dei più importanti teorici navali dell’età contemporanea. Il college, sito a Newport, Rhode Island, aveva fatto del wargame uno strumento importantissimo per la formazione degli ufficiali di vascello fin dal 1881. Stansfield Turner rilanciò i giochi che tanto erano stati determinanti per il War Plan Orange adottando la tecnologia allora disponibile, ma fu solo alla fine del decennio che vennero organizzati i Global War Game con lo scopo di recuperare quegli «invaluable insights» ottenuti tra le due guerre (27). Il 1979 fu il primo anno di gioco della prima serie di cinque game annuali; l’obiettivo era sempre il medesimo: giocare uno scenario di futura guerra tra Blue e Red nel 1985. Sebbene ogni gioco non fosse legato al precedente o al successivo, si osservarono longitudinalmente i problemi sviluppando il processo di «game-study-game» determinante per la seconda serie dei GWG (28). Un altro elemento fondamentale fu la progressiva integrazione delle altre Forze armate. Per rendere il tutto più realistico e perché fosse veramente una simulazione, si integrò personale dallo US Army e dalla USAF (United States Air Force), consentendo di allargare notevolmente il processo analitico. Uno dei cambiamenti più radicali fu il mutamento di mentalità. Dapprima i Blue operavano in maniera difensiva poi compresero come l’essere più aggressivi permetteva di raggiungere gli obiettivi strategici in modo più efficace. Per i Red al contrario, dato l’iniziale impiego dogmatico delle forze dovuto alla presenza di personale militare statunitense in veste di player, si decise di esplorare nuove possibilità portando a Newport esperti dell’intelligence
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che fossero pratici di mentalità sovietica e che sapessero bene quali obiettivi strategici avrebbe potuto perseguire l’Unione Sovietica in una guerra globale. Innalzando il livello di realismo ci fu anche una mutazione negli scenari; se i primi erano stati delle mere guerre di conquista, i successivi esplorarono interrogativi quali: come arrivare alle ostilità, la diplomazia delle azioni preliminari e il periodo iniziale di guerra, così come l’impiego di armi chimiche e soprattutto nucleari tramutando il gioco in un vero e proprio esercizio di escalation control (29). Va detto che dal 1981 la USN migliorò ulteriormente il suo comparto di wargame. Il CNO (Chief of Naval Operations) infatti decise la creazione dello Strategic Studies Group per affrontare i veri problemi della Marina con almeno tre giochi all’anno, sempre al Naval War College, come parte integrante dei suoi compiti. A metà degli anni 80, i wargame vedevano coinvolti 600 individui, non solo militari ma anche funzionari di agenzie governative, ricercatori, industriali, businessman oltre a rappresentanze civili e militari di GB e Canada (30). «I wargame che coinvolgevano gli Ammiragli in comandi operativi o di staff con rappresentati senior degli altri servizi divennero un meccanismo molto efficace per familiarizzare con chi era fuori dal SSG» (31). Per motivi di spazio non è possibile analizzare nel dettaglio ogni elemento, ma i GWG risposero sia a una lunga serie di interrogativi per la USN e lo USMC (United States Marine Corps), sia a domande su che tipo di guerra aspettarsi in caso di conflitto con il Patto di Varsavia, oltre a verificare le potenzialità delle nuove armi come il missile Tomahawk che venne inserito nel gioco nel 1981 (32). L’approccio del SSG infatti era di identificare i punti di forza della NATO per impiegarli contro le debolezze dell’avversario: ciò che ne uscì fu la Maritime Strategy (33), un documento redatto dal Center for Naval Warfare Studies, che costituirà poi alla base della strategia navale dell’amministrazione Reagan durante gli anni 80 culminante con «the sixhundred-ship navy» del SECNAV (Secretary of the Navy) John Lehman (34). Dopo gli anni di studio e analisi presso il SSG i suoi componenti andarono a ri-
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Wargame: breve analisi di come è nato in Prussia e come può pesare sul contesto tattico, strategico e operativo
coprire uffici cardine della Forza armata al fine di implementare le idee e i concetti sviluppati. Anche qui per dare un riscontro immediato sulla levatura del materiale umano bastano gli evidenti risultati conseguiti dall’ammiraglio Owens, padre del modello «System of Systems», e dall’ammiraglio Cebrowski, coautore insieme a John J. Garstka dell’articolo che introdurrà la «Network-centric warfare» (35), due concetti determinanti, legati al C4ISR (Command, Control, Communications, Computers, Intelligence, Survelliance, Reconnaissance), per la comprensione del fenomeno bellico nel nuovo millennio che avrebbe previsto una riduzione della nebbia di guerra dovuta all’IT (36).
CNA (Center for Naval Analysis) È necessario ora introdurre un «nuovo» elemento, il Center for Naval Analysis meglio noto come CNA. Attenzione, come precisato sul sito stesso, non si tratta di un acronimo (37). In realtà di nuovo ha ben poco: nacque dalla volontà di un professore del MIT (Massachusetts Institute of Technology), Philip Morse, di impiegare le sue conoscenze di fisica per sostenere lo sforzo bellico statunitense durante la Seconda guerra mondiale. Il problema era lo stesso degli inglesi, gli U-Boot. I sommergibilisti tedeschi infatti si erano spinti fin sulle coste degli Stati Uniti colpendo pressoché impunemente ignari mercantili in navigazione costiera. Il 1° aprile 1942 venne istallato a Boston il Gruppo M per analizzare il problema in modo scientifico. Alla fine della guerra vi erano 80 scienziati che aiutavano attivamente la USN e lo USMC nella tattica e nell’allocazione delle forze in ogni forma di lotta possibile al tempo. In quell’analisi approfondita e particolareggiata del build-up navale sovietico, che abbiamo visto per la Maritime Strategy, il CNA svolse un ruolo molto importante. Proprio tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80 riformandosi e adattandosi alle nuove sfide poste dall’Unione Sovietica, nacquero l’Advanced Technology Program e il Naval Warfare Program al pari dello Strategic Policy Analisys Group per fornire al decisore politico un’enorme mole di valutazioni, pareri e assessment per migliorare il processo decisionale e renderlo più efficace, completo e coerente (38). Il CNA svolse il suo ruolo anche in funzione delle deficienze degli uffici statali preposti, infatti il lavoro di James M.
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McConnell The Gorshkov Articles, The New Gorshkov Book And Their Relation To Policy (39) ci fornisce un’analisi dettagliata della visione che l’Occidente ricevette da tali esercizi concettuali sovietici mantenendo un fitto legame con gli altri studiosi e ricercatori statunitensi e non. Straordinariamente vi era stata una reale mancanza di attenzione da parte dell’Office of Naval Intelligence per tali argomenti che viene confermata dal già citato 19° Newport Paper. A oggi il CNA fornisce supporto decisionale tramite wargame e simulazioni a qualsiasi livello adattando i giochi alle necessità che siano esse civili o militari (40). Per ottenere in tempo reale il supporto al comando fornito durante la guerra ancora oggi il Field Program del CNA mantiene esperti direttamente a bordo delle unità facenti parte dei CSG (Carrier Strike Group) o degli ESG (Expeditionary Strike Group) (41).
Conclusioni Abbiamo visto come è nato il wargame, come venne usato in Prussia al fine di creare un vantaggio di manovra nei confronti degli avversari, come la Royal Navy ne fece uno strumento importantissimo per sviluppare un’efficace dottrina ASW e come la US Navy riuscì a comprendere la mutata realtà della guerra moderna grazie a simulazioni vecchio stile, nuove tecnologie e, soprattutto, a una nuova generazione di teorici; ma proprio da qui la domanda: e oggi? Oggi gli scenari sono molto più complessi di quanto potessero immaginare i teorici di 100 anni fa, che credevano che il nuovo HMS Hood fosse la più grande e potente nave del mondo: di fatto gli spettri e le forme di lotta si sono moltiplicati al pari dell’intricatissimo scenario internazionale. Di wargame e wargamer però si parla ancora: il celeberrimo Jane’s Information Group, meglio noto ora come Janes, venne fondato nel 1898 da un altro wargamer, John Fredrick Thomas Jane che per interessi di gioco doveva conoscere tutte le navi del mondo, il loro armamento e le loro caratteristiche; caratteristiche pubblicate nel suo All the World’s Fighting Ships, soddisfacendo quella che era ed è la necessità dei wargamer, fondamentale sul campo: conoscere il nemico e avere un ORBAT (ordine di battaglia) quanto più fedele possibile alla realtà. Seppur in modo diverso, il Naval War College porta avanti un’altra importantis-
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Wargame: breve analisi di come è nato in Prussia e come può pesare sul contesto tattico, strategico e operativo
sima tradizione ultracentenaria, continuando a confidare nella bontà dello strumento, strumento che non può e non deve essere visto come la «chiave» della vittoria in qualsiasi situazione ma come un possibile sup-
porto, valido insieme a molti altri, per esplorare le possibilità del reale, del possibile e per comprendere quali scelte sono percorribili e come cercare sempre il massimo vantaggio. 8
NOTE (1) Caffey B. Matthew jr., Newport Paper 43, On Wargaming: How Wargames Have Shaped History and how They May Shape the Future, Newport, USA, Naval War College Press, 2019, p. 11. (2) Sabin Philip, Simulating War: Studying Conflict throught Simulation Games, Continuum International Publishing Group, Londra, GB, 2012, p. 12. (3) Si intenda il rapido scemare delle capacità di combattimento di un’unità ingaggiata. La definizione e la parola in sé assurta a tal significato con la celebre massima sulla polvere umida di Clausewitz arriveranno decenni dopo ma allo scopo di semplificare si è scelto d’impiegare il termine moderno. (4) Il duo, fulcro della commissione a cinque di riforma militare del Regno di Prussia, forgiò l’esercito che affronterà poi Napoleone nelle guerre della sesta e settima coalizione. Scharnhorst in particolare da insegnante e poi mentore di Clausewitz alla Kriegsakademie fu decisivo nel portare avanti uno studio progressivo sulla guerra che era partito dalla formazione nel 1802 della Militärische Gesellschaft, la Società Militare, un forum di discussione scientifica sulle nuove evidenze delle guerre rivoluzionarie. Tra i suoi membri, naturalmente, figurava il giovane Clausewitz. Gooch John, Soldati e borghesi nell’Europa moderna, Bari, Laterza, 1982, pp. 40-45; Bellinger E. Vanya, Introducing #Scharnhorst: The Vision of an Enlightened Soldier «On Experience and Theory», The Strategy Bridge, disponibile presso: https://thestrategybridge.org/the-bridge/2019/4/1/introducing-scharnhorst-the-vision-of-an-enlightened-soldier-on-experience-and-theory (ultima consultazione 02/08/2021). Gneisenau alla morte di Scharnhorst si sobbarcò l’onere di portare avanti la riforma, mantenendo al contempo incarichi di comando quale capo di Stato Maggiore dell’Esercito prussiano durante la campagna del 1815, limitando i danni degli exploit da ussaro del maresciallo von Blücher. (5) Bellinger E. Vanya, Introducing #Scharnhorst: The Military Society and the Concept of Continuous Education, The Strategy Bridge, disponibile presso: https://thestrategybridge.org/the-bridge/2019/6/24/introducing-scharnhorst-the-military-society-and-the-concept-of-continuous-education (ultima consultazione 02/08/2021). (6) Caffey, Newport Paper 43, On Wargaming, p. 16. (7) Ministry of Defence, Wargaming Handbook, Swindon, GB, Development, Concepts and Doctrine Centre, 2017, p. 1. (8) Sabin, Simulating War, p.14; Caffey, Newport Paper 43, On Wargaming, p. 17; a tal riguardo è doveroso sottolineare come le due fonti divergano lievemente quando trattano il tenente von Reissewitz e il colloquio. (9) Christian O.E. Millotat, Understanding the Prussian-German General Staff System, Carlisle Barracks, USA, Strategic Studies Institute US Army War College, 1992, p. 28. (10) Caffey, Newport Paper 43, On Wargaming, p. 18. (11) Sloan Geoffrey, Military doctrine, command philosophy and the generation of fighting power: genesis and theory, International Affairs 88: nr. 2 (2012), p. 246; Muth Jörg, The Language of Mission Command and the Necessity of an Historical Approach, The Strategy Bridge, disponibile presso: https://thestrategybridge.org/thebridge/2016/6/4/the-language-of-mission-command-and-the-necessity-of-an-historical-approach (ultima consultazione 02/08/2021); Brender L. Burton, The Problem of Mission Command, disponibile presso: https://thestrategybridge.org/the-bridge/2016/9/1/the-problem-of-mission-command (ultima consultazione 02/08/2021). (12) Elleman A. Bruce; Paine S.C.M., Newport Paper 40, Special Contribution-Commerce Raiding, Newport, USA, Naval War College Press, 2013, p. 189. (13) Sloan Geoffrey, The Royal Navy and Organizational Learning, The Western Approaces Tactical Unit and the Batle of the Atlantic, in Naval War College Review, Vol. 72, nr. 4, 2019, p. 6. (14) Sloan, The Royal Navy and Organizational Learning, pp. 2-3. (15) Strong E. Paul, Wargaming The Atlantic War: Captain Gilbert Roberts and the Wrens of the Western Approaches Tactical Unit, paper per MORS Wargaming Special Meeting October 2017, p. 2. (16) Si tratta del grado Captain della Royal Navy equivalente al Capitano di Vascello della MM (NATO OF-5). (17) Denominazione britannica del tempo prima che entrasse nell’uso comune il termine americano sonar. (18) Parkin Simon, A Game of Birds and Wolves: The Secret Game that Won the War, Londra, GB, Hodder & Stoughton, 2019, p. 128. (19) Ibidem, pp. 93-94. (20) Strong, Wargaming The Atlantic War, pp. 7-8. (21) Parkin, A Game of Birds and Wolves, pp. 142-143. (22) Gordon Andrew, The Rule of the Game: Jutland and British Naval Command, Londra, GB, John Murray, 2005, p. 481. (23) Parkin, A Game of Birds and Wolves, pp. 152-153. (24) Ibidem, pp. 204-205. (25) Sloan, The Royal Navy and Organizational Learning, p. 10. (26) Work Bob; Selva Paul, Revitalizing Wargaming is Necessary to Be Prepared for Future Wars, disponibile presso: https://warontherocks.com/2015/12/revitalizing-wargaming-is-necessary-to-be-prepared-for-future-wars (ultima consultazione 19/09/2021). (27) Caffey, Newport Paper 43, On Wargaming, pp. 87-88. (28) Hay Bud; Gile Bob, Newport Paper 4, Global War Game. The First Five Years, Newport, USA, Naval War College Press, 1993, pp. 1-2. (29) Ibidem, pp. 14-17. (30) Caffey, Newport Paper 43, On Wargaming, pp. 101-102. (31) Hanley T. John Jr., Creating the 1980s Maritime Strategy and Implications for Today, in Naval War College Review, Vol. 67, nr. 2, 2014, p. 10. (32) Hay, Gile, Newport Paper 4, Global War Game, Employment of Naval Forces; Political/Military Considerations. (33) Per il supporto dell’IC alla formulazione della Maritime Strategy e la comprensione del nemico si rimanda a Ford A Christopher; Rosenberg A David, The Naval Intelligence Underpinnings of Reagan’s Maritime Strategy, in Journal of Strategic Studies, Vol. 28, nr. 2, 2007. (34) Si rimanda a Hattendorf B. John; Phil. D.; Swartz M. Peter, Newport Paper 33, U.S. Navy Strategy in the 1980s: Selected Document, Newport, USA, Naval War College Press, 2008. (35) Hanley T. John Jr., Creating the 1980s Maritime Strategy and Implications for Today, in Naval War College Review, Vol. 67, nr. 2, 2014, p. 11. (36) L’ammiraglio Owens, sommergibilista, comandante della Six Fleet durante l’Operation Desert Storm, aveva già ricoperto l’incarico di senior military advisor per i SecDef (Secretaries of Defense) Frank Carlucci e Dick Cheney. Per maggiori informazioni riguardo «System of Systems» si rimanda a: Owens A. William, The Emerging U.S. System-of-Systems, in Strategie Forum 63, 1996, disponibile presso: https://books.google.it/books?id=9sAVOAAACAAJ&pg=PP1&hl=it&source=gbs_ selected_pages&cad=2#v=onepage&q&f=false. L’ammiraglio Cebrowski, pilota, dopo aver preso parte ai combattimenti in Vietnam e nel Golfo, finì i suoi giorni in servizio attivo quale presidente del Naval War College solo per essere richiamato dalla riserva nemmeno un mese dopo per dirigere l’OFT (Office of Force Transformation) voluto dal SecDef Donald Rumsfeld nell’ottobre 2001. Per maggiori informazioni riguardo al concetto di «Network-centric warfare» si rimanda all’articolo in questione: Cebrowski K. Arthur; Garstka H. John, Network-Centric Warfare, Its Origin and Future, in Proceedings Volume 124/1/1,139, gennaio 1998, disponibile presso: www.usni.org/magazines/proceedings/1998/january/network-centric-warfare-its-origin-and-future; per ulteriori informazioni: Wilson Clay, Network Centric Operations: Background and Oversight Issues for Congress disponibile presso: https://sgp.fas.org/crs/natsec/RL32411.pdf. (37) www.cna.org/about (data di ultima consultazione 19/09/2021). (38) www.cna.org/about/history (data di ultima consultazione 19/09/2021). (39) James M. McConnell, The Gorshkov Articles, The New Gorshkov Book And Their Relation To Policy, Arlington, USA, CNA, Professional Paper nr. 159, 1976. (40) www.cna.org/centers/cna/operational-warfighting/wargaming. (41) www.cna.org/centers/cna/operations-evaluation/field.
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PRIMO PIANO
La corsa tecnologica cinese: impatto strategico sulle operazioni militari Cesare Torregiani
Ufficiale della Marina Militare del corpo di Stato Maggiore. Ha conseguito la maturità scientifica presso la Scuola militare «Teulié» dell’Esercito italiano, dove ha ricoperto per i tre anni di formazione il ruolo di capocorso e alfiere di reggimento. Successivamente ha frequentato i corsi normali dell’Accademia navale di Livorno dove ha ricoperto il ruolo di capocorso per i quattro anni di formazione. Si è laureato nel 2022, in Scienze marittime e navali, con tesi sulla strategia marittima italiana e sul futuro dello strumento aeronavale. Assegnato all’Aviazione navale, è attualmente designato alla frequenza del corso militare di pilotaggio negli Stati Uniti presso la Naval Air Station di Pensacola (Florida). 88
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Portaerei nucleare USS DWIGHT D. EISENHOWER (CVN-69) in navigazione (Pixabay).
Pechino mira ad allontanare dalle proprie coste la proiezione di potenza statunitense tramite il ricorso a bolle A2/D2 nel Mar Cinese. Le recenti innovazioni tecnologiche cinesi nel campo missilistico e delle telecomunicazioni costituiscono il perno di questa strategia di sea denial e portano con sé importanti riflessioni dottrinali circa l’uso delle portaerei.
L’
infrastruttura tecnologica del 6G, ossia la sesta generazione di telefonia mobile, rientra tra le cosiddette disruptive technologies, innovazioni pioneristiche che aprono la strada a una serie di applicazioni mai sperimentate prima (1). Il 25 gennaio 2022 un team di scienziati cinesi ha annunciato di aver condotto con successo la più veloce trasmissione di dati mai avvenuta, utilizzando proprio tale tecnologia, con serie ripercussioni per la conduzione delle operazioni militari e le conseguenti dottrine di ingaggio, tanto da ricevere la completa attenzione da parte
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della Difesa statunitense (2). Il sistema di comunicazione 6G adopera radiazioni elettromagnetiche con frequenza nell’ordine dei terahertz, garantendo così velocità cento volte superiori alle attuali capacità di quinta generazione, non ancora completamente implementate anche nei paesi più industrializzati. La sua applicazione in campo militare permetterebbe inoltre la scoperta e il controllo continuo dei missili ipersonici, operazione al momento impossibile. Tali vettori infatti sfruttano una velocità di crociera anche di otto o nove volte quella del suono per poter colpire 89
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sé un vantaggio ancora consistente. Tuttavia gli Stati Uniti, al momento, non possiedono alcuna arma ipersonica in servizio e l’unico lancio da vettore aereo effettuato con successo è avvenuto solamente a metà marzo 2022 (3). Naturalmente le Forze armate odierne sono quanto mai consapevoli della necessità di riflettere profondamente sulla propria postura complessiva evitando di rimanere indietro nella competizione globale, soprattutto in ambito tecnologico. Qualora Washington riuscisse a sviluppare con successo tale arma, gli Stati Uniti avrebbero a disposizione un prezioso assetto di deep strike, oltre a comprendere più a fondo i meccanismi di funzionamento dei missili ipersonici russi e cinesi, con ricadute positive sulla difesa da tali armamenti. Estensione in frequenza e impiego tipico delle varie bande elettromagnetiche; la suddivisione utilizzata segue lo standard dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE). Lo spettro delle onde sub-millimetriche (terahertz) costituisce l’attuale campo di ricerca per le future applicazioni delle tecnologia nell'’mbito della difesa missilistica (autore).
in pochi secondi il proprio bersaglio, senza lasciare il tempo o la possibilità di attuare contromisure difensive. Durante il volo in regime ipersonico, il missile risulta essere circondato da una nube di gas ionizzati formata a causa dell’attrito con l’aria a elevata velocità. Tale nube assorbe totalmente le radiazioni elettromagnetiche che incontra, rendendo così tale vettore d’arma completamente invisibile ai radar, poiché avvolto da una barriera impermeabile rispetto allo spettro elettromagnetico da questi impiegato. D’altro canto quest’arma risulta essere un missile «cieco», poiché una volta lanciato non può essere guidato dal terminale dell’unità o dal vettore lanciante, parimenti a causa dell’impossibilità di penetrare la barriera di plasma. Le trasmissioni elettromagnetiche a una frequenza elevata come quella impiegata nelle telecomunicazioni di sesta generazione sarebbero in grado di bucare la nube di plasma che si crea attorno ai missili ipersonici, potendo così controllarne la traiettoria o comunicare con essi. Pertanto, qualora il report cinese si rivelasse veritiero a tutti gli effetti, Pechino avrebbe a disposizione una tecnologia in grado di ridurre il vantaggio occidentale, riducendo così l’attuale gap tecnologico. Attualmente, infatti, i mezzi delle Marine occidentali possiedono tecnologie più sofisticate che portano con
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La ricerca cinese del vantaggio tecnologico Nel corso di un’operazione navale, il Comandante di gruppo deve poter agire e muoversi a livello operativo in un ampio spazio multidominio che deve essere necessariamente ben conosciuto e la cui analisi viene attuata tramite una vasta e disparata gamma di sensori (4). In tali termini e in tale prospettiva, con il proseguire degli anni, il possesso di disruptive technologies quali realtà aumentata e sistemi di real-time communication diventeranno sempre più importanti nel mantenere il vantaggio tecnologico, anche definito come offset dalle linee guida della Difesa (5). La processazione ed elaborazione del dato grezzo, ovvero ricavato da un qualunque sen-
Distribuzione della provenienza delle domande di brevetto nell’area 6G del 2021(Cyber Creative Institute via Nikkei Asia).
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sore, viene infatti totalmente affidata al sistema informatico e ai suoi algoritmi, al fine di estrapolare, connettere e presentare all’utente il quadro di situazione completo, nella maniera più comprensibile e immediata (6). Ciò implica inoltre che il possesso e l’efficienza di questi sistemi di elaborazione divengano degli assetti strategici attinenti alla sicurezza nazionale e strettamente correlati all’efficacia dello strumento militare; tali sistemi sono da custodire gelosamente da eventuali attacchi informatici o tentativi di spionaggio da parte dei servizi informativi di altri paesi competitori. Si può ritenere, senza tema di smentita, che l’eventuale possesso di un’infrastruttura 6G, e dei relativi protocolli, costituirebbe un vantaggio strategico in grado di spostare l’ago della bilancia a proprio favore. Infatti, la possibilità di trasmettere una grande mole di dati con un basso tempo di latenza aumenterebbe le capacità di processazione in tempo reale dei calcolatori, compresi quelli a bordo delle navi, con una trasmissione che andrebbe così a pareggiare o addirittura a superare le velocità di calcolo degli odierni microprocessori presenti in commercio. Parallelamente, nel caso di un’operazione aeronavale, si acquisirebbe una maggiore integrazione tra i vari assetti (navi; sottomarini; aerei, elicotteri; droni) presenti in un dispositivo navale, attraverso una superiore situational awareness (quadro di situazione) di questi, grazie a un aggiornamento in tempo reale di una grande quantità di dati. Tale tecnologia inoltre avrebbe ricadute positive anche in altri settori quali la scoperta di oggetti con caratteristiche stealth, annullando i vantaggi dell’«invisibilità», o nel campo dei collegamenti ad alta velocità nello
spazio. Non esiste infatti una caratteristica stealth assoluta, ma essa può essere raggiunta nei confronti di specifiche bande di interesse con opportuni accorgimenti (7). Nello specifico l’onda elettromagnetica alle frequenze operative del 6G appare più come un fascio e pertanto è dotata delle seguenti caratteristiche: maggior direttività; maggior energia trasportata e minima lunghezza d’onda. Essa riuscirebbe quindi a rilevare i velivoli con caratteristiche da noi al momento ritenute stealth (8). Acquisire il predominio tecnologico in ogni campo o sviluppare ogni capacità militare possibile sarebbe per la Cina troppo oneroso. Pechino, come mostra il recente numero di domande di brevetto, si sta focalizzando in maniera intensiva nell’infrastruttura 6G. L’équipe di scienziati cinesi della Tianjin University’s School of Precision Instruments and Optoelectronics Engineering, come prima riportato, è riuscita a ideare un sistema laser in grado di emettere un’onda elettromagnetica continua nello spettro dei terahertz, requisito fondamentale per le comunicazioni in tecnologia 6G. Gli studiosi del settore asseriscono che tali onde potrebbero penetrare facilmente la barriera di plasma a velocità anche superiori a Mach 10, come se tale barriera non esistesse affatto. Ricerche passate avevano evidenziato come onde nello spettro inferiore dei terahertz (utilizzate per le trasmissioni ad alta velocità) al contrario, tendessero a degradarsi nell’attraversare la nuvola di plasma; di pari passo però lo spettro superiore dei terahertz non avrebbe problemi ad attraversare tale barriera, ma al contempo avrebbe una propagazione molto limitata nell’atmosfera.
Rendering grafico di un missile ipersonico (Pixabay).
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Ulteriori calcoli del Northwestern Polytechnical University e del Shanghai Aerospace Control Technology Institute hanno inoltre rivelato che, per comunicare con armi ipersoniche in atmosfera, a velocità Mach 5, sarebbe necessaria una frequenza di 2 terahertz, la quale di pari passo consentirebbe un raggio di comunicazione di circa 60 chilometri. Il sistema laser sperimentato da Yao e il suo team lavorerebbe a una frequenza 2,5 terahertz e aprirebbe così nuovi scenari, sempre qualora queste affermazioni si rivelassero veritiere e non frutto di mera propaganda (9). In ogni caso, a prescindere dalla loro veridicità o meno, queste dichiarazioni mostrano chiaramente quale sia il trend e gli obiettivi dell’evoluzione tecnologica cinese.
Le portaerei, regine dei mari e perno della dottrina navale occidentale La corsa tecnologica di Pechino, attraverso le sue applicazioni in campo militare, mira a ridurre l’efficacia bellica delle portaerei, ovvero cercando principalmente di allontanare in maniera sempre crescente i Carrier Strike Group dai mari vicini alla Cina. La portaerei rappresenta la pietra angolare sulla quale si fonda la dottrina di ingaggio delle Marine occidentali e in particolare degli Stati Uniti. La US Navy è abituata a operare in un contesto di totale supremazia aerea, proiettata dal suo Carrier Strike Group, il quale ha come elemento cardine proprio la portaerei. L’elevato numero e la tipologia di piattaforme aeree diversificate dispiegabili, che possono arrivare fino a ottanta unità (comprendendo quindi anche unità portaelicotteri), rende questa supremazia incontestabile da qualsiasi altro attore in un eventuale scontro simmetrico frontale. Inoltre i velivoli presenti a bordo sono in grado di assolvere a uno spettro di operazioni a tuttotondo quali il combattimento aereo, land strike, lotta antisommergibile (ASW), Search And Rescue (SAR), trasporto (COD), weather observation, ricognizione e compiti di Airborne Early Warning and Control (AEW&C), rappresentando di fatto un’intera Aeronautica militare «in miniatura». Tale impostazione inoltre influenza anche gli altri paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica, i quali si muovono con dottrine di ingaggio simili. La componente aerea trasportata permette di esten-
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dere notevolmente la capacità di proiezione del dispositivo navale nel quale essa è inquadrata, permettendo di operare in profondità. Questo primo aspetto si lega alla rapidità di dispiegamento dovuta alla velocità degli aeromobili imbarcati, che possono quindi essere impiegati in un più ampio spettro di operazioni di pattugliamento, interdizione e supporto. Essa è quindi strumento imprescindibile per una capacità di proiezione di potenza che possa sostenere il proprio strumento militare nelle aree di interesse e nella totalità del globo. La capacità aerea risulta parte integrante della capacità navale, grazie agli scenari odierni che prevedono proprio la necessità di un primo intervento rapido e possibilmente decisivo, con grande valenza data alla fase iniziale del conflitto stesso (10). La portaerei rappresenta prima di tutto un microcosmo indipendente, una vera e propria infrastruttura mobile che porta già con sé tutto il necessario per operare per un lasso di tempo prolungato e sostenuto. Inoltre quale centro di comando e controllo, oltre che fulcro di un gruppo navale, essa può operare in sicurezza e a ridosso delle coste, sempre vicina all’area di operazione, conservando l’effetto sorpresa e avendo la possibilità attuare una strutturata azione di naval diplomacy (11). A fianco operazioni show the flag, ossia attività volte a mostrare la propria effettiva presenza e capacità di intervento, un Carrier Strike Group è in grado di attuare anche una linea più dura, con azioni coercitive volte a influenzare lo sviluppo di un eventuale crisi (12). In aggiunta essa è l’unico strumento in loco in grado di intervenire esprimendo già da subito il massimo dell’operatività nella primissima fase di un conflitto che, come riportato prima, è la fase più importante in grado di fare la differenza nei conflitti odierni (13). Nel contempo le portaerei, oltre a essere uno strumento indispensabile per una Marina che voglia proiettare la sua influenza sull’alto mare, rappresentano delle High Value Unit (HVU), visto che il costo medio di una classe «Nimitz» è di 4 miliardi e mezzo di dollari. Se è vero che queste hanno a lungo dominato in maniera del tutto indisturbata il panorama navale mondiale a partire dalla fine della Guerra Fredda, lo sviluppo tecnologico missilistico ha tuttavia iniziato a
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Gli aerei del Nimitz Carrier Strike Group volano in formazione sulla portaerei USS NIMITZ (CVN 68) (U.S. Navy by Seaman Keenan Daniels media.defense.gov).
costituire vieppiù una concreta minaccia. Proprio l’immissione sul mercato di missili antinave di fabbricazione sovietica e cinese, con un costo economico ridotto, ha iniziato a delineare uno squilibrio tra attacco e difesa, innescando una serie di riflessioni sull’utilizzo di assetti molto costosi. Ciò si verificherebbe, per esempio, qualora si riuscisse a saturare le difese aree avversarie tramite il lancio di numerosi vettori con un lieve dispendio finanziario. Per una dottrina di ingaggio che ruoti attorno al Carrier Strike Group risulta quindi fondamentale la creazione di un opportuno schermo a difesa della portaerei, la cui perdita causerebbe sia una seria menomazione dal punto di vista militare sia dal punto di vista delle ripercussioni psicologiche. Per questo motivo si procede alla predisposizione di un particolare dispositivo di protezione, denominato «schermo». Lo scopo di uno schermo (screen) è costituire appunto la difesa multidimensionale quanto più possibile avanzata. La difesa antiaerea (AAW Anti Air Warfare), è attuata tramite l’utilizzo di unità lanciamissili, dotate di radar tridimensionali di scoperta a lungo raggio, il cui scopo è quello di estendere, il più lontano possibile, l’area di sorveglianza, identificazione e controllo di tutti i veli-
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voli in avvicinamento, oltre a scoprire eventuali missili lanciati da distanza. È normale attuare anche un dispositivo navale diradato che aiuta a nascondere la reale posizione dell’unità di alto valore all’interno del dispositivo. Nella difesa nei confronti dei missili antinave (ASMD), la neutralizzazione della piattaforma aerea nemica, prima del rilascio del suo armamento, costituisce una necessità e sempre una sfida, viste le velocità dei missili antinave che lasciano una breve finestra temporale per procedere alla neutralizzazione
Lo sviluppo cinese delle bolle Anti-Access/Area Denial In passato lo strapotere navale statunitense permise ai paesi dell’Alleanza Atlantica di accerchiare l’Unione Sovietica, arginare il suo espansionismo e attendere così il suo inevitabile tracollo economico. Al giorno d’oggi Russia e Cina, sentendosi soffocate dalla proiezione di potenza statunitense, mirano allo sviluppo di una capacità di naval strike che possa arrivare sull’avversario da una posizione sicura, al di fuori del raggio di azione degli assetti avversari, conosciuta come distanza di stand-off. Infatti la totale supremazia statunitense, in fatto di quantità e qualità di mezzi, ha causato
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lo sviluppo di strategie alternative volte ad arginare la proiezione delle piattaforme americane creando aree di difficile accesso, anche chiamate bolle A2/AD (14). Mosca e Pechino, non potendo attuare i presupposti richiesti per esercitare il controllo dello spazio marittimo, puntano piuttosto a negare l’uso del mare al suo avversario (sea denial), aspetto non di minore importanza, limitando la libertà di azione e movimento delle Marine occidentali (15). Come insegna lo storico navale Julian Corbett, non è sempre possibile esercitare il controllo dello spazio marittimo, ma la condizione standard consiste in una situazione di mare conteso. Si può quindi affermare che il sea denial sia un aspetto minoritario del sea control, nella misura in cui esso impedisca l’uso dello specchio acqueo all’avversario, ponendolo sotto la propria influenza. Vista la capacità di proiezione statunitense e della Marine occidentali, ciò significa sviluppare una capacità che possa riversare un’azione di fuoco efficace fino a 1.000 chilometri di
distanza (16). Tale considerazione è pienamente confermata dagli sforzi russi e cinesi nella progettazione di missili ipersonici o balistici. Pechino punta perciò ad annullare il vantaggio delle Marine occidentali in maniera trasversale e ibrida. Non potendo competere in uno scontro frontale e simmetrico tra i propri assetti e quelli dell’Alleanza Atlantica, la Cina intende allora allontanare le forze della NATO dalle acque limitrofe, in un vero e proprio tentativo di territorializzazione del Mar Cinese Meridionale e Orientale (17). Ciò si evince dall’ampio ricorso a navi draga adoperate per riversare sabbia sugli atolli presenti in quelle acque, espandendone la superficie emersa per poi appropriarsene tramite la costruzione di infrastrutture civili e militari. È il caso per esempio degli arcipelaghi delle isole Spratly e Paracelso, sulle quali sono presenti un totale di 27 avamposti, tra i quali un aeroporto con una lunghezza di pista sufficiente a far operare i moderni aerei multiruolo ad alte prestazioni (18).
Strategia cinese di interdizione degli spazi del Mar Cinese, strumentale all’attuazione della «difesa dei mari vicini» (Laura Canali per Limes, rivista italiana di geopolitica).
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La corsa tecnologica cinese: impatto strategico sulle operazioni militari
Sfere di influenza statunitensi e cinesi nello scenario dell’Oceano Pacifico e del Mar Cinese Meridionale (Laura Canali per Limes, rivista italiana di geopolitica).
La geografia e l’estensione di questi atolli ci suggerisce un uso prettamente difensivo, tramite la costruzione di stazioni di sorveglianza radar costiere e sistemi di telecomunicazioni, in modo tale da rendere tali isolotti gli occhi del dragone cinese nel Pacifico. Tale linea d’azione risulta essere in accordo con la dottrina della «difesa dei mari vicini», teorizzata per la prima volta durante gli anni Ottanta del secolo scorso dal comandante dell’Esercito Popolare di Liberazione Liu Huaqing, al fine di prevenire l’ingerenza esterna tramite la capacità militare, la quale sarebbe venuta proprio dagli specchi acquei prospicienti (19). Per la prima volta nella dottrina cinese non ci si è fermati alle semplici acque costiere, ma al proprio intorno geografico individuato in un’area complessiva che si estende almeno fino a 200 miglia dalla costa e, soprattutto, si è identificato il Potere Marittimo come elemento fondamentale per la sicurezza nazionale (20). Pechino intende quindi creare una seconda Grande Muraglia fatta di sabbia in-
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vece che di pietra, per riprendere le parole dell’ammiraglio Harris, ex comandante della Flotta del Pacifico. La presenza di assetti missilistici a terra, sull’isola di Hainan e sugli arcipelaghi prima citati costituisce una vera e propria spada di Damocle per Taiwan, la cui fattuale indipendenza dipende fortemente dalla presenza statunitense. L’appropriazione indebita di tali isole, o la creazione di esse ex novo, è attualmente al centro delle dispute tra Pechino e i paesi rivieraschi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale, controversie acuite dalla presenza di ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale. La presenza in questi arcipelaghi costituisce un elemento strategico per la Cina, poiché Pechino è intenzionata a dislocare su questi armamenti antinave al fine di creare una catena di bolle A2/AD. Gli sforzi missilistici cinesi degli ultimi anni non si sono concentrati solamente su armi ipersoniche, ma essi hanno portato anche all’aggiornamento nel campo
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dei missili balistici, in particolare con lo sviluppo del missile balistico a medio raggio Dong-Feng 26 (21). Soprannominato come «killer delle portaerei», dalle prime indiscrezioni esso sembra essere il primo missile cinese in grado di raggiungere l’isola di Guam da terra, con un raggio di oltre 5.000 chilometri, per colpire bersagli navali o terrestri. Le appendici aerodinamiche di cui è dotato il missile lasciano intendere che esso abbia capacità di manovrare, anche se ciò non è un dato del tutto sicuro, poiché un missile balistico possiede un profilo di volo molto complesso e non tutti sono in grado di manovrare durante la loro permanenza in atmosfera. In ogni modo, nonostante i roboanti proclami trasmessi dalla televisione di stato cinese, Pechino non ha mai dimostrato di possedere la capacità di colpire bersagli in movimento quali una portaerei con armi a traiettoria suborbitale (22). Infatti al giorno d’oggi nessun paese ha mai sviluppato un missile balistico antinave effettivamente funzionante, e gli analisti militari ritengono che per muoversi in tale direzione siano richiesti numerosi test di lancio, cosa che la Cina non ha mai effettuato. Perché il vettore missilistico possa andare a segno, Pechino dovrebbe disporre di sensori dotati di una robusta schermatura che consenta loro di resistere allo shock causato dall’uscita e dal successivo rientro nell’atmosfera. Di pari passo, si ravviserebbe la necessità di un capillare sistema di sorveglianza tale da individuare le unità avversarie in una porzione molto ampia dell’Oceano Pacifico. Tale capacità non è minimamente raggiungibile basandosi sulle sole installazioni radar costiere ricavate dalle isole artificiali del Mar Cinese, ma ciò non esclude che in futuro Pechino possa sopperire a tale mancanze ricorrendo all’immissione in orbita di satelliti adatti allo scopo.
definitivo declino delle corazzate, a partire dalla fine della Guerra Fredda lo sviluppo tecnologico missilistico ha iniziato a poter porre dei limiti alla proiezione di potenza di questo strumento. La portaerei rappresenta la pietra angolare sulla quale si fonda attualmente la dottrina navale statunitense ed essa è oggigiorno la regina dei mari. I vettori aerei da essa trasportati sono stati impiegati con lo scopo di colpire in profondità i punti nevralgici o importanti strutture a terra, con una decisiva e rapida azione risolutoria che in molte situazioni ha fatto la differenza per le truppe presenti sul campo di battaglia e non. Fu il caso per esempio dell’operazione El Dorado Canyon del 15 aprile 1986, consistente in una serie di raid aerei contro l’aeroporto di Tripoli lanciati dalla Marina, Aeronautica e Marines statunitensi. Grazie al carattere expeditionary di una Forza di mare, che assieme alla libertà di navigazione le permette di proiettare liberamente la propria presenza fino a sole 12 miglia dalla costa di qualsiasi Stato rivierasco, gli attacchi condotti dalle portaerei Saratoga, America e Coral Sea presenti in loco poterono iniziare immediatamente a produrre i loro effetti devastanti senza alcun tipo di ritardo. Al contrario i bombardieri long-range dell’Air Force furono costretti a percorrere un totale di 7.000 miglia, evitando il sorvolo dello spazio aereo di alcuni paesi, e facendo
Conclusioni Le portaerei hanno a lungo dominato in maniera del tutto indisturbata il «campo da gioco» ma, a similitudine di come nel secolo scorso queste piattaforme e i sommergibili segnarono il
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22 marzo 1986. Appontaggio di un F-14A Tomcat sulla USS SARATOGA (wikipedia.org).
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ricorso a ben quattro rifornimenti in volo con i problemi a esso connessi (23). Al momento gli Stati Uniti continuano a detenere il primato militare con mezzi superiori a qualsiasi paese, sia in termini qualitativi che quantitativi. Tuttavia gli sviluppi futuri in fatto di sorveglianza satellitare e sistemi missilistici A2/AD potrebbero ridurre questo offset e ridurre le portaerei più complesse a dei semplici bersagli galleggianti da miliardi di dollari. Per quanto scritto in precedenza, l’interrogativo da
porsi non è se i nostri competitors riescano o meno a contrastare frontalmente il potere navale della NATO, ma se essi riescano a livellare l’offset tecnologico mediante l’utilizzo di particolari armi strategiche. Visti i recenti sviluppi tecnologi e le innovazioni nel campo militare, non è da escludere che in un futuro prossimo il dominio dei mari, conseguenza del relativo Potere Marittimo, possa arrivare a dipendere sempre di più dalla capacità di proiezione di un paese nella dimensione geospaziale e missilistica. 8
NOTE (1) D. Panebianco, Le possibili evoluzioni del concetto di difesa del XXI secolo, in Rivista Marittima, CL (2019), 12, p. 38. (2) S. Tiwari, China’s New «Super 6G Tech» Can Penetrate Hypersonic Missile Shield, Boost Country’s Near-Space Defense - Top Scientist, in The Eurasian Times, 29 gennaio 2022. (3) O. Liebermann, US tested hypersonic missile in mid-March but kept it quiet to avoid escalating tensions with Russia, in CNN, 5 aprile 2022. (4) Un’operazione multidominio consiste in una strutturata azione di comando e controllo (C2) che si estrinseca contemporaneamente in tutti i domini militari: terrestre, marittimo, aereo, spaziale e cyber. Essa rappresenta un ulteriore sviluppo del modello «joint», nel quale ogni Forza armata opera pur sempre nel proprio dominio. (5) Ministero della Difesa, Documento di integrazione concettuale delle Linee Programmatiche, ed. 2018. L’offset è definito come «un vantaggio persistente, pervasivo, univoco e non bilanciabile, che sposta la competizione da uno scenario non favorevole a uno che permette l’applicazione di forze a un problema altrimenti irremovibile, o sormontabile a un costo inaccettabile. L’offset e�il cuore del vantaggio strategico, ed è in genere raggiunto tramite una strategia di superiorità tecnologica di lungo termine (offset strategy)». (6) D. Berna, Ruolo e importanza dell’Intelligence per il «Sistema Paese Italia», in Rivista Marittima, CLII (2020), 5, p. 15. (7) In particolare si cercano di evitare forme della fusoliera arrotondate poste sulla più probabile direzione di provenienza di un fascio radar, poiché queste producono una retrodiffusione (backscatter) simmetrica che permetterebbe di individuare l’aeromobile. (8) Per ulteriori notizie circa il rapporto tra lunghezza d’onda e persistenza delle caratteristiche stealth si rimanda a F. Bozzato, G. Plopsky, The F-35 vs. The VHF Threat, in The Diplomat, 21 agosto 2014, reperibile al link https://thediplomat.com/2014/08/the-f-35-vs-the-vhf-threat. (9) S. Tiwari, China’s New «Super 6G Tech» Can Penetrate Hypersonic Missile Shield, Boost Country’s Near - Space Defense - Top Scientist, cit. (10) G. Lertora, Incidenza e attualità del Potere Aeronavale nel Potere Marittimo, in Rivista Marittima, CLIII (2021), 2, p. 20. (11) Il diplomatico britannico James Cable, nel suo Gunboat Diplomacy 1919-1979, indicò tale azione come «l’impiego o la minaccia d’impiego di Forze navali per assicurarsi un vantaggio politico o negarlo all’avversario senza provocare un vero e proprio conflitto» (12) G. Lanzara, Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo, in Rivista Marittima, CLII (2021), 10, pp. 20-33. (13) P. Messina, A chi toccano gli F-35? La disputa infinita fra Aeronautica e Marina, in Limes, XXVII (2020), 10, p. 89. (14) Anti Access / Area Denial (A2/AD). (15) A. Rocco D’avenia, Le bolle A2/AD, in Rivista Marittima, CLIII (2021), 2, p. 53. (16) Questa considerazione è stata fatta prendendo a riferimento l’utilizzo di missili Harpoon sul McDonnell Douglas F/A-18 Hornet, il quale ha un raggio di azione di circa 800 chilometri, al quale deve essere sommata una gittata massima di 200 chilometri propria del missile. Il più recente caccia multiruolo di quinta generazione Lockheed Martin F-35 Lightning II ha invece un raggio di azione massimo di circa 1.100 chilometri. (17) F. Caffio, Glossario di Diritto del Mare, supplemento a Rivista Marittima, CLII (2020), 11, p. 66. (18) E.S.Y. Chan, La Cina diventerà una potenza marittima - non un Impero dei mari, in Limes, XXVII (2020), 10, pp. 311-316. (19) L. Huaqing, Liu Huaqing memoir, Pechino, Pla Press, 2004, pp. 432-439. (20) Nonostante l’estensione costiera cinese ammonti a un totale di 18.000 km. essa non si pensò mai tra i flutti, evidenziando da sempre una scarsa propensione allo sviluppo di una strategia marittima, ritenendo sufficienti le risorse donate dall’entroterra. Le Forze navali dell’Impero furono dapprima limitate a compiti di difesa costiera nei confronti dei pirati e, in seguito, a limitare l’influenza straniera durante le guerre dell’oppio (1839-42, 1856-60), per poi limitarsi a prevenire gli attacchi provenienti da Occidente verso la fine del XIX secolo. Per un approfondimento sul tema si rimanda all’opera B. Swanson, Eighth voyage of the dragon: a history of China’s quest for seapower, Annapolis, Naval Institute Press, 1982. (21) Un missile balistico è un proietto dotato di traiettoria di volo suborbitale. Tale vettore permette il trasporto di più testate (convenzionali o nucleari) su di un obiettivo, con un profilo di volo inizialmente accelerato e infine inerziale. (22) Office of the Secretary of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020: Annual Report to Congress, Washington, DC, U.S. Department of Defense, 2020. Reperibile al link https://media.defense.gov/2020/Sep/01/2002488689/-1/-1/1/2020-DOD-CHINA-MILITARY-POWER-REPORT-FINAL.PDF. (23) P. Messina, A chi toccano gli F-35? La disputa infinita fra Aeronautica e Marina, cit., p. 89. BIBLIOGRAFIA D. Berna, Ruolo e importanza dell’Intelligence per il «Sistema Paese Italia», in Rivista Marittima, CLII (2020), 5. Bozzato, G. Plopsky, The F-35 vs. The VHF Threat, in The Diplomat, 21 agosto 2014. F. Caffio, Glossario di Diritto del Mare, supplemento a Rivista Marittima, CLII (2020), 11. E.S.Y. Chan, La Cina diventerà una potenza marittima - non un Impero dei mari, in Limes, XXVII (2020), 10. L. Huaqing, Liu Huaqing memoir, Pechino, Pla Press, 2004. G. Lanzara, Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo, in Rivista Marittima, CLII (2021), 10. G. Lertora, Incidenza e attualità del Potere Aeronavale nel Potere Marittimo, in Rivista Marittima, CLIII (2021), 2. O. Liebermann, US tested hypersonic missile in mid-March but kept it quiet to avoid escalating tensions with Russia, in CNN, 5 aprile 2022. P. Messina, A chi toccano gli F-35? La disputa infinita fra Aeronautica e Marina, in Limes, XXVII (2020), 10. D. Panebianco, Le possibili evoluzioni del concetto di difesa del XXI secolo, in Rivista Marittima, CL (2019), 12. A. Rocco D’avenia, Le bolle A2/AD, in Rivista Marittima, CLIII (2021), 2. B. Swanson, Eighth voyage of the dragon: a history of China’s quest for seapower, Annapolis, Naval Institute Press, 1982. S. Tiwari, China’s New «Super 6G Tech» Can Penetrate Hypersonic Missile Shield, Boost Country’s Near-Space Defense - Top Scientist, in The Eurasian Times, 29 gennaio 2022. Ministero della Difesa, Documento di integrazione concettuale delle Linee Programmatiche, ed. 2018. Office of the Secretary of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020: Annual Report to Congress, Washington, DC, U.S. Department of Defense, 2020.
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Il terrorismo internazionale nel corso del XX secolo Le manifestazioni c.d. classiche del terrorismo - parte I
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte (1) Direttore di Mediterranean Insecurity, saggista e analista intelligence, laureata in Giurisprudenza e in Relazioni internazionali, Dottore di ricerca in diritto internazionale, è docente di counter-terrorism presso numerose università italiane e lavora al ministero degli Affari esteri. Tra i suoi libri: Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo «fai da te» (2017), Vivere a Mosul con l’Islamic State. Efficienza e brutalità del Califfato (2019, vincitore del premio Cerruglio 2020), e Il mondo dopo il Covid-19. Conseguenze geopolitiche e strategiche. Posture dei gruppi jihadisti e dell’estremismo violento (2020, insieme a Ferdinando Sanfelice di Monteforte).
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Introduzione Se è vero che il terrorismo è un metodo da sempre utilizzato, tanto che la storia è piena di esempi sin dall’antichità, è altrettanto vero che solo nel corso dello scorso secolo la comunità internazionale e le opinioni pubbliche mondiali hanno iniziato a occuparsi del fenomeno. Proprio l’evoluzione che esso ha avuto nel corso del XX secolo lo hanno trasformato, facendogli assumere man mano connotati nuovi e sempre più «internazionali», sino alla nascita di un terrorismo internazionale che alla soglia del XXI secolo è divenuto universale ed è considerato come una delle maggiori minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. Seppur la comunità internazionale, per oggettive difficoltà giuridiche (la possibilità di realizzarlo con una qualsiasi modalità operative) e ragioni più propriamente politiche (connesse per lunghi anni al terrorismo palestinese) (2), non sia ancora riuscita a trovare l’accordo intorno a una definizione giuridica universalmente riconosciuta (3), possiamo concordare sul fatto
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che, al di là della modalità operativa di volta in volta utilizzata, il «terrorismo» sia un metodo, giuridicamente inquadrabile come «fattispecie criminosa a forma libera, attraverso la quale si mira, nell’immediato, a raggiungere l’obiettivo di spargere il terrore in una determinata comunità, per il conseguimento, in un secondo momento, di uno scopo ulteriore, che si concretizza normalmente in un cambiamento politico, sociale o religioso» (4). Nessun dubbio esiste poi, sia in dottrina che nella prassi di pressoché tutti gli Stati e tutte le organizzazioni internazionali, sul fatto che il carattere di internazionalità possa essere attribuito al terrorismo in presenza anche di un solo elemento di estraneità rispetto a un’unica realtà statale (per esempio tra nazionalità degli autori e delle vittime). Fatte queste necessarie premesse, e ricordato che il terrorismo come metodo è sempre esistito, si deve sottolineare come per secoli sia stato perseguito a livello statale anche quando presentava elementi di internazionalità. Solo nella seconda parte del XIX secolo sorse
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infatti nella comunità internazionale l’interesse a perseguirlo, in seguito al lungo contenzioso diplomatico sviluppatosi dopo la fuga in Belgio di due uomini che avevano attentato alla vita di Napoleone III. Davanti all’impossibilità del Regno del Belgio di concedere l’estradizione dei due attentatori, rientrando l’attentato contro un capo di Stato tra quelli di natura politica per cui le sue avanzate leggi vietavano l’estradizione, nacque la c.d. «clausola belga», ben presto recepita in numerosi trattati bilaterali di estradizione. Essa prevedeva una restrizione della nozione dei delitti politici, escludendo da essi, e quindi dal divieto di estradizione per gli autori di tali crimini, gli attentati contro i capi di Stato o i membri delle loro famiglie (5), rendendo così
In realtà, fu solo nella seconda metà del secolo scorso che la comunità internazionale trovò una nuova via per contrastare il fenomeno, cercando di prevenire e colpire la commissione di attentati che venivano man mano realizzati con sempre nuove modalità operative, da un terrorismo internazionale che potremmo dire fosse sempre meno secolare e sempre più religioso. In effetti, nel corso del XX secolo il terrorismo internazionale è mutato molto più di quanto non avesse fatto in tutti i secoli precedenti, gettando le basi per lo sviluppo di quello che noi oggi conosciamo, ma già negli anni Settanta era stato definito da Walter Laqueur, nel sottotitolo del suo famoso Storia del terrorismo, il «più drammatico fenomeno del nostro tempo» (6).
possibile l’applicazione dell’istituto dell’estradizione per gli autori di atti di terrorismo. Per decenni, tale clausola continuò a essere la sola e unica risposta giuridica internazionale al terrorismo, anche se negli anni Trenta, dopo l’ondata di attacchi del terrorismo anarchico registrati a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la comunità internazionale provò a rispondere con l’elaborazione di convenzioni internazionali che avrebbero dovuto portare addirittura all’istituzione di una corte penale internazionale, con decenni di anticipo rispetto alla Corte penale internazionale prevista dallo Statuto di Roma del 1998.
Il terrorismo e le risposte della comunità internazionale a cavallo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX. Il periodo post bellico e i primi atti di terrorismo legati al sionismo e alla questione palestinese
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I primi decenni del XX secolo hanno visto una lunga scia di attentati anarchici che ebbero luogo a cavallo tra il XIX e il XX secolo (7), che presentavano, in numerosi casi, rilevanti profili per il diritto internazionale a causa della fuga all’estero degli autori o della diversa nazionalità tra i soggetti attivi e i soggetti passivi del delitto. Malgrado ciò, il terrorismo per diversi anni restò an-
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cora un problema affrontato giuridicamente solo a livello nazionale, se si escludono le citate clausole di trattati bilaterali, che prevedevano l’applicazione dell’istituto dell’estradizione agli autori dei reati anarchici, e il Trattato d’estradizione firmato il 6 febbraio 1930 tra Portogallo e Romania, che consacrò il principio Aut dedere aut judicare (8). Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali si sviluppò in dottrina la consapevolezza dell’impossibilità di uno Stato di combattere da solo il terrorismo internazionale, ma si deve aspettare l’attentato di Marsiglia del 9 ottobre 1934, che costò la vita ad Alessandro di Jugoslavia e al ministro degli Esteri francese Barthou, per vedere l’inizio dei lavori per la stesura di
Seconda guerra mondiale, la sussistenza in alcuni Stati di problemi di ordine costituzionale con riguardo alla repressione di reati commessi all’estero o alla creazione di giurisdizioni eccezionali, l’eccessiva ampiezza della definizione di terrorismo e i gravi incidenti che si registrarono prima dello scoppio della guerra. Le Convenzioni del 1937 erano state pensate per le c.d. «manifestazioni classiche» del terrorismo, tra le quali vanno ricompresi gli attentati contro la vita o l’incolumità di personalità politiche, nonché gli attentati contro gli edifici e le installazioni pubbliche o private e le stragi. E va rilevato che, pur non entrando esse mai in vigore, gli Stati non manifestarono particolari problemi nel contrastare tali manifestazioni, poiché rien-
un progetto di convenzione internazionale contro il terrorismo a opera della Società delle Nazioni. Il 16 novembre del 1937 una Conferenza intergovernativa adottò i testi di due Convenzioni, una per la prevenzione e la repressione del terrorismo e l’altra per la creazione di una Corte penale internazionale (9), rispettivamente firmate da 24 e 13 Stati. Malgrado fossero necessarie solo tre ratifiche affinché entrassero in vigore, solo uno Stato, l’India (10), ratificò la sola Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo. La mancata ratifica delle due Convenzioni può essere attribuita a vari fattori, tra cui sicuramente lo scoppio della
trando nella tipologia tradizionale degli atti di terrorismo, per esse bastò continuare ad applicare la normativa esistente. Per l’esame storico dell’evoluzione delle varie forme in cui il terrorismo si è manifestato nel corso del XX secolo, e della conseguente evoluzione delle risposte normative elaborate dalla comunità internazionale, è quindi opportuno compiere un salto in avanti e iniziare direttamente dalla fine della Seconda guerra mondiale (11). È nel periodo postbellico, infatti, che accanto alle tradizionali forme di manifestazione del fenomeno terrorista si sono pian piano sviluppate, soprattutto a par-
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tire dagli anni Sessanta, nuove modalità operative, per le quali fu necessario procedere all’elaborazione di nuovi strumenti normativi, manifestando quelli esistenti una totale insufficienza a contrastarle. Prima di esaminare, prossimamente, tali nuove modalità operative e i nuovi strumenti normativi elaborati per contrastarle, si deve comunque sottolineare come le modalità operative c.d. «classiche» continuarono a manifestarsi anche nel secondo dopoguerra, con dei cambiamenti importanti nella natura delle motivazioni che spingevano i terroristi ad agire, in una fase storica caratterizzata dal processo di decolonizzazione. Furono storicamente rilevanti, anche per gli sviluppi che ebbe la c.d. «questione palestinese» nei decenni seguenti, soprattutto gli attentati compiuti in Terra Santa e legati alla nascita dello Stato di Israele, con un terrorismo prima sionista e poi palestinese, che portò al riaccendersi del problema del terrorismo sul piano internazionale e allo sviluppo delle nuove manifestazioni terroriste (12). Tra gli attentati legati alla nascita dello Stato di Israele e compiuti con modalità operative classiche, a titolo esemplificativo si possono ricordare: quanto agli attentati contro personalità politiche internazionalmente rilevanti, l’assassinio del conte Folke Bernardotte, rappresentante delle Nazioni unite in Palestina, che venne compiuto a Gerusalemme nel settembre 1948 dal gruppo sionista «Banda Stern» e al quale
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seguì un noto parere della Corte Internazionale di Giustizia (13); per quanto riguarda gli attentati dinamitardi realizzati con sostanze esplosive o infiammabili contro edifici pubblici, particolarmente importante fu quello compiuto dal gruppo sionista «Irgun Zwei Leumi» nel luglio 1946 contro il King David Hotel di Gerusalemme, sede del Quartier generale britannico, che alla luce dell’elevato numero di vittime integrò anche la fattispecie del crimine di strage (14). Per combattere tali manifestazioni continuò a non esser necessario elaborare alcun nuovo strumento giuridico, essendo applicabile la c.d. clausola belga tanto nei casi degli attentati contro i capi di Stato e le altre personalità politiche, per i quali era stata concepita, quanto per quelli degli attentati contro edifici pubblici o privati e le stragi. Tale clausola, infatti, a metà del XX secolo era presente in tutti i trattati bilaterali e multilaterali di estradizione ed era divenuta una prassi consolidata anche in difetto di norme pattizie (15). Come vedremo nella «Parte Seconda» dell’articolo, che sarà pubblicata nei prossimi numeri, a partire dagli anni Sessanta, per rispondere alle nuove modalità operative di volta in volta utilizzate dal terrorismo internazionale (es. dirottamenti aerei e altri atti illeciti contro l’aviazione civile, uccisioni e sequestri del personale diplomatico, attacchi a navi e postazioni marittime fisse), la comunità internazionale rispose invece
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Il terrorismo internazionale nel corso del XX secolo
mediante l’elaborazione di convenzioni settoriali. Queste, al di là delle diverse figurae criminis prese di volta in volta in esame, che per ricadere sotto la disciplina delle convenzioni debbono presentare come presuppo-
sto carattere di internazionalità, hanno disegnato uno standard normativo uniforme, costituito da obblighi di prevenzione e repressione, tra cui spicca l’osservanza del principio aut dedere aut judicare (16). 8
NOTE (1) Le opinioni sono personali dell’autore e non rispecchiano necessariamente le amministrazioni di appartenenza. (2) Storicamente i problemi incontrati dalla dottrina di diritto internazionale sono stati da un lato il rischio di fornire una definizione meramente tautologica o rappresentativa di una sola determinata modalità operativa del terrorismo e non del terrorismo in sé, dall’altro la difficoltà del distinguere tra i due diversi fenomeni del terrorismo come mezzo di coercizione politica adoperata dallo Stato nei confronti dei propri cittadini e del terrorismo come uso della violenza illegittima finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività, a destabilizzarne o restaurarne l’ordine. Nel corso della seconda parte del secolo scorso, poi, si sono aggiunti altri problemi, che potremmo definire politici, dopo che il fenomeno è divenuto strettamente legato alla c.d. «questione palestinese», suscitando la simpatia di larghi settori dell’opinione pubblica mondiale e il sostegno di alcuni Stati, che additavano come terrorista il Governo israeliano e non i gruppi palestinesi autori degli attentati, da giustificare, secondo loro, nella lotta di autodeterminazione del popolo palestinese. Come diceva il prof. Sherif Bassiouni, «what is terrorism to some, is heroism to others», ciò che è terrorismo per qualcuno è eroismo per qualcun altro. Tra i numerosi libri in cui l’espressione è ampiamente analizzata, si veda Bassiouni M. C., International terrorism: multilateral conventions (1937-2001), New York, 2001. Per una ricostruzione delle difficoltà incontrate nella ricerca di una definizione del terrorismo internazionale che potesse essere valida al di là della modalità operativa utilizzata, e riconosciuta dalla maggioranza degli Stati che compongono la comunità internazionale, si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, Napoli, 2006 (Capp. 1 e 2). (3) Per tutti questi discorsi si rimanda all’articolo La minaccia proveniente dal terrorismo internazionale pubblicato nel numero di marzo 2022 della Rivista Marittima. (4) Si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, op.cit., Cap. 1, § 1. (5) La clausola belga, da taluni autori citata anche con l’espressione «clausola di attentato», dispose che «ne sera pas réputé délit politique ni fait connexe à un semblable délit l’attentat contre la personne du chef d’un gouvernement étranger ou contre celle des membres da sa famille, lorsque cet attentat constitue soit le fait de meurtre, soit d’assassinat, soit d’empoisonnement». (6) Laqueur W., Storia del terrorismo. L’analisi storica del più drammatico fenomeno del nostro tempo, 1978, Milano. (7) Si tratta di quella che una parte della dottrina identifica come la «prima ondata» del terrorismo, definito «radicale». La seconda, secondo tale classificazione, sarebbe quella del «terrorismo etnico-nazionalista» a partire dagli anni Cinquanta, la terza quella del terrorismo islamista (o meglio jihadista) dell’inizio del XXI secolo. Per tale classificazione si veda: John A Lynn, Une autre guerre: Histoire et nature du terrorisme, 2021. (8) In tale trattato (il cui testo è rintracciabile in Revue de droit pénal et de criminologie, 1932, 78), così come in quello firmato dalla Romania con la Spagna l’11 novembre dello stesso anno, si prevedeva che in casi di impossibilità a consegnare l’autore di un atto di terrorismo lo si doveva giudicare davanti ai propri tribunali. Per approfondire l’analisi dei due trattati bilaterali e della legislazione della Romania cfr. Pella V. V., La répression des crimes contre la personnalité de l’Etat, in Recueil des Cours de l’Académie de droit international de La Haye, 1930, 791ss.; Meintani, L’extradition dans les nouveaux codes roumains, in Revue de droit international et de législation comparée, 1937, 51; Sottile A., Le terrorisme international, in Recueil des cours de l’Académie de droit international de La Haye, 1938, III, 109; Panzera A. F., Attività terroristiche e diritto internazionale, Napoli, 1978, 15s. (9) Convention for the Prevention and Punishment of Terrorism, Geneva, 16 November 1937 - LN Doc. C.546.M.383.1937; Convention for the Creation of an International Criminal Court, Geneva, 16 November 1937 - LN Doc. C.546.M.383.1937 Annex. (10) Può sembrare quantomeno singolare che l’India, allora non ancora indipendente, sia stato l’unico paese a ratificare la Convenzione. A farlo fu in realtà il Governo coloniale britannico dell’India, che grazie all’appartenenza separata di Delhi alla Società delle Nazioni deviò dalle scelte di Londra, che invece respinse la Convenzione per motivi legali e politici. L’India, al contrario, scelse di aderire a un trattato ritenuto necessario per la sicurezza interna, mostrando un’attenzione verso il fenomeno che si sarebbe vista decenni dopo con la presentazione di un Progetto di convenzione globale, su cui si sta ancora lavorando in sede di Nazioni unite: il 28 agosto 2000 fu presentato dall’India con il documento Meaures to Eliminate International Terrorism: Draft Comprehensive Convention on International Terrorism, Working Document Submitted by India, UN Doc. A./C.6/55/1. Per approfondire le divisioni che si sono verificate alla fine degli anni Trenta tra Delhi e Londra sul sostegno alla misura antiterrorismo, si veda: Mary Barton, The British Empire and International Terrorism: India’s Separate Path at the League of Nations, 1934-1937, in Journal of British Studies , Vol. 56 , Issue 2 , April 2017 , pp. 351 - 373, e online in Cambridge University Press, www.cambridge.org/core/journals/journal-of-british-studies/article/abs/british-empire-and-international-terrorism-indias-separate-path-at-the-league-of-nations-19341937/ 1F36E0BF7776067F390294DB74C34039#article, 2017. (11) Per l’esame storico dell’evoluzione del terrorismo cfr. soprattutto Bassiouni M. C., International terrorism: multilateral conventions (1937-2001), op. cit.; Panzera A. F., Attività terroristiche e diritto internazionale, op. cit., 35 ss.; Ziccardi Capaldo G., Terrorismo internazionale e garanzie collettive, Milano, 1990. Va rilevato che nel corso della Seconda guerra mondiale vennero compiuti numerosi atti di terrorismo da Forze armate, truppe di occupazione e movimenti di resistenza; ci si riferisce ad atti che non avevano esclusivamente il fine di colpire gli obiettivi militari del nemico, ma anche quello di diffondere il panico nell’esercito e nella popolazione civile nemica e che vennero solo in parte puniti dal Tribunale di Norimberga e da quello di Tokyo, anche se senza sottolinearne esplicitamente la natura terrorista. (12) Ancorché gli attentati terroristi legati alla nascita dello Stato di Israele e alla questione palestinese furono sicuramente i più importanti alla luce dei decenni seguenti, non va dimenticato che il fenomeno interessò buona parte degli Stati che lottavano per la decolonizzazione: per tutti basti citare il caso dell’Algeria che a partire dagli anni Cinquanta ha visto il ricorso al terrorismo caratterizzare lo scontro tra la Francia e il «Fronte Nazionale di Liberazione», che con gli anni esportò la violenza terrorista sul suolo francese arrivando ad attentare alla vita del presidente De Gaulle. Per una ricostruzione storica completa e una classificazione dei vari «terrorismi» legati al processo di decolonizzazione, cfr. AA.VV., Encyclopedia of World Terrorism, New York, 1997, vol. 1, 155-182. (13) Il caso Bernardotte divenne celebre nel diritto internazionale soprattutto in seguito al famoso parere che su di esso diede la Corte Internazionale di Giustizia, che si occupò del problema su richiesta dell’Assemblea generale, che chiese alla Corte se le Nazioni unite potessero agire sul piano internazionale contro Israele per chiedere un risarcimento del danno. La Corte, con un parere molto criticato dalla dottrina, affermò che l’organizzazione avesse titolo sia per chiedere risarcimento dei danni arrecati alla funzione, sia per quelli subiti dall’individuo in quanto tale, equiparando di fatto il rapporto tra funzionario e organizzazione internazionale per cui lavora a quello tra cittadino e Stato di appartenenza. Cour Internationale de Justice. Recueil, 1949, 174ss. (14) Tra i capi del commando che entrò in azione nell’esecuzione di questo attentato dinamitardo (che costò la vita a più di 200 persone) c’era anche Menachem Begin, che divenne primo ministro nel 1977 e l’anno seguente, insieme al presidente egiziano Sadat, ricevette il premio Nobel per la pace per gli Accordi di Camp David. (15) Cfr. Panzera A. F., Attività terroristiche e diritto internazionale, op. cit., 42. (16) Si veda, soprattutto, Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, op. cit., Capp. 1 e 2, e amplia bibliografia ivi citata.
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RUBRICHE
F OCUS
DIPLOMATICO
L’Asia Centrale ex sovietica e il conflitto in Ucraina Il recente vertice di Mosca dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) — l’alleanza politico militare composta nel 1992 da Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan — ha fatto emergere un interessante sfilacciamento degli alleati asiatici ex sovietici dalla «operazione militare speciale» che la Russia conduce in Ucraina. Nel comunicato finale non vi è, infatti, alcun accenno a un aiuto militare a Mosca (in realtà non esplicitamente richiesto), come all’ipotesi (forse sottintesa) di poter aiutare Putin ad aggirare le sanzioni imposte dall’Occidente. Figura addirittura un paradosso quando viene invocata una imprecisata «cooperazione pratica con la NATO», alla luce della preoccupante situazione in Afghanistan e negli altri Stati limitrofi (il riferimento è alle minacce dei talebani di attaccare il Tagikistan). Chiaro che non ci sarà nessun dispiegamento delle forze della CSTO in Ucraina e Mosca dovrà trovare un altro modo per compensare le perdite di uomini e di mezzi sul campo. Una posizione, quella dei paesi centroasiatici, al momento ambigua che non giunge del tutto inaspettata. A New York in occasione del voto all’Assemblea generale delle Nazioni unite sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan si sono astenuti, mentre Turkmenistan e Uzbekistan non hanno votato. Nel caso del Turkmenistan, il non voto è l’applicazione del principio di neutralità permanente in politica estera, sancito nella sua Costituzione, mentre per gli altri Stati, i voti dimostrano la difficile ricerca di un equilibrio in questa situazione complessa. L’altra votazione sull’espulsione della Russia dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni unite è andata meglio per Mosca, tutti hanno votato contro il provvedimento, salvo il Turkmenistan una volta ancora assente. Ciò
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malgrado, vi è però un paese che si era schierato apertamente a sostegno della Russia ed è il Kirghizistan. Il presidente Sadyr Japarov aveva dichiarato che l’invasione dell’Ucraina era dovuta al mancato rispetto degli accordi di Minsk e che l’intervenuto russo era giustificato dalla necessità di Mosca di proteggere la minoranza russa nel Donbass, aggiungendo anche che il riconoscimento di uno Stato è il diritto sovrano di ogni paese (riferendosi in questo caso al riconoscimento delle entità separatiste di Donetsk e Luhansk). Negli ultimi anni la situazione in Kirghizistan è stata contrassegnata da violente vicissitudini e nell’ottobre 2020 i cittadini hanno eletto come presidente Japarov, un populista conservatore, che ha reintrodotto il sistema presidenziale, indebolito il Parlamento e inasprito il controllo sulla società civile. Il principio che la Russia possa pretendere a territori che secondo lei fanno parte del mondo russo suona pericoloso per i paesi asiatici, molto meno per Armenia e Bielorussia, che hanno approfittato nel tempo di recidere molti legami ancora sovietici. Le Repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, e Uzbekistan) non possono rimanere del tutto indifferenti al destino dell’Ucraina, a causa del passato coloniale che
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le hanno legate alla Russia dall’impero degli zar fino all’epoca sovietica e anche, malgrado l’indipendenza, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Putin ha sostenuto, per legittimare l’invasione, che l’Ucraina sia stata creata da Lenin e quindi non sia, sostanzialmente, uno Stato sovrano. Una dichiarazione che potrebbe far avanzare altre pretese territoriali nello spazio ex sovietico. Nel 1925, non fu Lenin bensì Stalin che, raccogliendo l’eredità zarista del «grande gioco» del XIX secolo, tracciò con un righello a tavolino i confini tra le Repubbliche Socialiste Sovietiche dell’Asia Centrale, così come di altri territori appartenenti all’Unione Sovietica. Sotto l’Unione Sovietica, i popoli di queste terre furono completamente assoggettati all’autorità di Mosca e le culture indigene sottoposte a un processo di russificazione. Le lingue locali erano state bandite e sostituite dal russo, le popolazioni nomadi costrette a una vita stanziale. Esiste il timore che, nel tentativo di riconfermarsi come grande potenza, Mosca possa avanzare delle pretese territoriali nella regione. Come abbiamo appreso dal caso ucraino, essere russi o russofoni non vuole dire sostenere Vladimir Putin, ma essere delle potenziali pedine nelle sue politiche espansionistiche. La teoria di Putin sull’artificialità dei confini ucraini potrebbe applicarsi perfettamente anche alle Repubbliche centroasiatiche, essendo tutte state create amministrativamente quasi nello stesso periodo. Le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale si trovano in una posizione difficile. Dal crollo dell’Unione Sovietica hanno mantenuto uno stretto legame con la Russia, che ha agito da perno dell’equilibrio regionale, sia in campo economico sia logistico. I flussi migratori verso la Russia sono consistenti e le loro rimesse contano per una parte significativa del PIL dei rispettivi paesi. I prodotti esportati da questa regione, come il petrolio, passano per la rete di trasporti russi prima di raggiungere l’Europa, eccezion fatta in parte per il Kazakhstan. La regione è dunque intrinsecamente collegata allo spazio economico post-sovietico. Kazakhstan e Kirghizistan sono membri dell’Unione eurasiatica insieme a Russia, Armenia, e Bielorussia; Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan fanno parte dell’area di libero commercio della Comunità degli Stati indipendenti e Uzbekistan e Tagikistan,
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pur non essendo membri dell’Unione eurasiatica, hanno Mosca come primo partner commerciale. La Russia, oltre a essere il principale partner commerciale per questi paesi, è anche una fondamentale terra di transito, attraverso la quale le commodities centrasiatiche (dall’energia, ai prodotti agricoli, alle risorse minerarie, al manifatturiero) raggiungono i mercati europei. Va considerato poi che, pur non essendo vittima di sanzioni e parte del conflitto in atto, la Cina sta avendo un ruolo di primo piano nell’acuire il rallentamento dell’economia regionale. Gli ultimi dati, infatti, danno una riduzione della produzione economica di Pechino, con un conseguente ridimensionamento della crescita del PIL, la più bassa previsione di crescita dal 1991. Dal momento che l’Asia Centrale è sia fornitore di energia, sia consumatore di beni e sia terra di transito per le esportazioni cinesi verso i mercati occidentali, la contrazione economica sofferta dalla Cina è un fattore da tenere in considerazione quando si analizzano i rallentamenti della macroeconomia centrasiatica. Questo dato va interpretato come l’effetto nefasto che le sanzioni alla Russia stanno avendo sulle economie centrasiatiche, sommato agli ancora non del tutto assorbiti effetti della pandemia. Per la Banca Mondiale le proiezioni per la contrazione del PIL per la regione si avvicinano al 4% e ciò è dovuto principalmente all’effetto delle sanzioni che, a livello indiretto, hanno colpito la regione attraverso la Russia, il bersaglio principale. Il Kazakhstan, che nel 2021 ha avuto una forte crescita del PIL, vede adesso le sue proiezioni diminuite all’1,5-2%, queste stime al ribasso sono in gran parte dovute proprio alle sanzioni alla Russia. Il Kazakhstan, infatti, conta sulla Russia per il 40% del suo import. A ciò si aggiunge il deprezzamento della valuta locale e la sospensione delle operazioni dell’oleodotto Caspian Pipeline Consortium, che rappresenta quasi l’80% dell’export petrolifero di Nursultan. Il conflitto in Ucraina sta poi avendo un forte impatto sulla produzione e il commercio di grano, farina, e derivati, di cui la Russia è il primo produttore mondiale. Il Governo russo per ovviare alla crisi economica creata dalle sanzioni ha imposto un divieto parziale all’export di grano e di altri cereali. I produttori e gli agricoltori del Kazakhstan (ottavo produttore) hanno, quindi, dovuto uti-
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lizzare esclusivamente grano locale introducendo, a loro volta, il proprio divieto all’export. Si è così creato un aumento esponenziale dei prezzi che ha causato una reazione a catena nella regione, specie per i paesi più poveri, come per esempio il Tagikistan. Anche il Kirghizistan sta subendo le conseguenze della guerra in Ucraina, a causa degli effetti a raggiera delle sanzioni a Mosca per i membri dell’Unione eurasiatica. Pur se sprovvisto di idrocarburi, il Kirghizistan sta pagando un alto prezzo a causa della crescente inflazione, dell’aumento dei prezzi e della bassa disponibilità di prodotti e materie prime, causando così un insostenibile aumento dei prezzi per la popolazione. Le considerazioni fatte per il Kirghizistan valgono, sommariamente, anche per il Tagikistan, specialmente per l’impatto che la
il 12% da soldi mandati al paese dall’estero, in particolare proprio dalla Russia (dove risiedono tre milioni di uzbeki) e, in minor misura, dal Kazakhstan e dalla Turchia. In termini macroeconomici, il PIL uzbeko è previsto contrarsi, passando da un solido 7,4% nel 2021 a un meno ottimistico 5,6% nel 2022. In questo quadro problematico vi è però un’aspettativa positiva: che la crisi innescata dalla guerra russo-ucraina spinga ulteriormente l’Uzbekistan verso un’ulteriore apertura in termini di economia di mercato e liberalizzazioni e i prossimi mesi saranno cruciali per capire le intenzioni del Governo uzbeko al riguardo. Non è facile trovare informazioni veritiere e affidabili su quanto sta succedendo in Turkmenistan alla luce del conflitto in Ucraina, ma il paese è in qualche modo più protetto dalla crisi generalizzata dovuta alla
guerra sta avendo sui migranti tagiki in territorio russo e per il fatto che il 20% circa del fatturato commerciale del Tagikistan deriva da relazioni economiche con la Russia. Per quanto riguarda l’Uzbekistan, il paese centrasiatico che forse più di tutti si è espresso apertamente per una risoluzione pacifica e per il rispetto delle norme del diritto internazionale territoriale, uno dei principali problemi legati al conflitto russo-ucraino e alle sanzioni annesse è di matrice finanziaria. La Banca centrale uzbeka ha infatti introdotto una misura cautelare per invitare commercianti e banche locali a informarsi sulle condizioni legali e finanziarie delle banche russe, con cui si vuole svolgere attività economica. Questo ha fatto seguito alla sospensione delle transazioni forex, fatta eccezione per quelle in rubli. Da un punto di vista di rimesse, l’Uzbekistan dipende per
guerra, alla luce del carattere prettamente isolato della sua economia (a eccezione degli idrocarburi). La bilancia commerciale di Ashgabat con la Russia è positiva, non ha debito estero, le importazioni dall’Ucraina sono una cifra molto ridotta e, quindi, non vi è stata nessuna massiccia interruzione. La situazione macroeconomica, semmai, è più legata ai prezzi mondiali del gas e al volume delle esportazioni verso la Cina. Quanto sopra non vuole assolutamente dire che gli asiatici ex sovietici si schiereranno contro Mosca sul conflitto ucraino, sono in maggioranza ancora troppo legati alla Russia e anche se lo volessero non sarebbe al momento per loro conveniente. La regione è una specie di cuscinetto tra due grandi potenze, Cina e Russia, non può litigare con nessuna delle due. La Cina temeva
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il potenziale effetto destabilizzante della nascita di cinque Stati indipendenti ai confini della regione autonoma dello Xinjiang, popolata in maggioranza da popolazioni musulmane turcofone, come uiguri e kazaki. Garantire la sicurezza e la stabilità dello Xinjiang costituiva l’obiettivo prioritario della politica cinese, evitando che la minoranza turcofona degli uiguri venisse contagiata da tendenze separatiste. Per assicurare la stabilità e la sicurezza della regione e sfruttare le opportunità politiche ed economiche offerte dal nuovo contesto regionale, Pechino aveva immediatamente sviluppato con le nuove repubbliche una strategia fondata su buone relazioni transfrontaliere e crescenti legami economici. Un partenariato che ha portato a risultati importanti per quanto riguarda il campo economico. Infatti, il commercio tra
Sicurezza Collettiva era intervenuta militarmente in uno Stato membro per la prima volta dalla sua nascita, inviando più di duemila soldati in Kazakhstan, per fermare le proteste che si erano scatenate nel paese. L’intervento era stato guidato dalla Russia che aveva schierato il maggior numero di militari e che, ovviamente, è il fulcro dell’Organizzazione per ragioni storiche e strategiche. Nella missione in Kazakhstan, la Federazione russa aveva voluto confermare il proprio ruolo di leader dei paesi dell’Asia Centrale, consolidando la propria egemonia nell’area. Il Kazakhstan però non solo non ha risposto appieno all’appello di Mosca, ma dopo l’aiuto ricevuto ha firmato un accordo di cooperazione militare (esercitazioni congiunte, ammodernamento di armamenti e collaborazione aerospaLe truppe russe in Kazakistan (Mariya Gordeyeva/Reuters).
la Cina e i nuovi Stati è aumentato di oltre cento volte negli ultimi trent’anni e gli investimenti diretti cinesi hanno superato i 14 miliardi di dollari. Le Repubbliche ex sovietiche dovranno sempre districarsi tra i due potenti vicini, assumendo posizioni a volte anche ambigue per non scontentare nessuno. E il conflitto ucraino ne è oggi un esempio. Lo scorso gennaio, l’Organizzazione del Trattato di
ziale) con la Turchia. Da rilevare, nel medesimo ambito del vertice, anche il rifiuto di Putin alla richiesta di Pashinyan di inviare truppe del CSTO in Armenia, per reprimere le proteste contro le aperture a delle trattative con l’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh. Giorgio Malfatti di Monte Tretto, Circolo di Studi Diplomatici
L’ambasciatore Giorgio Malfatti di Monte Tretto, laureato in Scienze politiche alla Università La Sapienza di Roma, è entrato in carriera diplomatica nel 1975. Nel corso della sua attività professionale, in qualità di Ambasciatore, ha ricoperto incarichi diplomatici presso il ministero degli Affari esteri e come Capo missione a Cuba, nel Kazachstan e in Uruguay. Nell’ultimo decennio ha ricoperto la carica di Segretario generale dell’Istituto Italo-Latinoamericano di Roma. È attualmente responsabile istituzionale di un programma europeo per il contrasto alla criminalità organizzata in America Latina. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
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O SSERVATORIO Tagikistan e Afghanistan, l’asse instabile dell’Asia centrale Gli eventi in Afghanistan hanno fatto preoccupare fin dagli anni 90 il Tagikistan, suo vicino a nord. Il piccolo paese dell’Asia centrale, che ha vissuto una storia molto travagliata a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica, ha una posizione geopolitica molto importante all’interno dello scacchiere asiatico, che lo rende direttamente coinvolto negli affari afghani più dei suoi vicini. Gli elementi più importanti della politica tagika nei confronti dell’Afghanistan sono l’eredità della guerra civile e in particolare il ruolo dell’opposizione, che ha avuto un’importante componente islamica, e il ruolo dell’energia idroelettrica nelle esportazioni. Da parte afghana, l’attività dello Stato Islamico nel nord è la componente che allo stesso tempo rende il Governo talebano più debole e può avere effetti anche sul suo vicino settentrionale.
Trent’anni di relazioni complicate La presa del potere dei talebani nell’agosto del 2021 ha riportato l’attenzione dei media internazionali sulla questione afghana. Sebbene il ritiro delle truppe americane fosse stato annunciato da tempo, lo Stato afghano è imploso in maniera tanto sconcertante e sorprendente, che per gli Stati Uniti è stato definito un nuovo Vietnam. Ma se Washington ha lasciato i cocci, tocca e toccherà agli Stati confinanti cercare di rimetterli a posto senza che ci siano effetti collaterali, riaffrontando problemi vecchi di decenni. Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan hanno dovuto far fronte all’instabilità del loro vicino meridionale fin dai primi anni della loro indipendenza. Quello che però non tutti sanno è che tra questi tre stati, il Tagikistan è quello più direttamente coinvolto nella questione afghana e può essere considerato l’anello debole della sicurezza di tutti i paesi postsovietici della regione. Confinante con Kirghizistan, Uzbekistan, Afghanistan e Cina, separato dal Pakistan
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INTERNAZIONALE solo dal lembo di terra conosciuto come corridoio di Wakhan, il Tagikistan è un paese situato su due catene montuose: il Trans-Alay a ovest e il Pamir a est. Fin dai tempi del Grande Gioco tra Regno Unito e Impero zarista ha avuto un ruolo geopolitico di primo piano: controllare le montagne dell’attuale Stato significava superare l’ultimo ostacolo per raggiungere l’India per i russi e rafforzare le difese per gli inglesi. Non a caso il Pamir fu teatro di una importante crisi alla fine del diciannovesimo secolo tra i due imperi (1). L’importanza della zona è rimasta immutata anche oggi, accresciuta da aspetti etnici e culturali che lo rendono un’eccezione rispetto ai paesi ex-sovietici dell’Asia centrale. La popolazione locale è di origine iranica e non turcomanna e la lingua, sebbene scritta con i caratteri dell’alfabeto cirillico, appartiene alla famiglia del farsi. La divisione regionale tra le due catene montuose si rispecchia al livello demografico e istituzionale: nella regione del Pamir, la popolazione ha una cultura e una lingua differente rispetto al resto del paese; da un punto di vista amministrativo la regione, conosciuta con il nome di Gorno-Badakhshan, è almeno sulla carta autonoma. Anche dal punto di vista religioso il paese è un’eccezione in Asia centrale, perché è stato il primo in cui si è avuta nella popolazione una rinascita della religione musulmana in tutta la regione (2) (la maggioranza della popolazione è sunnita, mentre nel Pamir la popolazione è sciita) (3). Tutti questi aspetti sono confluiti in un evento unico nella storia postsovietica della regione: lo scoppio della guerra civile nel 1992 e durata fino al 1997.
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Il conflitto civile fu scatenato dalla presa della capitale da parte del Partito di Rinascita Islamica del Tagikistan (IRPT) e dalla reazione di un gruppo armato poi conosciuto come Opposizione Unita del Tagikistan (UTO) (4) di cui l’attuale presidente del paese Emomali Rahmon era uno dei leader. La pace fu raggiunta nel 1997 grazie a un accordo che garantiva al fronte politico formatosi attorno all’IRPT il 30% dei seggi del parlamento (5). A seguito degli accordi di pace, il IRPT è stato molto attivo nella politica nazionale, nonostante i continui tentativi di limitarne l’attività dovuti all’autoritarismo di Rahmon (6). È proprio in concomitanza con il processo di pace in Tajikistan che i talebani prendono il potere in Afghanistan per la prima volta. Da quel momento in avanti, a Dushanbe hanno iniziato a temere per i possibili effetti del regime dei talebani sul paese, vista la presenza dell’elemento religioso nei partiti di opposizione. In particolare, l’IRPT ha mantenuto per anni un ruolo importante nella politica del piccolo paese centroasiatico, tanto che le statistiche parlavano di circa 45.000 iscritti fino al 2015 con ben 58 sezioni in tutto il paese (7). Il partito è stato definitivamente sciolto nel 2015 dal Governo tagico, nonostante negli anni avesse assunto il ruolo di rappresentante moderato dell’Islam politico (8) capace di rappresentare un’alternativa ad altri movimenti religiosi e di bloccare la possibilità che in Tajikistan potessero sorgere insurrezioni nel periodo delle Primavere Arabe. Fu solo l’ultimo atto di una lunga serie di limitazioni all’attività politica del partito. Nei quindici anni successivi agli accordi di pace,
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l’Islam era diventato sinonimo di opposizione politica e il Governo di Dushanbe approfittò della minaccia dello Stato Islamico in Siria in quegli anni per sbarazzarsi del tutto del partito (9). Il timore di un Afghanistan instabile diminuì a partire dal 2001 con la caduta del primo Governo talebano, a lungo è stata lontano dai pensieri del Tagikistan, per poi accrescere nuovamente dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americane. Nei negoziati per il processo di pace afghano stabiliti dagli accordi di Doha, il Tagikistan ha sempre tenuto una posizione «istituzionale» appoggiando il Governo di Kabul, perché mirava ad avere un vicino forte e riconosciuto internazionalmente (10). Quando invece è apparso chiaro che i negoziati stavano fallendo e i talebani si accingevano a riconquistare il potere, la prima reazione è stata quella di mettere in sicurezza i confini nazionali, mobilitando la popolazione (11) e organizzando esercitazioni militari congiunte con la Russia (12) (che fin dalla fine della guerra civile mantiene un battaglione su territorio tagico nella base di Dushanbe). Una volta che i talebani hanno riconquistato definitivamente il potere, Rahmon ha tenuto una posizione di scontro perché richiedeva a gran voce che la minoranza tagica, che conta quasi un terzo della popolazione afghana, avesse un’adeguata rappresentanza all’interno del Governo che si stava formando (13). Lo scontro con il nuovo regime è andato avanti per settimane, con i due paesi che si scambiavano accuse a vicenda: Dushanbe sosteneva che i talebani non avessero rispettato le promesse di un Governo di rappresentanza etnica, mentre Kabul
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che il Tajikistan facesse di tutto per indebolire il regime dando rifugio agli oppositori degli studenti coranici e sostenendo le milizie dell’Alleanza del Nord, guidate da Ahmad Massoud, figlio del Leone del Panjshir Ahmad Shah Massoud, oppositore dei Talebani di etnia tagica ucciso due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle (14). In questi primi mesi del 2022 la tensione si è raffreddata. I toni tra i due Governi si sono fatti meno accesi e il Tagikistan sembra aver iniziato un debole dialogo con il suo problematico vicino. Alla radice di questo cambiamento ci sono le forniture di energia a Kabul: durante gli anni dell’occupazione americana, il Tagikistan è diventato uno dei fornitori principali di energia elettrica dell’Afghanistan insieme all’Uzbekistan. Lo sfruttamento delle abbondanti risorse idriche del paese garantisce al Tagikistan di avere un surplus durante i mesi estivi che viene esportata a sud. Con il passare degli anni si è aperta la possibilità di diventare il principale fornitore regionale di energia idroelettrica e la possibilità di differenziare l’economia nazionale, fortemente basata sul settore minerario e le rimesse provenienti dai lavoratori stagionali in Russia.
Le spiegazioni delle posizioni di Dushanbe Provare a spiegare lo sviluppo delle relazioni tra i due Stati non è cosa semplice: si possono applicare differenti teorie per ogni mossa e decisione presa da Dushanbe nel corso dei trent’anni d’indipendenza. Ciò è il riflesso delle relazioni tra i due Stati, che continueranno a essere complesse negli anni a venire. In Tagikistan negli anni 90 sorsero molte teorie sul ruolo geopolitico regionale e continentale che il paese doveva avere. Al dibattito interno parteciparono esponenti di correnti differenti, da quelle marxiste a quelle realiste vicine al regime di Rahmon e tutte partivano dalle potenzialità derivanti dalla posizione geografica del piccolo Stato. Uno degli esponenti principali delle correnti realiste fu Abdughani Mamadazinov. Mamadazinov elaborò la sua proposta partendo dalla proiezione spaziale del paese (15). Per l’analista il Tagikistan doveva diversificare le sue proiezioni spaziali su due assi: uno nord-sud e uno est-ovest, eliminando l’elemento etnico discusso in quel periodo e preferendo nei confronti dell’Afghanistan il driver economico (16). Applicando l’approccio di Mamadazinov, si capisce perché la tensione tra Tagikistan e Afghanistan si sia raffreddata sul tema delle forniture energetiche. A partire dal 2011 è stato sviluppato nella regione il Central Asia-South Asia Power Project, conosciuto anche come CASA-1000. Finanziato da enti internazionali (17), unisce con una rete di impianti idroelettrici e cavi per la trasmissione di energia elettrica lunga circa 1400 km in quattro paesi: Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan e Pakistan (18). Questo progetto non è strategico solo per il Tajikistan, ma anche per lo stesso Afghanistan, che ha bisogno dell’energia proveniente dai vicini settentrionali per fornire di energia parte del paese e per non peggiorare ulteriormente la situazione economica creatasi dopo il blocco delle riserve nazionali bloccate dalle sanzioni: secondo i dati della SIGAR, la mancanza di energia elettrica avrebbe ripercussioni sulle già critiche condizioni di vita di almeno dieci milioni di afghani nelle province settentrionali (19). Dushanbe quindi non vuole privarsi del suo principale cliente visto questa situazione come una leva politica da poter
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utilizzare nei confronti di Kabul sia per quanto riguarda la parte economica sia per quanto riguarda il ruolo del paese negli equilibri regionali. Un altro fattore che sta giocando a favore del mite cambiamento di postura del Tagikistan è l’attività dello Stato Islamico in Afghanistan, conosciuto come Stato Islamico nella Provincia del Khorasan (ISKP). Per comprendere meglio la minaccia rappresentata dal ISKP bisogna però fare ancora un piccolo excursus sulle relazioni tra i Talebani e le singole fazioni presenti nel paese, soprattutto nel nord. Nei vent’anni di occupazione americana, i Talebani hanno accolto alcune milizie centroasiatiche e fino allo scorso gennaio quattro gruppi erano ancora attivi: il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU), Jamaat Ansarullah (JA), l’Unione della Jihad Islamica (IJU) e la sezione afghana del Katibat Imam al-Bukhari (KIB); questi gruppi erano usati dai Talebani negli scontri con le Forze armate governative, contro le Forze americane e contro altri gruppi jihadisti, Jamaat Adsarullah sarebbe stata utilizzata dai Talebani per pattugliare i confini con il Tajikistan (20). La scelta non è casuale: il gruppo miliziano era l’ala tagica dell’IMU durante la guerra civile tagica (21). Dopo il 15 agosto 2021 l’ISKP ha iniziato a utilizzare le differenze etniche di questi gruppi di miliziani a proprio vantaggio. Partendo dall’assunto che i Talebani non sono un vero gruppo jihadista ma una milizia che cura solo gli interessi pashtun, ha iniziato una serrata campagna di reclutamento tra le minoranze del nord, tra le quali anche quelle centroasiatiche (22). L’azione dell’ISKP sarebbe così forte tra quelle popolazioni che i Talebani starebbero perdendo il controllo delle province settentrionali (23). Per i Talebani l’ascesa dell’ISKP rappresenta una minaccia alla loro legittimità politica e alla loro autorità religiosa, mentre per il Tajikistan la presenza di un gruppo di miliziani delle bandiere nere rappresenta un pericolo perché rinnoverebbe il pericolo di effetti a catena sulla sicurezza, come si è notato nelle ultime settimane (24). Prendendo in considerazione la minaccia dell’ISKP, la spiegazione che si può dare alle posizioni di Rahmon è il suo timore per un Governo debole e troppo orientato verso i pashtun. Qui però sorge una domanda legittima: perché allora appoggiare Massoud e le sue milizie nel Panjshir fin dai giorni successivi alla presa del potere talebano? La risposta più plausibile è che mirasse a rafforzare il più importante gruppo armato della minoranza per indebolire, se non sconfiggere, i Talebani per evitare che le divisioni etniche potessero diventare l’elemento d’instabilità dal quale i gruppi islamici come l’ISKP potessero attingere. Se ripensiamo al fatto che la minaccia dell’ISIS fu sbandierata come principale ragione per lo scioglimento dell’IRPT, il problema si ricollega al timore che i gruppi islamici sono percepiti come la fonte primaria dell’opposizione politica del regime. L’azione del Tajikistan nei confronti della questione afghana è stata differente rispetto agli altri paesi dall’Asia centrale. Turkmenistan e Uzbekistan fin dalla prima metà del 2021 hanno avuto un approccio molto più realistico e pragmatico. Il Turkmenistan, paese caratterizzato da una politica estera ufficialmente neutrale, aveva già incontrato ben prima della presa del potere i rappresentanti degli studenti coranici (25). Anche l’Uzbekistan, ha tenuto inizialmente una posizione molto meno rigida rispetto al Tagikistan. Harpviken e Tadjbakhsh hanno spiegato questo fenomeno partendo dall’assunto che i paesi dell’Asia centrale non possono avere un approccio unitario al
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problema afghani a causa delle loro rivalità (come, per esempio, tra lo stesso Tagikistan e l’Uzbekistan per lo sfruttamento delle fonti idriche), dalla perdita della sovranità e dalle relazioni con le potenze esterne (26). In poche parole, dalle diverse percezioni della loro sicurezza (27). A dimostrazione di ciò, basti considerare che anche il Turkmenistan ha interessi in Afghanistan per quanto riguarda il settore energetico: la costruzione del gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, conosciuto come TAPI, che per Ashgabat rappresenta un progetto di primaria importanza per la differenziazione delle esportazioni di gas (28). Va inoltre evidenziato che il Turkmenistan non ha problemi di opposizione politica come il Tagikistan perché il regime dei Berdimuhamedow è uno dei più rigidi al mondo e non esiste opposizione politica nel paese, mentre, come abbiamo visto, in Tagikistan i rapporti con l’opposizione islamica sono una diretta conseguenza della guerra civile. Se si paragonano due casi, è chiaro che ad Ashgabat la sicurezza del regime passa per la produzione e la ven-
dita di gas, fonte principale dell’economia, mentre a Dushanbe passa per l’assenza di elementi politici islamici riconosciuti come opposizione politica.
Conclusione La postura politica del Tagikistan nei confronti della questione afghana e del regime talebano dipenderà dagli sviluppi interni dell’Afghanistan. Abbiamo visto che le relazioni tra i due paesi hanno come elementi principali il mantenimento degli interessi politici (lotta all’opposizione islamica) ed economica (export di energia) del Tagikistan e la stabilità interna (leggasi etnica) del regime talebano. Ma questi elementi rimarranno stabili o muteranno? Da parte di Dushanbe la risposta è sì, mentre da parte di Kabul bisognerà vedere la tenuta del regime, messo alla prova dalla crisi umanitaria, economica e politica, con l’ISKP che potrebbe davvero essere il grande rivale dei Talebani. Cosimo Graziani Centro Studi Geopolitica.info, Sapienza Università di Roma
NOTE (1) Hopkirk, P. (2004), Il Grande Gioco, Milano: Adelphi Edizioni. (2) Malashenko, A. (2012), Tajikistan: Civil War’s Long Eco, Carnegie Moscow Center, www.jstor.org/stable/resrep26714. (3) Tajikistan, Enciclopedia Britannica, www.britannica.com/place/ Tajikistan/People. (4) Gleason, G. (2001), Why Russia is in Tajikistan, Comparative Strategy, 20, 77-89. (5) Malashenko, ibidem. (6) Malashenko, ibidem. (7) Tajikistan’s Embattled Islamic Party, Central Asia Bureau for Analytical Reporting, https://cabar.asia/en/tajikistan-s-embattled-islamic-party-2. (8) Renegade General’s Forces «Surrounded» in Tajikistan, Central Asia Bureau for Analytical Reporting, https://cabar.asia/en/renegade-general-s-forces-surrounded-in-tajikistan. (9) Ibidem. (10) Afghanistan’s Abdullah Pushes Regional Support For Peace Talks In Tajikistan, Radio Free Europe/Radio Liverty, www.rferl.org/a/abdullah-rahmon-afghanpeace-tajikistan/31013827.html. (11) Local Tajiks On Afghan Border Trained To Defend Against «Taliban Attack», Radio Free Europe/Radio Liberty, www.rferl.org/a/tajiks-afghan-border-training—taliban-attack/31142093.html. (12) Tajikistan: Afghan crisis serves as opportunity to show off military might, Eurasianet, https://eurasianet.org/tajikistan-afghan-crisis-serves-as-opportunity-toshow-off-military-might. (13) Tajikistan: President demands Tajik role in running Afghanistan, Eurasianet, https://eurasianet.org/tajikistan-president-demands-tajik-role-in-running-afghanistan. (14) Imanaliyeva A., Ibragimova K., Kyrgyzstan, Tajikistan diverge on approaches to Afghanistan, Eurasianet, https://eurasianet.org/kyrgyzstan-tajikistan-divergeon-approaches-to-afghanistan. (15) Nourzhakov, K. (2013), Mackinder on the Roof of the World, in Megoran, N. e Sharapova, S., Central Asia in International Relations: The Legacies of Halford Mackinder, p. 155, C Hurst & Co Publishers Ltd. (16) Nourzhakov, ibidem, pp. 156-157. (17) Casa-1000, www.casa-1000.org. (18) The Usaid Casa-1000 Secretariat Activity Fact Sheet, United States Agency for International Development, www.usaid.gov/sites/default/files/documents/ 20211122_CASA-1000_Fact_Sheet.pdf. (19) Lillis, J., Afghanistan in hock to Uzbekistan e Tajikistan for electricity, Eurasianet, https://eurasianet.org/afghanistan-in-hock-to-uzbekistan-and-tajikistan-forelectricity. (20) Soliev, N. e Pantucci R., Central Asia, Counter Terrorist Trends and Analyses, January 2022, Vol. 14, No. 1 (January 2022), pp. 90-98. (21) Pannier, B., Northen Afghanistan and the new threat to Central Asia, Foreign Policy Research Institute, www.fpri.org/article/2022/05/northern-afghanistan-andthe-new-threat-to-central-asia. (22) Webber, L., Perspectives | Islamic State continues anti-Taliban PR push, with Tashkent in crosshairs, Eurasianet, https://eurasianet.org/perspectives-islamicstate-continues-anti-taliban-pr-push-with-tashkent-in-crosshairs. (23) Pannier, ibidem. (24) Uzbekistan Dismisses Islamic State’s Claim of Cross-Border Attack, Voanews, www.voanews.com/a/uzbekistan-dismisses-islamic-state-s-claim-of-cross-border-attack-/6535868.html. (25) Pannier, B. e Saddique A., What Happened When The Taliban Visited Turkmenistan?, Radio Free Europe/Radio Liberty, www.rferl.org/a/talibanturkmenistan/31098344.html. (26) Harpviken K. B. e Tadjbakhsh S. (2016), A Rock Between Hard Places: Afghanistan as an Arena of Regional Insecurity, Oxford: Oxfrod University Press, p. 57. (27) Harpviken e Tadjbakhsh, Ibidem, p. 2. (28) Burna-Asefi, S. N. India’s Plan to Realize TAPI, The Diplomat, https://thediplomat.com/2022/04/indias-plan-to-realize-tapi.
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M ARINE ITALIA Inizia l’esercitazione Mare Aperto 2022 Iniziata a maggio l’esercitazione Mare Aperto 22 (MA22), il maggior evento addestrativo della Marina Militare. Nel corso di tre settimane più di 4.000 tra donne e uomini di 7 nazioni della NATO e oltre 65 tra navi, sommergibili, velivoli ed elicotteri, hanno operato tra l’Adriatico, lo Ionio, il Tirreno e il Canale di Sicilia sviluppando attività che interessano anche i territori marittimi circostanti grazie alle capacità di proiezione su terra esprimibile dalla componente anfibia imbarcata. All’esercitazione hanno preso parte anche diversi velivoli dell’Aeronautica Militare, tra cui caccia Eurofighter «F-35B» STOVL, che ha operato da nave Cavour e assetti di comando e controllo «CAEW G-550» e per il rifornimento in volo «KC-767». L’attività, diretta dal Comando in capo della Squadra navale imbarcato su nave Cavour, ha coinvolto lo staff della Brigata Marina San Marco e quelli delle diverse Divisioni navali in cui si articola l’organizzazione operativa della Marina. Le forze in campo si sono esercitate nel dominio marittimo, i cui connotati si sviluppano anche nei contesti aereo e terrestre, e in quelli innovativi dello spazio e della cyber-security, simulando scenari ad alta intensità e in veloce mutamento attraverso cui verificare le capacità di intervento in svariate aree, dalla prevenzione e il contrasto di traffici illeciti, alla lotta contro minacce convenzionali e asimmetriche, secondo uno scenario realistico con approccio centrato sul concetto di MultiDomain Operations (MDO) ed esplorando nuove combinazioni di impiego delle forze assegnate. Tra queste l’Expeditionary Advanced Base Operations (EABO), in
MILITARI studio nella US Navy, per estendere il raggio di azione delle Forze marittime e controllare così zone di mare strategiche. Il forte «connotato di proiezione» dell’esercitazione è stato sostenuto dalla presenza di una Forza da sbarco composta da oltre 350 fucilieri della Brigata Marina San Marco integrata da una compagnia di Lagunari dell’Esercito italiano e due della Forza da sbarco della Marina spagnola. Analogamente alle precedenti edizioni, ben 42 studenti e docenti accompagnatori di 11 diversi centri universitari fra cui l’università degli studi di Bari, Genova, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali di Roma, per gli stranieri di Siena, Sant’Anna di Pisa, Federico II di Napoli, Trieste, La Sapienza di Roma, Ca’ Foscari di Venezia, Alma Mater Studiorum di Bologna e Cattolica del Sacro Cuore di Milano, hanno partecipato all’esercitazione, cimentandosi in diversi ruoli a secondo del loro percorso di studi fra cui quelli di political advisor, legal advisor e addetto alla pubblica informazione, nonché tecnici. Nel più ampio quadro del rafforzamento dei legami con il cluster marittimo nazionale, hanno preso parte all’esercitazione anche la Confederazione degli Armatori (Confitarma), il Centro di Geopolitica e Strategia Marittima (CESMAR), le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e appartenenti al Sovrano Ordine di Malta. Tra i principali obiettivi dell’esercitazione si annoverano anche il proseguimento della campagna di sviluppo delle capacità del nuovo velivolo di 5a generazione «F-35B», propedeutica al raggiungimento della IOC (Initial Operational Capability) nel 2024, e del processo di integrazione con le altre Forze armate e con le Marine estere.
A partire da maggio, oltre 4.000 tra donne e uomini di 7 nazioni della NATO e oltre 65 tra navi, sommergibili, velivoli ed elicotteri, hanno operato tra l’Adriatico, lo Ionio, il Tirreno e il Canale di Sicilia, partecipando all’esercitazione Mare Aperto 22 (MA22), il maggior evento addestrativo della Marina Militare.
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Quarantennale della partecipazione alla missione MFO Sinai Le unità navali della Marina Militare continuano, a distanza di 40 anni dall’istituzione dell’MFO Sinai, a far base nel porto di Sharm el-Sheikh, nel sud-est del Sinai, allo scopo di assicurare il mantenimento della pace tra la Repubblica araba d’Egitto e lo Stato d’Israele, sulla base degli accordi di Camp David del 17 settembre 1978 che sancirono la nascita della MFO (Multinational Force and Observers). La Marina Militare partecipa attivamente alla missione dal 25 marzo 1982 (con interventi di pattugliamento a partire dal mese di aprile dello stesso anno) e le unità navali del 10° Gruppo Navale Costiero hanno effettuato, dall’inizio della missione, oltre 170.000 ore di pattugliamento, di cui circa il 30% in arco notturno, in un’area di operazione ampia circa 600 miglia marine quadrate, a sorveglianza dello stretto di Tiran, in quanto «choke-point» di rilevanza internazionale, attraverso il quale transitano ogni anno oltre 1200 mercantili. Più dettagliatamente operano sotto egida della MFO tre
navi da pattugliamento della classe «Esploratore» e il contingente, anch’esso della Marina, è composto da 78 militari: oltre ai tre equipaggi, vi si trova una aliquota di personale della Brigata Marina San Marco (30 militari del GaT-Gruppo a Terra) responsabile della Force Protection, personale tecnico, palombari specializzati EOD e altri militari impiegati presso la Sala operativa (Tactical Operational Center), nello staff logistico, in quello amministrativo e nel team medico, quest’ultimo impegnato a fronteggiare le esigenze sanitarie non solo del contingente italiano, ma adoperandosi a favore dell’intera base militare. Alla missione partecipano altri undici paesi e l’attività di controllo viene portata avanti da postazioni terrestri remotizzate, mobili, gli assetti navali della MM e aerei forniti dagli altri partecipanti.
Cambio al vertice per i Fucilieri di Marina Lo scorso 20 aprile, presso la caserma Ermanno Carlotto di Brindisi si è tenuta la cerimonia di avvicendamento al Comando della Brigata Marina San Marco e del Comando del Presidio militare di Brindisi tra il contram-
A distanza di 40 anni dall’istituzione dell’MFO (Multinational Force and Observers) Sinai, le unità navali della Marina Militare continuano a far base nel porto di Sharm el-Sheikh, nel sud-est del Sinai, allo scopo di assicurare il mantenimento della pace tra la Repubblica araba d’Egitto e lo Stato d’Israele.
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miraglio Luca Anconelli (cedente) e il contrammiraglio Massimiliano Giuseppe Grazioso (subentrante), presieduta dal Comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Aurelio De Carolis. L’ammiraglio Anconelli ha lasciato l’incarico dopo quasi due anni, durante i quali gli uomini e le donne della Brigata Marina San Marco sono stati coinvolti, in aggiunta alle attività svolte in patria, a quelle svolte in ambito internazionale, fra cui le Maritime Operations svolte dalla Squadra navale, oltre che nelle Land Operations attive nell’ambito della missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia, nel contesto della missione bilaterale italiana in Libano, nell’ operazione Prima Parthica attiva in Iraq, a Gibuti presso la base militare italiana di supporto e infine in Somalia.
consegnate ad aprile e ottobre 2021, in linea con il programma originale. Si tratta di OPV da 87 metri e 1.650 tonnellate di dislocamento caratterizzati da uno scafo rinforzato per l’impiego nelle acque dei mari estremo-meridionali e dalla capacità d’imbarcare e lanciare da postazioni poppiere due battelli veloci a chiglia rigida da 9 metri e un ponte di volo e hangar per il supporto all’impiego di un elicottero da 9 tonnellate. In grado d’imbarcare fino a 59 persone compreso l’equipaggio, queste unità dispongono di un sistema di combattimento incentrato su un sistema di comando e controllo Naval Group «Polaris» che fornisce anche un sistema data link tattico «NiDL» mentre l’armamento è incentrato su un affusto Leonardo OTO «Marlin-WS» da 30 mm.
ARGENTINA Consegnato ultimo pattugliatore classe «Bouchard»
AUSTRALIA Consegnato il primo ECCPB
L’ultimo dei quattro pattugliatori d’altura classe «Bouchard» tipo «OPV 87» ordinati al gruppo cantieristico francese Naval Group e realizzati dalla joint-venture Kership insieme ai cantieri Piriou è stato consegnato alla Marina argentina con una cerimonia tenutasi lo scorso 11 aprile presso i cantieri di Concarneau. Si tratta dell’OPV Contraalmirante Cordero (P 54) la cui consegna segna il successo di un programma che ha rispettato tutte le sue scadenze: il capoclasse Bouchard (ex L’Adroit) è stato consegnato a dicembre 2019 con due mesi di anticipo rispetto al previsto, mentre la seconda e la terza unità, rispettivamente battezzate Piedrabuena e Storni sono state
I cantieri Austal hanno consegnato il primo pattugliatore della classe «Cape Evolved» o ECCPB (Evolved Cape-class Patrol Boat) alla Royal Australian Navy alla fine di marzo. Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Austal di Henderson, l’unità capoclasse è stata consegnata e battezzata con il nome Cape Otway (314) alla presenza del ministro della Difesa Peter Dutton. Si tratta della prima di otto unità, di cui le ultime due sono state ordinate lo scorso 18 aprile successivamente alla consegna dell’ultima capoclasse. Si tratta di pattugliatori da 58 metri che rappresentano una versione migliorata con dislocamento, dimensioni maggiorate e capacità potenziate rispetto alle unità in servizio della classe «Cape».
L’ultimo dei quattro pattugliatori d’altura classe «Bouchard» è stato consegnato alla Marina argentina lo scorso 11 aprile presso i cantieri di Concarneau, in Francia (Naval Group).
I cantieri Austal hanno consegnato il primo pattugliatore della classe «Cape Evolved» o ECCPB (Evolved Cape-class Patrol Boat) alla Royal Australian Navy alla fine di marzo (Austal).
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Acquisizione accelerata di nuovi sistemi d’arma Il Governo australiano ha annunciato il 5 aprile scorso di voler accelerare l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma per un totale di 3,5 miliardi di dollari australiani. In aggiunta ai sistemi d’arma stand-off a lunga portata Lockheed Martin Joint Air-to-Surface Standoff Missile Extended Range (JASSM-ER) per la Royal Australian Air Force, nuovi missili antinave e mine navali sono destinati a potenziare le capacità della Royal Australian Navy. In particolare, verranno acquistati sistemi Kongsberg NSM (Naval Strike Missile) in sostituzione dei missili «Harpoon II» imbarcati sulle fregate classe «Anzac» e sui caccia classe «Hobart» incrementando significativamente le capacità d’attacco a lunga portata a disposizione di queste due classi a partire dal 2024, così come le mine navali accresceranno le capacità difensive delle rotte d’avvicinamento ai porti australiani.
BAHRAIN Completato programma ammodernamento naviglio Nel corso di una cerimonia svoltasi presso la base navale di Mina Salman, quartier generale della Royal Bahrain Navy, Leonardo ha consegnato lo scorso fine marzo l’ultima delle sei unità navali sottoposte a un esteso programma d’ammodernamento lanciato con la firma del relativo contratto nel 2015. Si tratta dell’unità Al Taweelah (23), ultima delle quattro unità classe «Ahmed Al Fateh» che insieme alle due unità classe
«Al Manama» sono state sottoposte da Leonardo a un’estesa attività d’ammodernamento del sistema di combattimento che ha visto l’adozione del sistema di comando e controllo «Athena» nonché l’introduzione di nuovi sensori comprendenti un radar di sorveglianza aeronavale «SPS-732», una direzione del tiro radar/elettro-ottica «NA-25X» per il cannone da 76/62 mm OTO compatto e una direzione del tiro elettro-ottica «Medusa Mk4/B» per la gestione dell’affusto binato OTO da 40 mm. Il contratto comprendeva anche servizi d’addestramento e supporto logistico.
COREA DEL SUD Nuovo sistema missilistico antiaereo imbarcato L’Agenzia per lo sviluppo, acquisizione e supporto di nuovi sistemi d’arma del ministero della Difesa della Corea del Sud ha ufficialmente approvato il lancio del programma per un nuovo sistema missilistico per la difesa aerea imbarcato. Secondo quanto trapelato, potrebbe essere una versione navale del sistema terrestre L-SAM sviluppato dal gruppo coreano LIG Nex1. Il sistema è destinato a essere imbarcato sui futuri caccia lanciamissili tipo DDX che disporranno di sistemi radar con antenne fisse a scansione elettronica attiva di produzione nazionale. Il relativo programma è destinato alla realizzazione di un sistema missilistico con capacità similari se non superiori a quelle della famiglia «Standard» e in particolare della munizione «SM-2» per l’ingaggio di bersagli aerei e missilistici di varia natura.
FRANCIA Prime prove a mare del «VSR 700»
Nel corso di una cerimonia svoltasi a fine marzo presso la base navale di Mina Salman, quartier generale della Royal Bahrain Navy, Leonardo ha consegnato l’ultima delle sei unità navali sottoposte a un esteso programma d’ammodernamento (U.S. Naval Forces Central Command / U.S. 5th Fleet).
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La società Airbus Helicopters ha completato con successo la prima campagna a mare di decolli e atterraggi in modalità autonomo del drone «VSR 700», un sistema senza pilota in fase di sviluppo nell’ambito del programma SDAM (Système de drone aérien de la Marine), condotto dalla DGA (Direction générale de l’Armement) per la Marina francese. Le prove sono state condotte su di una piattaforma navale commerciale con ponte di volo al largo delle coste di Brest, utilizzando un velivolo a pilotaggio opzionale basato su una piattaforma ad ala rotante Guimbal «Cabri G2» modificata e dotata del sistema di decollo e atterraggio autonomo
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(ATOL) sviluppato per il velivolo senza pilota «VSR 700». Questa campagna di test di volo apre la strada alla prossima dimostrazione in mare del «VSR 700», a bordo di una fregata della Marina francese. Secondo quanto riportato, questi test in condizioni di attività reale costituiscono un passo cruciale verso la campagna che l’industria condurrà con la DGA e la Marina francese in mare entro la fine dell’anno.
GERMANIA Cannoni Leonardo per le fregate «F-126» Il gruppo cantieristico Damen, quale capocommessa per la fornitura delle fregate tipo «F-126» al ministero della Difesa tedesco, ha assegnato al gruppo Leonardo un contratto di valore imprecisato per la fornitura del sistema d’artiglieria navale OTO «127/64 LW (LightWeight) Vulcano» destinato a equipaggiare le quattro unità della classe finora ordinate, a cui s’aggiungono due unità opzionali, per la Marina tedesca. L’accordo include servizi di supporto e manutenzione, simulatori per la formazione dell’equipaggio e attività di bordo per l’integrazione e la messa in esercizio. Il nuovo contratto rafforza ulteriormente la partnership strategica di lunga data tra Leonardo — che in Germania opera con diverse attività ed è anche presente attraverso la controllata Leonardo Germany GmbH con uno stabilimento produttivo nella città di Neuss — e la Marina tedesca. I sistemi per la difesa navale di Leonardo sono già a bordo di diverse tipologie di navi tedesche, incluse le fregate classe «Baden-Württemberg», anch’esse dotate dell’OTO
Il gruppo Damen ha assegnato al gruppo Leonardo un contratto di valore imprecisato per la fornitura del sistema d’artiglieria navale OTO «127/64 LW (LightWeight) Vulcano» destinato a equipaggiare le quattro fregate tipo «F-126» per la Marina tedesca, con opzione per due ulteriori unità (Damen).
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«127/64 LW Vulcano» con capacità di impiego delle munizioni «Vulcano». Si tratta di un sistema tecnologicamente sofisticato e completamente digitalizzato che grazie al sistema NFS (Naval Fire Support) assicura un supporto costante agli operatori e al Combat Management System di bordo per il calcolo delle soluzioni di tiro nel corso della pianificazione della missione. Unico al mondo in grado di integrare le munizioni «Vulcano» da 127 mm di Leonardo nella versione GLR (Guided Long Range) e nella versione BER (Ballistic Extended Range), oltre al munizionamento convenzionale, l’OTO «127/64 LW Vulcano» è in grado di estendere la capacità di difesa della nave fino a 85 km di distanza con precisione metrica.
GIAPPONE Iniziati i lavori di conversione della seconda unità classe «Izumo» Lo scorso aprile sono iniziati i lavori di conversione in portaerei STOVL della seconda unità classe «Izumo» presso i cantieri Japan Marine United (JMU) di Kure. A differenza dell’unità capoclasse, su cui sono stati effettuati i lavori di protezione del ponte di volo necessari a sopportare il calore degli scarichi del sistema propulsivo del velivolo «F-35B» in versione STOVL, e soltanto in un momento successivo verranno realizzati i lavori per rendere quadrata la zona prodiera del ponte di volo oggi di forma trapezoidale, l’ammodernamento sull’unità Kaga (DDH 184) verrà effettuato con un unico ciclo di lavori. Questi ultimi saranno completati secondo il cronoprogramma in 14 mesi, a cui seguirà una seconda fase, destinata a iniziare nel marzo 2027, per la modifica degli spazi interni e l’imbarco della necessaria dotazione per la pianificazione delle missioni e la manutenzione del nuovo velivolo. Secondo quanto previsto, le prime consegne del velivolo «F-35B» alla Japan Air Self-Defense Force (JASDF) che opererà dalle unità ammodernate, inizieranno nell’anno fiscale giapponese 2024. I nuovi velivoli saranno stanziati sulla base aerea di Nyutabaru vicino Kyushu, con le prime sei macchine che arriveranno nell’anno fiscale 2024, seguite da altre due nell’anno fiscale 2025, a cui seguiranno ulteriori per raggiungere la componente di uno squadrone pari a 20 velivoli.
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General Atomics Sea Guardian per Guardia Costiera La società americana General Atomics Aeronautical Systems è stata prescelta per supportare il programma per un nuovo sistema a pilotaggio remoto o RPAS (Remotely Piloted Aircraft System) destinato alla Guardia Costiera giapponese. Quest’ultima ha scelto il sistema «MQ-9B Sea Guardian» che inizierà a operare in supporto di quest’ultima a partire dall’ottobre del 2022.
struzione di tutte e cinque le fregate è prevista per il 2028, e la loro entrata in servizio seguirà nel 2030. Le nuove fregate classe «Inspiration» «Type 31» sono base sul progetto «Arrowhead 140», un’evoluzione di quelle delle fregate classe «Iver Huitfeldt» per la Marina danese, che sono state progettate dal team industriale danese OMT e adattate ai requisiti della Royal Navy dalla società Babcock e dalla società di consulenza progettuale BMT.
GRAN BRETAGNA Impostata la chiglia della prima fregata «Type 31»
INDIA Costituito il secondo reparto per velivoli «P-8°»
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Babcock di Rosyth in Scozia è stata impostata la chiglia della prima delle cinque fregate classe «Inspiration» «Type 31». La cerimonia si è tenuta presso il nuovo capannone in grado di accogliere l’assemblaggio in parallelo dei moduli dello scafo di due fregate della classe. La capoclasse Venturer, la cui prima lamiera è stata tagliata nel settembre 2021, è previsto venga varata nel 2023 per entrare in servizio nel 2027. La seconda unità battezzata Active è previsto inizi l’attività costruttiva nel 2023 mentre il completamento della co-
La Marina indiana ha costituito il secondo squadrone equipaggiato con il velivolo per la lotta di superficie e antisom a lungo raggio Boeing «P-8A Poseidon». Si tratta dell’Air Squadron 316, che è stato ufficialmente costituito il 29 marzo scorso presso la base aeronavale di Hansa, vicino Goa, con i quattro nuovi «P-8°» fornito da Boeing con il secondo e ultimo contratto siglato nel 2016 e introdotti in servizio a fine dicembre 2021.
La Marina indiana ha costituito lo scorso fine marzo il secondo squadrone equipaggiato con il velivolo per la lotta di superficie e antisom a lungo raggio Boeing «P-8A Poseidon» (Marina indiana).
OLANDA Estensione della vita operativa dei battelli classe «Walrus» …
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Babcock di Rosyth in Scozia è stata impostata la chiglia della prima delle cinque fregate classe «Inspiration» o «Type 31» (Royal Navy).
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Il responsabile del dicastero della Difesa olandese, Christophe van der Maat, ha comunicato al Parlamento nazionale che i Paesi Bassi continueranno ad assicurare una componente subacquea alla NATO e alla Comunità europea, anche alla luce della recente
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Scelto il sistemi d’arma Leonardo «Lionfish Top»
Il responsabile del dicastero della Difesa olandese, ha annunciato l’estensione della vita operativa dell’attuale componente subacquea basata sui quattro battelli classe «Walrus», di cui è qui ripreso un esemplare (ministero Difesa olandese).
crisi ucraina accelerando il programma di acquisizione per i nuovi sottomarini e nel frattempo estendendo la vita operativa dell’attuale componente basata sui quattro battelli classe «Walrus». In particolare, al fine di mantenere questi ultimi in servizio fino alla metà degli anni 2030, in aggiunta a un nuovo approccio manutentivo, è previsto che un battello venga ritirato dal servizio a breve termine e successivamente un secondo nel medio termine, al fine di assicurare parti di ricambio e altri benefici tecnici alle unità rimaste in servizio.
La Marina olandese ha scelto e assegnato il contratto per l’acquisizione del nuovo sistema d’arma a controllo remotizzato «Lionfish» da 12.7 mm di Leonardo. Tali sistemi sono destinati a equipaggiare gli OPV classe «Holland», le unità LPD (Landing Platform Dock) classe «Johan de Witt» e JSS (Joint Support Ships) classe «Karel Doorman». A queste si aggiunge l’unità CSS (Combat Support Ship), classe «Den Helder» in fase d’allestimento. Ciascuna unità dovrebbe ricevere due sistemi anche se in almeno un caso si parla di più complessi. Il sistema della famiglia «Lionfish» prescelto è nella versione «Top» con sistema d’arma da 12.7 mm e caratterizzato da torretta con design stealth per un peso complessivo inferiore senza munizioni pari a 300 kg, equipaggiata con una suite elettro-ottica «Mini Colibrì» che comprende un sensore diurno e all’infrarosso raffreddato che consentono portate in termini di scoperta fino a 12 km.
… accelerazione del programma per i nuovi sottomarini Sempre secondo quanto comunicato dal responsabile del dicastero della Difesa olandese, anche il programma per l’acquisizione dei nuovi sottomarini è stato sottoposto a una profonda rivisitazione con il fine di accelerare il lancio del relativo tender entro la fine del 2022 affinché i primi due nuovi battelli entrino in servizio fra il 2034 e il 2037. Il programma è stato rivisto dal punto di vista della gestione mentre la fase di supporto in servizio dei nuovi battelli verrà affrontata soltanto successivamente all’emissione della gara. Il programma prevedeva fino a ora l’entrata in servizio fra il 2035 e il 2038 ma inizialmente era stato pianificato che il primo battello entrasse in linea, al più tardi entro la fine del 2031.
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La Marina olandese ha scelto e assegnato il contratto per l’acquisizione del nuovo sistema d’arma a controllo remotizzato «Lionfish» da 12.7 mm di Leonardo (Leonardo).
QATAR Consegnati i primi due elicotteri «NFH-90» I primi due elicotteri NHIndustries «NH-90» nella versione navale «NFH» sono stati consegnati alla Forza aerea del Qatar da Leonardo. La consegna, avvenuta in linea con gli impegni contrattuali, è stata effettuata il 31 marzo durante una cerimonia ufficiale presso lo stabilimento Leonardo di Venezia Tessera alla presenza di rappresentanti dell’operatore, dell’azienda e della joint
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venture NHIndustries. Leonardo agisce in qualità di prime contractor e con la responsabilità per la gestione del programma nonchè l’assemblaggio finale e consegna dei 12 elicotteri NH90 NFH dalla sua struttura di Venezia-Tessera, a cui s’aggiunge la consegna di 16 elicotteri «NH-90» nella versione da trasporto tattico (TTH), assemblati da Airbus Helicopters. A questi s’aggiunge la fornitura di un completo pacchetto di supporto, simulatori, sistemi e servizi di addestramento per equipaggi e tecnici addetti alla manutenzione. Gli elicotteri navali si caratterizzano per una rampa posteriore alla cabina di trasporto, motori Rolls Royce «RTM32201/9°» per l’impiego in condizioni di alte temperature e quote d’impiego nonché un sistema di trasporto esterno per carichi di diversa natura, in particolare i missili antinave MBDA «Marte ER» (Extended Range) acquistati con distinto contratto dal ministero della Difesa del Qatar. Sebbene non siano state rilasciate ufficialmente informazioni al riguardo, la suite di missione
comprenderebbe un complesso di sensori aeronavali, il radar di sorveglianza e scoperta navale ENR (European Naval Radar), un sistema elettro-ottico di nuova generazione «LEOSS-T HD» di Leonardo nonché un sistema RESM (Radar Electronic Support Measures) di Elettronica. La suite antisom è fornita da Thales e comprenderebbe un sistema sonar filabile «FLASH» (Folding Light Acoustic System for Helicopters), un sistema di lancio e gestione boe acustiche ed elaborazione delle informazioni per entrambi i sistemi. La suite di missione è gestita da un massimo di due consolle installate in cabina, con equipaggiamenti di fornitura Leonardo. Le consegne continueranno fino al 2025.
Consegna la corvetta Damsah (F 102) Con una cerimonia tenutasi presso lo stabilimento di Muggiano (La Spezia) di Fincantieri lo scorso 28 aprile è stata consegnata la corvetta Damsah (F 102), seconda unità della classe «Al Zubarah», commissio-
I primi due elicotteri NHIndustries «NH-90» nella versione navale «NFH» sono stati consegnati alla Forza aerea del Qatar da Leonardo il 31 marzo durante una cerimonia ufficiale presso lo stabilimento di Venezia Tessera (Leonardo).
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nata a Fincantieri dal ministero della Difesa del Qatar nell’ambito del programma di acquisizione navale nazionale per sette unità navali. Alla cerimonia, svoltasi in formato ristretto e nel pieno rispetto delle prescrizioni anti contagio, hanno partecipato il Brigadier General Abdulla Al Mazroey, Deputy Chief della Marina del Qatar e Commander of the Flottilla, il Major General Staff Hilal Al Muhannadi, Defense Attaché del Qatar a Roma, l’ammiraglio di divisione Pierpaolo Ribuffo, Comandante marittimo nord della Marina Militare italiana, e Marco Acca, vice direttore generale della Divisione navi militari di Fincantieri.
SENEGAL Varo del primo «OPV 58S» Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Piriou di Concarneau alla presenza del capo di Stato Maggiore della Marina del Senegal, ammiraglio Ouman Wade, è stato varato il primo dei tre «OPV 58S» ordinati ai cantieri francesi nel novembre 2019. Si tratta dell’OPV Walo, mentre gli altri due sono in diverse fasi di completamento e allestimento. Realizzati con il supporto e la competenza della joint-venture fra gli stessi cantieri Piriou e Naval Group, la costruzione e consegna delle tre unità verrà completata nell’estate del 2024. È inoltre previsto un periodo di supporto di diversi anni in Senegal. Le nuove unità da 62 metri disporranno di un armamento basato su sistemi missilistici di fornitura MBDA comprendente missili antinave «Marte Mk 2/N» e un sistema per la difesa aerea «SIMBAD-RC» basato su una coppia di lanciatori per missili Mistral, un armamento cannoniero incentrato su un affusto Leonardo da 76/62 mm «Super Rapido» e due sistemi a controllo remotizzato Nexter «Narwhal» da 20 mm, il tutto gestito da un sistema di comando e controllo Naval Group «Polaris».
Con una cerimonia tenutasi lo scorso 6 aprile presso i cantieri di Ferrol del gruppo Navantia è stato celebrato il taglio della prima lamiera per la fregata capoclasse di nuova generazione tipo «F-110» (Navantia).
programma, il cui contratto quadro è stato siglato nel 2019, prevede la progettazione, costruzione, allestimento e messa in servizio di cinque fregate, per un valore complessivo di 4,3 miliardi di euro. L’unità capoclasse Bonifaz (F 111) sarà consegnata nel 2027 e le restanti seguiranno a cadenza annuale.
STATI UNITI Battezzato il primo caccia «Flight III» classe «Arleigh Burke» Il Chief of Naval Operations della US Navy, l’ammiraglio Mike Gilday ha preso parte alla cerimonia tenutasi presso i cantieri Huntington Ingalls di Pascagoula lo scorso marzo, con cui è stato battezzato il primo caccia classe «Arleigh Burke Flight III». Si tratta dell’unità Jack H. Lucas (DDG 125) che si differenzia rispetto ai caccia precedenti per l’adozione del radar a quattro facce fisse Raytheon «AN/SPY-6(V)1» AMDR (Air and Missile Defense Radar) e i relativi potenziamenti del sistema elettrico e di condizionamento, a cui s’aggiungono miglioramenti che potenziano le capacità di combattimento.
Impostazione della ciglia dell’ESB 6 e T-AO 207 SPAGNA Taglio lamiera per la prima fregata classe «F-110» Con una cerimonia tenutasi lo scorso aprile presso i cantieri di Ferrol del gruppo Navantia alla presenza del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, è stato celebrato il taglio della prima lamiera per la fregata capoclasse di nuova generazione classe «F-110». Il
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Presso i cantieri General Dynamics National Steel and Shipbuilding Company (GD-NASSCO) di San Diego lo scorso aprile si è tenuta la cerimonia d’impostazione della chiglia della quarta unità tipo ESB (Expeditionary Sea Base). Si tratta della nave John L. Canley (ESB 6) che insieme alle sue gemelle è destinata ad assicurare una base avanzata sul mare per mol-
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teplici missioni. Lo stesso giorno analoga cerimonia si è tenuta presso i medesimi cantieri GD-NASSCO per il rifornitore di squadra Earl Warren (T-AO 207), terza unità della classe «John Lewis».
L’LHA Tripoli opera quale portaerei leggera La US Navy e il Corpo dei Marines hanno dimostrato con successo per la prima volta il concetto di «portaerei leggera» per velivoli di nuova generazione o «Lightning Carrier» fra il 30 marzo e l’8 aprile quando l’unità d’assalto anfibio Tripoli (LHA 7) ha operato con 20 velivoli da combattimento di quinta generazione «F-35B Lightning II». Previsto dai principali e più recenti documenti pianificatori del Corpo dei Marines, la dimostrazione del concetto di «Lighting Carrier» ha visto la partecipazione di 16 «F-35B» del Marine Aircraft Group 13, 3rd Marine Aircraft Wing, e in particolare velivoli del Marine Fighter Attack Squadron 225 Viking e
del Marine Fighter Attack Squadron 21 Wake Island Avenger, entrambi di stanza presso la Marine Corps Air Station (MCAS) di Yuma in Arizona e quattro «F-35B» appartenenti al Marine Operational Test and Evaluation Squadron 1 di stanza presso le MCAS di Yuma e New River (Carolina del Nord). Secondo quanto riportato, la dimostrazione ha provato che il concetto di «assault carrier» può essere un’importante elemento abilitante nella capacità di proiezione del Corpo dei Marines, senza che il medesimo contribuisca a cambiare le modalità d’impiego degli Amphibious Ready Group e dei Marine Expeditionary Unit. La dimostrazione ha dimostrato la versatilità delle unità d’assalto anfibio della classe «America» in grado d’imbarcare due squadroni di «F-35B» e un detachment comando del Marine Aircraft Group oppure un Forza da sbarco basata su un battaglione del Corpo dei Marines supportato da 12 «MV-22B Osprey», 4 «CH-53E Super Stallion» e sei «F-35B».
La US Navy e il Corpo dei Marines hanno dimostrato con successo per la prima volta il concetto di «Lightning Carrier» fra il 30 marzo e l’8 aprile, quando l’unità d’assalto anfibio TRIPOLI (LHA 7) ha operato con 20 velivoli da combattimento «F-35B Lightning II» (US Navy).
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Test storico per un nuovo sistema laser ad alta potenza L’ONR (Office of Naval Research) ha annunciato lo scorso 14 aprile di aver condotto con successo il test di un sistema d’arma laser ad alta potenza completamente elettrico per abbattere un bersaglio simulante, un missile da crociera subsonico in volo. Progettato e realizzato dalla società Lokheed Martin e conosciuto come LLD (Layered Laser Defense), si tratta di un’arma multi-impiego in grado di neutralizzare un’ampia gamma di bersagli fra cui droni e imbarcazioni con un potente sistema laser, utilizzando un altrettanto potente sistema elettro-ottico di acquisizione, identificazione e verifica dei danni prodotti sui bersagli ingaggiati.
Cancellato il modulo ASW per le LCS … La US Navy ha cancellato dai suoi piani di equipaggiamento delle unità LCS (Littoral Combat Ship) il modulo per la lotta antisom (ASW, Anti-Submarine Warfare). Secondo quanto emerso, la decisione sarebbe legata a problematiche di sviluppo e mancata soddisfazione dei requisiti fissati dalla Marina americana per il sistema sonar «AN/SQS-62» sviluppato dalla Raytheon. Sempre secondo il budget della US Navy per il FY 2023, la cancellazione del modulo porta con se anche il ritiro dal servizio di tutte e nove le unità LCS classe «Freedom» attualmente in linea.
configurazione. Si tratta dello stesso sistema installato a bordo delle FREMM per la Marina francese e italiana e «Type 23» e future «Type 26» per la Marina britannica e prescelto in versioni alleggerite per altri importanti programmi europei per fregate di diverse dimensioni quali le unità tipo «F-110» spagnole ed FDI Frégates de défense et d’intervention francesi.
Nuovo piano cantieristico a lungo termine Second il piano cantieristico a lungo termine 2023-2030 presentato dalla US Navy in aprile, la medesima intenderebbe ritirare dal servizio ben 24 unità navali con il FY 2023 fra cui tutte e nove le LCS classe «Freedom» in servizio nonché i primi cinque dei 22 incrociatori lanciamissili classe «Ticonderoga» già ritirati dal servizio o in fase di ammodernamento come nel caso dell’unità Vicksburg (CG 69) che ha quasi completato tale attività, a cui seguiranno le rimanenti. Si tratta di una proposta, in particolare quella delle unità LCS, che hanno un’età compresa fra i 3 e gli 8 anni, destinata a trovare l’opposizione del Congresso americano. Luca Peruzzi
… acquisizione di un nuovo modulo per le fregate Non avendo l’attuale modulo ASW soddisfatto i requisiti della US Navy e poiché il medesimo era stato scelto per equipaggiare anche le nuove Fregate «FFG 62» classe «Constellation», la Marina americana ha rimpiazzato il medesimo con il sistema Thales «CAPTAS-4», anche se non sono stati rilasciati ulteriori dettagli riguardanti la
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La US Navy ha scelto e contrattualizzato il sistema sonar trainato Thales «CAPTAS-4» per equipaggiare le nuove fregate «FFG 62» classe «Constellation» (NATO Photo by CPO FRAN Christian Valverde).
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«Lost at Sea! Never turn your back on the Ocean» FOREIGN AFFAIRS, MARCH - APRIL 2022
Molto vivace negli Stati Uniti si presenta il dibattito sul rinnovamento della Marina militare in funzione delle attuali sfide che il paese si trova a dover affrontare. Un dibattito in cui l’autore del presente articolo, Kori Shake, direttore del prestigioso Foreign and Defense Policy at the American Enterprise Institute for Public Policy Research di Washington, entra a gamba tesa in una sorta contrappunto critico a due libri, recentemente apparsi, che affrontano proprio il tema delle sfide sul mare e l’importanza delle relazioni di potenza marittima contemporanee. Il primo, intitolato To Rule the Waves di Bruce Jones, sostiene la tesi che «gli oceani stanno rapidamente diventando la più importante zona di confronto tra i grandi attori militari del mondo», sottolineando come i modelli cooperativi del ventesimo secolo si stiano mano a mano erodendo, in maniera da preparare così il terreno per un conflitto su larga scala nel quale le lotte geopolitiche si svolgeranno in alto mare. Il secondo, The Blue Age di Gregg Easterbrook, rievoca l’epopea di come la Marina degli Stati Uniti ha creato la prosperità globale, denunciando le ragioni per cui oggi si rischia di perderla. L’interessante articolo in questione si apre con il seguente apologo storico: nel 1897, il Parlamento britannico fece pressioni sul primo Lord dell’ammiragliato, George Joachim Goschen, sulla potenziale minaccia marittima rappresentata da un’alleanza sempre più stretta tra le potenze dell’Europa continentale. Alla domanda su cosa farebbe il Regno Unito se si trovasse di fronte a più Marine europee in mare, Goschen rispose: «Fidati della Provvidenza e di un buon Ammiraglio». In altre parole, l’impero del mare britannico non aveva alcuna risposta per una sfida di tale portata! «Lo stesso
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si potrebbe dire degli Stati Uniti quando si tratta della minaccia di una Cina in rapida ascesa — commenta l’autore, secondo il quale — per anni, gli Stati Uniti si sono aggrappati a una convinzione quasi religiosa che man mano che la Cina diventava più prospera, sarebbe diventata più democratica e politicamente liberale. Ora che il regime autoritario di Pechino ha smentito questa teoria, sembra che il pubblico americano possa fidarsi solo dei “buoni Ammiragli della Marina degli Stati Uniti” per gestire la minaccia incombente di una Cina sempre più belligerante, anche se l’economia americana cresce sempre più dipendente da quello stesso avversario. Questo perché in una misura che molti osservatori non riescono ad apprezzare, la competizione tra Pechino e Washington diventerà sempre più una lotta per il potere navale». Tanto più che ai nostri giorni il quadro marittimo e navale degli Stati Uniti non appare affatto roseo. Nel 1950, la flotta della Marina mercantile degli Stati Uniti rappresentava il 43% del trasporto marittimo globale; nel 1994, quella quota era scesa al quattro per cento. L’attuale flotta mercantile statunitense di 393 navi è al 27° posto nel mondo. Al contrario, la Cina ha la seconda flotta mercantile più grande del mondo, e questo non include la famigerata flotta da pesca «paramilitare» che utilizza per lanciare incursioni in acque contese (di cui abbiamo già parlato nella rubrica dello scorso dicembre). E la situazione non migliora sotto il profilo navale laddove, fa rilevare l’autore non senza un pizzico di sarcasmo, la U.S. Navy aveva più navi nel 1930 di quante ne abbia oggi! Certo l’obiettivo del Pentagono rimane quello di aumentare le dimensioni della flotta (che subito dopo la fine della Guerra Fredda contava 451 navi, di cui 12 portaerei), dalle 306 unità di oggi alle 355 della data — obiettivo del 2034, «un obiettivo lontano per il quale il Congresso non ha ancora fornito finanziamenti» mentre, secondo quanto ci
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prospetta l’autore, almeno nel ritmo delle costruzioni navali militari, «China supplanted the United States as the world’s largest naval power in 2020». Una Marina degli Stati Uniti in cui le sfide «operative» sono esacerbate da quelle «amministrative», tant’è che un recente rapporto del Congresso ha portato a criticare una «cultura navale» che «values administrative chores over training to fight, ship commanders that are micromanaged and an aversion to risk». Gli Stati Uniti sono peraltro «una potenza egemonica anomala» in quanto sono un «partecipante riluttante» a un ordine internazionale di propria creazione, nel senso che Washington ha guidato i negoziati che hanno portato alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (Unclos III), sviluppando «una costituzione per gli oceani» al fine di stabilire standard per l’attività marittima internazionale, ma gli stessi Stati Uniti, anche se ne rispettano de facto i termini e vogliono che gli altri paesi facciano altrettanto, de jure, pur dopo averlo firmato, non hanno mai ratificato il trattato! L’amministrazione Biden, proprio come l’amministrazione Trump, vede la Cina come la principale minaccia militare degli Stati Uniti (almeno sino all’aggressione russa all’Ucraina) Rivista Marittima Maggio 2022
e l’Indo-Pacifico, dove è più probabile che scoppi un eventuale prossimo conflitto, è un teatro marittimo. «Il bilancio della Difesa dovrà dare quindi priorità alla Marina degli Stati Uniti rispetto all’Esercito e all’Aeronautica — conclude l’autore — Garantire la forza della Marina è fondamentale: senza una Forza navale capace e ben dotata di risorse, gli Stati Uniti non saranno in grado di difendere i loro alleati in Giappone e nelle Filippine o di proteggere il teatro in modo più ampio in caso di conflitto. E a questo proposito, Jones e Easterbrook, gli autori dei due libri di riferimento, hanno assolutamente ragione: il controllo del mare sarà il fattore determinante del prossimo secolo. Se gli Stati Uniti vogliono continuare a stabilire e far rispettare le regole dell’ordine internazionale, dovrebbero prestare attenzione a qualche consiglio secolare: Never turn your back on the Ocean, non voltare mai le spalle all’oceano!».
«La menace d’une guerre nucléaire en Europe» LE MONDE DIPLOMATIQUE, AVRIL 2022
Quel fatidico 24 febbraio, inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, l’affermazione del presidente Putin col suo carico di minacce non è sfuggita agli analisti militari: «Non importa chi cerca di ostacolarci (…) o creare minacce al nostro paese e al nostro popolo, devono sapere che la Russia risponderà immediatamente e le conseguenze saranno tali come non ne avete mai viste nella vostra storia», dichiarazione alla quale ha fatto subito seguito la messa in stato d’allerta del sistema di deterrenza nucleare. E al possibile sotteso im-
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piego di armi nucleari più recentemente, aggiungiamo, si è tornati a parlare più esplicitamente dopo il 50° giorno di guerra, sia da parte del presidente Zelensky in una intervista alla CNN (per il quale «Putin potrebbe usare ordigni nucleari tattici e il mondo dovrebbe prepararsi a questa eventualità»), sia dal capo della CIA William Burns, per il quale «non bisogna prendere alla leggera il ricorso di Putin alle armi nucleari». Il tutto mentre Pechino nel frattempo, secondo quanto riportato dal The Wall Street Journal, accelera la modernizzazione del proprio arsenale nucleare. In questo contesto Olivier Zajec, docente di Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Jean Moulin - Lione III, nell’ampio e approfondito saggio in questione, sottolinea come Putin abbia costretto l’insieme degli Stati maggiori ad aggiornare le loro dottrine, il più delle volte ereditate dalla Guerra Fredda laddove,
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secondo il nostro, la certezza della distruzione reciproca assicurata (MAD) non è più sufficiente a escludere l’ipotesi di attacchi nucleari tattici col rischio di innescare una escalation incontrollata. Preannunciata da diverse crisi nell’ultimo decennio, la «terza era nucleare» potrebbe così iniziare sul serio in Ucraina nel contesto di un’operazione «speciale» russa sempre più claudicante rispetto alle iniziali aspettative del Cremlino (da ultimo con l’affondamento dell’incrociatore lanciamissili russo Moskva, «piattaforma ideale per l’eventuale lancio di armi nucleare tattiche», secondo l’analista geopolitico Pavel Luzin, la cui presenza o meno a bordo ha innescato un vivace dibattito sulla stampa). Già nel 2018 nel libro La dissuasion au troisième Âge nucléaire, l’ammiraglio Pierre Vandier attuale CaSM della Marine Nationale — molto opportunamente ricordato dall’autore — scriveva, interrogandosi sul futuro e sulla posta in gioco della deterrenza nucleare, che «Diversi elementi suggeriscono che stiamo entrando in una nuova era, una “terza era nucleare” che fa seguito alla “prima”, basata sulla mutua dissuasione tra i due Grandi, e alla “seconda” che [addirittura] recava la speranza di un’eliminazione totale e definitiva delle armi nucleari dopo la fine della Guerra Fredda». Una «terza era» dunque nella quale «si porranno nuove domande sulla solidità — e la pertinenza — delle regole logiche imparate nelle difficoltà, come durante la crisi dei missili a Cuba [16 - 28 ottobre 1962, quei drammatici «tredici giorni», sulle cui dinamiche politiche e strategiche l’articolo si sofferma a lungo]; in cui ci si interrogherà sulla razionalità dei nuovi attori nella messa in opera dei mezzi nucleari che possiedono; in cui sarà valutato in maniera critica il valore del tabù nucleare, che alcuni agitano ormai come un totem». Il punto di domanda cruciale che ci si deve porre ai nostri giorni — conclude l’autore — è se Putin, di fronte all’impasse della campagna militare in Ucraina armata dall’Occidente, «voglia assumersi anche la responsabilità di fronte alla storia di rompere, per la prima volta dopo Hiroshima e Nagasaki, il “tabù” relativo all’uso delle armi nucleari».
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«L’Endurance, la nave riemersa dai ghiacci» È rimasta lì dal 1915, a 3.008 metri di profondità sul fondo del gelido mare di Weddel, in Antartide: l’Endurance, il veliero di tre alberi lungo 44 mt, dotato anche di un motore ausiliario con cui l’esploratore Ernest Shackleton (1874 - 1922), già veterano delle spedizioni scientifiche nel Continente Bianco nel quindicennio precedente, era partito alla volta dell’Antartide il 1° agosto 1914, quando stavano per «tuonare i cannoni d’agosto della Grande guerra», per la sua missione trans-antartica (con l’intento di attraversare cioè via terra il Continente Antartico da ovest a est, dopo che il Polo Sud era già stato raggiunto da Roald Amundsen il 14 dicembre 1911), ma che finì però bloccata e poi lentamente stritolata nei ghiacci della banchisa, fino ad affondare. Ora, il 22 marzo 2022, è stata ritrovata come leggiamo in numerosi siti web (focus.it e thesun.co.uk): il relitto è stato localizzato dalla spedizione Endurance22, organizzata da The Falklands Maritime Heritage Trust (fmht.co.uk), un ente di beneficenza registrato nel Regno Unito che si dedica a preservare la ricca e variegata storia marinara delle Falkland e di coloro che vi sono stati associati, partita proprio con tale obiettivo. La nave per la ricerca polare S. A. Agulhas II è salpata dal Sudafrica a inizio dello scorso febbraio e, una volta arrivata nel mare di Weddel, a nord - est dell’Antartide, ha iniziato le ricerche servendosi di due robot sottomarini che hanno esplorato minuziosamente il fondale usando sonar. Quando l’Endurance è stata localizzata, sono stati dotati di telecamere ad alta risoluzione e altri strumenti per effettuare riprese e scansioni. La nave di Shackleton è apparsa così in ottimo stato di conservazione, a detta dei suoi scopritori (e a quanto si vede da immagini e video diffusi, in cui appaiono parte dello scafo, la poppa con il nome della nave e il timone, visibili su
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vari siti web, tipo thesun.co.uk e focus.it), merito delle temperature bassissime e dell’assenza in queste acque di organismi che degradano il legno e quindi i relitti delle navi. Il relitto dell’Endurance resta sul fondale antartico, vero monumento all’era delle esplorazioni polari e a una incredibile storia di vera sopravvivenza. Shackleton arrivò infatti in Antartide a bordo della Endurance con un equipaggio di 27 uomini, che nel gennaio 1915 restò bloccata tra i ghiacci marini in movimento; fu schiacciata a ottobre e a novembre finì per affondare. Gli uomini a bordo furono costretti a scendere dalla nave e ad accamparsi sul ghiaccio, continuando ad andare alla deriva sulla banchisa. Arrivati alle acque libere da ghiacci, salirono sulle scialuppe e raggiunsero la disabitata e inospitale Elephant island. Da lì, Shackleton e altri 5 uomini si imbarcarono su una scialuppa in un viaggio avventuroso che li portò ad approdare su un’isola della Georgia del Sud dove, raggiunta una stazione di balenieri, organizzò la spedizione di soccorso per recuperare il resto dell’equipaggio che, tra agosto e settembre del 1916, da Elephant Island venne portato in Cile. Se Shackleton aveva fallito lo scopo della sua missione, celebrata peraltro da una nutrita storiografia e più volte rievocata nella memoria filmica, dopo aver perso l’Endurance, riuscì però a trarre in salvo tutto il suo equipaggio, affrontando su una scialuppa di sette metri un mare ferocemente freddo e difficile, senza strumenti, solo un sestante, un’impresa che egli ha rievocato con afflato lirico in quello che può essere considerato il suo testamento spirituale: «Abbiamo sofferto, patito la fame e trionfato. Siamo stati umiliati ma abbiamo raggiunto la gloria. Siamo diventati migliori nella grandezza del tutto. Abbiamo visto Dio nei suoi splendori, ascoltato il testo che la Natura scrive e disegna. Abbiamo raggiunto l’anima nuda dell’uomo». Ezio Ferrante
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R ECENSIONI
E SEGNALAZIONI
Virgilio SPIGAI (a cura di) (prefazione di Andrea Tirondola)
Anime bianche Romanzo autobiografico, 1907-1945 Ufficio Storico della Marina Militare Roma 2022 pp. 504 Euro 30,00
Diciamocelo pure: alla Marina italiana mancava, da un secolo, la dimensione del romanzo storico. Le eccezioni a questa regola sono poche, si contano sulle dita di una mano e sono tutte a senso unico: in pratica si sono sempre e soltanto ispirate, chi più chi meno, al Via così di Aldo Pasetti, un libro apparso nel 1947 e poi ripubblicato, vent’anni dopo, sotto il nuovo titolo di Omega 9. Ora, finalmente, si cambia. Ed è, a parer di chi scrive, grande il debito di riconoscenza che tanto il lettore quanto la Marina Militare intesa come istituzione, servizio e tradizione devono all’autore; l’ammiraglio Virgilio Spigai, Capo di Stato Maggiore della Marina tra il 1968 e il 1970, a suo figlio Vittorio e ad Andrea Tirondola per aver tirato fuori dal cassetto e reso, infine, disponibile questo libro. Si tratta di pagine preziose, spesso intime, non peregrine né banali, ma rivelatrici di un incredibile e appassionante mondo passato e, infine, ci sia concesso, scritte molto bene. Certo, il merito del risultato fatto e finito spetta all’Ufficio Pubblica Informazione della Marina Militare (UPICOM) e all’Ufficio Storico, ma il loro contributo è, in un certo senso, «solo» editoriale e di sicuro coraggio morale, parole queste ultime che sono il sinonimo di quelle virtù (fondamentali per chi porta le stellette) rappresentata dalla onestà di intenti e dalla chiarezza militare di pensiero. Andiamo con ordine. Il Capo ufficio Pubblica Informazione ha avuto per le mani, grazie all’iniziativa dell’avvocato — e TV (CM) — Tirondola, un grosso manoscritto. L’ho visto di persona, ingiallito dal tempo e contenuto in una vecchia cartella di cuoio.
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Apparentemente poco invitante, quel pacco di carta è stato sfogliato, senza diffidenza, ma con la sincera curiosità che è il marchio di fabbrica del vero editore, il quale è rimasto — inevitabilmente — preso dalle prime due pagine. Succederà lo stesso al lettore, quindi non anticipo nulla. Con mano leggera e senza una traccia che fosse una di retorica, Virgilio Spigai rende l’ambiente, lo stile, verrebbe da dire l’odore, della vita di un tempo. Sia quella che la generazione degli attuali «Anta» ha fatto ancora in tempo a conoscere, magari in visita dai nonni, sia quella, diversa, ma ugualmente tipica, degli spazi sempiterni dell’Accademia navale. Quanto al resto, il libro oggetto di queste note viene da sé una volta che si consideri un fatto, insolito ed essenziale, che spiega, più di cento inutili discorsi, cosa c’è dietro e dentro questo volume. Il testo fu infatti scritto in prigionia. Dopo, cioè, aver combattuto a Lero contro i tedeschi, tra il settembre e il novembre 1943, continuando a farlo anche successivamente alla resa che il contingente inglese affluito su quell’isola dell’Egeo (e formato dalla vecchia guarnigione di Malta degli anni dell’assedio del 1940-42), aveva sottoscritto consegnandosi ai paracadutisti, agli incursori e alla fanteria germanica. Fu un atto di puntiglio, certo, ma è proprio questo genere di cose che fa la cultura (e la sopravvivenza) dei singoli individui e delle comunità. Come scrisse un altro celebre prigioniero (ridotto dai tedeschi nelle medesime, penose e odiose circostanze di Spigai e dei suoi marinai), Giovannino Guareschi, compilando il proprio Diario Clandestino: «Sono un emiliano della Bassa, quindi non muoio neanche se mi ammazzano» riuscendo, alla fine, a tornare a casa. Spigai, nato a Spezia, ma figlio della stessa Kultur condita d’umorismo, adottò la medesima soluzione: scrivere per vivere, per sé stesso e, se le cose fossero andate male, forse per quello stesso «postero mio diletto» tanto spesso citato da Guareschi mentre era rinchiuso in un altro lager. Il sistema funzionò, traducendosi in una sincerità d’animo e in uno stile efficace e asciutto quanto il peso ponderale — a quel tempo piuttosto scarso — dell’autore. Parlare di un capolavoro suonerebbe re-
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torico e celebrativo, per tacere del fatto che un simile giudizio spetta al lettore, non certo ai recensori e ai critici letterari. Dire che siamo davanti a un bel libro è, per contro, un’affermazione che nasce spontanea a testimonianza di un’opera che suscita pensieri e sentimenti. Bene ha fatto quindi UPICOM ad aprire senza diffidenza alcuna lo scartafaccio originale; il resto è stato tutto in discesa grazie, beninteso, al lavoro minuto, precisissimo e mai noioso, anche se estremamente impegnativo, di Andrea Tirondola, che ha reso così possibile scorrere tutta la vicenda umana del protagonista: dalla giovinezza agli anni in Accademia navale, a bordo delle navi in pace e in guerra fino alla maturità postbellica. Ben arrivata, quindi, questa rinnovata e ritrovata dimensione letteraria della Marina italiana. Ne beneficerà chi, magari sotto l’ombrellone, vorrà scoprire un nuovo mondo, oppure rinvenire certe sensazioni che non cambiano mai, a qualsiasi età. E ne trarrà profitto anche la marittimità nostrana, la quale ha sempre bisogno di linfa giovane per generare continuamente nuove idee. E le idee, senza i sogni, non nascono. Un buon romanzo — calato nella realtà e superbamente illustrato con 150 precisissime fotografie e illustrazioni tratte dagli album di famiglia, o provenienti dalla Fototeca dell’USMM — è il terreno di cultura necessario e sufficiente (come in matematica) per i privilegiati dello spirito. Enrico Cernuschi Gianmpiero CANNELLA (a cura di) (prefazione di Guido Crosetto)
L’Italia non gioca a Risiko Il ruolo delle Forze armate nella sfida geopolitica contemporanea Historica Giubilei Regnani Editore Aprile 2021 pp. 159 Euro 13,30
«Affrontare il tema complesso del sistema Difesa in tutte le sue articolazioni e parlare di Forze armate in Italia è da sempre compito arduo. Lo è perché il
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nostro paese, per motivazioni storiche e culturali, ha considerato per decenni l’argomento un tabù...». Guido Crosetto, già sottosegretario di Stato alla Difesa e presidente AIAD. Abbiamo scelto come incipit le parole con le quali Guido Crosetto ha aperto la sua prefazione a questo libro. Le abbiamo subito percepite come la premessa migliore, più eloquente, ancorché in pochissime battute, del cuore del problema che l’autore Giampiero Cannella, giornalista professionista, scrittore e già deputato nella Commissione Difesa della Camera, ha voluto approcciare. Il suo lavoro ha inteso offrire un contributo alla direzione, che speriamo almeno oggi in questi tempi bui della storia europea, stia maturando verso una inversione di tendenza, cioè la maggiore conoscenza delle nostre Forze armate, la familiarità della società italiana, e non solo di pochi addetti ai lavori, con lo strumento militare italiano, nel contesto internazionale, la sua mission, gli impieghi, la cooperazione con le industrie italiane, i progetti futuri e gli scenari. Tutto ciò viene elaborato dall’autore non sotto le luci esaltanti di una celebrazione fine a se stessa, ma mettendo in risalto la verità delle ombre, delle carenze, delle inadeguatezze, delle esigenze politiche e di bilancio sulle quali sono state lungamente, troppo facilmente e pregiudizialmente sacrificate le Forze armate. Proprio questi nuovi orizzonti, prima dei quali per la lunga pace forzata dovuta al bipolarismo della Guerra Fredda avevamo avuto in regalo «...La libertà per scontata», impongono un ammodernamento e rivisitazione degli strumenti militari, adattati alle attuali sfide strategiche e alle minacce alla sicurezza europea. L’autore descrive tutti i potenziali attentanti, nel mondo e in Europa in particolare, alla pace, le nuove esigenze e sfide future dalle quali muove senza retorica per motivare e sostenere con coraggio la sua tesi, che ormai in modo ineluttabile ci costringe a un maggiore allineamento dello strumento militare italiano ai livelli dei paesi UE e dell’Alleanza Atlantica. Malgrado gli stereotipi ancora duri a morire, Cannella ci mette di fronte a una realtà descrivendola analiticamente come ineludibile: per le nuove sfide alla sicurezza internazionale, in un Mediterraneo che sta tornando a
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Recensioni e segnalazioni
essere un affollato teatro di attori militari, collocati come siamo da un lato tra il «Risvegliato orso russo...la rinnovata volontà di potenza cinese che tanto preoccupa l’Occidente, il ritorno di quella che fu la Sublime porta e il nuovo protagonismo della Russia» e gli Stati Uniti dall’altra, in via di un ormai avviato disimpegno dal ruolo di poliziotto del mondo, ai nostri militari, dei quali l’autore pur riporta l’ampio riconoscimento internazionale del loro livello di professionalità, «...Manca ancora il salto di qualità da parte della classe dirigente. Negli ultimi anni il rango internazionale dell’Italia è scivolato sempre di più, insieme ai numeri nelle caselle del bilancio annuale della Difesa, difettano infatti la capacità di leggere e interpretare gli scenari geopolitici e il coraggio di dare all’Italia, che pure è una delle maggiori realtà economiche, capace di porsi come arbitro e garante mondiale, una chiara definizione politica dell’interesse nazionale e la conseguente postura di potenza regionale capace di porsi come arbitro e garante della libertà di navigazione nel Mediterraneo....capace di guidare i processi di pace nei paesi del bacino euro afro asiatico caratterizzati da elevata instabilità e conflittualità...». Letto oggi siamo stupiti dalla analisi geopolitica quasi preveggente fatta dall’autore quasi un anno prima dal conflitto odierno in Ucraina, il quale con onestà rivela come il dibattito parlamentare sulle missioni multinazionali sia stato bersaglio «...dell’onda della ideologia», nonostante fossero tutte su specifica richiesta di Washington in quanto sorta di compensazione per il minor impegno finanziario italiano. L’Italia ha dato una contribuzione al di sotto degli standard richiesti dalla NATO, e a compensazione ha garantito una massiccia partecipazione di truppe nelle missioni multinazionali, dal peacekeeping al monitoraggio, alla formazione, tutte minuziosamente descritte. L’autore ha con competenza di causa, essendo stato parlamentare di due legislature, il coraggio di aggiungere che non difetta in Italia solo l’aspetto economico ma «...quello che manca al paese è una chiara definizione politica dell’interesse nazionale da tutelare...».Quanto allo specifico del settore dotazioni Marina, l’autore evidenzia, tra le sue necessità, quella
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di incrementare la componente sottomarina con la costruzione di quattro nuovi U 212 NFS, prodotti in collaborazione con la Germania per i quali Fincantieri ha già siglato l’accordo per realizzare le prime due unità con consegna prevista nel biennio 2027-29, che andranno a sostituire la classe «Sauro». Detto ciò, fotografa anche «...La versione migliorata del missile superficie-superficie “TESEO” costruita da Leonardo e MBDA denominato TESEO EVO che però rivela un limite del sistema d’arma italiana nella gittata inferiore ai mille chilometri richiesti dalla marina…». Tra i molti aspetti trattati anche l’operatività nel 2022 di nave Trieste, gioiello «dual use» della cantieristica nazionale, in grado di fungere da «portaerei di riserva» della portaeromobili Giuseppe Garibaldi, pur trattandosi principalmente di una unità da sbarco. Viene evidenziata un’altra esigenza della componente navale quale quella «… dell’ammodernamento del naviglio destinato al pattugliamento marittimo e cacciamine e lo sviluppo dei cacciatorpedinieri DDX che andranno a sostituire gli ormai anziani Duran de la Penn e Francesco Mimbelli…». Il dato positivo da segnalare è la prosa agile, semplice e adatta anche a un lettore non avvezzo a conoscenze tecniche, compito più agevole per un giornalista professionista e scrittore come Giampiero Cannella formato a «dare la notizia». Rita Silvaggio
Rivista Marittima Maggio 2022
Recensioni e segnalazioni Alessandro FANETTI (a cura di)
Russia: alla ricerca della Potenza perduta Dall’avvento di Putin alle prospettive future di un Paese orfano dell’URSS Eiffel Edizioni Caserta 2021 pp. 374 Euro 21,00
Lo studio realizzato da Fanetti ha come oggetto un paese che in questo periodo è tornato prepotentemente protagonista dello scenario internazionale, la Russia. Altro grande primattore del saggio è il leader di quel paese, Vladimir Vladimirovič Putin. Questo libro ha sicuramente un grande pregio: riesce a proporre una panoramica approfondita dell’evoluzione storica della Russia dalla fine della Guerra Fredda agli anni più recenti, inserendo egregiamente all’interno del periodo preso in esame la formazione culturale, professionale e i valori di riferimento di Putin, con un’attenta analisi della sua ascesa politica, da studente fino al massimo vertice del potere russo. Nel testo, strutturato in maniera molto schematica e precisa, con una attenta divisione in punti, l’autore ha scelto di introdurre ampi stralci di discorsi e citazioni di politici russi e stranieri, integrandoli con le analisi prodotte da studiosi della Russia. Sfruttando ampie digressioni, è dato molto spazio alla descrizione e all’approfondimento dei vari temi man mano affrontati. Pur se in certi punti la lettura può risultare poco scorrevole, essendo dedicato così tanto spazio ad argomenti collaterali al tema principale, sicuramente questa scelta ha il pregio di coprire ogni contenuto trattato. Come detto, nel testo l’autore ha descritto ampiamente la figura e le azioni politiche di Putin. La scelta in questo senso è stata fatta ovviamente per la rilevanza che il Presidente della Federazione ha avuto e che mantiene nel determinare le scelte politiche russe, ma anche perché la sua stessa parabola è il prodotto della fine dell’Unione Sovietica e della voglia di rivalsa della Russia. Putin infatti sembra legare perfettamente la sua ascesa e la sua politica con la
Rivista Marittima Maggio 2022
volontà russa di tornare a essere un paese centrale nello scacchiere internazionale. Come ampiamente descritto nel libro, Putin ha deciso di proporre una politica volta a tutelare l’identità tradizionale russa, a ridurre le influenze straniere all’interno della Federazione e a impegnarsi per aumentare il prestigio e la proiezioni russa verso l’estero. Ecco perché i maggiori sforzi di Putin si sono concentrati inizialmente nella riaffermazione del potere dell’autorità centrale nei confronti delle periferie della Federazione (con il caso estremo della Cecenia), limitando drasticamente il potere degli oligarchi e riportando al centro del dibattito l’orgoglio del popolo russo, con la riscoperta dei valori più tradizionali, quale la religione ortodossa. L’analisi inserisce la parabola della Russia all’interno del nuovo contesto internazionale, con la sempre più manifesta aggressività di Mosca (es.: Ossezia del Sud), nella contrapposizione tra il globalismo di ispirazione statunitense e il multipolarismo, cioè quella visione delle relazioni internazionali che auspica una condizione in cui emergono nuove potenze in grado di erodere la supremazia americana, ruolo che si intesta chiaramente la Russia. Partendo dalla visione russa sul mondo e dalla percezione che la Russia ha del suo ruolo nelle relazioni internazionali, sono analizzati i suoi rapporti con gli Stati Uniti, l’Europa (e quindi con la NATO) e con i vicini, soprattutto con la Bielorussia e l’Ucraina. Il merito del volume è che grazie a questa attenta ricostruzione, il lettore avrà una panoramica completa sulla Russia putiniana, così da comprendere meglio le recenti scelte russe. Alessandro Fanetti ha quindi prodotto uno studio che permette anche al lettore non uso allo studio delle relazioni internazionali e della geopolitica di comprendere la complessità del sistema in cui si stanno muovendo le potenze mondiali, ma soprattutto garantisce gli strumenti per capire come la Russia si sia percepita fino al 2020-2021, quali fossero i suoi interessi e le sue paure. Fornisce quindi gli elementi per cercare di comprendere l’attuale scontro in Europa orientale, inquadrandolo nel più ampio contesto internazionale, ormai sempre più in evoluzione. Giacomo Innocenti
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Storia e geopolitica dell’Intermarium: ideologia, prospettive e attualità Andrea Carteny - Paolo Pizzolo
Intervista all’ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia, S.E. Anna Maria Anders 3
Costantino Moretti