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Lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi
Pierluigi Barberini
Introduzione
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Nel corso degli ultimi decenni, i sistemi «unmanned», cioè senza operatore umano a bordo (comunemente chiamati «droni») si sono resi protagonisti di uno sviluppo fondamentale a livello militare, entrando a far parte degli arsenali di numerosi paesi e andando a rafforzare le capacità operative esprimibili dalle Forze armate di diversi Stati. Il dominio aereo rappresenta senza ombra di dubbio quello in cui i sistemi unmanned hanno avuto lo sviluppo maggiore, e nel quale essi vengono quotidianamente impiegati in missioni operative che spaziano da quelle di tipo «Intelligence, Surveillance, Reconnaissance» (ISR) a quelle che prevedono l’ingaggio di obiettivi a terra mediante il munizionamento tra-
Analista responsabile del desk Difesa & Sicurezza del CeSI - Centro Studi Internazionali. Laureato con lode e menzione speciale in Relazioni Internazionali - Major in Global Studies - presso l’Università LUISS, ha svolto un periodo di studio all’estero in Israele. Durante il percorso di laurea magistrale ha frequentato una Summer School congiunta LUISS-Esercito italiano, prendendo parte, per due settimane, alla missione NATO KFOR - Joint Enterprise in Kosovo. Ha conseguito un master di II Livello in «Homeland Security». Commentatore televisivo e radiofonico per network quali TV2000, RaiNews, TgCom24 e Radio Vaticana, i suoi ambiti di analisi si focalizzano su multi-dominio, sicurezza marittima, difesa europea, nuove tecnologie e green defense.
I test di Leonardo sui nuovi
sistemi unmanned su nave FASAN
sportato da tali assetti, andando così a integrare in modo strutturato le capacità esprimibili dai velivoli pilotati. Tuttavia, nel corso degli ultimi tempi, e con uno sguardo proiettato verso il futuro, sta crescendo sempre più lo sviluppo di sistemi unmanned in ambito marittimo, con numerose Forze navali che guardando con sempre maggiore attenzione e interesse al mondo dei cosiddetti «Maritime Unmanned Systems» (MUS).
In generale, nella categoria dei sistemi unmanned marittimi, vengono ricompresi tutti i sistemi, sottosistemi, veicoli, componenti, equipaggiamento e logistica per operare piattaforme senza pilota: caratteristica fondamentale è pertanto l’assenza di personale umano a bordo di tali mezzi (1). Nel dominio marittimo, tali sistemi possono includere assetti navali di superficie, assetti che operano sotto la superficie e assetti aerei. Questa analisi si concentrerà sulle prime due tipologie, prendendo in esame le potenzialità e le ripercussioni tecnologiche, dottrinali e operative sottese allo sviluppo dei cosiddetti «Unmanned Surface Vehicles» (USVs) e «Unmanned Underwater Vehicles» (UUVs).
Il contesto di riferimento: tra sviluppo tecnologico e competizione geopolitica
I sistemi unmanned marittimi costituiscono già una realtà e a oggi vi sono vari sistemi che sono operativi, in alcuni casi già da numerosi anni, presso diverse Marine militari nel mondo. Si pensi, a titolo di esempio, alla US Navy, che già nel 2003 utilizzò l’Autonomous Underwater Vehicle (AUV) Swordfish Mk 18 Mod 1, basato sulla piattaforma REMUS 100 — un sistema di piccole dimensioni, della lunghezza di circa 1,60 metri — in attività di ricerca e contrasto alle mine navali in Iraq, nell’ambito dell’Operazione Iraqi Freedom (2003-2011) (2).
Tuttavia, in tempi recenti, e soprattutto con uno sguardo rivolto al futuro, si stanno sviluppando sistemi unmanned sempre più complessi e di maggiori dimensioni, che possano operare insieme alle unità navali tradizionali con equipaggio a bordo, integrandosi a pieno titolo nella condotta di operazioni navali complesse e strutturate, ma che possano anche operare in completa autonomia, sostituendosi alle unità tradizionali nello svolgimento di determinate funzioni, sgravando in tal
modo gli assetti con equipaggio a bordo, più grandi e costosi, da compiti meno complessi nonché più ripetitivi e degradanti per il personale.
La rinnovata attenzione verso tali sistemi è dovuta a molteplici fattori; tuttavia, due in particolare sono quelli degni di menzione in quanto, probabilmente più di altri, risultano decisivi nel determinare il forte interesse che sta emergendo, ormai da tempo, nei confronti di tali piattaforme.
Il primo fattore è inevitabilmente legato allo sviluppo tecnologico. I progressi compiuti in settori quali la robotica, l’Intelligenza Artificiale, le telecomunicazioni, la miniaturizzazione di sensori sempre più performanti e complessi, permettono oggi di progettare e realizzare piattaforme navali da combattimento complesse, in grado di operare con pochissimo personale a bordo (le cosiddette navi «optionally manned» o «lightly manned») oppure in maniera completamente autonoma, senza alcun bisogno dell’operatore umano fisicamente presente a bordo del vascello (i sistemi unmanned per l’appunto).
Il secondo fattore è legato invece alle attuali dinamiche geopolitiche globali e al contesto operativo che ne deriva per le Forze navali. Come dimostrato dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, il sistema internazionale è da anni entrato in una fase che vede nel ritorno alla competizione globale tra grandi potenze una delle dinamiche fondamentali che plasmeranno gli attuali e futuri equilibri mondiali. Lo stesso ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato nel mese di aprile come la guerra mossa dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, definita da Mosca «un’operazione militare speciale», abbia, tra i suoi obiettivi, quello di porre fine a un ordine internazionale basato sulla predominanza degli Stati Uniti e dei paesi loro alleati (3). Anche la Repubblica Popolare Cinese aspira a diventare una potenza globale di prim’ordine entro il 2049 e a instaurare un’architettura mondiale alternativa a livello politico, economico e culturale a quella occidentale, in cui le proprie Forze armate possano competere alla pari con quelle di qualsiasi altro attore internazionale (4). Tale scenario si traduce, a livello militare e operativo, in un ritorno a forme di conflittualità convenzionale e di competizione con avversari cosiddetti near-peer o peer-to-peer, dinamica esemplificata non solo dal conflitto inter-statale tra Russia e Ucraina, ma anche dal ritiro americano e NATO dall’Afghanistan. Tale evento in qualche modo, infatti, va a cristallizzare la rinnovata attenzione da parte delle Forze armate americane (e occidentali) verso la competizione con eserciti e forze regolari, segnando parallelamente una riduzione dell’impegno nella lotta al terrorismo e dell’attenzione prioritaria accordata alle operazioni di contro-insorgenza. In altre parole, le grandi potenze mondiali stanno preparandosi per un confronto a più livelli dove lo strumento militare svolgerà un ruolo di primo piano, con diversi attori apparentemente disposti a utilizzarlo (o quantomeno a minacciarne l’utilizzo) al fine di aumentare la propria sfera di influenza e di imporre la propria agenda a livello internazionale su competitor e avversari.
Lo scenario appena descritto ha delle ripercussioni importanti a livello marittimo: infatti, tale dominio è al centro della competizione geopolitica globale e presenta crescenti e complesse minacce in termini di sicurezza. Da un lato si pensi al fatto che il 90% circa dei beni commercializzati a livello globale sono trasportati
In questa immagine dell'handout della Marina degli Stati Uniti, un drone di sorveglianza marittima senza pilota MQ-9 SEA GUARDIAN sorvola la USS CORONADO nell'Oceano Pacifico durante un'esercitazione (foto di
Shannon Renfroe tramite AP).
via mare (5), che il 98% circa delle comunicazioni digitali mondiali viaggia attraverso le dorsali dei cavi di comunicazione sottomarini, i quali si estendono per oltre 1,2 milioni di chilometri sul fondo dei mari (6). Si può dunque affermare che gli oceani costituiscano le arterie del commercio e dell’economia mondiali (attraverso le cosiddette Sea Lines of Communication SLOCs) ma anche il sistema nervoso delle comunicazioni digitali globali che unisce tutti i principali nodi planetari (attraverso la rete di cavi sottomarini). Non sorprende, dunque, che il dominio marittimo nella sua interezza sia al centro degli interessi economici, commerciali, infrastrutturali, e di conseguenza anche politici e securitari, di una vasta platea di attori internazionali. Dall’altro lato, la regione dell’Indo-Pacifico, caratterizzata da immense distese oceaniche e distanze geografiche rilevanti, sarà sempre più al centro della contrapposizione tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima percepita sempre più da Washington come il competitor strategico numero uno nel lungo periodo. Da queste considerazioni e dallo scenario geopolitico appena descritto, deriva la necessità di sviluppare nuove dottrine operative e nuove capacità per la US Navy, nell’ambito delle quali lo sviluppo dei sistemi unmanned marittimi dovrebbe costituire uno dei fattori più importanti.
Le operazioni marittime distribuite della US Navy e lo sviluppo di una flotta unmanned
La US Navy è, di fatto, uno degli attori che da tempo sta investendo maggiormente sulle tecnologie di tipo unmanned in ambiente marittimo, cercando di sviluppare sia nuove capacità sia nuovi concetti operativi circa l’impiego attivo di tali piattaforme in contesti navali più o meno complessi. Il cambiamento, tuttavia, non è solo di carattere tecnologico e operativo, ma anche e soprattutto dottrinale. Si può affermare, infatti, che lo sviluppo di sistemi unmanned marittimi, seppur in corso da decenni, abbia negli ultimi anni acquisito ulteriore importanza alla luce del parallelo sviluppo della nuova dottrina delle cosiddette «Distributed Maritime Operations» (DMO Operazioni Marittime Distribuite). Lo sviluppo di tale dottrina parte dall’analisi del contesto securitario e operativo in cui la US Navy ritiene di dover operare in maniera prioritaria in futuro, ovvero il teatro dell’Indo-Pacifico. In tale contesto, le enormi distanze geografiche, lo sviluppo delle capacità aero-navali da parte delle Forze armate cinesi, nonché la crescita delle capacità missilistiche delle stesse e la creazione di una serie di bolle «Anti-Access/Area-Denial» (A2/AD) nella regione, focalizzate sulla componente anti-nave, hanno portato la Marina americana ad avviare un processo di riflessione per comprendere come adattarsi ed evolversi per rispondere al meglio a tali minacce. Da qui nasce la dottrina delle DMO, ancora in fase di completa definizione, il cui concetto base consiste nel disporre di una flotta più agile, versatile e distribuita, che non faccia più riferimento unicamente al singolo gruppo da battaglia delle portaerei americane, il Carrier Strike Group, ma che preveda invece un’architettura più ampia e distribuita, in grado allo stesso tempo di integrare tutti gli assetti a livello della flotta, al fine di sincronizzarne gli effetti attraverso lo spettro di tutti i domini operativi (7). L’idea di fondo è dunque quella di avere una flotta più «dispersa» e distribuita e meno concentrata, al fine di aumentarne le capacità di sopravvivenza in termini difensivi, ma anche la letalità da parte dei propri assetti offensivi (8).
Lo sviluppo di nuove dottrine d’impiego delle proprie forze da parte della US Navy (e, in parallelo, dello US Marine Corps, con le «Expeditionary Advanced Base Operations» - EABO) si riflette anche nella pianificazione di medio e lungo periodo della struttura e della composizione della flotta navale americana. Negli ultimi anni, tra l’immissione in servizio attivo di nuove unità e la ritirata dal servizio attivo delle piattaforme più obsolete, la dimensione complessiva della flotta navale americana oscillava tra le 270 e le 300 navi circa (9). In particolare, secondo alcune fonti, la US Navy, ad aprile 2022, vanta 298 unità in servizio attivo (10). Nel 2017, la US Navy ha rilasciato un piano (Navy’s Force-Level Goal) che prevede la costruzione e il mantenimento di una flotta composta complessivamente da 355 unità navali, obiettivo approvato ufficialmente dal Congresso americano nel 2018 e da raggiungere nel corso dei prossimi anni. Tale obiettivo deriva da alcune valutazioni compiute dalla US Navy nel 2016, relativamente al contesto geopolitico e operativo di riferimento, tipologia delle minacce da affrontare, obiettivi politico-strategici da raggiungere e profili di impiego operativo delle navi. Tale piano da 355 unità non prevede alcuna tipologia di sistema unmanned, ma solo e unicamente navi con equipaggio a bordo (11). Tuttavia, a partire dal 2019, la US Navy e più in generale il Dipartimento della Difesa americano hanno iniziato a lavorare a un nuovo piano di lungo periodo (Navy’s Next Force-Level Goal) che tenga conto dei mutamenti nel contesto geopolitico di riferimento, degli ulteriori progressi compiuti dalle Forze armate cinesi nel corso degli ultimi anni, ma anche dei cambiamenti dottrinali in corso proprio all’interno della stessa US Navy, e più in generale in ambito a tutte le Forze armate americane. Secondo diverse dichiarazioni rilasciate da ufficiali della Marina americana e del Pentagono nel corso degli ultimi anni, il nuovo piano introdurrà un cambiamento nell’architettura della flotta del tipo di quelli che avvengono una sola volta in una generazione (once-in-ageneration change) (12), per rimarcare la profondità e l’importanza di tale processo. In particolare, sul modello della dottrina delle DMO, la nuova flotta americana dovrebbe avere un’architettura più «distribuita» rispetto a quella prevista nel piano da 355 navi o in quelli che sono stati approvati nel corso degli anni precedenti. Nello specifico, secondo tale modello, la composizione della futura flotta americana dovrebbe essere caratterizzata da: una percentuale minore di unità maggiori, quali incrociatori, cacciatorpedinieri ed eventualmente anche di grandi navi anfibie e di portaerei; una percentuale maggiore di unità minori, quali fregate, corvette e nel caso anche di navi anfibie e di portaerei dalle dimensioni più contenute; infine, da una terza linea di navi di superficie, delle dimensioni di corvette e pattugliatori, che saranno di tipo unmanned o caratterizzate da una presenza estremamente ridotta di personale a bordo (lightly manned) oppure del tipo optionally manned, cioè con possibilità di operare sia con sia senza equipaggio, in aggiunta inoltre a sistemi di tipo UUV (13). Ecco che dunque, nelle intenzioni della US Navy e dello US Marine Corps, la transizione verso un’architettura della flotta navale più distribuita, che rifletta le caratteristiche appena menzionate, e l’ingresso in servizio attivo di una serie di sistemi unmanned serviranno proprio a supportare il passaggio e l’implementazione delle nuove dottrine di impiego a livello marittimo, nello specifico appunto le Distributed Maritime Operations della US Navy e le Expeditionary Advanced Base Operations dei Marines. In tal senso, secondo diversi documenti rilasciati dalla Marina americana nel corso degli ultimi mesi, si parla di una flotta
composta da un massimo di 688 unità navali, di cui massimo 242 unmanned, nella versione più ambiziosa e difficilmente realizzabile, rilasciata nel dicembre 2020, durante le ultime settimane dell’amministrazione Trump, oppure di una flotta costituita da un massimo di 512 unità, di cui massimo 140 unmanned, in un nuovo documento rilasciato nel giugno 2021, pochi mesi dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden (14), una visione sicuramente più pragmatica e percorribile. Di recente, nel febbraio 2022, l’ammiraglio Mike Gilday, Chief of Naval Operations, ha dichiarato come la US Navy necessiti di una flotta composta in totale da circa 513 navi, di cui 150 unmanned, tra sistemi di superficie e sottomarini (15). Nell’aprile del 2022, la US Navy ha presentato il piano di costruzioni navali a lungo termine (30 anni) per la propria flotta, il quale include tre studi differenti per il «Force-Level Goal» dei prossimi anni. Secondo tali studi, la composizione della flotta nei prossimi decenni potrà variare in un range compreso tra le 321 e le 404 unità totali, di cui tra le 45 e le 204 di tipo unmanned (16).
Riassumendo, l’enfasi riposta sul concetto di architettura distribuita e sulla necessità di sviluppare unità unmanned riflette il cambiamento dottrinale in corso nell’ambito della US Navy e dello US Marine Corps, a sua volta parte di un più ampio processo di riflessione da parte delle Forze armate americane circa lo sviluppo delle cosiddette Operazioni Multi-Dominio, il quale rappresenta la risposta da parte del Dipartimento della Difesa americano al nuovo scenario geopolitico e militare e soprattutto al crescente confronto con la Repubblica Popolare Cinese nell’Indo-Pacifico, confronto di cui la dimensione marittima rappresenta forse il dominio più importante e decisivo.
In tale ottica, il passaggio a una flotta più distribuita e l’entrata in servizio di sistemi marittimi unmanned, nelle intenzioni americane, dovrebbero offrire una serie di vantaggi, rispetto proprio al confronto con la Cina. Da un punto di vista operativo, l’entrata in servizio di sistemi marittimi unmanned permetterebbe di aumentare il numero complessivo di unità navali facenti parte della flotta americana, al fine di tenere il passo con la Marina militare cinese, ormai divenuta la più grande al mondo in termini di numero di navi complessive in servizio (17); a sua volta, ciò dovrebbe permettere di implementare il passaggio verso un’architettura più distribuita della flotta americana, elemento che si traduce in una maggiore difficoltà da parte dei competitor nel monitorare, individuare, identificare e, in ultima istanza, eventualmente colpire le unità statunitensi; inoltre, l’utilizzo di sistemi unmanned permetterebbe di sostenere un certo numero di perdite in caso di conflitto, in termini di capacità complessive esprimibili dalla Marina, senza tradursi anche in perdite di vite umane; da ultimo, permetterebbe di aumentare la versatilità, la modularità e la «riconfigurabilità» della flotta, alla luce dei molteplici carichi di payload differenti che i sistemi unmanned dovrebbero trasportare (18). Un ulteriore vantaggio è quello legato ai fattori economici: secondo la US Navy, infatti, al fine di generare un determinato pacchetto di capacità navali, una flotta unmanned non sarebbe più costosa rispetto a quella con equipaggio a bordo, al contrario, porterebbe financo a una riduzione dei costi complessivi.
Infine, in virtù dei progressi tecnologici fin qui compiuti e del fatto che diversi applicativi e soluzioni sono già testati da tempo, l’integrazione di una flotta unmanned sarebbe tecnicamente fattibile (technically feasible), andando da un lato a fare leva su sistemi in parte già esistenti, e dall’altro su concetti e tecnologie che, da un punto di vista di ricerca e sviluppo, non presen-
Il drone X-47B della marina statunitense viene lanciato a maggio al largo
della portaerei a propulsione nucleare USS GEORGE HW BUSH al largo
della costa della Virginia (foto di Erik Hildebrandt U.S. Navy).
terebbero particolari rischi in più rispetto allo studio di sistemi paralleli per le unità manned. In sintesi, la US Navy ritiene che il rischio tecnologico complessivo dovuto alla realizzazione, integrazione e mantenimento di una flotta unmanned sia gestibile e non superi quello legato allo sviluppo di nuove capacità e tecnologie per le navi con equipaggio (si pensi, in tal senso, al progetto della classe «Zumwalt», costato complessivamente circa 22,5 miliardi di dollari per la realizzazione di sole tre unità (19)).
Come detto, dunque, la Marina americana sta da anni testando e sviluppando diversi sistemi marittimi di tipo unmanned. Tra le unità di superficie, la US Navy distingue quattro categorie: large, medium, small e very small. In particolare, sono le prime due categorie (large e medium) quelle che, nelle intenzioni della Marina americana, dovrebbero affiancarsi alle unità tradizionali con equipaggio a bordo per la condotta di operazioni navali complesse e strutturate. I sistemi «Large Unmanned Surface Vehicles» (LUSVs) dovrebbero avere un dislocamento compreso tra le 1000 e le 2000 tonnellate e dovrebbero essere equipaggiati con 16-32 celle di lancio verticali per missili anti-nave e «land-attack», mentre i sistemi «Medium Unmanned Surface Vehicles» (MUSVs) dovrebbero avere un dislocamento attorno alle 500 tonnellate ed essere equipaggiati con sensori di tipo ISR ed EW (Electronic Warfare). Dunque, la US Navy, al momento, sta vagliando delle soluzioni che permettano di avere in futuro sistemi unmanned dediti alla condotta tanto di operazioni di combattimento, in supporto alle unità principali con equipaggio a bordo, quanto di attività di presenza, sorveglianza, pattugliamento e ricognizione. Per quanto concerne invece i sistemi unmanned sottomarini, anch’essi classificabili in quattro categorie — small, medium, large ed extra-large — la US Navy, sempre nell’ambito della futura strutturazione di una flotta ad architettura distribuita, sta focalizzando gli sforzi sull’ultima categoria. Uno dei principali progetti in fase di studio, relativo proprio alla realizzazione di un sistema «Extra-Large Unmanned Undersea Vehicle» (XLUUV) è il Programma Orca, il cui partner industriale selezionato è l’azienda Boeing. Tale UUV, che si ispira a sua volta al sistema Echo Voyager della stessa Boeing, dovrebbe avere una lunghezza attorno ai 16 metri, un dislocamento attorno alle 50 tonnellate e un raggio operativo fino a circa 10.000 km (20). Al momento, a livello di payload, l’attenzione è posta sulla capacità di trasportare e rilasciare mine navali, ma in futuro lo sviluppo della piattaforma potrebbe portare all’integrazione di siluri anti-sottomarino (21).
Come accennato in precedenza, accanto allo sviluppo di singoli sistemi e applicativi a livello tecnologico, la US Navy sta cercando di comprendere come sfruttare al massimo le capacità delle piattaforme unmanned anche da un punto di vista dottrinale e operativo. In tale ottica, nel settembre 2021, la Marina americana ha istituito la Task Force 59 (22), la prima task force completamente unmanned nella storia della US Navy. Creata dallo US Naval Forces Central Command (NAVCENT), nell’area di responsabilità della US 5th Fleet, la Task Force opera nel Medio Oriente e, avvalendosi di sistemi quali gli USVs Sea Hunter, Sea Hawk e Mantas T-12, nonché di «Unmanned Aerial Vehicles» (UAVs) come l’MQ-9B Sea Guardian, intende perseguire tre obiettivi principali: a livello operativo, incrementare le capacità di maritime situational awareness a livello regionale, in un’area percorsa da elevate tensioni geopolitiche e securitarie e in cui la dimensione marittima sta assumendo un’importanza crescente; a livello dottrinale, testare nuovi «Concepts of Operations» (CONOPS) relativi all’impiego di si-
Gli ingegneri della Lockheed Martin a Palm Beach, in Florida, progetteranno un veicolo sottomarino senza pilota extra large, Orca, per la Marina degli Stati Uniti per supportare i requisiti della missione della Marina (per gentile concessione di Lockheed Martin).
stemi unmanned e all’integrazione di tali assetti nell’ambito della condotta di operazioni navali più o meno complesse, in sinergia con unità tradizionali con equipaggio a bordo; infine, a livello tecnologico, testare sul campo gli ultimi sviluppi in settori quali la robotica, il cyber e l’Intelligenza Artificiale, in modo tale da migliorare ulteriormente le soluzioni attualmente in fase di studio, di progettazione e di test.
Le iniziative della NATO
Anche la NATO si sta muovendo in tale direzione, ben consapevole dell’importanza di sviluppare piattaforme unmanned in ambito marittimo. Durante il Summit NATO di Bruxelles tenutosi nel luglio del 2018, i capi di Stato e di Governo dei paesi membri dell’Alleanza Atlantica ribadirono l’importanza strategica del dominio marittimo e la necessità di investire in tecnologie di tipo unmanned in tale settore. Sulla scia di tali dichiarazioni, a distanza di poche settimane, nell’ottobre del 2018, i ministri della Difesa di 13 Stati membri (Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Turchia) firmarono una dichiarazione di intenti con l’obiettivo di sviluppare forme di cooperazione mirate allo sviluppo e all’introduzione di piattaforme unmanned nel dominio marittimo, dando così vita al Maritime Unmanned Systems (MUS) High Visibility Project (23). Tale iniziativa ha visto poi l’adesione di altri Stati, tra cui la Francia nel 2019 e Australia, Canada e Romania nel 2020. Al fine di valutare concretamente i risultati raggiunti nell’ambito di tale iniziativa, nel 2019 e poi nel 2021 è stata organizzata l’esercitazione multinazionale REP(MUS) — Recognized Environmental Picture, Maritime Unmanned Systems — ospitata in entrambe le edizioni dal Portogallo, e organizzata in collaborazione con l’Università di Porto e il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) della stessa NATO. L’obiettivo di entrambe le esercitazioni, cui ha preso parte anche l’Italia, consisteva nel testare l’impiego, in ambito marittimo, di molteplici piattaforme unmanned di diversa tipologia (unità di superficie, subacquee e aeree), verificando anche le modalità attraverso cui integrare tali sistemi con le unità navali munite di equipaggio nella condotta di operazioni navali tradizionali. In particolare, l’esercitazione REPMUS 21 si è rivelata estremamente importante poiché ha posto l’attenzione su due concetti fondamentali: interoperabilità e multi-dominio. Da un lato, infatti, tale esercitazione ha permesso di testare e integrare fra loro assetti e tecnologie diversi sviluppati da paesi differenti, rafforzando in tal modo l’interoperabilità tra le Forze armate dei paesi NATO in un segmento ancora in fase di sviluppo, e dunque non completamente maturo, come quello dei sistemi unmanned marittimi. Tale fattore è importante in quanto permette di progettare e sviluppare tali piattaforme nell’ottica di renderle fin dall’inizio interoperabili con i sistemi complementari realizzati dagli altri Stati membri. Dall’altro lato, secondo quanto dichiarato da Sean Trevethan, il direttore del NATO Maritime Unmanned Systems Innovation and Coordination Cell (24), nel corso dell’esercitazione sarebbe stata testata per la prima volta la capacità di connettere e integrare fra loro assetti unmanned operanti in contemporanea sopra e sotto la superficie dell’acqua, insieme ad assetti aerei in volo nell’area di operazioni. Di fatto, tale capacità di connettere sistemi in real-time, integrandoli perfettamente e permettendo loro di scambiarsi dati e informazioni in maniera costante e continuativa rappresenta uno degli abilitanti cruciali che si intendono sviluppare nell’ambito delle Operazioni Multi-Dominio. Essa costituisce inoltre
una capacità fondamentale e caratteristica proprio delle piattaforme unmanned: infatti, in uno scenario futuro (in realtà non troppo lontano), in cui una serie di assetti senza equipaggio sono posti a sorveglianza e protezione di una infrastruttura critica, come per esempio un’area portuale, risulta fondamentale avere sistemi di superficie, subacquei e aerei in grado di svolgere missioni di pattugliamento continuo dell’area di interesse, ma in grado anche di scambiarsi informazioni in real-time tra di loro e con i nodi di comando e controllo, al fine di costruire e mantenere una situational awareness completa e costantemente aggiornata. In sostanza, riuscire a integrare i dati e le informazioni provenienti da assetti che operano in contemporanea sopra la superficie dell’acqua, al di sotto di essa e nello spazio aereo è fondamentale tanto in uno scenario operativo, nell’ambito della condotta di Operazioni Multi-Dominio, quanto nel caso di sistemi posti a continua sorveglianza e protezione di un’infrastruttura critica statica.
Conclusione
Dallo scenario descritto emerge dunque come la progettazione e lo sviluppo di sistemi unmanned a livello marittimo stiano ricevendo un’attenzione sempre maggiore da parte delle Forze navali di diversi paesi, con gli Stati Uniti, come spesso accade, in prima linea nello sperimentare nuove tecnologie e piattaforme. Se fino a oggi il focus degli sforzi di ricerca e sviluppo è stato posto prevalentemente su sistemi di piccole dimensioni, in futuro l’attenzione si volgerà sempre più verso la progettazione e realizzazione di piattaforme più grandi e complesse, in grado di svolgere sia il ruolo di «sensori», al fine di incrementare la maritime situational awareness in una determinata area, sia il ruolo di «attuatori», partecipando in maniera attiva a operazioni navali complesse, ad alta intensità, e integrandosi con le unità navali tradizionali con equipaggio a bordo. La strada verso una flotta del futuro «ibrida», composta sia da assetti manned che unmanned, è ancora lunga; tuttavia, le premesse, a livello tecnologico, operativo e dottrinale, sembrano essere promettenti. 8
NOTE
(1) NATO, Maritime Unmanned Systems, 2019, 20190909_190909-NMUS.pdf (nato.int). (2) M. Eckstein, US Navy nears decisions on new small, medium underwater drones, Defense News, 12 agosto 2021, US Navy nears decisions on new small, medium underwater drones (defensenews.com). (3) N. Musumeci, Russian foreign minister says Russia’s war with Ukraine is «meant to put an end» to US world domination and NATO expansion, Business Insider, 11 aprile 2022, Russian Foreign Minister: Ukraine War Meant to Stop US Domination (businessinsider.com). (4) China’s National Defense in the New Era, rilasciato da The State Council Information Office of the People’s Republic of China, 2019, . (5) Organisation for Economic Co-operation and Development, OECD, Ocean shipping and shipbuilding - OECD. (6) Audizione ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, 10 marzo 2022, evento | WebTV (camera.it). (7) E. Lundquist, DMO is Navy’s Operational Approach to Winning the High-End Fight at Sea, Seapower Magazine, 2 febbraio 2021, DMO is Navy’s Operational Approach to Winning the High-End Fight at Sea - Seapower (seapowermagazine.org). (8) B. Rosenberg, Distributed Maritime Operations: Dispersing The Fleet For Survivability And Lethality, Breaking defense, 15 settembre 2021, Distributed Maritime Operations: Dispersing The Fleet For Survivability And Lethality - Breaking Defense. (9) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 2. (10) R. O’Rourke, Defense Primer: Naval Forces, Congressional Research Service, 21 aprile 2022, IF10486 (congress.gov), pag. 2. (11) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 3. (12) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (13) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (14) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 8. (15) S. LaGrone e M. Shelbourne, CNO Gilday: We Need a Naval Force of Over 500 Ships, USNI News, 18 febbraio 2022, CNO Gilday: ‘We Need a Naval Force of Over 500 Ships’ - USNI News. (16) R. O’Rourke, Defense Primer: Naval Forces, Congressional Research Service, 21 aprile 2022, IF10486 (congress.gov), pag. 2. (17) F. Bahtic, Chinese Navy is the largest navy in world, new report shows, Naval Today, 5 novembre 2021, Chinese Navy is the largest navy in world, new report shows - Naval Today. (18) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 5. (19) United States Government Accountability Office, DEFENSE ACQUISITIONS - Assessments of Selected Weapon Programs, marzo 2015, GAO-15-342SP, DEFENSE ACQUISITIONS: Assessments of Selected Weapon Programs, pag. 81. (20) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 21. (21) R. O’Rourke, Navy Force Structure and Shipbuilding Plans: Background and Issues for Congress, Congressional Research Service, 20 aprile 2022, RL32665 (congress.gov), pag. 19. (22) US Naval Force Central Command, U.S. 5th Fleet Launches New Task Force to Integrate Unmanned Systems, 9 settembre 2021, U.S. 5th Fleet Launches New Task Force to Integrate Unmanned Systems > U.S. Naval Forces Central Command > Display (navy.mil). (23) NATO, Maritime Unmanned Systems, Factsheet, febbraio 2022, 2102-factsheet-mus.pdf (nato.int). (24) NATO, NATO tests unmanned vehicles at exercise REP(MUS) 21, 24 settembre 2021, NATO Multimedia - NATO tests unmanned vehicles at exercise REP(MUS) 21.