Rivista Marittima

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SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €

* RIVISTA MARITTIMA *

FEBBRAIO 2019 - Anno CLII

FEBBRAIO 2019

RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

PORTAEREI: 30 ANNI DI STORIA Placido Torresi, Giuseppe Lertora, Pier Paolo Ramoino


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Sommario PRIMO PIANO

STORIA E CULTURA MILITARE

Placido Torresi

76 Il prezzo del passato

6 L’Aviazione Navale oggi

Giosuè Allegrini-Enrico Cernuschi

22 L’Aviazione aerea imbarcata compie 30 anni Giuseppe Lertora

36 Portaerei e potere marittimo Pier Paolo Ramoino

92

La battaglia aeronavale per l’opinione pubblica italiana (1945-1989)

Andrea Tirondola

PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

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Le ali della Marina e la lunga traversata

Michele Cosentino

RUBRICHE

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Il giorno delle light carrier

Giuliano Da Frè

Rivista Marittima Febbraio 2019

98 102 108 120 122 126

Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Marine mercantili Nautica da diporto Che cosa scrivono gli altri

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

EDITORE

UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel. +39 06 36807248-54 Fax +39 06 36807249 rivistamarittima@marina.difesa.it www.marina.difesa.it/conosciamoci/editoria/marivista/Pagine/default.aspx

DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza

CAPO REDATTORE Capitano di fregata Diego Serrani

REDAZIONE Raffaella Angelino Gianlorenzo Pesola

SEGRETERIA DI REDAZIONE

IN COPERTINA: nave CAVOUR, la portaerei della Marina Militare, in navigazione.

Massimo De Rosa Gaetano Lanzo

UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI Carmelo Sciortino Giovanni Bontade

FEBBRAIO 2019 - anno CLII

Tel. + 39 06 36807251/48 rivista.abbonamenti@marina.difesa.it

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Contrammiraglio Placido Torresi Ammiraglio di squadra (ris) Giuseppe Lertora Contrammiraglio (ris) Pier Paolo Ramoino Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Dottor Giuliano Da Frè Capitano di vascello Giosuè Allegrini Dottor Enrico Cernuschi Dottor Andrea Tirondola Ambasciatore Roberto Nigido, Ambasciatore Gianfranco Verderame, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Ammiraglio Ispettore (aus) Pietro Verna Tenente di vascello Eugenio Tatulli Contrammiraglio (ris) Stéphan Jules Buchet Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante

Codice fiscale: 80234970582 Partita IVA: 02135411003

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E ditoriale

E

sattamente trent’anni orsono, con la Legge 1o febbraio 1989, n. 36: «Utilizzo da parte della Marina militare di aerei imbarcati», veniva sancita la possibilità per la Marina Militare di utilizzare una componente aerea ad ala fissa a bordo di navi militari, con velivoli organici alla Forza Armata. Una data importantissima nella storia della Forza Armata e in particolare della sua Aviazione Navale che ha visto i suoi natali nel lontano 1913, allorquando il Grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel istituì il «Servizio Aeronautico della Regia Marina». Il 1989 segna il raggiungimento di una tappa fondamentale per il Paese, attuativa di un pensiero strategico aeronavale nazionale che, nato agli albori della Grande Guerra, era «affondato» nel 1923, con la costituzione della Regia Aeronautica. Le note vicissitudini della guerra sul mare durante il Secondo conflitto mondiale avevano dolorosamente evidenziato la necessità strategica della portaerei per la protezione delle Forze da Battaglia e per la proiezione di forza in profondità. I frettolosi e infruttuosi piani, guerra durante, di trasformazione di unità mercantili e passeggeri in unità portaerei, si erano scontrati in principio con visioni spesso contrastanti e, di conseguenza, con la dura realtà della strategia dei mezzi, aerei e navali che, ora come allora, confermano nelle funzioni tempo e programmazione strutturata, variabili non comprimibili e logiche di pianificazione assolutamente ineludibili. Solo nel secondo dopoguerra la Marina ha potuto nuovamente dotarsi di un’aviazione navale, dapprima di soli elicotteri, con un approccio davvero antesignano nel loro impiego anche da Unità Navali minori. Al riguardo, il periodo che va dal 1960 al 1975 è sicuramente uno dei più interessanti da un punto di vista dell’evoluzione tecnologica e dottrinale. Con l’entrata in servizio dell’incrociatore Vittorio Veneto e delle due fregate portaelicotteri classe «Alpino», oltre a quattro corvette e due sommergibili, si sviluppava una concezione di impiego delle Forze che vedeva soprattutto nell’elicottero imbarcato uno strumento adeguato e dotato di una notevole flessibilità per le operazioni antisommergibile e nei missili degli incrociatori, unitamente allo sviluppo innovativo di cannoni a tiro rapido, importanti elementi di una valida strategia marittima nazionale per assicurare un certo grado di «sea control» nazionale anche in rapporto ai ruoli richiesti a supporto dell’Alleanza. Una scelta credibile e sostenibile nell’ambito dello scenario strategico dell’epoca, che vedeva la presenza consistente della Squadra Navale e di sommergibili sovietici in Mediterraneo. È a partire dalla fine degli anni Settanta, grazie agli effetti della Legge Navale 1975, che la Marina oltre a garantire la propria sopravvivenza cambia decisamente passo operativo con l’acquisizione progressiva, tra gli altri mezzi, di Fregate da 2.500/3.000 tonnellate con forte armamento antinave e antisom (classe «Lupo» e poi «Maestrale»), Caccia da 5.500 tonnellate per la difesa antiaerea e le operazioni a lungo raggio (classe «De La Penne»), un’altra nave per operazioni anfibie (San Giusto) e, soprattutto, di un Incrociatore Portaelicotteri a ponte continuo di 13.800 tonnellate (nave Giuseppe Garibaldi). Da quel preciso momento lo scenario di impiego per le Forze della Marina si allarga e la strategia marittima nazionale, oltre a un maggior grado di «sea control», prevede di cominciare a effettuare operazioni di «naval presence» mentre si delineano i contorni operativi delle future operazioni di «power projection ashore». La fine della Guerra Fredda, che non a caso coincide con la tappa fondamentale della citata Legge 1o febbraio 1989, modificando lo scenario complessivo, ha comportato infine un naturale e ulteriore ripensamento d’impiego strategico di tutte le Forze Armate delle nazioni. La Marina SEGUE A PAGINA 4

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Militare, si è trovata pronta a rispondere a queste nuove sfide grazie soprattutto alla disponibilità di una portaeromobili e di una componente aerea organica alla Forza Armata (Gruppo degli Aerei Imbarcati, GRUPAER, con velivoli AV-8B di caratteristiche STOVL — profilo di volo a decollo corto e atterraggio verticale). Un cambio di passo portato avanti con successo grazie alla lungimiranza e alla tenacia dei vertici della Marina del tempo, grazie alle capacità tecniche e dottrinali d’impiego, a una consolidata tradizione di Aviazione Navale e, soprattutto, grazie alla grande professionalità di tutto il personale della Forza Armata. Tutto ciò ha infine portato all’agognato traguardo di disporre di una portaerei STOVL, nave Cavour, commissionata nel 2000 ed entrata a far parte della Squadra Navale nel 2009. Gli articoli all’interno forniscono un quadro preciso e aggiornato sul significato attuale e sulla valenza strategica di tale strumento. Possiamo però asserire con serena certezza che a partire dagli anni Novanta e fino ai nostri giorni, è stato possibile esprimere sempre più quella strategia marittima «in avanti e in anticipo», dal mare e sul mare, che ha visto le unità della Marina impegnate in attività a 360° gradi di «sea control», attraverso la «naval presence», la «naval diplomacy», le operazioni di «power projection ashore» anche in contesti joint e nell’ambito di Forze multinazionali. Un ruolo cioè, per la Marina, sempre più abilitante, ovvero naturale «protettrice» di quelle «blue water» che nel XXI secolo, il secolo della «blue economy», costituiscono l’elemento vitale e fondamentale per la prosperità della nazione. Possiamo citare, per esempio, tra le recenti operazioni, quelle di «power projection ashore» condotte in Afghanistan e in Libia, oppure la missione di «Naval Diplomacy», nel senso più ampio del termine, svolta dal 30° Gruppo Navale, imperniato sulla portaerei Cavour, svolta tra il 2013 e il 2014. Una campagna navale lunga cinque mesi e denominata «Il sistema Paese in movimento», che ha interessato i principali Paesi del Golfo Persico e del continente africano. L’ultimo e sorprendente salto epocale è rappresentato dalla recente acquisizione degli F-35 STOVL che andranno a sostituire gli AV-8B a bordo di nave Cavour. Al riguardo, proprio in questo mese di febbraio, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Enzo Vecciarelli, ha evidenziato, in audizione, davanti alle Commissioni Difesa congiunte, come l’F-35 non sia semplicemente un vettore d’arma fine a se stesso. Le sue potenzialità rivelate nel corso del suo recente impiego in ambito Difesa, hanno significativamente evidenziato come esso rappresenti effettivamente una «rivoluzione politico militare». Trattandosi di un assetto strategico di quinta generazione (l’Eurofighter è, per esempio, una macchina di quarta generazione) non è da intendersi, come nel passato, quale puro e semplice velivolo da combattimento quanto, piuttosto, un vettore strategicamente abilitante che permetterà a chi lo possiede e lo può impiegare di far parte di quel gruppo ristretto di Paesi che guideranno le azioni o comunque le decisioni internazionali future. Non averlo, significherà automaticamente esserne esclusi. L’F-35 è da considerarsi una rivoluzione di sistema, un «game changer» che permetterà, a parità di costi con altrettante macchine di similari caratteristiche sotto il profilo militare, di avere dei benefici soprattutto nel settore dell’«Information Superiority». Tutto ciò garantirà il vero salto di qualità attraverso una spinta capacità di gestione delle informazioni, permettendo l’accesso nel ristretto gruppo di coloro che potranno scambiarle e gestirle nelle operazioni del futuro. Proprio per questo il Capo di Stato Maggiore della Difesa ha inoltre sottolineato come sia necessario che l’F-35 sostituisca gli aerei dell’Aeronautica Militare e anche quelli della Marina imbarcati sulla portaerei. Riferendosi proprio alla portaerei ha, infine, ribadito come essa sia un assetto strategico che, con sacrificio, è stato acquisito dalla nazione e che deve essere mantenuto per la grande potenzialità che dà e darà a quelle che vorranno essere le azioni di stabilizzazione e di proiezione del Paese. Pertanto, in prospettiva, gli F-35 della Marina, imbarcati, saranno indispensabili. La dotazione del nuovo velivolo alla Marina, nel contesto più ampio ancora in corso dell’ammodernamento dei mezzi della F.A., consentirà dunque di dare la giusta continuità al principio della precitata legge del 1989 «nell’integrazione della difesa della Flotta» e, nel contempo, a sostanziare ulteriormente «la Storia» dell’Aviazione Navale secondo la straordinaria visione strategica fortemente propugnata dal Grande Ammiraglio Thaon di Revel. E ciò garantisce, in modo pragmatico, la disponibilità di una forza multiruolo aerotattica allo stato dell’arte imbarcata sulla portaerei, ma anche sotto un profilo strategico un sensibile valore aggiunto connesso con le capacità sistemiche e prestazionali di quel velivolo per la fusione e gestione delle «information» negli scenari di crisi: un assetto di pregio della Marina, integrabile, proiettabile e flessibile che sostanzia un eccellente incremento delle potenzialità della Difesa, a tutela della sicurezza e dell’interesse nazionale del nostro Paese. Lunga vita Aviazione Navale! DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima


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PRIMO PIANO

L’Aviazione Navale oggi Placido Torresi (*)

Utilizzo da parte della Marina Militare di aerei imbarcati Descrivere oggi l’Aviazione Navale italiana non può prescindere dal ricordare una data particolarmente significativa per la Marina Militare, di cui quest’anno ricorre il 30o anniversario: il 1o febbraio 1989, infatti, è stata approvata la legge dello Stato no 36 in virtù della quale la Forza Armata, per integrare la capacità di difesa della proprie unità navali, ha potuto

dotarsi di aerei ad ala fissa (AV-8B Plus, Harrier II), da imbarcare inizialmente su nave Garibaldi e, negli anni a seguire, anche su nave Cavour. Il 23 agosto 1991, i primi due aerei, gestiti esclusivamente da personale della Marina Militare (piloti e specialisti), sono appontati per la prima volta a bordo di nave Garibaldi segnando una tappa memorabile nella storia leggendaria dell’Aviazione Navale italiana. Vale la pena ricordare, infatti, che l’impiego del cielo per soddisfare le esigenze operative della Marina Militare ha radici lontanissime e risale agli inizi dello scorso

(*) Dal 2017 a Capo del 6°o Reparto Aeromobili dello Stato Maggiore e Comandante delle Forze Aeree della Marina Militare. Ha conseguito il brevetto di pilota militare presso le scuole di volo US Navy nel 1992 e, successivamente, ha effettuato la transizione sugli elicotteri SH-3D, cui hanno fatto seguito diverse destinazioni operative, a terra e a bordo, presso i Reparti Aerei della Forza Armata. Ha comandato, fra lÊaltro, il pattugliatore Spica, la fregata Zeffiro, la portaerei Garibaldi, la Stazione Aeromobili di Grottaglie e la Prima Divisione Navale. Nella sua carriera ha superato i dieci anni dÊimbarco sulle unità della Squadra Navale e ha maturato più di 1.600 ore di volo su aerei T-34 e T-44 e su elicotteri TH-57, SH-3D e SH-90A.

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il primo F35-B della Marina Militare in trasferimento alla Naval Air Station di Patuxent River, Maryland (Stati Uniti) per il conseguimento della certificazione Electromagnetic Environmental Effects. In basso a destra: il brevetto di pilota di aeroplano a livello nazionale n. 1 assegnato, il 10 maggio 1910, al Tenente di Vascello Mario Calderara.

mentazione e l’uso degli aerei in grado di decollare e atterrare sulla superficie del mare (idroplani). In questa fase pionieristica, figura di spicco fu il Sottotenente di Vascello Mario Calderara che, fra il 1906 e il 1907, ideò e costruì, presso l’Arsenale Militare Marittimo della Spezia, un «idroveleggiatore», ossia un vero e proprio «idroaliante», con il quale compì una serie di prove sperimentali facendosi rimorchiare dal cacciatorpediniere Lanciere, per ottenere la necessaria velocità per alzarsi in volo e quindi ammarare dopo aver sganciato il cavo di rimorchio. In seguito, nel 1909, Calderara prese alcune lezioni di volo da Wilbur Wright, in visita in Italia, conseguendo il primo brevetto di pilota di aeroplano a livello nazionale che gli fu in seguito assegnato formalmente il 10 maggio 1910, anno in cui ottenne il Comando della prima scuola di volo italiana ubicata nell’aeroporto romano di Centocelle. Sempre in quegli anni, sotto il profilo organizzativo, la Marina creò nell’aprile del 1907 un «Ufficio Aeronautica» all’interno della Sezione Trasporti del 3o Reparto del Ministero della Marina, con il compito di occuparsi delle questioni aeronautiche e dei relativi

secolo, con i primi studi sull’impiego dei mezzi aerei in campo marittimo, stimolati da quella che ancora oggi rimane un’esigenza vitale per tutte le Marine Militari: estendere la capacità di scoperta delle navi per individuare in anticipo le eventuali minacce e aumentare il raggio di azione degli armamenti. Il mezzo aereo ha ufficialmente iniziato la sua «carriera» nella Marina Militare negli anni immediatamente precedenti il Primo conflitto mondiale, allorché alcuni illuminati Ufficiali della Regia Marina cominciarono a interessarsi alle prime interazioni tra le unità navali e i mezzi aerei, dapprima con i palloni frenati, successivamente con le aeronavi (dirigibili) e infine con la speri-

studi, mentre nel 1913, grazie a una lungimirante visione strategica — innovativa per quel tempo — il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel istituì il «Servizio Aeronautico della Regia Marina» che sancì quindi, in modo ufficiale, la nascita dell’Aviazione Navale italiana. La spinta impellente e onnipresente di integrare con

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PRIMO PIANO

L’Aviazione aerea imbarcata compie 30 anni Giuseppe Lertora (*)

(*) Ammiraglio di Squadra (ris). Dal 12 dicembre 2006 al 28 aprile 2009 ha ricoperto la carica di Comandante in Capo della Squadra Navale, e per quasi due anni, quella di Comandante della Forza Marittima Europea (EUROMARFOR) in UNIFIL, durante la crisi libanese. Precedentemente, da dicembre 2005 a dicembre 2006, è stato Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno, e nel periodo aprile-ottobre 2004, il Senior National Representative Italiano presso USCENTCOM (Tampa, Florida), per le Operazioni Enduring Freedom e Iraqi Freedom. Comandante dellÊAccademia Navale, per un triennio, a cavallo del millennio; in precedenza ha svolto lÊincarico di Capo Reparto Aeromobili della Marina Militare per oltre un lustro, gestendo i programmi internazionali relativi ai velivoli AV-8B, quello dellÊelicottero EH-101, ed NH-90. Ha comandato fra lÊaltro la Fregata Maestrale e il Cacciatorpediniere Francesco Mimbelli e, in quanto Pilota di Marina, è stato responsabile di diverse componenti di volo imbarcate.

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l 1o Febbraio del 2019 si festeggiano i 30 anni dall’approvazione della Legge n° 36 del 1o febbraio 1989 che, dopo una lunga attesa, legittimava la Marina Militare nel costituire una propria Aviazione imbarcata per «integrare le capacità di difesa delle proprie Unità Navali» quale naturale evoluzione della Legge Navale De Giorgi del 1975 che prevedeva giustamente, fra l’altro, di realizzare una Portaerei, o come si chiamava allora, un «Incrociatore tuttoponte», con la disponibilità organica sia di elicotteri che, in futuro, anche auspicabilmente di una Componente aerea imbarcata ad ala fissa. Un combinato armonioso che rispondeva a ineludibili esigenze storiche, di buon senso logico e operativo, più che a una strategia posta in essere dai Capi della Marina per soddisfare quel «vuoto operativo» aeronavale riscontrato negli ultimi decenni e pagato a caro prezzo nel corso, soprattutto, del Secondo conflitto mondiale. La nascita del Gruppo degli Aerei Imbarcati, GRUPAER, con velivoli AV-8B di caratteristiche STOVL, con profilo di volo a decollo corto e atterraggio verticale, destinati a operare prima dal Garibaldi e poi dal Cavour, ha soddisfatto appieno quell’esigenza colmando quel vuoto penalizzante e perfino pericoloso durato per decenni che aveva di fatto privato la Marina e il Comandante in Mare di poter contare sul valore aggiunto ed essenziale

I

di velivoli disponibili in loco: quel Gruppo di volo ha ampiamente dimostrato sul campo, in questi trenta anni, di essere all’altezza delle diverse situazioni nelle missioni più disparate a cui ha sempre attivamente partecipato. Oggi si celebra con la solita sobrietà, quasi sottotraccia, ma anche con evidente orgoglio, una Componente relativamente giovane e contenuta che si è guadagnata i «galloni» in volo, dimostrando una concreta maturità e una straordinaria efficienza operativa, entrambe incomparabili anche rispetto a realtà analoghe più ampie e più antiche. Trent’anni rappresentano un traguardo certamente importante, soprattutto quando si parte da zero, con scarse risorse e pochi uomini, ma con uno straordinario entusiasmo e una motivazione eccezionale; passo dopo passo, sorretti da una grande professionalità e rara pervicacia, i nostri marinai sono riusciti a strutturare una Componente innovativa capace di conseguire indiscussi e invidiati risultati, sostanziando una vera componente aerotattica nazionale, con capacità davvero multiruolo nel campo aeronavale. Trent’anni ma non li dimostra perché fatto di individui giovani, dinamici e pieni di passioni e dedizione che solo quei «Marinai del Cielo» hanno nel loro DNA; forse il motivo di quella straordinaria efficacia e del suo prodigioso sviluppo vanno ricercati anche nella rotta già tracciata dai nostri predecessori e nelle radici della tradizione aviatoria

AV-8B in fase di decollo.

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PRIMO PIANO

PORTAEREI e potere marittimo Pier Paolo Ramoino (*)

(*) Contrammiraglio in riserva, è Vice Presidente del Centro Universitario di Studi Strategici e Internazionali dellÊUniversità di Firenze, Docente di Studi Strategici presso lÊAccademia Navale di Livorno e cultore della materia presso la Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali dellÊUniversità Cattolica del S. Cuore a Milano. Dal dicembre 1996 allÊagosto 1999 ha comandato, con il grado di contrammiraglio, lÊIstituto di Guerra Marittima.

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La portaerei italiana CAVOUR.

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o strumento strategico di eccellenza per le Marine è certamente la nave «portaerei» nelle sue varie varianti, che la tecnologia moderna è riuscita a produrre nel XX secolo. Su questa stessa Rivista quasi dieci anni fa provai a sintetizzare la funzione fondamentale di questo tipo di unità per l’esercizio del Potere Marittimo (1), ma ritengo opportuno ritornare su tale argomento poiché in questi ultimi anni l’interesse sviluppato in Occidente per l’entrata in servizio di grandi unità con ponte di volo continuo in India, in Cina, in Corea del Sud e in Giappone, hanno confermato la volontà

delle nazioni, in cerca di un’affermazione marittima sempre più significativa, di sviluppare un’Aviazione Navale in grado di operare ben lontano dalle proprie coste nazionali e quindi necessitante di piattaforme appositamente progettate. Da oltre cinquant’anni praticamente tutte le unità maggiori (caccia, fregate, grosse corvette, rifornitori di squadra) in servizio nelle principali Marine sono dotate di un ampio ponte di volo poppiero per elicotteri, che spesso trovano riparo in hangar dotati di tutte le attrezzature per la loro manutenzione. Questi elicotteri sempre più grandi e dotati di ampia autonomia son diventati importanti «sistemi di arma» non solo per le operazioni ASW, ma anche per quelle ASuW e per la guerra elettronica. Dagli anni Settanta però lo sviluppo tecnologico di capaci velivoli a decollo corto (STOVL) ha permesso a molte Forze Navali di dotarsi di un nuovo tipo di portaerei con la possibilità di svolgere non solo missioni di sea control, ma anche di power projection ashore.

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Le ALI della Marina e la lunga traversata Michele Cosentino (*) l 30o anniversario dell’approvazione della legge che ha permesso alla Marina Militare di dotarsi di una propria forza aerea ad ala fissa rappresenta uno spunto non casuale per analizzare come si sia arrivati a quest’importante obiettivo, anche in una retrospettiva che tiene conto delle basi di partenza. Per fare ciò, è necessario compiere un salto indietro nel tempo, senza tuttavia spingersi all’epoca delle infauste e miopi decisioni maturate nei decenni precedenti il Secondo conflitto mondiale, ma partendo da quello che è accaduto all’indomani della sua conclusione. È altresì essenziale ricordare che queste note non si limitano a un’analisi storica, politica e operativa, ma accennano anche alle prospettive dell’Aviazione Navale italiana nel XXI secolo.

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Dalla tragedia bellica ai «Gabbiani» americani Quando le ostilità cessarono sul continente europeo (maggio 1945), l’Italia e il suo popolo si trovavano in condizioni precarie se non tragiche; uno scenario riflesso anche nelle Forze Armate e nelle relative infrastrutture e del quale la Marina faceva parte. Ciò non aveva però impedito che già durante la cobelligeranza si desse il via a un percorso intellettuale comprendente pure una ricerca della soluzione per quello che rima(*) Contrammiraglio in riserva, ha completato lÊAccademia Navale nel 1978 e si è laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso lÊUniversità di Napoli. Dal 1987 collabora con la Rivista Marittima e con diverse case editrici italiane e straniere ed è autore di numerosi libri, saggi e articoli.

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Esercitazione di assalto anfibio dall’aria, tramite un elicottero AW-101 della Marina Militare. Capacità e prestazioni di quest’aeromobile ne evidenziano la versatilità d’impiego.

neva il grave problema aeronavale italiano. Nel 1945, le idee sui concetti d’impiego di un’aviazione imbarcata si rifacevano alle non molte informazioni, di fonte anglo-americana, relative alle operazioni aeronavali condotte in tutti i mari del mondo. Di questo percorso intellettuale faceva parte anche il ritrovamento di tutta la documentazione programmatica e progettuale prodotta dagli enti pubblici e privati coinvolti nella costruzione della portaerei Aquila, un ambito che indusse la Marina a tentare un arricchimento del proprio bagaglio di nozioni sfruttando dettagli tecnico-operativi attraverso i quali si sarebbe potuta trovare una soluzione affidabile ai problemi riguardanti le sistemazioni aeronautiche per una possibile portaerei italiana. A livello tecnico-operativo le idee in circolazione riguardavano la conversione di alcune petroliere allora moderne in portaerei di scorta, una soluzione relativamente semplice che però non si soffermava su una questione centrale come quella della gestione dei velivoli imbarcati. In ogni caso e nonostante il trauma provocato dal cambiamento istituzionale del Paese, nel 1946 la Marina — diventata Militare — aveva pronto un elenco di 11 navi cisterna ritenute idonee e in buone condizioni per la trasformazione in portaerei di scorta: tre di esse (Punta Vagno, Ombrina e Giacomo Matteotti) erano addirittura in costruzione e delle rimanenti, tre erano ancora noleggiate alle forze militari alleate (Sergio Laghi, Illiria e Lavoro) e una era in via di recupero, mentre le altre erano già disponibili. In prospettiva e nonostante le indubbie incognite, si pensava — forse con eccessivo ottimismo — che

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Il giorno delle LIGHT CARRIER Come le portaerei inglesi progettate nel 1942 «colonizzarono» le flotte di tutto il mondo sino alla radiazione dell’ex Hermes nel 2017 Giuliano Da Frè (*)

Troppe navi Alla fine del 1945, le flotte delle due maggiori potenze navali vincitrici, la United States Navy, e la Royal Navy, schieravano un’imponente massa di unità moderne, che copriva tutte le categorie di naviglio che ormai formavano una ben articolata Blue Water Navy. Se le corazzate e gli incrociatori pesanti erano navi destinate a scomparire in tempi rapidi, e quasi completamente, dagli Almanacchi navali, incrociatori leggeri, cacciatorpediniere, fregate e corvette antisom, sommergibili, navi anfibie e da supporto logistico divennero gli imprescindibili assetti delle moderne flotte da guerra. Dopo il 1945, Washington e Londra sostanzialmente attuarono una sorta di triage navale, tra migliaia di unità che la guerra lasciava loro in eredità. Le navi

(*) Giornalista classe 1969, dal 1996 collabora con varie testate specializzate nel settore militare tra cui RID · Rivista Italiana Difesa, Focus Wars e Rivista Marittima. Dal 2002 analista navale per i web magazine Analisi Difesa e Portale Difesa, ha scritto circa 300 articoli dedicati soprattutto alla storia militare, ai conflitti internazionali e allo sviluppo delle forze armate di tutto il mondo. Con Odoya ha pubblicato La marina tedesca 1939-45 (2013) e Storia delle Battaglie sul mare (2014), cui è seguito nel 2015, per la Newton Compton, Le grandi battaglie della Prima guerra mondiale e nel 2016 I grandi condottieri del mare.

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migliori, le più efficienti e valide, restarono in servizio, e dopo il 1950 si iniziò anzi a investire per mantenerle operative, a volte sino agli anni Ottanta. Quelle più vecchie o uscite malconce dal servizio furono radiate. Molte finirono in naftalina, anche se col crescere delle tensioni con l’Unione Sovietica furono ben presto riattivate. Altre, a decine, furono cedute a paesi alleati o amici, modernizzando in un colpo flotte che a volte navigavano ancora con navi della Grande Guerra, o disponevano di modeste unità costiere. Un problema a parte lo creavano le portaerei. Tra il 1941 e il 1945 si era provveduto a trasformare più di 150 mercantili in piccole escort carriers (portaerei di scorta), che dal 1946 si provvide a riportare allo status originario. Per le portaerei di squadra o leggere, il discorso era diverso. Nella US Navy, delle 7 portaerei in servizio nel 1941, erano sopravvissute ai primi terribili mesi di guerra nel Pacifico solamente la vecchia Saratoga e la piccola Ranger, entrambe radiate già nel 1946, mentre la protagonista assoluta del primo anno di guerra, l’Enterprise, spesso unica risorsa aeronavale di Nimitz sino all’inizio del 1943, più volte danneggiata e ormai logorata dal servizio (benché consegnata nel 1938), fu disarmata nel 1947, e demolita nel 1960. Le nuove classi di portaerei di squadra «Essex» (24 unità costruite tra il 1941 e il 1950) e leggere «Independence» (9, di cui una perduta nel 1944, completate entro il

1943), avrebbero formato per anni l’ossatura della US Navy (1). Gli esemplari rimasti incompleti sugli scali furono smantellati, e delle portaerei leggere solo 3 furono trasferite ad altri paesi: 2 alla Francia, nel 19511953, e una alla Spagna (1967). La Royal Navy, che non dimentichiamolo era anche punto di riferimento per le flotte del Commonwealth (australiana, neozelandese e canadese, poi seguite dalle Marine dei paesi divenuti indipendenti dopo il 1945, in testa India e Pakistan), si trovò invece in una situazione diversa: stretta tra la dura realtà di non essere più la dominatrice dei mari, con molte navi quasi nuove uscite logorate dal conflitto, e i fondi di bilancio presto tagliati brutalmente da un governo laburista (giustamente) deciso a ripagare i sacrifici del popolo britannico con costose riforme sociali. D’altra parte, ciò che restava della «grande flotta» assicurava a Londra ancora un relativamente adeguato ruolo di potenza globale, che andava a ogni costo finanziato e mantenuto. Senza contare che la nuova era del jet (testato proprio su un’unità inglese alla fine del 1945), avrebbe presto imposto alle portaerei radicali —e costose — modifiche, mentre le navi scorta dovevano adeguare le capacità antiaeree con radar più prestanti e a grande raggio d’azione, e cannoni automatici radar asserviti, e dopo il 1955 da sistemi missilistici. Delle portaerei sopravvissute al conflitto, radiate le più vecchie e malconce, restavano in linea le 4 «Illu-

La portaerei inglese GLORY, costruita nel 1942-1945, classe «Colussus», rimase in servizio sino al 1956 (Fonte: wikipedia.it).

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STORIA E CULTURA MILITARE

Il prezzo del passato Regia Nave Portaerei Aquila: quello che non si sapeva

Giosuè Allegrini (*) - Enrico Cernuschi (**)

(*) Capitano di Vascello del Genio Navale, sommergibilista, storico e critico dÊarte moderna e contemporanea. Attualmente ricopre lÊincarico di Capo Ufficio Storico della Marina Militare. Ha frequentato lÊAccademia Navale di Livorno conseguendo la Laurea in Ingegneria Navale Meccanica presso lÊUniversità degli Studi di Genova. Ha ricoperto molteplici incarichi di Forza Armata fra cui: Direttore di Macchina del Sommergibile Nazario Sauro, Direttore di Macchina della Fregata Grecale, Vicedirettore dellÊUfficio Tecnico Navale di Genova e Capo Sezione presso il 1o° Reparto della Direzione degli Armamenti Navali. Nel 2014 la Città di Milano gli ha conferito il Premio Stella al Merito Sociale per meriti storico-culturali. (**) Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia sulle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti Gran pavese (Premio Marincovich 2012), ULTRA - La fine di un mito, Black Phoenix (con Vincent P. OÊHara), Navi e Quattrini (2013), Battaglie sconosciute (2014), Malta 1940-1943 (2015), Quando tuonano i grossi calibri. Gli italiani dellÊInvincibile Armata (2016), Il Potere Marittimo nellÊambito mondiale e Sea Power the Italian Way, entrambi usciti nel 2017.

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Un’artist impression dell’architetto Franco Harrauer dedicata all’eventuale entrata in servizio, nella primavera 1940, del piroscafo ROMA trasformato in portaerei secondo le linee del Progetto Gagnotto del 1936. In volo due caccia Fabrizi F.5. In primo piano un incrociatore della classe «Garibaldi» nella versione oceanica dotata di motori Diesel ipotizzata nel 1935 (Collezione Cernuschi).

T

re metri cubici di documenti per una nave mai completata. A tanto ammonta, in puri termini di spazio, il patrimonio archivistico custodito a Roma dall’Ufficio Storico della Marina Militare in capo a quest’unità maggiore mancata. Quello che è paradossale è che si tratta di una massa di informazioni e di esperienze ancora intonsa, o quasi. La prova più evidente di questo stato di cose è evidenziata, come vedremo meglio e in dettaglio nelle pagine che

seguiranno, dal perpetuarsi, per oltre mezzo secolo, di nozioni imprecise circa questo bastimento e la sua storia. L’odierno trentennale dell’aviazione navale della Marina Militare ci fornisce l’occasione per ricordare certe lezioni del passato (pagate, per di più, a ben caro prezzo) ancora oggi attualissime e degne di memoria proprio per non ricadere, quod Deus avertat, in certi errori di prospettiva e, più in generale, di politica militare.

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STORIA E CULTURA MILITARE

La battaglia aeronavale per l’opinione pubblica (1945-1989) Andrea Tirondola (*)

(*) Nato nel 1977 a Silandro (BZ), si è laureato in Giurisprudenza nellÊUniversità di Padova. Dal 2006 è avvocato cassazionista in Vicenza, in ambito civile, penale e amministrativo. Sottotenente di vascello (CM) di complemento, ha prestato servizio nel 2003 presso il Morosini di Venezia e nuovamente nel 2011 quale ufficiale sottordine ai corsi. Ha pubblicato Pale a prora! Storia della Scuola Navale Francesco Morosini, e in collaborazione con Enrico Cernuschi diversi volumi pubblicati dallÊUfficio Storico della Marina Militare o altri editori. Collabora con la Rivista Marittima per la quale ha curato il supplemento dedicato al centenario dellÊAviazione Navale, Storia Militare e lÊUfficio Storico della Marina Militare. ˚ presidente dellÊAssociazione Culturale Betasom.

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La battaglia aeronavale per l’opinione pubblica (1945-1989)

I

Per la fine degli anni Quaranta seguirono, oltre a nul dibattito in merito alla necessità che la Marina merosi articoli sulla Rivista Marittima e sul mensile italiana si dotasse di una propria aviazione navale, mondadoriano Tempo, a opera di ufficiali di Marina in sviluppatosi anche sulle pagine della Rivista Maservizio o in posizione ausiliaria, altri saggi in cui, semrittima nei vent’anni a cavallo tra le due guerre monpre alla luce dei recenti insegnamenti, si propugnava diali, riprese rinnovato vigore nel 1945 con la caduta la causa dell’aviazione navale: dal diffuso Che ha fatto definitiva del regime, i cui vertici avevano imposto sin la Marina? del comandante Marc’Antonio Bragadin dal 1923 alla Forza Armata la rinuncia a ogni ambiagli studi dell’ammiraglio Romeo Bernotti, il quale un zione in tal senso. Questa scelta, spacciata per dottriventennio prima, da Sottocapo di Stato Maggiore della nale, ma di natura, più che altro, ideologica e Marina, era stato inascoltato sostenitore di quella tesi, giornalistica, si era dimostrata fallimentare e fatale per notoriamente sgradita ai vertici politici del tempo. chi l’aveva propugnata o fatta propria oltre che, beninPer la fine del 1948 scoppiò poi, in poco casuale teso, per l’intera Nazione. Poiché i fatti d’arme del concoincidenza coi primi seri tentativi della Marina Miflitto mondiale avevano ampiamente dimostrato il litare di superare la legge Balbo, dato carattere fatale della mancanza di il manifesto favore statunitense in uno strumento aeronavale, non vista di una rapida revisione delle avrebbe dovuto esserci, in teoria, clausole militari del trattato di pace alcun problema, al di là del non animposto a Roma l’anno precedente, cora noto trattato di pace, rivelatosi la non ancora oggi del tutto sopita poalla fine infinitamente peggiore rilemica, politica e giornalistica, innespetto a quanto atteso, supposto o scata dalla pubblicazione, negli Stati promesso, ma come dice un proverUniti, delle memorie (tratte dal testo bio russo: i vecchi peccati fanno scritto da un ghostwriter subito ombre lunghe; e il dibattito (meglio, messo in bozza e che l’ammiraglio la pregiudiziale) sull’aeronavale itanon aveva rivisto) dell’allora Capo di liana ne avrebbe proiettata una lunStato Maggiore della Marina, l’Amghissima pari a quasi un ulteriore miraglio Franco Maugeri, col titolo mezzo secolo di pena aggiuntiva From the ashes of disgrace. Fatto senza condizionale, né circostanze bersaglio, a causa di alcuni passaggi attenuanti, generiche incluse. From the ashes of disgrace, il libro (dalla Già nel 1945 apparve nelle librerie controversa genesi) pubblicato nel 1948 negli del testo, di accuse di tradimento, Stati Uniti con la firma dell’Ammiraglio Maugeri un saggio, ancora oggi esemplare, e in seguito ritirato dal commercio. Nella pagina l’Ammiraglio Maugeri (oltretutto con l’incrociatore GARIBALDI (551) di dell’ammiraglio Oscar di Giamberar- accanto: controbordo all’incrociatore CAIO DUILIO (554). un passato di aviatore nella Grande Guerra) aveva ampiamente evidendino dal titolo La politica bellica ziato, in quel libro, i termini del dibattito prebellico nella tragedia nazionale, nel quale l’Autore, esamisull’aviazione navale, di cui era stato uno dei protanando serenamente e con razionalità le esperienze e gli gonisti, e i guasti causati dalla scelta, a freddo, di tarinsegnamenti della guerra appena terminata, rilevava pare per principio le ali alla Marina, con la non senza amarezza «noi soltanto abbiamo insistito conseguente necessità di rimediare pro futuro. con pervicacia degna di miglior causa nel mantenere L’intera vicenda, clamorosa all’epoca e molto pubnettamente separata l’aviazione che operava sul mare blicizzata determinando le immediate dimissioni di dalla Marina (…) Gli altri Stati che hanno creata l’AeMaugeri, puzza — vista in prospettiva — di zolfo. Il ronautica indipendente, hanno lasciato alla Marina la ghostwriter anglosassone scomparve; l’originaria casa propria aviazione, in modo da non separare con taglio editrice del libro pure. L’editore subentrato subito chirurgico l’avvenire della guerra in mare da ciò che prima della stampa del volume cambiò indirizzo nelpuò avviarsi a diventare solo passato».

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RUBRICHE

Osservatorio internazionale

AFRICOM: verso una riduzione

Il generale dei marines Thomas Waldhauser, responsabile del Comando per l’Africa delle Forze Armate degli Stati Uniti (AFRICOM), in occasione della MSC (Munchen Security Conference), l’antica Wehrkundetagung and Münchner Konferenz für Sicherheitspolitik, in essere dal 1963 al 2011, chiamata solo «Werrkunde», la maggiore kermesse accademico-politica mondiale sui temi della difesa e sicurezza, ha reso noto che è iniziata la riduzione fino al 10% delle sue forze dal continente africano in risposta alle crescenti sfide alla sicurezza nazionale in altri scenari. Ci sono circa 6.000 soldati statunitensi (in buona parte appartenenti ai reparti speciali delle quattro Forze Armate) e 1.000 civili del Dipartimento della Difesa o contractors con basi in tutta l’Africa, che hanno principalmente il compito di addestrarsi ed esercitarsi con le forze africane partners, rafforzandone le capacità militari e con un occhio alla soppressione e contrasto, non solo militare, del terrorismo islamico. Per chi segue le vicende, spesso contraddittorie, dell’apparato difensivo statunitense, la notizia non è del tutto inaspettata. Infatti, l’AFRICOM, il comando operativo di scacchiere regionale più recentemente istituito dal Pentagono (2007), ha avuto sempre una vita travagliata, che va ben al di là della sua natura ibrida civilemilitare e che per taluni riflette l’incerto approccio di Washington verso il continente africano, vecchio problema mai risolto e che sembra resterà incompleto ancora per un lungo periodo. L’AFRICOM è da sempre un Comando cronicamente mancante di risorse, nonostante la registrata crescita di sfide di ogni tipo rivolte agli Stati Uniti e ai suoi interessi. Negli ultimi due anni, gli Stati Uniti hanno intensificato i loro sforzi contro lo Stato islamico, in particolare in Somalia e Libia, ma permangono tuttavia lacune gravi evidenziate dagli attacchi fatali del 2012 al consolato americano a Bengasi e nel 2017, quando un reparto dei berretti verdi dell’US Army è caduto in una imboscata di guerriglieri islamisti in Niger. Ma l’AFRICOM non incrementerà le sue capacità, anzi dovrà spostare le sue ri-

sorse, già non molto robuste, per fronteggiare potenziali sfide contro la Russia o la Cina. Waldhauser ha fatto capire chiaramente che Washington considera accettabili, per la sua sicurezza globale, l’esistenza di minacce all’interno del continente africano. Analisti ed esperti, tuttavia, hanno delle perplessità sulla logica di tali scelte, pianificate e messe in opera quando da tempo la pressione di Russia e Cina in Africa sta crescendo in ogni sottoscacchiere e la capacità di risposta degli alleati europei, a cominciare dalla Francia, comincia a mostrare sempre più la corda. Saranno ritirati circa 600 militari (300 appartenenti alle forze convenzionali e altrettanti a quelle speciali) in due fasi, ha detto Waldhauser. I primi tagli saranno completati entro giugno 2020, mentre la seconda fase si completerà entro gennaio 2022. L’AFRICOM ha dato la priorità al mantenimento delle capacità di MEDEVAC (Medical Evacuation) e ISR (Intelligence, Surveillance, target acquisition, and Reconnaissance) nelle forze restanti. Come accennato, i tagli di AFRICOM arrivano mentre la Cina aumenta la propria presenza nel continente. Essa fornisce circa 2.200 soldati alle diverse missioni di pace dirette dall’ONU; ma i suoi sforzi più visibili, al di là di quelli militari, sono quelli economici, con ovvie ricadute nel quadro politico. Attraverso i prestiti per lo sviluppo, la Cina detiene già oltre l’80% del debito di proprietà straniera a Gibuti, dove sia Washington sia Pechino hanno basi militari. In Kenya, dove il potenziale default su un pagamento a breve scadenza per un prestito ferroviario, potrebbe significare che la Cina prenderà in gestione parte del porto di Mombasa, mettendo un’ulteriore ipoteca sulla presenza nell’oceano Indiano (o, come lo chiama l’India, un’altra perla nella «collana» strategica in quei mari). Accanto a Pechino, la Russia sta lavorando in moltissimi altri paesi per cercare spazi e il caso del CENTRAFRICA, dove contractors e fornitura di armi e materiali moscoviti alle forze regolari hanno fatto infuriare Parigi, che considera Bangui un baricentro della (oramai un po’ appannata) FRANCAFRIQUE. Waldhauser ha sottolineato che

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RUBRICHE

Marine militari ALGERIA Ingresso in linea di due nuovi sottomarini

I due sottomarini OUARSENIS e HOGGAR, entrati in servizio nella Marina algerina all’inizio di gennaio 2019 (Fonte: Forces navales algeriennes).

La Marina algerina ha celebrato l’ingresso in linea di due nuovi sottomarini «Project 636 Kilo-Improved» in una cerimonia svoltasi nella base di Mers-el-Kebir il 9 gennaio. Essi sono l’Ouarsenis e l’Hoggar, costruiti nei cantieri Admiralty di San Pietroburgo ed entrati in servizio nella base navale di Mers-el-Kebir all’inizio di gennaio 2019: i due battelli si aggiungono ad altrettante unità «Kilo-Improved» entrate in linea nel 2012. Con queste due unità, la forza subacquea algerina schiera sei sottomarini (di cui i più anziani appartenenti al «Project 877/Kilo» e successivamente ammodernati), tutti di progetto e produzione russa e presumibilmente in grado di impiegare anche missili da crociera. L’arrivo di Ouarsenis e Hoggar è il più recente episodio del potenziamento navale algerino, di cui fa parte anche l’entrata in linea di due fregate tipo «A200-MEKO» di origine tedesca (nel 2016 e nel 2017) e di tre corvette tipo C28A di origine cinese giunte in Algeria nel 2015-2016.

dal contratto siglato con la Marina argentina per la fornitura di quattro pattugliatori d’altura. La prima unità sarà L’Adroit, già in servizio con la Marine Nationale per scopi commerciali e oggetto di interventi di revisione generale e ammodernamento. Gli altri tre pattugliatori saranno costruiti in Francia secondo il progetto OPV87, riguardante unità da 87 metri di lunghezza e con un dislocamento di 1.650 tonnellate: esse saranno equipaggiate con un ponte di volo dimensionato per accogliere un elicottero da 10 tonnellate. Le tre unità avranno strutture rinforzate per operare alle latitudini elevate dell’emisfero australe e saranno dotate di un cannone da 30 mm a comando remoto.

AUSTRALIA Gruppo navale impegnato nella campagna Indo-Pacific Endeavour 2019 Un gruppo navale della Marina australiana comprendente la portaelicotteri Canberra, la fregata lanciamissili Newcastle e l’unità logistica Sirius è partito da Sydney il 17 febbraio per una campagna transoceanica denominata «Indo-Pacific Endeavour 2019» della durata di quattro mesi. Nel corso della campagna saranno eseguite numerose attività addestrative e d’altro tipo con diverse forze militari del teatro: nelle prime settimane, il gruppo navale è stato impegnato nell’esercitazione «Ocean Explorer», condotta al largo dell’Australia occidentale anche con la partecipazione di reparti e unità della Gran Bretagna e della Nuova Zelanda. Il gruppo navale sarà impegnato in visite nei porti di India, Indonesia, Malaysia, Singapore, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam e in varie esercitazioni bi- e multilaterali.

CANADA Sistemi italiani sui sottomarini canadesi

ARGENTINA Al via i lavori sui nuovi pattugliatori Il 14 febbraio, la società francese Naval Group ha annunciato l’avvio delle attività lavorative discendenti

Il sottomarino Corner Brook sarà il primo battello della classe «Victoria», comprendente quattro esemplari ceduti dalla Royal Navy nel recente passato, a essere equi-

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RUBRICHE

Marine mercantili

Lotta alla plastica in mare

«Contribuire al risanamento degli ecosistemi marini, alla prevenzione e riduzione dell’impatto di alcuni prodotti di plastica monouso […] alla promozione dell’economia circolare, nonché alla sensibilizzazione della collettività per la diffusione di modelli comportamentali virtuosi rivolti alla prevenzione del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti [in mare] e alla corretta gestione degli stessi». È l’obiettivo del disegno di legge governativo «Salva mare» che, in aderenza alla direttiva europea sulla riduzione dei prodotti di plastica monouso (1), introduce misure più stringenti a tutela dell’ambiente marino: dal divieto di immettere in commercio prodotti di plastica (2) di monouso (3) (Riquadro) alla gestione dei rifiuti accidentalmente pescati in mare, dalle campagne di sensibilizzazione alle campagne di pulizia del mare, dalla promozione di attrezzature da pesca ecocompatibili alla rivisitazione del sistema tariffario in materia di rifiuti. In totale otto articoli che si incentrano sui principi dell’«economia circolare» (4) enunciati dalle Istituzioni europee (5). Ragion per cui il disegno di legge: (i) equipara i rifiuti pescati in mare ai rifiuti prodotti dalle navi; (ii) impone al comandante del peschereccio di conferire i rifiuti negli impianti portuali di raccolta (6); (iii) configura tale conferimento come «deposito temporaneo» ai sensi dell’ art. 183, comma 1, lett. bb), del Testo unico dell’ambiente (7) (di seguito «TUA»); (iv) dispone la deduzione dei costi di gestione dei rifiuti

Regime sanzionatorio La violazione del divieto di immettere sul mercato prodotti di plastica non consentiti è punita con la sanzione amministrativa di una somma da 1.000 a 10.000 Euro, aumentata sino al quadruplo del massimo se la violazione riguarda ingenti quantità di prodotti oppure un valore della merce superiore al fatturato del trasgressore. In caso di reiterazione della violazione, si applica la sospensione dell’attività produttiva per un periodo di dodici mesi e non superiore a ventiquattro.

«in una specifica componente della tariffa relativa al servizio integrato dei rifiuti». Previsioni a cui si «aggancia» l’art. 6 che affida al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere di stabilire, nel rispetto dell’art. 184-ter del TUA, i criteri e le modalità con cui i rifiuti pescati accidentalmente durante le operazioni di pesca e i rifiuti raccolti durante le campagne di pulizia del mare cessano di essere tali. Il tutto accompagnato da misure tese a incoraggiare l’economia circolare quali: campagne di pulizia del mare (art. 5) (8), campagne di sensibilizzazione (art. 7) (9) e utilizzo di attrezzature a ridotto impatto ambientale (art. 8). Disposizione, quest’ultima, che prevede il riconoscimento di una «certificazione attestante l’impegno per il rispetto dell’ambiente marino e la sostenibilità dell’attività di pesca» agli imprenditori ittici che, nell’esercizio della pesca professionale e dell’acquacoltura, utilizzano tali attrezzature. Pietro Verna

NOTE (1) https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-5483-2019-INIT/en/pdf. (2) L’art. 2 del disegno di legge definisce «plastica»: «i polimeri modellati, estrusi o fisicamente manipolati in diverse forme solide, che durante l’uso e nel successivo smaltimento mantengono le forme definite nelle applicazioni previste». (3) I prodotti di plastica banditi dal commercio sono: forchette, coltelli, cucchiai, bacchette, piatti, cannucce (tranne quelle di uso medico), mescolatori per bevande, aste da attaccare a sostegno dei palloncini, fuorché i palloncini per uso industriale o altri usi e applicazioni professionali che non sono distribuiti ai consumatori. (4) Secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation, economia circolare «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». (5) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52015DC0614. (6) Vedasi art. 4 del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 de 2003 «Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico». (7) L’art. 183, comma 1, lett. bb, definisce «deposito temporaneo»: il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti. (8) Le modalità attuative sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle politiche agricole, forestali e del turismo. (9) Le modalità attuative sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

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RUBRICHE

Nautica da diporto Coppa di America, nel futuro tornando al passato (I) Quanto sopra non è un controsenso, ma sintetizza quella che sarà la 36a edizione dell’America’s Cup, che si svolgerà in Nuova Zelanda nel 2021. Infatti, il Royal New Zealand Yacht Squadron (detentore della Coppa e quindi Defender) rappresentato da Emirates Team New Zealand, e il Circolo della vela Sicilia di Palermo (primo a presentare la sfida e quindi Challenger of Record) il cui guidone sventolerà sulle imbarcazioni di Luna Rossa Challenge (Prada), hanno prodotto i due documenti fondamentali per la prossima sfida (1) con i quali sono state stabilite le regole valide per l’edizione 2021. Da questi documenti, rispetto alle regole del recente passato, emergono numerose novità che andremo a esaminare; fra queste, la più eclatante è l’abbandono dei multiscafi, dopo tre edizioni, per ritornare ai monocarena.

Fra i molti cambiamenti anche il nuovo logo della Coppa di America (Fonte: americascup.com).

AC75 La nuova classe si chiama AC75 (America’s Cup di 75 piedi). Chi crede di poter rivedere le sfide degli anni precedenti con le classi IACC non potrà farlo perché le nuove imbarcazioni durante le gare staranno per tanto tempo con lo scafo fuori dell’acqua restando legate al mare con una sottile deriva mobile (foil). In linea generale, i più importanti obiettivi prefissati che la costruzione delle nuove barche dovranno soddisfare sono i seguenti:

— essere idonea al match race (due barche l’una contro l’altra); — permettere lo sviluppo di tecnologie che consentano il miglioramento della navigazione a vela e che mantengano la Coppa di America, come l’evento più importante delle regate a vela; — essere gestita dai migliori velisti in tutti i ruoli di bordo; — essere competitiva in tutte le regate sia con venti leggeri sia in condizioni di vento forte; — essere realizzata in modo che le operazioni di messa a mare, messa a secco e trasporto siano le più pratiche possibili; — destinare una posizione sicura a bordo per un ospite. Ritorno al passato anche per l’obbligo di costruire lo scafo nella nazione dello yacht club partecipante, mentre tutte le altre parti possono essere realizzate anche in altra nazione. Ciascun partecipante (Defender e sfidanti) può costruire al massimo due AC75 di cui il primo deve essere varato prima del 31 marzo di quest’anno e il secondo non prima del 1o febbraio 2020. Come accennato, si ritorna agli yacht con un solo scafo, ma contemporaneamente sparisce il bulbo che non ha più ragione di essere, dato che le barche in regata navigheranno fuori dall’acqua e saranno sostenute da uno o due foil, con pochi centimetri quadrati di superficie in acqua. Infatti, queste derive lamellari, sistemate ai due lati della barca, consentiranno alla stessa di sopraelevarsi dall’acqua. I foil, che qualcuno chiama chiglie, sono simili a quella degli aliscafi: molto lunghi, oltre 5 metri, regolabili, curvati verso il centro barca (2) e con il terminale in acqua che supporta un’ala ricurva di 4 m. Su ciascuna di queste ali sono posizionati due flap in posizione simmetrica rispetto al centro ala. Questa soluzione consentirà di ottenere elevate velocità in assetto completo e allo stesso tempo assicurare una buona stabilità alle basse velocità. Quando in navigazione il foil in acqua (sottovento) aiuterà a far salire l’imbarcazione e a tenerla sollevata mentre il foil opposto, di sopravento, consentirà di aumentare il momento raddrizzante. Lo scafo avrà una lunghezza di 68 piedi (20,73 m) e

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C he cosa scrivono gli altri «Il ritorno della Russia nel Mediterraneo» RIVISTA DI STUDI POLITICI INTERNAZIONALI, VOL.

85, N. 3/2018

La regione del Mediterraneo, che nella visione russa va tout court dallo Stretto di Gibilterra fino all’area del Mar Nero — esordiscono i coautori dell’articolo in parola (ergo Tiberio Graziani, Alberto Cossu e Filippo Romeo) — ha nuovamente assunto un’importanza cruciale sotto il profilo strategico, ciò grazie anche all’aumento dei traffici mercantili che vi transitano e alla scoperta di ulteriori risorse energetiche che stanno conferendo a quest’area una nuova centralità, enfatizzando il naturale continuum geopolitico tra le tre masse terrestri che lo limitano — Europa, Africa e Asia — e delle quali, da sempre, è funzionale cerniera. Oggi, infatti, il Mediterraneo, pur rappresentando solo l’1% della superficie acqua globale, è attraversato dal 19% del traffico marittimo globale, dal 30% di quello del petrolio e dal 65% delle altre risorse energetiche destinate all’Italia e agli altri Paesi europei. Se durante il lungo periodo della Guerra Fredda il Mediterraneo e il Medio Oriente hanno rappresentato un terreno di confronto tra i due blocchi contrapposti, occidentale e sovietico, oggi la partita geopolitica si ripropone semmai tra Occidente e paesi BRICS, tra cui emerge proprio la Russia che, nel Memorandum sulla politica nel Mediterraneo (http.docs.cntd.ru/document) si propone di rafforzare la sicurezza e promuovere la cooperazione globale, in una sorta di costituenda partnership tra gli Stati del Mar Nero e quelli del bacino del Mediterraneo, uniti da interessi comuni in politica, economia, cultura e ambiente. In un contesto invero difficile in cui la vicenda dell’annessione «illegittima» della Crimea e le conseguenti sanzioni economiche, con l’esclusione della Russia dal G8, hanno mutato in peggio i rapporti tra Mosca e l’Occidente (il «cosiddetto Occidente» come si esprime con distaccata superbia lo stesso Putin). Il tutto mentre l’intervento militare in Siria dal settembre del 2015, in sostegno del regime di Bashar el-Assad, ha garantito a Mosca una nuova posizione strategica «forte» nel Mediterraneo, ripristinando anche la collaborazione con Ankara che controlla le vie d’accesso orientale al

Mare Nostrum, mentre il presidente Trump, pur con l’opposizione del Pentagono e le dimissione del Segretario alla Difesa, generale Mattis, si appresta a ritirare le proprie forze dalla Siria. La Russia ha confermato intanto, con i vertici di Astana e Soci e gli accordi con Ankara e Teheran (come precisato nella brochure seguente) e la stessa Israele (nonostante i forti contrasti con Teheran), il ruolo di leadership regionale nel delineare una possibile roadmap nell’intricato processo di pace in Siria. I mass-media occidentali da parte loro continuano a dipingere la Mosca di Putin come «un player che viola il diritto internazionale ed è inaffidabile sotto il punto di vista della democrazia e della tutela dei diritti umani, anche quelli fondamentali». Sotto il profilo prettamente navale intanto, nel documento russo del 20 luglio 2017, Fundamental of State policy of the Russian Federation in the field of naval operation for the period until 2030 (http://dnnlgwick. blob.core.window.net), si auspica una Marina Militare che sia presente negli Oceani e nei mari come il Mediterraneo, in modo da conferire a Mosca un ruolo di primo piano «per affermare, difendere, realizzare e proteggere gli interessi anche economici del Paese». In un contesto che, nella visione russa, posizioni, nella graduatoria internazionale delle flotte, la Marina russa, dopo quella degli Stati Uniti e prima di quella di Pechino. E mentre gli equilibri geopolitici e geoeconomici nella regione del Mediterraneo stanno così platealmente cambiando, la Russia non perde occasione di «mostrare i muscoli» nel Mediterraneo orientale quasi che fosse un «lago russo», come si evince dall’esercitazione dello scorso settembre che ha visto il dispiegamento di ben 25 navi da guerra e unità di supporto, guidati dall’ incrociatore lanciamissili Maresciallo Ustinov da 12.500 t della classe «Slava», unitamente alle fregate lanciamissili da 3.600 t Admiral Grigorevich e Admiral Essen e almeno due sottomarini. Coinvolte navi delle Flotte del Mar Nero, del Baltico e del Nord e della Flotta del Caspio: a quest’ultima appartengono le due fregate tipo «Gepard» da 1.500 t e 6 corvette classe «Buyan M» da mille t che già, nel recente passato, hanno lanciato, contro obiettivi in

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Rivista Marittima Febbraio 2019


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MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

NEL PROSSIMO NUMERO FOCUS SUL CENTENARIO DEL SAN MARCO (1919-2019)

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