GENNAIO 2019 - Anno CLII
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GENNAIO 2019
RIVISTA
MARITTIMA
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SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €
* RIVISTA MARITTIMA *
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
PRIMO PIANO
La difesa europea: una certezza e una incognita Massimo de Leonardis
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Sommario PRIMO PIANO
6 La difesa europea: una certezza e una incognita Massimo de Leonardis
18 I rapporti NATO-UE ai tempi di Trump
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
52 L’ammiraglio Birindelli: l’uomo e il marinaio Paolo Birindelli e Giuseppe Lertora
Matteo Bressan
STORIA E CULTURA MILITARE
22 Il ruolo dell’Islanda nell’Alleanza Atlantica Rodolfo Bastianelli
68 Marinai della «Nunziatella» Mariano Gabriele
28 La Finlandia e la NATO. Quale futuro? Costantino Moretti
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Cyber Security: dinamiche degli attacchi nel settore marittimo
Massimo Franchi
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
44 Le operazioni di ricerca e soccorso in relazione al fenomeno migratorio: quadro giuridico di riferimento e profili tecnico-operativi Giuseppe Tarzia
Rivista Marittima Gennaio 2019
RUBRICHE
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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Marine mercantili Scienza e tecnica Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni
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RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
EDITORE
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REDAZIONE Raffaella Angelino Gianlorenzo Pesola
IN COPERTINA: bandiere della Marina Militare e dell’Alleanza Atlantica a riva di un’unità M.M. impegnata in attività NATO.
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GENNAIO 2019 - anno CLII HANNO COLLABORATO: Professor Massimo de Leonardis Dottor Matteo Bressan Dottor Rodolfo Bastianelli Dottor Costantino Moretti Dottor Massimo Franchi Contrammiraglio Giuseppe Tarzia Professor Paolo Birindelli Ammiraglio di squadra (ris) Giuseppe Lertora Professor Mariano Gabriele Ambasciatore Mario E. Maiolini, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Ammiraglio Ispettore (aus) Pietro Verna Ammiraglio Ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio (ris) Ezio ferrante Dottoressa Beatrice Benocci Dottoressa Alessandra Mita Ferraro
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E ditoriale
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enché per gli Stati Uniti l’Alleanza Atlantica rimanga l’architrave della sicurezza e della pace europea, è evidente che gli Americani si stanno, in un certo qual modo, allontanando dall’Europa e strategicamente dal quadrante del Medio Oriente. Proprio per questo chiedono alla NATO di assumersi ulteriori oneri militari e finanziari per la Difesa che oggi, però, diversi Paesi aderenti all’Organizzazione sono riluttanti ad assumersi. Se, negli ultimi anni, quasi tutti i Membri dell’Alleanza hanno incrementato i rispettivi budget (secondo le più recenti statistiche la spesa militare dei Paesi membri europei e del Canada è aumentata, in questi ultimi anni, in valore medio: dell’1,8% nel 2015, del 3,3% nel 2016, del 4,3% nel 2017), resta tuttavia difficile da raggiungere per molti Paesi membri l’obiettivo, fissato per il 2024, del 2% del PIL. Nel 2018, l’Italia ha speso l’1,15% del PIL, la Francia l’1,81%, la Germania l’1,24%, tre Paesi europei hanno speso meno dell’1,0%, la Spagna, il Belgio e il Lussemburgo. Il traguardo del 2%, oltre agli Stati Uniti (3,5%), è stato raggiunto nel 2018 solo da cinque Paesi (Grecia, Regno Unito, Estonia, Romania e Polonia). Non si tratta solo di una questione meramente economica, ma soprattutto politica. Il prossimo 4 aprile 2019, il Trattato di Washington compirà 70 anni, un’alleanza tra nazioni «amiche», prima politica che militare, ovvero basata su valori e ideali fondamentali condivisi quali: la democrazia e la libertà. Proprio per questo, per un futuro credibile della NATO, come peraltro rimarcato anche in recenti seminari, come quello svoltosi presso la Camera dei Deputati nel giugno u.s.: «NATO versus the new global threats», occorre recuperare l’unità politica dell’Alleanza che si traduce in una maggiore capacità di proiettare stabilità insieme all’adattamento, anche a livello militare, alle nuove sfide emergenti. Ciò deve avvenire contemporaneamente sia sul fianco orientale dell’Alleanza sia sulla sponda meridionale della NATO. A tal proposito è risultata altrettanto manifesta la necessità, dopo la rassicurazione dei Paesi situati sul fianco orientale dell’Alleanza dalla minaccia russa, di come anche i membri della sponda meridionale della NATO debbano essere supportati e rassicurati rispetto alle varie minacce in atto: immigrazione di massa, terrorismo, instabilità regionale, traffico di armi ed esseri umani. E non possiamo non evidenziare come il fianco Sud della NATO, più pericoloso per noi perché ci riguarda da vicino, sia contraddistinto da scenari sempre più insicuri e densi di sfide sempre più complesse. Il Mediterraneo, mare strategico, è un campo aperto dove le vecchie coalizioni sono divenute più evanescenti quando non finite e la ricostruzione delle alleanze, spesso imprevedibili, è in corso. Su esso riverberano poi gli effetti di accadimenti le cui cause vanno ben oltre i suoi confini e nuove minacce sono emerse all’interno di un sistema multipolare, sempre più caotico. A partire dalla metà degli anni Novanta, se puntavamo lo sguardo sul fronte Sud della NATO, l’arco, cosiddetto di crisi, si estendeva dalla regione del Maghreb fino a lambire il Sudovest dell’Asia. Con ciò si intendeva una regione geostrategica dove, di volta in volta, sorgevano delle crisi in un contesto sostanzialmente abbastanza stabile a livello statuale e dove gli interventi, diretti o indiretti, potevano avvenire in maniera sporadica, limitata e circostanziata. Tutto è iniziato a cambiare a partire dai conflitti in Afghanistan e in Iraq e a seguire dalle rivoluzioni arabe, la guerra in Siria e infine in Libia. Questo arco di crisi è diventato un arco generalizzato di caos, di instabilità permanente. SEGUE A PAGINA 4
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Un coacervo intrecciato di precarietà dovuto a fenomeni quali: terrorismo, criminalità organizzata, traffici illeciti e di armi, foreign fighters «dormienti» o immediatamente pericolosi, rivolte e migrazioni incontrollate. L’instabilità si trasmette poi ancora più a Sud, dagli Stati della cintura del Sahel (Mauritania, Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad, Sudan), che si riverberano direttamente sui paesi mediterranei. Si trasmette dai fenomeni migratori di massa lontani, come dalla Nigeria, il più popoloso Stato del continente africano con oltre 195.000.000 di abitanti, ma anche da Est, dal continente asiatico come dal Bangladesh. Si trasmette sul Mediterraneo dalle crisi in Crimea e in Ucraina, e da tutto il Medio Oriente fino allo Yemen e alla Somalia. I problemi non mancano in sede NATO mentre risulta evidente la necessità di un approccio più globale e meno legato a una schematizzazione direzionale di provenienza: Est-Sud. L’Italia, gioca naturalmente un ruolo fondamentale di stabilizzazione regionale (e non solo), sia nella sua qualità di socio fondatore della NATO sia quale Paese europeo. In questo delicato, nevralgico, articolato e complesso scacchiere geopolitico, risulta anche logica la necessità di operare con maggiore autonomia e responsabilità. Se il Mediterraneo è un bacino strategico di interesse mondiale e vitale per il Paese, dal Mare Nostrum può ricominciare il ruolo geopolitico della nostra nazione. Esercitare cioè, una politica nazionale, una talassopolitica, dove la chiave di volta risiede nell’operare sempre più come Sistema Paese, ponendo in campo la migliore cooperazione interforze, la migliore sinergia sul piano delle cooperazioni inter-istituzionali e delle collaborazioni inter-agenzia. Su uno sfondo strategico così complesso come il Mediterraneo, risulta palese come il connotato marittimo ne permei lo scenario complessivo e come, attraverso lo strumento navale, si possa concretamente operare. In questo quadro, pienamente in aderenza allo spirito del NATO’s Framework Nations Concept — uno dei paradigmi dell’Alleanza a sostegno della Multinational Defence cooperation —, trovano evidenza tutte quelle misure, nazionali e multinazionali, all’interno della NATO e dell’UE, poste in atto dall’Italia e dalla Marina Militare per fronteggiare le minacce poste in essere dalla situazione di instabilità e incertezza e per la sicurezza e libertà del mare, che caratterizzano o influenzano da vicino o da lontano l’area strategica del Mediterraneo: l’Operazione Mare Sicuro che prevede il dispiegamento di un dispositivo aeronavale per garantire attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale e nello Stretto di Sicilia; l’Operazione EUNAVFOR Atalanta, per il contrasto alla pirateria nel Corno d’Africa (Golfo di Aden e lungo il bacino somalo); l’Operazione Sea Guardian e EUNAVFOR MED/Sophia, quale risposta della NATO e dell’Unione Europea alla mutata situazione nel Mediterraneo; la «5+5 Defence Initiative», forum di cooperazione incentrato sulle prospettive di difesa e sicurezza del Dialogo 5+5, che raggruppa i dieci Paesi della sponda sud-occidentale dell’Unione europea (Italia, Francia, Malta, Portogallo, Spagna) e della costa nordafricana (Algeria, Libia, Mauritania, Marocco, Tunisia); le attività di Maritime Capacity Building e Confidence building, attività strategiche nei confronti delle Marine dei Paesi rivieraschi volte a far loro acquisire la capacità di garantire da soli la propria sicurezza e la sicurezza dei mari prospicienti le loro coste. Tutti esempi dai quali risulta evidente come lo strumento navale abbia connaturate in sé quelle capacità e specificità d’azione e d’impiego a sostegno di una politica del mare che promuova pace, stabilità, sicurezza e sviluppo economico, regionale e globale. Per concludere, in risposta a tutti coloro i quali si dovessero domandare se «il gioco vale la candela», in termini economici, in termini di ore di moto delle unità navali, di risorse di mezzi e di impiego di uomini, possiamo rispondere con serena certezza che oggi, più che mai, risulta vitale esserci e vigilare, operare in tutte le operazioni sopra elencate a prescindere che esse siano inserite in un contesto NATO, UE, multinazionale o nazionale. È un fatto di geopolitica che travalica i nostri confini e talvolta pure le Alleanze; per il nostro Paese è e resta un compito e insieme un obiettivo vitale per la sicurezza regionale, per una maggiore stabilizzazione dell’area e per tutelare gli interessi nazionali, partendo proprio da un approccio marittimo intrinsecamente abilitante e spesso determinante per la risoluzione di situazioni di crisi. Se non lo facciamo noi, chi altro!? DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima
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PRIMO PIANO
La difesa europea: una certezza e una incognita
Massimo de Leonardis (*)
Fra timori e illusioni Con l’avvento alla Presidenza americana di Donald Trump è diventato più pressante un semplicistico ritornello: l’Europa (intesa come UE) deve dotarsi di una
propria difesa, poiché non può più contare sul sicuro sostegno degli Stati Uniti e comunque un attore internazionale che voglia svolgere un ruolo di primo piano deve avere un proprio potere militare. Allo stesso tempo, anche i più entusiasti europeisti non possono nascondere le enormi difficoltà di creare l’Europa della
(*) Professore Ordinario di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali e Docente di Storia dei trattati e politica internazionale nellÊUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dal 2005 al 2017 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche. Presidente della International Commission of Military History, 2015-2020. Consigliere Scientifico della Marina Militare per lÊarea umanistica e Membro Decano del Comitato Consultivo dellÊUfficio Storico della Forza Armata. Dal 1999 coordinatore delle discipline storiche al Master in Diplomacy dellÊIstituto per gli Studi di Politica Internazionale.
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NAVE MARGOTTINI impegnata nell’ambito della missione europea «Eunavfor Somalia».
Difesa. Le due frasi precedenti racchiudono molti problemi che si cercherà di approfondire in questo articolo. In parte sono vecchie questioni, che si dibattono da quasi trent’anni; come sempre sarà utile farne la storia per capire cosa c’è di vecchio e di nuovo. Di nuovo, si dice, c’è appunto Trump. Senza negare l’impatto forte del personaggio, vi è da chiedersi se il Presidente non riproponga, in termini sicuramente più decisi, posizioni da sempre sostenute dai suoi predecessori e se la rivoluzione geopolitica che allontana gli Stati Uniti dal-
l’Europa non risalga anch’essa a trent’anni fa e non si fosse già accentuata con Barack Obama. Ogni tanto, poi, si annunciano passi decisivi verso l’Europa della Difesa; un déjà vu, almeno dal vertice di Saint-Malo tra Tony Blair e Jacques Chirac del dicembre 1998. L’annuncio è poi seguito da risultati modesti, in attesa della successiva svolta «decisiva», in un continuo gioco dell’oca. Altro luogo comune: dopo la Brexit, la costruzione della Difesa Europea non avrà più l’ostruzionismo di Londra. Logica simile a quella di chi per un dolore a un arto se lo amputasse per non soffrire più. La Difesa Europea senza il Regno Unito, ammesso nascesse, sarebbe mutilata. La salute dell’Alleanza Atlantica non è certo ottimale, ma anche qui c’è una lunghissima storia di «crisi» superate dell’Alleanza, che risale agli anni della Guerra Fredda. Gli allarmi sono diventati frequenti a partire dagli anni Novanta, suscitando anche qualche ironia: con il sottotitolo «NATO is dying – again», si apriva un articolo del 2004 e già un altro autore aveva ironizzato sulla sindrome di Pierino che grida «Al lupo! Al lupo!» (1). Di certo il legame transatlantico è indebolito, non da oggi, come già rilevato. Tuttavia, il braccio operativo dell’Alleanza, ossia la NATO, non è da inventare, esiste da quasi settant’anni e resta la più poderosa struttura militare multinazionale della storia. Infine, una considerazione interpretativa di fondo: le cornici istituzionali e le personalità hanno un peso, ma sono le «forze profonde» a essere alla fine decisive. L’UE ha una patologica ossessione per le forme istituzionali e le norme, ma le manca il copione da recitare. Che attore vuole essere? Per ora somiglia al Nanni Moretti bighellone di Ecce Bombo: «faccio cose, vedo gente». Certo è al di sopra delle sue possibilità il ruolo di Churchill ne L’ora più buia.
Le dure certezze della Guerra Fredda Durante la Guerra Fredda, il cui «ordine» non va assolutamente rimpianto perché condannava centinaia di milioni di persone all’oppressione più dura della storia, la pace in Europa, dal punto di vista delle «forze profonde» fu assicurata dall’esistenza delle armi nucleari, che divenne l’equilibrio del terrore. L’organizzazione che garantì la pace fu l’Alleanza Atlantica, dal
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PRIMO PIANO
I rapporti NATO-UE ai tempi di Trump Matteo Bressan (*)
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l vertice NATO di Bruxelles, conclusosi lo scorso luglio, ha visto in parte confermati i timori di diversi Stati europei di sentirsi pressati dagli Stati Uniti per un maggior impegno economico nel settore delle spese militari. Il dibattito, già manifestatosi nel corso dell’amministrazione Obama, trova in alcune considerazioni storiche delle sostanziali motivazioni. Se da una parte non si può negare che l’Europa dal ‘45 a oggi, oltre a usufruire dell’ombrello nucleare americano ha, con poche eccezioni, ridotto al minimo le spese nazionali per la difesa comune è altrettanto vero che i metodi, vicini al «bullismo politico» del Presidente Trump, così come la tendenza a stravolgere l’ordine dei lavori del vertice rischiano di mandare in frantumi quanto l’America e i suoi alleati hanno costruito e codificato dal dopoguerra a oggi (1). Un mondo fatto di accordi multilaterali che, secondo gli ispiratori di Trump, andrebbe invece riportato ai rapporti bilaterali nei quali l’America può far valere il suo
(*) Analista e componente del comitato scientifico del Nato Defence College Foundation, docente alla SIOI e alla LUMSA, autore di saggi e libri di settore.
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peso. Non è un mistero che il Presidente americano ritenga che l’Europa viva di rendita sulla sicurezza garantita dagli Stati Uniti e che paghi troppo poco, potendosi permettere una politica sociale molto generosa con i suoi cittadini. Per queste ragioni Trump sembra manifestare insofferenza nei confronti dell’Europa, dietro la quale opera la Germania e, considererebbe necessario, rivedere alcuni meccanismi che regolano i rapporti all’interno del-
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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, al vertice di Bruxelles dello scorso luglio (Fonte: nato.int).
l’Alleanza. La prospera Berlino è in debito di sicurezza verso Washington e Trump, non a caso, non ha perso occasione di attaccare Angela Merkel su deficit commerciale e immigrazione. Nei mesi che hanno preceduto il vertice, gli alleati e i partner europei e non, hanno cercato di assecondare Trump attraverso un graduale ma modesto aumento delle spese per la difesa, mantenendo la lotta al terrorismo nell’agenda della NATO e tenendo alta la
guardia con Mosca, purtuttavia non rinunciando al dialogo (2). Nonostante ciò, partendo per il vertice Trump ha usato Twitter sostenendo che «Gli Usa stanno spendendo molto più di ogni altro paese per proteggerli. Non è giusto verso i contribuenti americani. E oltre a questo, noi perdiamo 151 miliardi di dollari nei commerci con l’Unione Europea. Ci impone grandi tariffe e barriere!». Una dichiarazione con la quale Trump ha unito il dossier
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PRIMO PIANO
Il ruolo dell’Islanda nell’Alleanza Atlantica Rodolfo Bastianelli (*)
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Reykjavik, capitale dell’Islanda (Fonte: expedia.it). In basso: la premier islandese Katrín Jakobsdóttir, leader del «Movimento Sinistra-Verdi (Fonte: youtube.it).
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onostante le sue piccole dimensioni e l’assenza di una regolare forza militare, l’Islanda costituisce uno dei membri il cui contributo all’Alleanza Atlantica è stato determinante data la sua posizione geografica che fa del Paese un punto strategico di fondamentale importanza per il controllo delle rotte dell’Artico e dell’Atlantico settentrionale, e questo proprio in un momento in cui la Russia sta nuovamente sviluppando una politica estera più intraprendente e assertiva. All’interno del mondo politico islandese, la partecipazione alla NATO è però attualmente oggetto di discussione, in quanto non solo alcune correnti del Partito Socialdemocratico si oppongono alla presenza del Paese nell’Alleanza, ma lo stesso Premier Katrín Jakobsdóttir, leader del «Movimento Sinistra – Verdi» che compone il governo insieme al Partito dell’Indipendenza e ai Progressisti, ha più volte espresso la sua contrarietà evocando l’uscita di Reykjavík dal Patto. Sotto il controllo danese fin dal 1380, l’Islanda fino al XIX Secolo era un Paese tra i più poveri in Europa. Al momento dello scoppio del Secondo conflitto mondiale, l’isola, che dal 1918 costituiva uno Stato autonomo in «unione personale» con la Danimarca, avendo come Capo dello Stato il Re Cristiano X, dichiarò immediatamente la sua neutralità nel conflitto, ma la sua collocazione strategica la rese un obiettivo di primaria importanza sia per la Germania che per gli Alleati. Così, se inizialmente il governo islandese aveva respinto la richiesta di protezione avanzata dalla Gran Bretagna, il 10 Maggio 1940, poco dopo l’invasione tedesca della Danimarca e della Norvegia, un reparto di Royal Marines britannici occupò Reykjavík e, nonostante le proteste dell’allora Premier Hermann Jonasson, per il quale l’atto (*) Nato a Roma il 5 Novembre 1969. Laureato in Giurisprudenza a Roma, ha effettuato un corso di specializzazione postlaurea presso lÊInstitut Français des Relations International (IFRI) a Parigi. Dopo avere lavorato presso le riviste Ideazione e Charta Minuta, dal 2011 segue la politica estera per LÊOccidentale. ˚ Professore a contratto di Storia delle Relazioni Internazionali e collabora inoltre con LiMes, Informazioni della Difesa, Rivista di Politica, Affari Esteri e il settimanale on-line dello IAI, Affari Internazionali. Collabora con la Rivista Marittima dal 2009.
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MORETTI FINLANDIA ULTIMA VERSIONE_Layout 1 05/03/2019 11:35 Pagina 28
PRIMO PIANO
La Finlandia e la NATO.
Quale futuro? Costantino Moretti (*)
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noti fatti occorsi in Ucraina, con il conseguente irrigidimento dei rapporti fra Stati Uniti e UE da una parte e Russia dall’altra, hanno provocato un aumento della instabilità e della insicurezza internazionale. I timori di un ulteriore peggioramento della situazione hanno spinto i Paesi dell’area dell’Europa nord-orientale ad adottate alcune misure preventive al fine di evitare pericolose derive. La Finlandia, Paese non allineato, ha rivisto le pro-
prie politiche di sicurezza e di difesa e, tale revisione, ha riguardato anche il programma di partenariato avviato nel 1994 con la NATO (1). Anche la NATO si è attivata prevedendo, in particolare: — il dislocamento in Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia di contingenti militari alleati per difendere tali Paesi da eventuali aggressioni provenienti dall’estero (2); — l’intensificazione delle esercitazioni militari aventi come teatro operativo il quadrante balto-scandinavo
(*) Analista internazionale. Già esperto economico-finanziario presso il Ministero degli Affari Esteri. Collabora con riviste del settore della sicurezza e della difesa oltre che con testate accademiche di politica internazionale.
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Unità in formazione impegnate in Mar Baltico nella BALTOPS 2018, una delle esercitazioni NATO che si sono svolte nel quadrante balto-scandinavo (Fonte: navylive.dodlive.mil).
come, da ultimo, la «Trident Juncture 2018» svoltasi in Norvegia e nelle acque dell’Oceano Atlantico e del Mar Baltico dal 25 ottobre al 7 novembre dello scorso anno; la più grande esercitazione militare NATO dalla fine della Guerra Fredda.
I pilastri della stabilità finlandese Come ha più volte ricordato il Presidente Sauli Niinistö (3), la stabilità della Finlandia si regge su quattro pilastri, i quali devono essere sapientemente adattati al variare della situazione geo-politica dell’area (4). Essi sono: — politiche di sicurezza e di difesa nazionale sempre aggiornate. L’ultima revisione sul ruolo, sulle dimensioni e sulle prospettive del sistema difensivo finlandese è condensata nel Rapporto del Governo al Parlamento sulla difesa (di seguito Rapporto) (5) pubblicato il 16 febbraio 2017; — stretto legame con l’Occidente. Tale accezione ri-
comprende: l’ottima cooperazione militare con la Svezia, modello più volte richiamato per un auspicato allargamento della sessa ad altri Paesi del Nord Europa, l’azione intrapresa dall’UE per arrivare ad una difesa comune e, non ultimo, il partenariato con la NATO; — stabili e cordiali relazioni bilaterali con la Russia; — difesa dell’attuale sistema internazionale. La Finlandia ritiene necessario, per una convivenza pacifica degli Stati e dei popoli, che sia sostenuto e valorizzato il vigente sistema multilaterale incentrato sull’ONU e basato sul principio del rispetto e della condivisione delle regole internazionali.
Il rapporto del Governo finlandese al Parlamento sulla Difesa Il Rapporto è uno strumento pensato per dettare le linee guida per il mantenimento, lo sviluppo e l’uso delle capacità difensive sino al 2020.
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FRANCHI CYBER SECURITY_Layout 1 26/02/2019 11:15 Pagina 36
PRIMO PIANO
CYBER SECURITY
Dinamiche degli attacchi nel settore marittimo Massimo Franchi (*) (*) Consigliere strategico, docente nel corso integrativo di Rischio Politico nella laurea magistrale in Finanza e Risk Management FRIM dellÊUniversità di Parma A.A. 2017-2018 / 2018-2019 e docente di Cybersecurity al Corso di Alta Formazione Universitaria per ÿFormatori e Gestori di Risorse Umane nel Sistema di Sicurezza, Protezione e Difesa civileŸ dellÊUniversità LIUC, docente CISITA, è giornalista pubblicista. Subject Matter Expert in Tecniche di Negoziazione e Comunicazione è membro della delegazione italiana presso la Gaminger Initiative. Ha frequentato il 38°o Corso Cocim presso il CASD.
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Cyber security: dinamiche degli attacchi nel settore marittimo
U Il comparto marittimo è strategico per il nostro paese. Migliaia di imprese private competono ogni giorno nel mondo, operando anche a supporto della difesa nazionale. Si tratta di un vero e proprio «sistema industriale e di conoscenze» che non ha eguali e i cui benèfici effetti sull’economia del Paese sono riscontrabili dall’oggettività dei numeri e dai posti di lavoro generati. Un sistema composto da un misto di privato e pubblico che per la sua capacità di performare può essere oggetto delle minacce straniere, molto spesso con provenienza ignota. Implementare i controlli cyber, a tutti i livelli della catena del valore industriale, non solo è consigliabile, ma di fondamentale importanza per preservare un tale patrimonio di conoscenze e maestrie.
n elemento cruciale di ogni sistema paese è oggi rappresentato dal cyberspace, noto anche come quinto dominio nell’ambiente militare. Le implicazioni di tale materia sulla vita delle persone, delle imprese e degli Stati sono enormi e imprescindibili da qualsiasi valutazione strategica, economica e di sicurezza. A tal proposito occorre segnalare la nascita, anche in Italia, di un Comando Interforze per le Operazioni Cibernetiche (CIOC) (vedi Riquadro). Intraprendere la strada corretta per proteggere ogni tipo di organizzazione/nave è fondamentale e complesso nello stesso tempo. In questo ambito è da segnalare anche il contributo fondamentale della NATO che tramite il CCDCOE (Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence), ospitato in Estonia, si occupa di ricerca, formazione ed esercitazioni per mezzo di un approccio interdisciplinare in quattro aree: tecnologia, strategia, operazioni e legale. In quest’ultimo comparto il centro ha facilitato la pubblicazione nel 2017 del Manuale di Tallin 2.0 sul diritto internazionale applicabile alle operazioni cyber, scritto da diciannove esperti di diritto internazionale e divenuto un punto di riferimento mondiale per i consulenti legali che si occupano di questioni informatiche. Il manuale, rispetto all’edizione precedente più indirizzata alle aggressioni informatiche tra Stati, ha aggiunto un’analisi degli incidenti informatici più comuni ampliando lo spettro di protezione anche al quotidiano.
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Le operazioni di ricerca e soccorso in relazione al fenomeno migratorio: quadro giuridico di riferimento e profili tecnico-operativi Il presente testo è stato presentato in occasione del convegno «Il Regolamento di Dublino e il più ampio quadro giuridico europeo e internazionale in materia di immigrazione» tenutosi a Lucca nella Chiesa di San Francesco, giovedì 15 novembre 2018.
Giuseppe Tarzia (*)
L’
obbligo di prestare soccorso rappresenta uno dei tradizionali capisaldi della legge del mare, poiché costituisce espressione di un principio discendente dalle più antiche tradizioni di solidarietà marinara. Si tratta di un obbligo avente natura
(*) Contrammiraglio (CP), Direttore marittimo della Toscana, Capo del Compartimento marittimo e Comandante del porto di Livorno.
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Mezzi della Guardia Costiera impegnati in operazioni di soccorso (Fonte: guardiacostiera.gov.it).
consuetudinaria, desumibile dalla sua graduale integrazione nella prassi degli Stati, nonché dalla sua costante ripetizione nel diritto interno e, a livello internazionale, in una serie di specifiche convenzioni.
Evoluzione normativa Il primo strumento a carattere pattizio che ha cristallizzato il dovere di prestare soccorso è la Convenzione internazionale per l’unificazione di alcune regole in ma-
teria di collisioni tra navi, firmata a Bruxelles nel 1910, cui ha fatto seguito la Convenzione sull’alto mare del 1958. L’obbligo di portare soccorso in mare è stato poi recepito e ampliato con l’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982), il cui articolo 98 ne costituisce ancora oggi la più significativa espressione. Sul piano sostanziale, tale norma impone a ogni Stato parte l’obbligo di esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo. Il dovere di prestare soccorso in mare comporta obblighi non solo per gli Stati di bandiera, ma anche per gli Stati costieri che, secondo quanto previsto sempre dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, devono promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e salvataggio e, quando le circostanze lo richiedono, collaborare con gli Stati adiacenti. A tal proposito si rilevano due aspetti. Innanzitutto, come evidenziato in dottrina, l’adempimento dell’obbligo in capo agli Stati costieri di attuare un vero e proprio servizio SAR (acronimo di Search and Rescue) si perfeziona soltanto nel momento in cui i naufraghi sono fatti sbarcare in un luogo sicuro; tale luogo, tuttavia, non viene identificato nello strumento in esame. Inoltre, la norma postula, in capo agli Stati costieri, un generico obbligo di cooperazione con gli altri Stati adiacenti, sulla cui effettiva attuazione può incidere una pluralità di fattori. In effetti, l’approccio delineato da Montego Bay è coerente con il carattere di convenzione quadro che le è proprio; pertanto, una disciplina più dettagliata in materia deve necessariamente essere rinvenuta nell’ambito di fonti differenti. Il riferimento è principalmente a due convenzioni adottate nel contesto dell’IMO (acronimo inglese di Organizzazione Internazionale Marittima) negli anni Settanta del secolo scorso e modificate in successive occasioni: la Convenzione SOLAS e la Convenzione SAR. La Convenzione SOLAS è il principale strumento internazionale in materia di sicurezza della navigazione; anche al suo interno sono rinvenibili obblighi in materia di soccorso in mare, rivolti sia al comandante della nave, sia agli Stati costieri. Con riferimento agli obblighi aventi quale destinatario il comandante della nave, la regola 33
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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
L’Ammiraglio Birindelli:
l’uomo e il marinaio Due articoli dedicati alla Medaglia d’oro al valor militare 52
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L’Ammiraglio Birindelli: l’uomo e il marinaio
La figura morale e le qualità umane dell’Ammiraglio Paolo Birindelli (*)
I
l gruppo ANMI di Pescia (per come meglio spiegato nell’altra parte di questo scritto) nel corso della primavera del 2018 ha voluto ricordare il settantesimo anno dalla fondazione del Gruppo conferendo un risalto tutto particolare all’evento attraverso la contemporanea concelebrazione del decennale dalla scomparsa dell’ammiraglio Birindelli, non solo in quanto eminente concittadino, ma soprattutto nella sua veste di Uomo e di Marinaio cui è co-intitolato il Gruppo pesciatino. Al sottoscritto, in qualità di figlio primogenito, è toccato l’indubbio onere, ma soprattutto l’onore, di parlare di Lui per rievocare alcuni episodi e taluni momenti della sua vita attraverso i quali fare conoscere ai più, ovvero a coloro che per sorte non hanno avuto modo di conoscerlo direttamente, alcuni episodi o per meglio dire alcuni brandelli della sua sfera di «vita privata nel pubblico» mentre per taluni altri la narrazione è tornata, per come egregiamente posto in risalto dell’ammiraglio Lertora stesso, su fatti e momenti che taluni hanno condiviso, che altri già conoscono, che magari sono stati raccontati più e più volte in differenti contesti e in altre svariate circostanze. Compito assai arduo per un figlio quando si accinge a trattare del proprio Genitore, alla continua ricerca di brandelli o piuttosto di pezzi di vita e di memoria che trattino, sopra ogni altro, di «Lui con gli altri» e non soltanto di «Lui con noi» onde evitare di cadere in quel fenomeno in prevalenza connesso ai ricordi di soverchiante natura familiare ovvero personale che poco o nulla interessano i lettori in genere o magari gli estranei in particolare. Il solo modo che conosco per rendere al meglio tutto ciò è quello di riandare con la memoria a taluni episodi di contatto e di dialogo tra padre e figlio, avvenuti spesso molto tempo addietro, magari quando io ero ancora molto giovane e poco mi rendevo conto del tempo che inesorabilmente passava e che, prima o poi, mi
avrebbe inevitabilmente privato della fonte primaria di quei racconti, sulla testimonianza di certe vicende e determinati fatti, di cui taluni accaduti prima della mia nascita. Anni nei quali, mi pare doveroso il doverlo ammettere, da giovane ragazzo ero forse più interessato ad altri aspetti dell’esistenza piuttosto che non l’assorbire dalle sue labbra la sua versione di determinati spezzoni di Storia Patria, della storia della Marina Militare e della sua vita all’interno di essa, e per come detto in avanti, come della sua esperienza umana in genere, soprattutto di quella pubblica nonché di quella strettamente professionale. Appare tuttavia evidente che queste memorie hanno per lo più avuto lui pressoché come unico protagonista del raccontare sebbene in talune altre circostanze vi siano stati altri «story tellers» vuoi che fossero stati suoi compagni di vita e di avventura in guerra (vedi Gigi De la Penne in primis ovvero Antonio Marceglia e anche Damos Paccagnini, il suo secondo sul maiale nell’azione di Gibilterra nell’ottobre del 1940, giusto per citarne alcuni) oppure persone imbarcate assieme a lui nel periodo del Montecuccoli quali Giuseppe Oriana, il comandante in seconda durante il giro del mondo nel 1956/57, come Gianfranco Alberini, quale suo aiutante di bandiera negli anni di comando alla Squadra Navale. Voglio anche dire che da tutti questi racconti ho successivamente cercato di estrapolare il senso delle cose per tentare di fare una sintesi del suo pensiero, del Suo animo ma soprattutto della sua filosofia di vita e dei suoi comportamenti, soprattutto quelli di uomo, prima ancora di quelli del marinaio, che in quanto tale vengono qui magistralmente riportati nello scritto di Lertora con la sintesi del «service before self». Il primo di questi molti quadri è inevitabilmente legato ai suoi anni giovanili prima della Seconda guerra mondiale nel periodo di imbarco sui sommergibili quando durante una prolungata uscita in mare si verificò la circostanza per cui a un membro dell’equipaggio (credo fosse un marinaio, ma non ne sono certo) soprav-
(*) Ha frequentato il Collegio Navale Francesco Morosini per poi laurearsi in architettura. Ha servito in Marina Militare quale ufficiale di complemento imbarcato sulla B. C. Stella Polare. Lasciata la Forza Armata ha insegnato in alcune università degli Stati Uniti per dedicarsi in seguito alla professione in svariati paesi esteri, soprattutto Brasile e Cina.
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gabriele nunziatella_Layout 1 26/02/2019 11:24 Pagina 68
STORIA E CULTURA MILITARE Ildebrando Goiran, Ammiraglio di squadra, ufficiale della Regia Marina proveniente dalla Nunziatella. Meritò la medaglia d’oro al valore militare durante la Grande Guerra (Fonte: USMM). Nella pagina accanto: una veduta aerea della Scuola militare della Nunziatella, oggi (Fonte: esercito.difesa.it).
Marinai della «Nunziatella» Mariano Gabriele (*)
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Marinai della «Nunziatella»
L
a scuola militare napoletana della Nunziatella, considerata specialmente come istituto di preparazione per gli ufficiali dell’Esercito, ha avuto nel corso della sua storia secolare diversi momenti di contiguità ed esperienze di sbocchi anche nella Marina. Quando Carlo di Borbone giunse dalla Spagna a Napoli nella primavera 1734, ritenne subito necessario potenziare le Forze Armate e la strada maestra che imboccò fu la formazione e la preparazione morale e tecnica degli ufficiali. Il primo degli istituti militari napoletani fu l’Accademia di Marina, fondata nel dicembre 1735 e denominata alla spagnola «dei guardia stendardi» (1), che dopo aver avuto sede alla Darsena e in diversi edifici nella zona di Pizzofalcone e di altri rioni, fu trasferita il 5 settembre 1752 nel convento del Noviziato dell’Annunziatella (2) dei padri gesuiti, dove restò tre anni. Nascevano intanto a Napoli altre istituzioni per la preparazione di quadri militari terrestri e il 28 maggio 1787, John Acton, ministro della Guerra e della Marina di Ferdinando IV, poteva annunciare l’insediamento della Reale Accademia militare nel palazzo della Nunziatella, sito sulla collina antistante Castel dell’Ovo. Il successivo 18 novembre ebbero inizio le lezioni. L’Acton, particolarmente sollecito della qualità dell’istruzione e della preparazione degli ufficiali, aveva voluto che venissero studiate a fondo le corrispondenti esperienze francesi e del mondo tedesco al fine di tenerne conto nel nuovo Istituto di Napoli, e un gruppo di ufficiali diretti dall’allora tenente del Genio Giuseppe Parisi fu incaricato di esaminarle. Gli insegnamenti coprivano nove classi, essendo le
prime sette comuni a tutti gli allievi e le ultime due specialistiche delle Armi cui ciascuno si indirizzava. Una Ordinanza del 1798 confermò che fine della Scuola e del metodo educativo doveva essere, insieme allo sviluppo e all’addestramento del corpo, quello della mente e del cuore in chiave attiva, così che i giovani non acquisissero solo nozioni provenienti dall’alto, ma fossero capaci di riflessioni e di giudizi autonomi. Nel 1799, durante la Repubblica napoletana, la Scuola assunse la denominazione di Accademia Militare Nazionale, ma venne soppressa al ritorno della monarchia, sebbene di fatto continuasse a operare con un gruppo di allievi. Nel 1801 la Nunziatella riprese la sua funzione con il nome di Real Convitto Militare prima, e poi (1802) di Real Accademia Militare, continuando a svolgere, dopo l’occupazione francese, la sua attività più tradizionale di preparazione per i quadri dell’Esercito. L’istruzione primaria militare marittima veniva assicurata allora da una nuova Accademia di Marina, fondata nel 1818 dal ministro Diego Naselli e articolata su due collegi, il primo dei guardiamarina e aspiranti, il secondo degli alunni marinai. Tra il 1835 e il settembre 1841 sia l’uno che l’altro furono accolti alla Nunziatella, dalla quale, tre anni dopo, gli aspiranti guardiamarina furono trasferiti altrove: tra quelli che vi si formarono vanno ricordati almeno i fratelli Acton, due dei quali furono ministri della Marina. Del resto, il legame col mare, anche nel corso degli anni a orientamento terrestre, non venne mai a cessare del tutto, perché la preparazione degli allievi di artiglieria riguardava sia l’Esercito che la Flotta.
(*) Ha insegnato per 30 anni Storia Contemporanea e Storia e Politica Navale nellÊUniversità di Roma. Autore di 30 volumi e 120 saggi e pubblicazioni, ha ricevuto 5 premi scientifici in Italia e allÊestero e 2 giornalistici. Consulente storico dello Stato Maggiore della Marina, è attualmente copresidente della Commissione storica italo-tedesca e presidente onorario della Società Italiana di Storia Militare.
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RUBRICHE
F ocus diplomatico Esiste una «grand strategy» dell’Amministrazione Trump? Ogni Amministrazione americana, dalle sue origini a oggi, è caratterizzata dagli storici a seconda di quella che è stata la visione globale della sua posizione nel mondo e dagli interessi fondamentali che ha voluto perseguire. E in questa accezione tutte le Amministrazioni hanno avuto e hanno una loro strategy. Ciò non equivale ad affermare che è stata o è «grand», aggettivo che non solo attribuisce una sorta di blasone che legittima una posizione eminente nella storia d’America, ma che significa avere interpretato — spesso agli occhi della storia più che del presente — in modo ottimale l’interesse degli Stati Uniti per garantirne la sicurezza e la prosperità e poi, man mano, l’affermazione nel mondo: il loro soft e hard power. Ne consegue che ogni Amministrazione cerca di definire una sua «grand strategy» e rivendica di averne una. Truman, Eisenhower, Kennedy, Nixon, Carter, Reagan, George Bush padre, Obama sono tutti arrivati alla Presidenza con una idea più o meno definita di «grand strategy», altri come Roosevelt e G. W. Bush se la sono vista imporre dagli eventi, che li hanno costretti a cambiare visione e obiettivi. La ricerca di una «grand strategy», per tutti è non solo la ricerca di un posto esimio nella storia d’America, ma il modo, come scrive Patrick Porter (professore di strategia e sicurezza all’Università di Birmingham nel suo articolo «Crisis end Convinction»), per organizzare mezzi e finalità per garantire la sicurezza degli Stati Uniti a lungo termine. Per l’establishment americano di questi decenni, dopo il Secondo conflitto mondiale, la sicurezza a lungo ter-
mine è quella del perseguimento di una supremazia duratura e senza rivali. Supremazia contraddistinta da una organizzazione del mondo in senso multilaterale (anche se non ottimale come fu nel caso di G. W. Bush) e liberale. Date queste premesse, si può affermare che l’Amministrazione Trump ha una sua «grand strategy»? Sta perseguendo una visione del mondo destinata a essere duratura e senza rivali? Le premesse sulle quali si è basata la campagna elettorale di Donald Trump sono state tali da mandare scosse e fremiti lungo la spina dorsale di amici e alleati e interrogativi in quella dei nemici: minaccia di governare come un isolazionista, riesumando l’espressione «America First»; tolleranza per una proliferazione nucleare nel mondo; riduzione della presenza militare americana all’estero facendo assumere maggiori oneri degli alleati (soprattutto atlantici); ricerca di un dialogo e intesa con le maggiori potenze militari del mondo; ostilità all’Iran e alla Corea del Nord; relazioni internazionali basate su accordi bilaterali. Obiettivi subito definiti preoccupanti dagli alleati europei e al tempo stesso non privi di vaghezza, come in particolare quello relativo alla proliferazione nucleare. Ciò che invece è stata subito chiarissima è stata la politica di difesa a oltranza degli interessi economici, finanziari e commerciali degli Stati Uniti. E a questo proposito è difficile negare fondamento e legittimità ad alcuni scopi di un Paese che certo ha creato il «new world order», liberale, multilaterale e multietnico, che ha una radicata sensibilità per i suoi interessi commerciali, che vede con crescente preoccupazione restringersi la sua presenza e influenza nel mondo, che sta subendo la concorrenza persistente dei paesi emergenti, al punto di perdere parti notevoli del suo mercato interno,
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RUBRICHE
Osservatorio internazionale
Arabia Saudita: movimenti in cabina di regia
Sotto i riflettori dopo l’inizio della crisi con il Qatar, l’ormai ex ministro degli Esteri saudita, Adel Al-Joubeir, ha dovuto anche assumere la delicata missione di portavoce diplomatico per l’agguerrita campagna militare nello Yemen guidata principalmente dal suo Paese e dagli Emirati Arabi Uniti. Un esercizio difficile che si è com-
L’ex ministro degli Esteri saudita, Adel Al-Joubeir (Fonte: indipendent.co.uk). A destra: l’attuale capo della diplomazia saudita Ibrahim Al-Assaf (Fonte: ibtimes.co.uk)
plicato con lo scoppio del caso Khashoggi. L’ex capo della diplomazia saudita ha dovuto svolgere un ruolo ingrato, affrontando i media e i governi del mondo e difendendo l’indifendibile (spesso attraverso diverse, bizzarre e contradditorie versioni diffuse una di seguito all’altra) in seguito all’assassinio del famoso giornalista saudita nel consolato del suo paese a Istanbul. Stanco, depresso e in condizioni di grande stress da diversi mesi, questo ex ambasciatore a Washington, protetto dal principe ereditario, non era più nelle grazie né dell’amministrazione americana né del re Salman. Quest’ultimo, sembra, su suggerimento dell’ex generale John Abizaid, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Riad, ha deciso di scaricare il suo ministro degli Esteri e abbassarne il livello ministeriale, pur mantenendolo membro del gabinetto, ma sotto gli ordini di un nuovo capo della diplomazia, Ibrahim Abdelaziz Al-
Assaf. Questa decisione è un altro colpo per il suo protettore (oramai ex), onnipotente principe ereditario MBS (Mohammad Bin Salman) che, in difesa del suo protetto, lo legò presto al «suo» prestigioso e influente consiglio per gli affari politici e di sicurezza. Probabilmente è solo una coincidenza, ma il decreto reale (immediatamente esecutivo) è apparso in concomitanza all’improvvisa visita del Presidente Trump in Iraq, che ha avuto come solo risultato quello di rendere ancor più incerta e incandescente la vita politica di Baghdad, dove la formazione di un governo degno di questo nome sembra sia un’opera impossibile. La defenestrazione di Al-Joubeir — considerato un outsider poiché non proviene dai lombi delle famiglie beduine nobili e quindi, per questo, assai malvisto dalla leadership locale che lo ha sempre percepito come un intruso e un parvenu assunto ad alti ruoli solo grazie alla sua amicizia con MBS — è stata parte di una ben più ampia serie di nomine e cambiamenti ai vertici diplomatici, militari e di sicurezza saudita. Mentre il principe Mohammed bin Nawaf, ambasciatore saudita a Londra e il principe Faisal bin Khalid bin Abdulaziz, governatore della regione Assir, sono stati chiamati a far parte del gabinetto reale saudita come consiglieri del re, il principe Abdallah Ben Bandar Ben Abdelaziz ha avuto una posizione leader come ministro della Guardia Nazionale, potentissima guardia pretoriana della monarchia. Ma la vera svolta in questo variegato scenario è la nomina di Ibrahim Al-Assaf, quale capo della diplomazia saudita. L’ex ministro delle finanze, di anni settanta, faceva parte di un gruppo di fun-
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RUBRICHE
Marine militari ARABIA SAUDITA Taglio lamiera per la prima corvette
serie di attività a fuoco condotte insieme all’US Navy nell’ambito delle CSSQT (Combat System Qualification Trails) davanti alle coste occidentali degli Stati Uniti, l’equipaggio del caccia Hobart ha effettuato con successo una serie di lanci reali e tiri d’artiglieria imbarcata contro bersagli simulanti diverse tipologie di minacce in scenari operativi di diversa natura e complessità. Avendo divulgato poche informazioni al riguardo, dalle immagini rese pubbliche è emerso che l’equipaggio dell’Hobart ha testato il sistema di combattimento Aegis allo standard «Baseline 7» con lancio di missili superficie aria Raytheon «Standard SM-2R
Lo scorso 15 Gennaio, presso il cantiere di San Fernando del gruppo Navantia, alla presenza di rappresentanti delle Marine saudita e spagnola, si è tenuta la cerimonia di taglio della prima lamiera della capoclasse delle nuove corvette destinate alla Marina del Paese mediorientale. Il Governo saudita ha siglato con il gruppo Navantia un contratto del valore di 1,8 miliardi di euro che copre la fornitura di cinque corvette, i sistemi imbarcati, il supporto logistico, addestrativo e manutentivo. In aggiunta alla progettazione e costruzione delle nuove unità, Navantia sarà anche responsabile del supporto in vita per cinque anni dalla consegna della prima unità, con opzione per altri cinque anni. In parallelo alla firma del contratto è stata siglata una joint-venture fra il Gruppo Industriale per la Difesa dello Stato Saudita o SAMI (Saudi Arabia Military Industries) e Navantia che prevede la gestione congiunta del programma per l’integrazione e l’installazione del sistema di combattimento a bordo delle cinque corvette, oltre al supporto logistico, addestramento, simulazione e manutenzione. A questi La Royal Australian Navy ha completato con successo la validazione del sistema di combats’aggiunge l’installazione, l’integrazione e la timento del caccia lanciamissili capoclasse HOBART (D 39) negli Stati Uniti. Qui ripreso il lancio di un missile ESSM (Fonte: Australian DoD). certificazione del sistema di combattimento a bordo delle ultime due unità che verrà effettuato in Arabia Block III» e Raytheon «RIM-162B» ESSM (Evolved Saudita. Secondo quanto dichiarato in occasione della ceSeaSparrow Missile) e ha sparato con l’affusto d’artirimonia, il programma porterà al gruppo Navantia, ai subglieria principale BAE Systems «Mk 45 Mod 4» da fornitori e all’indotto ben sette milioni di ore lavoro che 127 mm. L’attività completatasi alla fine dello scorso rappresentano una forza lavoro di 6.000 persone all’anno dicembre è stata preceduta sempre nel corso della camnel prossimo quinquennio, fra lavoro diretto e indiretto. pagna svolta negli Stati Uniti dalle prove del sistema CEC (Cooperative Engagement Capability), condotte effettuando scambio d’informazioni sul tracciamento AUSTRALIA Certificato il sistema di combattimento dei di bersagli aerei e navali con il caccia dell’US Navy John Finn (DDG 113) nelle acque intorno alle Hawaii. nuovi caccia La Royal Australian Navy è la prima Marina Militare La Royal Australian Navy ha completato con sucamica a disporre e operare con il sistema CEC al di cesso la validazione del sistema di combattimento del fuori dell’US Navy. Il completamento con successo caccia lanciamissili capoclasse Hobart (D 39). Con una
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RUBRICHE
Marine mercantili
Pesca del corallo rosso: «via libera» al Piano nazionale
Dal 1o gennaio 2019 è in vigore il Piano nazionale di gestione del corallo rosso (Corallium rubrum), adottato con decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo del 21 dicembre 2018 (1). Piano che rappresenta una novità sia perché è il primo che a livello nazionale (2) disciplina organicamente la materia (dal rilascio dell’autorizzazione ministeriale (3) al regime sanzionatorio, dal fermo precauzionale del prelievo all’individuazione dei porti di sbarco (4), dalla tracciabilità del prodotto (5) all’attività di controllo) (6), sia per la valenza degli obiettivi perseguiti: (i) implementare l’approccio precauzionale alla gestione della raccolta di corallo; (ii) contrastare e prevenire il sovra-sfruttamento del corallo ed incrementare la dimensione delle popolazioni entro limiti biologicamente sostenibili; (iii) stabilire misure di gestione per adeguare i tassi di sfruttamento e la capacità di raccolta a livelli sostenibili.
Ragion per cui il piano in questione, per un verso, individua misure di conservazione del corallo quali i divieti di raccolta nelle aree marine protette/aree marine dei parchi nazionali/zone di tutela biologica e di utilizzo/detenzione di ROV (Remotely Operated Vehicles) (7) e, per altro verso, prevede stringenti misure di gestione come l’obbligo di munirsi di autorizzazione ministeriale e del «Giornale di raccolta del corallo rosso» (8) (Riquadro 1), di esercitare la raccolta mediante l’uso esclusivo della piccozza e a profondità non inferiori ai 50 metri, purché nei limiti di quantità consentita (Riquadro 2) e fermo restando il divieto di effettuare più di tre giornate di raccolta consecutive senza sbarco del prodotto (9). Il tutto unitamente all’obbligo del comandante e/o di appoggio di segnalare nel più breve tempo possibile all’Autorità marittima l’eventuale impossibilità di effettuare lo sbarco nei porti designati (10) e di trasmettere via fax o posta elettronica copia del «Giornale di raccolta di corallo rosso» debitamente compilato e sottoscritto.
Corallo rosso del Mediterraneo (Fonte: pixnio.com).
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RUBRICHE
Scienza e tecnica I GRANDI TECNICI DELLA MARINA MILITARE: L’ATTIVITÀ DELL’AMMIRAGLIO UMBERTO CAGNI COME ESPLORATORE E SCIENZIATO Su questa rubrica abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, trattando le figure di Benedetto Brin (1), Giancarlo Vallauri (2), Giuseppe Rota (3), Domenico Chiodo (4), Umberto Pugliese (5), Vittorio Emilio Cuniberti (6), Edoardo Masdea (7), Ugo Tiberio (8) e Gian Battista Magnaghi (9). In questo numero tratteremo invece dell’ammiraglio Umberto Cagni, ufficiale di Vascello giunto al culmine della scala gerarchica, noto per la partecipazione alla spedizione polare del 1899-1900, nel corso della quale stabilì un nuovo primato di avvicinamento al Polo, e ad altre attività esplorative in alta montagna, oltre che per le sue attività operative, come la presa di Tripoli nel 1911, la partecipazione alla Prima guerra mondiale e il suo ruolo nella crisi dalmata del 1919-20. Cagni, nel corso della sua carriera, si occupò anche, con discreto successo, di problematiche tecniche, e in particolare svolse attività scientifica nel corso della spedizione polare. Nei secoli delle grandi scoperte geografiche, fino a tutto il XVIII secolo, gli ufficiali di Marina svolgevano spesso un importante ruolo scientifico, occupandosi con un approccio che oggi si definirebbe pluridisciplinare, di flora, fauna, geologia e anche delle caratteriste antropologiche dei nativi; basti ricordare il viaggio di Cook. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo le grandi scoperte geografiche erano già state fatte, e le uniche zone ancora da esplorare erano quelle polari, oltre alle
vette delle montagne più alte. È proprio alla conquista di queste zone ancora sconosciute che si dedica il giovane ufficiale di Marina Umberto Cagni, trascinato dall’amico Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi. Cagni conosce il duca, di dieci anni più giovane, nel 1889 a bordo della Regia Nave Amerigo Vespucci. Nel 1894 il duca lo volle con sé come ufficiale d’ordinanza e in quello stesso anno Umberto Cagni frequentò, a Torino, un corso di elettrotecnica svolto da Galileo Ferraris (10), allo scopo di dotarsi di una preparazione scientifica in vista di successive campagne di esplorazione, che erano evidentemente già allora nei programmi del duca e di Cagni. Nel 1897 il duca degli Abruzzi e Umberto Cagni affrontarono una prima grande spedizione alpinistica scalando, con 8 compagni (tra cui 4 guide alpine valdostane), il Monte Sant’Elia in Alaska, una montagna alta 5.488 m (secondo le stime dell’epoca 5.514), situata sul confine tra Alaska e Yukon canadese, che per la sua posizione è contemporaneamente la seconda montagna più alta del Canada, dietro il Monte Logan, e degli Stati Uniti, dietro al Monte McKinley. Posto il primo campo il 29 giugno, il gruppo iniziò la marcia verso la montagna il 1O luglio. Il 30 luglio, in una rara giornata di bel tempo, gli Italiani divisi in tre cordate intrapresero l’attacco finale, vittoriosamente compiuto il giorno successivo: alle 11.55 del 1O agosto il Duca degli Abruzzi raggiunse per primo la cima, subito seguito da Cagni e dagli altri. Nella primavera del 1898 il Duca degli Abruzzi si recò a Christiania (11) con Umberto Cagni e altri, tra cui il Tenente di Vascello Francesco Querini e il Capitano Medico Achille Cavalli Molinelli, per organizzare
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Rivista Marittima Gennaio 2019
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RUBRICHE
C he cosa scrivono gli altri «Has the United States Lost Command of the Sea?» U.S. NAVAL INSTITUTE PROCEEDINGS MAGAZINE, JANUARY 2019
VOL.
145/1/1, 391,
Nel mensile in parola, il più longevo magazine degli Stati Uniti, avendo iniziato le proprie pubblicazioni nel lontano 1874 (quindi sei anni dopo la nostra Rivista Marittima!), ci presenta un articolo che si distingue per la sua chiarezza nel rispondere all’importante punto di domanda che ci pone nel titolo stesso. A cominciare dalla definizione stessa di «Command of the Sea» (CofS) da intendersi sic et simpliciter, secondo l’Autrice, «the ability to move merchants and armies through the sea at will — and to prevent an opponent from moving theirs». Un approccio dunque chiaro e distinto per presentare ictu oculi al lettore una formula strategica che dietro di sé ha una lunga, lunghissima elaborazione concettuale. Approccio tipico invero del pragmatismo degli analisti americani (o almeno della maggioranza di essi), come pure leggo in un recentissimo articolo apparso sul quadrimestrale Joint Force Quarterly (n. 91, 4o Quarterly 2018), nel quale il professor James Hasik della prestigiosa NDU (National Defense University), ci ripropone una definizione di strategia come «a plan, tying means to ways, to achieve overall ends». Definizioni semplici e chiare, pratiche, «da lavoro», sarei tentato di dire, che si apprezzano ancor di più, conoscendo l’infinito dibattito critico che hanno storicamente suscitato e che inevitabilmente riemerge nel corso del presente saggio. Laddove ci si premura di sottolineare come la predetta definizione
iniziale tenga in realtà presente in nuce quanto ci hanno insegnato sul tema i principali autori classici e moderni della letteratura strategica, noti e meno noti, puntualmente citati: dagli intramontabili «Mahan e Corbett a Bernard Brodie, Robert Rubel, Milan Vego, Benjamin “BJ” Armstrong e John Kuehn». Due sono le componenti del CofS, ci ricorda l’Autrice: «global naval influence» e «local sea control», la cui combinazione «indivisibile» permette agli Stati Uniti di controllare il commercio mondiale e le forze militari che si muovono attraverso gli oceani, affrontare a loro volta le minacce ai propri movimenti e interessi, bloccando nel contempo i movimenti e gli interessi dei possibili avversari. E se, in termini generali, non esiste al momento potenza marittima capace di opporsi globalmente, è a livello locale (cioè in termini di piattaforme operative e mezzi — whether manned or unmanned, offensive or defensive, sea-based or land-based, precisa l’Autore — per regolare l’accesso a specifiche aree marittime localizzate), che assistiamo alle criticità della US Navy che, oggi, «non ha più navi a sufficienza per affrontare da sola tutte le minacce che si profilano al sea control» in giro per i mari del mondo. Una situazione già venuta alla luce durante l’International Seapower Symposium del 2005, quando il Vice Admiral Mike Mullen introdusse il concetto di una «1,000-ship Navy» — cioè una sorta di fleet-in-being comprensiva della Marina degli Stati Uniti e del contributo ad hoc di quelle dei suoi alleati/amici — con la precipua finalità di «to improve maritime security». Una proposta che è stata invero seguita da vari Paesi in contesti e assetti multinazionali a guida americana, che hanno dato luogo a una sorta di «collective or corporate command of the sea», non foss’altro che a livello regionale (e al riguardo potremmo ricordare, a titolo esemplificativo, le CTF 150, 151 e 152, in funzione antipirateria e antiterrorismo nella cruciale area del Golfo Persico e mari adiacenti). Ma soprattutto, conclude l’Autrice, la Marina degli
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Recensioni GENNAIO con Benocci_Layout 1 05/03/2019 16:26 Pagina 124
RUBRICHE
Recensioni e segnalazioni Danilo Ceccarelli Morolli
Appunti di Geopolitica Valore Italiano Roma 2018 Pagg. 301 Euro 26
In un sistema globale come quello attuale, caratterizzato da una pluralità di soggetti politici e dalla mancanza di un centro di riferimento, in un tempo di conflitto tecnologico ed economico, di guerre locali e di religione, di fabbisogno energetico e di suolo, di flussi migratori ininterrotti, è opportuno interrogarsi sul ruolo che può o deve svolgere la geopolitica. Può essa aiutare a comprendere le dinamiche che sottendono agli attuali rapporti internazionali e in che modo? È possibile affermare, sin da subito, che il libro di Danilo Ceccarelli Morolli non solo risponde al quesito proposto, ma va oltre e dopo aver definito, nel primo capitolo, il concetto di geopolitica lo contestualizza rispetto al mondo contemporaneo. Il secondo capitolo del volume è, infatti, dedicato alle geopolitiche, ovvero a tutti quegli elementi che appartengono alla struttura della geopolitica contemporanea. Si parte da una geopolitica dell’Intelligence, che a sua volta trova fondamento nella ragion di stato, che si traduce nell’acquisizione di conoscenza per la sicurezza e l’interesse nazionale. Ma oggi l’attività di intelligence deve tener conto di un contesto caratterizzato dai progressi tecnologici che hanno profondamente cambiato il sistema di comunicazione e informazione. Non si tratta più del classico spionaggio e controspionaggio, bensì di Cyber War e Cyber Security, a cui si affianca un’Intelligence civile, a sua volta declinabile in economica, industriale e finanziaria. Quindi lo Stato deve avere gli strumenti e le competenze per agire in
uno spazio che è quello della geopolitica di internet, che a sua volta pone questioni di rispetto del limite dell’azione dello Stato stesso. Immediatamente il lettore comprende la complessità del sistema di relazioni globali attuali. Ma l’Intelligence deve tener conto anche di una geopolitica di sicurezza strettamente connessa al mondo delle comunicazioni digitali. Il terrorismo radicale islamico, per esempio, opera grazie ai cosiddetti «lupi solitari», ma diffonde il suo messaggio grazie a internet e ai social networks. Anche i gruppi criminali storici, come le mafie, con l’arrivo delle nuove tecnologie hanno cambiato pelle adattandosi e sfruttando il nuovo sistema di comunicazione globale. La geostrategia, la branca più antica della geopolitica, fondata sull’assunto che non esiste Stato senza una Forza Armata connaturata al territorio, alle alleanze e ai rapporti internazionali, deve fare i conti con il progresso tecnologico che ha caratterizzato lo sviluppo delle tecnologie militari: dagli aerei del XX secolo ai droni del XXI. L’emergere della geoeconomia e della geofinanza ha finito con il ridurre la sovranità degli Stati, che a loro volta hanno risposto costruendo apposite Intelligence in grado di tutelare il sistema paese. Quindi, da questi primi elementi, il lettore comprende che la dimensione di potenza di uno Stato non può più essere solo legata al territorio, alla popolazione, alla sovranità o alla sua forza militare e navale. La dimensione di potenza di uno Stato, diremmo oggi, il suo Soft, Hard, Smart Power è determinato da una molteplicità di fattori. Pensiamo alla geopolitica delle risorse ambientali, energetiche, idriche e alimentari. La sostenibilità, come ricordato anche nel volume, è sempre più un imperativo per le comunità e gli Stati a livello globale. E qui, in piena sintonia con ciò che scrive l’autore, possiamo ricordare il ruolo leader che ha assunto negli ultimi anni a livello mondiale la Germania per le sue politiche energetiche e in favore della lotta ai cambiamenti climatici. Interessante è, ancora, il passaggio dedicato alla geopolitica del lavoro. Ricorda l’autore che sin dai tempi delle Crociate o della scoperta dell’Ame-
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