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Guerra ibrida, marittimità e geopolitica

Massimo Franchi

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Gli scontri geopolitici in atto comprovano l’impiego, in ogni area del pianeta, di forze ibride che possono essere rappresentate da organizzazioni terroristiche, criminali, mercenarie, finanziarie, informatiche, energetiche, imprenditoriali, ecc. Si tratta di una molteplicità di minacce opache, senza visibili responsabili e apparentemente prive di coordinamento statale, che spesso danno vita a zone grigie il cui impatto è, nel lungo periodo, devastante. Contro tali rischi dovranno competere, soprattutto negli anni futuri in cui è prevista la transizione verso la digitalizzazione e la decarbonizzazione, le Forze armate delle liberal democrazie e in particolare le Marine Militari, da sempre proiettate a livello internazionale.

Al giorno d’oggi il concetto di guerra ibrida, sia nell’accezione strategica che tattica, non rappresenta una novità, in quanto possiamo rilevare tracce frequenti di minacce ibride in molti settori, sia a livello teorico che pratico, compreso quello marittimo.

Negli Stati Uniti d’America, in una pubblicazione della US Army (1), si parla da tempo di «diverse e dinamiche combinazioni di forze regolari, irregolari, terroristiche, elementi criminali, oppure di una combinazione di tutte queste forze ed elementi, tutti unificati, per raggiungere un vantaggio comune».

La stessa Nato, che ha dovuto contrastare per decenni il patto di Varsavia, indica in un suo importante documento (2) le minacce ibride come le attività poste in atto dagli avversari con la capacità di impiegare simultaneamente mezzi convenzionali e non convenzionali per perseguire i loro obiettivi. Già nel 2016, durante il Warsaw Summit della Nato (3), venne sottoscritta una dichiarazione con il Consiglio e la Commissione europea in relazione alla partnership tra le due organizzazioni

Consigliere strategico per organizzazioni multinazionali. Tra i principali incarichi in ambito universitario: docente a contratto al Master di II livello in Intelligence presso l’Università della Calabria, Research Fellow al Centro CIDEA dell’Università di Parma, testimone e docente a contratto nel corso integrativo di Rischio Politico nella laurea magistrale FRIM dell’Università di Parma dal A.A. 2017-18, membro del Laboratorio di Diritto del Mercato e delle Nuove Tecnologie (DiMeTech) dell’Università di Parma e docente Fondazione ITS Tech&Food. Conferenziere per organizzazioni militari internazionali e di polizia economica è iscritto all’albo docenti della SNA presso la PCM per Management pubblico e innovazione digitale. Direttore della Winter School di Geopolitica in onda su Stroncature. È autore del libro «Riflessioni sul management responsabile», coautore dei libri «Guerra Economica» e «Investimenti diretti esteri e intelligence economica».

che comprendeva la sicurezza marittima e il contrasto alle minacce ibride poste in essere dalla Russia.

Inoltre, possiamo constatare che esistono diversi termini utilizzati per riferirsi al fondamentale concetto di guerra ibrida (dal lat. hybrĭda «bastardo»), come per esempio quelli di minacce ibride, avversari ibridi, guerra sporca, guerra non tradizionale e guerra di influenza.

Un primo tema di analisi potrebbe essere rappresentato dai conflitti attuali presenti nel mondo che sono divisibili, secondo Timothy McCulloh e Richard Johnson (4), in tre macro categorie: convenzionali, non convenzionali (irregolari) e ibride.

Mentre i conflitti convenzionali sono operati da organizzazioni militari che adottano comportamenti conformi alle leggi nazionali o internazionali ed equipaggiamenti e sistemi d’arma con standard comunemente accettati, i conflitti non convenzionali prevedono l’impiego di organizzazioni militari non conformi agli standard di comportamento e di capacità comunemente accettati. Dal punto di vista di Timothy McCulloh e Richard Johnson, un approfondimento è richiesto specificatamente dalla terza categoria, quella della guerra ibrida, nella quale una «forza ibrida» impiega combinazioni di organizzazioni, convenzionali e non convenzionali, equipaggiamenti e tecniche in un unico ambiente che è stato disegnato e realizzato per ottenere un effetto strategico e sinergico. Tale ambiente, nel quale l’obiettivo è un vantaggio asimmetrico, mette a rischio gli Stati-nazione, come per esempio gli Stati Uniti d’America, ma soprattutto molti paesi europei che si sono dotati di forze tipicamente convenzionali e che non sono preparati ad affrontare questo tipo di minacce. Nella loro opera Timothy McCulloh e Richard Johnson indicano che occorre avere una visione olistica di tutti gli elementi del potere nazionale: diplomatico, educativo, militare, economico, finanziario, informativo e legale; è in questi ambiti che il vantaggio asimmetrico potrà sortire un effetto tenendo conto del tempo, della profondità e dell’intensità. Normalmente le organizzazioni ibride vanno incontro a questi destini: sconfitta o assorbimento da parte delle forze regolari oppure transizione e passaggio nelle forze regolari. Il primo caso citato dagli autori è quello dei Viet Cong, mentre il secondo caso è ben rappresentato dal network partigiano sovietico durante la Seconda guerra mondiale.

Una particolare prospettiva, a livello strategico, è rappresentata dal pensiero dello stratega della Difesa americano Nathan Freier (5) per il quale il «concetto ibrido»

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è la prassi nello stato di natura in cui aspetti chiave, di molteplici sfide strategiche, sono combinati in uno.

Sempre a livello strategico, risulta di fondamentale interesse il pensiero dei colonnelli cinesi Qiao Liang e Wang Xiangsui (6), per i quali «la prima regola della guerra senza restrizioni è che non ci sono regole, senza nulla di proibito». Secondo i due militari e studiosi, il conflitto futuro comporterà punti di connessione tra tecnologia, politica, economia, religione, cultura, diplomazia e Difesa, creando infinite possibilità e complessità. Nel loro pensiero diventa di grande rilevanza il concetto stesso di vittoria che non è da ricercare sul campo di battaglia fisico, secondo i dettami del pensiero comune militare occidentale, ma invece altrove. Infatti, «la lotta per la vittoria si svolgerà su un campo di battaglia oltre il campo di battaglia», con una visione olistica e senza limiti.

Secondo Frank Hoffman, divenuto un punto di riferimento per la dottrina, la guerra ibrida è la sinergica

fusione di forze convenzionali e non convenzionali, congiuntamente al terrorismo e a comportamenti criminali, in una visione nella quale non esiste più una linea di confine definita dalla legge. Il termine guerra ibrida, che emerge per la prima volta nel 2007 in un documento intitolato U.S. Maritime Strategy (7), descrive la convergenza di minacce regolari e irregolari attraverso l’impiego di semplici e sofisticate tecnologie in modalità decentrata. Si tratta di uno scenario nel quale attori statali e non-statali possono operare sia a livello strategico che tattico-operativo per raggiungere il loro scopo. Un ambiente nel quale sanno ben operare tutti quegli Stati per i quali la minaccia ibrida non è solo un vantaggio fisico, ma anche un beneficio cognitivo da raggiungere, magari in modalità «nascosta», aggirando per esempio la Convenzione di Ginevra oppure le regole di ingaggio prestabilite.

Sempre a livello strategico occorre citare il contributo di altri autori, come Jeffrey Cowan (8), per il quale la pressione della globalizzazione consente alle potenziali minacce ibride di accedere alla capacità convenzionale attraverso l’uso della finanza globale, delle informazioni e della tecnologia. Questa visione sull’utilizzo della finanza globale come arma ibrida è molto interessante, considerando l’impatto che le turbolenze di un mercato finanziario potrebbero avere su un intero Sistema Paese e sul tessuto industriale con conseguenti danni occupazionali e nella distribuzione dei redditi (9). Il tema della criminalità e del terrorismo riemerge anche nel contributo di Daniel Lasica (10), il quale descrive la guerra ibrida simultaneamente come elemento strategico e tattico a causa della fusione di metodi convenzionali, non convenzionali, criminali e terroristici. Per il suo modello teorico, l’attore ibrido otterrà sempre un «vantaggio strategico percepito» rispetto all’attore convenzionale, indipendentemente dai risultati tattici reali.

Questa combinazione di minacce che abbiamo appena descritto, condivisa e proposta da quasi tutti gli autori sopra citati, non è però apprezzata da David Sadowski e Jeff Becker (11)per i quali la riduzione in categorie non è in grado di fare comprendere la complessità dell’approccio ibrido alla guerra. I due autori argomentano, nella loro opera, che l’aspetto essenziale della guerra ibrida è l’unità sottostante che genera effetti negli approcci cognitivi e materiali. L’adattamento interattivo di questa unità consente flessibilità e consequenziale sfruttamento, da parte delle forze ibride, di continue opportunità sia in termini materiali che di influenza cognitiva dell’ambiente.

In tale prospettiva si ritiene doveroso condividere le interpretazioni del Regno Unito, che dopo la Brexit potrebbe impostare una nuova strategia ibrida e del piccolo e agguerrito stato di Israele. La dottrina militare britannica (12), che fondava le sue radici in un impero

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globale mantenuto in vita dal Commonwealth (13), vedeva la guerra ibrida come un aspetto della guerra irregolare. Infatti, in questa prospettiva non era fatta nessuna distinzione tra guerriglia/forze irregolari e altre forze equipaggiate per applicare tattiche asimmetriche. Tuttavia, nella revisione integrata alla politica di sicurezza e Difesa del 2021 (14), oltre a un maggior dispiegamento delle forze britanniche a livello globale, con ampliamento delle basi e inclinazione verso l’area indo-pacifica, per missioni che rafforzino il contrasto alle minacce terroristiche, ibride e grigie, è indicato il ruolo fondamentale della Royal Navy e dei Royal Marines. Strategia ben descritta dal primo ministro Boris Johnson che ha dichiarato l’ambizione per il Regno Unito di essere «la prima potenza navale d’Europa» (15), attraverso un approccio proattivo alla formazione dell’ordine internazionale, il contrasto al concorrente «sistemico» cinese e alle minacce ibride.

Diversa è invece la posizione dei teorici dello stato di Israele (16), per i quali la guerra ibrida è un metodo di guerra sociale, senza però vincoli sociali da rispettare. Anche in questo caso il faro è puntato sul vantaggio cognitivo, ottenibile grazie alla mancanza di restrizioni sociali cui devono far fronte invece le forze statali convenzionali. Secondo gli studiosi israeliani, le cui Forze armate sono messe alla prova quotidianamente, le forze ibride operano come un sistema di reti, molto più rapido e flessibile da dispiegare delle forze convenzionali che devono avere dalla loro l’opinione pubblica e continui riscontri interni. La loro visione è meno schematica di quella americana e accentua maggiormente la sinergia delle componenti ibride e la loro natura logica. Nel settore marittimo le minacce ibride possono avere effetti devastanti e assumere connotazioni estremamente variegate, sia in ambito civile che militare. Gli attacchi cibernetici alla portualità (17) hanno dimostrato come l’interruzione della catena logistica, tesa al blocco delle operazioni e non al furto dei dati, possa mettere in crisi il bilancio delle aziende compromesse e l’area economica interessata dall’evento. Il controllo di un porto da parte di organizzazioni criminali può rappresentare una minaccia ibrida rilevante sia all’economia, ma anche alla sicurezza nazionale e alla Difesa. Nel settore militare un’operazione finanziaria apparentemente innocua, come per esempio l’entrata di un fondo di investimento estero nel capitale di un’azienda italiana della cantieristica, potrebbe provocare, a lungo termine, danni ben maggiori di un’azione bellica tradizionale. Oltre a questo tipo di minacce sono poi presenti attività offensive condotte, per esempio, tramite un’imbarcazione civile di dimensioni rilevanti. In merito si segnala quanto è accaduto nel Mare Cinese Meridionale nel 2016, contro una flotta di pescherecci vietnamiti (18). Nel caso specifico l’attacco notturno,

nella Zona Esclusiva e a circa150 miglia dalla costa vietnamita, ha previsto la messa in mare, dalla nave appoggio (circa 2000 tonnellate), di tre motoscafi armati, l’utilizzo di armi da fuoco di grosso calibro e di droni per interdire le comunicazioni. Il dispositivo dispiegato da questa azione offensiva, non rientrante nel concetto tradizionale di guerra navale né in quello di operazione per l’applicazione della legge, ha dimostrato una rilevante capacità organizzativa e disponibilità di risorse economiche.

Secondo Alexander Lott (19), per il quale vi è ancora una mancanza di comprensione su come le minacce ibride possano rappresentare una sfida al diritto di navigazione, la domanda principale è come il diritto del mare possa contribuire a garantire lo stato di diritto nelle principali rotte oggetto di attacchi. Infatti, l’impiego di armi da fuoco, esplosivi, fermo di navi, attacchi informatici, minacce, coercizione economica,

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pirateria, reti marittime «grigie», rappresentano solo la punta dell’iceberg, sotto la quale l’effetto moltiplicatore generato dalle organizzazioni implicate potrebbe, a seconda dell’obiettivo, arrivare al danno ambientale diretto, derivante per esempio dal danneggiamento chirurgico di un gasdotto, oppure indiretto, come la costruzione di isole artificiali. Sia il settore civile che quello militare possono poi risentire delle crisi e delle tensioni che si verificano nella supply chain marittima globale, oppure derivanti dall’entrata di un nuovo socio nel consiglio di amministrazione di una società quotata, o dal furto di dati sensibili e commerciali e di tutte quelle prassi tese a influenzare la governance aziendale. A tali minacce si sommano le preoccupazioni potenziali che talune intimidazioni possano rappresentare per il controllo di infrastrutture energetiche critiche, per il commercio marittimo internazionale, arrivato a scambiare 11 miliardi di tonnellate, circa il 90% del commercio globale (20), o per la protezione della pesca.

Come precedentemente indicato, gli Stati Uniti d’America sono probabilmente il paese occidentale nel quale possiamo rilevare il maggior contributo allo studio delle minacce ibride. Il loro quadro di analisi globale ha infatti espresso concetti di grande interesse che possiamo ritrovare in alcuni documenti come il U.S. Army Field Manual 5-0 (21).

Nel manuale, le minacce ibride sono definite come combinazioni dinamiche di capacità convenzionali, irregolari, terroristiche e criminali che si adattano per contrastare i vantaggi tradizionali. Sempre un altro documento americano, il Army Field Manual 3-0 (22), descrive le minacce ibride come una diversa e dinamica combinazione di forze regolari, irregolari, elementi criminali, o come una combinazione di queste forze ed elementi tutti unificati per ottenere un beneficio reciproco. Secondo questa prospettiva, tali forze combinano le loro abilità passando dall’uso di tattiche e armi regolari a quelle irregolari. Un passaggio di minaccia che è rilevato quotidianamente nelle aree strategiche del pianeta, come il Mar Cinese Meridionale, il Mar Baltico, lo Stretto di Hormuz, il Mar Nero, ecc. Si tratta di garantire la sicurezza ai trasporti navali, ma anche ai passaggi delle pipeline di gas naturale e petrolio, in regioni marittime che vedono il sempre più frequente intervento degli stati costieri. Per esempio, il Mar Baltico consente alla Russia di condizionare sia la Nato che i paesi della UE attraverso l’utilizzo sapiente della guerra informativa. Il conflitto in Georgia nel 2008 ha rappresentato per molti studiosi il punto di svolta nella guerra ibrida moderna. Secondo Murphy e Schaub (23), dopo l’insegnamento ceceno e il parziale successo georgiano, possiamo focalizzare l’attenzione proprio sul termine «zona grigia» per comprendere al meglio la tipologia di azioni organizzate dai russi per ottenere obiettivi strategici senza superare la soglia del conflitto bellico.

Nella guerra ibrida occorre dunque superare la logica del pensiero dicotomico occidentale, che ben si esprime nel codice binario e per il quale siamo portati a distinguere tra guerra e pace, amico e nemico, buono e cattivo, violento e non violento, ecc. Invece, la complessità del concetto ci spinge a riflettere su un’area di ambiguità e opacità alimentata da una costante campagna di disinformazione atta a modificare il pensiero cognitivo e decisionale dell’avversario, probabilmente determinato a rispettare i propri valori e le proprie credenze. Forze per procura, mercenarie o criminali anche di altre nazionalità, possono operare per rallentare o bloccare il processo decisionale del policy maker, senza che una nave e un sottomarino si muova dalla propria base o si sposti da una rotta. La stessa difesa da queste minacce potrebbe generare confusione e scontri tra le forze politiche interne, rallentando le operazioni o semplicemente congelando la risposta magari per semplici problemi di bilancio o per la protesta di una minoranza.

Per Murphy e Schaub, in ambito navale la Cina e l’Iran hanno dimostrato di esprimere un potenziale ibrido destabilizzante considerevole, derivante dall’impiego contemporaneo di flotte civili per procura, dalla diplomazia tradizionale, dai media amici e sapientemente informati, da minacce e accuse continue nelle sedi internazionali, dai processi di revisione storica, dalla provocazione di incidenti casuali durante le operazioni di manovra in porto e dalla reinterpretazione del diritto marittimo. Per il prossimo futuro sarà interessante capire, dopo il disimpegno americano dal qua-

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drante medio-orientale, come riprenderanno le azioni di disturbo nell’area e soprattutto se la comunità internazionale deciderà di dare una risposta coordinata. Una risposta che dovrà considerare, in una visione strategica più estesa e fuori area, anche la protezione delle reti di comunicazione sottomarine, fondamentali per le comunicazioni dati intercontinentali, le rotte dei commerci internazionali e i principali porti.

Per terminare, è necessario comprendere se le forze ibride possano essere considerate organizzazioni militari a tutti gli effetti e in cosa consiste realmente la capacità ibrida. Infatti, se generalmente la forza ibrida può essere considerata un’organizzazione militare è altrettanto ovvio considerare che essa non è un monolito, ma piuttosto un amalgama di organizzazioni, equipaggiamenti e tecniche — convenzionali e non —impiegate in un ambiente appositamente progettato per ottenere effetti strategici e sinergici, anche sovvertendo l’onere della prova e facendo passare dalla parte del torto chi ha ragione. Questa concezione mette in crisi la maggior parte degli Stati-nazione liberal democratici dotati di sole Forze armate convenzionali e determinati a evitare lo scontro diretto. Le strutture di Difesa di queste democrazie, spesso considerate costose e destinatarie di qualche punto percentuale di PIL, sono orientate su minacce simmetriche e non esprimono, se non con grande difficoltà, capacità ibrida.

La storia ha dimostrato ripetutamente, dal Vietnam all’Afghanistan, come organizzazioni costruite su canoni tradizionali siano collassate di fronte a minacce asimmetriche e come i moderni conflitti riportino inesorabilmente a quanto indicato da von Clausewitz (24). Il generale e teorico prussiano, già agli inizi del 1800, definiva la guerra come atto di forza per costringere il nemico alla nostra volontà e teorizzava nella massima espressione della guerra, quella ideale e assoluta, l’impiego di tutte le risorse disponibili per raggiungere l’obiettivo desiderato.

Dopo duecento anni e due conflitti mondiali, possiamo considerare la guerra ibrida come una forma di scontro, spesso non dichiarato apertamente, nel quale si combatte utilizzando tutte le risorse disponibili, convenzionali e non, in uno scenario mutevole e dinamico in cui il successo sull’avversario può essere determinato non solo dal raggiungimento di obiettivi materiali, ma anche cognitivi, in un arco temporale indefinito. La posta in gioco è, nella maggior parte dei casi, la supremazia geopolitica di un’area del pianeta o di uno specchio d’acqua e lo sfruttamento di quanto essi contengono. 8

NOTE

(1) Army doctrine Publication (ADP) 3-0. (2) NATO Capstone Concept. (3) 2016 Warsaw Summit of the North Atlantic Treaty Organization (Nato), 8-9 luglio 2016. (4) Timothy McCulloh e Richard Johnson, Hybrid Warfare, JSOU Report 13-4, 2013. (5) Nathan Freier, è uno stratega della Difesa ed ex direttore degli Affari di sicurezza nazionale presso l’Istituto di studi strategici; nelle sue ricerche ha delineato le sfide e le minacce per gli Stati Uniti nell’ambiente di sicurezza post 11 settembre 2001. (6) Qiao Liang e Wang Xiangsui, Unrestricted Warfare, Beijing, PLA Literature and Arts Publishing, 1999. (7) A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower. (8) Jeffrey Cowan, A Full Spectrum Air Force, Air University (U.S.). Air Force Fellows, 2012. (9) Massimo Franchi e Alberto Caruso de Carolis, Guerra Economica, Licosia-Minerva, 2017. (10) Daniel Lasica, Strategic Implications of Hybrid War: A Theory of Victory, School of Advanced Military Studies United States Army Command and General Staff College Fort Leavenworth, Kansas, 2009. (11) David Sadowski e Jeff Becker, Beyond the “Hybrid” Threat: Asserting the Essential Unity of Warfare, Small Wars Journal, 2018. (12) Ministry of Defense, The United Kingdom Joint Doctrinal Note 2/07, Coutering Irregular Activity Within a Comprehensive Approach, Shrivenham Defence Academy, Shrivenham, Wiltshire, UK, 2007. (13) Organizzazione intergovernativa di 54 Stati membri indipendenti, tutti accomunati, eccetto il Mozambico e il Ruanda, da un passato storico di appartenenza all’Impero britannico, del quale il Commonwealth è una sorta di sviluppo su base volontaria (fonte Wikipedia). (14) Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy in March 2021. (15) «Global Britain»: implications for UK military strategy and capability, Volume 27 Comment 28 September 2021, ISSN: 1356-7888. (16) https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/occasional_papers/2010/RAND_OP285.pdf (17) Attacco al porto di Rotterdam del 2017. (18) Maritime Hybrid Warfare is Coming, by Admiral James Stavridis, U.S. Navy (Retired), U.S. Naval Institute, December 2016. (19) A.Lott, Implication of Hybrid Warfare for The Order of the Oceans, Center for International Maritime Security, August 2020. (20) UN Conference on Trade and Development. 2019 e-Handbook of Statistics. United Nations 2019. (21) U.S. Army Field Manual 5-0: The Operations Process. (22) Army Field Manual 3-0: Operations. (23) M.Murphy e G.Schaub Jr., Sea of Peace or Sea of War – Russian Maritime Hybrid Warfare in the Baltic Sea, Naval War College Review, volume 71, n. 2 Spring, Article 9, 2018. (24) Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz (1° giugno 1780 – 16 novembre 1831), generale, scrittore e teorico militare prussiano.

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