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a ricordo di Erminio Bagnasco

Erminio Bagnasco, marinaio e storico navale

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di Maurizio Brescia - Direttore “Storia militare”

Queste sono note che non avrei mai voluto scrivere.

Nelle primissime ore del 13 gennaio scorso, ci ha lasciati il comandante Erminio Bagnasco. Autore a livello nazionale e internazionale di un colossale numero di saggi, articoli, volumi e pubblicazioni di grande valenza per il settore della pubblicistica storico-navale; fondatore nel 1993 del mensile che ho l’onore di dirigere dopo essergli succeduto nell’agosto del 2014, sino ai suoi ultimi giorni, ha continuato a collaborare con navigata competenza, con passione e autorevolezza alle pubblicazioni della nostra casa editrice.

Sono entrato in contatto con il comandante Bagnasco nel 1987, ma lo conoscevo, indirettamente, già molti anni prima perché, sin dagli anni Settanta, quando frequentavo ancora le scuole superiori, ero un appassionato e cultore degli aspetti storici e di quelli tecnici delle Marine militari e diversi suoi libri facevano già parte della mia allora piccola biblioteca.

Lo conobbi di persona in occasione di un raduno dei soci italiani della International Naval Research Organization, un’associazione statunitense che riunisce appassionati e studiosi navali di varie nazionalità e che dal 1963 pubblica il trimestrale Warship International.

Sin da quel primo incontro entrammo subito in sintonia ed Erminio Bagnasco — che per me era e resta «il Comandante» per antonomasia — volle presto coinvolgermi nella realizzazione della componente grafica dei libri della «Nuova serie Orizzonte Mare», collana di cui, insieme all’editore Ermanno Albertelli, aveva avviato la pubblicazione proprio in quegli anni. I disegni e le tavole che preparai per il volume doppio di quella serie sui cacciatorpediniere classe «Soldati» furono il punto di partenza di una collaborazione che si è protratta nel tempo, senza soluzioni di continuità, sino alla sua scomparsa: quasi 35 anni di continui contatti, progetti e «lavori navali» che hanno trasformato un rapporto di cooperazione e stima in una vera e propria amicizia. Non sarei arrivato ad assumere il suo ruolo senza i suoi insegnamenti, il suo appoggio costante, le sue conoscenze, i suoi libri, la sua collezione fotografica e — ribadisco di nuovo — la sua amicizia sempre schietta, anche «burbera» quando era necessario, ma sempre disinteressata, costruttiva e tale da farmi crescere professionalmente e anche umanamente.

È stato proprio questo il pregio di Erminio Bagnasco: aver saputo valorizzare non pochi «giovani» (di allora), favorendone e guidandone la crescita professionale e inserendoli in un ambito di nicchia ma che, a livello nazionale, può contare su migliaia di appassionati soprattutto quando, a ottobre del 1993, firmò da direttore il primo numero del mensile Storia militare.

A partire da allora, l’amico Erminio è stato per me un autentico maestro; volle coinvolgermi sin da subito nell’«avventura» della rivista e in molte altre iniziative editoriali.

Mi mancherà, come mancherà a tutti noi. Ritengo una grande fortuna essere stato prima un suo allievo, poi un suo collaboratore e di essergli subentrato nella direzione della rivista quando decise di lasciare il «servizio attivo». Cionondimeno, negli anni successivi la sua collaborazione proseguì inalterata con il sottoscritto e la casa editrice, continuando sino ai primi giorni di gennaio di quest’anno a riprova di una professionalità, di una passione e di

Porto di Genova, 22 aprile 1957. Un giovanissimo Erminio Bagnasco (a sinistra) insieme a un altrettanto giovane Giorgio Ghiglione — che in seguito si affermerà come uno tra i più importanti fotografi navali del dopoguerra — e, a destra, Aldo Fraccaroli all’epoca già attivissimo nel campo dei reportage fotografici che rea-

lizzava per conto del noto annuario Jane’s all the World Fighting Ships cui, in

seguito, collaborò anche Erminio Bagnasco (coll. Stefano Bagnasco).

Il sottotenente di vascello Erminio Bagnasco, segretario di Comflotmos 1, a

bordo della motosilurante MS 472 nel 1966 (coll. Stefano Bagnasco).

un’amicizia la cui assenza, ora, mi fa sentire più solo, perché si è concluso un periodo unico, irripetibile e bellissimo della mia esistenza. Erminio Bagnasco era nato a Genova, nel novembre del 1937 e, sin da giovanissimo, manifestò attrazione per il mare e la navigazione. Rimase molto colpito dalla perdita in guerra di suo cugino Giancarlo, disperso nell’affondamento del sommergibile Romolo, nel 1943, sul quale era ufficiale di rotta. Dopo il diploma di maturità, conseguito all’Istituto tecnico nautico «San Giorgio», imbarcò come allievo terzo ufficiale di coperta e poi terzo ufficiale su navi mercantili per un paio d’anni fino a quando, nel settembre 1958, fu ammesso al 53° corso Allievi ufficiali di complemento dell’Accademia navale, per il corpo di Stato Maggiore. Nell’estate del 1959 fu nominato aspirante guardiamarina, con specializzazione in artiglieria e missili e, grazie agli ottimi risultati conseguiti negli studi, si classificò secondo nella graduatoria del suo corso.

Dopo un primo imbarco sull’avviso-scorta Orione tentò la strada del volo, frequentando il corso di pilotaggio basico iniziale, a Lecce, alla fine del quale conseguì il brevetto di pilota d’aeroplano su velivolo T-6 Texan, ma non riuscì a superare la fase successiva, rientrando quindi al servizio navale. Imbarcò in seguito sulla nave idrografica Staffetta e poi sulla nave da sbarco Etna come ufficiale addetto al servizio marinaresco; risultò vincitore (1° classificato) al concorso per il transito in servizio permanente effettivo, imbarcando sulla nave scuola Amerigo Vespucci per la crociera estiva del 1961, come sottordine all’ufficiale di rotta. Promosso al grado di sottotenente di vascello, su sua richiesta venne assegnato al Comando Motosiluranti di Brindisi, dove rimase in servizio per diversi anni con l’incarico di comandante di motosilurante, comandante di sezione motosiluranti e segretario di squadriglia (42ª e 44ª), fino al 1966, quando fu trasferito a bordo dell’incrociatore lanciamissili Giuseppe Garibaldi, in qualità di «capo servizio marinaresco» prima e, successivamente, come «capo reparto armi», alle dirette dipendenze del direttore di tiro dell’unità, l’allora capitano di corvetta Franco Papili, uno dei maggiori esperti di artiglieria della Marina Militare. Trasferito nuovamente a bordo del Vespucci nella primavera del 1969, compì la sua seconda crociera addestrativa in nord Europa, questa volta in qualità di «capo servizio marinaresco». Alla fine dello stesso anno, assunse il comando della cannoniera

Erminio Bagnasco, con l’immancabile sigaretta, a bordo dell’Amerigo Vespucci

nell’estate 1969 (coll. Stefano Bagnasco).

Molosso, di base a Venezia, fino all’estate del 1971, quando lasciò la Marina Militare congedandosi con il grado di capitano di corvetta e trasferendosi a Milano per intraprendere l’attività di dirigente d’azienda. In questo nuovo ruolo, nel tempo Erminio Bagnasco collaborò con alcune importanti società industriali, editoriali e finanziarie sino al suo pensionamento, nel 1998. Sin qui gli aspetti biografici, ma, alla sua carriera in Marina e alla successiva attività lavorativa Erminio Bagnasco affiancò sempre quella dell’attività pubblicistica, poi attuata a tempo pieno a partire dal 1998. Già dai primi anni Sessanta, insieme agli amici genovesi Giorgio Ghiglione, Augusto Nani ed Ermanno Martino mosse i primi passi nel settore dell’editoria storico-navale, collaborando anche con il noto pubblicista e fotografo Aldo Fraccaroli, la cui vasta collezione di immagini è oggi conservata negli archivi dell’Ufficio Storico della Marina Militare (USMM). In quel periodo iniziò a scrivere i suoi primi articoli per il periodico Le vie del mare e venne presto chiamato a collaborare con l’Ufficio Storico della Marina Militare, dove incontrò l’ammiraglio Aldo Cocchia (Medaglia d’Oro al Valore Militare, che divenne presto il suo mentore nello studio della storia navale) e l’ammiraglio Antonio Scialdone, anch’egli Medaglia d’Oro e cultore di storia e tradizioni navali. Questa prima fase di attività editoriale portò, nel 1967, alla pubblicazione del suo primo volume di ampio respiro, I Mas e le motosiluranti italiane, edito dall’USMM: una passione che lo accompagnò per tutta la vita anche grazie al periodo di servizio trascorso, come è stato ricordato, a bordo di queste unità. Nel 1974 iniziò la propria collaborazione con un altro «grande» della storiografia navale italiana di quel tempo: Giorgio Giorgerini con cui, «a quattro mani», scrisse il volume Navi in guerra. Gli anni Settanta furono importanti nel consolidamento di Erminio Bagnasco quale affermato e autorevole pubblicista del settore: nel 1973, con I sommergibili della Seconda guerra mondiale, iniziò con l’editore Ermanno Albertelli di Parma una proficua collaborazione che si è interrotta solo alcuni anni fa con la cessazione delle attività della casa editrice. I sommergibili della Seconda guerra mondiale ha beneficiato, nel tempo, di un grande successo nazionale e internazionale, con numerose ristampe dell’opera originaria ed edizioni estere in inglese, tedesco e francese; di poco successivo è il volume Le motosiluranti della Seconda guerra mondiale, testo onnicomprensivo e ancora oggi valido, tant’è vero che è in fase di nuova pubblicazione in Francia.

Tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta uscirono, sempre per i tipi dell’editore Albertelli, numerosi volumi dal caratteristico formato «ad album», anch’essi più volte ristampati e a oggi ancora fondamentali per l’approfondimento della tecnica e delle vicende della Marina italiana nel corso della Seconda guerra mondiale: Navi e Marinai Italiani della Seconda guerra mondiale (a cui Erminio Ba-

gnasco resterà sempre emotivamente legato), I mezzi d’assalto della Xª Flottiglia MAS (in collaborazione con Marco Spertini) e Sommergibili in guerra (insieme ad Achille Rastelli). Sempre della metà degli anni Ottanta è l’avvio della collana «Orizzonte Mare» (nuova serie), relativa a classi di caccia e incrociatori non trattati nella serie iniziale di più di un decennio precedente, pubblicata da diverse case editrici romane.

In seguito, quasi come «splendida» conclusione di un quarantennale rapporto professionale e di amicizia con l’editore Ermanno Albertelli, tra il 2003 e il 2011 venne pubblicata una serie di cinque ricchi ed eleganti volumi di grande formato, anch’essi dedicati a numerosi aspetti storico-tecnici della Regia Marina nel conflitto 1940-45 per la quale vanno ricordati, in particolare, In guerra sul mare e Le navi da battaglia classe «Littorio» 1937-1948. Il primo è una vastissima raccolta di immagini fotografiche, esaustivamente commentate, relativa alle navi, agli uomini e alle attività della Marina italiana nel Secondo conflitto mondiale; il secondo è un testo che ha «fatto scuola» in Italia e all’estero, esaurito da lungo tempo, ma recentemente (2021) riproposto dall’Ufficio Storico della Marina Militare. De Le navi da battaglia classe «Littorio» 1937-1948 è stata realizzata l’edizione in lingua inglese, diffusa in gran Bretagna dall’editrice Seaforth Publishing e negli Stati Uniti dall’U.S. Naval Institute.

La creazione (ma penso sarebbe meglio dire la creatura) di Erminio Bagnasco di più ampio respiro e di maggiore durata è la rivista mensile Storia militare, il cui primo numero uscì in edicola a ottobre del 1993 dopo un lungo periodo di valutazione e studio del settore storico-militare italiano in cui si avvertiva la mancanza di una rivista periodica allo stesso tempo autorevole, ricca di contenuti e aperta alla collaborazione dei principali esperti di argomenti navali, terrestri e aeronautici. Sempre in collaborazione con l’editore Albertelli (e con il fondamentale apporto del Comitato di redazione iniziale, composto da Giorgio Apostolo, Ferruccio Botti, Andrea Curami e Achille Rastelli) Storia militare costituì sin da subito un autentico punto di riferimento, crescendo dalle

iniziali 48 pagine alle attuali 64, affiancata ad aprile del 2012 dal bimestrale «Storia militare dossier» e, dopo che nel 2014 è subentrata la nuova casa editrice, da un secondo bimestrale, «Storia militare Briefing», nel 2017, più indirizzato ad aspetti tecnici di mezzi aerei, navali e corazzati.

Nell’ultimo decennio Erminio Bagnasco ha «firmato», in aggiunta a importanti articoli, numerosi bimestrali, tra cui ricordiamo, per i «Dossier», la riproposizione di titoli come In guerra sul mare, i sommergibili italiani 1940-1943 (alla cui realizzazione ha partecipato anche il sottoscritto), I mezzi d’assalto italiani 1940-1945 e novità come Le corazzate classi «Conte di Cavour» e «Duilio» 1911-1956, scritto con Augusto de Toro e recentemente ripubblicato in lingua inglese sempre dalla britannica Seaforth Publishing. Tra i «Briefing» ricordiamo invece PTBoats: le motosiluranti dell’US Navy, Schnellboote: le motosiluranti tedesche 19391945 e il recente (giugno 2021) Cacciatorpediniere classe Soldati.

Il suo ultimo lavoro, nell’inverno 2020-21, è «Storia militare Dossier» n. 58 e 59 U-BOOTE. I sommergibili tedeschi 1939-1945, scritto a quattro mani con Anthony Vitali Hirst.

Erminio Bagnasco è scomparso a Milano, dopo una lunga malattia, all’età di 84 anni. Lascia un figlio, Stefano, che dal 2015 è presidente del consiglio d’amministrazione di Edizioni Storia Militare S.r.l. e due nipoti, Giovanni e Sinty. Giovanni è un giovane collaboratore di Storia militare in ambito cartografico.

Erminio Bagnasco, mio padre

di Stefano Bagnasco

Dell’opera di mio padre ritengo sia giusto che parlino coloro che hanno lungamente collaborato con lui e che ne hanno idealmente raccolto l’eredità culturale: uno per tutti l’amico Maurizio Brescia, cresciuto alla sua scuola di storiografia navale. Io preferisco invece scrivere di aspetti che riguardano il mio rapporto con lui, nell’ambito della nostra comune passione per la storia.

Mio padre ha sempre scritto. Uno dei primi ricordi che ho di lui, che risale probabilmente all’inizio degli anni Settanta, lo vede alla scrivania intento a scrivere a mano pagine e pagine nel suo leggendario stampatello minuscolo, graficamente perfetto che, poi, mia madre Gabriella era solita battere pazientemente a macchina per gli editori non senza correggere qualcosa, sbuffando, da buona maestra elementare di una volta.

Se ho maturato passione per la storia — che fu sempre una delle mie materie preferite a scuola — lo devo sicuramente a mio padre. Il primo insegnamento che ebbi da lui in questo ambito, quando forse non ero nemmeno adolescente, fu quello che le risposte alle domande che man mano mi ponevo, stavano tutte nei libri e nelle immagini. Il miglior metodo di ricerca storica, poteva essere solo guidato dalla curiosità e dalla capacità di osservazione e confronto. In particolare, il grande valore delle fotografie, secondo il pensiero di mio padre, sta nelle certezze date da una loro attenta osservazione. Con i giusti strumenti culturali, è possibile interpretare in senso storico quei dettagli, anche i più insignificanti ma invece in grado di rivelare molto e, soprattutto, in modo incontrovertibile rispetto alle testimonianze dei protagonisti, soggette a molti elementi e influenze di diversa natura.

Nonostante il mio interesse per «la parte più navale della vita», come usavamo dire con lui (e che mi portò anche in Marina per un po’) ho sempre temuto molto di vivere un po’ alla sua rincorsa (missione impossibile…) e ho quindi preferito cercare una mia via allo studio della storia militare, approfondendo, magari, quelle tematiche di mio interesse ma meno trattate da lui o, addirittura, più lontane dai suoi interessi personali. Unica eccezione credo, le mie ricerche sui mezzi insidiosi che, partendo comunque dalle sue, hanno cercato di sviluppare aspetti meno approfonditi da mio padre o epoche successive alla Seconda guerra mondiale.

Ho sempre fatto leggere a mio padre tutta la mia produzione, prima di consegnarla per l’impaginazione; quando mi restituiva le bozze, con le dovute correzioni, era particolarmente soddisfatto soprattutto quando poteva dirmi di «aver letto cose che non sapeva». E questo è un altro suo grande insegnamento.

Mio padre non è stato né un uomo né un padre «facile», ma ha svolto tutti e due i ruoli secondo quello che ha sempre ritenuto essere il modo più corretto di farlo. Ha sempre voluto che mi guadagnassi le cose e per questo gliene sono grato, anche se, a volte, mi è costato molto e non sempre ne ho compreso il perché.

Da lui ho appreso anche l’importanza della pianificazione, in qualsiasi ambito, pur mantenendo la capacità di improvvisare, quando necessario. Così come l’importanza del «calcolo costi/benefici», prima di prendere le decisioni; in maturità, aveva fatto sua la frase «le guerre costano morti e feriti, da tutte e due le parti» che usava spesso invitando a valutare bene le decisioni prese per motivi di principio. Credo si trattasse di una frase di mio nonno materno, Luigi Fulvi, un ammiraglio «della vecchia guardia» (essendo diventato guardiamarina nel 1932): sicuramente un suo grande mentore, così come mio.

Dell’unico libro che ho scritto, chiesi a mio padre di scrivere la presentazione; con mia delusione, la prima risposta fu negativa, adducendo come motivazione il suo più convinto anti-nepotismo e la necessità di mantenere un taglio «professionale» del lavoro. Dopo averne parlato diverse volte e dopo che si era reso conto, mi disse, della qualità della mia ricerca, mi accordò una presentazione ma mi avvisò che sarebbe stata di tono professionale, volutamente distaccato. Ne cito una parte: «Credo che l’interesse di mio figlio Stefano per gli elicotteri sia stato davvero molto precoce. Ricordo che quando era ancora piccolissimo, e saltuariamente vivevamo alla foresteria ufficiali di Taranto, non appena sentiva un battito di pale, correva al balcone, dove rimaneva inamovibile, a occhi sgranati, a seguire appontaggi e decolli…»

Mio padre era così.

Erminio Bagnasco, imprenditore dell’editoria militare

Come io lo vidi

di Augusto de Toro - Esperto italiano di storia e politica navale

Conoscevo Erminio Bagnasco da molto tempo, ben apprezzando il lavoro da lui svolto nel campo storico navale, ma sapendo pure dell’esperienza di dirigente in una importante casa editrice anche nel ramo del marketing, impronta che avrebbe poi trasfuso nelle successive attività.

La nostra diretta collaborazione iniziò nel 1993, al sorgere dell’iniziativa editoriale, sua e di Ermanno Albertelli, di Storia militare, quando, cioè, mi contattò assieme a numerosi altri cultori e studiosi per collaborare con la nuova rivista.

Quando lo fece, i lineamenti del progetto erano già largamente definiti, ma l’occasione fu utile per confrontarci su alcuni aspetti economici che spiegano molto della sua visione editoriale. Sapevo quanto fosse difficile in Italia la vita per l’editoria militare, se non sostenuta da aiuti pubblici, e gli chiesi subito se avesse pensato di cercarne fra quelli esistenti come era stato ottenuto da altre importanti testate del settore e nella sottesa, debole mia speranza che la rivista fosse solo navale. Agli aiuti disse senz’altro di no: non perché temesse condizionamenti, ma perché non intendeva soggiacere ai gravami burocratici che questi, inevitabilmente, comportano. Le entrate della rivista, dunque, sarebbero derivate esclusivamente dalle vendite (per ordine: edicole, abbonamenti e alcune librerie specializzate) con un limitato apporto pubblicitario e sarebbe stata accompagnata da una gestione commerciale e finanziaria, che non molto concedeva alle suggestioni e proposte dei pur validi autori che si allontanavano da questo solco.

Queste premesse sono al fondo dell’attento bilanciamento degli argomenti trattati fra Esercito, Marina e Aviazione — aderente, cioè, alla tripartizione dei «gusti» dei lettori, in quanto uno o due soli di essi non avrebbero retto il mercato — della periodizzazione, che, almeno agli esordi, si sarebbe concentrata nelle due guerre mondiali e negli anni che le separarono e, soprattutto, nella marcata impostazione illustrativa.

Da sempre era cultore della fotografia; lo testimoniano i magnifici volumi fotografici che ci ha lasciato, i quali testimoniano quanto possa essere utile ed efficace anche una lettura della storia per immagini, là, evidentemente, dove queste lo permettono. Era, dunque, persuaso dell’importanza documentale della fotografia, accompagnata da adeguate analisi storiche, come pure della decisiva capacità attrattiva verso il vasto pubblico degli appassionati. Gli stessi tagli dei testi, comunque curati, non avrebbero dovuto indulgere a impostazioni troppo accademiche o professionali — non pochi dei collaboratori provenivano da quelle aree — bensì essere sempre in grado di intercettare la vasta area degli appassionati, senza la quale — non occorre più dirlo — la rivista non avrebbe potuto reggersi. Su tutti questi aspetti vi furono vivi confronti che lo indussero presto a rafforzare il taglio scientifico, per esempio, con citazioni delle fonti in nota o complete bibliografie, e a trovare il delicato equilibrio fra buona divulgazione e rigore scientifico. Che così sia stato, lo attesta, da un verso, il successo nelle vendite, dall’altro, il riconoscimento, ottenuto nel 2011, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) con l’inserimento di Storia militare nell’elenco delle «Riviste scientifiche» utili all’assegnazione di punteggi nei concorsi universitari.

L’ideazione, sempre sua e di Albertelli, negli anni a seguire, di due periodici monografici bimestrali alternati, simili ma non uguali, denominati «Dossier» e «Briefing» consente di sviluppare altre considerazioni. Per caratteristiche e dimensioni, soprattutto il «Dossier» (il primo ad apparire in pubblico) ben si prestava, specie nei numeri multipli per tema trattato, a essere un «prodotto» da libreria. Erminio Bagnasco, attentissimo alla gestione commerciale e distributiva dei prodotti, optò per l’edicola. Rispetto alla libreria questa soluzione presenta, infatti, il vantaggio di un più rapido ritorno degli investimenti, di permettere una distribuzione sul territorio più capillare rispetto a quella offerta dalle poche librerie in Italia interessate alla letteratura militare e di presidiare meglio il mercato a complemento della «rivista madre» e compensazione degli andamenti di vendita.

Quando nel 2014 Erminio Bagnasco ed Ermanno Albertelli passarono il testimone alla nuova compagine societaria, di cui anche chi scrive fa parte, questa acquisì un’azienda più che solida sotto il profilo economico-finanziario, con tre prodotti saldamente presenti su tutto il territorio nazionale, con elevata redditività e notevoli possibilità di crescita, come si sta verificando in questi ultimi anni specie con le traduzioni per il mercato anglofono.

In retrospettiva, non si può quindi che riconoscere la giustezza di fondo della gestione e della linea editoriale del suo fondatore, sulle cui tracce si continua a operare.

Le copertine di numeri della Rivista Marittima dagli

anni Sessanta agli anni Ottanta, contenenti articoli e saggi di Erminio Bagnasco.

In ricordo dell’amico Erminio Bagnasco

di Paolo Pagnottella - Ammiraglio di squadra (ris), già Presidente nazionale dell’ANMI

Ti ricordi, Erminio, il nostro primo incontro? Avevo assunto il comando del sommergibile Enrico Dandolo la mattina alle 09.00, nel corso della tradizionale cerimonia sulla banchina della Veleria dell’Arsenale della Spezia e, già subito, nel primo pomeriggio tutti a bordo e partenza per un’esercitazione nella zona indicata del Mar Tirreno. Al termine, avrei dovuto dirigere su Genova per prendere parte alla Mostra navale 1975.

Così, la mattina dopo, prua sul porto ligure, emersione e ingresso in porto nel primo pomeriggio. Il porto era già intasato di navi, militari e mercantili, a motore e a vela, italiane e straniere. Al Dandolo era stato assegnato il posto più visibile ma anche più complicato da raggiungere, affiancato in banchina a Ponte dei Mille, già predisposto con i necessari «pontoni distanziatori» atti ad accogliere un battello come il Dandolo, dotato di timoni orizzontali prodieri molto sporgenti dalla linea di galleggiamento. Così, alla mia prima esperienza da comandante, mi sono ritrovato a dover manovrare non solo in un porto mai frequentato prima ma a districarmi fra prore di altre navi, catenarie e ancore a mare, mercantili in entrata e uscita. Ma fortuna…iuvat e così, con prudenza ma con decisione, arrivai al posto assegnatomi al primo tentativo, con una manovra non facile con un monoelica.

Appena completato l’ormeggio, scesi a terra ricevuto dal comandante del porto e solo allora notai che in banchina una gran folla di persone aveva assistito al mio arrivo. Un signore molto distinto, cortese e sorridente, si avvicinò insieme a suo figlio, un bambino sui 7/8 anni, si presentò: «Buona sera, lei non mi conosce, mi chiamo Erminio Bagnasco. Vorrei esprimerle tutta la mia ammirazione per la manovra che ha fatto e che ha riscosso tanti applausi fra i presenti, cui lei ha ben fatto vedere di che pasta sono fatti i comandanti di sommergibile italiani. Posso congratularmi?» Rimasi sorpreso da quelle parole, che ovviamente mi fecero molto piacere, e replicai che conoscevo un Erminio Bagnasco per aver letto tanti suoi articoli e libri di grande interesse. Così ti invitai a bordo e tu non ti facesti pregare: salisti con Stefano la passerella, insegnandogli a salutare la Bandiera a poppa e vi calaste dal portello in camera di lancio.

Rimanemmo a bordo una mezza giornata, non ci accorgemmo del tempo che passava mentre vi illustravo ogni angolo del battello. E ti ricordi lo scherzetto che facemmo a Stefano, facendogli credere che aveva rotto il periscopio perché non saliva più? Dovemmo faticare a rincuorarlo che non era vero! Quella prima conoscenza reciproca divenne, col passare degli anni, una profonda stima e una solida amicizia. Ti trovai ancora a Genova quando, comandante dell’Ardito, feci colà sosta per partecipare alle «Colombiadi» del 1992 (cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America) e fu un vero diletto averti in plancia con me quando uscimmo dal porto, fra centinaia di imbarcazioni, per dare il via alla regata transoceanica.

Ci siamo sempre scritti (allora non c’era internet), parlati al telefono, scambiati opinioni (sempre coincidenti) su avvenimenti, personaggi, navi e problemi. Ogni Natale e Pasqua era di prammatica lo scambio degli auguri ma, come dicevi, agli amici non si manda un messaggio, agli amici si parla e dalle parole si capisce il vero spirito molto più che da una cartolina! È così che, quando un amico ci lascia, non si deve sparare una sfilza di aggettivi superlativi, si farebbe un torto alla sua memoria!

Allora, fedele al nostro patto, non mi unisco al coro di chi dirà che sei stato il miglior storico navale, il più grande direttore di rivista, il massimo esperto ecc. Erminio, ne avresti di sicuro riso, con quella tua risata contagiosa e franca. Per me sei stato semplicemente un grande uomo, un vero marinaio dotato di tutte quelle virtù (e anche dei difetti) della scontrosa razza marinara, ma, soprattutto, un sincero e leale amico, un eccellente cultore della materia che ha costituito l’interesse di tutta la tua vita: le navi, la storia navale, i marinai. Profondo ricercatore, cui non era facile «darla a bere», curioso e mai appagato dalla conoscenza raggiunta, sempre attento alle novità, anche alle «provocazioni», alla caccia di altre tessere che potessero avvicinare alla realtà ma consapevole che la storia e gli avvenimenti non si finisce mai di ricostruirli nella loro reale consistenza.

Ero a conoscenza delle tue condizioni di salute ma quando lo scorso Natale, come sempre fatto in 47 anni, ti ho chiamato per gli auguri, per la prima volta non mi hai risposto. Ho capito così che non volevi rispondermi per non preoccuparmi: stavi approntandoti all’ultima missione. Oggi hai salpato la tua ancora e stai andando laddove, sono sicuro, saprai finalmente la verità che appagherà la tua voglia di sapere.

Le copertine di numeri della Rivista Marittima e di Supplementi dagli anni Novanta ad oggi,

contenenti articoli e saggi di Erminio Bagnasco.

Un ricordo «genovese»

di Ermanno Martino - Fondatore della rivista Interconair Aviazione e Marina

Negli anni Cinquanta del secolo scorso Genova non solo è stata la città dei cantautori, ma anche quella dei «navalisti». Erminio Bagnasco, assieme a Giorgio Giorgerini e Augusto Nani, ha contribuito a formare il primo gruppo di questi cultori di una materia tanto appassionante, come appunto quella relativa alla storia navale nelle sue diverse accezioni.

A questo nucleo se ne è poi aggiunto un secondo, al quale è appartenuto anche chi scrive, che ha intrapreso un’altra strada, fondando Interconair Aviazione e Marina, rivista che, dopo aver toccato il successo, non è purtroppo più stata in grado di mantenerlo.

Vista la comune matrice, ho avuto modo di conoscere anni fa Erminio Bagnasco con il quale ho intrattenuto cordiali rapporti di amicizia e, quel che più conta, di reciproca stima. E questo malgrado più o meno lunghi periodi di «lontananza».

Erminio Bagnasco, unanimemente ritenuto una vera e propria autorità in materia di motosiluranti e sommergibili — le sue opere in questi due specifici settori sono considerate vere e proprie pietre miliari — ha dato altresì alle stampe numerosi altri lavori, sempre però contraddistinti da precisione e rigore scientifico. Negli ultimi anni, assieme ad Augusto De Toro, ha pubblicato due volumi dedicati alle navi da battaglia italiane che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e che, tradotti in inglese, hanno suscitato l’ammirazione, e forse anche l’invidia, della stampa specializzata d’oltremanica.

Al dolore per la sua scomparsa, si unisce quindi la consapevolezza della difficoltà a trovare continuatori della sua opera feconda.

Erminio Bagnasco

di Enrico Cernuschi - Studioso di storia navale

Il comandante Erminio Bagnasco non dovrebbe aver bisogno di essere ricordato sulla Rivista Marittima. Non c’è lettore, di lungo corso o neofita, che non lo conosca. E ciò per un motivo molto semplice: la storia navale è, da sempre, una componente essenziale dello studio del Potere Marittimo e il comandante Bagnasco è (non uso, volutamente, il passato, nonostante le circostanze all’origine di questa pagina) la storia navale italiana.

Non che questo solido genovese non abbia affrontato, nel corso degli anni, e attraverso tanti articoli e libri, anche temi operativi di stretta attualità. Comandante di motosiluranti, «barche» da lui profondamente studiate e amate, visse intensamente l’ultima stagione di quelle navi nel corso degli anni Sessanta e Settanta. E lo fece, oltre che navigando lungo tutte le coste italiane (di cui riconosceva ogni angolo mentre studiava le fotografie di oggi e di ieri), esponendo su queste stesse pagine, secondo la migliore tradizione della Rivista, le proprie convinzioni — anche controcorrente — ed esperienze. Fotografò in tal modo (non solo con l’obiettivo) sia lo stato dell’arte sia, con notevole anticipo, quella che sarebbe stata la successiva evoluzione delle unità veloci costiere.

Ufficiale di riconosciuta, grande perizia marinaresca a bordo della nave idrografica Staffetta, del Vespucci e del Garibaldi «incrociator Giuseppe», nave ammiraglia della Squadra, fu insegnante di numerosi allievi e giovani ufficiali. E si confermò maestro di solido buon senso e di quell’indispensabile chiarezza militare di pensiero che è alla base del corretto apprezzamento della situazione.

Diventato, in seguito, dirigente di alcune tra le maggiori imprese italiane, continuò a coltivare la passione della storia navale e lo fece sulla solida base delle 3 regole impartitegli, sin da ragazzo, del suo grande amico e maestro Aldo Fraccaroli: 1) la fotografia è un documento da trattare come tale e da leggere con senso critico; 2) l’uso della buona lingua è indispensabile; 3) l’ipse dixit non esiste.

Iniziò pubblicando, per decenni, articoli e libri sulla Rivista Marittima e per conto dell’Ufficio Storico della Marina Militare, dove trascorse una breve, memorabile stagione in qualità di stretto collaboratore di due suoi altri grandi punti di riferimento, gli ammiragli Aldo Cocchia e Giuseppe Fioravanzo. Gli articoli apparsi allora sono, ancora oggi, indispensabili per chiunque voglia affrontare con serietà e metodo certi argomenti relativi al naviglio militare. Quanto ai volumi, essi sono tuttora ristampati regolarmente e tradotti in inglese, tedesco e francese. Cose che capitano solo ai classici.

Le copertine di numeri della Rivista Marittima e di Supplementi dagli anni

Novanta ad oggi, contenenti articoli e saggi di Erminio Bagnasco.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo dal 1993, quando fondò il mensile Storia militare, da lui diretto fino al 2014. Posso pertanto ricordare le sue tante virtù di ricercatore, critico, fotografo d’eccezione, collezionista e giornalista. Due, però, dominavano su tutte: la prima era il «naso», formidabile, che non l’ha mai tradito in quarant’anni di felice sodalizio assieme a un altro personaggio unico come l’editore Ermanno Albertelli, suo grande amico e alter ego; la seconda fu senz’altro un equilibrio, fuori dal comune, che gli ha permesso di porsi, con naturalezza, e per diritto da tutti riconosciuto, su un piano diverso e superiore nel non facile mondo della storia navale italiana. Il comandante, insomma.

Erminio Bagnasco

di Andrea Tani - Capitano di fregata, Dirigente d’industria e collaboratore della Rivista Marittima

Conobbi Erminio Bagnasco nel 1967, sul vecchio e glorioso Garibaldi. Lui era CS M&M, capo Servizio Marinaresco & Mondanità, io un guardiamarina al primo imbarco con velleità di fargli da sottordine per quanto riguardava la seconda M. Simpatizzammo subito, ed era difficile non farlo, avendo a che fare con un giovane ufficiale così aitante, vitale, simpatico e perennemente sorridente come Erminio, dalla profonda voce carezzevole e marcatamente genuina, quell’accento così caratteristico che non ha mai perso. Nel breve inverno spezzino di allora che vide la nave ai lavori nel Golfo dei Poeti, organizzammo feste memorabili, alle quali faceva sovente capolino anche il Supremo di allora, il mitico CINCNAV ammiraglio Roselli Lorenzini, il quale esprimeva sempre il proprio compiacimento per la scelta del menù, dei vini e soprattutto delle signore invitate. Chi lo ha conosciuto, ricorderà che non elogiava troppo spesso, ma apprezzava il gentil sesso.

Ci siamo poi intravisti e mezzo frequentati nel successivo mezzo secolo, scambiandosi opinioni e complimenti sulle cose sempre più serie, o seriose, che andavamo facendo. Lui soprattutto, come appassionato skipper di motosiluranti di Comos, nonché fondatore, molti anni dopo, del mensile Storia Militare. Nel frattempo sfornava libri a ripetizione e non si riusciva a star dietro alla sua vulcanica produzione.

Io scherzo, ma quello che ha fatto Erminio è veramente straordinario. In coppia col compianto amico Giorgio Giorgerini ha alimentato la navalistica italiana portandola a livelli di assoluta eccellenza, anche internazionale, nonostante la nostra opinione pubblica non fosse molto ferrata e nota in questa particolare disciplina. Da un lustro a questa parte ci eravamo ritrovati, complice internet. Avevamo ripreso a chiacchierare come fossimo ancora a poppa del Garibaldi, lui ufficiale di ispezione e io sottordine monogallonato avido di Marina, sempre con lo stesso spirito un pò goliardico di chi fa finta di non prendere niente sul serio e, nel contempo, delinea concretezze. Discutevamo della nostra passione comune, la Marina, con il medesimo entusiasmo e la partecipazione di allora, quando la vedevamo faticosamente risollevarsi, all’ombra dei Terrier del rosso incrociatore, dopo gli anni grigi dell’immediato dopoguerra, nel corso di quei favolosi anni Sessanta. Ci scambiamo informazioni e commenti, lui sempre in quel modo accurato, sobrio e inappuntabile che lo ha sempre contraddistinto. Se Erminio diceva una cosa, ci si poteva costruire sopra un palazzo di certezze, senza tema di smentite.

E ieri questa terribile notizia. Erminio, ma con chi discuterò animatamente di Matapan, Mezzo Giugno, e inescusabili carenze nel «non combattere di notte»?

Ma non è tanto il pozzo di scienza navale che rimpiango. Rimpiango l’amico vero, il gentiluomo inarrivabile, la brava persona come pochissimi riescono a essere, quel concentrato di vere qualità che non sono le consuete bugie che si dicono in questi casi, ma — in lui — la profonda realtà.

Tant’è. Certe persone non dovrebbero andarsene mai. E invece succede.

Addio, caro amico mio, grande marinaio: che l’Aliseo al giardinetto ti sia propizio e, mi raccomando, ma non c’è bisogno di ricordarlo al capo servizio marinaresco dell’ammiraglia, niente spinnaker, ma un solido genoa lascato al punto giusto.

FOCUS DIPLOMATICO

Le proteste in Kazakhstan: alcune considerazioni

L’ondata di proteste contro il caro energia in Kazakhstan, le più violente mai registrate in tre decenni di indipendenza, sollevano molti interrogativi sia sulla loro genesi e portata sia sui futuri sviluppi. Anche se molti punti rimangono da chiarire, si possono fare alcune considerazioni partendo dall’analisi dei fatti accaduti.

A spingere il paese sull’orlo di una crisi politica e sociale, sono state le proteste, accese dall’aumento del costo del gas, che hanno assunto progressivamente una pregnanza più politica. A causare il contestato aumento è stata la decisione del Governo di porre gradualmente fine ai sussidi sui prezzi del GPL e del carburante alla pompa di benzina, decisione che ha fatto schizzare i prezzi. Le proteste, iniziate nella regione Occidentale si sono rapidamente spostate verso est, diventando sempre più sostanziose e ampie dal punto di vista delle richieste. Dopo una prima fase sostanzialmente pacifica, si è assistito a un aumento della violenza. Non c’era più solo il prezzo del gas, ma anche un cambiamento del sistema politico. Ad Almaty, la principale città del paese, la protesta è diventata di massa, sono entrate in azione gang criminali e gruppi paramilitari o di servizi deviati, che hanno creato una situazione di caos, anche grazie alla scomparsa delle Forze di sicurezza kazake. A questo punto è emersa una dinamica di scontro tra le élites al potere. Il presidente Tokayev da una parte, ha annunciato che l’ex-presidente Nazarbayev non aveva più cariche ufficiali, dall’altra ha iniziato ad attaccare i servizi di sicurezza arrestandone il potente capo, Karim Masimov. Dopo il tentativo di mediare con un calmiere il prezzo di gas e benzina, il Presidente ha sposato la linea dura dando l’ordine di sparare sui manifestanti e chiedendo l’aiuto della Russia e dei suoi alleati con l’invio di truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), la Forza che riunisce, oltre a Mosca, Kazakhstan, Armenia, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. Una riedizione in scala minore del Patto di Varsavia e composta, non a caso, da tutte ex Repubbliche sovietiche. Il soccorso di Putin è arrivato quando Tokayev si è reso conto di non avere neppure qualche migliaio di soldati di cui potersi fidare. Per qualcuno, un’invasione camuffata da intervento di pace.

I numeri di arresti e uccisioni non sono ancora

I manifestanti marciano sulla piazza centrale di Aktobe, 4 gennaio 2022 (Esetok wikipedia.org).

Focus diplomatico

chiari ma di certo sono stati molteplici. Il Presidente del Kazakhstan ha definito le proteste e i disordini nel paese come un tentato colpo di Stato e si è giustificato sulle uccisioni dichiarando che le Forze di sicurezza non avrebbero mai sparato su manifestanti pacifici ma hanno dovuto farlo contro dei «militanti armati», che dietro le quinte si sono uniti alle proteste. Per Tokayev l’obiettivo principale dei rivoltosi era la distruzione delle istituzioni governative e la presa del potere e ha aggiunto che la missione militare guidata da Mosca in Kazakhstan dovrebbe finire presto. Tokayev è un volto noto negli ambienti internazionali, ex-diplomatico sovietico è stato ministro degli Esteri e direttore della sede delle Nazioni Unite a Ginevra. Sulla stessa scia del Presidente kazako anche Vladimir Putin, secondo cui è stato portato avanti un attacco allo Stato e quelle iniziate come proteste pacifiche si sono rapidamente trasformate «in violenti disordini e atti di terrorismo» che «non sono né il primo né l’ultimo tentativo di intromettersi nella regione dall’estero». Ha poi spiegato che sono stati usati «metodi in stile Maidan», facendo riferimento alla piazza simbolo delle proteste contro il Governo in Ucraina del 2014. Anche Pechino ha manifestato il suo appoggio al Governo kazako, stabilità e rapporti commerciali sicuri con il vicino sono una priorità.

Tokayev, ha accusato il suo predecessore Nazarbayev di aver favorito la creazione di «una classe di persone ricche anche per gli standard internazionali», alimentando il sospetto che la folla che ha saccheggiato e assaltato i palazzi del potere ad Almaty sia stata manipolata dagli uomini di Nazarbayev, per mettere in difficoltà Tokayev che stava cercando di emarginare gli uomini legati al suo mentore politico.

Nursultan Nazarbayev è stato indubbiamente il padre padrone del Kazakhstan. Ai tempi dell’Unione Sovietica come membro di Governo era il politico più influente nella Repubblica sovietica e non aveva mai nascosto critiche nei confronti della politica del partito nella sua terra d’origine. Quando Gorbaciov nominò Kolbin, un ennesimo russo a capo del Kazakhstan, ci fu una reazione che scatenò, nel dicembre 1986, ad Almata una rivolta durata tre giorni, nota come lo Jeltoqsan (in kazako significa dicembre). Per calmare le acque si decise di nominare Nazarbayev al posto di Kolbin. Il leader kazako si è così trovato in prima fila per diventare il Presidente della nuova Repubblica indipendente nel 1991. Rieletto ininterrottamente fino al 2019, quando, a sorpresa, si dimise scegliendo il proprio delfino, l’attuale presidente Kassym Jomart Tokayev.

La politica interna del paese negli ultimi trent’anni è stata contrassegnata da stabilità e ricchezza. Come in quasi tutti gli altri Stati della ex Unione Sovietica si è instaurata, al momento dell’indipendenza, un tipo di democrazia più formale che sostanziale, affidandone la guida a un esponente del passato Politburo. Nazarbayev ha governato da leader indiscusso e ha preservato il Kazakhstan da qualsiasi tipo di violento sommovimento interno, conducendo una politica estera abile, con un’impronta pro occidentale, ma rispettosa verso il suo potente vicino, la Russia, e aperta verso l’altro confinante la Cina. Il suo modo di governare ha però avuto un prezzo. La libertà di stampa è risultata pressoché inesistente, le elezioni non sono mai state giudicate pienamente libere dalle organizzazioni internazionali e ogni espressione di dissenso è stata repressa. In questo contesto democratico-autoritario, la popolazione era diventata apatica e disinteressata alla politica, almeno fino a ieri. La miscela di morbida liberalizzazione dell’economia e di autoritarismo ha consentito al Kazakhstan di fare passi da gigante

A sinistra Nursultan Nazarbaev Presidente del Kazakistan dal 1990 al 2019 e il suo successore Kassym Jomart Tokayev (difesaonline.it).

Focus diplomatico

nascondendo però la polvere sotto il tappeto. Corruzione, povertà e potentati economici sono una realtà che Nazarbayev non ha saputo o voluto combattere. La capitale del paese, Nur-Sultan, è l’emblema delle sue ambizioni. Sorge nel mezzo della steppa kazaka, in un’area quasi desertica, dove il livello di attività umana è prossimo allo zero. I moderni edifici con il loro design futuristico sembrano quasi sfidare il passato sovietico della regione. Il Kazakhstan, nell’epoca comunista, era il luogo di destinazione dei prigionieri politici, in quanto sede di diversi gulag, mentre il Cremlino aveva sfruttato le sue immense desertiche steppe per condurre i propri devastanti test nucleari e per costruire, negli anni Sessanta, a Baikonur un cosmodromo per la conquista dello spazio.

Il cambio di Presidente doveva essere un passaggio indolore, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato dato che Tokayev ha via via sostituito tutti i fedelissimi di Nazarbayev. Qualcuno forse si è ribellato e così si spiegano i cambi per alto tradimento nei vertici della sicurezza.

Per capire la posta in gioco bisogna tener presente l’importanza strategica economica del Kazakhstan. È il più esteso e ricco Stato dell’Asia Centrale post sovietica, in cui la presenza di ingenti quantità di risorse naturali si incrocia con la necessità di ritagliarsi un ruolo nell’assetto geopolitico e strategico della regione. Il paese, pur senza sbocco al mare aperto e inserito tra due superpotenze, è quello nell’area con maggiori prospettive di sviluppo economico grazie alla sua ricchezza di petrolio e gas naturale. Il Kazakhstan ha a disposizione una quantità di risorse naturali impressionante, considerata la sua popolazione di diciotto milioni di abitanti. Dodicesimo al mondo per riserve di petrolio con ben trentacinque miliardi di barili, i giacimenti si concentrano principalmente in tre campi petroliferi nella parte Nord-Occidentale del paese: Kashagan (nel Mar Caspio), Tengiz e Karachaganak. Nei campi di offshore di Kashagan e inshore di Karachaganak l’ENI, è il primo operatore di un consorzio internazionale. Quattordicesimo paese per quanto riguarda i giacimenti di gas naturale è, inoltre, il primo della regione per miniere di carbone e il secondo per produzione di tale risorsa dopo la Russia. Il Kazakhstan è altresì il più grande esportatore al mondo di uranio pur non possedendo centrali nucleari, riuscendo a soddisfare il suo bisogno energetico con i soli combustibili fossili. Sebbene le sue ingenti risorse energetiche lascino sperare in un futuro economicamente roseo, la realtà regionale in cui il paese si trova inserito presenta diversi vincoli e ostacoli. Il Kazakhstan non ha un accesso diretto al mare e così la Russia è una zona di transito obbligatoria per il trasporto di petrolio e gas verso i mercati dell’Europa occidentale. L’arteria principale

Kashagan: olio e gas offshore in Kazakhstan (eni.com).

Focus diplomatico

utilizzata per esportare il greggio è l’oleodotto che collega l’ex Repubblica socialista al porto russo di Novorossijsk, sul Mar Nero, ma Mosca in passato si è rivelata essere un’alleata infida, in grado di regolare a proprio piacimento l’accesso del Kazakhstan ai mercati occidentali. Una situazione che ha spinto il Kazakhstan a volgere il suo sguardo a Oriente. La sete di energia della Cina rappresenta una grande occasione per diversificare i propri partner commerciali e, non a caso, il Kazakhstan rappresenta uno dei principali destinatari degli investimenti strutturali cinesi della «Belt and Road Initiative». L’esempio più lampante è l’infrastruttura logistica di Khorgos, a trecento chilometri dalla vecchia capitale Almaty, sul punto di intersecamento tra il sistema ferroviario cinese e quello kazako. Un hub ferroviario diventato uno dei più importanti «porto a secco» al mondo, dove transitano le merci dalla Cina dirette ai mercati europei in metà tempo rispetto alle rotte marittime. Il Kazakhstan ha la necessità di am-

pliare le proprie possibilità di accesso verso i mercati occidentali. Un inizio in tal senso è l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che consente a parte del greggio kazako di raggiungere le coste turche sul Mediterraneo, evitando così di transitare sul territorio russo. Manca però un oleodotto transcaspico impedito dalle discussioni sullo stato giuridico del Mar Caspio, sul quale è stato trovato un accordo di massima tra i paesi rivieraschi. Questo prevede una divisone delle acque, ma il «L’oleodotto collega l’ex Repubblica socialista al porto russo di Novorossijsk, sul Mar Nero (...)» (agcnews.eu). fondale viene considerato alla stregua di una terra emersa e le regole per la sua suddivisione dovranno essere sempre negoziate. Nonostante nell’ultimo secolo il paese si sia dato una struttura anche urbana, la popolazione, dirigenti compresi, è ancora rimasta legata alla tradizione nomade e all’appartenenza ai clan. Le divisioni tribali erano state sterilizzate dal sistema comunista ma non eliminate. Con l’indipendenza è riemersa una società che si divide ancora spesso lungo linee di appartenenza a grandi famiglie tribali e politiche. Si diceva, negli anni Novanta, che il vero motivo del cambio della capitale fosse dovuto al desiderio di Nazarbayev di depotenziare il clan di Almaty. Le divergenze tribali, spesso più forti di quelle politiche, sono un altro elemento da aggiungere al complicato puzzle del paese centro-asiatico. Giorgio Malfatti di Monte Tretto, Circolo di Studi Diplomatici

L’ambasciatore Giorgio Malfatti di Monte Tretto, laureato in Scienze politiche alla Università La Sapienza di Roma, è entrato in carriera diplomatica nel 1975. Nel corso della sua attività professionale, in qualità di Ambasciatore, ha ricoperto incarichi diplomatici presso il ministero degli Affari Esteri e come Capo missione a Cuba, nel Kazachstan e in Uruguay. Nell’ultimo decennio ha ricoperto la carica di Segretario generale dell’Istituto Italo-Latinoamericano di Roma. È attualmente responsabile istituzionale di un programma europeo per il contrasto alla criminalità organizzata in America Latina.

Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.

OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

Mani libere

Russia e India hanno esteso il loro programma di cooperazione militare e tecnica, fino al 2031 e hanno firmato una serie di accordi bilaterali inerenti alla Difesa, durante la visita del presidente Vladimir Putin a Nuova Delhi il 6 dicembre scorso. Il ministro degli Esteri indiano Harsh Vardhan Shringl ha affermato che Putin e il primo ministro Narendra Modi hanno anche espresso interesse a promuovere gli investimenti energetici nei rispettivi paesi, concordando sia sulla necessità di rafforzare la Financial Action Task Force (FATF) sia discutendo su come estendere la cooperazione marittima nell’Oceano Indiano. Su Covid-19, Shringl ha affermato che i due leader hanno concordato sulla necessità di un quadro multilaterale per gestire la pandemia. Sui temi regionali, le due parti hanno convenuto che i talebani, che hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan devono mantenere la promessa di avere un governo inclusivo, etnico e politico, salvaguardare i diritti umani e prevenire qualsiasi minaccia terroristica e traffico di droga. Il Ministro degli Esteri russo ha aggiunto che Mosca ha visto benefici per l’India e l’Iran con l’unione alla Troika plus sull’Afghanistan, che include Russia, Stati Uniti, Cina e Pakistan. Ma la parte del leone è stata quella relativa della Difesa, con l’accordo per la produzione locale dei fucili d’assalto Kalashnikov che avrà luogo in una fabbrica nell’Uttar Pradesh in India attraverso una joint venture. Questo è stato uno dei patti firmati durante una riunione della Commissione intergovernativa sulla cooperazione militare e tecnico-militare, ma le grandi attese erano per gli accordi per i missili antiaerei S-400, oramai un vero parametro delle relazioni politico-militari che includono la Russia.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov aveva annunciato prima del vertice che un accordo per fornire all’India i sistemi missilistici di difesa aerea S-400 sarebbe proseguito nonostante la politica americana degli armamenti. L’India ha iniziato a ricevere le consegne del sistema russo avanzato nell’ambito di un accordo da 5,4 miliardi di dollari firmato da Putin durante una visita in India nel 2018, mettendo potenzialmente New Delhi nel mirino delle sanzioni statunitensi. La visita di Putin in India segna solo il suo secondo viaggio fuori dalla Russia dalla pandemia di Covid-19, dopo il vertice di giugno a Ginevra con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. L’accordo di Putin per la fornitura di sistemi S-400 ha suscitato polemiche durante i colloqui. Un acquisto simile da parte della Turchia, storico alleato NATO, ha portato alle sanzioni degli Stati Uniti e alla rimozione di Ankara dal programma F-35 ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA). Gli Stati Uniti non hanno deciso se concedere all’India una deroga per gli acquisti di armi russe nell’ambito del CAATSA, aveva detto ai giornalisti il 23 novembre il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. L’India sembra credere che le verrà concessa una deroga in quanto partner di una importanza strategica nel contrasto alla Cina. Il vice ministro della Difesa indiano Ajay Bhatt, ha dichiarato al parlamento la scorsa settimana che il Governo era a conoscenza della potenziale azione degli Stati Uniti ma prenderà «decisioni sovrane» basate sulle esigenze di Difesa del paese. L’India, è utile ricordare, è un membro del gruppo Quad con Stati Uniti, Giappone e Australia che sta emergendo come blocco per contenere l’influenza cinese nella regione indo-pacifica, rendendo New Delhi un partner chiave per Washington. L’India vede la Cina come una delle sue più grandi minacce alla sicurezza; le due potenze nucleari si sono scontrate

Lancio di missili S-400 (quora.com).

Osservatorio internazionale

lungo il conteso confine himalayano nel 2020, annoverando dozzine di vittime da entrambe le parti in una situazione di stallo ancora in corso. L’India prevede di posizionare gli S-400 nel nord-ovest del paese, vicino ai confini contesi con la Cina e il Pakistan. Gli S-400 saranno operativi all’inizio del prossimo anno e e il loro numero sarà ampliato man mano che il sistema verrà progressivamente consegnato entro il 2023. La Russia resta il maggiore fornitore di armi dell’India, con il 23% delle esportazioni globali tra il 2016 e il 2020, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Ma la quota degli acquisti di armi dell’India dalla Russia è scesa dal 70 al 49% tra il periodo 2011 e 2015 e tra il 2016 e il 2020, secondo il SIPRI. Il calo arriva mentre Nuova Delhi cerca di modernizzare e diversificare i propri equipaggiamenti militari di origine sovietica e/o russa espandendo gli acquisti bellici da Francia, Israele e Stati Uniti. Tuttavia, anche se con acquisti importanti avvenuti, come elicotteri AH-64, CH-47, velivoli C-17, C-130, P-10 e in prospettiva (come gli F-18 per equipaggiare le portaerei in servizio e quelle previste), le speranze di Washington di rimpiazzare Mosca come fornitore principale (se non unico) della Difesa dell’India restano ridotte, viste anche le dimensioni delle Forze armate indiane e per la volontà di Dehli di promuovere linee industriali autonome. Tuttavia la stessa posizione dell’India, proiettata verso i piani alti della scena globale, è delicata, dove a fronte delle pressioni cinesi, vista l’ intesa tra Mosca e Pechino, il ruolo di Mosca potrà essere influenzato dalle dinamiche internazionali.

Questione di tempo

Fonti mediatiche statunitensi hanno dato una grande enfasi (con sei mesi di ritardo), a quanto detto dal Cinc di AFRICOM, il generale Stephen Townsend, in merito alle azioni cinesi volte a ottenere una base militare sulle coste atlantiche dell’Africa. Sembra infatti che Pechino abbia identificato la Guinea Equatoriale come possibile sito e, più precisamente, Bata che, come porto, ha un buon pescaggio, dopo aver scartato una opzione analoga in Angola. L’espansionismo cinese in Africa allarma una volta di più Washington, visto che Pechino ha già stabilito una base militare a Gibuti, sul Mar Rosso e una forte presenza navale nelle acque dell’Indo-Pacifico. A ottobre, il vice consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jon Finer ha visitato la Guinea Equatoriale nel tentativo di persuadere il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo e suo figlio possibile successore, il vicepresidente Teodoro «Teodorin» Nguema Obiang Mangue, a prendere le distanze dalla Cina. Fonti dell’amministrazione Biden hanno riferito che è stato chiarito alla Guinea Equatoriale che alcuni potenziali passi che coinvolgono l’attività cinese avrebbero sollevato problemi. Simili sforzi diplomatici statunitensi per fermare l’espansione militare della Cina sembrano aver avuto un certo successo. A novembre, la CNN aveva riferito che gli Emirati Arabi Uniti avevano interrotto la costruzione di una possibile struttura militare cinese nel porto di Khalifa, a causa della crescente pressione diplomatica degli Stati Uniti. Accanto alle velate minacce, gli Stati Uniti hanno usato anche mezzi di influenza per rafforzare i legami con la Guinea Equatoriale. Washington ha offerto aiuti medici e umanitari nel marzo scorso, dopo che un’esplosione in un deposito di munizioni in una delle basi militari di Bata aveva ucciso almeno 100 persone e ne aveva ferite 600; inoltre, tramite i programmi di formazione dell’AFRICOM, sono stati condotti cicli addestrativi tra le Forze degli Stati Uniti e quelle locali. Gli Stati Uniti hanno tenuto un ciclo di addestramento militare congiunto con le Forze della Guinea Equatoriale a marzo e multinazionale nel maggio scorsi (esercitazione

La portaerei LIAONING della Marina militare cinese a Gibuti (reportdifesa.it).

Osservatorio internazionale

«Obangame Express», OE21). Realisticamente, gli Stati Uniti non si aspettano che la Guinea Equatoriale rescinda tutti i suoi legami con la Cina, ma sperano che Bata li limiti in termini non ostili agli Stati Uniti anche se le relazioni pregresse con Bata sono state spesso difficili, viste le accuse circa violazioni dei diritti umani. Il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha anche intentato una serie di cause civili contro Obiang Mangue, sostenendo di aver prelevato fondi dal tesoro del paese per il proprio tornaconto personale. In un accordo del 2014, Obiang Mangue ha ceduto alcuni dei suoi beni al Dipartimento. La Guinea Equatoriale è fortemente dipendente dalle compagnie petrolifere statunitensi, che hanno contribuito a estrarre greggio offshore e far diventare la piccola ex colonia spagnola il paese più ricco dell’Africa subsahariana. In questa ottica di «stick and carrot» il Dipartimento di Stato ha recentemente migliorato la posizione di Bata nella sua valutazione annuale su come i paesi combattono la tratta di esseri umani. La classifica migliorata potrebbe qualificare il paese africano per ricevere assistenza per la sicurezza marittima dagli Stati Uniti, cosa che potrebbe sviluppare ulteriori legami. Ma i timori sono forti, visto anche il posizionamento geografico della Guinea Equatoriale, prossima ad altri grossi produttori locali di idrocarburi, quali Nigeria, Gabon, DRC e Angola

(l’enclave di Cabinda). Una presenza cinese avrebbe molte sfaccettature, a partire da Forze navali vere e proprie a un possibile schieramento di unità della Guardia costiera come leva di cooperazione, addestramento e assistenza alle forze locali, mediamente piuttosto deboli, nel contrasto ad attività. Oltre agli Stati Uniti, anche la Francia, che ha realizzato in quel paese una installazione utile per la formazione navale per le marine locali e l’UE, che ha in essere una presenza navale nel Golfo di Guinea, osserva con attenzione le mosse cinesi. La possibile scelta della Guinea, conferma L'esercitazione Obangame Express 2021 l'Oceano Atlantico (africom.mil). si è svolta dal 14 al 27 marzo nel Golfo di Guinea e nel- alcuni dei parametri cinesi nella scelta delle sue installazioni, con la preferenza a orientarsi verso Stati piccoli, che poco possono opporsi alle pressioni a prescindere dalle loro condizioni economiche pregresse.

Il fronte silenzioso, ma non troppo

Gli scossoni in Europa centrale e le minacce verso l’Ucraina, rischiano di fare dimenticare quello che la Russia vuole veramente nei Balcani (e altrove). A ventisei anni dagli accordi Dayton — imposti ai leader di etnia bosniaca, croata e serba per porre fine a un bagno di sangue — tutto si ripete. Nonostante sforzi politici, finanziari e militari da parte dell’Occidente, la Bosnia è ancora una volta nel bel mezzo di una profonda crisi, poiché un membro della sua presidenza tripartita, il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, usa una retorica aggressiva e attacca duramente le fragili istituzioni della Bosnia nel tentativo di imporre un nuovo accordo, cercando e trovando appoggi in Russia, e mettendo in dubbio l’esistenza stessa della Bosnia post Dayton. Dodik, non dirigendo uno Stato pienamente riconosciuto, è in una posizione apparentemente precaria, ma proprio questa condizione può aprire spazi a giocatori esterni che cercano di intromettersi negli affari balcanici. All’inizio della sua carriera Dodik, che pensava che il suo futuro fosse nell’Occidente, ha riconosciuto pubblicamente il genocidio di Srebrenica, ha rinunciato alla tutela dei criminali di guerra serbo-bosniaci e si è posizionato come

Osservatorio internazionale

Il Presidente della Republica Srpska Milorad Dodik (wikipedia.org).

un convinto sostenitore dell’unità della Bosnia e di un suo inserimento nell’UE. Progressivamente si è avvicinato al presidente serbo Aleksandar Vucic e poi a Mosca, a partire dal 2000. Da allora Dodik si è manifestato come elemento destabilizzatore e in contatto con il segmento più nazionalista dell’opinione pubblica serba nel caso in cui la Serbia riconosca il Kosovo come stato pienamente indipendente. In tal caso, la Serbia potrebbe utilizzare le politiche di Dodik per giustificare la sua richiesta di annessione della Republika Srpska — una delle due unità amministrative che compongono la Bosnia del dopoguerra — come risarcimento per la perdita del Kosovo e riunendo tutti i serbi in una unica, «Grande Serbia». Oggi Dodik non è più solo una pedina della politica serba, ma parte della più ampia politica di Mosca. Per fare fronte a queste pressioni, l’Occidente, in particolare UE e NATO, non hanno dato una risposta abbastanza ferma. Anzi l’approccio compromissorio, come la possibilità di ridurre drasticamente l’autorità dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante, di rimuovere i tre giudici stranieri dalla Corte Costituzionale del paese, di far circolare e proposte che normalizzerebbero i cambiamenti di confine nei Balcani ha dato ulteriore spinta alle tendenze spartitorie. Dodik non è solo; la componente croata della federazione bosniaca guarda con interesse gli attacchi dei serbobosniaci e spera di coglierne i frutti. Ma Mosca anche qui sta posizionando le sue pedine e ha identificato la UE come il soggetto fragile del sistema occidentale. La situazione è cambiata radicalmente dopo il 2014. Al vertice del partenariato orientale a Vilnius, in Lituania, nell’autunno del 2013, l’UE ha firmato accordi speciali con Georgia e Moldova e nel giugno del 2014 con l’Ucraina. Da quel momento in poi, la Russia ha iniziato a vedere l’UE pericolosa come la NATO, ma meno solida e il Cremlino ha identificato i Balcani occidentali come un terreno ideale per le operazioni di influenza politica, sondando costantemente fino a che punto potrebbe spingersi prima che l’Occidente reagisca. Dal punto di vista russo, la regione ha molti vantaggi: è relativamente piccola, divisa tra Stati piuttosto poveri. È anche circondata dal territorio dell’UE e allo stesso tempo con paesi che aspirano ad aderire all’Unione, vista come elemento di stabilità e sviluppo. L’UE continua ad avere problemi a parlare con una sola voce sulla sua politica di allargamento, per non parlare di compiere passi concreti per avvicinare gli Stati dei Balcani occidentali all’adesione all’UE. Rivedere la sua promessa di avviare i colloqui di adesione con la Macedonia del Nord, dopo che Skopjie è riuscita a negoziare una soluzione bilaterale all’apparentemente intrattabile «questione del nome» con la Grecia, è stata una sorpresa, favorendo quelle opinioni pubbliche nella regione che vedono sempre più la Russia (e la Cina) come partner più affidabili dell’UE. Nel frattempo, due attori chiave dell’UE sembrano essere usciti di scena: il cancelliere uscente Angela Merkel, mentre la Germania mette insieme il suo nuovo Governo, e il presidente francese Emmanuel Macron, il cui focus è sulle prossime elezioni presidenziali. L’UE dovrebbe concertare la sua azione con gli Stati Uniti, ma la presidenza Biden appare distratta. Storicamente, la Russia è particolarmente sensibile al suo cosiddetto «vicino estero», le ex Repubbliche sovietiche che nei tumultuosi primi anni 90 sono diventate Stati indipendenti. I tre Stati baltici sono ormai membri consolidati dell’UE e della NATO, e una loro aperta aggressione porterebbe molti più problemi di qualsiasi beneficio per la Russia. Ma Ucraina e Georgia sono una storia diversa, visto che fanno parte della «fascia di sicurezza» formata da paesi neutrali (o non ostili) che Mosca vuola avere ai propri confini. Negli ultimi 13 anni, la Russia è intervenuta militarmente sia in Georgia che in Ucraina e ha riportato la Bielorussia nella sua area di influenza, sostenendo Aleksandr Lukashenko. Questi sono i paesi che la Russia vede nella sua sfera di interesse e direttamente rilevanti per la sua sicurezza. Tenerli in uno stato permanente di conflitto latente o di bassa intensità interferisce con molti altri interessi russi, come la certificazione del suo nuovo gasdotto Nord Stream 2 recentemente sospeso dalla Germania.

Osservatorio internazionale

Espulsioni in cambio di estensioni

La complessa relazione tra Unione Africana e Governo somalo in merito al futuro dell’AMISOM, agli inizi di novembre si è mostrata in toto. Infatti, il diplomatico ugandese Simon Mulongo, vice rappresentante speciale della missione di stabilizzazione dell’Unione ha avuto sette giorni per lasciare il paese con l’accusa di aver preso parte ad «attività incompatibili» contrarie agli interessi della Somalia, secondo quanto reso noto dal ministero degli Esteri di Mogadiscio, senza tuttavia chiarire quali fossero queste attività. Secondo fonti locali, Mulongo, il numero due della missione, che conta oltre 20.000 militari, si sarebbe opposto alle proposte somale in merito alla progettata transizione dell’AMISOM. Mogadiscio vorrebbe vedere la missione dell’Unione Africana uscire completamente dal paese entro il 2023, dopo aver iniziato a trasferire i compiti di sicurezza alle autorità locali dal gennaio 2022. La Somalia, il mese scorso, si è opposta a tutte e quattro le proposte dell’UA sul futuro di AMISOM, una Forza di mantenimento della pace sotto mandato dell’ONU direttamente sotto la guida dell’Unione Africana. In effetti, il mese scorso il Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell’UA ha adottato la proposta per un’estensione ibrida, vedendo AMISOM transitare verso una Forza di mantenimento della pace UA-ONU con più personale tecnico e umanitario rispetto alle Forze da combattimento. L’AMISOM opera in Somalia da quasi quindici anni ; i primi successi militari hanno poi portato a una situazione di stallo sul campo di battaglia, poiché la coalizione militare delle truppe panafricane non è riuscita a smantellare la minaccia dei ribelli jihadisti di Al-Shabaab che mantengono il controllo di vaste aree, dimostrando di avere capacità di resistenza e di essere capaci di colpire, la stessa Mogadiscio. Il Governo somalo, guidato da Mohamed Abdullahi Mohamed «Farmajo», ha costantemente chiesto una transizione accelerata, ma per strumentalizzare una presenza, anche se ridotta, dei «caschi verdi» come un utile puntello interno più che come riserva in appoggio alle Forze nazionali contro le milizie islamiche. Gli attori internazionali, gravati dai costi, stanno diventando sempre più cauti nel finanziare la missione senza un piano di uscita più chiaro. Tuttavia, non ci sono opzioni facili. Il ritiro immediato vedrebbe quasi certamente Al-Shabaab realizzare vantaggi significativi e riproporre scenari afghani o maliani.

Una nuova presenza e vecchi problemi nella Repubblica Democratica del Congo

Agli inizi di dicembre l’Uganda ha confermato l’invio di truppe nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) contro i ribelli delle ADF (Allied Democratic Forces). Entebbe accusa l’ADF di una serie di attentati nel paese, anche se questa operazione concordata e in accordo con il Governo di Kinshasa rischia di aumentare le tensioni con il vicino Ruanda. Anche senza rivelare dettagli sembra che la dimensione dell’ operazione ugandese non sia ridotta e le forze di Entebbe sono subito entrate in contatto con quelle dell’ADF. Essendo l’ADF una forza irregolare, i suoi militanti hanno cercato di evitare quanto possibile scontri diretti con i militari ugandesi, bene armati e addestrati. Parte dell’obiettivo dei militari ugandesi è quello di liberare la zona dalle basi dell’ADF e contribuire a pacificare quella parte della RDC. Oltre alle forze ribelli dell’ADF, un gruppo militante ruandese — Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) — è stato attivo anche nella RDC orientale, costringendo il Ruanda a schierare le sue forze contro essi; questa intrusione ugandese potrebbe peggiorare il già traballante rapporto tra Uganda e Ruanda. È da sottolineare che Uganda e Ruanda operano fianco a fianco in altri scenari, a cominciare da quello difficilissimo della Somalia dove rappresentano il grosso delle forze dell’AMISOM. La presenza, che si ritiene temporanea, delle Forze ugandesi nella RDC, rischia comunque di aggravare le rivalità tra i vari paesi vicini di Kinshasa e la loro competizione per l’influenza sulla sua parte orientale ricchissima di risorse naturali, a cominciare dalle sempre più ambite terre rare. L’Uganda incolpa i ribelli dell’ADF per gli attentati dinamitardi a Kampala nel novembre 2021 in cui cinque persone hanno perso la vita. Nel 2000, in una battaglia di sei giorni tra le Forze ugandesi e ruandesi intorno alla città congolese di Kisangani, almeno 150 civili furono uccisi e nel 2017 vi fu un’altra pesante incursione delle Forze ugandesi contro le ADF, con decine di militanti abbattuti negli scon-

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tri. Nonostante vi sia un accordo, a Kinshasa si continua a guardare con una certa apprensione alla presenza ugandese, ricordando il ruolo di quel paese nella guerra del 1998-2003, sanzionato da parte della Corte Internazionale di Giustizia nel 2005. Ma l’operazione ugandese cade in un contesto delicato, infatti l’operazione coincideva con i lavori del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per un briefing sulla situazione nella RDC e sull’annesso regime delle sanzioni, preparando il rinnovo del mandato della MONUSCO Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nella RDC, votato all’unanimità il 20 dicembre scorso. Intanto il rappresentante speciale del segretario generale e capo della MONUSCO, il diplomatico della Guinea Konakri Bintou Keita, ha sottolineato i problemi relativi alle previste elezioni politiche del 2023, dove visto che la nomina di 12 appartenenti alla Commissione E.N.I. ha suscitato violentissime proteste per la presunta prossimità con il presidente Félix Tshisekedi. La situazione della sicurezza nella parte orientale della RDC continua a essere motivo di grave preoccupazione, soprattutto per le province di Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu e Maniema (e ora anche della provincia del Tanganica. Di nuovo i problemi della sicurezza si legano con quelli istituzionali. Lo «stato d’assedio» proclamato dal Governo nelle province orientali è stato esteso per la dodicesima volta a novembre, con i legislatori delle province del Nord Kivu e dell’Ituri che si sono opposti al suo prolungamento, in quanto, attraverso lo stato d’assedio, le funzioni del governo civile sono trasferite a un governatore militare e a un vicegovernatore di polizia nel Nord Kivu

e nell’Ituri con maggiori poteri di ricerca e arresto conferiti alla polizia e all’esercito. Il Governo di Kinshasa è stato chiaro sul fatto che lo stato d’assedio sarà mantenuto fino a quando l’insicurezza nelle province orientali non sarà adeguatamente affrontata. La crescente insicurezza nelle province orientali ha esacerbato la situazione umanitaria e dei diritti umani. Secondo l’ONU 5,7 milioni di congolesi sono sfollati a causa dell’aumento della violenza nelle province orien«La MONUSCO Missione di stabilizzazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite tali. Ciò è stato ulteriormente aggravato dalla nella RDC (...)» (monusco.unmissions.org). pandemia di Covid-19 e dallo scoppio di un nuovo focolaio del virus Ebola nel Nord Kivu. Tra queste difficoltà, il piano di risposta 2021 della RDC dell’OCHA, il programma di assistenza umanitario dell’ONU, rimane sottofinanziato. Il rapporto rileva inoltre le 1.024 violazioni e abusi dei diritti umani documentati da MONUSCO tra settembre e ottobre. La MONUSCO vuole mantenere la sua presenza nelle province orientali e aumentare le sue operazioni congiunte con le Forze armate congolesi per rispondere alle minacce alla sicurezza e migliorare la protezione dei civili, operando in conformità con la politica di due diligence sui diritti umani. L’obiettivo dell’ONU è chiaro: consolidando le istituzioni e la sicurezza, la MONUSCO potrà iniziare a considerare un serio ritiro. Tra i modesti risultati positivi, l’ONU segnala il programma di disarmo, la smobilitazione delle milizie e persino quello del dialogo politico. Il rapporto del Segretario generale, che ha raccomandato al Consiglio di Sicurezza l’estensione del mandato di MONUSCO (e della Forza di Intervento, entità ibrida dotata di capacità «combat», pur senza fare parte organicamente della Missione), per un altro anno (scadenza dicembre 2022). Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU continua ad apparire sostanzialmente unanime nel sostenere l’operato della MONUSCO, dove accanto alle richieste di considerare il graduale ritiro della missione e l’assunzione progressiva delle responsabilità in materia di sicurezza da parte di le Forze armate della RDC (FARDC), resta intatto il timore che Kinshasa non sia in grado di sostenere queste funzioni da sola, senza il massiccio impegno militare (e finanziario) delle Nazioni unite. Enrico Magnani

MARINE MILITARI

ARABIA SAUDITA Varata la prima motovedetta «2200 FPB»…

I cantieri francesi Couach (Chantier Naval Couach) hanno varato lo scorso 19 novembre la prima di dodici motovedette tipo «2200 FPB» (2200 Fast Patrol Boat) da 22 metri per le Forze navali reali saudite. Destinate a compiti di protezione delle infrastrutture sensibili e delle acque nazionali, con un rateo di produzione che presto raggiungerà un’unità al mese, l’ultima è previsto venga consegnata all’inizio del 2023.

...e la quinta corvetta tipo «Avante 2200»

Con una cerimonia tenutasi il 4 dicembre presso i cantieri di San Fernando (Cadiz) del gruppo Navantia, alla presenza del C.S.M. delle Forze navali reali dell’Arabia Saudita e della Marina spagnola, rispettivamente ammiraglio Fahad Bin Abdullah Al-Ghofaily e ammiraglio Antonio Martorell Lacave, è stata varata la quinta e ultima corvetta tipo «Avante 2200». Si tratta dell’unità Unayzah (836) che è previsto venga consegnata da Navantia alla Marina del paese mediorientale nell’agosto 2023 e completi l’allestimento in Arabia Saudita dove verrà definitivamente consegnata nel febbraio 2024. In aggiunta alla costruzione e all’allestimento delle cinque unità, è inoltre previsto lo sviluppo locale del sistema di comando e controllo (Combat Management System) «Hazem» con il trasferimento di tecnologia da parte di Navantia grazie alla joint-venture saudita-spagnola SAMINavantia, nonché di altri sviluppi e attività compreso l’addestramento del personale saudita e il supporto in loco.

AUSTRALIA Varato il primo OPV classe «Arafura»

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Osborne Naval Shipyard presso Adelaide, alla presenza del ministro della Difesa australiano Peter Dutton, lo scorso 16 dicembre è stato varato il primo dei dodici OPV da 80 metri classe «Arafura». Destinati a rimpiazzare le unità delle classi «Armidale» e «Cape», i primi due OPV della nuova classe di unità più grandi e capaci vengono realizzati presso i cantieri Osborne Naval Shipyard dalla società Lürssen Australia e dai cantieri statali ASC mentre le rimanenti dieci unità saranno costruite a Henderson presso Perth nell’Australia occidentale dalle società Lürssen Australia e Civmec. L’unità capoclasse Arafura (203) è previsto venga consegnata alla Royal Australian Navy nel 2022.

Firmato accordo sulla propulsione nucleare

Il Ministro della Difesa australiano ha firmato lo scorso 22 novembre con i partner inglesi e americani, il documento per la condivisione delle informazioni sulla propulsione nucleare subacquea previsto dall’accordo AUKUS. In base a quest’ultimo, siglato lo scorso

Con una cerimonia tenutasi il 4 dicembre presso i cantieri di San Fernando (Cadiz) del gruppo Navantia, è stata varata la corvetta UNAYZAH (836), quinta e ultima unità tipo «Avante 2200» per l’Arabia Saudita (Navantia). Il primo dei dodici OPV da 80 metri classe «Arafura», destinati a rimpiazzare le unità delle classi «Armidale» e «Cape», è stato varato lo scorso 16 dicembre presso i cantieri Osborne Naval Shipyard nell’Australia Meridionale (Dipartimento della Difesa australiano).

Marine militari

16 settembre, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti aiuteranno l’Australia a dotarsi di sottomarini a propulsione nucleare, dopo che quest’ultima ha deciso in tal senso, cancellando il programma per i battelli a propulsione convenzionale con il gruppo francese Naval Group. «Questo accordo sosterrà l’Australia nel completare i diciotto mesi di esame approfondito e completo dei requisiti alla base della consegna di sottomarini a propulsione nucleare», ha dichiarato il ministro australiano Dutton aggiungendo che l’accordo fornirà un meccanismo per consentire al personale australiano di apprendere come costruire, gestire e supportare in modo sicuro ed efficace i sottomarini a propulsione nucleare.

Entrato in servizio l’AOR Stalwart (III)

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 13 novembre presso la base navale della Flotta occidentale, a Garden Island, vicino Adelaide, alla presenza del capo di Stato Maggiore della Royal Australian Navy, ammiraglio Michael Noonan, è stata immessa in servizio l’unità Stalwart (III), la seconda delle navi da rifornimento e supporto della classe «Supply». «Queste navi rappresentano un salto generazionale rispetto alla capacità fornita dalle precedenti unità da supporto in quanto sono dotate di un sistema di gestione del combattimento che migliora la condivisione delle informazioni con le altre Forze armate e alleate», ha affermato l’ammiraglio Noonan, rimarcando come tali navi offriranno una capacità significativa alla Marina, alle Forze armate australiane e ai partner regionali dell’Australia in termini di supporto in mare.

BRASILE Consegnato il primo elicottero H225M armato di missili antinave

La Marina brasiliana ha ricevuto dalla Helibras, la filiale brasiliana di Airbus Helicopters, il primo elicottero «H-225M» («Super Cougar») in configurazione armata di missili antinave, che ha ricevuto la denominazione «AH-15B». Sviluppata dal team di ingegneri di Helibras è la più complessa configurazione finora realizzata, incentrata sull’integrazione di una suite di sorveglianza, scoperta, tracciamento, identificazione e ingaggio di bersagli di superficie che comprende la capacità di trasporto e lancio di due missili antinave MBDA «Exocet AM Block 2 Mod 2 », il radar per la sorveglianza di superficie Telephonics «APS143C(V)3», a cui s’aggiunge il sistema EO/IR FLIR Systems «Star Safire III», e il sistema di missione navale N-TDMS (Naval Tactical Data Management System), quest’ultimo sviluppato in collaborazione con Atech e Airbus Defence and Space, che gestisce tutti i sistemi integrati, compreso quello missilistico, a cui s’aggiunge la una suite di protezione passiva Saab «IDAS-3». L’ultima fase della campagna di tiro con i missili «Exocet AM Block 2 Mod 2» si è svolta con successo lo scorso giugno, aprendo la strada alla qualificazione e alla consegna. L’«H-225M» nella versione «AH-15B» fa parte del contratto firmato dal governo brasiliano nel 2008, incentrato sulla fornitura di 50 «H225M» che saranno gestiti dalle tre Forze armate. Finora sono stati consegnati 39 «H-225M» alle Forze armate brasiliane, tutti assemblati localmente da Helibras, di cui l’elicottero nella nuova versione rappresenta la dodicesima macchina per la Marina.

La Marina brasiliana ha ricevuto dalla filiale brasiliana di Airbus Helicopters, il primo elicottero «H-225M» («Super Cougar») in configurazione armata di missili antinave, che ha ricevuto la denominazione «AH-15B» (Airbus Helicopters).

BULGARIA Taglio lamiera per la prima unità MMPV

Lo scorso 3 dicembre presso i cantieri MTG Dolphin di Varna, si è tenuta la cerimonia di taglio della prima

Marine militari

lamiera, alla presenza del C.S.M. della Difesa e della Marina bulgare, rispettivamente ammiraglio Emil Eftimov e Kiril Mihaylov, della prima delle due unità tipo «MMPV» (Multipurpose Modular Patrol Vessel). Contrattualizzate dal ministero della Difesa bulgaro nel novembre 2020 al gruppo tedesco NVL (in precedenza Lürssen Defence) e costruite in cooperazione presso i cantieri MTG Dolphin e con il coinvolgimento dell’industria di settore nazionale su progetto dello stesso gruppo tedesco, l’unità capoclasse è previsto venga consegnata nel terzo trimestre del 2025, seguita dalla seconda a distanza di un anno. Realizzate sul progetto della piattaforma tipo «MMPV 90» da circa 2300 tonnellate di dislocamento e 90 metri, customizzata secondo le richieste della Marina bulgara, le due nuove unità avranno un sistema di combattimento integrato e con sistemistica proveniente principalmente dal gruppo svedese Saab nonché armamento incentrato su un cannone Leonardo OTO «Super Rapido» da 76/62 mm, un sistema per la difesa di punto Rheinmetall Oerlikon «Millennium» da 35 mm, missili antinave e superficie-aria non specificati unitamente a capacità antisom. Le due unità sono dotate di ponte di volo poppiero e hangar per accogliere, secondo le immagini divulgate, un elicottero del tipo «Panther» in servizio con la Marina bulgara.

CINA Entrato in servizio il quarto caccia classe «Tipo 055»

Il quarto caccia lanciamissili «Tipo 55» (codice NATO: incrociatore classe «Renhai») è entrato in servizio l’11 novembre con la Flotta del Mar Cinese settentrionale della Marina cinese. Si tratta del caccia Anshan (103) che ha ricevuto il nome da una grande città della provincia di Liaoning, situata nel nord-est della Cina, e rappresenta la terza unità della classe a essere commissionata quest’anno. La costruzione dei più grandi caccia lanciamissili della PLAN è suddivisa tra due cantieri: Jiangnan Changxing Shipyard di Shanghai e Dalian Shipbuilding a Dalian. Il caccia Anshan è stato costruito presso i Jiangnan Changxing Shipyard di Shanghai. L’unità capoclasse battezzata Nanchang (101) è stata varata nel giugno 2017 presso i medesimi cantieri, a cui è seguito il secondo, Lhasa (102) nell’aprile 2018. Altre due unità, Dalian (105) e Yan’an (106) sono state varate nel 2018, seguite da altrettante, Anshan (103) e Zunyi (107) nel 2019 e altre due nel 2020 (distintivo ottico 104 e 108) portando il numero totale di piattaforme della classe attualmente in acqua a otto. Secondo fonti cinesi non confermate, una quinta unità, il caccia Yan’an (106), dovrebbe entrare a far parte della flotta PLAN a breve. L’unità capoclasse è stata commissionata il 12 gennaio 2020, seguita quest’anno dal caccia Lhasa (102) a marzo e Dalian (105) ad aprile.

COREA DEL SUD Pronto per la produzione il sistema K-SAAM

Il gruppo LIG Nex1 ha annunciato di aver completato con successo il lancio di qualifica del sistema missilistico superficie-aria K-SAAM da bordo della fregata Daegu (FFG 818) della medesima classe. Grazie a tale attività, il sistema battezzato «Haegung» è pronto per la produzione di serie ad alta cadenza. Sviluppato congiuntamente dal gruppo LIG Nex1 e dell’Agenzia per lo sviluppo nella Difesa con l’obiettivo di rimpiazzare il sistema americano RAM (Rolling Airframe Missile), il K-SAAM si differenzia rispetto al primo per un sistema di lancio verticale e si caratterizza per un sistema di guida terminale radar-infrarosso. Con

Lo scorso 3 dicembre presso i cantieri MTG Dolphin di Varna, si è tenuta la cerimonia di taglio lamiera della prima delle due unità tipo MMPV (Multipurpose Modular Patrol Vessel) contrattualizzate al gruppo tedesco NVL (in precedenza Lurssen Defence) - (NVL).

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una portata massima di 20 km, il sistema K-SAAM è destinato a equipaggiare le presenti e future unità della Marina sudcoreana.

EGITTO Nuovi dettagli sul programma «Meko A-200EN»

Secondo quanto comunicato dal Governo dell’ormai ex cancelliera Angela Merkel al Parlamento il giorno prima dell’insediamento del nuovo cancelliere Olaf Scholz, il Governo tedesco ha dato l’autorizzazione all’esportazione al ministero della Difesa egiziano delle tre unità navali in avanzata fase di costruzione presso l’industria nazionale. Si tratta delle tre fregate tipo «A-200EN» facenti parte dell’ordine che vede in coinvolgimento quale capocommessa Thyssenkrupp Marine Systems, a cui s’aggiunge una quarta la cui costruzione sarebbe iniziata presso il cantiere egiziano Alexandria shipyard con il supporto di tkMS, secondo quanto comunicato dal primo, in concomitanza con il salone delle Difesa e sicurezza EDEX presso il Cairo, che si è tenuto all’inizio di dicembre. Le prime due unità realizzate in Germania risultano in avanzata fase di allestimento mentre la terza è previsto venga varata a breve.

EMIRATI ARABI UNITI Contratto per il progetto delle nuove unità «Falaj 3»

I cantieri Abu Dhabi ShipBuilding (ADSB) hanno assegnato un contratto di valore non specificato al gruppo di Singapore ST Engineering per la progettazione di base, di dettaglio e l’assistenza tecnica nel corso della futura costruzione delle quattro unità tipo «Falaj 3». Le nuove unità, che verranno realizzate negli Emirati Arabi Uniti, si basano sul progetto delle nuove navi da pattugliamento tipo «Fearless» da 60 metri, il cui design appartiene alla divisione navale del gruppo ST Engineering.

Varata la prima corvetta costruita da Naval Group

Con una sobria cerimonia svoltasi il 4 dicembre presso i cantieri Naval Group di Lorient, alla presenza dell’ammiraglio Saeed Hamdan Mohamed Aal Nahyan, comandante in Capo delle Forze navali degli Emirati Arabi Uniti, è stata varata la prima delle due corvette «Gowind 2500» per la Marina emiratina che ha ricevuto il nome Bani Yas (P 110). Con un comunicato stampa emesso in pari data, Naval Group ha fornito i primi dettagli sul programma di acquisizione noto con lo stesso nome assegnato all’unità capoclasse, che finora prevede due unità di cui anche la seconda è in costruzione e verrà varata il prossimo anno. Non sono stati forniti dettagli sul contratto, ma secondo quanto rivelato dalla stampa in occasione della firma avvenuta nel 2019, si parla di un valore di 750 milioni di euro per le due unità navali, a cui s’aggiungerebbe l’opzione per ulteriori due unità. Naval Group fornirà la formazione degli equipaggi della Marina degli Emirati unitamente «all’utilizzo operativo delle unità». «Questa formazione inizierà in Francia e proseguirà nel Golfo Persico con sessioni di formazione collettiva su scenari operativi nei diversi domini di lotta sul mare», ha specificato Naval Group senza fornire ulteriori dettagli.

FRANCIA

Entrata in servizio la FREMM DA Alsace (D 656)

La prima delle due fregate multi-missione con capacità per la Difesa aerea o FREMM DA (FRégate Multi-Missions à capacité de Défense Aérienne renforcée) è entrata ufficialmente in servizio attivo con la Marina francese il 22 novembre, dopo esser stata ac-

Con una cerimonia svoltasi il 4 dicembre presso i cantieri Naval Group di Lorient, è stata varata la prima delle due corvette «Gowind 2500» per

la Marina degli Emirati Arabi Uniti, battezzata BANI YAS (P 110) - (Naval

Group).

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cettata dall’agenzia OCCAR e consegnata alla Marine Nationale il 16 aprile scorso alla presenza del ministro francese delle Forze armate Florence Parly, dopo una serie di attività di collaudo in mare, a terra e all’atto del suo arrivo presso la base navale d’assegnazione di Tolone. È seguito un periodo di verifica della prontezza operativa della fregata e del suo equipaggio, che ha consentito di valutare e certificare le capacità nel corso d’attività operative, specialmente alla luce del suo inserimento nel gruppo navale incentrato sulla portaerei a propulsione nucleare Charles de Gaulle (R 91) e sul sottomarino d’attacco nucleare Suffren. Nell’ambito di tale attività, l’equipaggio della fregata Alsace ha effettuato con successo, il 17 novembre, la valutazione del sistema missilistico antiaereo imbarcato con il primo lancio coronato da successo del missile antiaereo MBDA «Aster 30», completando la certificazione delle nuove capacità del sistema di combattimento della nave.

Impostazione della chiglia della prima FDI …

Con una cerimonia tenutasi presso il cantiere di Lorient di Naval Group, è stata celebrata l’impostazione della prima FDI (Frégates de Défense et d’Intervention) battezzata Amiral Ronarc’h per la Marina francese. Con la celebrazione di tale evento, è iniziato l’assemblaggio delle sezioni dello scafo della nave destinata, secondo i piani, alla consegna nel 2024. Le successive quattro unità previste dal programma seguiranno entro il 2030. Lo stesso giorno della cerimonia, il modulo dell’albero integrato (PSIM, Panoramic Sensors and Intelligence Module) con incorporati i principali sistemi e sensori del sistema di combattimento, è stato alimentato, dando inizio a una serie di test del sistema di combattimento, la cui integrazione e qualifica potrà essere effettuata in parallelo alla costruzione della nave, grazie al fatto che il modulo potrà essere integrato in un momento successivo.

…e della prima LSS

L’impostazione della prima unità Jacques Chevallier tipo BRF (Bâtiment Ravitailleur de Forces) per la Marina francese si è tenuta senza cerimonia ufficiale presso i cantieri Chantiers de l’Atlantique di Saint Nazaire nei giorni precedenti il 25 dicembre. Le immagini di un messaggio twitter postato il 24 dicembre dal portavoce del ministero delle Forze armate e ripreso dalla Marina francese, mostrano il troncone prodiero proveniente dal cantiere di Castellammare di Stabia (Napoli) di Fincantieri insieme con un’altra sezione di dimensioni più ridotte sulla platea del cantiere mentre il testo enfatizza l’impegno della Difesa nella realizzazione di nuove unità. Tale cerimonia si sarebbe dovuta tenere il 14 dicembre ma causa le condizioni

La prima delle due fregate multi-missione con capacità per la Difesa aerea (FREMM DA (FRégate Multi-Missions à capacité de Défense Aérienne ren-

forcée) ALSACE (D 656) è entrata ufficialmente in servizio attivo con la

Marina francese il 22 novembre (Marine Nationale). Con la cerimonia d’impostazione della chiglia della prima FDI (Frégates

de Défense et d'Intervention) battezzata AMIRAL RONARC’H, è iniziata la

fase costruttiva e di allestimento vera e propria che porterà alla consegna alla Marina francese nel 2024 (Naval Group).

Marine militari

L’impostazione della prima unità tipo BRF (Bâtiment Ravitailleur de For-

ces) JACQUES CHEVALLIER per la Marina francese si è tenuta presso i

cantieri Chantiers de l’Atlantique di Saint Nazaire nei giorni precedenti il 25 dicembre (ministero della Difesa francese). Il ministero della Difesa tedesco ha siglato un contratto con la società ESG Elektroniksystem- und Logistik-GmbH per l’acquisto di tre sistemi UAS completi «Sea Falcon», destinati alla Marina tedesca, per l’impiego sulle corvette «K-130» classe «Braunschweig» (ministero Difesa tedesco).

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 10 dicembre presso il cantiere di Nagasaki del gruppo Mitsubishi Heavy Industries, è stata varata la fregata

MIKUMA (4), quarta unità della classe «Mogami» (JMSDF).

meteomarine, la sezione proveniente dall’Italia non ha raggiunto il cantiere in tempo.

GERMANIA Contratto alla società ESG per tre sistemi UAS «Sea Falcon»

Il BAAINBw, l’Ufficio federale delle attrezzature, delle tecnologie dell’informazione e del supporto in servizio del ministero della Difesa tedesco ha siglato un contratto con la società ESG Elektroniksystem- und Logistik-GmbH in qualità di capocommessa, per l’acquisto di tre sistemi completi denominati «Sea Falcon» e incentrati sui velivoli senza pilota (UAS, Unmanned Aircraft Systems) «Skeldar 200» destinati alla Marina tedesca, per l’impiego sulle corvette «K-130» classe «Braunschweig». Ciascun sistema è costituito da due velivoli senza pilota «Skeldar V-200» della società svedese UMS Skeldar, una stazione di controllo degli aeromobili integrabile sulle unità navali, attrezzature varie e pezzi di ricambio. Con un peso massimo al decollo di 235 kg e un carico utile fino a 40 kg, il «Sea Falcon» ha una velocità massima di 75 nodi e ha un’autonomia di volo fino a 5 ore. Capace di decollare e atterrare automaticamente sul ponte delle corvette con venti fino a 20 nodi e condizioni meteomarine «Sea State 3», il drone «Skeldar V-200» dispone di una suite EO/IR le cui immagini vengono trasmesse in tempo reale alla stazione di controllo imbarcata. Il relativo programma AImEG della durata di 4 anni, comprende una fase iniziale riguardante lo sviluppo e la certificazione di un sistema rispondente ai requisiti del ministero della Difesa tedesco, la consegna del medesimo sistema completo e l’integrazione su di una corvetta, la formazione iniziale del personale militare e servizi logistici complementari. La fase successiva comprende la produzione e consegna degli altri due sistemi, uno dei quali sarà anch’esso integrato su di una corvetta e l’altro utilizzato per l’addestramento a terra.

GIAPPONE Varo quarta fregata classe «Mogami»

Marine militari

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 10 dicembre presso il cantiere di Nagasaki del gruppo MHI (Mitsubishi Heavy Industries), è stata varata la fregata Mikuma (4). Quarta unità della classe «Mogami» e terza a essere costruita dai cantieri MHI mentre la seconda unità della medesima classe è stata costruita da cantieri Mitsui E&S di Okayama, la nuova fregata è destinata a essere consegnata ed entrare in servizio tra la fine del 2022 e l’inizio 2023.

GRAN BRETAGNA Assegnato il programma MEWSIC Increment 1

L’agenzia DE&S (Defence Equipment and Support) della Difesa britannica per le acquisizioni e il supporto in servizio ha assegnato un contratto del valore di 100 milioni di sterline per la fase «Increment 1» del programma MEWSIC (Maritime Electronic Warfare System Integrated Capability) a un consorzio d’imprese capitanato da Babcock International insieme a Elbit Systems UK (ESUK) e QinetiQ. L’«Increment 1» del programma MEWSIC che verrà portato avanti dal team industriale insieme all’agenzia DE&S, la Royal Navy e l’agenzia DSTL (Defence Science e Technology Laboratories) prevede lo sviluppo, fornitura, integrazione e supporto in servizio di una suite EW di nuova generazione destinata ad assicurare una superiorità EW in campo operativo per le fregate «Type 26» e «31», i caccia «Type 45» e le portaerei classe «Queen Elizabeth».

Il Carrier Strike Group 21 è tornato in UK

Il gruppo navale incentrato sulla portaerei convenzionale Queen Elizabeth (R 08) e denominato CSG (Carrier Strike Group) 21, è tornato alla base di partenza in Gran Bretagna, dopo il suo primo dispiegamento operativo nell’ambito dell’«Operazione Fortis». Quest’ultima ha portato l’ammiraglia della flotta della Royal Navy nella regione indo-pacifica fino al Giappone e Guam, e indietro attraverso l’Atlantico, il Mediterraneo, il Canale di Suez, l’Oceano Indiano e il Pacifico. Il gruppo navale comprendeva oltre all’ammiraglia, i caccia lanciamissili Defender (D 36) e Diamond (D 34) classe «Daring», il caccia americano The Sullivans (DDG 68) classe «Arleigh Burke», le fregate Richmond (F 239) e Kent (F 78) classe «Duke» e la fregata olandese Evertsen (F 805) classe «De Zeven Provinciën», il sottomarino d’attacco nucleare Astute (S 119), le unità di supporto Tidespring (A 136) e Fort Victoria (A 387), e un gruppo aereo imbarcato sulla portaerei e sulle unità di scorta della Royal Navy comprendente i velivoli STOVL «F-35B» del No. 617 Squadron della RAF e del Marine Fighter Attack Squadron 211 del Corpo dei Marine nonché gli elicotteri Leonardo «Merlin Mk 2 Crowsnest» e «Merlin Mk2 ASW» del NAS (Naval Air Squadron) 820, «Merlin Mk 4» del 845 NAS e «Wilcat» del NAS 815. In una storica missione di sette mesi — il dispiegamento in tempo di pace più significativo della Royal Navy in una generazione — la portaerei e il suo gruppo navale con oltre 3.700 fra uomini e donne hanno visitato più di 40 paesi, addestrandosi e operando con nazioni alleate e partner e allacciando nuovi legami, rinnovando vecchie amicizie e battendo la bandiera della Gran Bretagna. I velivoli ad ala fissa «F-35B» imbarcati, secondo quanto comunicato dalla Royal Navy, hanno totalizzato più di 4.000 ore di volo, pari a oltre 23 settimane complessive in volo, comprese le sortite di combattimento con cui sono stati colpiti i rimanenti elementi di Daesh. «Questo dispiegamento di sette mesi ha dimostrato la rinascita della capacità ‘Carrier Strike’ per la Difesa del Regno Unito», ha dichiarato il capitano Ian Feasey, l’ufficiale comandante della Queen Elizabeth.

Il gruppo navale incentrato sulla portaerei convenzionale QUEEN ELIZABETH (R 08) e denominato CSG (Carrier Strike Group) 21, è tornato alla

base di partenza in Gran Bretagna, dopo il suo primo dispiegamento operativo nella regione Indo-Pacifica nell’ambito dell’«Operazione Fortis» (Crown Copyright).

Marine militari

GRECIA Firmata LOI con l’Olanda per 2 fregate e 6 navi MCM

Il direttore dell’agenzia greca GDDIA per il procurement della Difesa e il suo omologo olandese del DMO (Dutch Defense Materiel Organization) hanno firmato lo scorso 27 ottobre, a margine della Conferenza dei Direttori Nazionali degli Armamenti della NATO (CNAD), una lettera di intenti (Letter Of Intent) per il potenziale futuro trasferimento dal ministero della Difesa olandese a quello greco delle due fregate classe «Karel Doorman», rispettivamente Van Amstel (F 831) in riserva e Van Speijk (F 828) ancora in servizio con la Marina olandese, nonché sei unità contromisure classe «Alkmaar», meglio conosciute a livello internazionale come classe «Tripartite». La Marina greca ha necessità di trovare sul mercato dell’usato unità navali ancora in buono stato per sopperire a una futura perdita di capacità a fronte dell’acquisizione di unità di nuova generazione, in un mix bilanciato compatibile con i fondi a disposizione.

INDIA

In servizio il caccia Visakhapatnam (D 66) e il sommergibile Vela (S24)

Alla presenza del ministro della Difesa indiano, Raksha Mantri Shri Rajnath Singh e di alte personalità

Con una cerimonia tenutasi il 25 novembre presso la base navale di

Mumbai, è entrato in servizio il sommergibile VELA (S 24), quarto del

tipo «Scorpene» appartenente alla classe «Kalvari» (ministero della Difesa indiano).

militari e civili, è stato ufficialmente immesso in servizio il caccia lanciamissili Visakhapatnam (D 66) con una cerimonia tenutasi presso la base navale di Mumbai il 21 novembre scorso. Si tratta, dell’unità capoclasse di quattro caccia del «Project 15B» («P-15B»), la più avanzata e potente classe di unità di superficie della Marina indiana. Progettate da quest’ultima e costruite presso i cantieri Mazagon Dock Limited (MDL), le nuove unità incorporano le più avanzate tecnologie e sistemi sviluppati dall’industria indiana, con un contenuto nazionale che sale al 72% contro il 59% e il 42% rispettivamente dei caccia sviluppati e costruiti nell’ambito dei programmi P-15A e P-15 dai cantieri indiani. Il successivo 25 novembre presso la base navale di Mumbai, è stata la volta del sommergibile tipo «Scorpene» Vela (S 24), quarto della classe «Kalvari».

INTERNAZIONALE Impostazione della prima unità del programma belga-olandese rMCM

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Concarneau lo scorso novembre alla presenza dei capi di Stato Maggiore della Difesa belga e olandese, rispettivamente l’ammiraglio Michel Hofman e il generale Onno Eichelsheim, è stata impostata la chiglia della prima delle dodici unità contromisure mine da realizzare ed equipaggiare nell’ambito del programma congiunto «rMCM». Quest’ultimo è stato assegnato nel 2019 a Belgium Naval & Robotics, il consorzio formato da Naval Group ed ECA Group, e prevede la fornitura alle Marine belga e olandese di dodici navi contromisure mine (sei per ogni Marina) e una suite comune di circa cento fra droni subacquei, di superficie e aerei, con cui verranno equipaggiate le medesime piattaforme. Kership, la joint venture tra Naval Group e Piriou, è responsabile della produzione delle dodici navi che vengono costruite e allestite presso Concarneau. Naval Group, quale capocommessa, è responsabile della progettazione delle navi, dell’integrazione complessiva e del collaudo e messa in servizio del sistema di missione (sistema di combattimento e sistema di contromisure antimine). Il Gruppo ECA, in qualità di co-contraente, è responsabile della suite incentrata sui droni di diversa

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natura, che saranno prodotti (eccetto quelli aerei) nello stabilimento del Gruppo ECA presso Ostenda, in Belgio. Il supporto in servizio delle navi sarà effettuata in Belgio in stretta collaborazione tra la Marina belga e Naval Group Belgium, con l’assistenza del partner locale Flanders Ship Repair. La consegna della prima unità è prevista alla Marina belga per la fine del 2024 a Zeebrugge. Le consegne successive saranno poi scaglionate fra le due Marine fino al 2030.

Presentata l’offerta per la MMPC

Il consorzio guidato da Fincantieri, Naval Group e Navantia e coordinato da Naviris ha presentato lo scorso 9 dicembre un’offerta al Fondo Europeo per la Difesa (EDF, European Defence Funding) per il bando MMPC (Modular and Multirole Patrol Corvette), meglio conosciuta come EPC (European Patrol Corvette). L’obiettivo della proposta, secondo quanto congiuntamente comunicato, è massimizzare le sinergie e la collaborazione tra le industrie cantieristiche europee. Sviluppando insieme una nuova unità EPC, i gruppi cantieristici citati si prefiggono lo scopo di garantire la sovranità europea nel settore delle navi di seconda linea. Secondo quanto dichiarato, questa proposta consentirà di dare impulso al progetto PESCO (Permanent Structured Cooperation), e prevede la partecipazione di Italia, Francia, Spagna e Grecia nel relativo progetto EPC, a cui s’aggiungono Danimarca e Norvegia nel cofinanziamento mentre dal punto di vista industriale sono coinvolte Fincantieri, Naval Group e Navantia, coordinate da Naviris, in aggiunta a 40 aziende per sistemi e componenti navali. Sulla base di un quadro unificato di standard e di metodologie collaborative avanzate di ingegneria, la EPC mira a essere sviluppata in tempi molto brevi, partendo dagli studi di definizione della configurazione fino ad arrivare alla progettazione iniziale. Il design prodotto costituirà una svolta rispetto alle attuali unità, in quanto modulare e flessibile, nonché più efficiente dal punto di vista energetico, più ecologico, più sicuro, maggiormente interoperabile e attento alla cyber security. La MMPC sarà infine caratterizzata per rispondere agli specifici requisiti nazionali, mantenendo un comune «core design» di riferimento. Questa proposta, secondo quanto comunicato, costituisce il primo fondamentale passo per preparare la futura produzione di un’unità prototipo in caso di emissione di un secondo bando EDF nell’ambito della pianificazione pluriennale.

Impostazione della chiglia lo scorso 30 novembre della prima delle dodici unità per compiti MCM in fase di fornitura insieme ai relativi droni da parte del consorzio formato da Naval Group ed ECA Group nell’ambito del programma congiunto belga-olandese rMCM (ECA Group).

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ITALIA

Nuove navi green per la Guardia costiera

Lo scorso 15 novembre, presso il Comando generale delle Capitanerie di porto-Guardia costiera, si è tenuta la cerimonia per la firma del contratto per la progettazione e la costruzione di un’unità d’altura multiruolo (UAM) da 85 metri. La firma è avvenuta tra il comandante generale, l’ammiraglio ispettore capo Nicola Carlone, e l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, quest’ultimo in rappresentanza delle due società, Fincantieri e Cantiere Navale Vittoria, che opereranno attraverso un raggruppamento temporaneo di imprese. «La Guardia costiera cresce al passo con lo sviluppo della cantieristica italiana» ha dichiarato l’ammiraglio Carlone, aggiungendo che trattasi di «uno sviluppo necessario per un’organizzazione con un forte carattere tecnologico, professionale e operativo che è arrivata ad affermarsi come un’eccellenza del nostro paese, riconosciuta anche a livello internazionale». La commessa del valore di circa 80 milioni di euro prevede la costruzione dell’unità capoclasse e il relativo servizio di temporary support quinquennale, oltre alla possibilità dell’esercizio del diritto di opzione per altre due unità.

Lo scorso 15 novembre, presso il Comando generale delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, si è tenuta la cerimonia per la firma del contratto per la progettazione e la costruzione di un’unità d’altura multiruolo (UAM) per il medesimo Corpo (Fincantieri). Completata la partecipazione all’«Operazione Agenor»

Nel periodo inizio ottobre-inizio dicembre, la fregata Federico Martinengo (F 596) classe «Bergamini» ha partecipato come primo assetto nazionale all’operazione AGENOR, nell’ambito dell’iniziativa a guida europea EMASOH (European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz). «L’integrazione della fregata Martinengo in EMASOH evidenzia l’importanza di operare in un contesto multinazionale attraverso la centralità dei paesi europei come strumento efficace per sviluppare il concetto di sicurezza collaborativa in mare. L’operazione rappresenta un momento molto significativo in quanto espressione di coesione tra tutti i paesi coinvolti e dimostrerà l’alto livello di interoperabilità degli assetti volti a garantire la libertà di navigazione, rassicurare la navigazione e il libero flusso del commercio globale, operando nel pieno rispetto del diritto internazionale», ha affermato il comandante della fregata, C.F. Roberto Carpinelli, al momento dell’inizio della partecipazione alla missione. L’unità imbarcava due elicotteri ASuW/ASW «SH-90» e personale del 4° Gruppo Elicotteri Aviazione della Marina Militare e una squadra della Brigata Marina San Marco. L’iniziativa EMASOH è stata lanciata dalla Francia nel gennaio 2020, sulla base di una dichiarazione politica comune con Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo, e più recentemente è stata sostenuta da una nona nazione: la Norvegia. Il Governo italiano ha approvato la partecipazione e il dispiegamento di risorse nazionali all’iniziativa lo scorso giugno con la reiterazione da parte del Parlamento italiano, lo scorso settembre, dei propri impegni internazionali per il 2021. Questi sono perseguiti per contrastare il terrorismo e stabilizzare l’area del «Mediterraneo allargato» che si estende al di fuori del «Mare Nostrum» nell’Oceano Atlantico fino al Golfo di Guinea, al Mar Nero, al Mar Rosso, all’Oceano Indiano e

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Nel periodo inizio ottobre-inizio dicembre, la fregata FEDERICO MARTINENGO (F 596) classe Bergamini ha partecipato come primo assetto nazionale

all’«Operazione Agenor», nell’ambito dell’iniziativa a guida europea EMASOH (European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz) - (EMASOH).

al Golfo Persico-Arabo. Secondo la documentazione rilasciata al Parlamento italiano, la partecipazione dei mezzi navali e aerei delle nazioni europee a EMASOH è finalizzata principalmente a tutelare e sostenere il traffico mercantile nazionale e non, rafforzando la cooperazione con altre iniziative nell’area, contribuendo alla «maritime situational awareness» dello spazio aereo e navale della regione. Durante il periodo di contribuzione, la fregata italiana ha condotto 15 traversate dello Stretto di Hormuz (SoH), monitorando la navigazione mercantile dei 9 paesi partecipanti, e 12 traversate con un attento monitoraggio di specifiche navi mercantili, oltre a effettuare 15 missioni con gli elicotteri.

La Marina Militare ha partecipato all’esercitazione «Bison Counter 21»

Gli assetti specialistici della Marina Militare hanno partecipato all’esercitazione multinazionale denominata «Bison Counter 21» la più imponente e rilevante esercitazione UE nel contrasto alla minaccia IED (Improvised Explosive Device), tenutasi dal 24 ottobre al 5 novembre in Sardegna con il supporto dall’Agenzia Europea per la Difesa (EDA, European Defence Agency). Il Gruppo Operativo Subacquei (GOS) del COMSUBIN ha rischierato i palombari specializzati nella condotta delle attività CME (C-IED in Maritime Environment) ovvero ufficiali sub EOD del GOS nei livelli di comando e controllo della Task Organization, unitamente a un team di specialisti IEDD (Improvised Explosive Device Disposal) e quattro sottufficiali artificieri del plotone Guastatori EOD del 1° Reggimento «San Marco». Per circa tre settimane 650 militari, fra personale delle Forze armate italiane e di nove Stati membri (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Slovenia, Spagna e Svezia), oltre a team provenienti dalla Norvegia e dagli Stati Uniti, hanno avuto come focus l’addestramento del personale specializzato nel contrasto alla minaccia IED, presso le aree addestrative di Capo Teulada, del porto di Cagliari e della base aerea di Decimomannu. Tra i contributi più importanti, da sottolineare il rischieramento del JDEAL (Joint Deployable Exploitation and Analisys Laboratory) nella versione operativa completa posto sotto il comando del C.F. Giovanni Modugno del COMSUBIN, oltre al C.F. Therry Trevisan nel ruolo di «Area Coordinator» del sedime addestrativo di Cagliari. Le complesse attività previste durante l’esercitazione si sono sviluppate, oltre che in scenari terrestri, anche in contesti puramente marittimi e subacquei ove i palombari EOD del GOS hanno potuto mettere in pratica le peculiari capacità nel settore IED, dalla ricerca e scoperta fino alla relativa neutralizzazione e raccolta prove post detonazione con il contestuale invio dei reperti al laboratorio JDEAL. La

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partecipazione all’esercitazione «Bison Counter 2021» ha evidenziato e confermato la completa interoperabilità degli operatori EOD del GOS e della Brigata Marina San Marco, con expertise di altissimo livello in ambito C-IED in ogni scenario tridimensionale, dai fondali marini, alle unità navali fino alle infrastrutture terrestri e alle aree portuali.

Elicotteri e personale dell’E.I. nell’esercitazione «Mare Aperto 2021»

In occasione dell’esercitazione «Mare Aperto 2021», gli equipaggi di volo degli elicotteri «AH-129D Mangusta» del «5° Reggimento Rigel» dell’Esercito Italiano hanno conseguito la qualifica necessaria all’appontaggio sui ponti di volo delle unità navali, c.d. caratteristica «Bravo». Per circa un mese, nave Garibaldi (C 551) è stata, infatti, la sede logistica per gli assetti di volo del Task Group «Tomahawk» del «49° Capricorno» e degli equipaggi di volo del «5° Reggimento Rigel», consentendo un ritorno addestrativo non solo per i piloti, ma anche per l’equipaggio dell’unità e in particolare per il personale tecnico del ponte di volo che ha potuto lavorare e confrontarsi con un ulteriore assetto elicotteristico.

Prima donna al comando di una Compagnia della Brigata Marina San Marco

Il tenente di vascello Ambra Francolini ha assunto per la prima volta nella storia della specialità, il comando di una compagnia della Brigata Marina San Marco, e in particolare della 1° Compagnia Assalto «Bafile», alle dipendenze del 1° Battaglione Assalto Grado, il 24 settembre scorso.

Passo avanti per l’interoperabilità fra velivoli e portaerei della NATO

Il gruppo navale incentrato sulla portaerei Cavour (CVH 550) ha condotto con successo nel weekend del 20-21 novembre le prime attività di volo congiunte con i velivoli STOVL «F-35B Lightning II» dell’Aeronautica Militare e della Marina Militare, insieme al Carrier Strike Group 21 (CSG 21) della Royal Navy incentrato

Condotto l’addestramento degli equipaggi di volo del 5° Reggimento «Rigel» dell’Esercito Italiano imbarcati con elicotteri «AH-129D Mangusta» su Nave

GARIBALDI (C 551) durante l’esercitazione «Mare Aperto 2021».

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sulla portaerei Queen Elizabeth (R 08), con operazioni cross-deck tra le due piattaforme navali di velivoli dell’USMC e italiani. Condotte nel Mediterraneo centrale a sud-est della Sicilia, le attività interforze e congiunte internazionali sono state seguite da vicino dal C.S.M. della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, accompagnato, per l’occasione, dal C.S.M. della Marina Militare, ammiraglio Enrico Credendino e dal C.S.M. dell’Aeronautica Militare, generale Luca Goretti, a bordo dell’ammiraglia della Marina Militare. L’esercitazione congiunta ha registrato diverse «prime»: inizialmente due «F-35B» operativi appartenenti al Fighter Attack Squadron (VMFA) 211 del Corpo dei Marine — imbarcati a bordo della portaerei britannica con gli F-35B del No. 617 Squadron della RAF — sono atterrati e hanno operato per la prima volta dalla portaerei Cavour. Successivamente un «F35B» appartenente al Gruppo Aerei Imbarcati (GRUPAER), e un «F-35B» dell’Aeronautica Militare in servizio con il 13° Gruppo/32° Stormo è appontato e ha operato per la prima volta dalla portaerei britannica. Infine, per la prima volta l’«F-35» dell’Aeronautica Militare è atterrato e ha operato dalla Cavour insieme all’ «F-35B» della Marina Militare. Tutte le attività di volo sono state integrate nelle operazioni navali dei due gruppi di portaerei. «Questo è stato un giorno storico e l’inizio di un nuovo capitolo per le operazioni navali e congiunte delle Forze armate italiane. Continueremo a marce forzate verso una completa integrazione delle due componenti “F-35” dell’Aeronautica e della Marina, portando a una piena interoperabilità sia in ambito aereo che navale sulla base delle procedure operative utilizzate dalle due Forze armate. Oggi abbiamo visto “F-35B” italiani appartenenti all’Aeronautica e alla Marina Militare operare insieme dalle portaerei Cavour e Queen Elizabeth della Royal Navy, mentre gli “F-35B” USMC hanno operato dall’ammiraglia italiana. L’interazione con l’addestramento operativo ha visto anche tutti e quattro gli «F-35B” dei diversi paesi condurre attività di volo insieme, dimostrando una forte interoperabilità tra i partner alleati», ha evidenziato l’ammiraglio Cavo Dragone. «Oltre alle ottime capacità già raggiunte dagli “F-35” dell’Aeronautica Militare, sia in campo operativo che in operazioni reali, l’esercitazione odierna rappresenta un forte impulso nel processo di sviluppo della capacità nazionale di proiezione aerea dal mare, con l’integrazione di una Forza tattica multiruolo congiunta di quinta generazione», ha sottolineato l’ammiraglio Cavo Dragone, congratulandosi con il personale della Marina e dell’Ae-

I gruppi navali incentrati sulle portaerei CAVOUR (CVH 550) e QUEEN ELIZABETH (R 08) hanno condotto con successo le prime attività di volo congiunte

con i velivoli STOVL «F-35B Lightning II» dell’Aeronautica Militare, della Marina Militare e del Corpo dei Marines.

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ronautica coinvolti nell’attività. «Le sinergie tra Marina Militare e Aeronautica nell’utilizzo degli “F-35B” a bordo della portaerei, si realizzeranno anche negli schieramenti a terra, operando congiuntamente in situazioni operative dove non siano disponibili idonee piste di atterraggio per velivoli convenzionali», ha aggiunto con un comunicato ufficiale, sottolineando l’integrazione multi-dominio di entrambe le componenti e la partecipazione degli «F-35B» della Marina da terra alle operazioni sia terrestri che navali. «Siamo felici di lavorare insieme e di farlo anche con i colleghi britannici e dei Marines americani — ha aggiunto l’ammiraglio Enrico Credendino — perché l’addestramento congiunto dei piloti e degli equipaggi delle navi garantisce la piena interoperabilità: il futuro è oggi». Il CSG britannico, a cui negli ultimi giorni era stato integrato il caccia Doria (D 553), ha continuato la prima rotta di rientro verso il Regno Unito, mentre il gruppo navale italiano, formato anche da nave Garibaldi (C 551), dalla rifornitrice Vulcano (A 5335) e dal cacciatorpediniere Durand de la Penne (D 560), ha fatto ritorno presso la base navale di Taranto.

La fregata Fasan (F 591) partecipa all’esercita-

zione greca «Niriis 2021»

La fregata Virginio Fasan (F 591) ha preso parte all’esercitazione aeronavale «Niriis21», organizzata dalla Marina ellenica e svoltasi sulle acque intorno all’isola di Creta tra il 22 e il 30 novembre 2021, secondo un programma di attività seriali che ha abbracciato tutte le forme di lotta, e una fase tattica sviluppata in uno scenario di crisi e di minaccia multidimensionale e asimmetrica, focalizzato su una attività di evacuazione di personale non combattente (NEO). In tale quadro operativo, lo Standing Nato Maritime Group 2 (SNMG2) composto dalla flagship, nave Virginio Fasan, la fregata rumena Regina Maria (F 222), la fregata bulgara Drazki (41) e la rifornitrice tedesca Spessart (A 1442), ha operato con gli assetti della Marina e dell’Aeronautica greca, nonché con il Gruppo Permanente dei Cacciamine (SNMCMG2), consolidando l’interoperabilità tra le Forze alleate, al fine di aumentare la prontezza operativa e rafforzare la cooperazione tra gli assetti multinazionali partecipanti.

L’ammiraglio Aurelio De Carolis è il nuovo CINCNAV

L’ammiraglio Aurelio De Carolis è il nuovo comandante in capo della Squadra navale della Marina Militare (CINCNAV). Succede all’ammiraglio Paolo Pezzutti, che ha ricoperto l’incarico ad interim per un breve periodo e che mantiene il comando della Seconda Divisione navale. L’ammiraglio De Carolis lascia invece l’incarico di sottocapo di Stato Maggiore della Marina. La cerimonia di passaggio di consegne si è svolta il 17 dicembre scorso a bordo della portaerei Cavour, ormeggiata nella stazione navale «Mar Grande» di Taranto, alla presenza del sottosegretario alla Difesa, senatrice Stefania Pucciarelli, del presidente della commissione Difesa della Camera, deputato Gianluca Rizzo, del C.S.M. della Marina Militare, ammiraglio Enrico Credendino e di autorità politiche, militari, giudiziarie e religiose.

L’ammiraglio Aurelio De Carolis ha assunto il Comando della Squadra navale della Marina Militare

lo scorso 17 dicembre, con una cerimonia tenutasi a bordo della portaerei CAVOUR.

Marine militari

Due palombari protagonisti al corso EOD della US Navy

Lo scorso 24 novembre, presso la US Naval School Explosive Ordnance Disposal (EOD), il cui personale proviene da tutte le Forze armate americane, ha avuto luogo la cerimonia di fine corso «International EOD». Il sottocapo di 3^ classe palombaro Alberto Maradini e il sottocapo di 3^ classe palombaro Nicola Cappanera in forza al Gruppo Operativo Subacquei (GOS) di COMSUBIN, si sono classificati al primo e al secondo posto vincendo la concorrenza di ben 13 paesi esteri partecipanti, peraltro riportando una media di punteggio altissima di 98,78/100 e 98/100 che ha stabilito un primato assoluto tra le nazioni aderenti. Alla cerimonia di consegna dei brevetti era presente il 1° luogotenente palombaro Paolo Giannoni che, nell’ambito di un programma dedicato di scambio delle rispettive professionalità, svolge l’incarico di istruttore del personale americano presso la Scuola Palombari della U.S. Navy.

Contratto per la seconda LSS

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 20 dicembre presso l’ufficio dell’OCCAR (Organisation Conjointe de Cooperation sur l’Armement, l’organizzazione internazionale di cooperazione per gli armamenti) in Roma, il direttore dell’agenzia Matteo Bisceglia e il responsabile della divisione unità militari di Fincantieri, Giuseppe Giordo, quale rappresentante del raggruppamento temporaneo di impresa (RTI) guidato da Fincantieri e comprendente Leonardo, hanno firmato il contratto per la fornitura alla Marina Militare della seconda unità tipo LSS classe «Vulcano». Il programma congiunto italo-francese gestito da OCCAR prevede l’opzione per una terza unità. La LSS sarà interamente costruita presso il cantiere di Castellammare di Stabia, dove la consegna è prevista per il 2025. Il contratto ha un valore di circa 410 milioni di euro compreso il sistema di combattimento. L’ordine prevede anche la fornitura del supporto al ciclo vita dell’unità nei primi dieci anni, articolato in attività di logistica e supporto in servizio (attività manutentiva), nonché quella di componenti e macchinari navali realizzati dalla Direzione sistemi e componenti meccanici di Fincantieri, tra cui linee d’assi, timoneria, eliche di manovra, pinne stabilizzatrici e altri impianti di movimentazione, oltre a nuovi equipaggiamenti. L’ordinativo che rappresenta il quinto emendamento al contratto LSS è stato assegnato a soli 9 mesi dalla consegna alla Marina Militare dell’unità capoclasse, che ha raggiunto la piena operatività in occasione della partecipazione all’esercitazione «Mare Aperto 2021».

La MM ospita il 17° meeting annuale del V-RMTC & T-RMN

La 17a edizione dell’annuale meeting del V-RMTC & T-RMN (Virtual Regional Maritime Traffic Centre & Trans Regional Maritime Network), si è tenuta a Roma lo scorso 15 e 16 dicembre, con la partecipazione di esperti provenienti dalle 35 Marine mondiali aderenti al progetto. Quest’ultimo prevede lo scambio reciproco di informazioni non classificate relative a unità mercantili di stazza pari o superiore a 300 tonnellate. L’evento, ospitato dalla Marina Militare e organizzato dal 3° Reparto «Pianificazione e politica marittima» del suo Stato Maggiore, è tornato a tenersi in presenza a distanza di due anni dall’ultimo incontro, anche se alcuni delegati hanno dovuto nuovamente partecipare in videoconferenza a causa delle restrizioni ai viaggi imposte dall’attuale situazione pandemica. Quest’anno il seminario è stato aperto agli osservatori delle Marine di Egitto, Giappone, Libano, Messico e Qatar, oltre ai rappresentanti del progetto di cooperazione e capacity building CRIMARIO II dell’Unione europea e del Maritime Safety and Security Information System (MSSIS), il sistema di condivisione delle informazioni marittime sviluppato dal Dipartimento dei trasporti americano.

NORVEGIA Consegnato il primo velivolo «P-8A Poseidon»

L’agenzia per l’approvvigionamento della Difesa norvegese (NDMA) ha accettato lo scorso 18 novembre il primo dei cinque velivoli ASuW/ASW «P-8A Poseidon» prodotti dalla Boeing e destinati alla Royal Norwegian Air Force (RNoAF). La consegna arriva quattro anni dopo che l’NDMA ha stipulato un accordo con la Marina degli Stati Uniti per l’acquisizione dei velivoli «P-8°» e due anni prima che la nuova mac-

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china inizi a svolgere i compiti di pattugliamento marittimo nell’estremo nord del paese nordico. I quattro restanti velivoli sono tutti in fase avanzata di produzione e saranno consegnati all’NDMA nel 2022.

PAKISTAN Consegnata la prima fregata «Tipo 054 A/P»

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Hudong-Zhongua del gruppo China State Shipbuilding Corporation (CSSC), alla presenza dell’ambasciatore del Pakistan in Cina, è stata immessa in servizio la prima fregata «Tipo 054 A/P». Si tratta dell’unità Tughril, prima di una classe di quattro unità, di cui la prima coppia è stata contrattualizzata nel 2017 mentre la seconda è seguita nel giugno 2018.

Taglio lamiera del quinto sommergibile classe «Hangor»

La costruzione del quinto degli otto battelli classe «Hangor» è stata ufficialmente lanciata lo scorso 9 dicembre presso i cantieri Karachi Shipyard and Engineering Works (KS&EW) di Karachi con la cerimonia del taglio della prima lamiera. Il ministero della Difesa pakistano ha siglato nel 2015 un contratto con il gruppo cinese CSOC (China Shipbuilding & Offshore International Corporation) per l’acquisizione di otto battelli della classe «Hangor» che rappresentano una versione customizzata del modello «S-26» per l’esportazione del progetto di battelli a propulsione diesel/elettrica con sistema indipendente dall’aria (AIP, Air Independent Propulsion) «Tipo 039A/041» classe «Yuan», di cui è prevista la consegna fra il 2022 e il 2028. Il battello che è stato impostato presso i canteri KS&EW e riceverà il nome Tasnim una volta in servizio, rappresenta la prima unità a essere realizzata localmente con trasferimento di tecnologia e il supporto cinese dall’industria nazionale pakistana.

RUSSIA Lanciata la produzione in serie per il missile ipersonico «Tsirkon»

Secondo una fonte del ministero della Difesa russo riportata dall’agenzia TASS, il complesso industriale e bureau per lo sviluppo missilistico MIC (Military-Industrial Corporation) NPO Mashinostroyenia ha lanciato la produzione in serie del sistema missilistico ipersonico «Tsirkon» per la Marina della Federazione russa. La produzione in serie ha preso il via presso il medesimo complesso industriale nonostante le prove e test d’accettazione in servizio da parte del ministero della Difesa per l’impiego da piattaforma navale di superficie siano in fase di completamento. Lo scorso 24 dicembre, il presidente della Federazione russa Vladimir Putin si è pubblicamente congratulato con il personale impegnato in un lancio multiplo, coronato da successo, sia da unità di superficie che da sottomarini del nuovo sistema missilistico ipersonico dopo che in novembre aveva dichiarato che lo stesso sarebbe stato consegnato alla Marina russa nel 2022. Secondo quanto annunciato dalla TASS, il ministero della Difesa russo ha siglato un contratto per la produzione in serie a vantaggio della Marina in occasione del salone «Army 2021» dello scorso agosto. Secondo l’agenzia Interfax che fa riferimento a informazioni ottenute da fonti non specificate della Flotta del Nord, il recente evento di dicembre ha visto la partecipazione di una fregata che ha realizzato una salva di ben 10 missili e due sottomarini anch’essi protagonisti con lanci, in questo caso, singoli.

Secondo l’agenzia TASS, il complesso industriale e bureau per lo sviluppo missilistico MIC NPO Mashinostroyenia ha lanciato la produzione in serie del sistema missilistico ipersonico «Tsirkon» per la Marina della Federazione russa (ministero della Difesa della Federazione russa).

Varato la nave contromisure mine Anatoly Shlemov (651)

Lo scorso 29 novembre presso i cantieri SredneNevsky di San Pietroburgo è stato varato il cacciamine Anatoly Shlemov della classe «Alexandrite» «Progetto

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Lo scorso 29 novembre presso i cantieri Sredne-Nevsky di San Pietro-

burgo è stato varato il cacciamine ANATOLY SHLEMOV (651) della classe

«Alexandrite» «Progetto 12700» (Cantieri Sredne-Nevsky).

Con due cerimonie tenutasi presso i cantieri Sevmash il 21 e il 25 dicembre, è stato rispettivamente consegnato il battello lanciamissili balistici

KNYAZ OLEG (K 552) e il GENERALISSIMO SUVOROV, rispettivamente se-

conda e terza unità della classe «Borei A» o «Progetto 955°», di cui è qui ripresa la prima unità della sottoclasse (Cantiere Sevmash). Con una cerimonia tenutasi lo scorso 18 novembre presso i cantieri Marinette Marine del gruppo Fincantieri è stata consegnata all’US Navy la

LCS MINNEAPOLIS-SAINT PAUL (LCS 21) (Lockheed Martin).

12700». Si tratta della settima unità della classe che è previsto entri in servizio con la flotta del Pacifico nel 2022. In occasione del varo, il responsabile del bureau di progettazione Almaz, Alexander Shlyakhtenko, ha annunciato che la decima unità della classe sarà una versione migliorata dell’attuale piattaforma.

Consegna del secondo e varo del terzo SSBN classe «Borei-A» e …

Con due cerimonie tenutasi presso i cantieri Sevmash il 21 e il 25 dicembre, è stato rispettivamente consegnato il battello lanciamissili balistici Knyaz Oleg (K 552), secondo della classe «Borei A» o «Progetto 955°» ed è stato varato il terzo della medesima classe battezzato Generalissimo Suvorov. Al primo evento ha preso parte anche in videoconferenza il presidente Vladimir Putin e in persona il C.S.M. della Marina della Federazione russa Nikolai Yevmenov, presente anche al secondo.

… del secondo SSGN classe «Yasen M»

In occasione della prima cerimonia presso i cantieri Sevmash il 21 dicembre, è stato consegnato anche il secondo SSGN della classe «Yasen M» «Progetto 885 M», rappresentato dal battello Novosibirsk (K 573), che unitamente all’SSBN Knyaz Oleg (K 552) sono destinati alla flotta del Pacifico.

STATI UNITI

Consegna le LCS Minneapolis-Saint Paul (LCS 21) e Canberra (LCS 30)

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 18 novembre presso i cantieri Marinette Marine del gruppo Fincantieri a Marinette (Wisconsin) è stata consegnata all’US Navy la LCS (Littoral Combat Ship) Minneapolis-Saint Paul (LCS 21). Si tratta dell’undicesima unità della classe «Freedom» e la prima a incorporare dopo un’estesa fase di test e valutazione le modifiche al complesso riduttore, a seguito della scoperta di un difetto al sistema installato

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sulle unità in servizio, problema che ha portato a limitazioni operative delle medesime per prevenire ulteriori guasti e fermo delle piattaforme. L’unità MinneapolisSaint Paul è la prima a introdurre le modifiche atte a consentire il ritorno alle operazioni senza limitazioni di potenza, secondo quanto dichiarato dalla capocommessa Lockheed Martin. Il successivo 23 dicembre, è stata la volta dell’LCS Canberra (LCS 30), consegnata dai cantieri Austal USA. Si tratta della seconda unità classe «Independence» a essere consegnata dai medesimi cantieri alla Marina americana nel 2021.

Battesimo di quattro unità

Lo scorso 6 novembre presso il porto di San Diego è stata battezzata la futura unità rifornitrice Harvey Milk (T-AO 206). Si tratta della seconda unità della classe «John Lewis», destinata a entrare in servizio con l’MSC (Military Sealift Command). A distanza di una settimana è stata la volta dell’unità da trasporto veloce Apalachicola (T-EPF 13) presso Mobile (Alabama). Si tratta della tredicesima unità classe «Spearhead» destinata a entrare in servizio con l’MSC. Nel corso delle medesima giornata presso i cantieri Ingalls Shipbuilding del gruppo HHI (Huntington Ingalls Industries), è stata la volta del sottomarino d’attacco a propulsione nucleare New Jersey (SSN 796) che rappresenta la quinta unità del «Block IV» dei battelli della classe «Virginia». A distanza di un’ulteriore settimana è stata la volta della LCS Marinette (LCS 25) presso gli omonimi cantieri Marinette Marine di Fincantieri. Si tratta della prima unità in servizio con la US Navy a portare il nome della città che ha dato, fin dal 1942 e continua a dare, un significativo contributo alle costruzioni della US Navy, con oltre 1500 unità realizzate localmente, fra cui le unità LCS classe «Freedom», e prossimamente le fregate lanciamissili «FFG 62» classe «Constellation».

Consegna del caccia DDG 121 ed entrata in servizio del DDG 118

Il futuro caccia Frank E. Petersen Jr (DDG 121) è stato consegnato alla Marina americana dai cantieri Ingalls Shipbuilding del gruppo HHI (Huntington Ingalls Industries) lo scorso 30 novembre. Si tratta della sesta di nove piattaforme della variante «Flight IIA: Technology Insertion» che incorpora delle migliorie previste dalla successiva variante Flight III. A distanza di 7 giorni è stata immesso in servizio con una cerimonia tenutasi presso la base navale di Pearl Harbour, il caccia Daniel Inouye (DDG 118). Si tratta della terza piattaforma della variante «Flight IIA: Technology Insertion» che risulta equipaggiata con il sistema di combattimento «AEGIS Baseline 9» che assicurare capacità IAMD (Integrated Air and Missile Defense) e migliora le capacità di difesa contro missili balistici.

Selezionate le società in gara per l’intercettore ipersonico

La MDA (Missile Defense Agency) ha assegnato a Lockheed Martin, Northrop Grumman e Raytheon, rispettivamente un contratto del valore di 20,94, 18,95 e 20,97 milioni di dollari per lo sviluppo in competizione di un nuovo GPI (Glide Phase Interceptor), un’arma ipersonica difensiva progettata per contrastare i missili ipersonici avversari. I contratti assegnati prevedono la realizzazione da parte di ciascuna società di un concept design per lo sviluppo dei relativi prototipi che dovrà essere disponibile entro settembre 2022. Progettato per l’integrazione a bordo delle unità navali più capaci

Lo scorso 6 novembre presso la base navale di Pearl Harbour (Hawaii) è

stato immesso in servizio il caccia DANIEL INOUYE (DDG 118). Si tratta

della terza piattaforma della variante «Flight IIA: Technology Insertion» della classe «Arleigh Burke» (US Navy).

Marine militari

La MDA (Missile Defense Agency) ha assegnato a Lockheed Martin, Northrop Grumman e Raytheon, rispettivamente un contratto per lo sviluppo in competizione di un nuovo GPI (Glide Phase Interceptor), un’arma ipersonica difensiva progettata per contrastare i missili ipersonici avversari, lanciabile dalle unità navali della US Navy (Raytheon).

Nel corso di una dimostrazione tenutasi nel Golfo di Aden lo scorso 14 dicembre, il dimostratore del sistema d’arma laser «SSTL-TML WSD Mark 2 MOD

0» installato a bordo dell’unità d’assalto anfibio PORTLAND (LPD 27) ha ingaggiato con successo un bersaglio statico di superficie (US Navy).

della US Navy con il sistema di combattimento AEGIS, il GPI è stato ideato per abbattere missili ipersonici mentre volano attraverso l’atmosfera superiore della terra a circa 70 chilometri di altitudine e a velocità superiori a Mach 5. L’annuncio originale della MDA prevedeva una selezione per quest’estate, ma le valutazioni tecniche hanno richiesto più tempo del previsto. Secondo quanto dichiarato dall’ammiraglio Tom Druggan, responsabile del programma Sea-Based Weapon Systems dell’agenzia MDA, l’assegnazione di più progetti, consentono di portare a termine una fase di riduzione del rischio destinata a esplorare i concetti e massimizzare i vantaggi di un ambiente competitivo per realizzare il prima possibile un intercettore più efficace e affidabile per la Difesa ipersonica regionale.

Test laser da bordo dell’unità Portland (LPD 27)

Nel corso di una dimostrazione tenutasi nel Golfo di Aden lo scorso 14 dicembre, il dimostratore del sistema d’arma laser SSTL-TML WSD (Solid State Laser – Technology Maturation Laser Weapon System Demonstrator) «Mark 2 MOD 0» installato a bordo dell’unità d’assalto anfibio Portland ha ingaggiato con successo un bersaglio addestrativo statico di superficie. L’equipaggio dell’unità aveva neutralizzato con successo nel maggio 2020 con il medesimo sistema d’arma laser LWSD un piccolo drone mentre operava nell’Oceano Pacifico.

Luca Peruzzi

SCIENZA E TECNICA

Le unità navali mercantili a propulsione nucleare

Verso la fine degli anni 30 in varie nazioni, tra cui Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, erano state gettate le basi teoriche per l’impiego dell’energia nucleare, cioè dell’energia derivante dalla fissione dell’atomo, sia per produrre un’esplosione di grandissima potenza (la bomba atomica) che per generare energia termica, che a sua volta può essere trasformata in energia meccanica ed elettrica, mediante un reattore nucleare.

Il primo documento sull’impiego di un reattore nucleare per la propulsione di un’unità navale è il «memorandum on sub-atomic power sources for submarine propulsion» scritto nel novembre 1939 dall’ammiraglio Stanford C. Hooper, assistente tecnico del CNO (Capo di Stato Maggiore) della US Navy; questo documento si basava sul lavoro di Enrico Fermi, che, dopo aver abbandonato l’Italia nel 1938, nella primavera del 1939 aveva esposto ai vertici della US Navy le possibilità offerte dalla fissione nucleare.

Nel periodo bellico gli studi sull’energia nucleare vennero comprensibilmente concentrati sulla produzione della bomba atomica, rimandando a tempi migliori lo sfruttamento dell’energia atomica per la produzione di energia e la propulsione di sommergibili. Ancora nel 1940, comunque, negli Stati Uniti la propulsione di sottomarini era stata giudicata dal National Defence Research Committee il settore applicativo più promettente per l’energia nucleare.

Dopo l’impiego sul Giappone delle prime bombe atomiche nell’agosto 1945 e la fine della guerra, venne seriamente affrontato il problema dell’impiego di reattori nucleari per la produzione di energia elettrica e per la propulsione navale. Nello stesso tempo gli Stati Uniti, allo scopo di cercare di evitare che altre nazioni fossero in grado di realizzare in tempi brevi armi atomiche, anche per l’inizio della Guerra Fredda, imposero nel 1946 un bando totale sulla condivisione di ogni informazione relativa al settore nucleare anche con i più stretti alleati (Mc Mahon Act).

Un’importantissima modifica al Mc Mahon Act fu il programma «Atoms for peace», annunciato ufficialmente con un discorso del presidente Eisenhower all’Assemblea generale delle Nazioni unite il giorno 8 dicembre 1953: questo discorso segnò l’apertura allo sviluppo degli usi pacifici delle tecnologie per l’energia nucleare, e portò alla Conferenza ONU di Ginevra (1955) in materia e, l’anno successivo, alla costituzione dell’IAEA (International Atomic Energy Agency), l’agenzia internazionale per la cooperazione in campo nucleare.

La prima unità navale a propulsione nucleare fu il sottomarino USS Nautilus dalla US Navy, che il 17 gennaio 1955, durante le prove in mare trasmise lo storico segnale «Underway on nuclear power», segnando l’inizio dell’era della propulsione nucleare. Al Nautilus seguirono in tempi brevi nella US Navy numerosi altri sottomarini a propulsione nucleare, e attorno al 1960 entrarono in servizio anche le prime unità di superficie con impianto di propulsione nucleare, l’incrociatore CGN-9 Long Beach, la portaerei CVAN-65 Enterprise e il cacciatorpediniere conduttore DLGN-25 Bainbridge.

Enrico Fermi, lo scienziato italiano grazie alle cui scoperte è stato possibile realizzare la bomba atomica e i reattori nucleari, ripreso a Los Alamos negli Stati Uniti nel periodo 1943-49 (wikipedia).

Scienza e Tecnica

Nel corso degli anni 60 anche Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia svilupparono sistemi di propulsione navale nucleare. Nell’agosto 1949, nonostante il bando del Mc Mahon Act, l’Unione Sovietica fece esplodere la sua prima bomba atomica, quattro anni dopo gli Stati Uniti. Nel campo della propulsione nucleare dei sottomarini il gap venne ridotto a 3 anni, in quanto il primo sottomarino nucleare sovietico, il K3 Leninsky Konsomol, del tipo November, venne consegnato nel 1958 (3 anni dopo il Nautilus). Prima del 1961 i sovietici realizzarono tre diverse classi di unità a propulsione nucleare, gli SSN del tipo «November», gli SSBN del tipo «Hotel» e gli SSGN (sottomarini lancia missili da crociera) del tipo «Echo», tutti con due reattori nucleari raffreddati ad acqua e due assi. Per quanto riguarda le unità di superficie a propulsione nucleare, invece, l’Unione Sovietica riuscì a precedere gli Stati Uniti, in quanto realizzò la prima unità di superficie a propulsione nucleare, il rompighiaccio Lenin. I grandi rompighiaccio destinati a operare lungo le coste settentrionali della Siberia avevano sempre sofferto dei limiti di potenza e di autonomia derivanti dall’impiego di apparati motori tradizionali, a combustibile fossile, e l’adozione della propulsione nucleare consentì di superare queste limitazioni.

In Gran Bretagna, dopo l’esplosione della propria prima bomba nucleare nell’ottobre 1952, nel 1953 vennero realizzati i primi impianti per la produzione su larga scala (diverse decine di MW) di energia elettrica di origine nucleare. Nel 1954 venne avviato un programma per la produzione di un reattore per la propulsione di sottomarini britannici, anche perché nel 1953-54 il Mc Mahon Act venne modificato consentendo la cooperazione con la Gran Bretagna. Il primo sottomarino nucleare britannico, l’HMS Dreadnought, fu varato, con la regina come madrina, il 21 ottobre 1960 e consegnato nell’aprile 1963. In Francia nel 1954 venne impostato un primo programma per dotare il paese sia di bombe atomiche che di sottomarini a propulsione nucleare, e questi programmi subirono una netta accelerazione, con aumento di budget e di priorità, nel 1960, dopo l’avvento al potere nel 1958 del generale De Gaulle. Nel febbraio 1960 venne sperimentata nel Sahara algerino la prima bomba atomica francese, e nel 1961 fu impostato il primo sottomarino nucleare francese, Le Redoutable, che fu poi varato nel 1967 e consegnato nel 1971; il battello era un SSBN e impiegava come combustibile uranio arricchito fornito dagli Stati Uniti.

L’idea di realizzare una nave mercantile a propulsione nucleare negli Stati Uniti si inquadra nel periodo del superamento del Mc Mahon Act per gli impieghi civili dell’energia nucleare (Atoms for peace). L’entrata in servizio dell’USS Nautilus aveva reso evidente che tutti i problemi tecnici legati all’impiego dell’energia nucleare per la propulsione di unità navali, sia militari che mercantili, erano superabili, e che andava esaminata la fattibilità economica. Il dipartimento del Governo federale statunitense per la Marina mercantile

Il primo sottomarino a propulsione nucleare è stato lo SS 571 NAUTILUS

della US Navy, qui ripreso il 25 agosto 1958 al rientro nella rada di New York dopo il suo primo viaggio transpolare (archivio autore).

Scienza e Tecnica

La nave mercantile a propulsione nucleare statunitense NS SAVANNAH fotografata nel corso delle prove in mare (archivio autore).

Il discorso «Atoms for peace» del presidente degli Stati Uniti d’America Eisenhower all’assemblea generale delle Nazioni unite il giorno 8 dicembre 1953 segnò l’apertura allo sviluppo degli usi pacifici delle tecnologie per l’energia nucleare (wikipedia).

(MARAD, Marittime Administration Department, allora parte del ministero del Commercio) iniziò un programma per lo sviluppo di un reattore nucleare destinato alla propulsione navale, ma meno sofisticato e meno costoso di quelli impiegati sui sottomarini della US Navy, e di una nave mercantile idonea a ospitarlo; il MARAD decise di puntare, inizialmente, su di una piccola nave per trasporto combinato di merci e passeggeri (liner), anche se era già chiaro che una nave a propulsione nucleare economicamente competitiva avrebbe dovuto essere contraddistinta da grandi dimensioni, velocità abbastanza elevata, lunghe distanze tra gli scali; le candidate ideali erano una petroliera (oiler) o una nave trasporto carichi alla rinfusa (bulk carrier). Il 22 ottobre 1958 venne quindi impostata presso i cantieri navali New York Shipbuilding Corporation di Camden (New Jersey); madrina della cerimonia la signora Nixon, moglie del Vicepresidente. La madrina del varo, il 21 luglio 1959, fu la signora Eisenhower. L’unità aveva un dislocamento di 20.000 tonnellate, un equipaggio di 110 persone e sistemazioni per 60 passeggeri, oltre a 9.300 tonnellate di carico. L’impianto di propulsione, a turbine a vapore della potenza di 22.000 SHP, poteva imprimerle una velocità di 21 nodi, ed era basato su di un reattore nucleare da 74 MW del tipo PWR, alimentato a uranio arricchito al 4,4%. A differenza di quanto avvenuto con i sottomarini, non venne prodotto un prototipo del reattore basato a terra, e quindi la fase di installazione e allestimento fu particolarmente lunga e attenta, permettendo di scoprire e rettificare alcuni difetti di progettazione e realizzazione.

Nel frattempo vennero poste anche le basi normative per esercire una nave mercantile a propulsione nucleare, con la Convenzione del 1960 sulla salvaguardia della vita umana in mare SOLAS, che prevedeva la possibilità di impiegare la propulsione nucleare e stabiliva alcuni criteri costruttivi e d’impiego, e con i regolamenti per la costruzione di navi a propulsione nucleare emanati dai principali registri navali mondiali (BV, francese, e DNV, norvegese, nel 1960, ABS, americano, nel 1962, GL, tedesco, nel 1963, NKK, giapponese, nel 1964, LR, britannico, nel 1966 e RINA, italiano, nel 1968).

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Alcune immagini relative alla NS SAVANNAH (tutte archivio autore). 1 - Il varo avvenuto il 21 luglio 1959 presso i cantieri navali New York Shipbuilding

Corporation di Camden (New Jersey); 2 - La centrale di controllo dell’impianto di propulsione e del reattore nucleare; 3 - La plancia comando;

4 - La NS SAVANNAH arriva nel porto di Bremenhaven in Germania il 18 giugno 1964, al completamento del suo primo viaggio attraverso l’Oceano

Atlantico; 5 - La sala macchine, con sullo sfondo la centrale di controllo dell’impianto di propulsione e del reattore nucleare; 6 - Impressione artistica

dell’impianto di propulsione nucleare; 7 - Mock-up in legno dell’impianto di propulsione nucleare realizzato durante la progettazione di dettaglio della NS SAVANNAH.

Il reattore raggiunse la prima criticità il 21 dicembre 1961, le prove in mare iniziarono nel marzo 1962 e la NS Savannah venne accettata dalla MARAD il primo maggio dello stesso anno e consegnata alla compagnia di navigazione States Marittime Lines Inc, poi rimpiazzata nella primavera 1963 dalla American Export Isbrandtsen Lines dopo uno sciopero del personale di bordo della prima compagnia, che, nonostante i complessi corsi di qualificazione in ingegneria nucleare ricevuti, era pagato come il normale personale imbarcato. Il personale della nuova compagnia subì un addestramento molto più ridotto e accettò contrattualmente di essere pagato come gli altri marittimi. Per la gestione in ambito portuale del combustibile e dei rifiuti nucleari della Savannah venne realizzata un’apposita chiatta, la Atomic Servant, dotata di tutte le necessarie sistemazioni per la sicurezza nucleare e basata a Galveston, scelto come porto base della Savannah. Dopo un primo viaggio nel Pacifico nel 1962-63, nel corso del quale toccò solo porti statunitensi (isole Hawaii incluse), la Savannah nel 1963-64 attraversò l’Atlantico, sostando in porti tedeschi, irlandesi e britannici. Nel 1965 vennero rimosse le sistemazioni per i passeggeri e iniziarono i viaggi commerciali, con un sussidio della MARAD pari a circa il 50% dei costi operativi; le rotte erano transatlantiche, con scali nei porti nordeuropei e, nei mesi invernali, in Mediterraneo. La NS Savannah effettuò anche vari scali in porti italiani, tra cui Napoli dal 2 all’8 dicembre 1964 e il 3 maggio 1968, Livorno dal 21 al 26 dicembre 1965 e dal 5 all’8 aprile 1966, e Genova dal 6 all’11 febbraio 1966 e dal 12 al 16 gennaio 1967.

Nel 1967 iniziò il servizio verso i porti dell’Estremo Oriente, e nel 1968 avvenne la prima sostituzione del combustibile nucleare. L’unità vene ritirata dal servizio dalla MARAD nel 1971-72, a causa dei costi di esercizio troppo elevati.

Nella seconda metà degli anni 60 negli Stati Uniti venne seriamente considerata la possibilità di costruire altre unità mercantili a propulsione nucleare, più grandi e veloci della NS Savannah, ma il programma venne poi abbandonato.

Scienza e Tecnica

In Europa, intanto, era stata istituita a Roma, il 25 marzo 1957, la Comunità Europea dell’Energia Atomica (C.E.E.A., più nota come EURATOM), dai sei paesi fondatori di quella che è oggi l’Unione europea, e cioè Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, allo scopo di contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione delle industrie nucleari, all’elevazione del livello di vita negli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con altri paesi. Tra i primi programmi finanziati in parte dall’EURATOM, ve ne furono diversi dedicati allo sviluppo e progettazione di navi nucleari, in Belgio, Francia, Italia, Repubblica Federale Tedesca e Olanda; studi per la realizzazione di navi nucleari furono compiuti anche in Gran Bretagna e Scandinavia; le uniche navi realizzate furono però il frutto del programma tedesco, e, al di fuori dell’Europa, del programma giapponese.

In Gran Bretagna nel 1959-60 il Governo effettuò una gara per la progettazione di un apparato motore nucleare per una petroliera, ma il programma si arrestò in quanto le offerte dimostrarono che tale nave non sarebbe stata economicamente competitiva rispetto a una nave con propulsione convenzionale.

Nell 1962 l’EURATOM approvò il programma Vulcain della società Belgo-Nucleaire per lo studio di un nuovo tipo di reattore PWR «integrale», cioè con le

pompe e gli scambiatori del circuito secondario all’interno del contenitore del reattore, a differenza dei reattori più convenzionali dove questi componenti sono situati all’esterno; l’industria britannica venne chiamata a collaborare, in particolare per gli aspetti relativi alla propulsione navale mercantile; non dimentichiamo che, all’epoca, la Gran Bretagna era l’unico paese europeo con un’unità navale a propulsione nucleare in costruzione (l’HMS Dreadnought). Dopo un dibattito durato Il trattato EURATOM, ufficialmente il «trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica», è stato firmato il 25 marzo 1957 a Roma, nella sala degli Orazi e dei Curiazi, insieme al trattato che istituisce la Comunità economica europea (trattato CEE) - (wikipedia). diversi anni, nel corso del quale vennero evidenziate la minore affidabilità e sicurezza di un reattore integrale, a fronte di pesi, dimensioni e costi più contenuti, nel 1964-65 venne abbandonato l’appoggio britannico al progetto Vulcain e venne comunque deciso di non procedere alla costruzione di una nave mercantile a propulsione nucleare in Gran Bretagna. In Francia nel 1956 iniziò una fase di studio per la progettazione di una petroliera a propulsione nucleare, con il coinvolgimento di autorità governative del settore nucleare e cantieri navali, ma dal 1959-60 i principali sforzi della ricerca francese furono concentrati sull’impiego militare dell’energia nucleare e nel 1962 il programma, che prevedeva un reattore innovativo moderato a grafite, venne abbandonato. In Olanda venne avviato attorno al 1960 un programma per la costruzione di unità navali mercantili a propulsione nucleare, il progetto NERO (Nederlands Eerste Reactor Ontwerp), con il contributo dell’EURATOM, che prevedeva inizialmente la progettazione di un «interim reactor» chiamato NEREUS. Nell’ambito del programma NERO venne realizzato, all’inizio degli anni 60, il reattore sperimentale olandese KRITO. A partire dal 1959 un gruppo di armatori norvegesi (cui si unirono nel 1962 anche degli svedesi) valutò in dettaglio la costruzione di unità mercantili a propulsione nucleare, ma nel 1967 il programma fu abbandonato per motivi economici.

Scienza e Tecnica

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Alcune immagini relative alla nave mercantile a propulsione nucleare della Repubblica Federale Tedesca OTTO HAHN (tutte archivio autore). 1 - La OTTO HAHN ripresa nel corso delle prove in mare; 2 - La plancia comando; 3 - La sala macchine; 4 - Un tecnico entra nel compartimento del reattore della OTTO HAHN.

Nel 1958 nella Repubblica Federale Tedesca si iniziò a lavorare per la realizzazione di un’unità mercantile e propulsione nucleare: inizialmente si pensava a una petroliera e a un reattore moderato con fluido organico, ma ben presto ci si orientò invece su di una ore carrier (trasporto minerali) e su di un reattore del tipo integrato «Consolidated Nuclear Steam Generator», prodotto dalla statunitense Babcock & Wilcox, che aveva realizzato anche il reattore della NS Savannah e proponeva questo reattore anche per le nuove unità che si pensava di realizzare negli Stati Uniti. Nel 1962, con l’ordine per la costruzione della nave, la Repubblica Federale Tedesca si pose alla testa dei paesi europei in questo settore. La nave, battezzata Otto Hahn, fu impostata nel settembre 1963 e varata nel giugno 1964; il reattore raggiunse la prima criticità nell’agosto del 1968 e nello stesso anno furono effettuate le prove in mare e la nave entrò in servizio, compiendo nel 1970 il primo viaggio commerciale per caricare fosfati in Marocco. Nel 1979 l’unità fu posta in disarmo e il reattore nucleare rimosso; rientrerà in servizio nel 1983 come portacontenitori con un tradizionale apparato motore diesel, per essere poi demolita nel 2009.

In Giappone, dopo alcuni iniziali ambiziosi progetti relativi a una nave passeggeri e una petroliera-sottomarino destinata a operare sotto la banchisa artica, a partire dal 1959 si iniziò a concretizzare un più serio e realistico sforzo dell’ambiziosa industria cantieristica nipponica nel settore della propulsione nucleare mercantile, sforzo che, portò alla realizzazione della nave sperimentale NS Mutsu, impostata nel novembre 1968, varata nel giugno 1969, e che effettuò le prove in mare nel 1974. Sia durante l’allestimento che durante le prove in mare, l’unità fu oggetto di accanite contestazioni, in particolare dai pescatori giapponesi; una lieve perdita di radioattività nel corso delle prove in mare fu sufficiente a bloccare l’unità, che sarà modificata per aumentare la sicurezza dello schermo e completata solo nel 1990. Dopo un viaggio di prova della lunghezza di 50.000 miglia, l’unità fu posta in disarmo e il reattore nucleare rimosso; come la Otto Hahn, anche la Mutsu rientrò in servizio nel 1996 come unità oceanografica a propulsione convenzionale (diesel-elettrica) con il nome di NS Mirai, ed è ancora oggi in attività. Il reattore da 36 MW che generava l’energia a bordo della Mutsu, progettato e realizzato da Mitsubishi, era abbastanza convenzionale, di tipo PWR a uranio arricchito con doppio circuito primario e doppio scambiatore di calore. Il sistema di contenimento era doppio, un contenitore cilindrico del core del reattore schermato anche da casse d’acqua, e uno, sempre cilindrico, dell’intero circuito primario.

In Unione Sovietica, come già accennato, venne realizzata la prima unità a propulsione nucleare di superficie, nonché la prima unità mercantile, il rompighiaccio Lenin. L’unità venne impostata nei cantieri Kirov Elektrosia Work di Leningrado nell’agosto 1956, varata nel dicembre 1957 ed entrò in servizio, dopo vari mesi di prove in mare, alla fine del 1959. Alla consegna il Lenin era dotato di tre reattori tipo PWR OK 150 da 90 MW ciascuno, due soli dei quali erano normalmente in funzione, tenendo il terzo di

Scienza e Tecnica

Sezione longitudinale e principali caratteristiche della nave mercantile a

propulsione nucleare giapponese MUTSU (archivio autore).

I principali componenti del reattore nucleare da 36 MW sviluppato da Mit-

subishi per la MUTSU (archivio autore).

Il rompighiaccio sovietico LENIN, qui fotografato ormeggiato a Murmansk nel 2009, nella sua attuale condizione di nave museo, è stata la prima nave di superficie e la prima nave mercantile a propulsione nucleare (wikipedia).

riserva; questi reattori costituiscono la prima generazione di reattori sovietici per propulsione navale, e presentavano problemi di affidabilità: il Lenin ebbe un primo grave incidente al core di un reattore nel 1965 e un secondo nel 1967, poco dopo il completamento delle operazioni di riparazione. Dopo il secondo incidente tutti e tre i reattori OK150 furono sbarcati e sostituiti con due reattori di seconda generazione, del tipo OK900. Con i nuovi reattori il Lenin operò senza incidenti maggiori dal 1970 al 1989, anno della radiazione; l’unità è stata successivamente trasformata in nave museo ed è attualmente ormeggiata nel porto di Murmansk.

Negli anni 70 iniziò la realizzazione dei rompighiaccio classe «Arktika», dotati di due reattori OK900A, che saranno realizzati in 6 esemplari (l’ultimo entrato in servizio solo nel 2007 con un progetto modificato). L’Arktika è stata la prima nave di superficie al mondo a raggiungere il Polo Nord, il 17 agosto 1977. Negli anni 80 venne realizzata la nave per trasporto zattere (Lash) in zone artiche Sevmorput, dotata di due reattori tipo KLT40, e iniziò la realizzazione dei due rompighiaccio classe «Taymyr», di poco più piccoli degli Arktika, dotati di un reattore KLT40M. Nel 2013 è iniziata la costruzione, presso i cantieri Baltiysky Zavod (Cantieri navali del Baltico) di San Pietroburgo, per conto di Rosatomflot, del primo di una nuova classe di nuovi rompighiaccio a propulsione nucleare (tipo LK60-Ya o Project 22220); il capoclasse, chiamato Arktika come il suo predecessore, è la più grande e potente unità rompighiaccio mai realizzata, ed è stato consegnato nel 2020, dopo una serie di problemi tecnici emersi du-

Il nuovo rompighiaccio russo a propulsione nucleare ARKTIKA lascia, il 22

settembre 2020, il cantiere dell’ammiragliato di San Pietroburgo per il porto di Murmansk. Le unità di questa classe (Project 22220, ordinate in 5 esemplari, delle quali le prime 2 sono già state consegnate) costituiscono oggi più grandi e potenti rompighiaccio in servizio (wikipedia).

Scienza e Tecnica

rante le prove in mare, anche in conseguenza delle modifiche al progetto apportate per effetto della crisi ucraina e delle conseguenti sanzioni, per cui molti componenti che erano inizialmente previsti di fornitura ucraina (come i turbogeneratori Turboatom) od occidentale (come il sistema di propulsione elettrica integrata General Electric Power Conversion) sono stati sostituiti con componenti prodotti all’interno della Federazione russa. Sono state ordinate 5 unità di questa classe, e le unità successive alla prima sono realizzate secondo un progetto modificato per tenere conto dell’esperienza della capoclasse. Nell’ultimo trimestre del 2021 è entrata ufficialmente in servizio anche la Sibir, seconda unità della classe, la cui costruzione è iniziata nel 2015. La quarta unità, impostata nel 2016, dovrebbe essere consegnata nel 2022, e le ultime due nel 2024 e 2026. Sono unità di grandi dimensioni, lunghe 174 metri con un dislocamento di oltre 33.000 tonnellate, con due reattori nucleari RITM-200 da 175 MWt e un apparato motore turboelettrico della potenza di 60 MW, capace di imprimere alle unità una velocità di 22 nodi in acqua libera o di navigare con ghiaccio dello spessore di 3 metri. Due rompighiaccio della prima classe «Arktika» (Yamal e 50 Let Pobedy), due classe «Taymyr» (Taymyr e Vaygach) la Sevmorput (attualmente impiegata come portacontenitori) e i due nuovi classe «Arktika» (Arktika e Sibir) sono le uniche unità mercantili a propulsione nucleare ancora in servizio in tutto il mondo; sono operate dalla compagnia Rosatomflot a partire dalla base Atomflot, presso Murmansk; questa base, operativa dal 1960, è nata con il nome di base 92 per supportare le operazioni della Lenin, e in particolare per gestire il ciclo del combustibile nucleare. Nel 2020 è iniziata la costruzione del primo di una nuova classe di rompighiaccio russi di dimensioni ancora maggiori dei nuovi Arktika, il Rossiya della classe «Lider» (tipo LK110 o Project 10510), il cui completamento è previsto nel 2027. Saranno unità lunghe 200 metri, con un dislocamento di oltre 55.000 tonnellate, un apparato motore da 110 MW, capaci di navigare con ghiacci dello spessore di 4,5 metri. È prevista la costruzione di tre unità; la seconda e terza unità dovrebbero essere ordinate nel 2023 e 2025 per essere consegnate rispettivamente nel 2030 e 2032.

Secondo alcune fonti di stampa anche la Cina ha intenzione di realizzare nel prossimo futuro un rompighiaccio a propulsione nucleare.

Anche in Italia a partire dal 1956-57 venne esaminata la possibilità di costruire una nave mercantile a propulsione nucleare. La divisione nucleare della Fiat, in collaborazione con il gruppo Ansaldo, progettò una petroliera da 50.000 dwt con un apparato motore da 21.000 CV; nel 1958 si era arrivati, con il sostegno dell’EURATOM, alla fase di progettazione del reattore nucleare, un PWR da 74MW, sviluppato in gran parte presso il Politecnico di Torino. In quel periodo il gruppo Fiat, che costituiva la più grande realtà europea di proprietà privata nel settore nucleare, si dotò, oltre che di centri di ricerca, di un proprio reattore nucleare di ricerca, ubicato in Piemonte ad Avogadro (Saluggia), che divenne attivo nel 1959, ma venne fermato già nel 1971 per volontà della Fiat, che aveva già intuito le scarse prospettive e la scarsa popolarità del nucleare in Italia. In parallelo, tra il 1959 e il 1963, era stato sviluppato il progetto di un sottomarino nucleare d’attacco italiano, chiamato Guglielmo Marconi, la cui realizzazione fu però abbandonata sia per motivi economici che per lo scarso entusiasmo dei paesi alleati, in primis gli Stati Uniti che avrebbero dovuto fornire il combustibile. Nel 1963 il ministro della Difesa aveva annunciato, sulla base delle difficoltà di realizzazione del Marconi, che, pur restando la costruzione del sottoma-

Modello, presentato da Rosatom nel 2020, dei rompighiaccio tipo Lider, Project 10510, con un dislocamento di 69.000 tonnellate e una lunghezza di 209 metri. La costruzione di questa gigantesca unità è iniziata nel 2021 e la consegna è prevista nel 2030 (wikipedia).

Scienza e Tecnica

Modello della petroliera da 50.000 DWT progettata, tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60 del XX secolo, dalla divisione nucleare della Fiat, in collaborazione con il gruppo Ansaldo; a sinistra il reattore nucleare, e a destra l’apparato motore (archivio autore).

rino nucleare la finalità ultima, l’Italia, si sarebbe innanzitutto impegnata nella costruzione di un’unità da supporto logistico (rifornitrice di squadra) basata in parte sul progetto della NS Savannah, alla quale sarebbe stato dato il nome di Enrico Fermi.

In Italia, dove nel novembre 1960, a Taormina, si era svolto un simposio dedicato alla propulsione navale nucleare organizzato congiuntamente dalle organizzazioni responsabili, in ambito internazionale, del settore nucleare (IAEA, International Atomic Energy Organisation) e del settore navale (IMCO, Intergoverment Maritime Consulting Organisation), è esistito anche almeno un altro progetto di nave a propulsione nucleare, la Leonardo da Vinci, grande nave passeggeri transatlantica impostata nel 1958 presso i Cantieri navali Ansaldo di Sestri Ponente (Genova), varata nel dicembre 1958 ed entrata in servizio nel giugno 1960; questa nave, infatti, venne realizzata come turbonave tradizionale con caldaie Ansaldo Foster Wheeler, ma con la possibilità di installare, in sostituzione, un apparato motore nucleare, realizzato da una joint venture Fiat/Ansaldo. Nei primi anni 60 venne annunciata la probabile conversione a propulsione nucleare; in realtà ciò non avvenne, anche a causa degli elevati costi di esercizio e delle opposizioni riscontrate, sia a livello mondiale che nazionale, sulla sicurezza della propulsione nucleare, in particolare per una nave passeggeri.

All’inizio del 1967 il Governo italiano annunciò l’abbandono del programma per la costruzione della petroliera a propulsione nucleare Fiat-Ansaldo concentrandosi, invece, sulla realizzazione della già citata nave logistica Enrico Fermi per la Marina Militare, che avrebbe dovuto essere dotata di un reattore nucleare da 79 MW di progettazione Fiat, simile a quello sviluppato per la petroliera. Questa nave avrebbe dovuto avere una lunghezza di circa 175 m, una velocità mas-

Modellino realizzato dal Politecnico di Torino per illustrare una possibile soluzione di contenitore del reattore nucleare PWR della petroliera a propulsione nucleare Fiat-Ansaldo (archivio autore).

Modello del sommergibile a propulsione nucleare GUGLIELMO MARCONI

presente presso la caserma Piomarta, all’interno della base navale della Spezia (archivio autore).

Sezione longitudinale del progetto di sottomarino nucleare SSN 591 elaborato dal CAMEN nel 1961 (archivio CISAM).

Scienza e Tecnica

La grande turbonave passeggeri LEONARDO DA VINCI, realizzata presso i

Cantieri navali Ansaldo di Sestri Ponente (Genova) ed entrata in servizio nel giugno 1960; questa nave, realizzata come turbonave tradizionale, era stata progettata con per la possibilità di installare successivamente un apparato

motore nucleare realizzato da una joint venture Fiat-Ansaldo. La trasforma-

zione, in realtà, non avvenne mai, anche a causa degli elevati costi di esercizio (wikipedia).

sima di 21 nodi e un dislocamento di circa 18 000 t; un reattore da 80 MW avrebbe fornito la potenza per gli usi di bordo, inclusi i 22.000 CV necessari per la propulsione. L’unità, priva di armamento guerresco, era divisa in tre zone, dedicate, a partire da prora, la prima al carico, la seconda al reattore, all’apparato motore e alle sovrastrutture, la terza agli alloggi, all’hangar-garage e al ponte di volo. Lo studio di fattibilità, come per il sottomarino, fu affidato al Reparto Progetto Navi di Mariconav con il supporto del CAMEN per gli aspetti nucleari. Tra il 1965 e il 1966 si definirono le specifiche e si passò a contatti con Italcantieri, per quanto riguardava lo scafo e le sovrastrutture, e con il gruppo Fiat per l’apparato motore nucleare, per verificare la possibilità di tradurli in un ordine vero e proprio. Nel dicembre del 1966 vennero firmati una serie di accordi fra la Marina Militare, il CNEN (Ente civile per la ricerca del settore nucleare, poi confluito in quella che oggi è l’ENEA) e alcune industrie italiane, tra cui Fiat che avrebbe dovuto realizzare il reattore. Secondo l’Almanacco Navale del 1966-67, che, ricordiamo, era all’epoca pubblicato dalla Rivista Marittima, e quindi riportava il pensiero della Marina, l’unità era una nave mercantile destinata a effettuare il rifornimento in mare delle unità della Marina Militare, in analogia a quanto avviene negli Stati Uniti con le unità del Military Sealift Command e in Gran Bretagna con il Royal Fleet Auxiliary.

Nei primi anni 70 l’idea di realizzare una nave italiana a propulsione nucleare venne abbandonata, a causa delle difficoltà tecniche e politiche, e dell’elevato costo, nonché del fallimento delle prime esperienze d’esercizio dei mercantili a propulsione nucleare.

Le prime unità mercantili a propulsione nucleare furono realizzate in parallelo allo sviluppo delle unità militari; l’idea venne però ben presto abbandonata, in quanto il concetto non era economicamente sostenibile, considerando i costi aggiuntivi per l’addestramento e gli stipendi degli equipaggi e per le infrastrutture legate al ciclo del combustibile nucleare, e cominciò presto a manifestarsi un’opposizione da parte della popolazione residente nelle aree portuali interessate e dei pescatori. Delle tre unità realizzate, una, la NS Savannah, era stata concepita solo come un prototipo per valutare la fatti-

Per lo sviluppo delle capacità e tecnologie nucleari legate al sommergibile

MARCONI in Italia venne creato nel 1956 un apposito Centro di ricerca, il

CAMEN (Centro per le Applicazioni Militari dell’Energia Nucleare) presso Pisa, dotato del reattore sperimentale RTS-1 «Galileo Galilei» (nell’immagine); il reattore è stato attivo dal 1963 al 1980, ed è attualmente in fase di

decommissioning; il Centro è ancora oggi il riferimento in ambito Difesa nel

campo nucleare e oggi ha il nome di CISAM (Centro Interforze per gli Studi e le Applicazioni Militari) - (archivio storico CISAM).

Scienza e Tecnica

Sezione longitudinale e pianta del ponte di primo copertino del progetto di nave rifornitrice a propulsione nucleare italiana ENRICO FERMI (archivio autore).

bilità tecnica, ma soprattutto economica, della propulsione nucleare mercantile; le altre due, la Otto Hahn realizzata nella Repubblica Federale Tedesca e la giapponese Mutsu, furono realizzate dai due paesi che, dopo aver perso la Seconda guerra mondiale, non potevano per una serie di motivi, legali, politici e psicologici, dotarsi di sistemi d’arma che impiegassero l’energia nucleare, ma erano comunque dotati di industrie all’avanguardia sia nel settore navale che in quello dell’energia nucleare; l’Italia ha seguito una strada simile, ma senza giungere alla realizzazione di una nave. Le uniche unità mercantili a propulsione nucleare che hanno operato commercialmente con successo sono stati i rompighiaccio sovietici, ma, come abbiamo visto, il concetto stesso di rompighiacci capaci di navigare nel ghiaccio lungo l’estesa costa russa sul Mar Glaciale Artico aveva particolari requisiti di potenza e autonomia che l’apparato motore nucleare consentiva di risolvere al meglio. Al di fuori della Russia sostanzialmente l’idea di navi mercantili a propulsione nucleare è stata abbandonata, giacché il concetto non è economicamente sostenibile, considerando i costi aggiuntivi per l’addestramento e gli stipendi degli equipaggi, per le infrastrutture legate al ciclo del combustibile nucleare e per le assicurazioni. Ogni tanto in alcuni paesi, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Olanda, se ne torna a parlare, ma non si è mai concretizzata una possibile realizzazione pratica. Le navi mercantili a propulsione nucleare presentano il grande vantaggio, dal punto di vista ambientale, di non emettere gas serra, e dal punto di vista tecnico, assicurativo e dei rischi ambientali non presentano problemi superiori a quelli delle unità per il trasporto di materiali pericolosi come il combustibile per le centrali elettriche nucleari terrestri e i rifiuti radioattivi, e queste navi oggi navigano tranquillamente, seppur con qualche contestazione da parte delle associazioni ambientaliste. Quello che impedisce la realizzazione di navi mercantili a propulsione nucleare è quindi principalmente il problema economico, poiché il risparmio sul costo del combustibile tradizionale non compensa i maggiori costi per la formazione del personale e la gestione del ciclo del combustibile e dei relativi rifiuti radioattivi. Se, in un futuro più o meno lontano, l’aumento del prezzo del combustibile tradizionale, oppure l’aumento dei costi fiscali legati alla produzione di gas a effetto serra, secondo un trend che già oggi ne vede la penalizzazione, in particolare in alcune aree costiere, rendesse economicamente competitiva la costruzione e l’esercizio di navi a propulsione nucleare esistono i presupposti e le capacità per realizzarle rapidamente in diversi paesi.

Claudio Boccalatte

CHE COSA SCRIVONO GLI ALTRI

«The New Cold War. America, China, and the Echoes of History»

FOREIGN AFFAIRS, NOVEMBER-DECEMBER 2021.

«Il mondo sta entrando in una nuova guerra fredda? — si chiedono gli autori del presente articolo, Hal Brands e John Lewis Gaddis, nicknames rispettivamente di Henry A. Kissinger e Robert A. Lovett — La nostra risposta è sì e no». SÌ, se intendiamo una rivalità internazionale prolungata, perché le guerre fredde in questo senso sono vecchie quanto la storia stessa. NO, se intendiamo la Guerra Fredda, che capitalizziamo perché ha originato e reso popolare il termine. Quella lotta ebbe luogo in un momento particolare (dal 1945-47 al 1989-91), tra particolari avversari (Stati Uniti, Unione Sovietica e i loro rispettivi alleati) e su questioni particolari (equilibri di potere post-Seconda guerra mondiale, scontri ideologici, corse agli armamenti). Non è più discutibile che gli Stati Uniti e la Cina, taciti «alleati» durante l’ultima metà dell’ultima Guerra Fredda, stiano entrando nella loro «nuova Guerra Fredda»: il presidente cinese Xi Jinping l’ha dichiarata, e un raro consenso bipartisan negli Stati Uniti ha accettato la sfida. Ovvero, se vogliamo, una «seconda Guerra fredda» secondo Federico Rampini che ne ha illustrato le origini ufficiali (già col discorso dell’allora vice-presidente Mike Pence al prestigioso think tank dello Hudson Institute di Washington del 4 0ttobre 2018) e gli sviluppi successivi nell’omonimo saggio del 2019! Dunque una «Nuova (o seconda) Guerra Fredda» che, sul piano strategico-operativo, si riverbera nella recentissima pubblicazione della Global Posture Review (GPR) da parte del Pentagono (varata il 29 novembre 2021) (https://www.defense.gov/News/ Releases/Release/Article/2855801/dod-concludes-2021 -global-posture-review), la cui revisione era stata ordinata dal presidente Biden sin dal 4 febbraio per allineare le risorse della Difesa con le sue linee guida della sicurezza nazionale. In estrema sintesi, nell’Indo-Pacifico, la GPR «dirige un’ulteriore cooperazione con alleati e partner per promuovere iniziative che contribuiscano alla stabilità regionale e scoraggino potenziali aggressioni militari cinesi e minacce da parte della Corea del Nord (“deter potential Chinese military aggression and threats from North Korea”). Queste iniziative, includono la ricerca di un maggiore accesso regionale per le attività di partenariato militare; rafforzare le basi di Guam, in Australia e nelle isole del Pacifico; pianificazione di dispiegamenti di aeromobili a rotazione in Australia e stazionamento permanente di uno squadrone di elicotteri d’attacco precedentemente rotazionale e del quartier generale della divisione di artiglieria nella Repubblica di Corea. Mentre in Europa il GPR intende rafforzare il deterrente credibile al combattimento degli Stati Uniti contro una possibile aggressione russa (“the U.S. combat-credible deterrent against Russian aggression”), consentendo alle forze della NATO di operare in modo più efficace». Affermazione che, dopo le ambiguità del presidente Trump nei confronti di Putin, è volta a rassicurare gli alleati europei della Nato. La GPR non è certo ancora una «rivoluzione strategica», come commenta per esempio Paolo Mastrolilli sulle colonne de La Repubblica, ma l’inizio di un «riallineamento che promette sviluppi nel prossimo futuro», pur dopo le recenti delusioni europee per la mancata condivisione delle informazioni sull’Afghanistan e la vexata quaestio dell’accordo AUKUS per i sottomarini nucleari all’Australia (a proposito del quale il potente ambasciatore cinese a Washington, Qin Gang, delfino di Xi, ha parlato, guarda caso, proprio di una «mentalità da guerra fredda» da parte degli Stati Uniti).

«Taiwan: quale futuro si prospetta per l’isola di Formosa?» e «L’Orso bruno si fa bianco: la sfida di Mosca all’eccezionalismo artico»

AGENDA GEOPOLITICA, NN.8 E 9, OTTOBRE E NOVEMBRE 2021.

«Xi Jinping è pronto a prendersi Taiwan, perché quell’isola è un simbolo. È uno schiaffo ribelle all’impero. Washington può fare poco per difenderla e non ci saranno folle a scendere in piazza per Tai-

Che cosa scrivono gli altri

wan», ha scritto sulle colonne de Il Giornale Valeria Robecco con un velo di malcelato pessimismo. Alla sorte di Taiwan Marco Impagnatiello, sulle pagine della rivista online Agenda Geopolitica di cui è redattore, ha dedicato un interessante contributo. «La domanda che ci si potrebbe porre è sul perché la Cina non intervenga militarmente per ottenerne il controllo. Dubbio lecito, ma facilmente spiegabile. Innanzitutto bisogna partire dal presupposto che lo sbarco anfibio è l’operazione militare più complessa da attuare, soprattutto vista la morfologia dell’isola caratterizzata da coste frastagliate che permettono la discesa solo in alcuni punti, favorendo la fase difensiva. In secondo luogo, oltre al fatto che Taiwan è armato e tecnologicamente avanzato, l’opposizione di una potenza come gli Stati Uniti a sostegno di Taipei complica, e non poco, la questione. A queste motivazioni, si aggiunge la contrarietà della popolazione taiwanese all’annessione e il fatto che la dirigenza comunista nella persona di Xi non possa permettersi sconfitte esterne che minino l’autorevolezza del regime e che possano ripercuotersi all’interno, compromettendo la sua leadership in prossimità delle elezioni del Congresso del 2022». Taiwan non ha aspirazioni di potenza, ma di sopravvivenza, sottolinea il Nostro, fondando la propria strategia militare sulla cosiddetta «tattica del porcospino», cioè il potenziamento dell’arsenale militare con dispositivi di Difesa per dissuadere ogni attacco continentale e la recente adozione di missili a lunga gittata per un eventuale sbarco della Cina mentre, in termini politici, a scanso di qualsiasi ulteriore attrito con Pechino, propende per il mantenimento dello status quo e non per l’ottenimento dell’indipendenza de iure (il nome ufficiale è infatti «Repubblica di Cina»). Malgrado l’assenza di un’alleanza formale tra Washington e Taipei, gli Stati Uniti rappresentano il principale sostenitore di Taiwan contro la Cina. Non solo forniscono gran parte dell’armamentario difensivo a disposizione dell’isola, ma sarebbero eventualmente costretti a intervenire in Difesa di Taiwan in caso di attacco della Repubblica Popolare — evidenzia l’autore contro lo scetticismo del parere precedentemente riportato — in funzione di un containment marittimo cinese. «Taiwan costituisce un perno fondamentale nello scacchiere americano nell’area e un’eventuale annessione alla Cina potrebbe mettere a repentaglio le proprie strategie nell’Indo-Pacifico», senza dimenticare che l’isola è il leader mondiale nel settore dei «semiconduttori» (fondamentali per la creazione dei microprocessori dei computer e anche alla base delle apparecchiature automobilistiche e informatiche) con il 95% della produzione globale. E per quanto riguarda il contesto internazionale se il Giappone appare molto interessato al mantenimento dello status quo dell’isola, che per mezzo secolo è stata una sua colonia, più defilata è la posizione assunta da altri Stati dell’area (tipo Corea del Sud, Filippine, Vietnam), che «mirano semplicemente a evitare che scoppi un conflitto, vista la preoccupazione causata dall’immediata vicinanza territoriale», mentre la Russia dal canto suo si è limitata a dichiarare che «Taiwan è parte della sfera di controllo della Repubblica Popolare». Accanto alle reiterate minacce e alle provocazioni militari di Pechino (agli inizi dello scorso ottobre si sono verificati ben 150 incursioni aeree cinesi nella zona di identificazione aerea dell’isola, donde l’ennesima messa in guardia americana contro la pressione militare cinese in nome della pace e della stabilità, formiche.net/2021/10), Pechino non trascura, sul fronte interno, le modalità di convincimento della popolazione taiwanese sull’inevitabilità dell’annessione alla madrepatria (come avvenuto già in passato all’epoca della dinastia Qing) e, soprat-

Che cosa scrivono gli altri

tutto, di scoraggiamento di ogni forma di resistenza futura.

«Il dubbio che ci porteremo dietro nei prossimi anni — conclude l’autore — è se l’elemento identitario taiwanese sarà decisivo per le sorti di Taiwan, impedendo il “Rinascimento culturale cinese”». Sul numero successivo dell’AG in parola, Luca Giulini pone l’accento sui problemi della regione artica, sottolineando in particolare gli interessi della Russia, che proprio quest’anno ha assunto la presidenza del Consiglio Artico (https://artico.itd.cnr.it), i cui capisaldi politici sono rappresentati da temi quali «lo sviluppo sostenibile, la mitigazione dell’impatto climatico e la protezione di habitat e popolazioni indigene». Come noto, con il progressivo scioglimento della calotta polare (4,72 milioni di km2 è quanto misura, al 16 settembre 2021, l’estensione minima dei ghiacci marini)-(https://nsidc.org/ arcticseaice), l’Artico si trova ad affrontare nuove sfide, «causate sia da nuove rotte di connettività regionale e contenziosi locali, che da attività di superpotenze globali e da questioni di sicurezza ad ampio raggio». La Russia di Putin, oltre a essere senza dubbio il leader e principale investitore nella costruzione di capacità e infrastrutture strategiche nell’Artico, nella sua Strategia per l’Artico dal 2021 al 2035 (Russia, la dottrina per l’Artico che cambia; Osservatorio Artico.it), elenca diverse minacce alla sicurezza nazionale, identificandole come direttamente correlate allo sviluppo economico dei mari glaciali. Putin considera infatti lo sviluppo socio-economico della regione tanto un argomento economico quanto una questione di sicurezza, e lo scioglimento dei ghiacci tanto una sfida quanto un’opportunità. Quando si parla di Artico, sottolinea il nostro, dare attenzione alla Russia non è affatto sorprendente dato che le azioni delle potenze in zone di «conflitto freddo» hanno conseguenze dirette sull’equilibrio di forze f

negli «scenari caldi». «La Russia ha una grande partecipazione economica nella regione e cerca di massimizzare i guadagni dall’estrazione delle risorse, mentre prova a espandersi sia a Difesa della sua sicurezza nazionale che per proiettarsi come grande potenza; eppure rimane ancora dipendente dagli investimenti stranieri e non ne può fare a meno per realizzare le sue ambizioni. In contrapposizione, gli altri Stati artici non hanno ancora dimostrato particolare interesse di espansione, né volontà di impegnarsi in un conflitto diretto nei mari artici, cercando piuttosto di mantenere il primato nelle rispettive zone di competenza e lo status quo a livello internazionale». In buona sostanza, pone in risalto l’autore, quello che chiama «disinteresse condiviso» ha fatto sinora sì che, nonostante le crescenti tensioni tra la Russia e l’Occidente, non ci sia stata alcuna conseguenza negativa sulla geopolitica artica. Che si tratti dell’accordo Norvegia-Russia sul confine marittimo nel mare di Barents nel 2010, oppure dell’accordo Stati Uniti-Russia sullo Stretto di Bering del 2018. Al culmine delle tensioni bilaterali infatti, le parti in opposizione sono sempre riuscite a risolvere questioni controverse attraverso negoziati e non con la forza mentre, paradossalmente, rimangono ancora insoluti i vecchi contenziosi tra gli alleati della controparte occidentale. Come la delimitazione dei confini del Mare di Beaufort tra Stati Uniti e Canada ovvero, la disputa sulla sovranità dell’isolotto di Hans, nella posizione strategica al centro del canale Kennedy nello stretto di Nares tra l’isola canadese di Ellesmere e la Groenladia nord-occidentale, una controversia che avanti quasi da mezzo secolo sempre tra Ottawa e Copenaghen.

f f

Ezio Ferrante

RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Antonella De Biasi (a cura di)

Astana e i 7 mari

Russia, Turchia, Iran: orologio, bussola e sestante dell’Eurasia

OGzero Vignate (MI) 2021 pp. 86 Euro 10,00

Una bussola per comprendere e far comprendere, anche a un pubblico di non addetti ai lavori, le principali tendenze che ruotano attorno agli equilibri sanciti ad Astana nel 2017 e non solo. È questa la chiave di lettura del saggio della giornalista Antonella De Biasi che in «Astana e i 7 mari» (pubblicato da OGzero) descrive con chiarezza e sintesi le principali tendenze che legano, intrecciano e contrappongono Russia, Turchia Iran ma anche altri attori regionali e globali in un quadrante che va oltre il terzetto di Astana. Il filo conduttore di tutti i protagonisti del mosaico costruito dalla De Biasi è lo spazio marittimo, inteso come baricentro di opportunità e di molteplici sfide. L’autrice ripercorre la genesi politica del format di Astana e il suo impatto sulla crisi siriana, focalizzando la sua analisi sulle diverse agende che contrappongono e legano le tre potenze coinvolte nella decennale guerra per procura che si combatte in Siria. Una guerra per procura in cui si interseca la sorte dei curdi-siriani, utilizzati come merce di scambio in una competizione a geometrie variabili che vede la Turchia di Erdogan giocare su più quadranti di crisi, non ultimo quello iracheno. Anche in Iraq, come ricorda De Biasi, con la «scusa del Pkk la Turchia cerca sempre più di allargare la sua influenza nell’area, considerata ex territorio ottomano, soprattutto verso la città di Kirkuk, la Gerusalemme curda, ricca di petrolio». Dalla Siria l’autrice continua a tracciare la sua rotta della competizione energetica dal Mediterraneo orientale, con le tensioni tra Cipro, Grecia e Turchia, risalendo verso l’Adriatico e Trieste, possibile fulcro della Nuova Via della Seta della Repubblica Popolare Cinese. La narrazione prosegue intrecciando le aree di scomposizione e competizione tra Turchia e Russia, dalle «libie» al Caucaso, con la recente crisi del Nagorno-Karabakh. Il viaggio dell’autrice prosegue attraverso l’analisi dell’importanza dei choke-points dell’area del Mediterraneo, con particolare riferimento a quanto accaduto con l’incidente delle Ever Given a Suez e con le responsabilità dell’Egitto di AlSisi. L’analisi prosegue con l’inquadramento dell’altro attore chiave mediorientale, Israele, protagonista sia per le recenti elezioni politiche sia per gli accordi di Abramo che, alla luce della normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, hanno cambiato l’equilibrio nel Golfo, isolando sempre di più l’Iran. Proprio l’Iran post-Soleimani, così come le trattative a Vienna sul nuovo negoziato sul nucleare segneranno il peso e il ruolo della presidenza Biden nella regione del Mediterraneo allargato. Un’area sempre più instabile e al tempo stesso strategica che, alla luce del format di Astana, come evidenziato lucidamente da De Biasi nel suo saggio, vede prevalere «in un sistema internazionale deregolamentato l’approccio personale» rispetto ai tradizionali strumenti di ricomposizione delle crisi. In sostanza De Biasi sottolinea nel suo saggio che, al di là della sua logica militare, il processo di Astana ha significato la collaborazione di tre potenze, una globale come la Russia e le altre due regionali, Turchia e Iran che, a parte le loro divergenze strategiche, hanno approfittato del disimpegno di Donald Trump dal Medio Oriente per marginalizzare gli Stati occidentali democratici, soprattutto quelli europei confinanti e costieri. Astana — aggiunge l’autrice — anche se è un luogo metaforico che ha addirittura cambiato nome in Nur-Sultan — resterà. Nata come alleanza a tempo, è diventata un modello operativo ripetuto in altre zone di crisi.

Matteo Bressan

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