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L’impiego dei droni da parte delle formazioni armate non statuali

L’impiego dei droni da L’impiego dei droni da parte delle formazioni parte delle formazioni armate non statuali armate non statuali

La proliferazione degli UAS nei conflitti asimmetrici La proliferazione degli UAS nei conflitti asimmetrici

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Matteo Mazziotti di Celso

Gli UAS civili vengono impiegati prevalentemente in missioni ISR (Getty Images).

Il 14 settembre del 2019 verrà ricordato da molti come la «Pearl Harbour» della Difesa antiaerea occidentale (1). Quella mattina, i giacimenti petroliferi di Khurais e di Abqaiq, in Arabia Saudita, vennero attaccati da uno sciame composto da una ventina di droni, i quali per 17 minuti consecutivi colpirono a più riprese le infrastrutture saudite, sganciando ordigni esplosivi o schiantandosi direttamente contro di esse. I giacimenti dell’Aramco, la grande azienda petrolifera saudita, non erano affatto sguarniti di difese. Al contrario, essi erano protetti da sistemi moderni, visto che nell’area erano schierati, oltre a un cannone da 25 mm Oerlikon GDF con radar Skyguard, una batteria di Patriot americana e un sistema francese Crotale Shahine (2). L’attacco ai siti

Dopo aver frequentato l’Accademia militare di Modena e la Scuola di applicazione dell’Esercito, Matteo Mazziotti di Celso ha prestato servizio nell’Esercito Italiano col grado di tenente fino al 2021, quando ha iniziato il dottorato in «Security, Risk and Vulnerability» presso l’Università degli Studi di Genova. È Junior Fellow del Centro studi Geopolitica.info, per cui si occupa principalmente di questioni militari.

Arabia Saudita, 15 Settembre 2019. I danni causati da un attacco di uno sciame di UAS all’impianto di Abqaiq. L’attacco al sito dell’Aramco ha ridotto la produzione di petrolio saudita di un volume pari a 5,7 milioni di barili al giorno (UPI/Alamy Live News).

di Khurais e di Abqaiq colpì duramente l’industria petrolifera saudita, provocando un taglio netto della produzione di greggio di Riyad pari a 5,7 milioni di barili al giorno, una cifra che, in quel momento, rappresentava il 6% della produzione mondiale di petrolio (3). Sebbene le motivazioni per cui gli avanzati sistemi di Difesa antiaerea non siano riusciti a intercettare e a neutralizzare i droni nemici sono ancora poco chiare — probabilmente i radar posti a difesa delle infrastrutture non erano orientati in modo tale da intercettare minacce provenienti da nord, cioè dall’Iraq, ma solo dallo Yemen, anche se c’è chi dice che la motivazione è semplicemente da ricondurre all’incompetenza delle Forze armate saudite (4) — l’evento ha contribuito in maniera determinante a mettere in luce un fenomeno alquanto preoccupante per le Forze armate statuali, ovvero quello della proliferazione dei sistemi senza pilota (Unmanned Aerial Vehicle-UAS) (5) tra le organizzazioni armate non statuali.

Negli ultimi anni è divenuto chiaro che l’UAS, il sistema maggiormente impiegato negli ultimi vent’anni dalle forze occidentali per combattere le formazioni terroristiche, la weapon of choice della guerra globale al terrorismo, è divenuto a pieno titolo un elemento presente anche negli arsenali delle formazioni armate non statuali, le stesse che per anni hanno rappresentato il bersaglio favorito di questi sistemi. La diffusione degli UAS al di fuori delle formazioni militari statuali ha eroso, almeno nel dominio aereo, la superiorità tecnologica delle Forze armate convenzionali nei confronti degli attori armati non statuali, i quali possono ora acquisire strumenti in grado di offrire loro la capacità di agire anche in una dimensione che fino a pochi anni fa era stata di esclusiva pertinenza delle Forze armate dei paesi ricchi e industrializzati.

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La proliferazione degli UAS civili

Il fenomeno della proliferazione degli UAS nelle mani degli attori armati non statuali non riguarda in maniera uniforme tutte le tipologie di sistemi. Mentre la diffusione su larga scala di UAS militari riguarda quasi esclusivamente attori statuali — si tratta di un fenomeno che ha preso avvio da ormai circa due decadi, basti pensare che il numero di Stati che conducono programmi di sviluppo di sistemi non pilotati è salito da 60 nel 2010 a circa 102 nel 2020, mentre prima del 2000 solo gli Stati Uniti e Israele impiegavano Predator per missioni di sorveglianza (6) —, il più recente fenomeno della proliferazione degli UAS tra gli attori non statuali riguarda soprattutto sistemi progettati e realizzati per usi civili.

La differenza tra un UAS civile e uno militare risulta alquanto rilevante. In primo luogo, un UAS militare è, nella maggior parte dei casi, decisamente molto più costoso di uno civile. A determinare un prezzo così alto, oltre alla progettazione e alla realizzazione del sistema, sono anche le spese necessarie all’impiego operativo e al mantenimento in servizio dello stesso. Mentre il costo medio di un UAS militare è pari a 10,4 milioni di dollari, quello di un UAS civile risulta pari a circa 17.400 dollari, con alcune versioni che non superano nemmeno i 400 dollari (7).

In secondo luogo, un UAS militare è una piattaforma alquanto complessa il cui impiego, così come la manutenzione, richiede elevate competenze tecniche. Di contro, gli UAS civili, essendo realizzati proprio per essere venduti sul libero mercato, non richiedono particolari capacità per l’impiego, e anche quando il livello di addestramento richiesto per utilizzarli in sicurezza risulta più elevato, le aziende che li producono rendono disponibili tutti gli strumenti utili al futuro utilizzatore per acquisire le capacità necessarie al loro impiego. Oltre ai manuali di istruzione, alle guide e ai simulatori, gli operatori di questi strumenti possono trovare moltissime informazioni online, su blog specializzati, siti di amatori ecc.

Infine, la maggior parte degli UAS militari necessita di una gran quantità di risorse per essere impiegata efficacemente, sia in termini di comunicazioni e collegamenti satellitari, che di generazione e processione di dati, elementi di cui gli attori non statuali, ma anche gli Stati meno ricchi, evidentemente non possono disporre, se non con l’appoggio di Stati terzi. Si pensi, giusto per fornire un’idea, che un Global Hawk americano necessita di una capacità di trasmissione di dati pari a circa 500 Mbps, una misura che supera di cinque volte quella richiesta da tutte le Forze americane che hanno partecipato alla Prima guerra del Golfo (8). Gli UAS civili, invece, richiedono spesso pochi e semplici apparati di supporto e una capacità di trasmissione di dati minima.

Evidentemente, esistono anche sistemi militari dalle prestazioni più semplici che ne abbassano i costi e ne semplificano l’impiego, caratteristica che li rende utilizzabili anche da attori non statuali. Grazie al supporto offerto da alcuni Stati che ne sostengono l’azione, alcuni attori irregolari riescono a entrare in possesso anche di questa tipologia di strumenti, come spesso avviene in Medio Oriente grazie al ruolo dell’Iran, ma sistemi di questo tipo sono presenti nei loro arsenali in misura molto inferiore rispetto ai normali UAS per uso civile. In breve, la maggior parte degli UAS militari, in virtù del loro costo, delle competenze necessarie per il loro utilizzo e

Un Predator MQ-1. Questi UAS sono stati a lungo la weapons of choice della Guerra Globale al Terrore inaugurata

da Bush nel 2001 (Shuttershock).

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per la loro manutenzione e della grande quantità di risorse che essi richiedono, risultano difficilmente accessibili agli attori armati non statuali. Quelli a uso civile, invece, grazie al loro costo alquanto ridotto e alla semplicità di impiego rappresentano uno strumento facilmente acquisibile anche da parte di attori non statuali.

Le ragioni della diffusione di UAS tra gli attori irregolari

Il fatto che i piccoli UAS civili siano accessibili agli attori non statuali non significa necessariamente che questi siano interessati ad acquisirli. Affinché ciò avvenga, occorre che tali sistemi soddisfino i requisiti operativi di questi attori.

Il contesto in cui operano le organizzazioni armate non statuali è generalmente caratterizzato da due elementi: l’asimmetria e la costanza del conflitto (9). Con il primo si intende il grande divario in termini di tecnologie e capacità militari esistente tra le forze convenzionali e gli attori non statuali che le affrontano. Con il secondo, si intende la presenza di un continuo stato di conflitto, per cui non esiste un chiaro inizio e una chiara fine del confronto e, soprattutto, una tregua vera e propria. Le forze non statuali necessitano dunque di sistemi che possano fornire un vantaggio concreto all’interno di questo contesto.

Un UAS di tipo civile, oltre a essere uno strumento versatile, ovvero modificabile e riadattabile per condurre svariati tipi di missione — Intelligence, Surveillance, Reconnaissance (ISR), attacchi tramite lancio di ordigni, attacchi suicidi, azioni di propaganda, operazione psicologiche — è un sistema facilmente rimpiazzabile, che ben si presta ai bisogni di questi attori, i quali vivono in un continuo stato di conflitto, per cui necessitano di strumenti poco costosi, facilmente disponibili e molto versatili, con cui poter assolvere a diversi compiti. Inoltre, offrendo a questi soggetti la possibilità di operare in una dimensione che, fino alla diffusione di questi sistemi, era loro sostanzialmente interdetta, l’UAS rappresenta uno strumento utile nelle mani delle forze irregolari per ridurre il divario esistente tra di essi e le forze convenzionali.

Riferendosi esclusivamente ai sistemi militari, la loro proliferazione ha avuto inizio, come si è già accennato, con la guerra globale al terrorismo inaugurata da George W. Bush nel 2001. Sono state le guerre in Iraq e in Afghanistan i teatri in cui gli americani si sono resi conto dell’utilità che questi strumenti potevano offrire alle loro operazioni. Specialmente a partire dal 2007-08 in Iraq, con la grande crescita del Joint Special Operations Command, impegnato nello smantellamento della rete di Al Qaeda nel paese, gli UAS americani cominciarono a essere impiegati in maniera sempre più massiccia in funzione antiterrorismo. Tra il 2011 e il 2012, quando Obama mise fine al surge in Afghanistan, lo US Congressional Research Service contava 7.494 droni negli hangar del dipartimento della Difesa statunitense, un numero spropositato se lo si compara con i meno di 50 sistemi che erano presenti negli arsenali americani una decade prima (10).

Il fenomeno della proliferazione degli UAS nelle mani degli attori non statuali, invece, è alquanto recente. Sebbene i primi episodi risalgono addirittura al 2004 (11), quando Hezbollah impiegò alcuni piccoli sistemi Mirsad-1 per condurre missioni ISR nella regione settentrionale di Israele, è solo a partire dal 2016 che essi hanno cominciato a diffondersi in maniera più intensa. Håvard Haugstvedt e Jan Otto Jacobsen, dell’università di Stavanger, hanno analizzato tutti gli attacchi condotti tramite UAS da attori non statuali fino a marzo 2020 (12): dei 440 casi registrati dai due accademici, emerge che il 98,9% di questi è avvenuto dopo l’agosto del 2016 (13). Sebbene lo studio sia limitato a una particolare tipologia di missione condotta dagli UAS, ovvero quella dell’attacco, la quale non è neanche la principale, l’analisi di Haugstvedt e Jacobsen permette di cogliere il netto incremento dell’uso degli UAS negli ultimi cinque/sei anni.

La diffusione di questi sistemi tra le formazioni irregolari sembra essere divenuta possibile grazie alla straordinaria crescita del mercato degli UAS, che ha evidentemente determinato una riduzione del prezzo di molti sistemi, rendendone più facile l’acquisto, e ne ha favorito lo sviluppo tecnologico. Chávez e Swed hanno dimostrato che esiste una correlazione statistica tra la crescita del mercato civile degli UAS e il loro utilizzo da parte di attori irregolari (14). La correlazione individuata dai due studiosi sembra dimostrare che, nel caso

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di questi attori, la presenza di un requisito operativo non è stato il principale fattore che ne ha determinato la rapida diffusione, perlomeno non il solo. L’interesse di questi attori per gli UAS, in effetti, esisteva già da tempo. Al-Qaeda avrebbe studiato diverse ipotesi per condurre attacchi tramite l’ausilio di UAS civili, tra i quali il rilascio di un Improvised Explosive Device (IED), per esempio per colpire il presidente Bush al G8 di Genova, nel 2002, oppure, qualche anno dopo, per colpire la House of Commons britannica, ma dovette rinunciare a causa della troppo scarsa affidabilità che potevano offrire gli UAS civili in quel momento (15).

Dove si stanno diffondendo gli UAS?

La proliferazione degli UAS, sebbene sia un fenomeno globale, riguarda in realtà una regione in particolare: quella del Medio Oriente. Qui, negli ultimi anni, il fenomeno ha assunto dimensioni molto superiori rispetto a quanto avviene in altre regioni del globo, non solamente nel settore degli UAS civili, ma anche di quelli militari — tredici Stati della regione impiegano o impiegheranno a breve UAS militari di vario tipo, e quattro di essi (Turchia, Emirati Arabi Uniti, Iran e Israele) sono grandi esportatori di questi sistemi (16). Haugstvedt e Jacobsen hanno calcolato che ben 433 dei 440 attacchi condotti tramite UAS da attori irregolari fino a marzo 2020 sono avvenuti in Medio Oriente (17), il 90,4% dei quali in Iraq, Siria e Arabia Saudita (18). La guerra siriana, in particolare, è divenuta un vero e proprio campo di sperimentazione della guerra di UAS: in questo conflitto, fino al dicembre del 2016, risultavano essere stati impiegati almeno 32 diverse tipologie di velivoli senza pilota (19).

Le ragioni per la quale il Medio Oriente si presta in maniera particolare a questa tipologia di impiego sono molteplici, tra i quali figurano sicuramente: la presenza di numerosi attori irregolari, per i quali gli UAS rappresentano un’arma molto efficace, e di numerose situazioni di conflitto permanente o semipermanente in molte parti della regione; il ruolo dell’Iran, che ha fatto della produzione e della diffusioni di droni una delle sue strategie per sostenere e rafforzare l’azione dei suoi numerosi proxy; la presenza di un mercato di UAS molto ampio e variegato.

Modalità di impiego degli UAS da parte delle formazioni armate irregolari

Vediamo di capire in che modo gli attori non statuali hanno impiegato fino a ora gli UAS nelle loro operazioni. Nel condurre questa breve analisi, ci si concentrerà prevalentemente sul Medio Oriente, dato che la stragrande maggioranza dell’utilizzo in ambito militare di questi sistemi avviene in questa regione.

Il focus dello studio riguarda primariamente l’impiego degli UAS da parte di quegli attori che più di tutti hanno fatto uso di questi sistemi, ovvero lo Stato islamico (ISIS), il movimento degli Houthi — insieme, queste due formazioni sono state responsabili del 80,7% dei casi registrati da Haugstvedt e Jacobsen (20) — e Hezbollah.

In linea generale, almeno quando impiegati con scopi prettamente offensivi, questi assetti sono stati utilizzati prevalentemente contro obiettivi militari. L’analisi di Haugstevdt e Jacobsen rivela che il 57% degli attacchi condotti da attori irregolari fino a marzo 2020 ha colpito obbiettivi da essi definiti hard, come basi o formazioni militari — da distinguere con quelli soft, con cui i due accademici si riferiscono a obiettivi in cui è presente un gran numero di civili indifesi — cui seguono personalità chiave del mondo civile (10,5%), aeroporti civili (8,2%), infrastrutture petrolifere (3,8%) (21).

Hezbollah è l’attore che ha cominciato prima di tutti a operare con gli UAS. Il Partito di Dio ha impiegato i suoi sistemi non pilotati sia per la condotta di missioni ISR che per la condotta di attacchi diretti (22) e ha di seguito trasmesso le sue conoscenze a movimenti come le brigate Al Qassam, il braccio armato di Hamas, e il movimento yemenita degli Houthi. Con la deflagrazione del conflitto siriano, Hezbollah ha affinato e perfezionato i procedimenti di impiego degli UAS, soprattutto grazie alle lezioni apprese dalle Forze armate siriane, dalle Guardie rivoluzionarie iraniane e dalle Forze russe.

Lo Stato Islamico, a partire dal 2015, ha instituito un vero e proprio programma di acquisizione, assemblaggio e riconversione di UAS civili in sistemi a uso militare (23). Il primo attacco condotto dall’ISIS tramite UAS risale al 2014, quando un quadricottero DJI

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Un piccolo UAS civile della serie DJI Phantom, prodotto dalla Cina. Questo

tipo di UAS è uno dei più utilizzati dallo Stato Islamico in Siria e in Iraq (Wikipedia).

Phantom FC40 venne utilizzato in una missione di ricognizione per preparare un assalto contro l’Esercito siriano nel nord della Siria (24). A partire dal 2016, il gruppo ha iniziato a impiegare i suoi UAS anche per la condotta di attacchi diretti contro obiettivi prevalentemente militari, come quando, nel settembre del 2016, miliziani dell’ISIS utilizzarono un UAS in funzione di IED per colpire unità turche impegnate nell’operazione Scudo dell’Eufrate (25).

Il movimento degli Houthi, attivo in Yemen, ha colpito a più riprese le forze saudite e le sue infrastrutture petrolifere a partire dal 2016 (26). Grazie soprattutto all’aiuto fornito dall’Iran, le forze di Ansar Allah hanno cominciato a impiegare i loro UAS in attacchi kamikaze per colpire i sistemi di Difesa antiaerea sauditi. Dopo i primi successi, essi hanno sviluppato notevoli capacità di produzione di UAS, realizzando col tempo sistemi sempre più grandi e con una capacità di carico maggiore. A partire dal 2015, il movimento degli Houthi ha lanciato più di 850 attacchi tramite UAS contro l’Arabia Saudita (27).

Più in generale, è possibile suddividere l’impiego degli UAS da parte degli attori non statuali in quattro grandi tipologie di impiego. La prima, quella più comune, è quella delle missioni ISR. Numeri episodi testimoniano di UAS impiegati in questa funzione in Israele, da parte di Hezbollah, ma anche in Siria e in Iraq (28), da parte di ISIS, sia in preparazione a un attacco terrestre o a un bombardamento d’artiglieria, sia per sorveglianza in tempo reale — quest’ultimo meno comune — per condurre attacchi suicidi tramite veicoli riempiti di esplosivo.

La seconda tipologia di operazioni sono quelle psicologiche e di propaganda. Hezbollah e Hamas hanno più volte impiegato UAS contro Israele (29) per segnalare che certe azioni da parte delle Israel Defense Forces (IDF) non sarebbero state tollerate – come le incursioni aeree in Libano (30) — ma anche in funzione meramente dimostrativa per segnalare sempre a Israele che i nemici di Gerusalemme possedevano la capacità di colpire le IDF anche dall’alto. Anche l’ISIS ha impiegato i suoi UAS per scopi di propaganda, registrando e pubblicando online video delle sue forze intenti a condurre attacchi armati in Iraq e in Siria o addirittura filmati che riprendevano martiri del califfato durante un attacco suicida (31).

La terza tipologia di operazioni è quella degli attacchi suicidi, condotti come se l’UAS fosse una sorta di IED, in maniera molto simile a una munizione circuitante. Al Qaeda è stata la prima a pensare a questo particolare utilizzo degli UAS già all’inizio degli anni duemila. Il primo grande attacco IED condotto con successo tramite velivoli non pilotati è avvenuto nel settembre del 2014, quando un UAS di Hezbollah venne impiegato per colpire una postazione occupata da combattenti di al-Nusra nel nord est del Libano, causando l’uccisione di non meno di 23 uomini (32). Oggi questa pratica è in grande espansione e viene utilizzata ampiamente anche da moltissimi attori non statuali.

La quarta e ultima tipologia di operazione è quella degli attacchi tramite ordigni sganciati direttamente dall’UAS. In questo caso il materiale esplosivo, di dimensioni necessariamente contenute, data la limitata capacità di carico di questi UAS, viene impiegato per confondere le truppe nemiche, disarticolandone le tattiche, oppure per colpire asseti particolarmente importanti, come un radar di una batteria antiaerea, o ancora in combinazione con un altro attacco terrestre per aumentare il numero delle vittime nemiche.

L’impatto degli UAS sulle operazioni degli attori armati irregolari

Indagate le ragioni per cui gli UAS sono così diffusi negli arsenali degli attori non statuali, soprattutto quelli mediorientali, e analizzate le modalità con cui questi vengono impiegati in operazione, viene ora da chiedersi quali effetti questi sistemi sono in grado di generare nei vari livelli del conflitto, vale a dire quello strategico, operativo e tattico.

A livello strategico, l’impatto più rilevante derivante dall’impiego di questi sistemi si ha sulla propaganda degli attori irregolari. Grazie a questi sistemi, infatti, molte formazioni armate non statuali hanno potuto diffondere video e immagini delle loro operazioni, contribuendo in questo modo a rafforzare la loro narrazione e quindi a risultare più attraenti nei confronti di potenziali reclute. Allo stesso modo, questi sistemi possono portare beneficio alla propaganda dei gruppi armati irregolari colpendo obiettivi puntuali ad alto valore strategico, per esempio figure di vertice, in maniera più facile rispetto a un normale IED o a un semplice razzo. Nel gennaio del 2019 gli Houthi tentarono invano di colpire con un UAS caricato di esplosivo il generale yemenita Saghir Bin Aziz, con l’obiettivo di far deragliare i tentativi di pace da parte dell’ONU (33). Infine, anche l’impatto in termini di costi per il nemico può risultare importante: data la scarsità di efficaci difese anti-drone, spesso per eliminare un piccolo UAS impegnato in una missione ISR le forze convenzionali hanno dovuto fare affidamento su assetti alquanto costosi, come hanno più volte dovuto fare le IDF, le quali hanno dovuto impiegare almeno tre volte un missile Patriot, dal costo di 3 milioni di dollari ciascuno, per abbattere un piccolo sistema non pilotato operante in Siria (34).

A livello operativo, gli UAS potenziano le capacità degli attori armati irregolari di condurre missioni ISR e acquisizione obiettivi e consentono una più efficace capacità di comando e controllo. Le missioni di ISR, che sono le più comuni, possono essere condotte con diversi scopi: sfuggire al contatto col nemico, preparare un attacco, prevenire un’operazione nemica. Le missioni di acquisizione obiettivi sono state utili soprattutto all’ISIS: nel 2015, durante l’assedio della base siriana di

In futuro, gli UAV verranno impiegati sempre più spesso in sciami, ovvero in gruppi più o meno folti di droni (Shuttershock).

Kweres, così come durante la difesa di Mosul, nel 2016, la formazione terroristica ha fatto ampiamente ricorso a questi sistemi per rendere più preciso il fuoco dei suoi pezzi di artiglieria (35). Un altro esempio lo si è avuto in Iraq, nel marzo del 2016, quando alcuni militari americani e iracheni di stanza in una base nel nord del paese, dopo aver avvistato un piccolo UAS nei pressi della struttura, vennero fatti oggetto di un attacco con un razzo Katyusha, che colpì chirurgicamente la base, uccidendo un militare (36). Infine, secondo alcuni autori (37), uno dei fattori che ha consentito, sempre allo Stato Islamico, di poter condurre molti attacchi impiegando in maniera coordinata capacità diverse, come l’azione di centinaia di fanti appiedati, assetti sniper e attacchi IED, è stato proprio l’utilizzo di UAS, che hanno facilitato notevolmente le capacità di comando e controllo della formazione terrorista.

Benché l’uso degli UAS da parte degli attori non statuali fornisca un contributo a tutti i livelli del conflitto, è a livello tattico che essi sembrano in grado di apportare i benefici più grandi. Oltre ad aumentare la gittata entro il quale questi attori possono colpire, gli UAS consentono alle formazioni armate irregolari di violare più facilmente le difese aeree nemiche (38) e di condurre attacchi senza rischiare di perdere uomini. Quanto alla penetrazione, la bassa altitudine a cui possono volare, le dimensioni ridotte, la minima segnatura termica, acustica ed elettromagnetica, rendono questi sistemi alquanto difficili da individuare anche per le più avanzate difese antiaeree dei paesi più ricchi e industrializzati (39). Quanto agli attacchi armati, condotti cioè tramite

Il movimento degli Houthi impiega spesso piccoli UAS civili modificati per essere impiegati in operazioni militari. Dal 2015, gli Houthi hanno condotto più di 850 attacchi tramite UAS contro le forze saudite (AFP via Getty Images).

l’ausilio di ordini sganciati o direttamente tramite il drone stesso, essi sono aumentati molto negli ultimi anni. Basti pensare che, già nel 2017, solo in Iraq l’ISIS conduceva tra i 60 e i 100 attacchi al mese (40). Gli attacchi possono essere anche molto precisi: nel gennaio del 2019, gli Houthi impiegarono un piccolo drone iraniano per colpire alcune personalità chiave impegnate in una parata in Yemen, uccidendo 6 soldati, incluso il capo dell’Intelligence militare, e ferendo il capo di Stato Maggiore yemenita, il suo vice, il Governatore provinciale e altre autorità della coalizione araba (41).

Quali implicazioni per le forze terrestri?

L’impiego di UAS da parte di attori armati non statuali è un fenomeno recente che preoccupa le Forze armate dei paesi occidentali. Uno dei più grandi vantaggi di cui gli apparati militari convenzionali impegnati in un conflitto contro una o più formazioni irregolari hanno potuto a lungo disporre è stato quello dell’assoluto controllo della terza dimensione. Il costo da pagare per poter impiegare assetti volanti e quindi disporre del potere aereo è rimasto a lungo troppo alto per la maggior parte degli attori armati non statuali. Le forze convenzionali dei paesi ricchi e industrializzati, specialmente quelle occidentali, sono state per anni impiegate in conflitti caratterizzati, tra le varie cose, dalla quasi totale assenza di minacce provenienti dalla terza dimensione. In Iraq e in Afghanistan, vale a dire nei due principali conflitti irregolari cui hanno partecipato le forze militari occidentali nel ventunesimo secolo — e sulla base dei quali gli strumenti terrestri di molti di questi Paesi si sono modellati — le unità convenzionali dovevano difendersi al massimo da qualche razzo o da qualche colpo di mortaio. In Afghanistan, per esempio, fino al 2020, il numero di morti statunitensi a causa di razzi e/o colpi di mortaio è stato alquanto ridotto, pari a 89 unità (il 3,6% del totale dei morti) (42).

Disabituate a operare in un ambiente in cui anche lo spazio aereo risulta in qualche modo contestato e denso di minacce, le Forze armate occidentali si trovano oggi esposte a una vulnerabilità cui occorre porre velocemente rimedio. I recenti conflitti combattuti in Libia, in Ucraina e soprattutto in Nagorno-Karabakh hanno messo in luce in maniera molto chiara come, nel ventunesimo secolo, il potere aereo sia in grado di avere un effetto devastante contro forze terrestri sprovviste di difese aeree adeguate all’attacco. In questo contesto, spiega Michael Kofman, uno dei maggiori esperti di Forze armate russe, «gli assetti pilotati da remoto offrono alle piccole e medie potenze il vantaggio del potere aereo, di ricognizione e di controllo del fuoco a un prezzo decisamente scontato rispetto all’aviazione manned» (43). Anche se in proporzioni minori, date le ridotte prestazioni degli UAS su cui possono contare, le considerazioni dell’esperto analista militare valgono anche per gli attori armati irregolari.

Nel caso della guerra dell’Artsakh, dipinta troppo velocemente da molti come il conflitto che ha dimostrato una volta per tutte che gli UAS sono un assetto capace di rivoluzionare per sempre il modo di fare la guerra, uno degli elementi decisivi che ha determinato la vittoria delle forze azere non è stata tanto la presenza degli assetti non pilotati nelle mani di Baku, quanto le deficienze della Difesa antiaerea armena, che non è stata in grado di contrastare gli UAS azeri. A queste considerazioni occorre aggiungere che, in futuro, gli UAS verranno verosimilmente impiegati sempre più in sciami, rendendo ancora più complessa l’azione del difensore.

Le soluzioni per intercettare e neutralizzare gli UAS già esistono, ma nessuna di esse basta, da sola, ad assicurare una Difesa efficace. Nessun «proiettile d’argento» (44), in altre parole, è in grado di difendere le forze contro tutti i tipi di minaccia proveniente dalla terza dimensione. I conflitti armati che fino a ora hanno visto la presenza di assetti UAS impiegati in operazioni militari, hanno ampiamente dimostrato che un moderno sistema di Difesa antiaerea, per essere efficace, deve necessariamente essere stratificato (ovvero composto di sistemi in grado di colpire bersagli a corta, media e lunga gittata), integrato, quindi capace di saper racco-

gliere e fondere insieme tutte le informazioni ottenute dai sensori dei vari sistemi di cui si compone, e supportato da sistemi di guerra elettronica e counter-UAS. È in base a questi principi che gli strumenti militari moderni dovranno ripensare la protezione delle forze, specialmente a livello tattico, in un ambiente operativo in cui, anche in un conflitto irregolare, il nemico è finalmente in grado di disporre di un potere che non è più di dominio esclusivo degli apparati militari convenzionali, quello aereo. 8

NOTE

(1) S.J. Frantzman, Drone Wars: Pioneers, Killing Machines, Artificial Intelligence, and the Battle for the Future, Bombardier Books, New York, 2021, p. 107. (2) Si tratta di un sistema di Difesa antiaerea a corto raggio. (3) F.A. Verrastro, Attack on Saudi Oil Infrastructure: We May Have Dodged a Bullet, at Least for Now…, Center for Strategic and International Studies, 18 settembre 2019, https://bit.ly/3szqqgS. (4) Si veda, per esempio, S.J. Frantzman, Are air defense systems ready to confront drone swarms? Defense News, 26 settembre 2019, https://bit.ly/3mwvVZR. (5) Esistono diversi termini con cui ci si può riferire a ciò che più generalmente viene chiamato «drone»: con il termine Unmanned Aerial System (UAS) ci si riferisce al sistema in toto, ovvero il velivolo, il software di guida, la stazione di controllo terrestre, i sensori ecc.; con il termine Unmanned Aerial Vehicle (UAV) ci si riferisce, invece, solo al velivolo in sé; l’ICAO, per conto suo, utilizza il termine Remotely Piloted Aircraft System, adoperando quindi un termine più specifico rispetto a UAS/UAV, i quali, in effetti, possono lasciar pensare che il sistema sia completamente autonomo, mentre in moltissimi casi esso è guidato da una stazione di guida terrestre. Un RPAS è un sistema composto da più elementi: un velivolo pilotato da remoto, una stazione di guida, un sistema di collegamento di comando e controllo. (6) A. Kumar, «Drone Proliferation and Security Threats: A Critical Analysis», Indian Journal of Asian Affairs 33(1/2), 2020, pp. 43-62. (7) K. Chávez, O. Swed, «The proliferation of drones to violent nonstate actors», Defence Studies 21 (1), 2021, p. 4. (8) S. Joshi, A. Stein, «Emerging Drone Nations», Survival 55 (5), 2013, p.58. (9) Chávez, Swed, op. cit. (10) J. Gertler, US Unmanned Aerial Systems, Congressional Research Service, Washington DC, 2012. (11) M. Hoenig, «Hezbollah and the Use of Drones as a Weapon of Terrorism», Public Interest Report 67(2), Spring, 2014, p. 5. (12) H. Haugstvedt, J.O. Jacobsen, «Taking Fourth-Generation Warfare to the Skies? An Empirical Exploration of Non-State Actors Use of Weaponized Unmanned Aerial Vehicles (UASs-“Drones”)», Perspective on Terrorism 14(5), 2020, pp. 26-40. (13) Ivi, p. 29. (14) Chávez, Swed, op. cit., pp.13-14. (15) D. Gormley, Addressing the Spread of Cruise Missiles and Unmanned Air Vehicles (UASs), Nuclear Threat Initiative, 1 marzo 2004, https://bit.ly/3eskJcu. (16) F. Borsari, The Middle East’s Game of Drones: The Race to Lethal UASs and Its Implications for the Region’s Security Landscape, ISPI Analysis, 15 gennaio 2021, p. 4, https://bit.ly/3eslFO2. (17) Haugstvedt, Jacobsen, op. cit., p.30. (18) Ivi. (19) D. Gettinger, Drones Operating in Syria and Iraq, Center for the Study of Drones, Bard College, dicembre 2016, https://bit.ly/3JlrTxd. (20) Haugstvedt, Jacobsen, op. cit., p.32. (21) Ivi, p. 31. (22) G. Lasconjarias, H. Maged, «Fear the Drones: Remotely Piloted Systems and Non-State Actors in Syria and Iraq», IRSEM Research Paper n.77, 2019, p.8. (23) D. Rasselr, M. Al-Ubaydi, V. Mironova, The Islamic State’s Drone Documents: Management, Acquisitions, and DIY Tradecraft, Combating Terrorism Center at West Point, 31 gennaio 2017, p.7, https://bit.ly/3sCGM8K. (24) R.J. Bunker, Terrorist and Insurgent Unmanned Aerial Vehicles: Use, Potentials, and Military Implications, US Army War College/Strategic Studies Institute, p. 12. (25) S. 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