Rivista Marittima - Luglio-Agosto 2019

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LUGLIO-AGOSTO 2019

RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €

* RIVISTA MARITTIMA *

LUGLIO-AGOSTO 2019 - Anno CLII

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PRIMO PIANO

Le pretese russe sull’Artico e la dottrina sovietica dei mari chiusi Fabio Caffio

I rapporti tra Helsinki e Mosca e l’avvicinamento della Finlandia alla NATO Rodolfo Bastianelli


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Sommario PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

56 Verso la metereologia dello Spazio Gian Carlo Ruggeri

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Allarme microplastiche, dagli oceani ai nostri

piatti Aurelio Caligiore - Daniela Falcone

STORIA E CULTURA MILITARE QUESTO MESE SUPPLEMENTO 1869-2019 Arsenale della Spezia 150 anni di storia

76 La crisi armistiziale del ’43: dalla tragedia navale al riscatto della Battaglia alla Maddalena Mario Rino Me

90 9 Luglio 1943, lo sbarco Alleato in Sicilia Ezio Costanzo

PRIMO PIANO

6 Le pretese russe sull’Artico e la dottrina sovietica dei mari chiusi

Fabio Caffio

14 I rapporti tra Helsinki e Mosca e l’avvicinamento

della Finlandia alla Nato Rodolfo Bastianelli

24 Fondali senza confini di un unico oceano Luigi Sinapi - Andrea Grieco

32 Ghiacci marini e Polar Code Alfredo Pulga

48 Northwest Passage: le nuove sfide dell’Artico Alessandro Mazzetti

RUBRICHE

100 103 111 121 125 Rivista Marittima Luglio-Agosto 2019

Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

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IN

COPERTINA: 23 giugno 1900 - da sinistra Petigax, Fenoillet, Cagni e Canepa, membri della spedizione di Nave STELLA POLARE al Polo Nord, organizzata e diretta da Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi.

LUGLIO-AGOSTO 2019 - anno CLII HANNO COLLABORATO: Ammiraglio Ispettore (ris) Fabio Caffio Dottor Rodolfo Bastianelli Contrammiraglio Luigi Sinapi Dottor Andrea Grieco Signor Alfredo Pulga Professor Alessandro Mazzetti Generale di Brigata (ca) Gian Carlo Ruggeri Contrammiraglio Aurelio Caligiore Sottotenente di vascello Daniela Falcone Ammiraglio di Squadra (ris) Mario Rino Me Professor Ezio Costanzo Ambasciatore Gianfranco Verderame, Ambasciatore Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Dottoressa Alessandra Mita Ferraro Dottor Enrico Cernuschi Dottor Costantino Moretti

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E ditoriale

C

inquant’anni fa, nel luglio 1969, gli intrepidi astronauti che ebbero la straordinaria opportunità di osservare, dal suolo lunare, il «Pianeta Blu», furono concordi nell’affermare quanto la Terra apparisse bella ma fragile. Oggi quel presentimento di fragilità si sta confermando. È ormai diffusa la nozione in base alla quale il riscaldamento globale sia il frutto di uno sfruttamento eccessivo e miope delle risorse terrestri senza alcun riguardo nei confronti dell’ecosistema. E gli effetti di questo riscaldamento appaiono allarmanti nell’area della Regione Artica. Si tratta di un intero oceano che bagna i territori settentrionali del Canada, della Danimarca, dell’Islanda, della Norvegia, della Svezia, della Russia e degli Stati Uniti. Insomma, un «Mediterraneo Artico» per il quale passano, ormai, non solo geograficamente, due grandi vie di comunicazione: una verso l’Oceano Pacifico e l’altra in direzione dell’Atlantico. Il progressivo innalzamento della temperatura sta inoltre modificando il paesaggio glaciale. Gli scienziati di tutto il mondo stanno studiando questi fenomeni tentando di comprendere le correlate ricadute sul pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci, ancora, apre concrete possibilità d’accesso a enormi giacimenti di materie prime presenti sulle piattaforme continentali. E, volendo tralasciare gli interessi della superpotenza statunitense, vale la pena sottolineare, a questo punto, come l’Artico sia di fondamentale importanza sia per la Russia sia per la Cina. Per Mosca si tratta di evidenti valenze strategiche in campo militare, commerciale, minerario e alimentare. Non a caso la Russia possiede da sempre la maggiore flotta mondiale in termini di navi rompighiaccio a propulsione nucleare, capostipite la classe «Arktika» di circa 25.000 tonnellate di stazza lorda fino all’attuale Projiect 22220 Icebreaker di ben 33.000 t, con due unità di prossima entrata in servizio: il nuovo Arktika e il Sibir. Tali navi hanno il compito di permettere il transito dei mercantili (e non solo) lungo la «Northern Sea Route» a nord della Siberia, oltre ad assicurare invidiabili condizioni per una proficua ed estesa ricerca scientifica allargata a tutti i settori, non ultimo quello, delicatissimo, dell’acustica subacquea in quei mari poco o punto conosciuti posti ai confini del mondo. La «Northern Sea Route» è a sua volta definita dalla legislazione russa come «la rotta artica all’interno della propria Zona Economica». Un’esclusiva, pertanto, unilaterale che parte a Est dell’arcipelago della Novaya Zemlya per proseguire verso levante fino allo Stretto di Bering. Un ambizioso Passaggio di Nord Est in contrapposizione al mitico «Passaggio di Nord Ovest» dalla parte del Canada. SEGUE A PAGINA 4

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La Cina, per quanto disti, geograficamente, oltre 5.000 chilometri dall’Artico, è a sua volta altrettanto consapevole in merito ai cambiamenti climatici in corso e alle correlate grandi possibilità offerte dalle enormi risorse naturali che si renderanno disponibili, in seguito allo scioglimento dei ghiacci, nello scacchiere Nord. La, da taluni prospettata, «via polare della seta» potrebbe addirittura costituire un’alternativa al sempre più problematico transito del traffico cinese per le forche caudine dello stretto di Malacca e consentirebbe, per soprammercato, di risparmiare significativamente rispetto alla lunghezza equatoriale delle rotte convenzionali per l’Europa. Come se non bastasse, l’Artico rappresenta, per Pechino, nell’ambito di un confronto geostrategico mondiale in potenza in chiave anti-Stati Uniti, uno scacchiere di prima grandezza. Di conseguenza la Marina cinese ha condotto, per la prima volta, un ciclo complesso di operazioni navali nell’Artico durante il mese di novembre 2015, quando 3 navi da guerra, in compagnia di un’unità anfibia e di un rifornitore oceanici, sono transitate a nord dell’Alaska. Da allora Pechino ha compiuto significativi progressi nel campo, particolarissimo, della tecnologia polare e oggi possiede due navi rompighiaccio di cui una, la Xuelong 2, è la prima nave di questo tipo costruita interamente in Cina su progetto nazionale. La terza unità rompighiaccio cinese attualmente in fase di sviluppo sarà, significativamente, dotata di propulsione nucleare. Ma non è tutto. La superpotenza Cina è perfettamente consapevole quanto alle significative ripercussioni che l’innalzamento del livello del mare, provocato dallo scioglimento dei ghiacci, potrebbe avere sul proprio profilo continentale, con le inevitabili, micidiali ricadute sulla propria agricoltura e sul sostentamento di milioni e milioni di persone. In buona sostanza Pechino non può permettersi di restare estranea agli sviluppi in corso in un teatro economico e strategico di tale rilevanza. Da ciò discende la presenza della Cina, dal 2013, nel Consiglio Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia, Stati Uniti) in qualità di osservatore permanente. Anche l’Italia, dopo un lungo periodo di assenza, è tornata, dal 2017, a condurre campagne navali di ricerca scientifica nell’Artico. In particolare, il programma di ricerca denominato High North è condotto dalla Marina Militare utilizzando a questo scopo Nave Alliance, un’unità di proprietà della NATO, ma battente bandiera italiana e interamente affidata — sia per l’operatività sia per l’equipaggio — alla Marina Militare, la quale la gestisce in toto adibendola per circa 2/3 dell’anno alle esigenze di ricerca della NATO e per la restante parte ai programmi scientifici e di ricerca del nostro Paese. Ciò è possibile grazie anche all’Istituto Idrografico della Marina Militare, in quanto l’Ente coordina l’intero progetto e i ricercatori, militari e civili, che imbarcano su Nave Alliance unitamente ai loro colleghi provenienti dai principali Istituti di ricerca italiani. Quest’anno High North 19, a continuazione delle due precedenti campagne svolte nel 2017 e 2018, si propone di acquisire ulteriori dati geofisici marini e climatici nella zona dell’Eastern Fram Strait – Yermak Plateau – Western-Southern Svalbard. La chiave del successo di tali operazioni consiste, infatti, nel valutare i parametri geofisici marini e climatici con continuità e per periodi sufficientemente lunghi rendendoli così disponibili alla comunità scientifica internazionale. Ciò permetterà, inoltre, di affinare le prestazioni di nuovi strumenti scientifici all’avanguardia, in primo luogo il c.d. Mapping 4D. L’impegno dell’Italia nell’Artico, tramite l’indispensabile e insostituibile risorsa rappresentata dalla Marina Militare, ha permesso di riportare il nostro Paese nel ristretto novero dei grandi attori della ricerca marittima artica. Si tratta, in verità, di un ruolo tanto più significativo una volta che venga messo in relazione con il riconoscimento per il nostro Paese, nel 2013, dello status di osservatore permanente del Consiglio Artico. Competenza, professionalità e un elevato «know-how» scientifico, sono i 3 indispensabili biglietti da visita che la Marina Militare, attraverso il proprio Istituto Idrografico e la perizia dei propri equipaggi, esibisce nel candore dei ghiacci del Polo Nord. Sono questi i fattori di affidabilità su cui l’Italia sa di poter contare nell’attuazione di quell’indispensabile strategia marittima necessaria per conservare e sviluppare il benessere della collettività, sia interna sia internazionale. Un «dual use» da manuale. DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima


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PRIMO PIANO

Le pretese russe sull’Artico e la dottrina sovietica dei mari chiusi

Fabio Caffio (*)

(*) Ammiraglio Ispettore (r), esperto diritto marittimo. Da anni collabora con la Rivista Marittima e con la rivista online Affarinternazionali. Attualmente è presidente della Fondazione Marittima Ammiraglio Michelagnoli Onlus.

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Immagine satellitare dell’Artico (Fonte: klingedingen.nl).

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e pretese russe sull’Artico sono divenute di attualità nel 2007 quando Mosca organizzò una spedizione scientifica nelle acque sottostanti il Polo Nord: due batiscafi toccarono il fondo a oltre 4.000 metri di profondità piantando una bandiera nazionale in titanio (1). Apparve allora in tutta evidenza l’ambizione russa di far propri gli spazi marittimi adiacenti a fini di dominio geopolitico. Non solo per i vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento delle ingentissime riserve energetiche della piattaforma continentale e dalle risorse ittiche della sovrastante Zona economica esclusiva (ZEE), ma anche per il

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controllo delle vie di comunicazione marittima aperte alla navigazione dallo scioglimento dei ghiacci, come la Northern Sea Route (NSR), la nuova rotta marittima tra l’Europa e il Pacifico — in parte coincidente con lo storico Passaggio a Nord Est — molto più breve di quella che attualmente passa attraverso lo Stretto di Malacca, l’Oceano Indiano, Suez e il Mediterraneo (2). La Russia, a differenza degli Stati Uniti, è oggi parte contraente della Convenzione del diritto del mare del 1982 (CNUDM), e quindi ne condivide regole e principi a cominciare da quello fondamentale della libertà di navigazione nell’alto mare e nelle ZEE.

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PRIMO PIANO

I rapporti tra Helsinki e Mosca e l’avvicinamento della Finlandia alla NATO Rodolfo Bastianelli (*) (*) Nato a Roma il 5 Novembre 1969. Laureato in Giurisprudenza a Roma, ha effettuato un corso di specializzazione post-laurea presso l’Institut Français des Relations International (IFRI) a Parigi. Dopo avere lavorato presso le riviste Ideazione e Charta Minuta, dal 2011 segue la politica estera per L’Occidentale. È Professore a contratto di Storia delle Relazioni Internazionali e collabora inoltre con LiMes, Informazioni della Difesa, Rivista di Politica, Affari Esteri e il settimanale on-line dello IAI, Affari Internazionali. Collabora con la Rivista Marittima dal 2009.

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Il ritorno a un politica estera assertiva da parte del Cremlino e l’esplosione del conflitto in Ucraina ha avuto in Finlandia un notevole impatto sulle discussioni riguardanti una possibile futura adesione all’Alleanza Atlantica.

Le ragioni della neutralità finlandese

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a linea più intraprendente assunta da Mosca in politica estera negli ultimi anni, unita al nuovo quadro geopolitico emerso in Europa orientale dopo il conflitto in Ucraina, stanno avendo un notevole impatto politico in Finlandia, dove la storica posizione di neutralità finora seguita è stata messa in discussione, tanto che da diverse parti si è ipotizzata anche una prossima adesione del Paese alla NATO. Nell’analisi che segue si osserveranno le ragioni storiche che stanno alla base della posizione neutrale assunta da Helsinki insieme all’evoluzione dei rapporti con l’Unione Sovietica dopo il Secondo conflitto mondiale e poi con la Russia dopo il 1992.

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Fin dall’indipendenza ottenuta dalla Russia nel 1918 in seguito a una breve guerra civile esplosa subito dopo la conquista del potere da parte delle forze bolsceviche, la Finlandia si impose una posizione neutrale che assunse un aspetto ancor più definito a partire dagli anni Trenta, come dimostrato dalla dichiarazione con cui il governo finlandese, nel Maggio 1938, si allineava a quelli di Svezia, Danimarca, Norvegia, Svizzera e Irlanda nell’affermare il principio della neutralità nella loro politica estera. Ma, nonostante sul piano formale Helsinki agisse come un Paese neutrale, su quello politico, al contrario, la sua posizione internazionale non appariva altrettanto stabile e definita data la particolare collocazione geografica del Paese posta ai confini con l’Unione Sovietica con la quale i rapporti erano stati fin quanto mai difficili sin dall’indipendenza. L’ostilità contro le forze bolsceviche espressa durante la guerra d’indipendenza nonché i forti legami che univano Helsinki alla Germania, rendevano, per Mosca, assai poco convincente la linea di neutralità assunta dalla Finlandia, senza contare come i Sovietici, proprio alla luce di queste considerazioni, erano preoccupati per la sicurezza di Leningrado e del suo territorio vista la loro vicinanza a quello finlandese (1). E in proposito, già nel 1935, l’ambasciatore sovietico a Helsinki, Eric Assmus, rivolgendosi al Premier finlandese Kivimäki, sottolineava come un eventuale conflitto tra Unione Sovietica e Germania avrebbe coinvolto anche la Finlandia, e in quel caso Mosca non si sarebbe posta in una posizione di attesa ma avrebbe occupato si occupato militarmente il Paese proprio per garantire il retroterra di Leningrado. E quanto l’Unione Sovietica venisse considerata un pericolo per la Fin- Il Premier finlandese Toivo Kivimäki (Fonte: it.wikipedia.org). landia, apparve

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PRIMO PIANO

Fondali senza confini di un unico oceano Luigi Sinapi (*) - Andrea Grieco (**)

Camino idrotermale, comunemente conosciuto come black smocker, parte della catena NW del Brothers Volcano (Fonte: New Zeland American Submarine Ring of fire 2007 Exploration).

(*) Contrammiraglio della Marina Militare Italiana. È «National Hydrographer» e Direttore dell’Istituto Idrografico della Marina da ottobre 2015. È laureato in Fisica, Scienze Diplomatiche e Internazionali e Scienze Marittime e Navali, ha conseguito i Master di II livello in Studi Internazionali Strategico-Militari e Geomatica Marina. Nella sua carriera ha comandato tre Unità navali — Mirto, Zeffiro e Durand De La Penne — e ha prestato servizio presso il Comando navale della NATO e, allo Stato Maggiore della Marina, presso l’Ufficio di Pianificazione e Programmazione Finanziaria e i Reparti Operativo e Logistica. È impegnato nell’International Hydrographic Organization (IHO) con diversi incarichi tra cui la Chairmanship dell’Hydrographic Services and Standards Committee (HSSC), massimo comitato deputato alla stesura degli standard nei settori dell'idrografia e della cartografia nautica. (**) Studioso e ricercatore geopolitico. Nasce come giurista internazionalista, per specializzarsi poi in «Sviluppo sostenibile, Geopolitica delle Risorse e Studi Artici» svolto presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI). Attualmente si sta occupando, con il supporto dell’Istituto Idrografico della Marina, di studiare e delinare degli scenari perseguibili di Governance Globale degli Oceani in linea con quanto stabilito dall’International Seabed Authority e dai Sustainable Development Goals e nel rispetto della funzione economico sociale ricoperta dai fondali e dagli «undersea feature names».

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Fondali senza confini di un unico oceano

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attuale panorama internazionale, contrassegnato dal ritorno di politiche nazionali nel campo della politica estera e dall’ingresso nello scacchiere geopolitico di attori nuovi con maggiori potenzialità tecnologiche e più organizzati, offre l’opportunità di affrontare la riflessione sulla strategia marittima a livello globale, con una serie di aspetti che da essa derivano. Come sostiene John Hannigan in The geopolitics of deep oceans, i fondali marini sono la nuova frontiera del nostro millennio, con tutto quello che ne consegue: il «profondo blu» di cui sono dominati possono trasformarsi nel campo di azione perfetto e in un vero e proprio vaso di Pandora dei giorni nostri dove tutti possano stare. Al benessere e al dominio dei fondali marini si legano una serie di aspetti, che possono sembrare distanti, ma che fanno parte di un’unica trama: la conoscenza, lo sviluppo e l’interesse geopolitico degli Stati verso questi settori e a livello più ampio il rafforzamento e/o la creazione di una «Governance globale» dei fondali marini in un’ottica di sostenibilità potrebbero regolamentare la competizione e allo stesso tempo incoraggerebbero una cooperazione tra Stati, sia in senso orizzontale con tutti i soggetti coinvolti, sia in senso verticale considerando lo spazio, sia considerando il tempo rivolgendosi alle generazioni future. Partendo dall’assunto secondo il quale circa il 71% della superficie terrestre è coperta da acqua e questa sia parte di un unico sistema, il One Ocean, si capisce subito quanto il «dominio dei mari» sia un aspetto importante nelle strategie politiche di ogni Stato. La conoscenza dei fondali e il libero accesso a essi, sono aspetti fondamentali per comprendere, per esempio, le correnti oceaniche che influenzano il clima e le condizioni meteorologiche, le maree, l’azione delle onde e la quantità di risorse presenti negli oceani e nelle profondità. La mappatura dei fondali marini è vitale per la sicurezza e il peso economico degli Stati. A sottolineare l’importanza di un fondale inteso quale global common è la stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), secondo la quale «una profonda comprensione dei fondali non può che rafforzare la nostra comprensione degli eco-

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sistemi marini e della vita marina a beneficio delle attuali sfide che si presentano all’umanità». L’obiettivo di governare gli abissi, ha contraddistinto tutte le società della storia umana, tra gli esempi di talassocrazie, si annoverano potenze come Atene, Cartagine, Roma e Costantinopoli, in epoca più moderna figurano le Repubbliche marinare di Genova e Venezia, sino ad arrivare ai giorni nostri in cui il dominio dei fondali marini si è trasformato in un imperativo nelle politiche di ogni Stato. Nell’era dell’Antropocene, i fondali marini, sono intesi come l’ultima frontiera in cui l’uomo può spingersi alla ricerca di risorse sfruttabili. Per millenni sono stati luoghi di circolazione, di contatto, di scambio e di conflitto ma con l’avvento della globalizzazione e del progresso tecnologico, oltre che della diffusione di politiche dette di libero scambio, i fondali marini si sono trasformati nel terreno utile all’esercizio della sovranità di ciascuno Stato. Parliamo quindi di un’area ricca di risorse ma sconosciuta e poco tutelata a livello internazionale, le cui azioni influenzano le vite umane che sono al «di sopra». Nella loro sconfinata profondità, i fondali ospitano una moltitudine di specie di grande valore, che poco vengono considerate in questo nuovo eldorado. La data fondamentale che segna l’inizio della discussione sulla delimitazione e sull’utilizzo degli spazi marini è il 1492, quando con l’abbattimento delle frontiere oltreoceano, si sono riaccese le rivendicazioni degli Stati per l’ampliamento dei propri confini. Sin da quella data storica, il diritto internazionale del mare si è legato al diritto commerciale stabilendo una stretta relazione tra il controllo del mare e il peso economico da esso derivante. Questo ha portato alla necessità di delimitare gli spazi marini e all’affermazione del principio di libertà dell’alto mare, principio assoluto e inderogabile. Sono seguite molte Convenzioni, alcune delle quali inefficaci. Occorrerà attendere il 1958 per l’adozione di quattro differenti convenzioni: sul mare territoriale e sulla zona contigua, sull’alto mare, sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare e sulla piattaforma continentale. La Conferenza di Ginevra sul diritto del mare con la sua natura dichiarativa apre la strada alla Conferenza Internazionale di Montego Bay (1973-1982) che ha prodotto la

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PRIMO PIANO

Ghiacci marini e Polar Code Alfredo Pulga (*) (*) Dipendente civile del Ministero della Difesa, presso il CISAM. Ex maresciallo E.I., specialitĂ paracadutisti. Ha collaborato con il Servizio Valanghe Italiano e ha partecipato al progetto di ricerca RED presso la Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur. Diplomato Tecnico Industriale in Elettronica, si interessa di geomatica e di sistemi gestione qualitĂ .

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Ghiacci marini e Polar Code

Mare Artico Storia Gli esploratori europei che nel XVI e nel XVII secolo si imbarcavano all’inizio della primavera diretti verso nord si trovarono circondati dal ghiaccio. La grande banchisa e gli iceberg, muovendosi lentamente e senza sosta verso sud, si stringevano pericolosamente attorno alle loro navi, provenienti da un punto molto più a nord, sotto Arctos, la stella polare. Esisteva un Oceano Artico ed era possibile attraversarlo per raggiungere le ricchezze della Cina e delle Indie. Percorrendo i mari periferici a est e a ovest della Groenlandia, i primi esploratori olandesi e inglesi riportarono in patria racconti di freddi insopportabili e di indicibili sofferenze. I primi Europei a penetrare l’Oceano Artico fecero rotta verso nord-est costeggiando le coste della Siberia, favoriti dalle correnti temperate provenienti dall’Oceano Atlantico Settentrionale. Non trovarono il «passaggio a nord-est» verso la Cina, ma i commercianti che vennero dopo di loro portarono a casa olio e fanoni di balene, avorio di trichechi, pelli di orsi polari e di renne, oltre a pregiate pellicce siberiane. La prima nave ad attraversare l’oceano fu la Fram, capitanata da Nansen, nel 1893-96. I geografi intuirono la presenza di un oceano che circondava il Polo Nord, cominciò così la ricerca del percorso più breve per raggiungere via mare la Cina e le Indie. Gli esploratori che lasciarono l’Europa diretti verso nord, arrivati al largo delle Svalbard si trovarono davanti una spessa coltre ghiaccio, la rotta in direzione nord-est non li portò oltre la Penisola di Kola, all’estremità settentrionale della Russia. L’esplorazione della regione di nord-ovest sembrava più promettente: i primi viaggi di Davis, Baffin e Hudson alla fine del XVI secolo e agli inizi del XVII condussero fino alla Baia di Baffin, all’ingresso dell’arcipelago di ghiaccio che forma l’angolo nord-orientale dell’America del Nord. La ricerca riprese tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX con viaggi dalla Baia di Baffin in direzione ovest attraverso un dedalo di isole e vie d’acqua. Lo Stretto di Davis divenne territorio di caccia alle balene per Inglesi, Olandesi e Tedeschi, mentre le spedizioni navali esplorarono l’arcipelago fino al Mar di Bering. Tuttavia si dovette aspettare fino all’inizio del

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XX secolo prima che il norvegese Roald Amundsen completasse il passaggio in un solo viaggio. Alcuni geografi poi, considerarono un limite fisico orientale, tra l’Europa e l’Asia, la Bajdarackaja guba, sul mar di Kara, coniando inoltre il termine Eurasia. Aspetto delle coste Attorno al polo, alla banchisa e al Circolo Polare, come in tutti i punti di incontro tra ambienti diversi (chiamati dagli ecologi ecotoni), la vita qui è molto più ricca rispetto alle distese della Tundra e anche alle distese d’acqua del mare aperto. La calotta glaciale scandinava è stata sostituita da un mare a bassa salinità, il Baltico, allo stesso modo in cui l’acqua salata ha colmato quella che oggi è la baia di Hudson nel continente americano. Nonostante le origini comuni e la posizione geografica alla stessa latitudine, queste due zone mostrano profonde differenze, principalmente di carattere climatico. La baia di Hudson e il mare prospiciente la Terra di Baffin sono quasi sempre coperti da una crosta ghiacciata, mentre il Baltico offre condizioni che si potrebbero quasi dire mediterranee; persino il golfo di Botnia, la parte più settentrionale del Baltico, è normalmente privo di ghiaccio per almeno metà dell’anno. Alla base di una differenza climatica tanto importante non può non esistere un motivo preciso: più dì 5.000 km di costa europea sono lambiti, in effetti, da una corrente temperata conosciuta come corrente del golfo, che risale dal Mar dei Caraibi per descrivere una grande curva prima in direzione nord e poi nord-est ed esercita la sua funzione mitigatrice fino al settore europeo del Mar Glaciale Artico, grandi tratti del quale restano sempre liberi dai ghiacci. Lungo la costa occidentale dell’Atlantico scende, invece, una corrente fredda di provenienza polare, che porta dall’Artico una gran quantità di plancton utilizzabile come cibo da molti animali, ma al tempo stesso diminuisce molto la temperatura delle acque e delle terre circostanti. Un altro ramo della gelida corrente artica raffredda le acque sotto lo stretto di Bering, il mare di Bering e il mare di Okhotsk, appena più a nord del Mar del Giappone, sebbene la sua influenza sia parzialmente controbilanciata dalla corrente pacifica calda Kuroshivo. Il gioco delle correnti determina sia la produtti-

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PRIMO PIANO

NORTHWEST PASSAGE le nuove sfide dell’Artico Alessandro Mazzetti (*)

(*) Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali. Collabora con le Cattedre di Storia contemporanea e Sociologia dell’Europa dell’Università di Salerno.

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e rotte di navigazione hanno raggiunto una importanza eccezionale non solo perché l’attuale secolo è stato definito quello della Blue Economy, ma anche perché queste hanno fortemente trasformato il sistema internazionale di navigazione. Questo rapporto si è maggiormente consolidato grazie anche allo sviluppo delle tecnologie che adesso consentono di sfruttare il sottosuolo marino anche a bassissime profondità e temperature. Per cui oggi anche i mari considerati una volta marginali ora sono attenzionati non solo dai colossi finanziari, ma anche e soprattutto dalle potenze industriali dotate delle tecnologie necessarie e d’importanti strutture navali. In più le necessità ambientali e la già citata innovazione tecnologica ha portato

a un ulteriore sviluppo della propulsione a gas liquido che in breve sostituirà i sistemi a propulsione a Heavy Fuel con considerevoli risparmi economici e un bassissimo impatto ambientale. Anche la scienza medica e la ricerca scientifica hanno beneficiato delle nuove tecnologie estrattive, infatti, molti nuovi studi sugli antibiotici vengono sviluppati tramite molecole che vivono nelle profondità marine e inesistenti sulle terre emerse. Quindi data per assodata la dipendenza dall’elemento mare si può notare che dopo i lavori di raddoppio del canale di Suez si sono avute una serie di accelerazioni che hanno modificato sensibilmente il nostro contemporaneo. In realtà il termine raddoppio non reca giustizia a ciò che è realmente accaduto.

Unità rompighiaccio in attività in Artico (Fonte: it.wikipedia.org).

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Verso la meteorologia dello spazio Gian Carlo Ruggeri (*)

«…The clouds methought would open and show riches ready to drop upon me; that, when I wak’d…» «…Allora nel sogno mi pare che le nubi si aprano e mi mostrino dei tesori pronti a rovesciarsi su di me; in modo che quando mi sveglio…». W. Shakespeare, The Tempest, Act III, Scene II

(*) Generale di Brigata (AM) in congedo assoluto, ha assolto numerosi incarichi nel Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, fra i quali Capo della Sezione Meteorologia Marittima nel 3o Reparto Piani e Operazioni dello SMM. È stato Rappresentante nel Meteorology Advisory Group (METAG) dell’European Air Navigation Planning Group dell’ICAO (Parigi) e nella Commissione di Meteorologia Marittima dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Collabora con la Rivista Marittima dal 1968.

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Generalità. Cos’è la meteorologia spaziale La meteorologia spaziale è un locuzione adottata nel corso degli ultimi anni allo scopo di indicare una serie di processi fisici scaturiti da Sole e che possono influenzare le attività umane del nostro pianeta e nello spazio. L’energia emessa dal Sole si manifesta sotto forma di eruzioni di radiazioni elettromagnetiche che consistono in onde radio, radiazioni luminose, ultraviolette e raggi X, nonché di particelle elettrizzate, eiezione di materiale dalla corona (1) solare (CME — Coronal Mass Ejection — Figura 1) e correnti di plasma (2). Mentre si allontanano dal Sole, tali particelle danno luogo al vento solare e trattengono con loro parte del campo magnetico dell’astro. La velocità delle radiazioni elettromagnetiche è pari a quella della luce, pertanto le radiazioni elet-

tromagnetiche che viaggiano alla velocità della luce (velocità nel vuoto), impiegano 8,305 minuti a coprire la distanza Sole-Terra, mentre — per percorrere la stessa distanza — le particelle elettrizzate — più lente — possono impiegare da qualche ora a più giorni. Sia le radiazioni che le particelle citate interagiscono con il campo geomagnetico della Terra e l’esosfera (magnetosfera e ionosfera) in modo complesso, dando luogo all’accumulo di particelle energizzate e alla circolazione di correnti elettriche in diverse regioni della sopracitata porzione di spazio. Tutto questo può causare delle variazioni geomagnetiche, influenzare le aurore e le diverse attrezzature tecnologiche. Nella Figura 2 è illustrata la trasparenza dell’atmosfera alle onde elettromagnetiche, per le varie lunghezze d’onda.

Rappresentazione artistica di un brillamento solare. I pericoli posti dalle condizioni metereologiche spaziali possono influire sulle infrastrutture vitali per la nostra economia, come i satelliti geostazionari o le reti elettriche a terra (Fonte: esa.int).

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

ALLARME MICROPLASTICHE dagli oceani ai nostri piatti

Aurelio Caligiore (*) - Daniela Falcone (**)

(*) Contrammiraglio (CP) in servizio attivo, ricopre l’incarico di Capo Reparto Ambientale Marino presso il Gabinetto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Laureatosi in Scienze Biologiche, presso l’Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, nel 1988, entra in Accademia Navale per frequentare il corso Ruoli Normali del Corpo delle Capitanerie di Porto. Dal 2003 al 2005 ha ricoperto l’incarico di Esperto Nazionale Distaccato presso la Commissione Europea, Direzione Generale Ambiente-Unità Protezione Civile e Antinquinamento Marino. Nel 2009 assume l’incarico di Capo Dipartimento presso il centro studi del Corpo delle Capitanerie di porto nell’Accademia Navale di Livorno. (**) Laureata nel 2006 in Biotecnologie mediche farmaceutiche e veterinarie, presso l’Università «Magna Graecia» di Catanzaro con il massimo dei voti. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in oncologia medica nel 2008 presso la stessa Università, iscritta al IV anno di specializzazione in Biochimica clinica presso l’università «Federico II» di Napoli. Nel 2016 vince il concorso per Allievi Ufficiali in Ferma Prefissata e frequenta il XV corso di formazione presso l’Accademia Navale di Livorno. Da Maggio 2016 in servizio presso il Reparto Ambientale Marino del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, come addetto al I ufficio «Aree Marine Protette».

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ultimi anni è aumentata notevolmente la presenza di microplastiche nelle acque degli oceani; il fenomeno rappresenta sempre più una minaccia, dato che quest’ultime sono più numerose delle macroplastiche e perché la loro capacità di penetrare nell’ambiente sembra non avere limiti. Le microplastiche comprendono una serie molto eterogenea di particelle che variano in dimensioni, forma, colore, composizione chimica e densità. Esse possono essere suddivise in base all’utilizzo e alla sorgente da cui provengono in: Microplastiche «Primarie» e «Secondarie». La natura fa quello che può per adattarsi, ma non può seguire il nostro ritmo di consumo sfrenato e la nostra incapacità di gestire i rifiuti che produciamo. L’inquinamento da microplastiche nell’ambiante marino è un importante problema socio-ambientale che richiede ulteriori indagini scientifiche e sicuramente un grosso intervento politico al fine di riuscire a neutralizzare il problema.

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Alcune plastiche sono più pericolose di altre quando finiscono in acqua e sono una minaccia per la fauna marina (Fonte: nationalgeographic.com).

I detriti marini, in particolare i detriti di plastica, sono stati identificati negli ultimi anni come un problema d’interesse globale per l’ambiente marino, comprese le aree polari e le regioni abissali. La produzione mondiale di plastica negli ultimi anni è di circa 400 milioni di tonnellate ed è stato stimato che circa 8 milioni di queste sono entrate in mare nel 2010. In particolare negli Rivista Marittima Luglio-Agosto 2019

ià nel 1870 Jules Verne nel suo famoso romanzo Ventimila leghe sotto i mari ha descritto nel capitolo sul Mar dei Sargassi, come i detriti galleggianti si accumulino nelle spirali oceaniche. Sono dovuti passare circa cento anni per avere alla luce i primi due documenti scientifici pubblicati sulla rivista Science nel 1972 dagli scienziati Carpenter e Smith, attestanti la presenza di particelle di plastica nell’Oceano Atlantico. Oggi, l’accumulo dei rifiuti in mare e lungo le coste di tutto il mondo e molti interrogativi circa la quantità, la distribuzione e il destino dei rifiuti marini e le potenziali implicazioni per la fauna selvatica marina e gli esseri umani, sono centro d’interesse della comunità scientifica di tutto il mondo. Particolare interesse sta suscitando la quantità di plastiche e microplastiche presenti nell’ambiente marino. Gli scienziati sono a caccia della plastica nascosta, il timore è che stia modificando l’ecosistema in modo irreversibile. Gli studiosi statunitensi di Oceanografia, della Sea Education Association del Massachusetts, battendo i mari dell’Atlantico e del Pacifico sono riusciti a rac-

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STORIA E CULTURA MILITARE

La crisi armistiziale del ’43: dalla tragedia navale al riscatto della Battaglia alla Maddalena

Mario Rino Me (*) (*) Ammiraglio di squadra in riserva, laureato in Scienze Marittime e Navali, Specializzazione Superiore in sistemi di Artiglieria e Missili, laureato con lode in Scienze delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Trieste, ha conseguito un master in strategia delle risorse nazionali presso la National Defense University di Washington DC (1995) e un diploma presso l’Institut des Hautes Etudes de Defense Nationale (IHEDN, dell’École Militaire di Parigi, 2003) e l’Africa Center for Strategic Studies (Washington DC, 2005). Si occupa di affari internazionali dal 1998, come assistente del Capo di SMD, e in seguito, Capo di Gabinetto del Presidente del Comitato Militare della NATO. Fondatore e poi presidente del Comitato Direttivo dell’Iniziativa 5+5 Difesa nel 2007. Opinionista e conferenziere su questioni relative alla sicurezza, ha collaborato per diversi giornali e riviste a livello nazionale e internazionale (in francese, per la prestigiosa Revue de Defense Nationale). È stato docente di Politica Militare presso il Centro Alti Studi Difesa di Roma nonché visiting professor presso il NATO Defense College e varie Università nazionali (La Sapienza) e straniere. È membro dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo e collabora con la RivistaMarittima dal 1999.

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Regime change e trattativa Armistiziale In quella che potremmo definire come «Crisi Armistiziale», la Sardegna, rimasta alla periferia dell’area delle operazioni che si stanno delineando nel mese di Agosto, viene solo sfiorata per la questione del concentramento della Flotta, dato il focus sull’operazione principale dello sbarco Alleato e dell’aviolancio negli aeroporti della capitale. Alla proclamazione dell’Armistizio, si materializza l’esigenza dell’impronta e dei rapporti con le Forze tedesche nel Continente e nell’arco insulare sardocorso. Qui vengono al pettine i

nodi irrisolti della goffa trattativa e della successiva gestione con il riverbero sul corso degli eventi in quelle acque, dall’occupazione tedesca, di parti dell’isola di La Maddalena e successiva reazione armata di volenterosi all’affondamento in successione della Nave da Battaglia Roma e dei CCTT Da Noli e Vivaldi, assurti a simbolo della tragedia dell’8 settembre. A meno dell’evento della Piazzaforte, che tratterò tra poco, la questione è stata trattata ad abundiantiam da un’ampia pubblicistica, per cui mi soffermo su alcuni aspetti meritevoli di attenzione per i loro risvolti operativi.

La Nave da battaglia ROMA, affondata il 9 settembre 1943 a opera dei bombardieri tedeschi (Fonte: USMM). In alto: Cassibile, 1943. Firma dell’Armistizio. Nell’immagine il Generale Castellano (a sinistra) e il Generale statunitense Dwight D. Eisenhower (Fonte: wikipedia.it).

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STORIA E CULTURA MILITARE

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Lo sbarco Alleato in Sicilia Il Museo Storico dello sbarco in Sicilia, allestito a Catania, rievoca e ricostruisce l’Operazione Husky Ezio Costanzo (*)

(*) Giornalista professionista, storico, documentarista, autore di diversi libri sull’occupazione anglo-americana della Sicilia del 1943 e ideatore e curatore di mostre fotografiche internazionali sui temi della Seconda guerra mondiale e della storia della fotografia. Tra queste «Phil Stern. Sicily 1943» dedicata al grande fotografo americano, e « bambini e la guerra», che affronta i drammi dell’infanzia sui vari fronti del Secondo conflitto mondiale. Già membro del comitato scientifico per la creazione del Museo Storico dello sbarco in Sicilia 1943 di Catania attualmente ricopre l’incarico di coordinatore scientifico della stessa struttura museale. Ha pubblicato diversi saggi di storia, tra cui: La guerra in Sicilia. 1943, storia fotografica (con saggio introduttivo di Lucio Villari); Sicilia 1943 – Breve storia dello sbarco alleato (con introduzione di Carlo D’Este); Mafia & Alleati – Servizi segreti americani e sbarco in Sicilia, vincitore del premio Rocco Chinnici nel 2007, tradotto e pubblicato anche negli Stati Uniti; L’istante e la storia. Reportage e documentazione fotografica. Dalle origini alla Magnum. Ha scritto e diretto i film-documentari Phil Stern, la guerra e l’anima, Sicilia 1943. Lo sbarco alleato, Moral bombing, l’arma del dolore. Collabora con Rai Storia e ha partecipato alla realizzazione di Storia proibita delle guerre italiane (History Channel), Correva l’anno (Rai Tre), L’inizio della fine. La battaglia di Sicilia (Rai Storia Dixit), Sicilia ’43 di Folco Quilici (Istituto Luce). Insegna «Storia del reportage e della documentazione fotografica» e di «Fotoreportage» all’Accademia di Belle Arti di Catania. Scrive per la pagina culturale de La Repubblica (edizione di Palermo).

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I

l Mar Mediterraneo era molto agitato quella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943. Il forte vento di maestrale stava mettendo a dura prova gli ufficiali e i marinai dell’imponente flotta anglo-americana che la sera prima aveva preso il largo dalle coste del NordAfrica per raggiungere la Sicilia, estremo lembo meridionale dell’Italia fascista, e dare corso all’Operazione Husky, la conquista dell’isola e la successiva liberazione dell’Europa dal nazi-fascismo. Le onde altissime stavano mettendo in discussione la riuscita di una delle più imponenti operazioni anfibie della Seconda guerra mondiale, ed era come se quel mare stesse osteggiando la traversata delle oltre duemila e cinquecento imbarcazioni che, stracolme di soldati e di mezzi militari, avevano preso il largo dalle coste tunisine e algerine. L’acqua allagava le stive e molti soldati, in preda alla nausea, vomitarono per ore sui ponti e negli angusti spazi ristretti delle imbarcazioni prima di mettere piede a terra. Lo stesso Eisen-

hower, comandante in capo delle forze alleate del Mediterraneo, pose in serio dubbio la prosecuzione dell’operazione e solo dopo avere letto i tranquillizzanti rapporti degli esperti meteorologi della Marina inglese, ordinò di andare avanti e portare a compimento l’impresa. E in effetti, alle prime luci dell’alba il mare divenne improvvisamente calmo, consentendo ai primi contingenti armati di sbarcare in quella terra dove fino a quel momento il sole aveva brillato senza oscurarsi. Settantasei anni fa, nell’estate del 1943, la Sicilia è al centro dell’attenzione del mondo intero. La guerra, quella combattuta sul campo, era arrivata in quest’isola del Mediterraneo con tutta la sua devastante violenza segnando la vita di soldati e civili. Per 38 giorni, dal 10 luglio al 17 agosto, gli Alleati lottarono contro le forze dell’Asse (Italiani e Tedeschi) per la conquista dell’isola che soltanto dopo aspre e drammatiche battaglie verrà occupata. Sulle prime pagine dei giornali inglesi e americani il titolo a nove colonne era uno solo:

Operazione Husky - Sbarco delle truppe americane a Gela (Fonte autore).

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RUBRICHE

F ocus diplomatico Gli assetti del commercio globale e della mondializzazione nella prospettiva dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

successivo dibattito si è riflessa tutta la complessità del quadro all’interno del quale si situano queste problematiche e le incertezze sui possibili sviluppi futuri. La globalizzazione e le dinamiche del commercio Diffondiamo la Sintesi del Dialogo Diplomatico su mondiale che la caratterizzano sono state un potente «Gli assetti del commercio globale e della mondializfattore di sviluppo economico, nel quale la mancanza zazione nella prospettiva dell’Agenda 2030 per lo svidi adeguate regole e le diverse condizioni dei paesi luppo sostenibile», che si è si è svolto il 17 dicembre coinvolti hanno tuttavia consentito fenomeni distorsivi 2018 sulla base delle relazioni introduttive del Profescon effetti destabilizzanti sui piani sociale e politico. sor Enrico Giovannini, docente presso il Dipartimento La tutela della libertà degli scambi convive, infatti, di Economia e Finanza dell’Università di Tor Vergata con la necessità di assicurare, a livello globale, una e Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sosufficiente parità di condizioni facendo fronte a prastenibile, e del Direttore Centrale per le questioni glotiche di dumping sociale, ambientale e fiscale, di non bali della DG Mondializzazione e Questioni globali e rispetto della prosous-sherpa Esteri, prietà intellettuale e Ministro Plenipotendi aiuti di Stato o ziario Alessandro comunque di distorModiano. La prima sione della concorha innanzi tutto renza che ne aperto una finestra alterano gli equilisulla complessità e bri. Da questo punto sulle incognite di un di vista, il messagfuturo nel quale il gio politico venuto prevedibile rallentadal G20 di Buenos mento dei tassi di Aires, circa la vocrescita a livello globale rispetto a I 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile illuminano il Palazzo di Vetro dell’ONU (Fonte: un.org). lontà dei responsabili delle principali quelli che abbiamo economie mondiali di riformare l’Organizzazione sperimentato nei precedenti decenni contribuirà a rafMondiale del Commercio per eliminare le zone grigie forzare la percezione degli aspetti negativi del prodell’attuale regolamentazione, va visto come un pascesso di globalizzazione dal quale molti settori delle saggio necessario di un percorso il cui fine deve essocietà nelle economie mature si sentono esclusi o dansere quello di rendere sempre meno giustificabile il neggiati, dando così ulteriore alimento alla tendenza ricorso a pratiche protezionistiche di qualsiasi tipo. che va prendendo piede nelle nostre società a «tornare La globalizzazione, che ha fatto uscire dalla povertà indietro» ad un passato che si avverte inconsciamente molte centinaia di milioni di abitanti del pianeta e conpreferibile e più rassicurante delle difficoltà del presentito a intere regioni di avviare consistenti processi di sente e delle incognite del futuro. La seconda ha offerto crescita economica, richiede di essere governata perché una testimonianza di prima mano dei negoziati che si i suoi effetti si possano esplicare in maniera equilibrata sono svolti sui principali punti all’ordine del giorno e potenzialmente positiva per tutti gli attori che vi condella recente riunione del G.20 a Buenos Aires. Nel

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RUBRICHE

Osservatorio internazionale

Africa: una nuova Guerra Fredda?

e la pace del continente. L’approccio della Cina verso l’Africa è sempre stato predominato dalle politiche Le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti rischiano commerciali. Il continente è diventato una delle prindi essere negative anche in Africa e per l’Africa. Alla cipali destinazioni degli investimenti cinesi dopo che fine di giugno scorso si è tenuto a Maputo, in Mozamo Pechino ha introdotto la cosiddetta politica «Go Out» bico, il 12 vertice commerciale Stati Uniti-Africa, un nel 1999 che ha incoraggiato le imprese private e statali evento di alto livello a cui hanno partecipato 11 Capi di a cercare opportunità economiche all’estero. Stato e di governo africani e circa 1.000 leader aziendali. Di conseguenza, il commercio cinese con l’Africa è Durante l’evento di tre giorni, i funzionari statunitensi aumentato di 40 volte negli ultimi due decenni; nel hanno svelato un piano di investimenti da 60 miliardi di 2017, si è attestato a 140 miliardi di dollari. Tra il 2003 dollari da adibire a Paesi a basso e medio reddito, con e il 2017, anche i flussi di investimenti diretti esteri ciparticolare attenzione al continente africano. L’annuncio nesi (IDE) sono cresciuti più di 60 volte, con un ritmo è arrivato sei mesi dopo che il Consigliere per la Sicudi 4 miliardi di dollari all’anno. Gli stock cinesi di IDE rezza Nazionale, John Bolton, ha presentato la «New ammontano a 43 miliardi di dollari, una parte signifiAfrica Strategy» dell’amministrazione Trump. Il docucativa dei quali è stata demento recita: «concorrenti stinata a progetti per di grande capacità, in partiinfrastrutture ed energia. colare Cina e Russia, stanno La Cina ha notevolmente rapidamente espandendo la ampliato le ferrovie afriloro influenza finanziaria e cane, investendo in vari politica in tutta l’Africa. progetti in Kenya, Etiopia, Stanno deliberatamente e Gibuti, Angola e Nigeria; aggressivamente utilizzando sta attualmente costruendo i loro investimenti nella regione per ottenere un van- Foto di gruppo dei partecipanti al 12o vertice commerciale tenutosi a una grande centrale idroeMaputo, in Mozambico, alla fine del giugno scorso (Fonte: portaldogo- lettrica in Angola e ha cotaggio competitivo sugli verno.gov.mz). struito la ferrovia più lunga Stati Uniti». Sebbene sia la dell’Africa che collega l’Etiopia a Gibuti; ha costruito Cina che la Russia siano menzionate, negli ultimi mesi, il quartier generale dell’Unione Africana in Etiopia (e gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere principalmente fonti di stampa riferiscono che il complesso di uffici e preoccupati per Pechino. In effetti, sembra già che sale di riunione di Addis Abeba sia pieno di microfoni l’Africa sia destinata a diventare un altro campo di bate telecamere miniaturizzate nascoste) e quello deltaglia per l’escalation della guerra commerciale tra Pel’ECOWAS ad Abuja (Nigeria). chino e Washington. Al contrario, per molto tempo gli Stati Uniti hanno Con la crescente presenza militare straniera e le crevisto l’Africa come un campo di battaglia in cui poter scenti tensioni diplomatiche, il continente sta già assiaffrontare i suoi nemici, sia sovietici durante la Guerra stendo ai primi segni di una nuova, emergente guerra Fredda, sia terroristi dopo l’11 settembre e ora i cinesi. fredda. E, proprio come la precedente ha devastato Washington non ha mai fatto uno sforzo concertato e l’Africa per una ventina di anni a partire dal 1960 alicostante per sviluppare le sue relazioni economiche con mentando le guerre e costringendo i governi africani a il continente, riflettendo una mancanza di strategia fare scelte politico-economiche non nel loro interesse, complessiva. Di conseguenza, gli scambi tra Stati Uniti anche questa rischia di essere dannosa per lo sviluppo

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RUBRICHE

Marine militari AUSTRALIA Varo della nave da supporto logistico Stalwart (A 304) Con una cerimonia tenutasi alla presenza del Comandante in Capo della Royal Australian Navy, Vice Admiral Michael Noonan, presso i cantieri di Ferrol del gruppo cantieristico spagnolo Navantia, lo scorso 30 agosto è stata varata la seconda unità da supporto logistico della classe «Supply». Si tratta dell’unità Stalwart (A 304) che segue la capoclasse Supply (A 195) varata nel novembre 2018 e destinata a entrare in servizio il prossimo anno.

… e della rifornitrice Success (OR 304) Entra in servizio nel 1986, la rifornitrice di squadra Supply (OR 304) è stata radiata il 29 giugno scorso con una cerimonia tenutasi sempre presso la base navale di Garden Island, dopo aver percorso oltre un milione di miglia nautiche e aver partecipato a ben 11 edizioni dell’esercitazione multinazionale «Pacific Rim» e aver preso parte alle operazioni navali della Prima guerra del Golfo nel 1991, East Timor nel 1999 e più recentemente di ricerca del velivolo civile scomparso della Malaysian Airlines Flight 370.

FILIPPINE Ammodernamento per gli OPV classe «Del Pilar»

Presso i cantieri di Ferrol del gruppo cantieristico spagnolo Navantia, lo scorso 30 agosto è stata varata la STALWART (A 304), seconda unità da supporto logistico della classe «Supply» per la RAN (Fonte: Navantia).

Il Ministero della Difesa delle Filippine ha annunciato di aver assegnato la fase due del programma di ammodernamento «Horizon» degli OPV classe «Del Pilar» al gruppo sudcoreano Hanwha. Quest’ultimo fornirà e integrerà il sistema di comando e controllo integrato «Naval Shield baseline 2» (lo stesso installato sulle fregate classe «Jose-Rizal» in fase di costruzione e allestimento presso i cantieri sudcoreani Hyundai Heavy Industries) unitamente a un sonar a scafo e un sistema di sorveglianza elettronica (RESM, Radar Electronic Support Measures), sistema di navigazione e armamento esistenti.

Ritiro dal servizio della fregata Newcastle (FFG 06) Con l’entrata in servizio dei caccia della classe «Hobart», la fregata Newcastle (FFG 06) della classe «Adelaide» è stata ritirata dal servizio con una cerimonia di festeggiamento dei 25 anni di servizio attivo, tenutasi presso la base navale di Garden Island (Sidney). A seguito dell’entrata in servizio nel 1993, la fregata Newcastle ha effettuato sei dispiegamenti operativi in Medioriente in aggiunta a operazioni nelle acque di East Timor, Golfo Persico e in generale di supporto alle operazioni civili di soccorso e umanitarie nell’Oceano Indiano e Pacifico.

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Varo dell’OPV Gabriela Silang (8301) Il cantiere francese OCEA ha immesso in acqua l’unità da pattugliamento d’altura da 84 metri Gabriela Silang (8301) destinata alla Guardia Costiera filippina. Con uno scafo in alluminio, il più grande per un OPV secondo quanto affermato dallo stesso cantiere costruttore, e un sistema propulsivo diesel-elettrico incentrato su due diesel MTU «16V400M73» in grado di assicurare una velocità massima di 22 nodi e un’autonomia di 8.000 mn a 12 nodi, nonché economicità d’impiego a basse velocità grazie alla propulsione elettrica. Il nuovo OPV dispone

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RUBRICHE

C he cosa scrivono gli altri «Noi e il Mare» FOCUS EXTRA, PRIMAVERA-ESTATE 2019

Nella serie «Le monografie e gli approfondimenti su temi di grande attualità» la rivista in discorso ci presenta, con ben venticinque contributi corredati da un apparato iconografico originale e suggestivo, una ricchissima e variegata panoplia di spunti e problemi incentrati sul Mare! Quel Mare — come ha scritto con afflato poetico Ugo Grozio nel suo celeberrimo pamphlet Mare Liberum del 1609 (e che magari sarebbe stato opportuno anche citare!) — «immenso, infinito, padre di tutte le cose, che non ha altro limite che il cielo, che non può essere occupato né posseduto, poiché esso possiede anziché lasciarsi possedere, il cui uso, per il diritto naturale, è comune a tutti gli uomini». In un ritmo serrato ci scorrono così sotto gli occhi, con rapide ma incisive pennellate impressionistiche, diverse e variegate angolature del fenomeno mare. Per dirla in estrema sintesi, dagli aspetti scientifici (tipo «La fisiologia degli oceani», «Quanta vita in una goccia» e «Profondo Blu» che, in particolare, ci illustra, dalla «tuta» di Leonardo ai «robot autonomi», le tecnologie che hanno condotto a farci conoscere la profondità degli oceani), ai pericoli che incombono sulla salute dei mari e delle coste. «Acqua alta in vista», con i rischi dell’innalzamento del livello dei mari come conseguenza del riscaldamento globale, ovvero «Dov’è finita la spiaggia», con l’erosione costiera che minaccia i nostri litorali e le nostre città di mare, o ancora, «Più plastica che pesci?», con la previsione catastrofica che, già nel 2050, la massa di plastica negli oceani potrebbe superare addirittura quella dei pesci! E, infine, Nemico Nero, con riferimento agli immani disastri che hanno provocato gli incidenti a petroliere e a piattaforme petrolifere sino agli interessi

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geopolitici ed economici che ruotano sul mare, su cui ci soffermiamo in maniera più dettagliata. Il punto di domanda che dà il titolo al primo articolo in esame («Di chi è il Mare?»), trattato con taglio giornalistico, sottende il tema pregnante della contesa sulla «sovranità delle acque», un tempo determinante (anche se non mancano casi anche ai nostri giorni, basti pensare alla «linea dei 9/10 trattini» con cui Pechino rivendica il Mar cinese meridionale) e che ora, alla luce della Convenzione del diritto del mare, si è spostata, in linea generale, sulla «sovranità delle risorse del mare» attraverso le zone economiche esclusive e le piattaforme continentali, la cui delimitazione non è esente da problematiche tra gli Stati costieri nei vari quadranti del mondo. E se il Polo Sud appare «congelato» de facto e de jure dal Trattato antartico e dal Protocollo di Madrid, è al Polo Nord che si riaccende la disputa tra gli attori litoranei, la cosiddetta Polar Race che, con le proprie rivendicazioni, cercano di spingere sempre più avanti il limite esterno della propria piattaforma continentale. Sul mare viaggiano ogni anno circa 237 milioni di container che, messi tutti in fila, farebbero 36 volte il giro del mondo, leggiamo nell’articolo «Le autostrade del mare» che, in maniera più circostanziata del precedente, ci ricorda come «l’80% del commercio mondiale in termini di volumi e il 70% come valore avviene attraverso il trasporto marittimo». Stando infatti, ai dati del 2017, le cifre parlano di 10 miliardi e 700 milioni di tonnellate di merci, per un valore di $ 17.700 miliardi, cioè una volta e mezzo il PIL della Cina! Da decenni il prodotto che più si sposta sulle rotte marittime è il petrolio (oggi al 30% del totale), seguito da carbone, minerali, granaglie e prodotti industriali finiti, il tutto su 93.000 navi che, negli ultimi anni, hanno visto aumentare vertiginosamente la propria stazza. E i choke-points della navigazione marittima cercano di adeguarsi a tali dinamiche, come i recenti «restyling» dei canali di Panama e Suez o i progetti di nuovi corridoi di transito per velocizzare i traffici (dal taglio dell’istmo di Kra nel punto più stretto della penisola malese, al Gran Canale del Nicaragua a quello di Sethumadrusan, tra il subcon-

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RUBRICHE

Recensioni e segnalazioni Fabio Bruno

Carità e Patria LÊOrdine di Malta nella Grande Guerra Antiga edizioni Treviso 2018 Pagg. 100 Euro s.i.p.

Il 2018 ha visto un fiorire di studi sul centenario della fine della Prima guerra mondiale. Tuttavia una nicchia non troppo frequentata è stata quella della partecipazione dell’Ordine di Malta al conflitto mondiale. Il libro, in capitoli indipendenti, traccia un affresco di quello che fu il ruolo della Associazione dei Cavalieri italiani dell’Ordine di Malta durante la guerra e fornisce anche interessanti informazioni sulle attività dei Cavalieri di altri paesi, in particolare quelli dell’Impero austro-ungarico che ugualmente si mobilitarono a fianco delle truppe offrendo un rilevante supporto in ambito sanitario. Una prima convenzione tra l’Ordine di Malta e il Regno di Italia è del 1876 e l’evento assume particolare rilevanza in un periodo in cui non vi erano rapporti tra il nuovo Stato unitario e il Vaticano. La convenzione prevedeva l’assistenza sanitaria e religiosa dei malati e dei feriti in guerra. Tuttavia, i volontari dell’Ordine si utilizzarono, per la prima volta, per l’assistenza alle popolazioni a seguito del terremoto siculo-calabrese del 1908. Per l’ottimo servizio svolto venne riconosciuto al Corpo melitense uno statuto speciale con l’adozione della divisa grigio-verde e delle stellette; stellette che riportavano sovrapposta una piccola croce ottagona. Il Corpo italiano ebbe poi l’occasione di tornare alle sue gloriose tradizioni marinare nel 1911 e 1912 armando la Regia nave ospedale Regina Margherita, un mercantile requisito, capace di duecentocinquanta posti letto. Ma fu con l’entrata in guerra dell’Italia nella Grande guerra che la mobilitazione dell’Ordine di Malta assunse delle proporzioni rilevanti. Quattro treni-ospe-

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dale furono attrezzati ed effettuarono 641 viaggi, trasportando quasi 150 feriti e/o malati; e ancora, funzionarono otto posti di soccorso, l’ospedale di guerra di Togliano e quello territoriale di Santa Marta in Vaticano (quest’ultimo edificio, trasformato poi in residenza per religiosi, è ormai celeberrimo, a seguito della decisione di papa Francesco di risiedere lì). Il libro è di piacevole lettura (l’autore è un giornalista) e l’unico appunto riguarda l’assenza di un apparato di note e una bibliografia per il lettore che volesse approfondire. Per rimediare parzialmente a questa mancanza, come studio introduttivo alla materia, mi permetto di segnalare L. de Palma, Un ordine militare torna al fronte. L’Ordine di Malta nella Grande Guerra in «Studi Melitensi» XXII-XXIII, 2014-15, pp. 157-198. Alessandra Mita Ferraro

Giuseppe Gagliano

Sfide geoeconomiche La conquista dello spazio economico nel mondo contemporaneo Fuoco edizioni Rende (CS) 2018 Pagg. 314 Euro 15,00

Un libro giusto per un pubblico sbagliato. Questa è l’impressione immediata che chi scrive ha provato al momento di chiudere quest’impegnativo, ma tutto sommato scorrevole, volume, opera di un professore già noto, per i propri articoli, ai lettori della Rivista Marittima. Poi, naturalmente, il buon senso prevale e, alla fine dell’analisi, resta soltanto un buon libro, ma la sensazione di «qualcosa» fuori posto (non per colpa dell’Autore, beninteso) rimane. Il fatto è che siamo davanti a un brillante saggio basato sulla migliore e più attuale letteratura geopolitica francese di questi ultimi anni. Questi argomenti sono a loro volta ripresi, con mano felice, dall’Autore. Il libro

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MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

NEL PROSSIMO NUMERO FOCUS SU GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA

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