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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente

L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente

Emanuele Guarna Assanti

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Docente di Diritto dell’ambiente e di Diritto delle società pubbliche, presso l’Università degli Studi di Roma Guglielmo Marconi. Dottore di ricerca in Diritto Pubblico, presso l’Università degli Studi di Firenze. Master di secondo livello in Diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi Roma Tre. Laurea in giurisprudenza, con lode, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Ha ricevuto il premio scientifico dipartimentale «Prof. Dante Cosi» (2021) per i suoi scritti in tema di diritto amministrativo e ambientale. Avvocato nel foro di Roma e consulente di amministrazioni pubbliche.

«(…) negli ultimi decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, a causa del dilagante inquinamento ambientale e del depauperamento delle risorse naturali, si è iniziata a sviluppare una coscienza collettiva, che ha promosso, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la creazione di associazioni aventi come tema centrale la cura dell’ambiente» (Fonteimmagine: fao.org).

Premessa

Il tema della tutela dell’ambiente, ovvero della nostra «casa comune» (1), si presenta di estrema attualità, come il principale problema sociale e, conseguentemente, scientifico degli ultimi tempi. Anche da un punto di vista giuridico (2), la tutela dell’ambiente costituisce interesse relativamente recente. Infatti, negli ultimi decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, a causa del dilagante inquinamento ambientale e del depauperamento delle risorse naturali, si è iniziata a sviluppare una coscienza collettiva, che ha promosso, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la creazione di associazioni aventi come tema centrale la cura dell’ambiente. Quindi anche la scienza giuridica ha principiato a occuparsi di tale tema ormai ritenuto tanto fondamentale. Da più parti viene sottolineato come il diritto dell’ambiente costituisca una sfida per il giurista (3) poiché la (recente) storia del diritto dell’ambiente dimostra la difficoltà di applicare le tradizionali categorie giuridiche a questo «nuovo» interesse. In prima battuta, possiamo affermare che la vicenda dell’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente e della sua acquisizione nella sfera giuridica abbia seguito il medesimo percorso di tutti gli altri interessi che hanno fatto ingresso nel mondo del diritto. Accade, infatti, che l’evoluzione della società determini il sorgere di nuove esigenze e il legislatore, gradualmente, le prenda in considerazione in varia misura: come situazioni giuridiche protette (variamente tutelate: conosciamo l’interesse legittimo o il diritto soggettivo), con soluzioni organizzative (per esempio, l’istituzione di un ente pubblico come centro di interessi riferibile a quei bisogni) o con altri strumenti giuridici (procedimenti, intese, raccordi). Questo ci consente di comprendere che una cosa è il bisogno, che può essere di vario tipo, altra cosa è un bisogno giuridicamente tutelato, che si ha solo quando una norma prende in considerazione un interesse e lo rende giuridicamente rilevante: dunque, suscettibile di tutela giuridica. In quest’ultimo caso il bisogno diventa interesse a protezione necessaria (4). E così è avvenuto anche per il diritto dell’ambiente.

L’ambiente come sintesi verbale di una pluralità di interessi

Il pensiero dominante ha, per lungo tempo, ritenuto l’ambiente un bene in sé e per sé non tutelabile: in pratica, una mera «sintesi verbale» di plurimi interessi e un mero termine descrittivo.

«Ambiente» costituiva un termine generico, non unitario ma scomponibile nelle singole matrici ambientali, e che veniva in considerazione, nelle numerose leggi di settore emanate a partire dagli anni Venti, in relazione ad altri aspetti ritenuti (quelli sì) giuridicamente rilevanti.

Si aveva così l’ambiente come «territorio» da regolare in senso urbanistico e paesaggistico, nonché la tutela (soprattutto dall’inquinamento) delle singole risorse naturali (acqua, territorio, aria, ecc.).

Ciò emerge chiaramente dalla legislazione di settore. Per fare alcuni esempi: l’istituzione dei parchi naturali a partire dal 1922 (il Gran Paradiso o il Parco nazionale d’Abruzzo), il Testo unico delle leggi sanitarie del 1934, la legge sulla protezione delle bellezze naturali del 1939, la legge sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico del 1939, la legge urbanistica del 1942.

L’insigne giurista Massimo Severo Giannini (1915-2000) (5) — nel suo noto scritto Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici (6) — afferma che l’ambiente non è individuabile come bene giuridico unitario e a sé stante ma, piuttosto, che esso è scomponibile in diversi interessi: — l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi al paesaggio; — l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi alla difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua; — infine, l’ambiente cui si fa riferimento nella normativa e negli studi dell’urbanistica.

Per Giannini, «se si sta al dato normativo, l’analisi

mostra che non v’è corrispondenza tra i significati che “ambiente” riceve in ciascuna delle tre fattispecie». Mancava, insomma, una materia «ambiente» dotata di carattere autonomo e sistematico, così come testimoniato anche dalle prime convenzioni internazionali in materia, aventi tutte carattere settoriale e specifico.

L’ambiente come nozione unitaria

Il ruolo del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea Il diritto dell’ambiente nasce in ambito internazionale. Si è, infatti, compreso, da qualche tempo (7), che a problemi globali, le soluzioni devono necessariamente rivestire la medesima estensione (8). La dottrina è solita distinguere due fasi di evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente (9). La prima è quella del «funzionalismo ambientale», iniziata con la Conferenza delle Nazioni unite di Stoccolma del 1972 e caratterizzata da un approccio settoriale ai problemi ambientali. La seconda è definita, invece, fase del «globalismo ambientale», iniziata con la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e caratterizzata da un (tentativo di) approccio universale alle problematiche ambientali. Massimo Severo Giannini (1915-2000) è stato un Con la prima Conferenza, congiurista e politico italiano, ministro per l’Organizzazione della pubblica amministrazione e per le vocata dall’Assemblea generale regioni nel Governo Cossiga I e II dal 4 agosto 1979 al 28 settembre 1980 (dati.camera.it). delle Nazioni unite a Stoccolma e dedicata all’«Ambiente umano», la comunità internazionale cominciò a porre l’attenzione sulle problematiche ambientali dal punto di vista del principio di prevenzione. Infatti, l’approccio adottato è di tipo settoriale, e cioè volto a prevenire i maggiori rischi per la tutela dell’ambiente mediante l’adozione di convenzioni internazionali volte a regolare specifici settori (per esempio, la Convenzione di Barcellona sulla tutela del mar Mediterraneo, 1976; la Convenzione di Ginevra sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero, 1979). Con la seconda Conferenza, svoltasi a Rio de Janeiro e dedicata al tema «Ambiente e sviluppo», si tentò di

dare attuazione a quanto emerso dal lavoro prodotto dalla Commissione Brundtland (chiamata così dal nome del primo ministro svedese che la presiedette), il rapporto Our common future. Ed è qui, infatti, che vengono precisati l’obiettivo dello sviluppo sostenibile (10) e il principio di precauzione (11).

Un risultato molto importante della Conferenza di Rio è quello di aver dato il via alle convenzioni ambientali globali, volte a coinvolgere la comunità internazionale per la soluzione di problematiche che non conoscono confini (per esempio, la Convenzione sui cambiamenti climatici del 1992, che porterà poi al Protocollo di Kyoto del 1997; e la Convenzione sulla diversità biologica, 1993) (12).

Nella prospettiva della tutela multilivello dell’ambiente immediatamente dopo la normazione internazionale sopravviene quella, fondamentale per gli Stati che ne fanno parte, dell’Unione europea.

Per gli Stati membri può ben affermarsi che il diritto dell’ambiente sia una creazione dell’ordinamento europeo, le cui origini possono collocarsi negli anni Settanta del Novecento, sebbene all’interno dei trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) non vi fosse traccia della tutela dell’ambiente (13) (peraltro, proprio come avviene tutt’ora per la Costituzione italiana) (14).

Sulla base delle iniziative assunte, a partire dagli anni Settanta in ambito internazionale, le istituzioni comunitarie, supportate dalla Corte di Giustizia (ora) dell’Unione europea, hanno iniziato a creare le basi normative necessarie per emanare provvedimenti normativi in materia di tutela dell’ambiente.

Posto che il Trattato di Roma non contemplava la materia «ambiente» (né come materia esclusiva dell’Unione, né come materia concorrente tra Unione e Stati) e vista la necessità di rispettare il principio di attribuzione (oggi consacrato all’art. 5 TUE), occorreva individuare la base giuridica necessaria su cui fondare le prime iniziative normative.

Si utilizzarono in particolare due strumenti: i poteri impliciti e il principio di sussidiarietà.

I primi consistono in una vera e propria invenzione di carattere giuridico, alla stregua della quale si afferma che nonostante il trattato non menzioni la materia «ambiente», qualora tuttavia si ponesse come necessario agire al fine di perseguire gli obiettivi stabiliti dal trattato (chiaramente diversi dalla tutela ambientale e, concretamente, riguardanti il mercato comune), l’Unione può ugualmente adottare misure in materia di tutela dell’ambiente se tali misure si pongono come funzionali per il raggiungimento degli obiettivi suddetti. Si tratta, in pratica, di una mitigazione del principio di attribuzione, alla stregua del quale, invece, l’UE può agire normalmente solo nelle materie di esclusiva competenza.

Il principio di sussidiarietà, che abbiamo poi recepito anche nell’ordinamento costituzionale interno come principio generale e non strettamente legato alla materia ambientale (15), costituisce un criterio di distribuzione delle competenze tra enti territoriali, secondo il quale la funzione deve essere attribuita all’ente territoriale che presenta le caratteristiche maggiormente idonee al fine di gestire quella determinata problematica. In pratica, nell’adozione di un atto comunitario, occorre dimostrare che l’obiettivo di protezione dell’ambiente non possa essere sufficientemente perseguito a livello dei singoli Stati membri ma, al contrario, esso possa essere meglio perseguito a livello europeo (così l’art. 5 TUE) (16).

Successivamente, l’interesse alla tutela dell’ambiente viene recepito dal diritto primario europeo come interesse autonomo rispetto a quello della promozione di un mercato unico. Ciò avviene per la prima volta, a livello dei trattati istitutivi, con l’Atto unico europeo del 1986, che recepisce gli obiettivi e i principi che si ricavavano già dai precedenti programmi di azione per l’ambiente promossi dalla comunità (17).

Oggi, il Trattato di Lisbona (del 2007 ed entrato in vigore nel 2009) prevede, all’art. 3, par. 3 che «l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».

Il ruolo della giurisprudenza europea e nazionale

Una ulteriore fonte di consolidamento della nuova visione dell’ambiente, forse quella più importante, è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e, sulla scia di questa, quella nazionale (18).

Accanto alle norme formali emanate dal legislatore, che è il solo organo abilitato a produrre norme generali e astratte aventi carattere vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento, esistono norme (rectius: principi) di produzione pretoria, che aiutano a risolvere fattispecie non previste espressamente dalle norme formali. Si può ben sottolineare, dunque, per il diritto dell’ambiente, il ruolo propulsivo svolto dalla giurisprudenza, svolto grazie alla interpretazione evolutiva delle norme, molto spesso a carattere indeterminato, contenute in trattati internazionali o nelle costituzioni degli Stati membri, e dei principi già esistenti (noto è il caso del principio di proporzionalità elaborato dalla Corte di Giustizia sulla base dell’esperienza giurisdizionale tedesca).

Più in particolare, in questa opera giurisprudenziale, i principi generali hanno giocato (e giocano) un ruolo fondamentale. Si tratta tanto dei tradizionali principi dell’ordinamento giuridico (come per esempio la buona fede), quanto di principi estrapolati dalle norme e dalle loro relazioni (per esempio, la sussidiarietà che, come abbiamo visto, nasce proprio in materia ambientale) oppure principi di nuovo conio desunti dalla fattispecie concreta (per esempio il principio, di derivazione prettamente europea, «chi inquina paga») (19).

Per pura completezza, i principi vigenti in materia ambientale, alcuni dei quali poi finiti a plasmare l’intero settore del diritto amministrativo nazionale, da non considerarsi un elenco tassativo, sono: il principio di sussidiarietà, il principio di integrazione, il principio di precauzione, il principio di prevenzione, il principio di correzione in via prioritaria dei danni alla fonte, il principio chi inquina paga (20).

Di alcune pronunce giurisprudenziali

È importante notare come, di fronte all’emergere della consapevolezza ambientale, la Corte di Giustizia europea e le corti nazionali e la Corte di giustizia abbiano iniziato a dedurre la tutela dell’ambiente da posizioni giuridiche soggettive già tutelate, riguardanti però interessi diversi, anche se contigui a quello ambientale: si pensi al diritto di proprietà o al diritto alla salute.

Prima di passare ad alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza europea e nazionale, è interessante notare come tutte le trattazioni riguardanti il diritto dell’ambiente richiamino, in principio, un famoso caso risolto da una commissione arbitrale mista Stati Uniti-Canada: Trail Smelter Arbitration (Stati Uniti vs. Canada), Award of 11 March 1941, in cui veniva, in pratica, riconosciuta la responsabilità del Canada per i danni cagionati dalle immissioni inquinanti prodotte da una fonderia canadese ad agricoltori americani confinanti (21).

Da tale caso giurisprudenziale, emergono due punti fondamentali ai fini della comprensione del diritto dell’ambiente: in primo luogo, che da un fatto inquinante possono scaturire limitazioni all’attività di uno Stato, che non può più utilizzare il proprio territorio in modo pieno ed esclusivo senza comprenderne le conseguenze; in secondo luogo, che i fenomeni ambientali sono necessariamente transnazionali e tendono a uscire dai confini dei singoli Stati (ed è per questo che le prime mosse politiche sono avvenute, come visto, a livello internazionale).

In ambito europeo, la prima pronuncia riguardante il diritto dell’ambiente viene considerata la sentenza della Corte di Giustizia, 20 febbraio 1979, C-120/78, Cassis De Dijon.

In tale sede, il giudice europeo ha individuato una serie di esigenze imperative idonee a giustificare le restrizioni

La disputa Trail Smelter è stato un caso di inquinamento transfrontaliero

che ha coinvolto i governi federali del Canada e degli Stati Uniti, che alla fine ha contribuito a stabilire il principio del danno nella legge ambientale dell’inquinamento transfrontaliero (en.wikipedia.org). Nella pagina accanto: la sentenza Cassis de Dijon, pronunciata dalla Corte di Giustizia della Comunità europea, sancisce che gli articoli prodotti conformemente alle norme legali di uno stato membro dell’Unione europea possono in genere essere venduti negli altri Stati membri (regola pertanto nota come

principio Cassis de Dijon) - (rts.ch).

alla libera circolazione delle merci (nel caso di specie si trattava di un liquore francese di cui la Germania aveva vietato la circolazione) tra cui, in particolare, «la protezione della salute pubblica», poi interpretata in maniera estensiva in protezione dell’ambiente e dell’ecosistema.

Altra importante pronuncia del giudice europeo è la sentenza c.d. «oli usati» (7 febbraio 1985, causa 240/83), dove la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva sugli oli usati: «Pur ammettendo che un sistema di autorizzazioni limita in linea di principio l’esercizio della libertà del commercio (...) nulla permette di ritenere che la direttiva abbia superato questi limiti. Essa si inserisce nel quadro della tutela dell’ambiente, che costituisce uno degli scopi essenziali della comunità. Inparticolare, dal terzo e dal settimo punto della motivazione emerge che ogni normativa in materia di eliminazione degli oli usati deve avere per scopo la tutela dell’ambiente contro gli effetti nocivi dello scarico, del deposito o del trattamento dei suddetti prodotti. Dal complesso delle sue disposizioni risulta inoltre che la direttiva si preoccupa di garantire l’osservanza dei principi di proporzionalità e di non discriminazione nei casi in cui talune restrizioni si rendessero necessarie» (22).

Quanto alla giurisprudenza nazionale, singolare è che l’interesse ambientale sia stato affermato per la prima volta dalla Corte dei Conti, in tema di risarcimento dei danni causati all’ambiente e alle risorse naturali, con le sentenze n. 39/1973 (poi confermata dalle Sezioni riunite della Corte medesima, n. 108/1975) relativa al Parco nazionale d’Abruzzo e n. 61/1979, in merito ai c.d. fanghi rossi di Scarlino.

In queste occasioni, il giudice contabile ebbe modo di affermare la propria giurisdizione in quanto lo Stato è titolare di un interesse diretto alla salvaguardia dell’ambiente e la sua compromissione costituisce danno erariale ai sensi dell’art. 52 del Testo unico sulla Corte dei Conti. Ciò in quanto «la nozione di danno erariale non comprendeva esclusivamente ipotesi finanziarie, quale l’alterazione e turbativa dei bilanci, ovvero patrimoniali, quali la distruzione, sottrazione e danneggiamento di beni demaniali, o il recupero di somme pagate per fatti lesivi commessi dai pubblici dipendenti, ma altresì la lesione di interessi più generali, di natura eminentemente pubblica (interessando tutta la categoria dei cittadini), purché suscettibili di valutazione economica».

Su tale via prosegue la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5172/1979, con la quale essa ha individuato il diritto a un ambiente salubre desumendolo dall’art. 32 della Costituzione (23). In particolare, è il collegamento tra l’art. 32 e l’art. 2 della Costituzione ad attribuire al diritto alla salute un contenuto ulteriore, che la Corte precisa nei termini di «di socialità e di sicurezza». Il diritto alla salute, infatti, si presenta non solo come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, ma come vero e proprio diritto all’ambiente salubre che neppure la pubblica amministrazione può sacrificare o comprimere (24).

Importante, ai nostri fini, è la precisazione per la quale «la protezione della salute assiste l’uomo non (solo) in quanto considerato in una sua astratta quanto improbabile separatezza, ma in quanto partecipe delle varie comunità — familiare, abitativa, di lavoro, di studio e altre — nelle quali si svolge la sua personalità» (25). Dunque, «la protezione si estende cioè alla vita associata dell’uomo nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione, in quei luoghi, delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla sua salute: essa assume in tal modo un contenuto di socialità e di sicurezza, per cui il diritto alla salute, piuttosto (o oltre) che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre».

Questo primo importante arresto giurisprudenziale si fa carico di un importante profilo problematico relativo al diritto dell’ambiente e alle tecniche di tutela di tale interesse.

L’obiezione che, infatti, a una ampia tutela del bene ambiente si pone è che, in tal modo, si verrebbero a configurare posizioni soggettive tutelabili in riferimento a un

bene che sembrerebbe protetto solo oggettivamente (in quanto valore costituzionale), vale a dire un bene rispetto al quale non sarebbe configurabile una posizione propria, differenziata ed esclusiva di un soggetto, ma un mero interesse diffuso (26), cioè riferibile allo stesso modo e indifferentemente a numero indefinito di soggetti.

Relativamente a questo profilo problematico, il giudice civile ha obiettato che non può essere negata tutela a chiunque sia (variamente) interessato in relazione a un bene per la sola ragione che questo non appare attribuito né attribuibile a tale soggetto in modo esclusivo. La prospettiva secondo la quale vi è protezione giuridica soltanto in caso di collegamento esclusivo fra un bene e un solo individuo o un gruppo personificato (27) è condizionata da un’impostazione di tipo patrimoniale della giuridicità e rischia di mortificare il diritto costituzionale all’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Costituzione).

Di recente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 126/2016, ha bene sintetizzato quanto sin qui esposto. Al punto 5.1. del considerato in diritto, essa afferma che, sebbene il testo originario della Costituzione non contenesse l’espressione ambiente, né disposizioni finalizzate a proteggere l’ecosistema, la Corte con numerose sentenze aveva già riconosciuto la «preminente rilevanza accordata nella Costituzione alla salvaguardia della salute dell’uomo (art. 32) e alla protezione dell’ambiente in cui questi vive (art. 9, secondo comma)», quali valori costituzionali primari.

Questo sulla scia di quanto affermato da una giurisprudenza consolidata, quale per esempio quella proposta da Corte costituzionale 641/1987, che ha affermato in maniera decisa come l’ambiente costituisca «un bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili a unità. Il fatto che l’ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in considerazione».

La Corte precisa che il riconoscimento dell’esistenza di un «bene immateriale unitario» non è fine a sé stesso ma si tratta di una prospettiva funzionale all’affermazione della esigenza, sempre più avvertita, della uniformità della tutela che solo lo Stato può garantire, senza peraltro escludere che anche altre istituzioni possano farsi carico degli interessi ambientali delle comunità di riferimento.

L’ambiente viene, in definitiva, qualificato come «bene della vita materiale e complesso, oggetto di un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto» (così Corte costituzionale 378/2007) (28).

Il ruolo del legislatore nazionale: l’istituzione dell’organizzazione ministeriale preposta alla tutela dell’ambiente e il c.d. «Codice dell’ambiente»

Come abbiamo visto, gradualmente, risvegliandosi la coscienza sociale ed evolvendosi il dibattito giuridico, si è fatta strada la nozione di ambiente come bene giuridico e materia autonoma, necessitante di una visione d’insieme e di una tutela sistemica.

Compreso il punto fondamentale, ovvero che il «problema ambientale» più che legislativo è di tipo amministrativo (29), si è provveduto all’istituzione delle prime organizzazioni volte alla sua cura e alla predisposizione dei primi strumenti amministrativi volti a tutelarlo.

Con legge 8 luglio 1986 n. 349 viene istituito per la prima volta in Italia il ministero dell’Ambiente (dal 2006 denominato come: ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare) (30), senza affidare, tuttavia, a esso compiti inediti, bensì trasferendo alla nuova organizzazione competenze prima spettanti al ministero dei Beni culturali e ambientali e al Ministero dei Lavori pubblici (riguardanti, in particolare, il contrasto all’inquinamento dei corpi idrici, ai rifiuti e alla normazione dei parchi nazionali) (31). I fini generali della nuova organizzazione ministeriale sono stabiliti all’art. 1, commi 2 e 3 della predetta legge. Il primo stabilisce che «è compito del ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento»; mentre il comma 3 precisa che «il ministero compie e promuove studi, indagini e rilevamenti interessanti l’ambiente; adotta, con i mezzi dell’informazione, le ini-

«Con legge 8 luglio 1986 n. 349 viene istituito per la prima volta in Italia il ministero dell’Ambiente (…) senza affidare, tuttavia, a esso compiti inediti, bensì trasferendo alla nuova organizzazione competenze prima spettanti al ministero dei Beni culturali e ambientali e al Ministero dei Lavori pubblici (riguardanti, in particolare, il contrasto all’inquinamento dei corpi idrici, ai rifiuti e alla normazione dei parchi nazionali)» (Fonte immagine: guardia-

costiera.gov.it). Accanto: il logo del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (minambiente.it).

ziative idonee a sensibilizzare l’opinione pubblica alle esigenze e ai problemi dell’ambiente, anche attraverso la scuola, di concerto con il ministro della Pubblica istruzione». È nato in tal modo un centro di interessi unitario che ha reso possibile l’interazione tra le singole matrici ambientali, nel raggiungimento di uno scopo comune. Ed è proprio questo aspetto, cioè quello relativo alla possibilità di interrelazione, ad aver consentito a un cambio di visione: l’ambiente da sintesi a sistema: organizzazione, funzioni e situazioni giuridiche soggettive interagiscono tra loro costituendo nozioni unitarie (32). Solo nel 2006, tuttavia, viene emanato il D.LGS. 3 aprile 2006 n. 152, dal titolo «Norme in materia ambientale», con l’obiettivo di recepire nell’ordinamento interno varie direttive europee e tentare di metterle a sistema (33). Non a caso, il D.LGS. 152 viene chiamato dagli operatori del settore «Codice dell’ambiente» oppure «Testo unico ambientale»: va precisato, tuttavia, che l’intento del legislatore non è riuscito e tale corpus normativo non costituisce né l’uno, né l’altro. Infatti, il D.LGS. 152 non costituisce un Codice (come quello civile o penale) in quanto non tratta in maniera sistematica e organica la materia, con una parte generale e una parte speciale, discendendo dai principi alle discipline di settore, in maniera coerente (34).

In secondo luogo, esso non costituisce neppure un testo unico, la cui funzione è quella di razionalizzare e sostituire le norme previste per un intero settore del diritto, poiché non contiene la disciplina completa di tutti i settori ambientali (per esempio, sono esclusi l’inquinamento acustico o l’autorizzazione unica ambientale).

Inoltre, è da render conto del fatto che continue modifiche normative (35) intervengono sui settori più sensibili della disciplina ambientale, come per esempio quello delle autorizzazioni ambientali e, in particolare, sulla Valutazione di impatto ambientale (VIA) e sulla Valutazione ambientale strategica (VAS), tentando di accorciare i tempi per il loro rilascio e provvedendo a una semplificazione procedimentale nell’ottica dell’imperativo che caratterizza la legislazione amministrativa da qualche decennio: la sburocratizzazione. Tuttavia, tali operazioni, volte a dequalificare la centralità nella ponderazione dell’interesse ambientale, si pongono in contrasto con la rilevanza che sta assumendo l’obiettivo della transizione ecologica.

I caratteri dell’interesse ambientale e le differenze rispetto a nozioni contigue

Per inquadrare giuridicamente la nozione di «ambiente», si è proposta, in primo luogo, una summa divisio tra ambiente in senso in senso stretto e ambiente in senso lato: quest’ultimo costituisce l’intera sfera terracquea (e dunque l’intero habitat umano), mentre il secondo riguarda tutti quei profili selezionati dall’ordinamento giuridico (dunque ritenuti meritevoli di tutela) e che sono oggetto di specifiche competenze amministrative e situazioni giuridiche soggettive (36). In secondo luogo, la dottrina ha provveduto a individuare le specificità dell’interesse ambientale.

Innanzitutto, si tratta di interesse che si interseca con altri interessi già tutelati (come vedremo, per esempio, il governo del territorio) e si inserisce nella attività di cura dei medesimi, dando luogo a competenze trasversali rispetto a quelle previste per i singoli settori.

Si tratta, poi, di interesse disallineato rispetto all’organizzazione territoriale di riferimento che dovrebbe provvedervi: si pensi agli effetti di una attività inquinante dell’aria o dell’acqua che si estendono oltre i confini nazionali (37).

Aspetto importante è quello per il quale è difficile individuare in maniera certa i titolari dell’interesse che necessita di protezione. Il meccanismo fondato sulle situazioni giuridiche soggettive tradizionali (diritto, obbligo, potestà, dovere) non sembra essere adeguato o, almeno, l’unico: è la problematica relativa agli interessi diffusi.

A questo particolare carattere si collega la considerazione per cui la dinamicità dei fenomeni ambientali mette in crisi la tradizionale staticità dei sistemi giuridici, rendendo evidente che il diritto è in continua evoluzione, non può prescindere dai fenomeni sociali e deve costituire un punto di equilibrio nella tensione tra staticità e dinamicità.

Infine, viene sottolineata l’importanza del fattore tempo che, per la tutela degli interessi ambientali, si pone come elemento determinante (si pensi all’inquinamento del territorio, alle bonifiche e al danno ambientale).

La vocazione trasversale della nozione di ambiente emerge, in particolare, se si pensa alle affinità, strutturali e funzionali, tra la nozione di ambiente e alcune nozioni contigue, quali quelle di paesaggio o di urbanistica, (quest’ultima, oggi ricondotta alla materia «governo del territorio»).

Il rapporto tra ambiente e paesaggio, come può intuirsi, comporta alcune difficoltà di delimitazione e di sovrapposizione delle materie, giacché su un territorio possono aversi più tipologie di interventi, previsti da strumenti normativi differenti, con finalità talvolta confliggenti (38). Queste difficoltà sono dovute in primo luogo a ragioni costituzionali, poiché la stessa nozione di ambiente nasce, per via pretoria, come visto, proprio dall’art. 9, che tutela espressamente solo il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. Per gli approdi attuali, costituisce paesaggio tutto ciò che concerne gli aspetti identitari di un territorio (39), come risultanti dall’azione sinergica di fattori naturali e umani (40): la nozione, dunque, in parte si sovrappone e in parte è più ampia rispetto agli aspetti ecosistemici e naturali.

Quanto al rapporto con l’urbanistica, esso risente della stessa difficoltà di individuare una chiara distinzione tra ambiente, urbanistica e la nuova nozione di governo del territorio, recepita, a partire dalla riforma costituzionale del 2001, come materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. La questione, in questo caso, è più complessa rispetto a quella relativa al paesaggio poiché si ritiene che la scelta del legislatore della riforma sia stata proprio quella di unire gli aspetti urbanistici a quelli ambientali, secondo una visione meno frammentaria.

In quest’ottica, allora, il discrimine tra le due materie si è individuato nel fatto che il governo del territorio è costituito da un insieme di regole procedurali, nel senso che si provvede alla tutela delle risorse naturali secondo le regole dell’urbanistica, mentre l’ambiente costituisce, più che altro, un fine, contando in via prioritaria il risultato di preservazione dell’ambiente (41).

Il diritto dell’ambiente

Il diritto dell’ambiente costituisce dunque oggi una vera e propria materia, la cui elaborazione è dovuta alla giurisprudenza, al dato normativo (europeo e dunque interno) che ha seguito le sue indicazioni, alla successiva istituzione di organizzazioni amministrative con specifiche competenze (soprattutto tecniche), alla individuazione di situazioni giuridiche soggettive e, infine, alla esistenza di strumenti amministrativi, civili e penali volti a tutelarlo.

Sulla base di quanto sinora analizzato, la dottrina ha messo in luce i caratteri della disciplina giuridica dell’ambiente (42). Il diritto dell’ambiente è definito, in primo luogo, «il diritto della modernità», perché disciplina fenomeni di più recente acquisizione (nella sfera sociale) che vanno di pari passo con lo sviluppo economico (l’esempio più conosciuto è consacrato dalla vicenda Ilva, nella necessità di contemperamento tra «esigenze» di sviluppo industriale e di tutela dell’ambiente) e, relativamente ai quali, si pone come fondamentale l’utilizzo della tecnologia.

Per questo il diritto dell’ambiente è anche un «diritto innovativo», volto a creare nuovi istituti giuridici che poi si estendono all’ordinamento amministrativo generale, come il diritto di accesso alle informazioni ambientali (che già dal 1995 prevede un accesso libero e universale senza necessità di dimostrare un interesse concreto e attuale da parte del richiedente).

Ma si pensi, più in generale, all’importanza dei prin-

«Il diritto dell’ambiente è definito, in primo luogo, “il diritto della modernità”, perché disciplina fenomeni di più recente acquisizione (nella sfera sociale) che vanno di pari passo con lo sviluppo economico (l’esempio più conosciuto è consacrato dalla vicenda Ilva (qui nell’immagine), nella necessità di contemperamento tra “esigenze” di sviluppo industriale e di tutela dell’ambiente) e, relativamente ai quali, si pone come fondamentale l’utilizzo della tecnologia» (Fonte immagini: ilsole24ore.com).

cipi fondamentali come canoni di legittimità dei pubblici poteri, come il principio di sussidiarietà e, ancora di più, il principio/obiettivo dello sviluppo sostenibile ormai esteso (almeno teoricamente) a ogni tipo di pianificazione e programmazione dell’attività amministrativa

Il diritto dell’ambiente è poi certamente il «diritto della complessità» perché l’interesse ambientale costituisce materia trasversale, che coinvolge ogni altra materia e ogni altro interesse pubblico in gioco e richiede dunque idonei congegni amministrativi per il suo contemperamento con gli altri interessi in gioco.

È un diritto nato come «reattivo», basato su una logica emergenziale, per contrastare gli effetti nocivi dell’attività umana, e si è trasformato, oggi, in un «diritto progettuale o proattivo», finalizzato a prevenire e indirizzare l’attività umana verso obiettivi di sviluppo sostenibile.

Infine, esso è un «diritto eteronomo», influenzato in maniera diretta e indiretta, come abbiamo visto, dal diritto dell’Unione europea e dal diritto internazionale.

Prospettive evolutive: transizione ecologica, economia circolare e clima

«L’Italia è caratterizzata da un ecosistema naturale, agricolo e biologico unico. Un territorio di valore inestimabile che rappresenta un elemento centrale dell’identità, della cultura e della storia nazionale, motore dello sviluppo economico presente e futuro». In questi termini si esprime il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (43) che prevede, all’interno della seconda missione, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, il raggiungimento dei seguenti obiettivi (a loro volta suddivisi in sottobiettivi, riforme e investimenti): 1) economia circolare e agricoltura sostenibile; 2) energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; 3) efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; 4) tutela del territorio e della risorsa idrica.

Come è possibile constatare, la tutela dell’ambiente è entrata prepotentemente nel discorso politico attuale e, in tale contesto, la transizione ecologica, oggetto peraltro di importanti provvedimenti europei, quali il c.d. Green New Deal e il Quadro 2030 per il clima e l’energia, assume una importanza basilare. Due sembrano essere, in particolare, le prospettive evolutive più interessanti della regolazione giuridica dell’ambiente. La prima è l’incentivazione

«Il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede, all’interno della seconda missione, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, il raggiungimento dei seguenti obiettivi (...): 1) economia circolare e agricoltura sostenibile; 2) energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; 3) efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; 4) tutela del territorio e della risorsa idrica» (Fonte immagine: twitter.com/wwf).

dell’economia circolare (44), concetto elaborato e accolto da alcuni provvedimenti dell’Unione europea (45), e riferibile prevalentemente al settore dei rifiuti (ma non solo) (46), che propone un nuovo modello di sviluppo economico basato non più sulla economia c.d. lineare, volta cioè all’utilizzo e all’abbandono dei prodotti, ma all’obiettivo del costante riutilizzo e trasformazione dei beni (dunque, alla rigenerazione), tramite varie tecniche, favorite dall’innovazione tecnologica (47). Tutto questo si lega a un nuovo paradigma di comprensione delle relazioni tra ambiente e sviluppo: non più uno sviluppo sostenibile ma un «ambiente per lo sviluppo». La seconda riguarda la necessaria riduzione delle emissioni climalteranti, fino al raggiungimento dell’obiettivo della «neutralità» climatica, così come richiesto dal Quadro per il clima e l’energia 2030. La questione del cambiamento climatico sta avverando l’intuizione di un illustre studioso del diritto amministrativo, secondo cui studiare il diritto dell’ambiente «è semplicemente affascinante se si voglia studiare il diritto non nella sua staticità ma in quella dinamicità che ne costituisce, in effetti, laessenza e il valore» (48). Infatti, il contenzioso climatico, promosso da organizzazioni non governative e da giovani attivisti, che sta proliferando, da ultimo, anche in Europa (49), mette in crisi tradizionali categorie giuridiche come la separazione dei poteri dello Stato (in quanto il giudice provvede a condannare il legislatore) e i tradizionali criteri per promuovere le azioni giurisdizionali da parte di organizzazioni portatrici di interessi diffusi (sempre, molto spesso, limitativi).

Questi due aspetti, senza escluderne altri, mostrano la caratteristica principale del diritto dell’ambiente: quella di costituire un importante campo di prova del diritto pubblico e di anticipare, come spesso è avvenuto, soluzioni poi adottate dall’ordinamento giuridico generale. 8

NOTE

(1) Così Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato sì del 2015, la prima enciclica di un pontefice sul problema della salvaguardia dell’ambiente. (2) Qualche notazione di carattere metodologico. Il diritto, a mio avviso, non è una scienza ma una disciplina, caratterizzata da uno strumentario consolidato (norma, disposizione, situazione soggettiva, ecc.) che viene applicato secondo le regole della logica (dunque le regole generali del discorso) che, inevitabilmente, risentono della impostazione di pensiero adottata in premessa da ogni autore. Con particolare riferimento al diritto amministrativo, v. G. Rossi, Metodo giuridico e diritto amministrativo. Alla ricerca dei concetti giuridici elementari, in Dir. Pubbl., 2004, p.1-18. (3) Individua G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino 2017, che «lo stesso compito di dipanare la matassa, di individuare alcune linearità, è fonte di interesse ancora maggiore, perché offre spunti di riflessione a chi voglia studiare l’evoluzione degli ordinamenti e cioè degli assetti giuridici delle società». Il medesimo autore riporta le parole di F. Benvenuti che, in Studi dedicati ai problemi dell’ambiente. Presentazione, in Arch. Giur., 1982, p.255 afferma «il tema è semplicemente affascinante se si voglia studiare il diritto non nella sua staticità ma in quella dinamicità che ne costituisce, in effetti, la essenza e il valore». (4) Sul punto, G. Rossi, Potere amministrativo e interessi a protezione necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo, Torino 2011. (5) Cfr. S. Cassese, s.v. Giannini, Massimo Severo, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX secolo), vol. I, Bologna 2013, pp.984-987. (6) In Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, p.15 ss. E nello stesso senso di Giannini si dirigeva gran parte della dottrina, anche europea, del tempo: si pensi a R. Drago, Rapport de synthèse, in La protection du voisinage et de l’environnement. Travaux de l’association H. Capitant, Paris 1979, p.457, che ritenne «assurdo» considerare il diritto dell’ambiente una nuova disciplina giuridica. (7) Ma a ciò spesso non hanno fatto seguito misure concrete ed effettive, come dimostra la vicenda del cambiamento climatico, che esamineremo brevemente più avanti. (8) S. Cassese, Il diritto globale, Torino 2008, p.5. (9) S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale. Profili internazionali, europei e comparati, Torino 2017, pp.6 e 12. (10) Infatti, già il punto 1 della Dichiarazione sull’ambiente umano prevedeva che «l’uomo ha un diritto fondamentale alla liberta , all’eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed e altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell’ambiente davanti alle generazioni future». Successivamente, il Rapporto Brundtland ha stabilito che lo sviluppo sostenibile consiste in quello «sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Come messo in luce da L. Krämer, Environmental Law, p.9 ss., si tratta di una nozione largamente indeterminata, il cui contenuto deriva dalla applicazione della nozione stessa. (11) Il quale implica che, di fronte a una non conoscenza dei possibili effetti di una azione con effetti ambientali oppure a un mero sospetto di effetti potenzialmente nocivi, occorra porre in essere le misure adeguate e, in definitiva, a parere di chi scrive, molto semplicemente, astenersi dal compiere qualsiasi azione. Il Principio 15 della Dichiarazione di Rio recita: «Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacita , il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale». (12) Sul punto, S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, cit., p.24 ss. (13) M. Renna, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2015, p.62 ss., nota che, proprio in considerazione del fatto che la costruzione europea fosse di tipo economico, e tendente dunque alla creazione di un mercato comune (erano gli anni della ricostruzione post-bellica) si aveva solo un articolo 36 TCEE, il quale recitava: «Le disposizioni degli articoli da 30 a 34 [cioè quelli relativi alla abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri] lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, ne una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri». (14) Nonostante i vari DDL, susseguitisi nel corso del tempo, che ne propongono l’introduzione all’art. 9 e v., per esempio, quello proposto nella XVIII legislatura: «All’articolo 9 della Costituzione e aggiunto, in fine, il seguente comma: La Repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni». (15) P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, cit., p.2, nota come il principio di sussidiarietà trovi efficace attuazione nella distribuzione delle funzioni normative, nascendo proprio nel contesto della tutela europea dell’ambiente e poi essendo promosso dal Trattato di Maastricht al rango di criterio generale per la regolazione delle relazioni tra Unione e Stati membri nell’ambito di ogni tipo di politica pubblica. In Italia, com’è noto, esso è stato introdotto all’articolo 118 della Costituzione dalla L. costituzionale 3/2001. (16) Per ogni ulteriore approfondimento, L. Krämer, Environmental Law, p.17. (17) Cfr. P. Fois, Il diritto ambientale dell’Unione Europea, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale, cit., p.65 ss. Si veda l’art. 130R, par. 1 dell’Atto unico, alla stregua del quale «l’azione della comunità in materia ambientale ha l’obiettivo: di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; di contribuire alla protezione della salute umana; di garantire una utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali», nonché il par. 2 che elenca i principi rilevanti: «L’azione della comunità in materia ambientale è fondata sui principi dell’azione preventiva e della correzione anzitutto alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. Le esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente costituiscono una componente delle altre politiche della comunità». (18) Come individua F. de Leonardis, Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.131: «il diritto ambientale si atteggia fondamentalmente (...) come diritto di formazione giurisprudenziale: in esso il diritto scritto tende generalmente a venire dopo, quasi come cristallizzazione di ciò che la giurisprudenza è andata elaborando». (19) G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, p.32 chiarisce, in maniera critica, che questo principio contiene un margine di equivoco in quanto, prevedendo il pagamento di una sanzione a carico di chi inquina, potrebbe essere inteso come il diritto di inquinare pagando. (20) Per l’approfondimento di tali principi, L. Krämer, Environmental Law, cit., p.20 ss. (21) Per ogni ulteriore approfondimento, F. de Leonardis, Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.131 ss. (22) La successiva sentenza Imballaggi di birra e bibite, 20 settembre 1988, C-302/86, ricorda che «in proposito si deve ricordare che, nella suddetta sentenza 7 febbraio 1985, la Corte ha precisato che i provvedimenti adottati in materia ambientale non devono “eccedere le restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo d’interesse generale costituito dalla tutela dell’ambiente”». Con la sentenza PreussenElektra, 13 marzo 2001, C-379/98, la Corte di Giustizia ha precisato che non costituisce aiuto di Stato la normativa interna di uno Stato membro che obblighi le imprese che forniscono energia elettrica ad acquistare l’energia prodotta nella rispettiva zona di fornitura da fonti rinnovabili a prezzi superiori al loro valore economico reale. Ciò in quanto «è per motivi di protezione dell’ambiente che essa, agli articoli 8, n. 3, e 11, n. 3, autorizza gli Stati membri a dare priorità alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili». (23) Il quale «configura il relativo diritto [alla salute] come diritto fondamentale dell’individuo e lo protegge in via primaria, incondizionata e assoluta come modo d’essere della persona umana». (24) La sentenza precisa poi che il diritto alla salute, inteso in questo suo duplice aspetto, è tutelabile giurisdizionalmente anche davanti al giudice ordinario e anche contro la pubblica amministrazione la cui attività lesiva deve necessariamente considerarsi priva di ogni base legale e dunque in difetto di ogni potere discrezionale. Ciò, infatti, si lega all’aspetto, esplicitamente affrontato dalla sentenza, relativo al tipo di protezione data all’individuato interesse, precisando che «è evidente che si tratta di tecnica giuridica di tipo garantistico, che è poi quella propria dei “diritti fondamentali” o “inviolabili” della persona umana. Si tratta cioè, di tutela piena che si concreta nella attribuzione di poteri di libera fruizione di utilità e di libero svolgimento di attività, di esclusione degli ostacoli che all’una o all’altro si frappongano da parte di chicchessia. Ed è in questa difesa a tutta oltranza contro ogni iniziativa ostile, da chiunque provenga — altri singoli o persino l’autorità pubblica — non già in una considerazione atomistica, asociale, separata dall’uomo che risiede il significato del richiamo al “diritto fondamentale dell’individuo”. In una parola: la strumentazione giuridica è quella del diritto soggettivo, anzi del diritto assoluto». (25) Accentuandosi, in questo modo, il carattere di inerenza alla persona e di socialità del bene protetto, «si rende manifesto che la protezione non si limita all’incolumità dell’uomo, supposto immobile nell’isolamento della sua abitazione o solitario nei suoi occasionali spostamenti [...] ma è diretta ad assicurare all’uomo la sua effettiva partecipazione mediante presenza e frequentazione fisica, alle dette comunità, senza che ciò costituisca pericolo per la sua salute». (26) Sul tema degli interessi diffusi, collegati peraltro all’emergere della problematica dei beni comuni, si intersecano contributi della dottrina civilistica e pubblicistica e v., B. Caravita di Toritto, Interessi diffusi e collettivi, in Dir. soc., 1982, 187; R. Ferrara, Interessi collettivi e diffusi, in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino 1993; G. Alpa, Interessi diffusi, in Dig. Disc. Civ., IX, Torino 1993. Come visto, la problematica è legata al profilo della tutela giurisdizionale, su cui si è confrontata ampia e autorevole

dottrina, e v. S. Cassese, Gli interessi diffusi e la loro tutela, in AA.VV., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, Torino 2003, p.569 ss.; F.G. Scoca, Tutela dell’ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell’interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc., 1985, p. 645 ss.; G. Berti, Il giudizio amministrativo e l’interesse diffuso, in Jus, 1982, p.68 ss.; R. Villata, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm., 1992, p.171 ss. (27) Che è la condizione per la tutela degli interessi diffusi, tra cui gli interessi ambientali, tutelati tradizionalmente con la tecnica dell’interesse legittimo. Prosegue la sentenza: «Il che è tanto più grave in quanto il diniego di tale azionabilità si traduce in mancanza di tutela di soggetti reali [cioè dei veri destinatari della protezione costituzionale anche se considerati partecipi di collettività] in ordine a beni che sono di particolare rilevanza perché attengono alla persona umana. Tale sarebbe la conseguenza cui si perverrebbe se si ritenesse che un’esigenza non è protetta in riferimento a un solo uomo perché è o non può essere protetta allo stesso tempo e allo stesso modo in riferimento a una pluralità di altri uomini (anche indefinita nel numero o indeterminata nella composizione) con omogeneità di contenuto e reciproca implicanza, come appunto avviene per i modi con i quali la persona umana si realizza nelle formazioni sociali di cui è partecipe. Quel che può richiedersi invece è soltanto che la tutela sia postulata in ragione di tale partecipazione e dell’effettiva configurabilità della formazione sociale di appartenenza», precisando altresì che la tutela degli interessi diffusi possa avvenire anche con altri criteri di collegamento. (28) Ne deriva la qualificazione di un interesse unitario, suscettibile di riferirsi a uno o più soggetti determinati e, dunque, integrante la qualifica di vero e proprio diritto soggettivo, come tale tutelato dall’ordinamento, oggi anche esplicitamente, con il suo inserimento all’interno dell’art. 117 della Costituzione, in seguito alla riforma del Titolo V: la lett. s) di tale articolo attribuisce infatti allo Stato la competenza esclusiva in ordine alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. (29) Il nesso funzionale tra l’organizzazione amministrativa e il soddisfacimento degli interessi affidati alla sfera pubblica è sottolineato da M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano 1966, p.114 ss. e G. Guarino, L’organizzazione pubblica, Milano 1977, p.18 ss. (30) Oggi, in conformità al Piano nazionale di ripresa e resilienza proposto dall’Italia (PNRR), la nomenclatura è quella di ministero della Transizione ecologica (MiTE). Le modifiche nei nomi delle organizzazioni amministrative non comportano, quasi mai, una modifica sostanziale delle attività svolte e degli interessi sottoposti alla loro cura (nel nostro caso sono state affidate al MiTE alcune competenze in materia energetica precedentemente affidate al ministero dello Sviluppo economico). Si tratta, molto spesso, di cambiamenti dovuti a spinte politiche momentanee e contingenti, come è avvenuto anche per il caso del ministero dei Trasporti, oggi denominato ministero della Mobilità sostenibile (MiMS). (31) «Si sviluppa in questa fase una disciplina non settoriale, ma autonoma della tutela dell’ambiente, sia sul piano internazionale sia nell’ordinamento comunitario sia in Italia, con interventi normativi ispirati a una concezione unitaria del problema», nota S. Grassi, voce Tutela dell’ambiente (dir. amm.), in Enc. dir., Milano 2007, n.2, il quale sottolinea pure come la legge istitutiva del ministero dell’Ambiente «pur costituendo un passaggio essenziale verso la definizione dell’ambiente come oggetto di una disciplina autonoma, indica le competenze ministeriali in termini multiformi, troppo articolati per giungere a un risultato definitorio, lasciando aperta la discussione se al ministero e agli organi tecnici centrali venissero affidate attività di mero coordinamento delle competenze, connesse, di altri apparati (sanità, urbanistica, agricoltura e foreste, caccia e pesca, polizia locale, ecc.), ovvero se essi fossero in grado di svolgere funzioni in un settore dotato di piena autonomia e con caratteristiche unitarie sue proprie». Questo perché l’art. 2 della legge 349 faceva riferimento a competenze già esercitate, appunto, da altre organizzazioni amministrative. (32) Si è così venuta a formare una prima nozione giuridica di ambiente, più specifica rispetto a quella in uso nel linguaggio comune e individuabile in chiave difensiva nella lotta all’inquinamento e nella conservazione di zone determinate, cfr. G. Rossi, La materializzazione dell’interesse all’ambiente, in Id. (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.14. (33) L’art. 1 del Codice ne prevede l’ambito di applicazione: «Il presente decreto legislativo disciplina, in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, le materie seguenti: a) nella parte seconda, le procedure per la Valutazione ambientale strategica (VAS), per la Valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’Autorizzazione ambientale integrata (IPPC); b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche; c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati; d) nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera; e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente». (34) È paradossale, infatti, come soltanto i successivi decreti correttivi 4/2008 e 128/2010 abbiano introdotto nel «Codice» dell’ambiente i principi generali, agli articoli 3 e ss. Nota, infatti, P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, cit., p.3 che se, da un lato, i principi espressi nella prima parte del Codice vorrebbero costituire il punto di riferimento per tutti i settori ambientali, dall’altro, tale obiettivo non è stato pienamente conseguito, dando così l’impressione che il legislatore abbia esaurito la sua capacità ricostruttiva proprio nella redazione di tali principi e senza assicurarne omogeneità e coerenza con la disciplina settoriale. (35) Per esempio, di recente, il D.L. 16 luglio 2020, n. 76, recante «misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali» (c.d. Decreto semplificazioni), convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, il quale modifiche normative che, ispirate a una logica di semplificazione (l’art. 50 è rubricato non a caso «razionalizzazione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale») incidono, prevalentemente, sul quando delle procedure (riduzione dei termini) e sul quomodo (semplificazione documentale, trasparenza e maggiore coinvolgimento del pubblico), intervenendo sulle disposizioni contenute nei Titoli I e III della Parte seconda del D.LGS. n. 152/2006. (36) G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.26 ss. e 5 ss. (37) Nota G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.6, che i livelli territoriali nei quali si producono le cause o non hanno la forza di controllare i fenomeni o hanno interesse a che siano altri a sopportare gli effetti negativi delle attività nocive e dei relativi oneri: si tratta di un effetto della c.d. sindrome Nimby (Not in my back yard: non nel mio giardino), alla stregua della quale le scelte circa la localizzazione delle attività con ripercussioni ambientali vengono decisamente opposte dalle comunità locali nelle quale queste attività dovrebbero essere attivate, senza però che tali comunità si oppongano alla loro installazione altrove. (38) Individua, non a caso, A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. Dir., Milano 1983, n. 3 che: «La nozione di paesaggio accolta ha punti di coincidenza strutturali, a diverse profondità, con quella di ambiente, o almeno con alcune nozioni di esso e l’attività di tutela del paesaggio è funzionalmente connessa a quella di tutela dell’ambiente». (39) La celeberrima definizione fornita da A. Predieri, voce Paesaggio, cit. è quella di «forma del territorio». (40) Cfr. art. 131, Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). (41) S. Civitarese Matteucci, Governo del territorio e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.225. (42) Cfr. in ordine ai caratteri del diritto dell’ambiente, per tutti, P. Dell’Anno, Ambiente (Diritto amministrativo), in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. I, Padova, 2012, p.285 ss. (43) Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), c.d. Next Generation Italia, p.145. (44) Spiega F. de Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. Verso uno Stato circolare?, in Dir. Amm., 2017, p.168-169, che dalla c.d. Red Economy, ovvero l’economia dello sfruttamento della natura «che prende a prestito senza preoccuparsi di come ripagare il debito», si è passati alla Green Economy, che si preoccupa di come «ripagare» i danni cagionati all’ambiente (v. per esempio, il principio «chi inquina paga»), per giungere infine, alla BlueEconomy che, secondo la definizione di G. Pauli, Blue Economy 2.0., Milano 2015, p.30, «affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione e il cui scopo (...) è quello di spingersi verso la rigenerazione» (per la cronaca Blu Economy ha assunto poi anche una valenza in riferimento alle tematiche marittime). (45) In particolare, le due comunicazioni del 2014 e del 2015 sull’economia circolare, il secondo «pacchetto» sull’economia circolare costituito dalle direttive n. 851 e n. 852 del 2018, che modificano la direttiva generale in materia di rifiuti e quella sui rifiuti di imballaggio, e da altre direttive, che modificano ulteriori sei direttive sui rifiuti (direttiva 98/2008), imballaggi (94/1962), discariche (31/1999), rifiuti elettrici ed elettronici (19/2012), veicoli fuori uso (53/2000) e pile (66/2006), le numero 849, 850, 851 e 852 del 2018. (46) Come mette chiaramente in luce F. de Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici, cit., p.167. (47) Si vedano, sul punto, F. de Leonardis, Il diritto dell’economia circolare e l’art. 41 Costituzione, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2020, p.50 ss. e G. Rossi, Dallo sviluppo sostenibile all’ambiente per lo sviluppo, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2020, p.4 ss. Il primo constata che, in questa prospettiva, «l’ambiente non viene più considerato semplicemente un costo ma, invece, un’opportunità di vero e proprio profitto per le imprese: si può allora parlare con ragione significativamente di “ambiente per lo sviluppo”» e il secondo che «alle fasi della contrapposizione e a quella della (auspicata) compatibilità si unisce ora quella della possibile sinergia». (48) F. Benvenuti, Studi dedicati ai problemi dell’ambiente. Presentazione, in Arch. giur., CCII (1982), p.255, ora in Scrittigiuridici, Milano, p.3736. (49) Sulla base della tutela del diritto alla vita e del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (articoli 2 e 8 della Convezione europea dei Diritti dell’uomo, CEDU), insieme al duty of care dello Stato costituzionalmente stabilito nei confronti dei cittadini, nonché alle obbligazioni espressamente stabilite dagli Accordi di Parigi (2015), la Fondazione olandese Urgenda, insieme a circa 900 cittadini, nel 2015, ha potuto promuovere un ricorso con lo Stato olandese, colpevole di non aver promosso azioni sufficienti per la lotta al cambiamento climatico, e vincerlo. Nel febbraio 2021, anche il Tribunale amministrativo di Parigi, nel c.d. Affaire du Siècle, su ricorso promosso da quattro ONG francesi (Oxam France, Greenpeace, Notre Affaire à Tous, FNH), ha riconosciuto la responsabilità dello Stato per la inazione nella gestione della crisi climatica, sottolineando il mancato rispetto degli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Parigi.

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di oma, e che studia sistemi evoluti R per i trasporti, quali la smart mobility o soluzioni di guida autonoma e o soluzioni di guida autonoma e o soluzioni di guida autonoma e intelligente , abbiamo, inoltre. Di recenteintelligente aderito al che rasporti ItaliaCluster T raggruppa, oltre ai soci del consorzio,raggruppa, oltre ai soci del consorzio anche altri interlocutori, tra cui ad anche altri interlocutori, tra cui ad esempio Fincantieri e Fincantieri per la Grimaldi parte nautica. Obiettivo del cluster è la parte nautica. Obiettivo del cluster è la partecipazione attiva alla definizione partecipazione attiva alla definizione delle politiche nazionali e comunitarie delle politiche nazionali e comunitarie di ricerca e innovazione nell’ambito di ricerca e innovazione nell’ambito dei trasporti sia terrestri che marittimi”.dei trasporti sia terrestri che marittimi”

ec in entrata, la posta certificata:delle Pec in entrata, la posta certificata: ec in entrata, la posta certificata:delle Pec in entrata, la posta certificata: tramite un sistema di intelligenza tramite un sistema di intelligenza , la nostra soluzione applicativaartificiale, la nostra soluzione applicativa è in grado di leggere e interpretare le è in grado di leggere e interpretare le in base al contenuto,ec eP , di smistarle in base al contenuto . Il nostro sistemaall’ufficio competente. Il nostro sistema

Quali vostre soluzioni, in particolare, Quali vostre soluzioni, in particolare, possono essere d’interesse per la possono essere d’interesse per la Marina Militare?ilitaree?

“Oltre all’infrastruttura Cisco, abbiamo una business unit dedicata ai progetti di sicurezza informatica, che vanno di sicurezza informatica, che vanno dalla consulenza all’implementazione dalla consulenza all’implementazione di prodotti e alla revisione dei processi di prodotti e alla revisione dei processi e delle metodologie di lavoro, per e delle metodologie di lavoro mettere in sicurezza i sistemi di aziende mettere in sicurezza i sistemi di aziende e istituzioni da attacchi esterni ma e istituzioni da attacchi esterni ma anche di natura interna. In quest’ambito stiamo lavorando con alcune importanti realtà private ma , queste ultime siaanche pubbliche a livello di regioni che di forze armate nazionali. Anche il cloud, armate nazionali. Anche il cloud, armate nazionali. Anche il cloud, , ha una componente diovviamente, ha una componente di . ”sicurezza intrinseca

Quali sono i vostri progetti per il futuro?er il futuroo?

E’ sicuramente nostra intenzione E’ sicuramente nostra intenzione cercare di trasferire anche in ambito cercare di trasferire anche in ambito militare le soluzioni che abbiamo militare le soluzioni che abbiamo già sviluppato e implementato con già sviluppato e implementato con successo in ambito civile, ovvero il cloud e la gestione dei processi. In questi due ambiti si possono In questi due ambiti si possono In questi due ambiti si possono sviluppare progetti anche con la sviluppare progetti anche con la Marina, per poter portare anche a Marina, per poter portare anche a loro l’innovazione che abbiamo già loro l’innovazione che abbiamo già apportato in altre istituzioni pubbliche apportato in altre istituzioni pubbliche .e private”

tiene traccia anche del percorso e tiene traccia anche del percorso e dell’attività della Pec, fino all’invio ec, fino all’invio eventuale di una risposta e alla eventuale di una risposta e alla conservazione a norma delle e-mail. conservazione a norma delle e-mail. Un altro tipo di connettore che Un altro tipo di connettore che interagisce con la nostra piattaforma interagisce con la nostra piattaforma è in grado di leggere e interpretare è in grado di leggere e interpretare è in grado di leggere e interpretare le immagini, che vengono poi archiviate in base alle informazioni. Si tratta di una piattaforma configurabile - e quindi adattabile in base alle esigenze

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