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Aspettative e realtà in 50 anni di navi

Tecnologie, materiali e nuovi combustibili per il futuro, dalle illusioni degli anni Settanta alla realtà di oggi e ai nuovi scenari zero-emission

Antonello Gamaleri

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Laureato in ingegneria navale e meccanica, già dirigente di aziende internazionali è stato direttore tecnico del settore traghetti passeggeri e navi da trasporto di Fincantieri Direzione navi mercantili dal 1998 al 2002; dal 2003 al 2009 è stato direttore della progettazione di base e preventivazione della Direzione navi militari. Ha poi continuato come consulente di Finmeccanica (ora Leonardo) fino al 2013. È membro dell’European Technical Committee dell’ABS, dell’Italian Technical Committee del LR e del Naval Vessels Classification Committee del Bureau Veritas. Morosini 64-67 (corso Barracuda) e Accademia navale (corso Antares).

Rappresentazione di un progetto di sottomarino tanker a propulsione nucleare per la rotta artica (Ships and Shipping of ToMorrow, VerlagTechnikBerlin, 1973).

Sulle navi e sui traffici marittimi si trovano per il grande pubblico scritti, articoli e libri che solleticano il concetto trasfigurato e romanzato che esiste di essi nell’immaginario collettivo. Ma, la nave e le sue attrezzature, le conoscenze che sono alla base della tecnologia usata e dei materiali per la costruzione e ancora il relativo importantissimo valore economico e militare, vanno posti nelle complessità di contesti storici e organizzativi oltre che di cultura degli uomini del tempo, di capacità nautica e di precarietà dei mezzi. Chi racconta la storia spesso in Italia trascura l’importanza di questi condizionamenti, forse per pregiudizio culturale.

Le navi delle talassocrazie del passato sono note in modo parziale. Ci sono molte immagini stilizzate su vasi antichi e incisioni e riferimenti nei poemi omerici, in alcuni frammenti di liriche greche e poi i ritrovamenti di navi antiche e le descrizioni degli scrittori latini e delle saghe nordiche.

Le navi erano piccole e non pontate, in definitiva delle grosse imbarcazioni soggette alle intemperie. E così andò avanti per secoli sino a fine Seicento, con relativamente poca evoluzione di dimensioni, materiali e tecniche costruttive. Unica vera rivoluzione fu l’adozione generalizzata della navigazione a vela, il cannone navale e gli strumenti per una navigazione più precisa: carte, bussola, strumenti, calcoli astronomici e cronometro per la longitudine. Solo tra il Settecento e l’Ottocento, le navi cominciarono a crescere di dimensioni e cambiare più velocemente, dopo essersi evolute molto lentamente nel corso di un paio di millenni.

In modo ancor più accelerato, la costruzione delle navi quanto a forme, dimensioni materiali e propulsione si è modificata solo da metà Ottocento, influenzando l’economia, i traffici, la capacità di navigazione e la capacità di portare merci e guerra in mari lontani. A sua volta la costruzione delle navi è stata influenzata dai vincoli oggettivi di materiali, tecnologie, economia, approvvigionamenti e spinte politiche e sociali.

Per le nostre considerazioni diamo uno sguardo agli ultimi 50 anni a partire da quello che si era previsto negli anni dal 1970, cosa si è veramente realizzato verso il 2000, per finire a cosa oggi, nel 2021, si è consolidato. Infine, anche alcune considerazioni su quelli che si possono intravedere come sviluppi per i prossimi 50 anni.

L’ottimismo e la visione del 1970

Appare evidente come 50 anni fa vi fossero forti aspettative visionarie e spesso ottimistiche e fideistiche sulle navi mercantili del futuro. Esempi si possono ritrovare in pubblicazioni scientifiche di università e riviste. Un confronto di quelle aspettative con la moderna realtà ci porta a interessanti considerazioni.

Nel libro Ships and Shipping of Tomorrow, VerlagTechnikBerlin, 1973, finanziato dalla Henry Kummermann Foundation, si trovano serissimi studi ed esempi.

Le previsioni di sviluppo più lucide e razionali erano state fatte partendo dai bisogni del futuro mondo globalizzato e dai prevedibili aumenti del traffico merci e dei consumi di energia.

Essi ipotizzavano un incremento parallelo della scienza e dello sviluppo tecnologico insieme con lo sviluppo sociale ed economico prevedibile in anni di pace e di iniziale tendenza alla «globalizzazione», in un quadro generalmente ottimistico.

Le visioni del 1970 si fondavano su lucide e complesse analisi basate sui dati e sui trend di quegli anni con la loro possibile estrapolazione. Le proposte che venivano formulate erano molte e varie. Si trattava allora di affrontare, in modo più razionale, i problemi che si affacciavano. Quelli che si cominciavano a intravedere come trasporti di massa per i futuri 6-7 miliardi di abitanti della Terra dai 2 miliardi del tempo della Seconda guerra mondiale. Subito erano stati individuati i colli di bottiglia che si sarebbero trovati davanti. Esistevano, infatti, fame, povertà e sottosviluppo in una grande parte del mondo. Vi era una mancanza di comunicazioni per materiali e persone dall’Artico all’Antartico e tra gli oceani e le regioni più remote. L’aumento dei traffici avrebbe segnato anche il progresso.

Esistevano allora (1970) circa 34.000 navi per traffici marittimi corrispondenti a circa 660 milioni di DWT (Dead Weight Tons di portata lorda) che potevano trasportare 3,4 milioni di tonnellate di carico.

Si formulò l’ipotesi di aumento costante dei trasporti stimato del 4-5% all’anno. Vi era allo stesso tempo,

come già accennato, una fiducia in uno sviluppo tecnico ed economico che sarebbe andato avanti in continuità con quello iniziato nel 1960. Per esempio la standardizzazione del carico (i containers) aveva influito sul progetto stesso La nave mediterranea nelle antiche raffigurazioni. Kleitias, Cratere attico detto Vaso François, dettaglio con la nave degli Ateniesi a Creta (570 a.C. circa; ceramica a figure nere, 66 x 57 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). delle navi. E l’effetto partito da un modulo per il trasporto terrestre (su treni e camion) era rimbalzato dopo aver condizionato la forma delle navi all’indietro su tutta la «transport chain» in una forzata razionalizzazione. Tutti questi fattori ne erano stati influenzati: la logistica, i movimenti da e per i porti, la movimentazione del carico nei porti e i relativi mutamenti sociali. Una catena integrata di trasporto che include strade, ponti, ferrovie, organizzazione, distribuzione, persone ed economie.

Le ragioni dello sviluppo

L’industria della costruzione navale e dello shipping in generale ha iniziato a correre più velocemente ai primi anni Settanta sotto l’influenza dello sviluppo scientifico e tecnologico. Ma, la dinamica del cambiamento non era dipendente soltanto dalle innovazioni tecniche, dai talenti inventivi e organizzativi, ma anche da una modifica profonda delle condizioni sociali. Quali erano dunque le idee e le visioni verso gli anni Settanta e Ottanta? Ci si poneva la domanda se il progresso tecnico e quello sociale procedessero davvero alla stessa velocità. Il gigantismo si era già manifestato, ma per ragioni politiche, a causa della chiusura del canale di Suez. Nella crisi del 1974-75, successiva a quella del petrolio e dell’aumento del suo prezzo, vi fu un aumento della consistenza e della capacità di carico della flotta mondiale del 25%. Una sovraccapacità rispetto alle necessità del momento. Ricordiamo il caso della sovraccapacità di trasporto delle supertankers costruite, spesso in proprio senza un cliente, dai cantieri europei e poi inutilizzate e ormeggiate nei fiordi norvegesi in attesa di tempi migliori se

non di demolizione. Si verificò quindi una forte differenza tra i volumi di carico richiesti e una offerta e un tonnellaggio disponibile.

Una situazione simile è di nuovo capitata nel 2007-08. Tra gli operatori armatoriali ci sono sempre delle vittime per ciascuna crisi. Esse sono, infatti, poi superate sempre con azioni per fronteggiare la crescente competizione che è fisiologica in queste situazioni. Le soluzioni sono varie e diverse, ma in genere implicano percorsi con razionalizzazione e progresso tecnico. Un discorso a parte va fatto per le organizzazioni statali, cui in quei momenti non importa il passivo, ma consolidare una presenza, conquistare nuove rotte e mercati con dumping, come fecero, in effetti, i cinesi. In genere alla fine di ogni crisi ci sono nuove tecnologie, razionalizzazione dei servizi e una rinnovata e migliorata organizzazione.

L’adozione di moderne tecnologie nelle nuove costruzioni non è un processo continuo e in generale ciascun armatore esistente introduce nuovo tonnellaggio con produttività incrementale. Allo stesso tempo nuovi armatori si aggiungono ai vecchi, così si spargono i semi di una nuova crisi. Si tratta di un circolo vizioso che spesso il mercato da solo non riesce a regolare bene, come per il mondo industriale, non solo per le navi. Gli aiuti di Stato per mantenere una certa stabilità sono stati necessari e inevitabili anche nelle nostre democrazie occidentali al fine di superare temporaneamente alcune criticità e poi lasciar ripartire armatori e industrie, rinnovati e riorganizzati. Altro fattore che condiziona il mercato sono le differenze tra paesi industrializzati e quelli cosiddetti un tempo «in via di svi-

Evoluzione dimensioni navi

Portacontainers Num. TEU 2.500 5.000 8.000 15.000 26.000 LOA m 215 270 335 370 400

Bulk Carriers DWT (t) 80.000 280.000 360.000 400.000 450.000

Anno (1) 1970 1985 2000 2015 2030

TEU - container standard 20 piedi 20 t DWT - Portata lorda tonnellate metriche

Tabella incremento dimensioni e capacità navi mercantili dal 1970 e previsione al 2030 (elaborazione autore).

luppo». In generale, come già anticipato, il progresso tecnico-scientifico da solo non è in grado, nel campo dello shipping, di risolvere i problemi sociali, politici ed economici del futuro. Ed è proprio l’inseparabile coinvolgimento tra progresso tecnico-scientifico e processi sociali che rende difficile fare previsioni accurate per il futuro. Tre fattori erano stati evidenziati negli anni Settanta come importanti e potrebbero essere validi ancora oggi: — il progresso tecnico procede sempre più velocemente di quanto non sia accaduto in passato, anche se non in

Esempi di confronto di gigantismo anni Settanta di vari tipi di navi effettivamente costruite (wikipedia.it).

tutti campi e non in modo uniforme nei vari paesi. Non vi sono segnali che questo trend possa cambiare; — il tempo che intercorre tra una scoperta scientifica o uno sviluppo tecnologico e una sua applicazione nel settore del trasporti si sta abbreviando; — la scienza, in sé, gioca un ruolo sempre più importante insieme con gli aspetti tecnici e manageriali delle industrie dei trasporti.

Appare come sia sempre più importante, nel mondo dello shipping e delle costruzioni navali, fare scelte tempestive, veloci e attentamente studiate in modo che risultino corrette per qualsiasi nuova situazione. Sbagliare potrebbe significare distruzione di risorse non più disponibili per una seconda chance, e impossibilità di mantenere il passo con i profili competitivi dei concorrenti.

Il recente incidente nel canale di Suez provocato da una nave portacontainer di 400 m e 20.000 TEU con DWT di circa 300.000 t ci ha mostrato diversi aspetti. Ha messo in evidenza l’enorme traffico che transita per il canale. Un’economia globalizzata interconnessa con un impressionante volume di merci e di combustibili trasportati via mare. Un’interruzione di una settimana già rappresenta un problema. Questo da un lato appare come una garanzia di pace e stabilità mondiale, ma sottolinea la debolezza e i colli di bottiglia che esistono nell’economia degli scambi internazionali, che può essere così facilmente disturbata da un evento non previsto o da un voluto attacco asimmetrico. Se si pensa alla Seconda guerra mondiale, dove il canale rimase bloccato per la durata della guerra, bisogna ricordare che la popolazione mondiale era sotto i due miliardi, le economie erano maggiormente autosufficienti e le navi erano intorno a 5.000 t di DWT.

Le aree di evoluzione delle navi e dei trasporti marittimi e fattori limitanti

In parte, le previsioni di 50 anni fa si sono realizzate e in parte no. Si sono realizzati l’incremento delle dimensioni delle navi, i porti automatizzati (in modo molto parziale), le riduzioni del numero di persone di equipaggio, l’aumento della presenza di sistemi elettronici e di ausilio alla navigazione mediante il GPS, il miglioramento degli apparati di propulsione e l’esplosione dell’attività offshore di piattaforme e navi di grandi complessità per trivellazioni ed estrazione di petrolio e gas in mare. Ciascuno di questi risultati di oggi era presente e previsto allora come sviluppo futuro. Essi sono successi dovuti in parte alla sola tecnologia e in parte a spinte di altro tipo che hanno imposto la scelta della nuova tecnologia. Spinte geopolitiche, sociali, economiche e normative. Altre previsioni pur presenti nelle aspettative di allora non si sono invece realizzate. Per esempio, la completa automazione del carico e scarico merci in porti attrezzati. Ancora più fallace si è dimostrata la previsione di una riduzione drastica e generalizzata dei costi di produzione dei mezzi di trasporto (le navi) a seguito di standardizzazioni e produzione di serie. Vi erano infine le idee futuristiche di sviluppo e uso di navi sommergibili o sottomarine di grandi dimensioni per il trasporto di massa di merci e petrolio. A questo filone ottimistico e in fondo ingenuo si collega pure il previsto sviluppo generalizzato di mezzi speciali quali aliscafi, catamarani e SES (Surface Effect Ship, navi a effetto superficie, un’evoluzione prettamente marina dell’hovercraft) (2) e altri mezzi di forme complesse per uso diffuso, grandi dimensioni e rotte lunghe. Tutti caratterizzati da velocità superiori alla media, consumi elevati e poco carico trasportato e tecnologie in parte più vicine La supertanker BATILLUS (414 m e 550.000 DWT) nel bacino dei Chantiers de l’Atlantique a quelle aeronautiche, con necessaria di Saint Nazaires, 1976. Costruita in quattro esemplari tutti demoliti nel giro di una decina di anni (wikipedia.it). maggior manutenzione e complessità e forte condizionamento dalle condizioni

Diagramma indicativo che mostra per varie lunghezze di navi, i diversi materiali da costruzione adatti e le tipologie di propulsione (elaborazione autore).

del mare. Altri sviluppi invece non erano stati previsti affatto e si sono dovuti inserire nei progetti. Il costo crescente dei combustibili fossili, la necessaria ottimizzazione delle navi e riduzione della velocità e le normative di sicurezza, antincendio, falla, antinquinamento (MARPOL), doppio scafo per le tanker e successivamente anche riduzione di SO x, COx, NOx e utilizzo di nuovi combustibili. Per le navi mercantili, i fattori economici hanno spinto ovviamente verso l’innovazione per ridurre i costi di progettazione, di costruzione e di esercizio e per aumentare i ricavi. Spinte su cui le normative internazionali di costruzione, sicurezza e antinquinamento hanno fortemente influito e condizionato i nuovi progetti. Il prezzo dei combustibili in costante aumento dopo la crisi del petrolio del 1973, pur tra oscillazioni di prezzo, insieme con il contenimento delle emissioni inquinanti, ha ridotto le velocità delle navi e ottimizzato i progetti dal punto di vista di forme e propulsioni. Le spinte all’innovazione per le navi militari sono arrivate solo in parte da fattori simili. Su di esse hanno influito di più la velocità estremamente più rapida di innovazione verificatasi negli apparati motori, nei sensori, nelle armi, nell’elettronica e nell’aumento di conoscenze in campi non tradizionalmente navali, oltre alle nuove esigenze di missione.

Dopo tutto quanto già detto, vi sono però i fattori limitanti che sono legati ai materiali, alle tecnologie, ai sistemi propulsivi e alla disponibilità dei vari combustibili che hanno accompagnato l’evoluzione bi-millenaria delle navi come già detto accelerata dall’Ottocento a oggi e qui esaminata solo per gli ultimi 50 anni. A titolo di esempio sono mostrati dei criteri che illustrano in modo intuitivo questi fattori limitanti: — dimensioni e lunghezza delle navi, legato all’uso di differenti materiali e alla tecnologia di collegamento e costruzione; — necessità di materiali sempre migliori all’aumentare

delle dimensioni a causa del fattore limitante peso proprio/resistenza meccanica del materiale; — necessità, per le grandi navi, di acciai con caratteristiche meccaniche elevate che in passato non esistevano. Mentre i nuovi materiali vanno a sostituire il legno sulle piccole e medie dimensioni o su forme speciali.

Altro fattore limitante, sono le diverse tipologie di strumenti di propulsione, che poi hanno relazione anche con il tipo di motore e con il combustibile, per le diverse velocità dei mezzi navali.

Il diagramma, che mette in relazione l’aumento di peso scafo con la lunghezza e il tipo di materiale, mostra in modo intuitivo che di fatto materiali con basse caratteristiche meccaniche non possono essere usati per navi di grandi dimensioni. Significativo inoltre, per comprendere l’importanza del trasporto marittimo e la sua efficienza in termini di energia consumata, il famosissimo diagramma di von Karmann-Gabrielli. Esso mostra la potenza necessaria per trasportare un carico unitario nel confronto con vari tipi di mezzi: terrestri, marini e aerei. Il diagramma in scala logaritmica è immediatamente e intuitivamente leggibile. Come noto, la nave ha il miglior (il più basso) rapporto potenza/per carico trasportato, seguito dai treni su rotaia, trasporto su gomma (TIR) mentre, di gran lunga, il peggiore sotto questo aspetto è il trasporto aereo.

La velocità, ovviamente, per i vari tipi di trasporto è differente. E le maggiori velocità dei trasporti su gomma e degli aeroplani possono essere giustificate solo dall’importanza di particolari merci trasportate e dalle persone. Non sono quindi adatti ai trasporti di massa. E anche dal punto di vista degli attuali criteri antinquinamento queste considerazioni sono importanti, ma non ben comprese. Sui fattori tecnici limitanti le dimensioni delle navi e le loro velocità, la spinta allo sviluppo è dettata comunque sempre da fattori economici tesi a massimizzare le nicchie definite dai vincoli normativi e da situazioni geopolitiche. Diagramma von Karmann-Gabrielli, The price of Speed (Paper 2010 by Jerome Lim, The Wondering Wanderer).

Le illusioni e le visioni fantascientifiche, approssimate o sfocate

Multiscafi, aliscafi, hovercraft, SES, ekranoplani (3), materiali compositi, leghe di alluminio, gigantismo esasperato, navi componibili, energia a basso costo, alta velocità per tutti, soluzioni terrestri o aeronautiche portate in ambiente marino, sono stati tutti sviluppi sperati. Come pure i sommergibili o meglio veri sottomarini commerciali per trasporti di massa di merci e petrolio. Le fantasie avveniristiche sulla forma delle navi e sui possibili nuovi materiali validi per tutte le soluzioni furono dunque, almeno in parte, delle illusioni.La tradizionale forma delle navi è, infatti, un risultato di selezione che si potrebbe definire darwiniana ed è un combinato di compromessi e ottimizzazioni tra capacità di carico, propulsione e attitudine a galleggiare e non rovesciarsi in mari tempestosi e costo di investimento ed esercizio.

Le illusioni furono probabilmente dovute alla focalizzazione entusiasta su un aspetto singolo di novità, che nel progetto divenne predominante sul resto. Basti pensare al limite fisico della velocità per le navi dislocanti. Questo limite si è visto che poteva essere superato per piccole imbarcazioni con carena planante, una carena di forma tale da procurare un sostentamento dinamico allo scafo all’aumentare della velocità, che in tal modo può superare i 40 nodi.

Analoga considerazione per il più evoluto aliscafo ad ali secanti auto stabilizzanti e ad ali totalmente immerse con necessità di stabilizzazione indipendente. Brillanti progetti e ingegneria raffinata, ma limitate dall’aumentare delle dimensioni. Così per i SES e gli hovercraft, i catamarani e i trimarani. Tutte ottime soluzioni, in parte adottate dai mezzi militari, per risolvere una particolare e singola funzione e solo sino a certe dimensioni (4).

Infatti, all’aumentare delle dimensioni, necessarie comunque per ottimizzare i consumi di energia per il trasporto di massa di merci, il monoscafo è l’unica soluzione. L’ingegneria ha trovato nuove forme con disponibilità di nuovi materiali e nuove propulsioni, ma non generalizzabili per un cambio del concetto di nave. Un insuccesso dunque rispetto ad alcune aspettative di rivoluzione del futuro come visto nel 1970. Quanto ai sottomarini, esistevano negli anni Settanta decine di progetti commerciali che erano trattati con serietà e non considerati utopici. È noto che il risparmio sulla resistenza per un sottomarino totalmente immerso, rispetto a una nave di superficie, avviene con velocità sui 18-20 nodi ove la resistenza d’onda sia predominante sulla resistenza di attrito. Tra l’altro migliora con l’immersione e il compromesso ottimale, tra robustezza della costruzione e ottimizzazione della resistenza e della propulsione, fu stimato sui 100 m. Erano stati studiati sottomarini da 170.000 e 300.000 DWT a propulsione nucleare per impiego come tanker (per la ipotizzata maggior semplicità costruttiva) nella rotta artica sotto la calotta ghiacciata.

Per questi progetti commerciali le ipotesi completamente errate non erano quelle tecniche, ma quelle economiche. Infatti, i progetti valutavano allora un investimento da 3 a 5 volte superiore a quello di una nave di superficie e allo stesso tempo stimavano che dopo il giro di boa del

Esempio di trimarano dell’anno 2018, dell’italiano Giancarlo Pedote (wikipedia.it). Esempio di progetto fantasioso (2006) mai costruito, di un traghetto trimarano a 32 knots (archivio autore).

Nella tabella, l’impietoso confronto tra il progetto fantasioso di traghetto trimarano (32 knots) e un traghetto monoscafo da 32 knots prodotto dalla grande industria italiana nel 2000 (elaborazione autore).

secolo (anno 2000) i costi di produzione sarebbero drasticamente scesi sino a uguagliare quelli delle navi di superficie. Previsione largamente lontana dalla realtà.

La drastica diminuzione dei costi di costruzione delle navi, per effetto di improbabili standardizzazioni o costruzioni di serie o modulari, fu dunque un’aspettativa mal posta. In effetti, i costi sono più bassi nel caso di navi standard work-intensive e a basso contenuto tecnologico. Questo si trova in produzioni economiche di scala (grandi volumi) dove il fattore competitivo primario sia la disponibilità di manodopera a basso costo. Le massime riduzioni di costo oggi, raggiunte in far East rispetto alle costruzioni europee, sono al più tra il 25 e il 40 per cento. Ma, le navi, come noto, per un discreto numero di motivi tecnici e di efficacia economica e normativa, non sono costruzioni di serie e sono inserite in un processo produttivo solo parzialmente industrializzabile. Un’altra illusione si è spesso incontrata nel cambio di forme e materiale. Un effetto tipico del cambio di materiale da costruzione e di forma della nave è nella generale diminuzione degli spessori e dimensionamenti strutturali, per avere come risultato un alleggerimento della struttura scafo e quindi benefici sul rapporto propulsione/carico trasportato/costi. Come spiega il diagramma nella pagina seguente, questi alleggerimenti non sono vera conoscenza in più o capacità di calcolo migliore, ma solo sottostima dei carichi sulla nave e sulle nuove forme e riduzione generalizzata e ottimistica dei fattori di sicurezza, e sovrastima delle caratteristiche di resistenza a fatica dei nuovi materiali. Questo porta ovviamente a rotture più frequenti nei punti con concentrazioni di tensione.

Le nuove sfide sui nuovi combustibili e la spinta politica di emissioni zero, lo sviluppo tra

cyber security e unmanned

L’evoluzione dei prossimi anni sarà giocata tra ottimizzazioni delle dimensioni per ciascuna tipologia e specializzazione di nave. Legate a queste ottimizzazioni di forme e dimensioni ci saranno quelle di tutti gli impianti e delle propulsioni con una sempre maggiore integrazione tra ogni fattore. Ma, sarà determinate che lo sviluppo potrà avvenire solo nelle direzioni lasciate libere dai condizionamenti delle nuove normative antinquinamento e anti emissioni dei motori: SO x, NOx, COx, al momento risolvibili solo con il cambio di combustibili. E il cambio di combustibili sarà obbligato dall’abbandono per ragioni politiche dell’uso dei combustibili fossili. La visione dell’IMO (International Maritime Organization), di de-carbonizzazione, al fine di eliminare completamente, anche per il trasporto marittimo, le emissioni di CO2 entro il 2048-50, se possibile, o entro il 2078 o data simile, è illustrato dal diagramma tratto

Diagramma indicativo del limite fisico di resistenza dei materiali in relazione all’aumento di peso (elaborazione autore).

dalla rivista Fairplay. A valle di tale ipotesi si sono accelerati una quantità di studi sull’argomento. Tutto il campo navale si è messo in movimento: l’Industria, le società di classifica, gli armatori, le università e tutti coloro che gravitano sul mondo dello shipping.

Gli studi si concentrano nell’individuare nuovi possibili combustibili per il trasporto marittimo. Non bisogna dimenticare che il trasporto su nave è in ogni caso quello che consuma meno e inquina meno per tonnellata di merce trasportata. Al momento, nelle nostre economie, per la produzione di energia in generale, sono attive tecnologie che utilizzano combustibili quali il carbone, l’uranio per fissione nucleare, il petrolio e derivati, il gas naturale (LNG) e una frazione di rinnovabili. In futuro, da come appare già lo scenario, non potrà esserci un’unica soluzione e un solo nuovo combustibile o fonte primaria, ma il problema probabilmente potrebbe essere risolto solo con tutti i possibili combustibili integrati con tutte le possibili tecnologie, fonti e sistemi di accumulo. E con ottimizzazioni e risparmi ovunque. Essi saranno gas naturale (con carbone catturato), biomasse, eolico, metanolo, idrogeno, ammoniaca, diesel bio-sintetico (5), gas bio-sintetico, batterie elettriche, pannelli fotovoltaici, idroelettrico, centrali solari termiche e ancora uranio per nucleare a fissione. Come combustibili per le navi il problema però si complica. Un esame delle caratteristiche dei possibili combustibili porta, per il trasporto navale, a selezionare solo LNG, metanolo e idrogeno. Per tutti si prevedono, come effetto sul progetto delle navi, importanti riduzioni delle capacità di carico e riduzione della autonomia dell’ordine dell’80 per cento, con necessità di rifornimenti molto più frequenti. L’idrogeno sembrerebbe il più pulito; per le quantità necessarie, evidentemente non può essere trasportato direttamente sulla nave a pressione atmosferica o in contenitori o altri sistemi speciali, dove le quantità sarebbero limitate. E il trasporto in forma liquida richiederebbe temperature di -253°C. In questo scenario l’ammoniaca (NH3), per esempio, potrebbe essere sviluppata come tecnologia nel giro già di cinque-dieci anni. Essa, infatti, si trasporta facilmente liquefatta a -33 gradi e ha una forte concentrazione di idrogeno e quindi sarebbe un possibile vettore dell’idrogeno, da separare a bordo, o direttamente come combustibile essa stessa. È tossica, ma sembrerebbe la più promettente e notevolmente meno co-

stosa tra le varie possibilità. Inoltre, già esistono in giro per il mondo impianti per il carico di ammoniaca da trasportare sulle navi. Una tecnologia di contenimento già nota, ma per arrivare all’obiettivo di avere al 2050 un 50% di abbattimento di emissioni bisognerebbe passare per una decisione politica di tassare i combustibili fossili per rendere il loro costo simile a quello dell’ammoniaca e quindi forzatamente «competitivo» il suo utilizzo. Discorsi difficili, complicati e persino discutibili. Si rischia di non considerare tutte le variabili. Naturalmente la produzione di ammoniaca non è gratis, cioè non è neutra da un punto di vista energetico e di emissioni, e dunque andrebbe fatta con energia elettrica prodotta dal nucleare o da fonti rinnovabili. E con questa considerazione fondamentale tutto quanto diventa ancor più critico e complesso. Lo sviluppo sarà certamente di pari passo sulla strada di una sempre maggiore automazione di tutti gli impianti e apparati di bordo sino ad arrivare a situazioni unmanned. Cui si arriverà molto probabilmente solo per gradi. Prima saranno rese unmanned parti di navi e poi l’intera nave. Tuttavia per scopi mercantili sembra improbabile che possa essere esteso a lunghe rotte in completa autonomia, mentre è molto più probabile un uso intensivo ed esteso come ausilio a un equipaggio sempre più ridotto o per utilizzo in aree pericolose della nave. In sostanza, verso una concezione di pilotaggio della nave avendo come modello l’aeroplano. Con l’aumento dell’automazione e con la costante connessione a sistemi di controllo, anche basati a terra o sui satelliti, la necessità di cyber security per le navi sarà un problema prioritario. Ovviamente lo sviluppo sarà influenzato da fattori, di volta in volta limitanti o facilitanti, economici e geopolitici globali: per esempio possibili modifiche sociali che influenzino la quantità e qualità di merci trasportate e su quali rotte. I fattori che potranno essere di ausilio saranno gli ulteriori sviluppi delle tecnologie mature soggette ai loro limiti fisici insieme con altre tecnologie nuove, ma sempre più integrate. La nave, come noto, integra in se tecnologie tra loro molto lontane, ma tutte indispensabili: da quelle rustiche e mature a quelle raffinatissime di elettronica e automazione. Sulla nave tutto deve convivere e armonizzarsi e resistere nell’aggressivo ambiente marino. Anche i carichi di progetto derivanti dal mare tempestoso e i rischi di falla e incendio sono valutati in modi probabilistici perché impossibili da individuare con precisione come invece accade per le realizzazioni aeronautiche.

Conclusioni

I fattori limitanti, fisici e ingegneristici, illustrati dalle considerazioni sulle tecnologie, sui materiali e sui combustibili, permarranno anche per il futuro, accompagnati da ineludibili fattori economici e sociali. La strada è quindi impostata su decisioni politiche. All’interno degli spazi lasciati dalle decisioni politiche sarà necessaria una generale ottimizzazione tecnica e ingegneristica di ogni fattore, ogni impianto e ogni motore per riduzione a tappeto dei consumi e delle emissioni. Un’evoluzione che porterebbe a un aumento generalizzato del costo della nave, degli impianti di bordo e della loro costruzione e del loro esercizio, che inciderebbero di più sul prezzo della merce trasportata. Dunque, una prevedibile limitazione dei trasporti di merci e di persone e una ridotta velocità delle navi. Il gigantismo probabilmente rimarrà per ottimizzare i costi di trasporto per alcune tipologie di merci. Il grande sviluppo dell’offshore, piattaforme e navi per trivellazioni con tecnologie avanzatissime e grandi investimenti per l’estrazione del petrolio e del gas, potrebbe essere in parte riconvertito. Nuovo focus su altre risorse marine e oceaniche: minerarie, biologiche marine e di produzione di energia rinnovabile. Se le limitazioni all’uso dei combustibili fossili fossero confermate, sembrerebbe purtroppo prevedibile una generale limitazione, de facto, della facilità di trasporto e di spostamento anche per le persone. Ne conseguirà logicamente una riduzione della libertà di spostamento, perché i combustibili alternativi non appaiono al momento né economici né efficaci come quelli fossili. Il risparmio energetico diventerà una necessità per tutti e lo spreco sarà bandito e socialmente condannato. La libertà personale, che ha caratterizzato gli ultimi decenni, strettamente connessa alla possibilità di viaggiare facilmente per il mondo, estesa a tutti e a costo basso, potrebbe esserne influenzata in modo peggiorativo. Una situazione modificabile solo da una futura disponibilità di energia elettrica a basso costo. Appare ancora lontana nel futuro la fusione nucleare, mentre disponibile attualmente, per il «periodo di transizione» apparirebbe solo quella di fissione. I maggiori paesi UE (Germania, Francia, Regno Unito) hanno percentuali maggioritarie di

energia elettrica prodotta con la fissione nucleare e il Giappone percentuali ancora superiori. Per loro potrebbe essere più facile aggiungere una percentuale di rinnovabili insieme con risparmi generalizzati e ottimizzazioni. Non per l’Italia. Per altri paesi non UE le situazioni sono ancora più complesse. Questa disponibilità di energia elettrica non potrebbe essere però direttamente immagazzinata sulle navi, ma solo attraverso dei vettori. E rimarrebbe il problema, come accennato, tutto da studiare, su come immagazzinare e trasportare i nuovi vettori media per il combustibile. Non è chiaro poi se l’abbandono dei combustibili fossili sarà una norma unilaterale e volontaria dei paesi industriali lasciandone altri ancora liberi di utilizzarli. Naturalmente potrebbe esserci l’opzione di tornare a pensare e studiare di utilizzare, per le grandi navi da trasporto su lunghe rotte, la propulsione a energia nucleare da fissione, con tutti i relativi problemi di sicurezza e antiterrorismo. In conclusione, si può immaginare una possibile e ovvia divaricazione tra le navi per trasporti mercantili, soggette alle nuove normative e ai nuovi combustibili, e le navi militari

che per loro necessaria efficacia continuerebbero, per quanto sia possibile ipotizzare, con combustibili fossili. Se si allunga poi lo sguardo al trasporto aereo, non si vedono al momento possibili candidati paragonabili all’uso di combustibili attuali, con costi simili e simili concentrazioni di energia, facilità di immagazzinamento e di utilizzo, con bassa pericolosità. 8 Diagramma indicativo della visione dell’IMO sulla de-carbonizzazione e zero-emission per le navi mercantili (Fairplay e Shipping toward new fuels, view from LR 2020).

NOTE

(1) Per avere un confronto le navi Liberty del 1940-45, impiegate poi nei primi anni dopo la Seconda guerra mondiale, avevano una LOA di circa 135 m e un DWT di circa 4.000-5.000 t e apparato di propulsione con macchine a vapore a triplice espansione. (2) Per un SES invece, che ha mostrato una buona performance su dimensioni dai 30 ai 70 metri si è visto come l’aumento di dimensioni del mezzo porti a insolubili instabilità della bolla d’aria, il cuscino, che sostiene il tutto per effetto della dimensione stessa e del moto ondoso. (3) Ekranoplano è una sorta di nave idrovolante di enormi dimensioni che vola a poca altezza dal mare sfruttando l’effetto suolo. Adatta per trasporto in aree come il mar Caspio. Progetto sviluppato dall’Unione Sovietica negli anni Cinquanta-Ottanta, ma poi abbandonato. (4) I manufatti di contenute dimensioni progettati (o talvolta solo intuiti e selezionati con la pratica e l’esperienza) nascondono la realtà dell’essere sempre sovradimensionati da un punto di vista strutturale. Questo fatto non risulta evidente perché tutto è piccolo e leggero, i costi accettabili e nessuno si ingegna a introdurre un design to cost sul peso. (5) Diesel biosintetico, prodotto con batteri.

BIBLIOGRAFIA

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