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«Winston is back!»

La visione del potere navale di Churchill, attraverso il racconto della sua duplice esperienza all’Ammiragliato britannico

Peter Engels, ritratto di Winston Churchill con la sua famosa frase «Never Surrender» (peterengels.eu).

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Daniele Panebianco

Entrato in Accademia navale nel 1990, ha servito sia a bordo di numerose unità navali, sia in diversi Staff multinazionali. Ha partecipato a molteplici attività e operazioni militari a livello nazionale, NATO, UE e Nazioni unite, in diverse aree di rilevante importanza geostrategica, quali il Mediterraneo, i Mari del Nord-Europa, il Medio Oriente, il Golfo Persico. Specializzato in contromisuremine navali, è stato il comandante del cacciamine Gaeta e della Squadriglia Dragamine Costieri 54. Più di recente, ha ricoperto l’incarico di capo Sezione superiorità conoscitiva presso il Centro innovazione dello Stato Maggiore della Difesa, di Consigliere per l’attuazione del programma di governo del ministro della Difesa del «primo Governo Conte» e, attualmente, presta servizio presso il 3° Reparto dello Stato Maggiore della Marina nell’Ufficio Relazioni interministeriali e coordinamento con il territorio. Laureato in «Scienze Marittime e Navali» e «Scienze Politiche», collabora con la Rivista Marittima e dal 2020 è il relatore della Masterclass su «la sicurezza marittima» nell’ambito del Corso di laurea in Difesa e Sicurezza presso la Link Campus University di Roma.

Con questo articolo l’autore intende condividere le risultanze di alcune ricerche effettuate al fine di approfondire la vocazione marittima e la visione del potere navale di Winston Churchill, uno dei più grandi statisti (e non solo) del XX secolo. La singolare determinazione, una non comune resilienza caratteriale, l’amore per la Storia e il progresso tecnologico, la spiccata capacità di adattamento alle più variegate sfide poste da un secolo vissuto da protagonista — caratterizzato da due conflitti mondiali e da una continua rivoluzione industriale — hanno portato Churchill a essere l’innovatore, il visionario e lungimirante stratega che si è dimostrato.

Settembre 1939, la nota di Neville Chamberlain

Alle 11:15 a.m. del 3 settembre 1939 il primo ministro inglese, Neville Chamberlain, annunciò con messaggio radio-diffuso tramite la British Broadcasting Corporation (BBC), che la Gran Bretagna era entrata formalmente in guerra contro la Germania di Adolf Hitler.

Al momento della diffusione, Winston Churchill era in casa, quando la moglie, Clementine «Clemmie» Hozier lo raggiunse nella stanza in cui si trovava. Poco dopo sentirono le sirene di allarme e, insieme, si recarono nel rifugio che era stato loro assegnato. Winston portò con sé i suoi sigari e una bottiglia di brandy, e aspettò con la moglie e gli altri londinesi il cessato allarme. Lasciato il rifugio, continuò la sua giornata lavorativa, recandosi, come al solito, all’House of Commons, la Camera dei comuni, cioè la Camera bassa del Parlamento inglese.

Non appena giunse a Westminster, trovò una nota di Chamberlain con cui gli chiedeva di andare a trovarlo. Il Primo ministro gli disse di aver letto con attenzione tutte le lettere che gli aveva indirizzato, nel tempo, con le sue precise analisi geostrategiche e suoi avvisi sul crescente pericolo che si stava abbattendo sulla Gran Bretagna e, per usare le stesse parole di Churchill, sulle «western democracies», le democrazie occidentali. Poiché i liberali non lo avrebbero né sostenuto né avrebbero fatto parte di una coalizione governativa, Chamberlain, allora leader dei conservatori, offrì a Churchill l’opportunità di entrare a far parte del Governo e del Consiglio di Guerra in qualità di First lord of Admiralty (ministro della Marina).

«È più facile emanare direttive che fare raccomandazioni, e possiamo convenire che è meglio avere un mandato per agire, anche se in un ambito limitato, anziché limitarci a parlare a moltitudini», scriverà in The gathering storm, La tempesta in arrivo, il primo dei sei volumi che compongono The Second World War, le sue memorie di guerra, da cui questo articolo trae buona parte dei contenuti.

Nessuno comunicò ancora a Churchill quando avrebbe formalmente ricevuto la nomina da Re Giorgio VI, nomina che sarebbe arrivata due giorni dopo quel 3 settembre del 1939. Winston pensò subito che le prime ore di guerra sarebbero potute essere cruciali per il futuro della Gran Bretagna e decise così di recarsi, quello stesso giorno, nel luogo che venticinque anni prima era stato già il suo ufficio, sempre come Primo lord dell’Ammiragliato.

Fece sapere che sarebbe arrivato alle 6:00 p.m. Appreso ciò, lo Stato Maggiore della Marina di Sua Maestà segnalò alla Flotta: «Winston is back!», come lo stesso Churchill riporterà nelle sue memorie, anche se non è stata storicamente confermata l’emissione di questo messaggio da parte dell’Ammiragliato.

Una vita straordinaria

Winston Leonard Spencer Churchill (30/11/187424/01/1965) è probabilmente il più importante, famoso ed eclettico uomo politico del XX secolo, uno dei più strenui difensori delle democrazie europee nel momento in cui queste furono messe in serio pericolo dal dilagare del nazifascismo, e uno dei protagonisti decisivi delle sorti del Secondo conflitto mondiale. Eppure la sua carriera politica è stata caratterizzata da diversi fiaschi, taluni passati alla storia come veri e propri disastri, il più noto dei quali rimane la sconfitta

di Gallipoli nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, come vedremo, un fronte aperto per volontà dello stesso Churchill per indebolire la Germania.

Se il ruolo di Churchill nella concezione dell’attacco a Gallipoli era ben definito, la sua responsabilità nell’organizzazione e condotta delle operazioni è rimasta molto più controversa. In ogni caso, la sconfitta di Gallipoli intaccò sensibilmente e durevolmente la sua reputazione. Churchill, comunque, non era nuovo alle sconfitte, ma le sue straordinarie doti caratteriali, tra cui forza di volontà e determinazione non comuni, lo aiutarono nelle rapide riprese e nel ricercare le proprie rivincite.

Su questo grandissimo personaggio sono state scritte migliaia e migliaia di pagine da moltissimi autori, tra cui Andrew Roberts, Christopher M. Bell, Martin Gilbert, Roy Jenkins e perfino se stesso nelle sue Memoirs, memorie della Seconda guerra mondiale, che contribuirono all’attribuzione del Nobel per la letteratura, conferitogli, come riporta il sito web ufficiale del prestigioso premio

Winston Churchill, qui ritratto con la moglie Clementine (International Churchill Society) e, in alto, assieme a Neville Chamberlain, all’epoca Primo ministro inglese. Nella pagina accanto: Churchill in uniforme all’età di 21 anni (wikipedia).

svedese (nobelprize.org),

«forhis mastery of historical and biographical description as well as for brilliant oratory in defending exalted human values» («per la sua padronanza nelle descrizioni storiche e biografiche, e per la brillante oratoria nel difendere gli alti valori umani»).

Churchill è universalmente noto per il suo determinate ruolo durante la Seconda guerra mondiale, senza il quale non sarebbe stata possibile la strenua resistenza britannica alla Germania nazista, per i suoi celeberrimi discorsi (tra cui we shall fight on

the beaches, combatteremo sulle spiagge, del 4/06/1940, pronunciato dopo l’evacuazione di Dunkerque, o l’altrettanto celebre discorso di Fulton del 1946 sulla iron curtain, la cortina di ferro), per la sorprendente resilienza psico-fisica nonostante fosse un accanito fumatore di sigari, amante delle bevande alcoliche e conducesse una vita sedentaria (più volte il suo cuore stette per cedere), e per aver ricevuto, come detto, un Premio Nobel nel 1953.

Oltre che letterato e uomo politico, era stato anche giornalista, militare, storico, pittore. Educato presso la celebre scuola di Harrow, dalla quale scriveva ai suoi genitori, soprattutto alla madre, l’attrice americana Jennie Jerome, lettere accorate cariche di nostalgia, nel 1893 venne ammesso all’Accademia militare di Sandhurst. Nel 1898 partì come osservatore di guerra al seguito dell’Esercito spagnolo incaricato di reprimere la rivolta di Cuba. Ma la sua notorietà si accrebbe durante la guerra anglo-boera, cui partecipò come corrispondente giornalistico, quando, fuggito dal campo di prigionia, invece di ritornare in patria, dove sarebbe stato accolto da eroe, volle tornare in prima linea. Grazie alla sua fama, a soli 26 anni entrò in Parlamento tra le fila del partito Conservatore. Nonostante un marcato difetto di pronuncia, che lo rendeva a volte incomprensibile anche ai suoi stessi collaboratori diretti, e dotato di un carattere difficile (lui stesso si definì «bad-tempered», dal cattivo temperamento), è stato un ottimo oratore, e, soprattutto, molto amato dalla gente.

Cominciò la scalata al potere divenendo sottosegretario alle colonie, poi ministro del Commercio e infine, nel 1910, degli Interni. In tale veste, nel gennaio del 1911, volle essere presente all’«assedio di Sidney Street» a Londra, dove, in un palazzo, si erano asserragliati dei malviventi che avevano ucciso tre poliziotti. Churchill decise di presenziare direttamente agli scontri. Sebbene non assunse il diretto comando delle operazioni, il biografo Roy Jenkins ha affermato che si recò sul luogo perché «non poteva resistere alla tentazione di trovarsi al centro della mischia». La sua presenza tuttavia attirò molte critiche. A un certo punto, l’edificio prese fuoco e Churchill supportò la decisione di negare ai pompieri l’accesso, per costringere la banda ad arrendersi. Dopo un’inchiesta, il leader dell’opposizione Arthur James Balfour affermò: «Lui e il fotografo stavano entrambi rischiando vite preziose. Capisco il fotografo, ma cosa ci faceva lì l’onorevole Ministro?». La vicenda, che ebbe ampia risonanza, contribuì ad accrescere la fama di Winston come ministro iperattivo e non convenzionale (1).

Sempre nel 1911 divenne Primo lord dell’Ammiragliato, un incarico che perse a seguito del fiasco di Gallipoli. Malgrado ciò, fu ben presto richiamato al governo come ministro per le Munizioni e poi segretario di Stato per la Guerra e l’Aviazione. Nel 1922, in seguito alla sconfitta elettorale dei liberali, perse il seggio parlamentare. Ancora una volta la sua carriera sembrò terminare, ma rientrato nel partito Conservatore ottenne, nel 1924, la carica di cancelliere dello Scacchiere, che era già stata del padre, la sua figura politica di riferimento e di confronto. Gli anni Trenta, che lui stesso definì «wilderness years», «gli anni della desolazione», furono una triste parentesi nella sua vita politica poiché segnati dalla profonda emarginazione da parte degli stessi conservatori, a causa delle sue posizioni su talune questioni contrarie a quelle della leadership del partito. Fu il suo intuito sulla reale minaccia del nazismo a riportarlo in auge. Verso la fine del decennio si dichiarò sempre più contrario alla politica di «appeasement» («pace a tutti i costi») — introdotta dagli ex premier Baldwin e MacDonald e portata avanti anche da Chamberlain — convinto che tale politica avrebbe indotto Hitler ad alzare sempre di più la posta, avanzando maggiori pretese, come poi di fatto accadde. Quando Chamberlain, per la pressione dell’opinione pubblica, fu costretto a dimettersi, i conservatori guardarono a Churchill come nuovo leader, poiché era l’unico esponente del partito carismatico, ma soprattutto gradito all’opposizione guidata dal leader laburista Clement Atlee, un combinato che avrebbe garantito la formazione di un governo di unità nazionale nell’«ora più buia» della Gran Bretagna.

Benché non avesse alcuna fiducia in Stalin, alla rottura da parte dei tedeschi del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop (siglato il 23 agosto 1939), lavorò per creare the great Alliance, ovvero l’alleanza tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna che, grazie alla sua magistrale opera di mediazione, amalgama e raccordo, portò alla sconfitta del nazi-fascismo.

Finita la guerra, non fu rieletto subito, ma tornò in carica per un secondo mandato come Primo ministro, dal 1951 al 1955. Morì il 24 gennaio 1965 all’età di 90 anni, lo stesso giorno del padre Randolph, scomparso 70 anni prima.

1911, approdo all’Ammiragliato, le prime riforme e innovazionistrategiche

Quando, dunque, nel 1911, a soli 37 anni, Winston occupò la posizione di vertice politico della Royal Navy nel governo del liberale Asquith, la Gran Bretagna era ancora la dominatrice dei mari. Come ministro della Marina, egli propugnava, senza sosta, la necessità di dare alla flotta britannica un ruolo importante nella condotta delle ostilità. Un approccio che nel 1940, da Primo ministro, attuerà con fortissima convinzione e veemenza anche per la Royal Air Force, sostenendo strenuamente l’importanza del Potere Aereo e dell’air mastery, la superiorità aerea sul nemico, condizione necessaria, insieme al command of the sea, al comando del mare, per vincere, a partire da quella che lui stesso aveva battezzato «la Battaglia d’Inghilterra», ovvero l’accanito tentativo di Hitler di invadere e conquistare l’isola britannica. Orgoglioso dei piloti inglesi, nel discorso del 20 agosto del 1940 pronunciò una delle sue frasi più celebri, «Never in the field of human conflict was so much owed by so many to so few», «mai nei conflitti umani così tanto fu dovuto da molti a così pochi», riferendosi al ruolo fondamentale dei coraggiosi piloti della nuova forza aerea di Sua Maestà nel contrasto alle continue e feroci incursioni tedesche nei cieli domestici e alle loro cruciali azioni che portarono alla conclusione con successo, tra le altre, dell’operazione Dynamo, l’evacuazione delle truppe anglo-francesi da Dunkerque a fine maggio-inizio giugno 1940.

Tornando al 1911, il suo primo atto da ministro della Marina fu la sostituzione di tutti i lord commissari. Con l’aiuto del nuovo First sea lord, Capo di Stato Maggiore della Marina, Sir Francis Bridgeman, creò uno Stato Maggiore e diede impulso a molte riforme. Questa sua predisposizione verso «la scienza dell’organizzazione», lo avrebbe supportato da Primo ministro, quando cioè creerà il primo Gabinetto con

La corazzata HMS QUEEN ELIZABETH (en.wikipedia.org). Accanto: la prima pagina del Daily Mail, all’epoca del «disastro» di Gallipoli

(dailymail.co.uk).

a capo un generale di sua personale fiducia (Hasting Ismay), quale raccordo tra la sfera politica e la sfera militare per le operazioni in guerra, per il cui miglior funzionamento eleverà, nel 1939, il sotto-comitato del Committee of Imperial Defence (CID), creato nel 1923, a Joint Chiefs of Staff Committee, organo militare consuntivo del War Cabinet composto dai Capi di Stato Maggiore di Forza armata (l’ammiraglio Pound — alla cui scomparsa succedette l’ammiraglio Cunningham — per la Marina; il generale Brooke per l’Esercito; il generale Portal per l’Aeronautica), con segretario il Capo di Gabinetto (Generale Ismay). Un organo creato allora e a tutt’oggi adottato in tutti i consessi militari mondiali e che per la nostra Difesa coincide con il «Comitato dei Capi di Stato Maggiore», il «CoCapi», come lo chiamano gli addetti ai lavori, previsto dal Codice per l’Ordinamento Militare (COM), quale organo di consulenza del Capo di Stato Maggiore della Difesa, che lo presiede, mentre ne fanno parte il Segretario generale della Difesa, i Capi di Stato Maggiore di Forza armata e il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.

Durante il primo mandato di ministro della Marina, Winston fu un pioniere dello sviluppo dell’aviazione di Marina (prese lui stesso lezioni di volo), ordinò la sostituzione delle bocche da fuoco navali con le nuove da 381 mm, fece approntare nuove classi di navi, come le dreadnought (che tradotto significa «non temo nulla»), ovvero le corazzate monocalibro della classe «Queen Elizabeth», e gli incrociatori leggeri con cannoni da 152 mm della classe «Arethusa», che saranno ancora in servizio durante il suo secondo mandato all’Ammiragliato. Un’altra scelta decisiva fu quella di modificare i motori delle navi militari, passando dalla propulsione a carbone a quella a gasolio. Per assicurare l’approvvigionamento di petrolio, da cui, come noto si deriva il gasolio, Churchill negoziò e fece approvare alla Camera dei Comuni un contratto di acquisto da parte dello Stato della quota del 51% della Anglo-Iranian Oil Company, con diritto di utilizzazione di tutto il petrolio estratto dalla compagnia. Riguardo alla corsa agli armamenti avviata dalla Germania, Churchill inizialmente propose di negoziare una moratoria di un anno alla costruzione di nuove navi da guerra, ma la proposta non fu considerata realistica. Nel 1912, in risposta alla legge navale tedesca di quell’anno, che aumentava considerevolmente la flotta, Churchill propose al Gabinetto di finanziare la costruzione di due navi per ogni nuova nave tedesca, allo scopo di mantenere la superiorità navale sulla Germania. Il piano di riforme navali di Churchill del primo Novecento fu ispirato dall’ammiraglio John «Jakie» Fisher, che per molti anni era stato il motore dell’innovazione della Royal Navy e che aveva sostenuto molte delle riforme dello stesso Churchill, come il passaggio dal carbone al petrolio e la costruzione di navi più potenti (2).

Tuttavia, il primo ruolo politico di Winston a capo dell’Ammiragliato rimarrà macchiato, come anticipato, dall’attribuzione della responsabilità della sconfitta di Gallipoli del 1915 a seguito del tentativo di forzare gli stretti turchi, posto in essere per far capitolare l’Impero ottomano, alleato della Germania; una severa sconfitta strategica che si concluse con delle perdite militari molto pesanti e una ritirata decisamente poco gloriosa.

Il tentativo di forzamento degli stretti turchi costò, infatti, circa 46.000 morti e 86.000 feriti nei ranghi dell’Intesa, causando indirettamente la morte di 258.000 soldati per malattia. Per quanto riguarda l’Esercito ottomano, valutare le perdite è molto più difficile. Esse sembrano essere state inferiori in combattimento ma superiori se si tiene conto delle perdite dovute alle epidemie e ai feriti mal curati (3).

1931-38, il profeta inascoltato

Allo scoppio del Secondo conflitto mondiale, a parte Winston, tutti gli altri ministri del governo di Neville Chamberlain erano stati parte attiva della vita politica del Regno Unito per buona parte degli anni più recenti, o erano stati coinvolti negli eventi che avevano determinato quella situazione. Antony Eden, tra gli esponenti più significativi del partito Conservatore e molto apprezzato da Churchill per le sue posizioni contro la ricerca di compromessi e accordi con Hitler, si era dimesso dalla carica di ministro degli Esteri nel 1938, anche lui in polemica con la politica di appeasement propugnata da Chamberlain. Ricordiamo che, in qualità di ministro degli Esteri, Eden era stato anche il maggiore sostenitore dell’applicazione

di sanzioni petrolifere contro l’Italia di Mussolini, imposte dalla Società delle Nazioni tramite la sua Assemblea a seguito dell’invasione italiana dell’Etiopia; posizione questa che il Duce, ancora neutrale, ricordò successivamente a Churchill nella lettera di risposta a quella con cui lo stesso Churchill, poco dopo essere stato nominato primo ministro, auspicava il non ingresso in guerra dell’Italia. Il 18 maggio 1940, Mussolini, tra l’altro, scriveva «senza andare troppo indietro nel tempo, Le ricordo dell’iniziativa presa dal Suo governo nel 1935 per imporre a Ginevra le sanzioni contro l’Italia (…)» (4).

Messo politicamente da parte a causa delle sue posizioni sull’India in contrasto con quelle del capo dei conservatori e più volte primo ministro Lord Baldwin, a partire dal 1931 Winston, come accennato, attraversò il periodo peggiore della sua vita politica, gli wilderness years. Nonostante ciò, continuò a indirizzare i suoi sforzi per sensibilizzare il governo sul pericolo rappresentato dalla Germania nazista, uno sforzo che lo solleverà dal sentirsi responsabile delle cause che avrebbero portato alla guerra. Anzi, ci tenne a sottolineare che negli ultimi sei/sette anni era continuativamente stato il «prophet of evils which had now in large measure come to pass», «il profeta del male che adesso era arrivato in larga misura». Adesso, ritornato politicamente in auge, ancorché accompagnato dal suo stato depressivo (amplificato da Gallipoli) che lui chiamava black dog (cane nero), sentiva tutto il peso della responsabilità sulle proprie spalle, ed era conscio che avrebbe avuto bisogno non solo della conoscenza, ma anche di tutto lo «zelo ed energia mentale» possibili. A questo scopo, ricorse al metodo che aveva usato negli anni 191415 che, a suo dire, estendeva la sua capacità di lavoro giornaliero, ovvero ritagliarsi almeno un’ora di riposo pomeridiano ogni giorno. In tal modo, come racconta nelle sue memorie, era in grado di comprimere un giorno e mezzo di lavoro in uno. E in effetti, questa sua abitudine, all’apparenza stravagante, come Churchill assieme al ministro degli Esteri, Antony Eden (wikipedia). Nella pagina accanto: un dragamine della classe «Halcycon» (halcyon-class.co.uk). altre nella sua vita, è una costante nei vari film che, anche di recente ci hanno presentato i momenti più significativi della vita di questo straordinario personaggio del secolo scorso, da Churchill (2017) di Jonathan Teplitzky, al più noto, sempre dello stesso anno, The darkest hour di Joe Wright, premiato, tra gli altri, con l’Oscar nel 2018.

3 settembre 1939, il ritorno all’Ammiragliato

Dopo esattamente un quarto di secolo, Winston tornò, dunque, come lui stesso scrisse, «nella stanza che avevo lasciato con dolore e amarezza, quando le dimissioni di lord Fisher (First sea lord dal 1914 al 1915, ndr) porta-

rono alla mia rimozione come Primo lord dell’Ammiragliato, rovinando irrimediabilmente l’importanza del concetto operativo del forzamento dei Dardanelli» (5).

Alcuni metri dietro la vecchia sedia del ministro della Marina osservò che era ancora presente la bacheca di legno che poco più di venticinque anni prima aveva fatto sistemare per fissare le carte geografiche attraverso cui aveva seguito l’evolversi delle dinamiche marittime della Grande guerra, per crearsi quella che noi oggi definiamo la Maritime Situational Awareness, la «MSA», ovvero il quadro della consapevolezza situazionale marittima.

In quel momento, osservando che addirittura era rimasta appesa la carta del Mare del Nord, richiamò alla mente quando ogni giorno vi faceva riportare la situazione delle navi tedesche.

L’attuale Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Dudley Pound (che Churchill aveva conosciuto durante il suo primo mandato tra gli assistenti più fidati di lord Fisher), gli fece subito visita e Winston pensò alle critiche che lui stesso aveva sollevato in parlamento nei confronti di Pound, per la disposizione della Mediterranean Fleet (allora sotto il suo comando) durante la guerra di Spagna per fronteggiare i complessi problemi creati dall’embargo e dalla guerra navale non dichiarata dei sommergibili italiani nel Mediterraneo a supporto delle forze nazionaliste.

Churchill e Pound adesso si incontravano «come colleghi, dalle cui relazioni ravvicinate e fondamentale accordo sarebbe dipeso il regolare e fluido svolgimento delle attività della vasta macchina dell’Ammiragliato». Winston trascorse buona parte della notte di quel 3 settembre incontrando l’alta dirigenza dell’Ammiragliato (i sea lord), e dalla mattina del giorno successivo era già in grado di «mettere le proprie mani negli affari navali». Era, infatti, sicuro di poter contare anche sui risultati del suo impegno dal termine della sua prima esperienza come Primo lord nella raccolta di un’immensa mole di informazioni e dati sulla marittimità e sulla guerra navale, e sui successivi studi di approfondimento e scrittura sulle questioni marittime. Su di esse, aveva ripetutamente parlato alla Camera dei Comuni, mantenendo buoni e stretti rapporti con l’Ammiragliato che, nonostante le critiche ricevute negli wilderness years, gli aveva permesso di essere messo a conoscenza di taluni segreti. Gli anni spesi nel Comitato per la Ricerca sulla Difesa aerea (1935-39) gli permisero di accedere agli studi sulle più moderne e innovative tecnologie, tra cui il radar, che adesso aveva un impatto vitale sulla Marina, e il precursore del moderno sonar, l’Asdic (Anti-submarine device), come si chiamava allora.

Le innovazioni nelle contromisure mine navali

La particolare poliedricità, determinazione e volontà realizzativa resero, dunque, Churchill anche un valido innovatore. Nel dominio navale, oltre ad aver promosso il già citato ammodernamento e potenziamento della flotta alla vigilia della Prima guerra mondiale e lo sviluppo di nuovi sensori e armamenti, nel secondo mandato a capo dell’Ammiragliato si interessò in particolar modo alla guerra di mine, dal punto di vista sia del loro utilizzo per ridurre la capacità di proiezione di potenza tedesca, come nel caso dell’operazione Royal Marine (minamento dei fiumi e coste tedeschi), sia delle contromisure per proteggere il naviglio. Trattandosi di una materia a noi particolarmente cara, avendo trascorso nella Componente di Contromisure mine nazionale oltre 16 anni, ci soffermeremo su queste ultime, anche perché nel primo volume delle sue Memoirs, Winston vi dedica l’intera Appendice «M» (riteniamo la scelta della lettera «M» possa non essere un caso; anche la «Tabella M» del libro dei segnali tattici della NATO «ATP-1 Vol. II» riguarda la Mine Warfare, la «MW»).

Nel 1936, un apposito Comitato tecnico-scientifico dell’Ammiragliato aveva studiato delle contromisure contro i dispositivi di attuazione delle mine magnetiche. Come lo stesso Churchill scrisse, «è noto che tutte le navi co-

struite con ferro contengono del magnetismo permanente e indotto (6); il campo magnetico risultante può essere forte abbastanza da attivare il meccanismo di fuoco di una mina all’uopo progettata e posata sul fondo marino». Il lavoro del Comitato era stato diretto in prevalenza sui siluri e le mine ormeggiate (cioè galleggianti e tenute in posizione da un ormeggio) che utilizzavano sensori magnetici, senza tuttavia comprendere la maggiore pericolosità delle mine da fondo che, in base alla quota di posa, erano (e lo sono tutt’oggi) in grado di infliggere danni molto più ingenti rispetto ai primi due. Lo stesso Churchill, per evidenziare la gravità di questa minaccia, annotò nelle sue memorie che, tra settembre e ottobre 1939, le perdite di naviglio alleato e neutrale per le mine navali ammontava a 56.000 t. Tra i suoi appunti, si legge che una notte, mentre si trovava nella sua residenza di Chartwell, l’ammiraglio Pound lo andò a trovare molto preoccupato poiché ben sei navi erano appena state affondate all’ingresso nel Tamigi. La gravità di tale notizia era dovuta al fatto che, poiché ogni giorno centinaia di navi uscivano ed entravano dai porti inglesi, come Churchill scrisse, «la loro stessa sopravvivenza sarebbe dipesa da quei movimenti».

Sebbene le caratteristiche dei congegni di attivazione delle mine magnetiche e acustiche tedesche erano note prima dell’inizio delle ostilità, fu solo dopo il recupero di una mina inesplosa a Shoeburyness, una cittadina della Contea di Essex, il 23 novembre 1939, che gli specialisti inglesi poterono verificare la bontà della loro conoscenza pregressa su questo tipo di ordigno (7). Come prima necessità, Churchill intravide quella di concentrarsi sullo sviluppo di efficaci contromisure. Diede pertanto le sue due priorità: a) ricercare nuovi metodi di dragaggio (minesweeping); b) dotare tutte le navi di sistemi di protezione passiva contro le mine rimaste non bonificate nei canali realizzati per il transito in sicurezza. «L’intero potere e la scienza della Marina erano adesso applicati». Per la difesa contro le mine magnetiche era necessario creare un campo magnetico nelle vicinanze dell’ordigno di intensità tale da attivare il meccanismo di fuoco e far detonare la mina a distanza di sicurezza dal dragamine. Fu fatta entrare in servizio come nave-esperienza un’unità approntata all’inizio del 1939 per la distruzione delle mine, cui furono installate due potenti appendici elettromagnetiche a prua, in modo da attivare le mine prima che il dragamine sopraggiungesse sulla verticale dell’ordigno. Furono registrati alcuni successi, ma col tempo ci si rese conto che quel metodo era poco efficace per operazioni di dragaggio magnetico su larga scala.

Al contempo, furono sviluppate nuove apparecchiature basate su cavi attraversati da corrente ad alto voltaggio da trainare sia a poppa di mezzi navali dal basso pescaggio, sia da aeroplani che volavano a bassa quota, ma quest’ultima tecnica fu abbandonata a causa dei rischi che presentava per gli aerei. Lo sviluppo di vere e proprie Airborne Mine Counter Measures (AMCM), le contromisure mine aviotrasportate, avverrà alcuni decenni più tardi, grazie all’avvento degli elicotteri, dimostratisi idonei al traino di particolari apparecchiature di dragaggio realizzate con materiali ultraleggeri. Oggi, diverse Marine militari dispongono di AMCM, tra cui la US Navy e la Japan Maritime Self Defence Force.

Alla fine, visto l’elevato rapporto efficacia/sicurezza per il mezzo di contromisure mine, fu portato avanti il cosiddetto «metodo L.L.», secondo cui l’apparecchiatura di dragaggio era costituita da lunghi cavi dritti (i «tails»), trainati da piccole unità. La corrente ad alto voltaggio veniva fatta scorrere secondo determinati intervalli di tempo, in modo che la detonazione della mina avvenisse a una certa distanza di sicurezza dal dragamine. Il problema che incontrarono gli ingegneri, ci racconta Churchill, fu quello di rendere i cavi galleggianti. Alla fine, la soluzione fu trovata adattandovi delle palline da tennis sigillate.

A partire dall’autunno 1940, i tedeschi introdussero l’utilizzo delle mine acustiche, il cui dispositivo di attivazione utilizzava il rumore indotto nell’acqua dai propulsori e dalle vibrazioni dello scafo delle navi in transito sulla verticale dell’ordigno. L’Ammiragliato si attendeva l’utilizzo di questi nuovi sensori già da tempo, per cui non si fece trovare impreparato. Fu realizzato un meccanismo che produceva rumore dalle caratteristiche e intensità affini a quelle di una nave con un determinato tonnellaggio, sempre rispettando il vincolo di far detonare la mina a distanza di sicurezza dal dragamine. Dei dispositivi costruiti e testati, il più efficace si dimostrò il martello vibrante «Kango», sistemato in un pozzetto allagato posizionato sotto la chiglia del dragamine, a similitudine degli alloggiamenti dove oggi sono sistemati i sensori acustici dei sonar dei moderni cacciamine. Il successo di questo me-

todo dipendeva dall’individuare la corretta frequenza sonora e, anche questa volta, l’aver trovato e recuperato alcune mine acustiche tedesche inesplose nel canale di Bristol, tra l’ottobre e il novembre 1940, permise agli inglesi di avere successo contro questo tipo di ordigni. Le apparecchiature acustiche furono utilizzate in combinazione con quelle magnetiche, dando origine, in tal modo, al dragaggio «magneto-acustico», una tecnica di contromisure mine che abbiamo studiato durante il Corso di specializzazione nella Guerra di Mine presso l’Accademia navale di Livorno, nell’ormai lontano 1998, a oltre sessant’anni di distanza dal tempo in cui queste tecnologie e tattiche d’impiego prendevano forma e sostanza.

Sotto la guida di Churchill, l’Ammiragliato sviluppò ulteriori apparecchiature per la difesa passiva delle navi dalle mine magnetiche, anche se una protezione totale da questi ordigni soprattutto nei bassi fondali, non poteva (e non può a tutt’oggi) essere garantita. Si trattava della «demagnetizzazione» o «degaussing», termine coniato dagli inglesi, come ci racconta lo stesso Churchill (8), una tecnica tuttora utilizzata e realizzata tramite l’apposizione di spire intorno allo scafo, all’interno delle quali viene fatta scorrere corrente elettrica al fine di produrre un campo magnetico indotto tale da annullare gli effetti di quello generato dalla nave. Un’altra tecnologia che gli inglesi introdussero in quel periodo, sempre su impulso di Churchill, fu il «wiping», ancora utilizzata ai giorni nostri e che noi conosciamo con il termine «deperming». Come lo stesso Churchill lo descrisse, era un «degaussing» più semplice, consistente nel posizionare un grosso cavo elettrico lungo lo scafo e farlo attraversare da una corrente ad alto voltaggio, in modo da compensare gli effetti del campo magnetico dell’unità, da attuare poco prima della partenza di una nave. Poiché si trattava di una misura temporanea, questa procedura andava ripetuta a intervalli di tempo dell’ordine di alcuni mesi. Churchill annotò che il «wiping» «si dimostrò di particolare valore durante l’evacuazione di Dunkerque, quando così tante piccole e variegate imbarcazioni, non utilizzate normalmente per la navigazione d’altura, stavano operando in prossimità dei bassi fondali delle coste del Canale (della Manica)» .

Winston credette molto nella Componente di contromisure mine navali, al punto che ne riconobbe il merito mandando uno specifico messaggio agli ufficiali e gli uomini della Squadriglia dragamine e scrivendo nelle sue memorie: «La vittoria finale è stata un tributo agli incessanti sforzi di tutto il personale coinvolto».

MESSAGE FROM THE PRIME MINISTER

TO THE OFFICERS AND MEN OF THE MINESWEEPING FLOTILLAS

NOW THAT NAZI GERMAN HAS BEEN DEFEATED I WISH TO SEND YOU ALL ON BEHALF OF HIS MAJEST’S GOVERNMENT A MESSAGE OF THANKS AND GRATITUDE.

THE WORK YOU DO IS HARD AND DANGEROUS. YOU RARELY GET AND NEVER SEEK PUBLICITY; YOUR ONLY CONCERN IS TO DO YOUR JOB, AND YOU HAVE DONE IT NOBLY. YOU HAVE SAILED IN MANY SEAS AND ALL WEATHERS ... THIS WORK COULD NOT BE DONE WITHOUT LOSS, AND WE MOURN ALL WHO HAVE DIED AND OVER 250 SHIPS LOST ON DUTY.

NO WORK HAS BEEN MORE VITAL THAN YOURS; NO WORK HAS BEEN BETTER DONE. THE PORTS WERE KEPT OPEN AND BRITAIN BREATHED. THE NATION IS ONCE AGAIN PROUD OF YOU.

W.S. CHURCHILL

ADESSO CHE LA GERMANIA NAZISTA È STATA SCONFITTA, DESIDERO INVIARE A VOI TUTTI A NOME DEL GOVERNO DI SUA MAESTA’ UN MESSAGGIO DI RINGRAZIAMENTO E GRATITUDINE.

IL LAVORO CHE FATE È DURO E PERICOLOSO. RARAMENTE VI VIENE DATA E MAI CERCATE LA FAMA. LA VOSTRA UNICA PREOCCUPAZIONE È FARE IL VOSTRO LAVORO, E LO AVETE FATTO NOBILMENTE. AVETE NAVIGATO IN MOLTI MARI E IN OGNI CONDIZIONE METEOROLOGICA ... QUESTO LAVORO NON POTEVA ESSERE FATTO SENZA PERDITE, E NOI COMPIANGIAMO TUTTI COLORO CHE HANNO SACRIFICATO LA VITA IN SERVIZIO A BORDO DI OLTRE 250 UNITA’ ANDATE PERDUTE.

NESSUN LAVORO È STATO PIU’ VITALE DEL VOSTRO; NESSUN LAVORO È STATO SVOLTO MEGLIO. I PORTI SONO STATI MANTENUTI APERTI E LA GRAN BRETAGNA HA RESPIRATO. LA NAZIONE È ANCORA UNA VOLTA FIERA DI VOI.

NATIONAL ARCHIVES REF PREM 3/314/5 (halcyon-class.co.uk).

La situazione delle Marine inglese e tedesca all’inizio del Secondo conflitto mondiale

L’imponente situazione navale del 1914, al momento dell’ingresso in guerra contro la Germania, è data dal rapporto delle corazzate e incrociatori pesanti (capital ships), 16 a 10, mentre per gli incrociatori, 2 a 1. All’inizio di quel conflitto, Churchill aveva mobilitato 8 Squadre navali da battaglia formate da 8 corazzate, con una squadriglia di incrociatori e una flottiglia di scorta per ciascuna Squadra navale, dispiegando, insieme, importanti forze di incrociatori, cercando un’azione generale contro quella che lui definiva una «flotta più debole ma formidabile».

Nel 1939, la Marina tedesca aveva da poco iniziato la sua ricostruzione, nonostante i divieti e i limiti imposti dal Trattato di Versailles sul riarmo della Germania, ma non aveva ancora le capacità necessarie per formare almeno una Squadra navale. Le due grandi corazzate, la Bismarck e la Tirpiz, di cui Churchill diede per scontato che avessero superato i limiti imposti dal Trattato di Washington del 1922 (9) e dalle Conferenze di Londra del 1930 (10) e del 1936 (11), erano entrambe ad almeno un anno dall’entrata in servizio. Gli incrociatori leggeri da battaglia, Scharnhost e Gneisenau, che la Germania aveva portato da 10.000 t a 26.000 t, violando anche in questo caso gli accordi internazionali, erano stati completati nel 1938. Inoltre, Hitler disponeva di 3 corazzate «tascabili» di 10.000 t, l’Admiral Graf Spee, l’Admiral Scheer e il Deutschland, insieme a 2 incrociatori veloci sempre da 10.000 t con cannoni da 8 pollici (203 mm), 6 incrociatori leggeri, 60 tra cacciatorpediniere e naviglio minore e 58 sommergibili.

Nel settembre 1939, la Royal Navy continuava a essere la Marina più potente al mondo, avendo la flotta militare più numerosa e armata e una vasta rete globale di basi logistiche e di rifornimento. In totale, possedeva: 15 corazzate (2 «Nelson», 1 «Hood», 2 «Renown», 5 «Royal Sovereign», 5 «Queen Elizabeth»), di cui 9 in costruzione; 7 portaerei (1 «Ark Royal», 2 «Courageous», 1 «Furious», 1 «Eagle», 1 «Hermes», 1 «Argus»), di cui 6 in costruzione; 15 incrociatori pesanti (2 «Exeter», 13 «County»); 41 incrociatori leggeri, di cui 9 in costruzione; 8 incrociatori anti-aerei; 113 cacciatorpediniere moderni e 68 cacciatorpediniere legacy; 53 sommergibili moderni e 12 sommergibili legacy; altro naviglio di supporto ausiliario come i dragamine (12).

La Marina Mercantile inglese

Allo scoppio della guerra, il naviglio mercantile inglese era, più o meno, dello stesso tonnellaggio di quello del 1914, ovvero più di 21 milioni di t. Questa massiva flotta mercantile costituiva circa un terzo del totale mondiale, confermando il primato del Regno Unito anche in questo ambito.

Ad aprile del 1940, dopo aver fatto il bilancio tra le nuove costruzioni e le perdite nei primi mesi di guerra, il valore del naviglio mercantile era sceso di poco meno di 800.000 t (13). Ciò, ovviamente ricadeva sotto la sua responsabilità e dell’Ammiragliato, e quale Primo lord, Winston era profondamente determinato a impedire il sopravvento della Kriegsmarine nei mari di interesse britannico, pena il rischio di non poter più sostenere la popolazione e lo sforzo bellico. Quale conseguenza, Churchill intese limitare le richieste dell’Ammiragliato e spingere per la concentrazione dello sforzo produttivo sul naviglio necessario per la difesa delle linee di comunicazione marittime, le Sea Lines of Communication (SLOC), ritardando, per esempio, la costruzione delle unità della classe «King George V»e bloccando la costruzione delle corazzate della classe «Lion», ritenendo che la minaccia prevalente, cioè quella subacquea, dovesse avere la priorità.

Avendo come riferimento il precedente conflitto, attuò la tattica del convogliamento dei mercantili quale contromisura agli attacchi dei sommergibili e già dimostratasi efficace durante la precedente esperienza bellica. L’Ammiragliato assunse per qualche giorno il controllo dei movimenti di tutto il traffico mercantile, e agli armatori venne chiesto di obbedire agli ordini impartiti dai militari sulle rotte da seguire e sulle modalità per entrare nei convogli. Tuttavia, la scarsità di unità di scorta, costrinse l’Ammiragliato a derogare a tali direttive e raccomandare una policy di rotte evasive lungo le linee di comunicazione oceaniche, fino a quando il nemico avrebbe optato per una guerra sottomarina aperta, e a procedere per il convogliamento in prossimità delle coste orientali inglesi.

Tuttavia, il primo affondamento di un transatlantico inglese, l’Athenia, il 3 settembre 1939 allo scoppio delle ostilità, a opera di un U-Boot, modificò questi piani, forzando l’Ammiragliato a implementare i convogli nell’Atlantico del nord da quel momento in avanti, attuando tutte le preventive predisposizioni, puntualmente condivise con gli armatori.

I marinai mercantili, disposti e pronti ad affrontare un destino incerto, non accettarono di rimanere passivi e chiesero di poter essere dotati di armi. Poiché, a quel tempo, l’uso di armi per autodifesa dalle navi mercantili era ammesso dal diritto internazionale, l’Ammiragliato procedette immediatamente con un piano per armare e addestrare gli equipaggi civili inglesi. Questa scelta ebbe come effetto quello di costringere gli U-Boot ad attaccare rimanendo sommersi, una condizione che, da un lato, aumentò le probabilità di fuga dei mercantili, mentre dall’altro, provocò un maggior dispendio di siluri a causa dell’aumentata difficoltà nel centrare i bersagli.

La visione strategica marittima di Churchill

Forte di questo primato mondiale marittimo inglese, vera e propria trasposizione del concetto di Potere Marittimo così come inteso dal contrammiraglio e storico americano Alfred Thayer Mahan (14), per Churchill il «command of the sea» era una condizione decisiva per mantenere la superiorità militare e il vantaggio operativo. «Quando parliamo del command of the sea», disse durante un intervento alla Camera nell’aprile 1940, «non significa comandare ogni parte del mare nello stesso momento, o in ogni momento. Esso significa semplicemente che dobbiamo fare in modo che il nostro volere prevalga in ogni tratto di mare in cui alla fine condurremo le nostre operazioni, proiettando in tal modo, in maniera indiretta, il nostro volere di prevalere in ogni parte del mare. Non vi è niente di più stupido che aspettarsi che la Royal Navy pattugli su e giù le coste norvegesi e danesi rappresentando un bersaglio per gli U-Boot» (15).

Il concetto di command of the sea espresso da Churchill puòoggi assimilarsi a quello di «sea control/contrôle de l’espace maritime», definito dalla NATO «la condizione affinché si guadagni, per un determinato periodo di tempo, la libertà di azione per raggiungere i propri fini all’interno di uno spazio di mare nelle tre dimensioni (sotto, sulla e sopra la superficie)» (16). Senza il controllo assoluto degli ampi spazi marittimi dei molteplici teatri operativi, da quelli domestici come la Manica e il Baltico, a quelli limitrofi come l’Atlantico, a quelli più lontani come il Mediterraneo, non era, infatti, possibile garantire i necessari approvvigionamenti di risorse e generi alimentari necessari al sostentamento della popolazione e dello sforzo bellico su terra. Sin dagli anni della wilderness, oltre alla superiorità navale, come abbiamo visto, Churchill era convinto sostenitore del Potere Aereo, da integrare nel Potere Navale per togliere al nemico ampi spazi di manovra. Esempio della combinazione intelligente di quella pionieristica strategia interforze è la vittoria delle due tra le più ardue battaglie, diremmo oggi «multi-dominio» (anche perché comprendevano un primordiale dominio cibernetico grazie allo sviluppo dei primi calcolatori per decrittare il codice Enigma (17), della Seconda guerra mondiale, cioè le già richiamate Battaglia d’Inghilterra e Battaglia dell’Atlantico.

Queste battaglie sui mari, che possiamo oggigiorno considerare «epiche», hanno anche ispirato un’ampia filmografia. Fra i tanti, a nostro parere sono due i film emblematici per il modo in cui fanno rivivere quelle realtà risultanti dall’attuazione dei concetti di command of the sea e di air power integrati nel dominio marittimo. Si tratta di Midway (2019), diretto da Roland Emmerich, che ripropone l’esegesi dell’omonima battaglia nel Pacifico che consacrerà gli Stati Uniti come superpotenza marittima e Greyhound (2020), diretto da Aaron Schneider, e magistralmente interpretato da Tom Hanks nei panni del comandante di un Task Group di scorta ai convogli in Atlantico che deve affrontare il cosiddetto black pit, la zona centrale di oceano al di fuori della copertura aerea statunitense da un lato e da quella inglese dall’altro.

Per dare un’idea dell’importanza del vantaggio che assicurava il possesso del «command of the sea» a chi lo deteneva, la superiorità tedesca nel controllo della sola dimensione subacquea, nei primi otto mesi di guerra provocò la perdita di naviglio mercantile inglese per un totale di 590.542 t corrispondenti a 131 navi (18),portando l’Inghilterra al quasi tracollo, soprattutto dopo l’uscita della Francia dai combattimenti nel giugno 1940, il non-interventismo americano fino all’attacco di Pearl Harbour nel dicembre 1941, e il citato patto di non aggressione Mo-

Il mar Baltico nel 1939 (wikipedia).

lotov-Ribbentrop che poneva la futura alleata Unione Sovietica sul fronte opposto fino al giugno 1941.

Appena arrivato all’Ammiragliato, nei primi giorni di quel settembre 1939, Churchill aveva già una chiara visione strategica del Baltico, vitale per il Regno Unito come il Mediterraneo per l’Italia. Il «command» del Baltico era fondamentale per Winston, poiché, nella sua visione, impedire al nemico l’uso di quel mare, che lui riteneva centro di gravità per entrambi, voleva dire far venire meno ai tedeschi le fonti del sostentamento al loro sforzo bellico, oltre all’opportunità di nuovi guadagni territoriali che li avrebbero pericolosamente avvicinati alle isole britanniche, allontanando il fronte da Berlino.

Infatti, la necessità di garantire sia il flusso di materie prime dalla Svezia (in particolare il ferro delle miniere di Gallivare attraverso il porto di Lulea e il porto norvegese di Narvik) verso la Germania, sia la protezione contro le potenziali incursioni russe lungo l’estesa e indifesa costa settentrionale della Germania — in una parte distante poco meno di 100 miglia da Berlino — rendeva imperativo per la Kriegsmarine il dominio del Baltico. Churchill era convinto che, in questa fase inziale delle ostilità, la Germania non avrebbe compromesso le sue capacità di «command of that sea», evitando di rischiare navi da guerra non necessarie allo scopo. Quale conseguenza, si convinse che la Gran Bretagna doveva mantenere una flotta superiore «nei nostri mari del Nord», per esercitare il Potere Navale (Sea Power), attuando misure offensive come il blocco navale — senza tuttavia utilizzare una grande forza per controllare gli sbocchi dal Baltico e dalla Baia di Helgoland nel Mare del Nord — e la posa massiccia di campi minati, soprattutto lungo la costa occidentale norvegese, per impedire eventuali incursioni navali tedesche allorquando la Germania avrebbe invaso il paese, e nei fiumi tedeschi, per indebolire il nemico nel proprio territorio (la citata operazione Royal Marine). Churchill era, inoltre, convinto che l’efficacia del Potere Navale sarebbe potuta aumentare con l’attuazione dell’air mastery, ipotizzando che un attacco aereo sul Canale di Kiel avrebbe reso quell’ulteriore ingresso nel Baltico inutilizzabile, ancorché a intervalli, come peral-

tro aveva già indicato un anno prima in una nota dell’ottobre 1938 per sir Thomas Inskip (19). In questa nota, Winston anticipava l’idea di utilizzare bombe con congegni di attivazione tali da introdurre ritardi nelle esplosioni, fino a ipotizzare «special fuzes with magnetic actuation», dispostivi che, come lo stesso Churchill evidenziò, avrebbero aperto la strada all’invenzione — e al largo utilizzo — delle mine navali magnetiche, una previsione che, come abbiamo visto, fu pienamente centrata (20). Tuttavia, nel 1938, nessuna azione fu presa nei confronti dei contenuti di questa nota.

Uno dei principali punti che dovette sempre sostenere con veemenza nella classe politica che componeva il Consiglio di Guerra era la necessità di superare «l’approccio difensivo alla guerra marittima». Come egli stesso annotò nelle sue memorie, «in ogni guerra in cui la Royal Navy ha dichiarato il command of the sea, ha dovuto pagare l’alto prezzo di aver esposto al nemico un numero considerevole di propri bersagli marittimi. Il nemico, con tutti i suoi assetti navali, e in particolare i temibili U-Boot, ha inflitto pesanti perdite sui nostri traffici commerciali e di rifornimento viveri. Quale conseguenza, abbiamo sviluppato la primaria funzione di difesa, che è diventata una strategia navale di difesa e una vera e propria forma-mentis. I moderni sviluppi della guerra sui mari hanno aggravato questa tendenza. Nelle due Grandi guerre, per cui sono stato in parte responsabile per le azioni dell’Ammiragliato, ho sempre provato a rompere questo paradigma di difesa ossessiva, ricercando forme di contro-offensiva. Durante la Prima guerra mondiale ho sperato di trovare nei Dardanelli, e successivamente nell’attacco contro Borkum e le Isole Frisone (nel Mare del Nord, ndr),il mezzo per riguadagnare l’iniziativa e forzare chi deteneva il Potere Navale più debole a studiare i suoi problemi anziché i nostri. Chiamato per la seconda volta all’Ammiragliato nel 1939, non appena ci siamo confrontati con i pericoli e i bisogni più immediati, non potevo sentirmi tranquillo e appagato con la sola policy del “Convoy and Blockade”, cioè dell’organizzazione di convogli marittimi e blocchi».

«Ero ardentemente alla ricerca di un modo per attaccare la Germania attraverso gli assetti navali» (21). Churchill era convinto che senza il «comando del Baltico» la Gran Bretagna non avrebbe potuto chiedere un porto svedese e che senza un porto svedese non avrebbe avuto il comando del mare, uno stallo che richiama due delle quattro condizioni su cui si fonda il concetto di Potere Marittimo sviluppato da Mahan, ovvero la disponibilità di navi da guerra e di porti da cui proiettare il Potere Marittimo (22); le altre sono la produttività alla base del commercio e la disponibilità di una flotta mercantile per commerciare i beni prodotti.

Churchill era, inoltre, certo di poter contare sulla flotta francese, portata ai più alti livelli di efficienza ed efficacia dalla grande capacità dell’ammiraglio François Darlan (divenuto poi vice presidente del consiglio dei Ministri nel Regime di Vichy, sotto la presidenza di Philippe Pètain), ma la caduta di Parigi nel giugno 1940 determinò un tutt’altro epilogo per la Marine nationale.

Come abbiamo anticipato, Churchill temeva molto l’ingresso dell’Italia di Mussolini in guerra e per questo motivo era convinto che il primario battlefield, campo di battaglia, sarebbe dovuto essere il Mediterraneo, sostenendo che, anche senza l’aiuto francese, la British Fleet da sola sarebbe stata all’altezza del confronto, al punto di affermare che «il dominio britannico del Mediterraneo infliggerà pesanti ferite a un’Italia nemica che potranno essere fatali al suo potere di continuare la guerra. Tutte le sue truppe in Libia e in Abissinia, sarebbero come fiori tagliati in un vaso».

Conclusioni

Queste erano la visione e la strategia navale di Churchill quale risultante della sua duplice esperienza quale Primo lord dell’Ammiragliato (1911-15, 1939-40), tratte prevalentemente dal primo dei sei volumi che compongo le sue Memoirs della Seconda guerra mondiale. Nonostante la determinazione, la preparazione, la poliedricità e l’indiscussa leadership, sia la strategia di violare gli stretti turchi durante la Grande guerra, sia gli eventi nel Baltico nel primo anno del Secondo conflitto mondiale non andarono come aveva pianificato, perché, come da lui stesso raccontato, il suo piano, nel primo caso, non fu condiviso dallo Stato Maggiore che non lo supportò come si aspettava mentre, nel secondo caso, il Consiglio di Guerra, guidato da Neville Chamberlain, preferiva una strategia navale di difesa. Quando

la situazione nei paesi scandinavi degenerò e Churchill fu alla fine autorizzato a portare a compimento i propri piani, il repentino e progressivo indebolimento francese lo forzarono a distrarre risorse navali dal fronte norvegese per evitare il crollo dell’unico alleato ancora combattente, col risultato che tutti conosciamo, ovvero l’invasione tedesca della Norvegia e la capitolazione della Francia che si concluse, come ricordato, con la caduta di Parigi, il 14 giugno 1940, e la firma dell’armistizio, il 22 giugno successivo.

Divenuto Premier al posto di Chamberlain il 10 maggio 1940, superata «l’ora più buia» e avendo tenacemente resistito all’ossessivo tentativo di Hitler di invadere la Gran Bretagna, riuscì a trasmettere questa sua straordinaria determinazione ai suoi concittadini e compatrioti, motivandoli con discorsi alla nazione, le cui frasi ancora oggi vengono usate come dei magistrali aforismi motivazionali. Grazie a questa eroica resistenza della nazione britannica e alle condizioni che poi si crearono per realizzare la «great Alliance» con Roosevelt e Stalin, l’8 maggio 1945, Winston poté affacciarsi prima al balcone del ministero della Salute, mostrando ancora una volta la famosissima «V» di vittoria, formata con l’indice e il medio della sua mano destra, davanti a una vera e propria fiumana di gente festante e, a seguire, a quello di Buckingham Palace, insieme alla famiglia reale, per celebrare il «VE-day», il Victory in Europe day, il giorno della Vittoria in Europa.

Di quest’uomo moltissimo si è detto, scritto, documentato, prodotto film, come, siamo sicuri, molto altro ancora si dirà, scriverà, documenterà. Non può

Churchill e la famiglia reale inglese il giorno della vittoria, V-E Day, 8 maggio 1945 (International Churchill Society)

essere certo quest’articolo a raccontare in poche pagine chi è stato e cosa ha fatto Winston Churchill. Quello che abbiamo provato a fare nel condividere le risultanze di questa piccola ricerca, è illustrare come il suo operato all’Ammiragliato inglese sia stato un’importante fonte per la creazione di un pensiero marittimo e navale ancora valido, per un approccio creativo, ma anche coraggioso, all’innovazione tecnologica, per la messa in opera di tattiche e tecniche navali che ancora oggi sono studiate e attuate. Tutto questo, grazie alla sua instancabile voglia di documentarsi, documentare e scrivere per lasciare ai posteri la memoria di un lungo periodo di storia, quello della prima metà del XX secolo, i cui effetti continuano a condizionare la nostra epoca e, siamo convinti, il nostro futuro ancora per molto tempo a venire. Forse più di qualcuno non si troverà d’accordo con tutto o parte di quello che abbiamo riportato in questo articolo, ma alla fine, riteniamo che un altro insegnamento di questo grande personaggio può essere che la Storia, spesso, non è di chi la fa, ma di chi la scrive. «Success is not final, failure is not fatal: is the courage to continue that counts» («I successi non sono finali, i fallimenti non sono fatali: è il coraggio di andare avanti che conta») Winston L. S. Churchill. 8

NOTE

(1) Andrew Roberts, Churchill, la biografia, ed. 2021; Christopher M. Bell Churchill and sea power, ed. 2014; Jenkins Roy, Churchill: A Biography,1st edition 2001 ; Martin Gilbert, The profet of truth, 1922-1939 e Road to victory, 1941-1945, ed. 2009. (2) Bacon, Admiral Sir Reginald Hugh, The Life of Lord Fisher of Kilverstone, ed. 2007; Adm USN (ret.) James Stavridis Sailing True North, ten admirals and the voyage of character, ed. 2019. John Arbuthnot Fisher, Primo barone Fisher (25 gennaio 1841-10 luglio 1920), comunemente noto come Jacky o Jackie Fisher, era un ammiraglio inglese conosciuto per il suo impegno verso l’epocale riforma navale della Royal Navy, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. L’arco della sua lunga carriera — durata più di 60 anni e iniziata in una Marina composta da velieri in legno armati con cannoni a caricamento manuale della bocca di fuoco e finita in una Marina composta da incrociatori da battaglia con scafi in acciaio, sommergibili e le prime portaerei — ha notevolmente influenzato il processo di trasformazione e sviluppo della Royal Navy. Per il suo spirito critico ed energico e per la sopraffina mentalità orientata al cambiamento, è spesso considerato la seconda figura più importante della Marina inglese, dopo lord Nelson. Fisher è principalmente ricordato per essere stato innovatore, stratega e trasformatore della Marina, più che un ammiraglio delle grandi battaglie navali, anche se nell’arco della sua carriera non gli sono mancate le esperienze operative. Nominato First Sea Lord nel 1904, dismise 150 unità navali in servizio poiché obsolete e avviò un programma di rinnovamento dello strumento navale, realizzando una flotta moderna e pronta a quello che sarebbe stato il confronto decisivo con la Marina tedesca durante la Grande guerra. Fisher intuì

la necessità di incrementare la portata, la precisione e la rapidità di fuoco dell’artiglieria navale, e fu tra i primi propositori dell’uso dei siluri, un’arma che credeva superasse i cannoni di grosso calibro nel tiro contro le unità di superficie. Nell’incarico di direttore degli Armamenti navali (Controller of the Navy, 1892-97) introdusse i primi cacciatorpediniere (torpedo boat destroyers) quale classe di unità navali destinata alla difesa contro gli attacchi di torpediniere e sommergibili. Da First Sea Lord (1904-10), fu responsabile per la costruzione dell’HMS Dreadnought, la prima unità da battaglia esclusivamente armata da artiglieria pesante (all-big-gun battleship). Era parimenti convinto della crescente importanza dei sommergibili, per cui ne favorì l’urgente sviluppo. Fu interessato dall’introduzione sia dei motori a turbina al posto di quelli a pistone, sia del nuovo combustibile, gasolio, al posto del carbone. Introdusse la panificazione a bordo, altra importante innovazione, soprattutto in considerazione del fatto che, al suo ingresso in Marina, erano disponibili solo gallette, spesso infestate da insetti e parassiti. Lasciò per la prima volta il servizio attivo nel 1910, in occasione del suo 69o compleanno, ma fu richiamato come First Sea Lord nel novembre 1914. Si dimise sette mesi più tardi a causa della Campagna di Churchill a Gallipoli, continuando, tuttavia, a servire la Corona come presidente del Comitato governativo delle invenzioni e della ricerca fino alla fine della Guerra. Morì il 10 luglio 1920 all’età di 79 anni. (3) Massimo Iacopi, http://win.storiain.net/arret/num171/artic3.asp. (4) Lettera di riposta di Mussolini a Churchill datata 18/05/1940 e contenuta in Winston Churchill, The Second World War, Vol. II, Their finest hour, p.108. (5) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.365. (6) Magnetismo permanente: caratteristica fisica del materiale ferroso. Magnetismo indotto: prodotto da un circuito attraversato da corrente (leggi di Lentz e Maxwell). (7) «La fortuna ci aveva favorito più direttamente. Il 22 novembre, tra le 9 e le 10 p.m., fu osservato un aereo tedesco sganciare un grande oggetto appeso a un paracadute, in mare vicino a Shoeburyness. La costa in quella zona è pervasa da grandi aree di fango, che si palesa con la bassa marea, e fu immediatamente evidente che, di qualunque cosa si fosse trattato, sarebbe stato possibile esaminarlo e possibilmente recuperarlo. Quella fu la nostra occasione d’oro. Prima di mezzanotte di quella stessa notte, due ufficiali molto qualificati, i Lt. Commanders Ouvry e Lewis dell’HMS Veron (la componente navale responsabile per lo sviluppo di armamenti subacquei, ndr) furono convocati in Ammiragliato, dove il Primo Sea Lord e io ascoltammo il loro piano (…). La pericolosa operazione di recupero iniziò il primo pomeriggio del giorno seguente, quando si accorsero che vi era una seconda mina nelle vicinanze della prima. Ouvry con il Sottufficiale Baldwin presero la prima, mentre Lewis e il Nocchiere Vearncombe attendevano a una distanza di sicurezza nel malaugurato caso di una esplosione accidentale (…). Alla fine gli sforzi e l’abilità dei quattro uomini furono ampiamente ripagate (…)». W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.453-454. (8) «Al processo fu dato il nome di “degaussing”, mentre fu messa in piedi un’organizzazione per supervisionare il fissaggio di questa apparecchiatura su tutte le navi alle dipendenze dell’ammiraglio di squadra Lane-Poole», W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, Appendix «M», p.640. (9) Impero britannico: Capital Ship (corazzate o incrociatori da battaglia) 533.400 t; portaerei 137.200 t. Stati Uniti: Capital Ship 533.400 t; portaerei 137.200 t. Giappone: Capital Ship 320.100 t; portaerei 81.000 t; Francia: Capital Ship 177.800 t; portaerei 60.000 t. Italia: Capital Ship 177.800 t; portaerei 60.000 t. (10) Le nazioni firmatarie (Regno Unito, Giappone, Francia, Italia e Stati Uniti d’America) si accordarono per non costruire nuove capital ship (corazzate o incrociatori da battaglia, dal dislocamento superiore alle 10.160 t) o con cannoni di calibro superiore a 8 pollici (203 mm) fino al 1937. Nessun vascello esistente avrebbe potuto essere convertito in portaerei. La costruzione di sottomarini venne limitata a vascelli di dislocamento inferiore a 2.032 t. Il tonnellaggio totale degli incrociatori (suddivisi in incrociatori pesanti con cannoni di calibro superiore a 6,1 pollici (155 mm) e incrociatori leggeri con cannoni di calibro inferiore), cacciatorpediniere, sommergibili da costruire dal 1937 venne limitato, così come il tonnellaggio individuale in ogni categoria (Wikipedia). (11) I firmatari furono Francia, Regno Unito con i suoi dominion e Stati Uniti d’America. Il Giappone, uno dei firmatari del Primo Trattato navale di Londra, si ritirò dalla conferenza il 15 gennaio. Anche l’Italia rifiutò di firmare il trattato, in gran parte a causa della controversia sulla sua invasione dell’Abissinia (Etiopia); L’Italia era sotto le sanzioni da parte della Società delle Nazioni. La conferenza aveva lo scopo di limitare la crescita negli armamenti navali fino alla sua scadenza nel 1942. L’assenza del Giappone impedì un accordo su un tetto sul numero di navi da guerra. Il trattato fece limitare la dimensione massima delle navi dei firmatari, e il calibro massimo dei cannoni che potevano portare. Prima di tutto, le navi capitali vennero limitate a 36.000 t di dislocamento e 14 pollici (356 mm) di cannoni. Tuttavia, una cosiddetta «clausola di escalation» venne inclusa sotto la spinta dei negoziatori americani in caso che uno qualsiasi dei paesi che aveva firmato il Trattato navale di Washington avesse rifiutato di aderire a questo nuovo limite. Questa disposizione permise ai paesi firmatari del Secondo Trattato di Londra (Francia, Regno Unito e Stati Uniti) di elevare il limite dei cannoni da 14 pollici a 16 pollici se il Giappone o l’Italia si fossero rifiutati ancora di firmare dopo il 1o aprile 1937. Anche i sottomarini non avrebbero potuto superare le 2.000 tonnellate o avere alcun armamento di cannoni maggiore a 5.1 pollici, gli incrociatori leggeri vennero limitati a 8.000 tonnellate e 6,1 pollici (155 mm) o cannoni più piccoli e le portaerei furono limitate a 23.000 tonnellate. L’articolo 25 però dava il diritto di abbandonare le limitazioni qualora qualsiasi altro paese venisse autorizzato, costruisse o acquistasse una nave capitale, una portaerei, o un sommergibile superando i limiti del trattato, se tale deroga fosse stata necessaria per la sicurezza nazionale. Per questo motivo, nel 1938 le parti concordarono un nuovo limite nel trattato del dislocamento di 45.000 tonnellate per le corazzate. Questo Trattato navale di Londra si concluse effettivamente il 1º settembre 1939, con l’inizio della Seconda guerra mondiale (Wikipedia). (12) https://www.ww2-weapons.com/fleets-1939. (13) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, Appendix P. (14) Secondo Mahan, il potere di uno Stato dipende da tre fattori connessi con gli oceani: 1) produttività (che determina la necessità del commercio internazionale); 2) disponibilità di navi mercantili (per il trasporto delle merci) e di navi da guerra (per la protezione dei traffici marittimi); 3) possesso di colonie e alleanze con altri paesi distribuiti su tutto il globo (per soddisfare le esigenze logistiche e da cui proiettare ulteriormente il Potere Marittimo). (15) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.542 (16) Glossario NATO «AAP-6». (17) Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il Secret Intelligence Service (SIS) britannico fu ubicato nella cittadina di Bletchley, a circa 80 chilometri a nord di Londra, e precisamente in un’isolata residenza di campagna chiamata Bletchley Park. In particolare, la precisa attività crittografica della Government Code and Cipher School (GC&CS) costituì il cosiddetto «Ultra intelligence» britannico. La filmografia storica ha dedicato numerosissime pellicole a Ultra. Tra queste, The imitation game, il film del 2014 diretto da Morten Tyldum, che racconta molto fedelmente la vita e l’impresa dell’eclettico matematico e crittoanalista Alan Turing (interpretrato da Benedict Cumberbatch), che con la sua macchina computazionale Bombe (che nel film viene denominata «Christopher» in ricordo del compagno di college e unico amico di Allan) riuscì a decrittare il codice generato dalla macchina Enigma a quattro rotori, la più potente macchina cifrante mai costruita, e per tale ragione utilizzata soprattutto nella guerra sottomarina degli U-Boot ai convogli. (18) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.646, Appendix «P». In particolare, i mercantili inglesi perduti erano così ripartiti: 365.449 t, corrispondenti a 68 navi, affondate dagli U-Boot; 225.093 t, corrispondenti a 63 navi, affondati a causa delle mine, 60.340 t, corrispondenti a 11 navi, affondati per azioni di unità navali di superficie; 29.222 t, corrispondenti a 11 navi, da aerei; 63.698 t, corrispondenti a 19 navi, per cause non accertate. (19) Dal 13 marzo 1936 fino al 29 gennaio 1939 fu ministro per il Coordinamento della Difesa, nuovo ministero istituito dal primo ministro Stanley Baldwin; Inskip mantenne il suo ruolo anche nel successivo governo Chamberlain. In quel periodo, a proposito della preparazione bellica del settore aereo, aveva sostenuto, contro il parere dominante, che doveva essere intensificata la produzione di nuovi caccia, modificando il rapporto bombardieri-caccia a favore dei secondi. Inskip affermava: «È meglio distruggere i bombardieri tedeschi nel cielo inglese, anziché bombardarli nei loro aeroporti o nelle loro fabbriche». Nel 1938 il rapporto bombardieri-caccia da due a uno fu modificato in cinque a tre. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma soprattutto durante la Battaglia d’Inghilterra, risultò esplicita la teoria di Inskip. (20) «The phrase about magnetic mines is interesting in view of what was soon to come upon us». W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.369. (21) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.413-414. (21) Da una accezione generalmente condivisa, il termine «marittimo» attiene all’inclusivo perimetro della marittimità di Mahaniana memoria, cioè ispirato ai principi del «mercantilismo» e quindi comprensivo delle flotte mercantili e militari, delle reti commerciali, della cantieristica, della portualità e delle basi avanzate, ovvero l’insieme che compone il dominio marittimo, quale intreccio di tutte le interazioni dell’uomo con l’ambiente-mare, che rende una nazione appunto «marittima». Il termine «navale» è, invece, associato a tutto ciò che riguarda l’ambito della componente militare marittima. Tuttavia, occorre parimenti specificare che, oggigiorno, questa classica distinzione dottrinale sembra assottigliarsi sempre di più, evidenziando una tendenza verso la convergenza, a similitudine dei concetti di «difesa» e «sicurezza». Ciò si spiega con l’aumento della rilevanza acquisita dalle flotte militari in chiave di una crescente multidimensionalità e multidisciplinarietà, oltre che con l’analisi dei fattori caratterizzanti il contesto geopolitico, geostrategico e geoeconomico di riferimento del XXI secolo.

FOCUSDIPLOMATICO

La nuova crisi israelo-palestinese

L’Europa, in senso lato, ha una responsabilità storica per i destini di Israele. Ne abbiamo ammirato la capacità di organizzarsi e di competere nel mondo, e soprattutto la democrazia, «l’unica democrazia del Medio Oriente» abbiamo detto. Ben si comprende quindi la solidarietà espressa dagli europei nel rinnovato conflitto recente con il mondo palestinese. Ma, abbiamo una parallela responsabilità storica anche nei confronti dei palestinesi, la stessa che ci ha indotti a dedicare, caso unico nella storia delle Nazioni unite, un’Agenzia Speciale — UNRWA — alla protezione dei rifugiati del tragico esodo del 1948, la «Nabka». Ripetutamente negli anni, abbiamo sancito la necessità di una soluzione «giusta e duratura» del conflitto, con puntuali Risoluzioni alla fine di ogni guerra arabo-israeliana, 194/1948, 242/1967, 338/1974 e oltre, fino al riconoscimento dell’UNGA di uno «Stato Palestinese Osservatore non-Membro» nel 2012 che, pur priva di effetti concreti, ha segnalato una diffusa sensibilità politica per la causa palestinese. Anche l’Italia ha votato sì a New York.

Dagli Accordi di Oslo

Gli Accordi di Oslo del 1993-95 parevano aver posto le premesse, quantomeno sul piano dei principi, per restituire agli uni la sicurezza e agli altri il diritto di esistere come popolo. Ma, altri decenni sono trascorsi senza che il Quartetto, un formato teoricamente ideale — ONU, Stati Uniti, UE, Russia — al lavoro dal 2002, sia riuscito a comporre uno scenario accettabile da tutte le parti. Nel frattempo, il contesto è profondamente cambiato. Assassinato Rabin, sparito di scena Arafat, l’ANP di Abu Mazen avviava con Israele una collaborazione di sicurezza senza incassare nulla se non la propria sopravvivenza, avvitandosi in una autocrazia sempre più distante dalla gente, mentre ondate di insediamenti di coloni si istallavano nei Territori occupati, l’Intifada si replicava determinando un circuito di repressione, Hamas, all’inizio imprudentemente alimentata dalla stessa Tel Aviv per indebolire Ramallah, emergeva guadagnando consensi anche per via elettorale e rafforzando la sua presa sulla scena palestinese, e Israele si proclamava «Stato-Nazione degli ebrei». Nei dintorni, il mondo arabo distoglieva lo sguardo dal Piano di Pace saudita del 2002, allentando l’appoggio alla causa palestinese, sempre più scomoda a misura dell’incalzare inquietante delle c.d. Primavere Arabe, e infine rifugiandosi negli Accordi di Abramo. Un cambio di passo che ne spostava l’obiettivo primario sul contrasto all’Iran.

L’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) sostiene il soccorso e lo sviluppo umano dei rifugiati palestinesi. Il mandato dell’UNRWA comprende i palestinesi sfollati dalla guerra di Palestina del 1948 e dai conflitti successivi, così come i loro discendenti patrilineari, compresi i bambini legalmente adottati. A partire dal 2019, oltre 5,6 milioni di palestinesi sono registrati presso l’UNRWA come rifugiati. In alto: Nakba 1948, Palestina - Campo profughi di Jaramana, Damasco (Siria) - (en.wikipedia.org).

Le novità di questa crisi

La recente, rinnovata crisi era nelle carte. Alimentata da un ennesimo episodio di sfratti in un sobborgo di Gerusalemme, intervento della Polizia nella Spianata delle Moschee in coincidenza con la fine del Ramadan, celebrazione per la strepitosa vittoria della guerra del Kippur, la ribellione ha tuttavia assunto questa volta una latitudine inedita:in un clima rovente, un filo rosso ha collegato le migliaia di missili lanciati da Gaza e dal sud del Libano contro città israeliane agli scontri a Gerusalemme, e a quelli tra arabi e ebrei entro la stessa Israele profonda. E ha confermato la presenza in campo

Focus diplomatico

Proteste palestinesi nella città di Lod a seguito dei disordini in Cisgiordania e Gaza (wikipedia.it/polizia israeliana).

di nuovi protagonisti regionali, in primis l’Iran,al fianco del più tradizionale Egitto, del Qatar (il solo paese arabo che ha continuato a finanziare Hamas, assicurando la sopravvivenza di Gaza), e della Giordania, a titolo di garante dei luoghi santi islamici.

Venuto a mancare l’appoggio dei grandi paesi arabi, venuta meno la solida sponda della Siria (un tempo rifugio del «dissenso laico» dagli Accordi di Oslo), nonché la credibilità di Abu Mazen da ultimo con il rinvio delle elezioni, Hamas e la concorrente Jihad Islamica hanno consolidato il sodalizio con l’Iran. Che non ha mai riconosciuto Israele e ha colto un’ottima occasione per estendere la sua influenza sulla regione. Anche la Turchia, affacciatasi con dichiarazioni fortemente critiche nei confronti dell’amministrazione Biden, potrebbe decidere di applicare al mondo palestinese la sua nota visione imperiale e competere con Teheran puntando su assonanze sunnite.

I seguiti della tregua

Questa crisi faticherà a rientrare, nonostante la tregua sancita da ultimo grazie all’intervento di Biden fiancheggiato dall’Egitto di Al-Sisi. La «rabbia delle strade arabe» — per dirla con le parole di Assad che molto ne temeva la deriva islamica — non si placherà facilmente. E nemmeno la determinazione di Israele a perseguire a fondo la propria «difesa», sgominando una volta per tutte i vertici e gli apparati militari di Hamas, e neutralizzandone le potenzialità, a giudicare dall’insistente bombardamento su Gaza mirato a demolire il morale della popolazione e dall’assedio che l’ha ridotta alla fame: e pazienza se è stato necessario abbattere anche la torre dei media, testimone internazionale delle operazioni. Soprattutto considerando che il retrostante obiettivo di Israele è frenare l’avanzata dell’Iran, segnalando ancora una volta all’Occidente che l’ipotesi di riabilitare il paese riesumando il negoziato JCPOA non è percorribile. I due problemi, Hamas e Iran, nell’ottica di Israele sono strettamente collegati.

Vistosa, ancorché comprensibile nel contesto, la «tolleranza» americana, che per giorni ha rinviato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per il cessateil-fuoco lasciando a Israele il tempo per massimizzare l’impatto della propria azione, nonché il fiancheggiamento de facto degli europei, fatta eccezione per l’attivismo della Francia, preoccupata di contenere i rischi sul fronte arabo interno.

Anche qualora la tregua regga, resterebbe pur sempre il problema di fondo: quale possa essere la soluzione del conflitto. Da tempo, accanto all’opzione dei due Stati prevista dagli Accordi di Oslo, si fa strada l’ipotesi alternativa di una Federazione di Stati ovvero quella di un solo Stato che garantisca uguali diritti a tutti i cittadini senza discriminazioni di sorta. Quest’ultima ipotesi, si sostiene, implicherebbe tuttavia per Israele un’improbabile rinuncia al principio etnico-religioso di cui alla Legge del 2018. Mutatis mutandis, il dilemma investì a suo tempo le discussioni sulla ex-Jugoslavia, in particolare sulla Bosnia: meglio una Repubblica unitaria che assicuri i parametri di una civile convivenza o meglio la separazione etnico-religiosa? Si approdò alla fine a una soluzione ibrida, che ancor oggi mostra tutte le sue vulnerabilità. Due gli assi su cui Biden (alle prese con il folto gruppo dei Bernie Sanders nella compagine DEM) sta ora lavorando, il ripristino della logica dei «due Stati» e il rafforzamento dell’interlocuzione con l’ANP di Abu Mazen in funzione anti-Hamas.

Come procedere?

Esiste forse un metodo diverso di procedere. Se una soluzione definitiva della questione palestinese richiederà tempo, unitarietà di intenti tra i grandi protagonisti

Il presidente di Israele Reuven Rivlin in una riunione di emergenza con gli ambasciatori dell’Unione europea (wikipedia.it/Mark Neyman/Government Press Office, Israel).

internazionali (il Quartetto?), incentivi e disincentivi nei confronti di entrambe le parti, nonché verosimilmente la necessità di affrontare parallelamente la questione centrale nel Medio Oriente di oggi, l’Iran, nel frattempo parrebbe urgente adottare un’ottica pragmatica, che punti sui Diritti della gente e sul miglioramento concreto delle sue condizioni di vita prima ancora che sugli assetti istituzionali o sul principio di autodeterminazione. In altri termini, Diritto alla sicurezza per Israele, fondamentale anche per ovviare all’involuzione che sta subendo «l’unica democrazia del Medio Oriente», e Diritti civili, sociali, economici per tutti i palestinesi, ovunque risiedano, a Gaza, in Cisgiordania, in Israele. Centralità dei Diritti. Con le conseguenze del caso in termini di aggiustamento dell’ottica e dei comportamenti delle autorità israeliane: lo «Stato degli Ebrei» non evoca necessariamente discriminazioni a carico dei palestinesi, restrizioni di movimento, o di culto, confisca delle terre, sgombero violento delle case, azione violenta di Esercito e Polizia, e tantomeno invasione di coloni e asfissiante occupazione dei Territori. E al contempo in termini di sostanziali modiche di comportamento delle élites palestinesi al potere, a Gaza come in Cisgiordania, che prevedano lo smantellamento dei potentati e relative corruttele, e riforme democratiche nella prospettiva di libere elezioni.

I progressi sarebbero necessariamente graduali, e probabilmente non sarebbero nemmeno troppo popolari presso le autocrazie del mondo arabo, ma sarebbero coerenti con i nostri valori, ed efficaci sul piano del contenimento dell’animosità reciproca e a termine di una pacificazione. Non mancherebbero all’Occidente, Stati Uniti ed Europa, strumenti idonei per incoraggiare le parti su questo iniziale percorso, a partire da una «condizionalità» dei rispettivi aiuti, senza concedere assegni in bianco all’una o all’altra.

Laura Mirachian, Circolo di Studi Diplomatici

L’ambasciatrice Laura Mirachian è entrata in carriera diplomatica nel 1974. Tra i principali incarichi: in servizio all’ambasciata a Mogadiscio durante la guerra dell’Ogaden; nel 1987 alla Rappresentanza permanente presso Nazioni unite e OO.II. a Ginevra per seguire i negoziati multilaterali dell’Uruguay Round che avviano la globalizzazione dei commerci; nel 1991 all’ambasciata a Belgrado come incaricata d’affari durante le guerre balcaniche; nel 1995 a Roma come capo dell’Unità Balcani e Mediterraneo orientale. Nel periodo 2000-04 ambasciatore a Damasco. Al rientro a Roma, Direttore generale per i paesi europei. Dal 2009 al 2013 Rappresentante permanente presso le Nazioni unite e OO.II. Nel 2008 nominata ambasciatore. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.

OSSERVATORIOINTERNAZIONALE

Turchia-Grecia: una nuova ripartenza o false speranze?

Nel luglio-agosto 2020, le navi da guerra turche e greche si sono affrontate in uno stato di massima allerta nel mar Mediterraneo orientale, nel quadro di una lunghissima disputa dei due paesi sulla sovranità marittima dell’area. Dopo settimane di tensione, con la presenza di diverse Marine (NATO e non) e con il rischio che un incidente potesse sfociare in un conflitto che nessuno voleva, entrambi si sono tirati indietro, ma solo sotto la pressione dei leader dell’UE e dell’Alleanza atlantica. Il pericolo rimarrà finché Ankara e Atene rimarranno bloccate in un ciclo di rischio che le ha quasi portate al confronto almeno quattro volte dagli anni Settanta. Tale rischio è aumentato negli ultimi anni poiché la Turchia è diventata più audace nel presentare le sue rivendicazioni di sovranità sulle acque del Mediterraneo orientale e la Grecia è diventata sempre più assertiva nel creare legami con i partner regionali per intrappolare la Turchia. In anni di trattative stagnanti — Turchia e Grecia non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su cosa discutere — la disputa marittima tra i due vicini è cresciuta così come la gamma di questioni che le dividono. Le questioni marittime comprendono controversie sulla delimitazione dei diritti di pesca, sullo sfruttamento delle risorse dei fondali marini e altro ancora. Al di là di questi problemi, i disaccordi si estendono dalle lotte per la sovranità che risalgono ai periodi di fondazione di entrambi gli Stati alle recenti aspre lotte sulla gestione delle migrazioni. Su tutto incombe il conflitto irrisolto su Cipro. Le comunità greco-cipriota e turco-cipriota dell’isola sono state divise dal 1964, quando l’ONU ha istituito una missione di mantenimento della pace, l’UNFICYP. Nel 1974, i greco-ciprioti, sostenuti dalla giunta militare allora al potere ad Atene, effettuarono un colpo di Stato con l’obiettivo di unire l’isola alla Grecia e la Turchia invase la parte settentrionale in risposta, con un’azione da manuale. Un decennio dopo, i turco-ciprioti proclamarono la loro repubblica — riconosciuta solo dalla Turchia — nel nord dell’isola. Poiché le aree di disaccordo si sono accumulate e ampliate di portata, anche il rapporto tra Atene e Ankara è diventato più instabile. Gli Stati Uniti, un tempo operatori di stabilità e attivamente impegnati nella regione, non sono (e non si sentono) più così investiti di questo ruolo. Né è chiaro se Washington rivendicherà questo compito in mezzo a una serie di altre questioni urgenti nelle sue relazioni con Ankara rese complesse e difficili dall’emergere di situazioni interne e esterne (la presa del presidente Erdogan sul proprio paese e le sue scorribande diplomatico-militari in Siria, Iraq, Golfo, Somalia, Libia e ora anche Afghanistan). I leader dell’UE stanno cercando di rilevare gli Stati Uniti, ma con una leva più limitata di quanto non avessero una volta poiché le prospettive di adesione della Turchia all’UE sono diminuite. L’adesione di Ankara alla NATO riduce, ma non esclude, le possibilità di guerra, ma le relazioni della Turchia all’interno dell’Alleanza sono ai minimi storici a causa dell’acquisto, nel 2017, di missili russi S-400, mentre la Grecia ha palesemente dei dubbi per una mediazione equa da parte della NATO. Ultimamente, e in particolare in seguito agli eventi del 2019, Ankara è stata isolata poiché la Francia e altre nazioni, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, si sono schierate con la Grecia. I suoi recenti sforzi per ricucire i legami con i rivali regionali, Egitto e Israele, devono ancora dare i loro frutti. Nel frattempo, la sua esclusione dai consorzi di sviluppo degli idrocarburi gli dà ogni incentivo a ostacolare i progetti correlati, mentre le vittorie diplomatiche di Atene gli offrono meno motivi per cercare un compromesso. Tutti gli interessati dovrebbero concentrarsi sul mantenimento delle discussioni e in questo contesto, la recente ripresa dei colloqui esplorativi tra Grecia e Turchia, su come affrontare le rivendicazioni concorrenti dei paesi sulle questioni che dividono, offre un’opportunità, anche se oltre 60 incontri tra il 2002 e il 2016 (quando si sono interrotti l’ultima volta), hanno portato assai poco; per cui è necessario proseguire su questa linea, nonostante le difficoltà per l’importanza della regione e di chi vi è coinvolto (anche indirettamente). Per abbassare ulteriormente la temperatura e migliorare le prospettive di dialogo, Ankara e Atene

dovrebbero astenersi dalla sottolineatura di «linee rosse», dichiarazioni retoriche e azioni provocatorie. In un’atmosfera di fiducia storicamente bassa, dovrebbero attuare misure di buon senso che hanno concordato molto tempo fa. Dovrebbero anche fare tutto il possibile per portare avanti i colloqui mediati dalle Nazioni unite per una risoluzione politica su Cipro, senza la quale le relazioni tra i vicini rischiano di rimanere tese (tuttavia questa sembra essere divenuta un’opzione chiusa per le recenti dichiarazioni dei turco-ciprioti che non sembrano più interessati a un progetto di riunificazione, anche attenuata dalla forma confederale). Il senso di esclusione e accerchiamento ha, di fatto, incoraggiato Ankara a raggiungere livelli più alti di confronto e di mobilitare la sua popolazione sui bastioni del nazionalismo esasperato. Washington e Bruxelles dovrebbero cercare modi per superare l’opposizione di altri attori regionali all’inclusione della Turchia in gruppi come l’East Mediterranean Gas Forum e quindi ridurre la lista delle proteste turche. Inoltre, più poteri esterni a Washington e Bruxelles vengono coinvolti, maggiore è il pericolo di un’escalation, con meno capacità di mediazione rispetto a qualsiasi momento nel recente passato.

ONU e G5 Sahel

Per diversi anni, gli Stati aderenti all’ONU hanno discusso su come sostenere al meglio alcune delle operazioni militari in corso nel Sahel, una regione che soffre di crescenti livelli di violenza, nonché di crisi politiche, umanitarie e ambientali. Dal dicembre 2017, le Nazioni unite si sono offerte di sostenere la forza congiunta del G5 Sahel attraverso una complicata serie di accordi. Oggi ci sono crescenti richieste alle Nazioni unite di istituire un organismo specifico dedicato a sostenere la forza multinazionale. Il tema non è nuovo, già alla metà degli anni Duemila le Nazioni unite hanno iniziato

La forza di peacekeeping UNFICYP, dall’inglese United Nations Peacekeeping Force in Cyprus, è

una forza di sicurezza delle Nazioni Unite, inviata a Cipro nel 1964 (unficyp.unmissions.org).

a utilizzare i propri fondi per il mantenimento della pace e per sostenere alcune di queste missioni. L’Africa è stata al centro di tali attività, a partire dal 2006 con la fornitura da parte delle Nazioni unite dei cosiddetti pacchetti di supporto, inizialmente leggeri e successivamente più importanti, all’AMIS, la missione dell’Unione africana in Sudan (a cui anche la NATO aveva fornito importanti sostegni). Poi, nel 2009, il passo decisivo. L’ONU, istituisce un Ufficio di supporto delle Nazioni unite per l’AMISOM (la missione dell’Unione africana in Somalia), il primo meccanismo dedicato e finanziato per il mantenimento della pace. Nel 2015, è stato riconfigurato nell’Ufficio di supporto delle Nazioni unite per la Somalia (UNSOS), che continua a operare ancora oggi e che dipende dal Dipartimento del sostegno logistico. Alcuni esperti ritengono di riproporre questo modello, che funziona piuttosto bene, in sostegno alla G5S. I leader del G5 Sahel hanno chiesto un tale meccanismo; lo ha suggerito anche il Segretario generale dell’ONU e oggettivamente la missione G5S, nonostante molti, ma scoordinati aiuti, non riesce a essere efficace. Tuttavia vi sono alcune perplessità e temi di dibattito. Formalmente la G5S non è una forza di pace (in realtà neanche l’AMISOM lo è, essendo una forza di combattimento). Le operazioni di pace sono generalmente definite come il coinvolgimento di personale stra-

niero, civile e in uniforme, che opera a sostegno di un processo di pace (e in apparente contraddizione con quanto detto, l’AMISOM, che è anche questo, dispone di personale civile per gli affari politici, civili, umanitari e forze di polizia per addestrare quelle locali). Il G5 Sahel Joint Force non soddisfa questa definizione. Infatti, è un insieme di forze militari (con aliquote di forze di polizia pesantemente armate) che operano sui territori nazionali (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Chad) e che hanno ridotte opzioni per attività di hot pursuit

(«inseguimento a caldo», ovverosia nel pieno di una azione) transfrontaliere. All’inizio di quest’anno, il Chad ha schierato un suo contingente nella regione dove si incontrano i confini tra Burkina-Faso, Mali e Niger, ma sulla base di un accordo specifico e per un tempo determinato (poi i reparti ciadiani si sono ritirati dall’area a seguito delle esigenze nazionali dopo la morte in combattimento, in patria, del presidente Idriss Débi). Quindi, per la maggior parte, i paesi che contribuiscono alla G5S Joint Force sono contemporaneamente lo Stato ospitante. Legalmente, quindi, la forza non necessita dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU perché è un esempio di autodifesa collettiva, autorizzata dagli Stati sul cui territorio opera il personale della forza, e l’esistenza di un comando integrato, a Bamako, non è sufficiente a trasformare una forza sui generis in una forza multinazionale compiuta. Piuttosto che un’autorizzazione legale, i leader del G5 Sahel vorrebbero un mandato del capitolo VII dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, in gran parte per accedere ai fondi di mantenimento della pace delle Nazioni unite, come è avvenuto in Somalia seguendo il modello AMISOM. Quando lo Stato ospitante e il paese contribuente sono la stessa cosa, ciò porrebbe alle Nazioni unite sfide significative per identificare le operazioni nazionali (al contrario delle forze congiunte) e per garantire la

responsabilità. Una cosa sarebbe se gli Stati del G5 Sahel fossero trasparenti e tempestivi nel riferire sulle loro operazioni, ma non lo sono stati (e l’uso dei materiali ed equipaggiamenti forniti da molti stati dell’UE alla forza ne sono un esempio). Inoltre, come ha osservato l’ultimo rapporto del Segretario generale delle Nazioni unite, la MINUSMA (e partner come la UETM-Mali, EUCAP Mali, EUCAP Sahel e diversi Stati) ha notato la man-

La missione dell’Unione africana in Somalia (African Union Mission in Somalia, AMISOM) è stata autorizzata il 19 gennaio 2007 per assicurare la sicurezza e la pace dopo la guerra in Somalia in atto dal 2006. La missione è stata approvata dalle Nazioni unite il 20 febbraio 2007 per assicurare la protezione dei membri del congresso per la riconciliazione nazionale somala e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave (amisom-au.org).

canza di informazioni da parte della G5S sulla condotta delle operazioni. Un altro problema è che la forza G5S già beneficia di molteplici meccanismi di supporto. Esistono accordi bilaterali di assistenza alle forze di sicurezza da oltre una dozzina di paesi, così come l’Unione europea. Inoltre, l’UA sta ancora elaborando le modalità di dispiegamento di 3.000 rinforzi per la Joint Force. Dal febbraio 2018, un fondo fiduciario ha anche sostenuto la Forza ricevendo circa 145 milioni di dollari dall’Arabia Saudita, dal Ruanda, dalla Turchia, dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale. Come accennato, riceve anche il supporto della MINUSMA, in particolare assistenza logistica, medica, tecnica e ingegneristica. Nonostante alcuni recenti miglioramenti, i problemi di conformità e responsabilità rimangono problemi persistenti, con il personale della forza congiunta del G5 Sahel regolarmente accusato di violazione del diritto umanitario internazionale. I recenti miglioramenti includono l’istituzione, nel gennaio 2021, di una cellula di monitoraggio e analisi delle vittime e degli incidenti; invio di messaggi radio prima delle operazioni a tutte le unità di intervento sui loro obblighi legali e il monitoraggio della cattura, del trattenimento e del trasferimento dei detenuti. È vero che anche l’AMISOM costantemente soffre di problemi di responsabilità e conformità, ma le persistenti violazioni legali da parte dei contingenti della G5S rischiano di far naufragare questa ipotesi, assieme al recente colpo di Stato in Mali. Infine, l’utilizzo di un apposito meccanismo delle Nazioni unite, finanziato dai contributi valutati per il mantenimento della pace dell’organizzazione per sostenere principalmente le operazioni antiterrorismo nazionali, creerebbe un precedente pericoloso in quanto minerebbe le pretese di imparzialità delle Nazioni unite e offuscherebbe ulteriormente il confine tra le operazioni di pace e le attività antiterrorismo interne. Probabilmente incoraggerebbe anche altri Stati e organizzazioni in tutto il mondo a richiedere un simile sostegno da parte dell’ONU per le proprie operazioni antiterrorismo interne.

Vecchi fantasmi nei Balcani

Sembra che i Balcani, inclusi quelli occidentali, non riescano a liberarsi di vecchi schemi. Agli inizi di giugno il Consiglio d’Europa ha avvertito che le divisioni tra le comunità etniche si stanno approfondendo in Montenegro, sottolineando che occorre migliorare il monitoraggio dell’incitamento all’odio. Nel suo rapporto sull’attuazione della Convenzione per la protezione delle minoranze nazionali in Montenegro, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha osservato che le autorità hanno affermato che le distanze sociali tra quasi tutti i gruppi etnici sono aumentate. Ciò ha contribuito alla visione del Comitato secondo cui le divisioni potrebbero approfondirsi e diventare più marcate. Sono stati notati anche episodi di discordia religiosa tra diverse comunità della chiesa ortodossa, afferma il rapporto. Nonostante che l’incitamento all’odio sia criminalizzato, ma c’è poco monitoraggio dei socialmedia da parte delle autorità, perché nessuna agenzia ha il mandato per farlo. Il Consiglio ha invitato le autorità a prestare particolare attenzione alla prevenzione dell’incitamento all’odio nelle consultazioni sulla nuova legge sui media e ad assicurare che la legge affronti tale problema. L’organismo di Strasburgo ha affermato che la nuova legge sui media deve definire chiaramente le responsabilità per l’incitamento all’odio pubblicato e autorizzare un’agenzia statale a monitorare e sanzionarne i casi. Il rapporto sui progressi del 2020 della Commissione europea sul paese ha avvertito che questi problemi e gli abusi verbali nei media e nei social network sono peggiorati. Ha quindi esortato le autorità montenegrine ad aumentare la capacità del sistema giudiziario di affrontare l’incitamento all’odio e ad assicurare che tali casi siano indagati, perseguiti e adeguatamente sanzionati. Il Consiglio d’Europa ha invitato le autorità anche a chiarire l’uso di altri simboli statali in Montenegro, in quanto la mancanza di chiarezza sull’esposizione di simboli di altri Stati rischia di essere fonte di abusi e di esacerbare ulteriormente le divisioni presenti nella società montenegrina. Appartenenti alle minoranze albanesi e serbe sembrano essere quelli oggetto di maggior numero di azioni delle forze di sicurezza. Il Montene-

gro è uno Stato multietnico ed è insolito non avere una comunità che costituisca più della metà della sua popolazione di cui circa il 45% (di circa 630.000 persone) si identifica come montenegrino, circa il 29% come serbo, circa l’11% come bosniaco o musulmano e il 5% come albanese. Ma il rapporto del Consiglio d’Europa sottolinea la fragilità permanente della regione, sia per i vecchi sia per i nuovi Stati. Le vicende del Montenegro sono esemplari nel rappresentare le ingiustizie della storia, infatti, già durante la Prima guerra mondiale il piccolo regno era scomparso dalle agende delle potenze e suo malgrado assimilato alla Iugoslavia serbo-dominata, e la sua autonomia, durante l’epoca titoista, già limitata, è terminata di nuovo dal 1991 sino al raggiungimento della piena indipendenza, nel 2006. Il Montenegro è stato trascinato nel vortice della guerra civile e associato alla Serbia di Milosevic e dei suoi cupi sodali. L’indipendenza, come spesso avviene, sviluppa dinamiche identitarie fortissime (soprattutto quando sono state deliberatamente ignorate e represse) e si ripropongono situazioni già viste e che nessuno vuole rivedere. Ma le polarizzazioni attuali non hanno aiutato l’avvio di un dialogo e le scelte recenti del Montenegro, come l’adesione alla NATO e il processo di accessione all’UE, hanno (ri)acceso rivalità assieme a preoccupazioni serbe (e russe) proponendo ulteriormente constasti; le popolazioni civili rischiano ancora di essere ostaggio di sogni sia di pulizie da stranieri indesiderati sia di improbabili rivincite, andando a toccare anche la dimensione religiosa, testimoniato dalla durissima separazione tra le chiese ortodossa, serba e montenegrina e ravvivando anche vecchie e dimenticate rivendicazioni albanesi e kosovare su zone confinarie (rispettivamente Bar, Ulcigno e Berane).

Base aerea misteriosa su un’isola del Mar Rosso

Una misteriosa base aerea è in costruzione su un’isola vulcanica al largo dello Yemen che si trova in uno dei nodi marittimi cruciali del mondo sia per le spedizioni di energia sia per il carico commerciale. Sebbene nessun paese abbia rivendicato la giurisdizione sull’isola di Mayun nello stretto di Bab-elMandeb, i funzionari del governo yemenita, riconosciuto a livello internazionale, ora affermano che gli Emirati sono dietro questo sforzo, anche se gli EAU hanno annunciato, nel 2019, il ritiro delle proprie truppe da una campagna militare, guidata dai sauditi, che combatte i ribelli Houthi dello Yemen e che poco prima un duro confronto politico aveva opposto Riyadh e Dubai in merito alla presenza di forze degli emirati sull’isola yemenita di Socotra. La pista sull’isola di Mayun consente a chiunque la controlli di proiettare potenza nello stretto e lanciare facilmente attacchi aerei nello Yemen continentale, sconvolto da una sanguinosa guerra in corso da anni. Potrebbe fornire inoltre una base per qualsiasi operazione nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nella vicina Africa orientale, una regione oramai tra le più importanti del pianeta. Immagini satellitari mostravano lavori di costruzione di una pista di circa 2 chilometri, altre installazioni e hangar per dotare questa base della capacità di ospitare aerei da attacco, sorveglianza e trasporto. Un tentativo precedente, iniziato verso la fine del 2016, e successivamente abbandonato, aveva visto lavori per una pista ancora più lunga (oltre 3 chilometri). I funzionari yemeniti affermavano che la recente tensione tra gli Emirati Arabi Uniti e il presidente yemenita, Abed Rabbo Mansour Hadi, derivava in parte dalla richiesta degli Emirati, al suo governo, di firmare un contratto di locazione di 20 anni per Mayun. Il progetto di costruzione iniziale (e interrotto) è arrivato dopo che gli EAU e le forze alleate avevano ripreso l’isola, occupata dai militanti Houthi sostenuti dall’Iran, nel 2015. Secondo contatti da fonti stampa, i general contractors hanno rifiutato ogni notizia o commento sui lavori da essi condotti sull’isola. Altre fonti osservano che l’apparente decisione degli Emirati di riprendere la costruzione della base aerea arriva dopo che gli stessi hanno smantellato le loro installazioni militari in Eritrea, utilizzate come base di partenza per la campagna nello Yemen, rivelando un mero riorientamento geografico, ma confermando i propri interessi strategici sulla regione.

Enrico Magnani

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MARINEMILITARI

COREA DEL SUD

Entra in servizio l’LPH Marado (6112)

Con una cerimonia tenutasi il 28 giugno presso la base navale di Jinhae, è entrata in servizio la seconda unità della classe «Dodko». Si tratta della LPH Marado, che si differenzia per diversi miglioramenti rispetto alla capoclasse Dodko (LPH 6111), frutto dell’attività operativa di quest’ultima e nuove esigenze operative venutesi a manifestarsi dall’entrata in servizio di quest’ultima nel 2007. Con un dislocamento a pieno carico di 19.000 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 200 e 31 metri e immersione di 6,6 m, le unità della classe «Dodko» presentano un equipaggio di 330 elementi e sono in grado di trasportare 720 fanti di Marina, 6 carri armati, 7 mezzi anfibi, 2 LCAC e da 7 a 12 elicotteri fra cui «MUH-1» e «MAH». I principali miglioramenti della Marado rispetto alla capoclasse riguardano interventi strutturali e il sistema di combattimento. Le capacità di trasporto sia della componente ad ala fissa sia dei mezzi terrestri è stata incrementata grazie, rispettivamente, al rinforzo del ponte di volo (zona degli spot per atterraggio e decollo) affinché possa essere imbarcato il convertiplano «MV-22» in servizio con il Corpo dei Marines americano, nonché potenziate le capacità di carico del portellone laterale che insieme a quello poppiero assicura il carico di mezzi e materiali nell’hangar/ponte di trasporto della nave. Il portellone laterale è stato rinforzato affinché il relativo sistema di estensione e retrazione, che consente il carico e lo scarico di mezzi da infrastrutture portuali e terrestri, possa sopportare carichi di 60 t come molti nuovi mezzi corazzati e logistici ad alta mobilità con carichi sempre più pesanti. Vengono inoltre potenziate le capacità della gru di carico sistemata sul ponte di volo davanti all’isola. Altri interventi strutturali significativi riguardano la centrale di controllo delle operazioni aeree che mentre in precedenza era posizionata sulla struttura laterale dell’isola, sulla nuova unità è posizionata nella zona più arretrata delle sovrastrutture, per facilitare la gestione delle operazioni aeree. L’altra importante area di potenziamento delle capacità della LPH Marado è rappresentata dal sistema di combattimento che dispone di nuovi sensori e sistemi d’arma. In particolare, il radar multifunzionale per la scoperta e l’ingaggio di bersagli aerei e missilistici Elta Systems «EL/M2248 MF-STAR» con quattro antenne AESA (Active Electronically Scanned Antenna) a facce fisse suddivise fra l’albero prodiero e poppiero dell’isola, rimpiazza il sistema Thales «SMART-L» ad antenna rotante singola. Il nuovo radar consente di gestire il nuovo armamento missilistico imbarcato così come le nuove minacce aeree e missilistiche che l’unità si troverà ad affrontare in futuro, con possibilità di gestire più missili in contemporanea. Anche il sistema radar aeronavale «MW-08» viene rimpiazzato dal più moderno ed efficace sistema LIG Nex1 3D «SPS-550K», mentre il sistema IRST (Infra-Red Search and Tracking) «Vampir-MB» viene sostituito con il sistema sempre di produzione locale «SAQ-600K». Come anticipato, viene introdotto il nuovo sistema missilistico con sistema di lancio verticale K-SAAM (Korean Surface to Air Anti Missile) o «Sea Bow» che rimpiazza il sistema RAM (Rolling Airframe Missile). Il gruppo di celle a lancio verticale del K-SAAM è posizionato sulle sovrastrutture poppiere dell’isola vicino alla nuova direzione delle operazioni aeree e rimpiazza il sistema RAM installato sopra la plancia della capoclasse, mentre i due sistemi per la difesa ravvicinata «Goalkeeper», posizionati rispettivamente a prua estrema sul ponte di volo e sulla zona poppiera delle sovrastrutture dell’isola, sono rimpiazzati dal sistema «Phalanx». A differenza dell’unità capoclasse, il complesso poppiero è stato sistemato su di un «mensolone» a sinistra in modo da lasciare libero il ponte di volo nella zona poppiera. Anche il sistema di protezione della nave è stato migliorato con l’imbarco di sistemi di lancio decoy di nuova generazione «K-Dagaie NG» con decoy «SEALEM» e «SEALIR».

Il 28 giugno è entrata in servizio, con la Marina della Corea del Sud, l’LPH MARADO (6112), seconda unità della classe «Dodko» (Marina della Corea del Sud).

EGITTO Nuova base navale sul mar Mediterraneo

Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha inaugurato il 3 luglio la nuova base navale di Gargoub (il nuovo porto di Marsa Matruh), sulla costa nord-occidentale del paese. All’inaugurazione della nuova base, intitolata «3 Luglio», in ricordo della data in cui, nel 2013, sommosse popolari e la rivolta dei militari guidati dal generale alSisi rovesciarono il governo dei Fratelli Musulmani guidato da Mohamed Morsi, erano presenti autorità politiche e militari e ospiti stranieri, fra cui il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed Bin Zayed Al-Nahyan. In rada, la Marina egiziana ha schierato ben 47 unità navali impegnate nella grande esercitazione annuale «Qader» che ha preso il via dopo l’inaugurazione della base navale. Presenti tutte le maggiori unità della flotta: le due portaelicotteri d’assalto anfibio classe «Mistral» con a bordo elicotteri d’attacco «Ka-52 Alligator» insieme agli elicotteri Leonardo «AW-149», una corvetta tipo «Gowind», le due fregate ex italiane tipo FREMM fornite da Fincantieri, la FREMM fornita dal gruppo francese Naval Group, un sottomarino «Type 209/1400», un pattugliatore d’altura «Lürssen» da 60 metri, recentemente consegnato e nove motovedette «Lürssen» tipo «OPB40». Distante circa 135 km dal confine con la Libia, la nuova base copre un’area di 10 milioni di metri quadrati, ha un molo lungo mille metri con una profondità di 14 metri per unità militari e moli per unità civili, una piattaforma di atterraggio per elicotteri, un centro di comando congiunto e diverse strutture addestrative nonché manutentive. L’inaugurazione della base «3 Luglio» avviene a distanza di oltre un anno dalla messa in operazioni da parte egiziana della base militare interforze di Berenice, sul Mar Rosso vicino al confine sudanese, definita nel gennaio 2020, al momento della sua inaugurazione, come la più grande base del Mar Rosso e una delle più grandi della regione. La presidenza egiziana ha affermato che la base «3 Luglio» aiuterà a proteggere gli investimenti economici e le risorse naturali nelle regioni occidentali del paese e del mar Mediterraneo, oltre a garantire la sicurezza del traffico attraverso il Canale di Suez. A partire dal 2017, quando vennero inaugurate la grande base aerea e terrestre «Mohamed Neguib» vicino a Marsa Matruh e quella interforze di Sidi el-Barrani, 110 chilometri dal confine libico, il cui porto è stato utilizzato negli ultimi anni anche dalle navi russe, l’Egitto ha aperto diverse nuove grandi basi militari nell’ambito di un ampio programma di realizzazioni infrastrutturali nazionali.

FRANCIA Conclusa l’operazione «Clemenceau 2021»

Dopo cinquanta giorni di impegno nell’ambito dell’operazione «Chammal», la componente francese della coalizione alleata impegnata nell’operazione «Inherent Resolve» (Operation Inherent Resolve), rappresentata dal Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei a propulsione nucleare Charles de Gaulle (R 91) e schierata nell’ambito della missione «Clemenceau 21», ha svolto le ultime missioni lo scorso 28 maggio e a fatto ritorno il 4 giugno alla base navale di Tolone, da dove era partita il 21 febbraio scorso. Iniziata il 23 marzo nel Golfo Persico, la partecipazione del CSG francese impegnato nell’operazione «Chammal», è stata temporaneamente sospesa dal 24 aprile all’8 maggio al fine di riposizionare la Forza navale nel Mediterraneo orientale. Nel frattempo, il 6 maggio 2021, è stata effettuata un’attività operativa con missioni dal Mar Rosso sul teatro iracheno-siriano, una prima per la Marina francese, affermando così la sua capacità di proiezione di potenza nel teatro operativo da tutti i bacini di riferimento. Durante l’ultima fase operativa nel Mediterraneo orientale, sono state effettuate 36 sortite con velivoli da combattimento imbarcati «Rafale Marine» e 12 sortite con velivoli da comando, controllo e sorveglianza aerotrasportata «E-2C Hawkeye», portando il numero complessivo delle sortite dei «Rafale Marine» a 104 e degli «E-2C Hawkeye» a 38, durante i 50 giorni di impegno del CSG nell’ambito dell’operazione «Inherent Resolve», durante la missione «Clemenceau 21». Le risorse del CSG schierate in teatro hanno consentito alla coalizione di contrastare la ricostituzione delle capacità di Daesh e di intervenire in particolare contro gruppi dell’organizzazione islamista, durante le missioni congiunte condotte il 20 maggio 2021. «Le esigenze operative della coalizione, a cui la Francia sta contribuendo, hanno ampiamente plasmato la configurazione della missione “Clemenceau 21”, che ha condotto il CSG nel Golfo Per-

Dopo cinquanta giorni di impiego nell’ambito dell’operazione «Chammal», il Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei a propulsione nucleare CHARLES DE GAULLE (R 91) e schierata nell’ambito della missione «Clemenceau 21», ha fatto rientro a Tolone il 4 giugno (Marina francese).

sico, per la prima volta dal 2015, e poi nel Mediterraneo orientale. Durante la nostra partecipazione all’operazione, le nostre capacità sono state utilizzate nella lotta contro il terrorismo islamista in Medio Oriente, per impedire a Daesh di riorganizzarsi e ristrutturarsi nella regione. Questo ha richiesto un ritmo operativo sostenuto da parte degli equipaggi, che non è venuto mai meno», ha affermato il contrammiraglio Marc Aussedat, comandante della «Task Force 473», nel fare un bilancio positivo dei cinquanta giorni della missione. La «Task Force 473» ha inoltre contribuito a garantire la libertà di navigazione e a mettere in sicurezza e difendere aree strategiche come il mar Mediterraneo, l’Oceano Indiano e il Golfo Persico. Accompagnato occasionalmente da unità navali straniere, il CSG ha assunto il comando della «Task Force 50» dell’US Naval Central Command e ha partecipato all’esercitazione franco-indiana «Varuna» e franco-inglese «Gallic Strike», dimostrando l’interoperabilità e l’interazione tra la Marina francese e i suoi alleati. «Essere schierato per 4 mesi in un contesto di pandemia globale è stata una grande sfida. Abbiamo imparato da quello che è successo lo scorso anno e abbiamo messo in atto nuove misure. Abbiamo modificato l’organizzazione della nave, i processi, gli spazi e le nostre modalità operative. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo prestato particolare attenzione al flusso tra la nave e il mondo esterno, misure molto importanti che consentono di gestire al meglio la situazione e di tornare in ottime condizioni», ha aggiunto il Contrammiraglio.

Ritirata dal servizio la rifornitrice di squadra

Var (A 608)

Dopo 38 anni di onorato servizio, quasi 2.300 rifornimenti in mare e oltre un milione di miglia nautiche navigate, la nave comando e rifornimento (BCR, Bâtiment de Commandement et de Ravitaillement) Var ha lasciato il servizio attivo il 1o luglio. L’ultima attività che ha visto impegnata l’unità è stata la missione «Clemenceau 2021» della durata di quattro mesi in supporto del Carrie Strike Group (CSG) guidato dalla portaerei Charles de Gaulle (R 91), nel corso della quale ha effettuato più di 50 rifornimenti in mare a unità della Marina francese e della coalizione. Terza delle cinque unità della classe «Durance», destinate a fornire supporto logistico alla flotta della Marine Nationale e alleata, entrata in servizio nel 1983, per molti anni è stata la sede dell’ammiraglio che comanda la zona marittima dell’Oceano Indiano (ALINDIEN). La nave ha partecipato a numerose missioni, tra cui il rifornimento del Gruppo navale durante l’operazione «Harmattan» in Libia nel 2011, il comando della «Combined Task Force 150» nell’Oceano Indiano nel 2015 e la partecipazione all’operazione «Hamilton» in Siria nel 2018. Delle unità classe «Durance», ne rimangono in servizio due, Marne (A 630) e Somme (A 631), destinate a essere rimpiazzate dalle quattro unità tipo BRF (Bâtiment Ravitailleur de Forces) che saranno consegnate fra il 2023 e il 2029.

GERMANIA Lürssen costruirà le nuove navi AGI per Marina tedesca

Con l’obiettivo di mantenere una capacità d’intelligence sul mare allo stato dell’arte, l’Ufficio federale delle attrezzature, della tecnologia dell’informazione e del supporto in servizio della Bundeswehr (BAAINBw) ha assegnato al gruppo Lürssen Werft GmbH un contratto per la progettazione e costruzione di tre navi tipo AGI (Auxiliary, General Intelligence) della nuova classe «424». Poiché l’intelligence sul mare fornisce un contributo indispensabile e continuo a un quadro interforze, il ministero della Difesa tedesca ha deciso l’acquisizione di tre nuove navi tipo AGI di nuova generazione in aggiunta a una struttura di addestramento e gestione centralizzata di analisi delle informazioni raccolte. Destinate a rimpiazzare le tre unità classe «Oste» da 3.200 t e 83,5 metri di lunghezza a partire dal 2027, le tre nuove piattaforme si baseranno su standard costruttivi navali civili mentre per quanto riguarda la suite di missione, disporranno di sensori di superficie e subacquei in combinazione con specifici requisiti come capacità di autoprotezione, comando e con-

trollo e la necessità di sistemi di propulsione estremamente silenziosi. Quale responsabile del programma, i cantieri Lürssen Werft lanceranno al più presto la fase di progettazione e le discussioni con potenziali partner del settore dei cantieri navali e dell’ingegneria dei sistemi. Secondo il piano finanziario approvato dal parlamento, il programma per le tre nuove navi AGI incluso la nuova struttura di addestramento e il centro per l’intelligence avranno un costo complessivo inferiore ai 2,1 miliardi di euro.

GIAPPONE Varata la terza fregata classe «Mogami»

Con una cerimonia tenutasi il 22 giugno presso i cantieri del gruppo Mitsubishi Heavy Industries (MHI) di Nagasaki, è stata varata la terza fregata classe «Mogani» o tipo «30FFM». Si tratta dell’unità Noshiro (FFM 3), la cui classe di fregate di nuova generazione è destinata a rimpiazzare diversi tipi di caccia fra cui le classi «Asagiri» e «Abukuma» in servizio con la Japan Maritime Self-Defense Force (JMSDF). L’unità capoclasse Mogami (FFM 1) è stata impostata nell’ottobre 2019 e varata lo scorso marzo presso i cantieri MHI di Nagasaki, mentre la seconda unità battezzata Kumano (FFM 3) è stata costruita presso i cantieri Mitsui E&S Shipbuilding di Tamano (Okayama), dove è stata impostata sempre nell’ottobre 2019 e varata nel novembre 2020, nell’ambito del subappaltato da parte del gruppo MHI. La terza unità, che prende il nome dal fiume Noshiro situato nella prefettura di Akita, risulta in fase d’allestimento, in vista della consegna e messa in servizio prevista per dicembre 2023. La nuova classe di fregate multi-missione di cui è prevista la realizzazione in ben 22 esemplari per la JMSDF si caratterizza per l’introduzione d’importanti innovazioni tecnologie e progettuali fra cui l’impiego di piattaforme senza pilota di superficie e subacquee in aggiunta a quelle aeree.

GRAN BRETAGNA La Royal Navy impiega l’intelligenza artificiale per la difesa antiaerea

Nel corso della più grande esercitazione per la difesa navale contro attacchi missilistici che si tiene in Europa ogni due anni, la Royal Navy ha testato per la prima volta l’intelligenza artificiale per la difesa delle proprie unità e di quelle alleate. La Royal Navy ha partecipato all’esercitazione «Formidable Shield 2021» con tre unità navali: il caccia lanciamissili Dragon (D 35) classe «Daring» o «Type 45» e le fregate Lancaster (F 229) e Argyll (F 231) della classe «Duke» o «Type 23». L’unità maggiore e la fregata Lancaster hanno sperimentato applicazioni di intelligenza artificiale e «machine learning» che hanno offerto uno sguardo sul futuro della difesa aerea sul mare. Personale dell’agenzia DSTL (Defence Science and Technology Laboratory) del ministero della Difesa e i partner industriali Roke, CGI e BAE Systems hanno sfruttato l’esercitazione della durata di tre settimane per testare i loro sistemi «Startle» e «Sycoiea». Il primo è stato progettato per aiutare ad alleviare il carico di lavoro degli operatori del sistema di combattimento delle navi interessate che monitorano il «quadro aereo» nella sala operativa fornendo supporto e segnalazioni in tempo reale. Il sistema «Sycoiea» si basa su queste informazioni ed è in prima linea nella valutazione delle minacce e nell’assegnazione automatizzata di piattaforme e armi, consentendo alle squadre della sala operativa di identificare con efficacia i missili in arrivo e supportare gli stessi operatori nella selezione dell’arma migliore per affrontarli più rapidamente. Secondo le prime esperienze, gli operatori sarebbero stati in grado di identificare le minacce missilistiche più rapidamente e indifferentemente dall’alta esperienza dell’operatore. Sebbene i test con l’intelligenza artificiale siano stati condotti in precedenza, questa è la prima volta che viene testata contro missili reali. Mentre tali tecnologie sono in fase di sperimentazione e valutazione, la fregata Argyll, prima unità della Royal Navy a essere dotata del missile di difesa aerea MBDA «Sea Ceptor», ha testato software aggiornato e sviluppato tattiche per sfruttare al meglio il radar BAE Systems «Artisan» e il sistema missilistico MBDA «Sea Ceptor».

Con una cerimonia tenutasi il 22 giugno presso i cantieri del gruppo Mitsubishi Heavy Industries di Nagasaki, è stata varata la fregata di

nuova concezione NOSHIRO (FFM 3) della classe «Mogani» o tipo

«30FFM» (JMSDF).

Velivoli «F-35» e «Apache» sulla portaerei Prince of Wales (R 09)

La Royal Navy ha raggiunto un altro importante traguardo operativo all’inizio del mese di giugno quando il primo «F-35B» del 207 Squadron della Royal Air Force ha effettuato il primo atterraggio e decollo corto con skyjump dal ponte della portaerei Prince of Wales (R 09). In aggiunta alle attività con i velivoli ad ala fissa che consentiranno nel prossimo futuro alla Royal Navy di disporre di due ponti di volo in grado d’impiegare il velivolo stealth «F-35B», attualmente imbarcato soltanto sulla portaerei Queen Elizabeth (R 08), impegnata quale nave ammiraglia nella missione del Carrier Strike Group (CSG) 21 in Estremo Oriente, a bordo dell’unità gemella sono stati imbarcati anche gli elicotteri «Chinook» della Royal Air Force e «Apache» del British Army. Sebbene questi ultimi siano stati impiegati dal ponte di volo della LPH Ocean durante la crisi libica del 2011 e successivamente sporadicamente, come recentemente si è verificato per attività di test a bordo della portaerei Queen Elizabeth, l’imbarco a bordo della gemella di tre «Apache», con un centinaio di operatori del British Army, ha consentito sia a quest’ultimo che alla Royal Navy di prendere le misure con l’impiego imbarcato e le necessità e difficoltà del medesimo di operare in un ambiente completamente diverso da quello terrestre. In particolare, i tre «Apache» sono in servizio con il 656 Squadron, l’unità dell’Army Air Corps dedicata all’impiego imbarcato della macchina. In aggiunta alle verifiche d’impiego e alla gestione dell’«Apache» sul ponte di volo da parte del personale della Royal Navy e di supporto operativo e manutentivo del British Army, l’imbarco con 161, fra decolli e atterraggi, ha permesso la qualifica di un nuovo pilota all’impiego imbarcato e al mantenimento della qualifica di un gruppetto di altri otto.

La Royal Navy ha raggiunto un altro importante traguardo operativo all’inizio del mese di giugno quando il primo «F-35B» ha operato dal ponte della

portaerei PRINCES OF WALES (R 09) - (Royal Navy/UK Crowncopyright).

La Royal Navy riceve il terzo USV contromisure mine

La terza e ultima piattaforma per le contromisure mine a controllo autonomo, remoto o con equipaggio della Royal Navy è stata consegnata alla base navale di Clyde. La RNMB Hebe si è unita alle imbarcazioni sorelle Harrier e Hazard quali elementi cardine del programma di cacciamine senza equipaggio della Royal Navy denominato «Project Wilton». In realtà la RNMB Hebe è più lunga di quattro metri rispetto alle due sorelle e dispone di una suite di comando, controllo e missione più sofisticata delle altre due. L’imbarcazione ha una lunghezza di 15 metri ed è fornita come le altre due sorelle da Atlas Elektronik UK che ha equipaggiato la medesima con un sistema di missione che le permette di controllare l’impiego della gemella Harrier. L’imbarcazione ha anche la capacità d’imbarcare e trainare un sistema sonar a scansione laterale per il monitoraggio delle acque da controllare. Le barche sono in grado di lavorare in diverse configurazioni — manualmente, in remoto o in autonomia — per rilevare e classificare mine e ordigni improvvisati a mare. Il team di «Project Wilton» sta effettuando prove sempre più complesse e un programma di sviluppo delle capacità per assicurarsi di essere pronto a fornire capacità di monitoraggio e neutralizzazione di eventuali minacce alle vie d’accesso ai principali porti e installazioni militari nel Regno Unito e dove sia necessario oltremare.

ITALIA

XIV Campagna di Solidarietà per nave Italia

La Campagna di Solidarietà 2021 di nave Italia ha preso il via lo scorso 22 giugno alla presenza dell’ammiraglio Giorgio Lazio, Comandante Marittimo Nord e Presidente della «Fondazione Tender to nave Italia» che ha salutato il Cigno e il suo primo equipaggio «speciale» in partenza dal porto della Spezia, dove farà ritorno l’ultima decade di ottobre. Nel corso della medesima si terranno diversi progetti educativi a favore di associazioni no profit, ONLUS, scuole, ospedali, servizi sociali, aziende pubbliche e private, dedicati ai propri assistiti e alle loro famiglie. In questi mesi il brigantino più grande del mondo, è nuovamente al servizio dei più fragili, impiegando la cultura del mare e della navigazione a vela quali strumenti di educazione, di riabilitazione e inclu-

sione sociale. Pur con le difficoltà legate alla pandemia in atto, la Campagna di Solidarietà 2021 svolge 14 progetti educativi, nel pieno rispetto delle misure di sicurezza sanitarie, affrontando tre macro-aree di intervento: disabilità, disagio sociale e salute mentale. I nostri giovani marinai speciali, provenienti da tutta Italia, sono accompagnati da medici, psicologi, educatori e operatori. La nave sta toccando diversi porti del Mar Ligure e Tirreno. Undici ragazzi dell’Associazione italiana Sindrome di Williams e i loro accompagnatori hanno avuto modo di trascorrere cinque giorni a bordo del brigantino partito da Livorno, seguiti dai ragazzi del CSV di Padova e Rovigo imbarcati a Civitavecchia.

Nave Doria completa l’aggregazione al CSG 21

Dal 28 maggio al 15 giugno nave Andrea Doria (D 553) si è integrata nel Carrier Strike Group (CSG) inglese per partecipare alla scorta della portaerei Queen Elizabeth (R 08). L’attività è iniziata alla fine dell’esercitazione «Steadfast Defender 2021» in oceano Atlantico per terminare dopo 19 giorni nel Mediterraneo. Durante il periodo di aggregazione nave Doria è stata e rimarrà l’unico assetto esterno al CSG a partecipare alla scorta della portaerei nel «periodo mediterraneo» dello schieramento inglese. L’unità italiana ha svolto attività addestrativa e operazioni con il gruppo britannico. Durante le interazioni è avvenuto l’appontaggio, sulla Queen Elizabeth, di un elicottero italiano e l’esercitazione tra gli «F-35B» nazionali con quelli inglesi, quest’ultimi, inoltre, per la prima volta, controllati tatticamente dal Doria. L’aggregazione al Gruppo portaerei Queen Elizabeth ha permesso a nave Doria di integrarsi appieno con le Forze navali britanniche, incrementando l’interoperabilità in termini di sistemi e procedure. Durante la propria presenza nel Mediterraneo, il Gruppo navale ha espresso l’azione diplomatica inglese sia nella scelta delle rotte di transito, sia nella definizione dei porti in cui è stata richiesta l’ospitalità per la portaerei e per le unità di scorta. L’Italia ha giocato un ruolo chiave nella prima fase del deployment britannico in Mediterraneo, accogliendo la portaerei Queen Elizabeth nel porto di Augusta, dove sono stati svolti importanti incontri diplomatici. Ciò conferma il ruolo centrale del nostro paese e della Marina italiana nello scenario geopolitico del Mediterraneo, «Mare nostrum».

Dal 28 maggio al 15 giugno nave ANDREA DORIA (D 553) si è integrata nel

Carrier Strike Group (CSG) inglese, per partecipare alla scorta della

portaerei QUEEN ELIZABETH (R 08).

Al via la Campagna d’istruzione 2021 su nave

Vespucci

Con il classico «Buon vento e mare calmo» augurato dall’onorevole Stefania Pucciarelli, sottosegretario di Stato alla Difesa, e dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha preso il via lunedì 5 luglio, a bordo di nave Vespucci (A 5312) la campagna degli allievi ufficiali della prima classe dell’Accademia navale. Da oggi e fino al 6 settembre i 104 allievi, in rappresentanza di quasi tutte le regioni d’Italia, e 14 cadetti di Marine estere, «avranno occasione di consolidare la formazione marinaresca attraverso un percorso formativo basato sul lavoro di squadra, che caratterizza ogni marinaio nell’assolvimento dei compiti della Forza armata al servizio della collettività, e ricevere il cosiddetto “battesimo del mare”», ha sottolineato il comandante di nave Vespucci, capitano di vascello Gianfranco Bacchi. Una tradizione che si rinnova anno dopo anno, quella della campagna d’istruzione, quest’anno la numero 85 a bordo dell’unità, che di anni ne ha appena compiuti 90 ed è oggi l’unità della Squadra navale più anziana e longeva in servizio. Una pietra miliare nella formazione dei futuri ufficiali della Marina Militare che si ripete con rinnovato impulso all’innovazione.

Ultimo Ammaina bandiera per nave Espero

(F 576)

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 30 giugno presso la Stazione navale Mar Grande di Taranto, alla presenza del Comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Paolo Treu, è stato celebrato l’ultimo Ammaina bandiera di nave Espero. A questo importante momento, in aggiunta alle autorità civili, religiose e mi-

Lo scorso 30 giugno, presso la Stazione Navale Mar Grande di Taranto, è stato celebrato l’ultimo Ammaina bandiera di nave ESPERO (F576), qui ripresa in operazione. In basso: a quasi quattro mesi dalla partenza dalla Spezia, nave LUIGI RIZZO (F 595) ha concluso il suo impiego nel Golfo di Guinea.

litari, hanno partecipato gli ex comandanti dell’unità tra cui, il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Aurelio De Carolis e lo stesso ammiraglio Paolo Treu. Settima delle otto fregate della classe «Maestrale», nave Espero è stata un’unità missilistica e antisommergibile che dal 1985 al 2018 ha svolto un ruolo fondamentale in molte delle principali missioni e operazioni internazionali con complessive 675.000 miglia nautiche percorse, circa 31 volte la lunghezza dell’equatore. Grande la commozione del comandante dell’unità, capitano di fregata Mauro Paolizzi, nel momento in cui la Bandiera di Combattimento è stata consegnata nelle mani del Comandante in capo della Squadra navale, per essere poi custodita definitivamente nel Sacrario delle Bandiere a Roma, all’interno dell’Altare della Patria.

La Marina Militare a fianco del MiTE per i controlli ambientali

La nave polifunzionale ad alta velocità (UNPAV) Angelo Cabrini (P 420) con il personale del GOS (Gruppo Operativo Subacquei), del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) e la collaborazione del personale del MiTE (Ministero della Transizione Ecologica), ha effettuato, nei giorni 8-10 giugno, attività di campionamento acque di alcune piattaforme del campo off-shore «Barbara», ubicato a nord di Ancona, nel Mar Adriatico. Tale attività, nel quadro dei controlli ambientali del MiTE a cui la Marina Militare concorre in virtù sia dei compiti istituzionali sia dell’accordo di collaborazione siglato a settembre 2020, tra la Forza armata e la Direzione Generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi.

Riprende la cooperazione italo-francese nelle immersioni profonde

Un meeting di esperti nel campo subacqueo presso il Comando Subacquei ed Incursori della Marina Militare (COMSUBIN) del Varignano (La Spezia), nei giorni 15-16 giugno, ha visto la partecipazione degli operatori francesi del CEPHISMER (CEllule Plongée Humaine et Intervention Sous la MER) e FOST (Force Océanique STratégique). Dopo un periodo di stallo, la cooperazione tra le due Marine riprende intensamente con l’obiettivo di implementare procedure e tecniche d’impiego degli assetti subacquei dedicati alle immersioni in alto fondale per il soccorso dei sommergibili sinistrati e i lavori subacquei in generale.

Conclusa l’operazione Gabinia di nave Rizzo

A quasi quattro mesi dalla partenza, avvenuta il 23 febbraio scorso, nave Luigi Rizzo (F 595) ha concluso il suo impegno nel Golfo di Guinea a tutela degli interessi nazionali e della sicurezza delle vie marittime per il libero uso del mare, rientrando alla Spezia lo scorso 18 giugno. L’impegno dell’unità classe «Bergamini» si è subito sviluppato, una volta giunta in area di operazioni, con la partecipazione a importanti eventi multi-nazionali, catalizzatori del crescente interesse nell’area da parte degli stakeholder internazionali. Fin da subito coinvolta nell’esercitazione marittima «Obangame Express 2021», ha condotto attività addestrativa e operativa con le Marine e le forze di sicurezza marittime di quasi tutti i paesi dell’Africa occidentale, oltre che di unità europee, americane e canadesi, e alla promozione della collaborazione tra i paesi del Golfo di Guinea e le organizzazioni di sicurezza dell’architettura di Yaoundé. Il Golfo di Guinea è divenuto il principale hotspot della pirateria mondiale e la missione italiana è finalizzata alla prevenzione e al contrasto degli atti criminali a protezione degli interessi nazionali. Nello specifico, a cornice della costante attività di supporto al comparto nazionale marittimo operante in area, nave Rizzo ha condotto esercitazioni congiunte con Assarmatori, Confitarma, Eni e Saipem al fine di verifi-

care la catena d’allarme nazionale e confermare il perfetto connubio tra il cluster marittimo nazionale e la Marina Militare. I numeri che hanno caratterizzato questa missione: 116 giorni di attività operativa continuativa; circa 165 ore di volo per ricognizione; contatti quotidiani con oltre 100 unità mercantili di interesse nazionale in transito nell’area; concorso nel maxi-sequestro di un carico di oltre 6 tonnellate di cocaina diretto verso le coste africane e partecipazione diretta al contrasto di tre eventi di pirateria. Nell’ambito di questo crescente network di cooperazione tra le unità in mare, il naviglio mercantile, le autorità locali e le Marine rivierasche, si sono concretizzati molteplici episodi di pirateria in cui nave Rizzo è stata chiamata a intervenire con successo.

Cambio al Comando Logistico…

Con una cerimonia tenutasi il 15 giugno a Napoli presso il Comando Logistico, l’ammiraglio ispettore capo Giuseppe Abbamonte, precedentemente a capo della Direzione Informatica, Telematica e Tecnologie Avanzate (TELEDIFE), del Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale Armamenti, è succeduto all’ammiraglio Eduardo Serra che ha lasciato il servizio attivo lo scorso 19 maggio. Istituito il 1° maggio del 2013, il Comando Logistico, dal quale dipendono organicamente/funzionalmente oltre 40 comandi ed enti della Forza armata, dirige, coordina e controlla le attività di supporto allo strumento operativo aeronavale, vero core business della Marina Militare.

…e al Comando delle Scuole

L’ammiraglio Enrico Credendino ha lasciato il Comando delle Scuole della Marina il 15 luglio, con una cerimonia tenutasi presso la sede del Quartier Generale della Marina, dopo un incarico della durata di poco più di un anno. La designazione del nuovo comandante delle Scuole è in corso di formalizzazione. La cerimonia si è tenuta alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il quale ha sottolineato come «nonostante il periodo difficile la formazione non si è mai fermata, garantendo risultati di altissima qualità, centrata sia sullo studio sia sulle attività professionali sul campo. La Marina Militare da tempo investe le sue migliori risorse in questo vitale settore».

Avvicendamento al Comando Forze aeree

Con una cerimonia tenutasi il 7 luglio presso la Stazione aeromobili della Marina Militare di Grottaglie, si è svolto l’avvicendamento tra il contrammiraglio Placido Torresi, comandante delle Forze aeree (COMFORAER), che lascia l’incarico dopo quasi 4 anni, e il capitano di vascello Marco Casapieri, alla presenza del Comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Paolo Treu. Le Forze aeree della Marina fanno capo al COMFORAER, che si occupa dell’organizzazione e del coordinamento delle attività di tutti i mezzi aerei della Marina, comprendendo anche la manutenzione, la gestione delle infrastrutture logistiche e l’addestramento del personale di volo e di terra.

L’Italia cede il Comando della Forza anfibia italo-spagnola

Con una cerimonia tenutasi a bordo della nave d’assalto anfibio San Giusto, ormeggiata presso la base navale di Brindisi, alla presenza dell’ammiraglio Paolo Treu e dell’ammiraglio Eugenio Diaz Del Rio Jaudenes, rispettivamente Comandanti in capo delle rispettive Squadra navali, ha avuto luogo lo scorso 2 luglio la cerimonia di avvicendamento tra l’Italia e la Spagna al comando della Forza anfibia italo-spagnola (Spanish-Italian Amphibious Force - SIAF) e della Forza da sbarco italo-spagnola (Spanish-Italian Landing Force - SILF). Dopo due anni di comando italiano, il contrammiraglio Alberto Sodomaco, comandante della 3a Divisione navale, e il contrammiraglio Luca Anconelli, comandante della Forza da Sbarco della Marina Militare, hanno ceduto rispettivamente il comando della SIAF e della SILF al contrammiraglio Ignacio Cespedes Camacho, comandante del Grupo anfibio y de Proyecciòn della Marina spagnola, e al generale Josè Luis Souto Aguirre, comandante del Tercio de Armada. La Marina Militare, nell’ambito della naturale turnazione fra nazioni, riassumerà il comando della SIAF-SILF nel 2023.

Avvicendamento del Comando in capo della Squadra navale

L’ammiraglio Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale (CINCNAV) all’ammiraglio Enrico Credendino, con una cerimonia tenutasi il 16 luglio a bordo della nave ammiraglia della Squadra navale, la portaerei

Cavour, ormeggiata nella Stazione Navale Mar Grande di Taranto. «Il comando della Squadra navale ha in carico la cruciale gestione della funzione operativa e addestrativa della Forza armata e l’approntamento operativo dello strumento aeronavale per assicurare la sicurezza degli spazi marittimi nazionali, ma anche la proiezione avanzata con funzioni di deterrenza attiva, monitoraggio, presenza, sorveglianza e prontezza d’intervento a tutela degli interessi nazionali quasi interamente dipendenti dalla dimensione marittima», ha sottolineato il sottosegretario di Stato alla Difesa, senatrice Stefania Pucciarelli. «Siamo stati sottoposti a tagli drammatici ma abbiamo cercato di operarli il più possibile lontano dalla Squadra navale perché, per tutta la Difesa, è lo strumento più flessibile, versatile, efficace, che può rischierarsi lontano, dove si originano le crisi e intervenire prima che arrivino a toccare le nostre coste», così il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Nel suo discorso di saluto, l’ammiraglio Treu ha ripercorso un mandato ricco di sfide, durante il quale è stata affrontata l’emergenza Covid-19, che ha messo a dura prova la prontezza dello strumento aeronavale. Grazie a un accurato protocollo di contrasto alla pandemia, sviluppato in collaborazione con lo Stato Maggiore della Marina Militare, la Squadra navale ha onorato tutti gli impegni operativi programmati, in ambito sia nazionale sia internazionale. Particolarmente ardua è stata la sfida posta dalla campagna «Ready For Operations» della portaerei Cavour, per il conseguimento della certificazione all’impiego del nuovo sistema d’arma,

costituito dal velivolo di 5a generazione, l’«F-35B». Anche questo cruciale obiettivo è stato raggiunto con grande successo e ha consentito di gettare le basi per il rinnovamento della capacità strategica della portaerei, elemento distintivo del rango internazionale del paese. «Sono stato onorato e felice di essere stato al comando della Squadra navale proprio in questo periodo storico, riuscire ad assolvere tutte le missioni e operazioni programmate è stato sicuramente sinonimo di impegno e dedizione a dimostrazione di un’Italia combattiva e resiliente», L’ammiraglio Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale all’ammiraglio ha concluso l’Ammiraglio. Prima della cerimonia Enrico Credendino, con una cerimonia tenutasi a Taranto il 16 luglio a bordo della nave ammiraglia della Squadra navale, la portaerei CAVOUR (CVH 550). del passaggio di consegne, si è svolta una rassegna navale con gli equipaggi schierati sui ponti scoperti di alcune navi della Marina, un simbolico saluto alle dipendenze organiche di CINCNAV che si compone di circa 18.000 militari, 91 navi, 6 sommergibili, 75 aerei ed elicotteri e comandi importanti quali la brigata Marina San Marco, il centro telecomunicazioni e il C4S. Nave Marceglia completa l’attività in Atlantico Con il completamento della partecipazione all’esercitazione NATO BALTOPS 50, la fregata multi-missione Antonio Marceglia (F 597) ha concluso anche il suo dispiegamento nei mari del Nord Europa, dopo aver ottenuto importanti successi addestrativo-operativi fin da quando l’unità ha lasciato la base navale d’appartenenza della Spezia. Nave Marceglia è, infatti, reduce da un intenso periodo di attività internazionale in oceano Atlantico e nei mari del Nord, dove l’unità — inquadrata nei dispositivi NATO — ha rappresentato l’Italia alle esercitazioni «At Sea Demonstration/Formidable Shield 21» (ASD/FS 21) e «BALTOPS 50». In particolare, la partecipazione all’esercitazione «ASD/FS 21» ha consentito di verificare sul campo le performance e l’affidabilità dei sistemi imbarcati in un contesto estremamente realistico, impegnativo e di piena integrazione con le altre unità partecipanti. L’unità è equipaggiata con sistemi di scoperta, tracciamento e ingaggio anti-missile allo stato dell’arte. Il radar 3D multifunzionale «Kronos MFRA» (Multi-Function Radar Active) di bordo con antenna a scansione elettronica attiva (AESA) sviluppato e prodotto da Leonardo, nella sua versione migliorata denominata «MFRA Plus» ha consentito la scoperta e il tracciamento di missili bali-

stici a corto e medio raggio, mentre il sistema missilistico superficie-aria «SAAM ESD» sviluppato e prodotto da MBDA Italia con la famiglia di munizioni «Aster 15» e «30» del gruppo MBDA in comune con la Marine Nationale e la Royal Navy, e il sistema cannoniero Leonardo da 76/62 mm «Super Rapido MF» nella configurazione «Davide», con il munizionamento guidato DART (Driven Ammunition Reduced Time of flight) rappresentano i sistemi d’arma per contrastare le minacce che sono state simulate in modo realistico nel corso dell’esercitazione. La situazione tattica della Forza navale NATO era costantemente aggiornata mediante l’impiego della più recente versione «EVO» del sistema MDLP (Multi Data Link Processor), per lo scambio in tempo reale d’informazioni e dati mediante i data link presenti e di nuova adozione e il sistema IFF aggiornato allo standard NATO Mode 5. Secondo quanto dichiarato da Leonardo, il radar «Kronos MFRA», nella configurazione sperimentale imbarcata, ha dimostrato di poter seguire il bersaglio sin dalla fase inziale, in cui il missile balistico arriva a raggiungere velocità superiori ai 1.800 m/s e accelerazioni oltre i 6G, per poi mantenere il tracciamento oltre i 200 km di quota e acquisire il bersaglio. I principali obiettivi conseguiti da nave Marceglia nel corso dell’esercitazione sono stati: la sinergica contribuzione — di concerto con gli altri assetti presenti — al tracciamento e all’ingaggio di missili balistici a corto e medio raggio e di bersagli supersonici; la scoperta, il tracciamento e l’intercetto di una minaccia aerea a bassa quota con il lancio effettivo di missile superficie-aria «Aster 30»; l’individuazione e la neutralizzazione di un bersaglio aereo con l’impianto d’artiglieria 76/62 in configurazione «Davide», impiegando la munizione guidata DART; la validazione della solidità del sistema di comando e controllo dell’unità inserito all’interno di molteplici reti tattiche e strategiche necessarie per la IAMD e la BMD. Tale risultato rappresenta la conclusione di un percorso di approntamento e addestramento che è iniziato quando l’unità ha «mollato gli ormeggi» dal porto di assegnazione, La Spezia, lo scorso marzo, per intraprendere un ciclo di preparazione all’ASD/FS-21, volto alla massimizzazione del ritorno addestrativo e operativo di tale pregiato evento. Durante la navigazione, la fregata ha partecipato a diverse attività tecnico-addestrative in mar Tirreno, mar Ionio e oceano Atlantico effettuando attività di lancio di sistemi d’arma missilistici superficie-aria («Aster 30»), superficie-superficie («Teseo») e aria-superficie («Marte Mk2/S» da elicottero SH-90A) presso il Poligono interforze di Salto di Quirra (NU), l’esercitazione nazionale «Phibex 21» con unità nazionali e alleate appartenenti al Gruppo navale permanente NATO Standing Naval Maritime Group 2 (SNMG2) e l’esercitazione «Contex Phibex 21», organizzata dalla Marina portoghese con la partecipazione di numerosi assetti aerei e navali di Portogallo e Stati Uniti.

QATAR

Prima uscita in mare della corvetta Damsah

(F 102)

La seconda corvetta classe «Al Zubarah» per la Marina del Qatar in fase d’allestimento da parte di Fincantieri presso il cantiere del Muggiano, ha iniziato le prove in mare lo scorso 14 giugno. Si tratta dell’unità Damsah, che nel frattempo ha effettuato ulteriori uscite e altre seguiranno in vista della consegna nel 2022.

RUSSIA Entra in servizio il primo rifornitore «Progetto 03182»

Secondo quanto riportato dall’ufficio stampa del ministero della Difesa russo, l’unità capoclasse per il rifornimento e il soccorso Vice-admiral Paromov del tipo «Progetto 03182», è entrata in servizio con la Flotta del Mar Nero presso la base navale di Sebastopoli, in Crimea. Progettata dal bureau Zelenodolsk e costruita dal cantiere navale Volga shipyard a Nizhny Novgorod nell’area del Volga, l’unità si caratterizza per un dislocamento a pieno carico di 3.500 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 78,8 e 15,4 metri, un pescaggio di 5 metri e uno scafo rinforzato per poter operare a qualsiasi latitudine, comprese i mari artici con ghiaccio spesso fino a 0,6-0,8 metri. La nuova classe di unità per il rifornimento di navi di superficie con carichi di diverso tipo presenta una piattaforma poppiera per elicotteri tipo Ka-27 nonché una sezione centrale con gru per l’imbarco e scarico/trasferimento di materiale nonché zona per lo stivaggio di container standard e altri materiali. Queste unità posso trasportare e trasferire carichi liquidi e solidi nonché pompare in proprie cisterne acque inquinate per la

difesa dell’ambiente. Grazie agli spazi ed equipaggiamenti di bordo con imbarcazioni veloci, l’equipaggio può svolgere missioni di salvataggio, antincendio e tutela dell’ambiente nonché supporto a campagne di ricerca. Il ministero della Difesa russo ha ordinato quattro unità «Progetto 03182», di cui la capoclasse è stata impostata nel settembre 2016, mentre una seconda battezzata Vasily Nikitin è stata impostata presso il medesimo cantiere nel marzo 2017. Altre due navi del tipo saranno costruite presso il cantiere Vostochnaya Verf di Vladivostok.

Il sottomarino nucleare «Progetto 09852»

effettua le prime prove a mare

Secondo l’agenzia TASS che riporta fonti contattate in occasione dell’International Maritime Defence Show 2021 tenutosi a San Pietroburgo fra il 23 e 27 giugno scorso, il battello per compiti speciali a propulsione nucleare Belgorod (K 329), unica piattaforma «Progetto 09852», ha iniziato le prove a mare del cantiere il 25 giugno nel Mar Bianco. Al completamento di queste ultime, seguiranno quelle del ministero e della Marina, con consegna a quest’ultima nel tardo 2021. Secondo altre fonti, l’unità dovrebbe entrare in servizio con la Flotta del Pacifico. Il più grande battello a essere realizzato negli ultimi 30 anni dopo gli SSBN classe «Typhoon», il «Progetto 09852» si basa su di una versione ingrandita della classe «Oscar II» con una lunghezza e larghezza stimate rispettivamente di 178 e 15 metri circa, mentre il dislocamento in immersione dovrebbe essere significativamente superiore alle circa 19.000 t dei battelli classe «Oscar II». Destinato a essere operato dal GUGI, il principale direttorato per la ricerca subacquea, la nuova unità dovrebbe assicurare un salto di qualità all’intelligence russa ma al tempo stesso assicurare una capacità siluristica a controllo autonomo e propulsione nonché testata nucleare. Il Belgorod, secondo fonti russe e occidentali è in grado di svolgere la missione di piattaforma madre per i midget a propulsione nucleare quali l’unità «Progetto 01831» e classe «Losharik» (AS-31), in fase di rimessa in servizio a seguito dell’incendio a bordo che ha causato la morte di 14 operatori d’equipaggio. Questi ultimi mezzi vengono utilizzati per operazioni ad alte profondità e compiti di raccolta informazioni inserendosi sulle fibre ottiche dei cavi sottomarini dedicati alle comunicazioni e ricerca relitti o equipaggiamenti di particolare interesse. Allo stesso tempo il Belgorod è armato con tubi lanciasiluri per il sistema d’arma «Poseidon» di oltre 20 metri, equipaggiato con propulsore e testata nucleare. Un mix di capacità che consentono al Belgorod capacità difensive e offensive senza precedenti ma al tempo stesso contradditorie per i compiti speciali di raccolta informazioni a cui è dedicato con piattaforme subacquee pilotate e non.

STATI UNITI

La portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) completa

i primi test di shock

Completati con successo i primi test di shock da esplosione subacquea per la portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) nell’ambito della campagna FSST (Full Ship Shock Trials). L’unità capoclasse è stata progettata utilizzando avanzati metodi di modellazione computerizzata, test e analisi per garantire che la piattaforma sia protetta per resistere alle situazioni di combattimento e queste prove d’urto forniscono i dati che vengono utilizzati per convalidare le capacità di protezione contro tali eventualità. Le prove d’urto vengono condotte al largo della costa orientale degli Stati Uniti, all’interno di un programma ridotto temporalmente per rispettare i requisiti di mitigazione ambientale, rispettando i modelli di migrazione della vita marina conosciuti nell’area dei test. La Marina ha anche impiegato protocolli specifici per garantire la sicurezza del personale militare e civile che partecipa alla campagna dei test. Al completamento della medesima, entro la fine dell’estate, la portaerei Gerald F. Ford entrerà in un periodo di manutenzione pianificata per sei mesi nel corso della quale saranno svolte attività di manutenzione, ammodernamento e revisione, prima del suo impiego operativo. L’ultima

Completati con successo i primi test di shock da esplosione subacquea

per la portaerei GERALD R. FORD (CVN 78) nell’ambito della campagna

FSST (Full Ship Shock Trials) - (US Navy).

portaerei a eseguire FSST è stata la Theodore Roosevelt (CVN 71) nel 1987 ma la US Navy ha condotto attività FSST per diversi decenni, più di recente per le Littoral Combat Ships Jackson (LCS 6) e Milwaukee (LCS 5) nel 2016; così come per l’unità da trasporto anfibio Mesa Verde (LPD 19) nel 2008, la nave d’assalto anfibia Wasp (LHD 1) nel 1990 e l’incrociatore lanciamissili Mobile Bay (CG 53) nel 1987.

Procede il programma LCS

Con una cerimonia tenutasi lo scorso 25 giugno presso il porto di Savannah, è entrata in servizio con l’US Navy la quattordicesima LCS classe «Independence». Si tratta dell’omonima unità (LCS 28), la settima consegnata dai cantieri Austal USA in meno di due anni. L’unità è stata costruita e consegnata in meno di tre anni, con un riduzione temporale di 12 mesi rispetto alle prime della classe realizzate presso i medesimi cantieri. Ulteriori cinque LCS sono in costruzione presso Austal USA e una sesta è stata contrattualizzata. Il 6 giugno è stata invece la volta del battesimo della quindicesima LCS realizzata dai medesimi cantieri a cui è stato dato il nome Canberra (LCS 30), seconda unità in servizio con l’US Navy a ricevere il nome della capitale federale dell’Australia. Il 18 giugno è stata invece la volta della cerimonia d’impostazione della futura LCS Cleveland (LCS 31), quarta unità dell’US Navy a ricevere tale nome presso i cantieri Fincantieri Marinette Marine di Marinette Marine (Wisconsin).

Leonardo fornisce il primo elicottero «TH-37A»

Il primo elicottero da addestramento «TH-37A» è stato consegnato all’US Navy lo scorso 10 giugno in occasione diuna cerimonia tenutasi presso lo stabilimento Leonardo di Filadelfia, alla presenza di alti ufficiali dell’US Navy, di rappresentanti del gruppo Leonardo e della Divisione elicotteri nonché di istituzioni locali, statali e federali. La piattaforma ad ala rotante «TH-73A» è basata sulla variante IFR (Instrument Flight Rules, in grado di operare secondo le regole del volo strumentale) dell’«AW119Kx» commerciale ed è l’unico elicottero monomotore certificato in grado di soddisfare gli attuali requisiti IFR sviluppati negli ultimi decenni, consentendo ai piloti di operare in sicurezza il velivolo in condizioni meteorologiche difficili e di bassa visibilità, grazie all’avionica avanzata fornita da Genesys Aerosystems e ai sistemi di volo ridondanti dell’elicottero. All’inizio del 2020, Leonardo, attraverso AgustaWestland Philadelphia Corp., si è aggiudicata un contratto per la produzione e la consegna di 32 elicotteri «TH-73A» insieme a un pacchetto iniziale di parti di ricambio, supporto ed equipaggiamento dedicato oltre a servizi di addestramento per piloti e tecnici addetti alla manutenzione, da realizzare presso lo stabilimento Leonardo di Filadelfia. Alla fine del 2020, il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato la decisione di esercitare le opzioni per la produzione e la consegna di ulteriori 36 elicotteri «TH-73A», che verranno prodotti sempre presso il sito di Filadelfia. Il requisito complessivo è per 130 elicotteri con consegne previste fino al 2024.

TURCHIA Lancio finale di qualifica per il sistema missilistico ATMACA

Il sistema missilistico antinave ATMACA, prodotto dal gruppo turco Rocketsan, è entrato ufficialmente in servizio lo scorso 19 giugno dopo aver completato con successo il lancio finale di qualifica contro un bersaglio rappresentato dall’unità da ricerca in disarmo Isin (ex unità Safeguard dell’US Navy). È stato lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad annunciarlo con un proprio tweet lo stesso giorno del lancio, che secondo quanto riportato dal ministero della Difesa turco è stato effettuato dalla corvetta Kinaliada (F 514) classe «Ada» tipo MILGEM. Secondo sempre quanto riportato, il missile avrebbe colpito l’obiettivo volando a un’altitudine di 1-1,5 metri dal pelo dell’acqua. Il lancio, che consente di passare alla produzione del sistema ad alta cadenza, ha visto la partecipazione della piattaforma di superficie senza pilota o USV «Ulaq» prodotta localmente che, posizionandosi a circa 5-6 km dal bersaglio, ha consentito di riprendere da vicino le ultime fasi dell’attacco senza mettere in pericolo personale e mezzi della Marina o del ministero della Difesa turco. Con una portata di oltre 200 km, il nuovo sistema missilistico antinave ha la capacità di ricevere informazioni aggiornate sul bersaglio e altri comandi durante la missione grazie a un data link.

Luca Peruzzi

CHECOSASCRIVONOGLIALTRI

«The Biden 100 - Days Progess Report»

FOREIGNPOLICY, SPRING 2021 - AFFARINTERNAZIONALI, 5 MAGGIO 2021

I primi cento giorni del primo mandato di un presidente marcano tradizionalmente negli Stati Uniti una data simbolica per giudicare tutta la sua politica futura ed è per questo che l’autorevole rivista bimestrale di relazioni internazionali — originariamente pubblicata a cura della fondazione Carnegie Endowment for International Peace e ora di proprietà del Washington Post — vi ha voluto dedicare la propria analisi critica in una maniera invero originale. «Il motto di politica estera del presidente Joe Biden è “L’America è tornata” — leggiamo sulla rivista — e il presidente non perde tempo: forse nell’inizio più trafficato di una nuova amministrazione dai tempi di Ronald Reagan nel 1981, Biden e la sua nuova squadra di sicurezza nazionale hanno unito alleati in Asia e in Europa, si sono ricongiunti alle istituzioni globali e hanno alzato il fuoco sui regimi autoritari. Biden si è mosso rapidamente per revocare i divieti di immigrazione dell’amministrazione Trump e promettere denaro per vaccinare i più poveri del mondo [e successivamente, in occasione del summit del G7, Biden ha annunciato che gli Stati Uniti doneranno 500 milioni di vaccini per aiutare i paesi che ne hanno bisogno!]. Inoltre, ha fatto tutto questo in mezzo a quella che è ancora una pandemia devastante e dopo la prima violenta transizione presidenziale nella storia degli Stati Uniti». Di seguito, su «nove questioni chiave» della politica americana, la rivista ha chiamato a esprimersi venticinque studiosi ed esperti di chiara fama, i cui giudizi, oltre che essere riportati integralmente, sono stati pure riassunti, a beneficio del lettore, in una sorta di sintesi subliminale secondo il seguente schema: «Alliances: Leadership Restored/Economy: Tough Love on Trade/Pandemic: Making up for lost time/Democracy and Human rights: Enlist Europe/China: Accelerate the pace [il passo]/Middle East: no Damage, no Achievements/Russia: Engage, Deter, Speak Up/Immigration: But Can he Fight?/Climate: Practical, not Grandiose». Sulla politica estera statunitense che si complica specialmente in Asia orientale, giudizi più in dettaglio possiamo poi leggerli nel Focus bimestrale di AffarInternazionali intitolato «Dall’Atlantico al Pacifico», a cura dello IAI e di China Files (china-files.com), dedicato ai fragili equilibri che regolano inimicizie e alleanze nella regione. Innanzitutto l’accento batte sul futuro incerto di Taiwan, a firma di Francesca Ghiretti, cioè sull’isola definita dall’Economist (nel fascicolo di May 1st, 2021) «il posto più pericoloso del mondo». Le tensioni nello Stretto di Formosa sono, infatti, cruciali nel determinare l’esito del gioco della deterrenza tra Pechino e Washington attualmente in atto. Due aspetti rendono Taiwan, nell’analisi dell’Autrice, una poten-

ziale area di collisione armata: l’importanza geopolitica e quella economica. «A queste, per quanto riguarda Pechino, si va ad aggiungere poi il valore storico-politico che la rilevanza della riunificazione della Cina intera ha per il Partito e in particolare per l’eredità di Xi Jinping. Né l’importanza geopolitica di Taiwan né quella economica [Taiwan è sede del più grande produttore di semiconduttori globale (Tsmc), non solo di grande importanza economica ma anche strategica e militare] sono segrete o tantomeno nuove,

tuttavia è andata crescendo la percezione che quello che prima poteva dirsi un «improbabile» scontro armato tra Cina e Stati Uniti stia progressivamente diventando plausibile, anche se ancora improbabile [… nel senso che] il rischio, nel breve termine, che Taiwan si veda al centro di uno scontro armato tra le due superpotenze rimane limitato». Quindi Lorenzo Lamperti pone in risalto «la grande intesa» tra Tokyo e la nuova amministrazione statunitense, soprattutto in ordine alla necessità di unire i propri sforzi in risposta alle provocazioni della Cina (nei cui confronti Tokyo ha sempre mantenuto la politica del «doppio binario», cioè competizione strategica e cooperazione commerciale), anche se una tale condivisione di intenti di carattere generale sembra venire meno quando si tratta di dover far coincidere le priorità strategiche (come le perplessità giapponesi sul rilancio del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), l’alleanza indo-pacifica in funzione anticinese che Washington vorrebbe rilanciare come una vera e propria «NATO asiatica»). E infine, Paola Morselli analizza la strategia attendista di Biden nei confronti della Corea del Nord, laddove «i test missilistici dello scorso marzo sono stati un chiaro segnale di impazienza da parte di Pyongyang a cui tuttavia gli Stati Uniti non sembrano ancora aver avuto modo di dare risposta». Come dimostrano, infatti, i fallimenti del recente passato «non esiste una soluzione semplice per poter risolvere la questione nordcoreana», tanto più che le tensioni tra Washington e Pechino rischiano di condannare in partenza ogni tentativo da parte di Biden. E c’è infine chi (come Federico Rampini sulle colonne de La Repubblica del 28 aprile 2021) intravede nelle prime mosse politiche Biden una chiara analogia storica, nel senso che «Joe Biden vuole “rifare” Franklin D. Roosevelt e come il presidente del New Deal ha promesso un attivismo eccezionale nei suoi primi 100 giorni di governo». «Sun Tzu versus AI: Why Artificial Intelligence

can fail in Great Power Conflict»

U.S. NAVAL INSTITUTE PROCEEDINGS, VOL. 147, N.5, MAY 2021 Quando il presidente russo Putin ha dichiarato nel 2017 che «l’intelligenza artificiale rappresenta il futuro e chi diventerà il leader in questa sfera diverrà sovrano del mondo» (rt.com/news/401731-ai-rule-world-putin/), ha sostanzialmente ragione anche se, precisa l’Autore del presente articolo, il Navy Captain (ret.) Sam J. Tangredi, direttore dell’Istituto per gli studi della guerra futura del Naval War College di Newport, la realtà è che non chi avrà la «migliore IA» dominerà il processo decisionale politico-militare, ma quello che avrà «i dati più accurati, significativi e … senza inganni». Nel dibattito statunitense in corso, sul fatto che l’IAè destinata a cambiare la natura o il carattere della guerra, bisogna tener sempre presente che, se la natura della guerra è sempre la violenza, che piega un avversario alla propria volontà, come scriveva Clausewitz ai suoi tempi, questa è una definizione che l’IA non può cambiare. Del pari, se «tutta la guerra si fonda sull’inganno», come teorizzato dal grande maestro di strategia cinese Sun Tzu (o Sunzi nella trascrizione pinyin), vissuto tra il VI e il V secolo a.C. (al riguardo vds. Bīngfǎ/Arte della Guerra, cap.7, para 14), anche questo non può cambiare. Perché allora l’allarme per l’inganno? Perché, senza informazioni accurate, l’IA può essere facilmente … ingannata. Se l’IA è «l’insieme di tecniche statistiche che insegna al software a prendere decisioni sui dati passati», un calcolo dunque di livello superiore che può correlare rapidamente enormi quantità di dati e che ha dimostrato anche la capacità di simulare due attributi umani: il riconoscimento vocale e visivo, che richiedono enormi quantità di dati. Queste abilità si basano su metodi statistici in cui le informazioni in arrivo vengono confrontate con una grande quantità di dati di training fino a quando gli 1 e gli 0 del calcolo elettronico binario percepiscono un adattamento approssimativo. Il miglior algoritmo però non è nulla senza dati accurati.

Pertanto, il DoD (Department of Defense), non dovrebbe investire denaro in una particolare soluzione di IA senza considerare tre questioni importanti, ammonisce il Nostro. In primo luogo, i dati da cui dipende il sistema saranno disponibili in un ambiente controverso? In secondo luogo, il sistema di IA fornirà un’assistenza ragionevole al processo decisionale se dispone solo di dati incompleti o parzialmente inesatti? In terzo luogo, il sistema di intelligenza artificiale può essere progettato per anticipare e identificare l’inganno nei dati? Purtroppo i sistemi di IA civili esistenti, ai quali i militari spesso si sono ispirati, non sono stati sviluppati senza tener conto di nessuna di queste domande! Durante la Guerra Fredda — l’ultimo periodo di grande competizione di sistemi degli Stati Uniti — l’ammiraglio della flotta sovietica, Sergey G. Gorshkov, si riferì alle operazioni e alle manovre prima delle ostilità, tipo la raccolta e l’elaborazione di informazioni, come la «lotta per la prima salva». In questa visione, le forze con le informazioni più accurate, e che possono posizionarsi per colpire per prime, otterranno la vittoria. Attaccare per primi in modo efficace, richiede però la capacità di elaborare informazioni accurate più velocemente e più correttamente del nemico. Quindi, ancora una volta, l’accuratezza delle informazioni è il pre-requisito essenziale. L’intelligenza artificiale potrebbe essere di per sé uno strumento per determinare questa accuratezza, ma solo se è progettata «per riconoscere che tutte le informazioni (non solo i dati selezionati) che sta ricevendo potrebbero essere manipolate». Dai momenti iniziali dell’operazioneDesert Storm, le forze statunitensi hanno avuto un enorme vantaggio sui loro nemici in termini di informazioni disponibili, prevalentemente accurate e la possibilità di inganno strategico o operativo è stata raramente presa sul serio. L’inganno tattico fu riconosciuto come una possibilità, poiché rimase un evidente carattere di guerra al primo livello. Tuttavia, aumentare il numero di sensori per raccogliere ancora più informazioni è stata considerata una soluzione probabile per eliminare la possibilità di inganno, tanto più che, all’epoca, la capacità dei sensori era arrivata già a un punto tale che alcuni leader militari suggerirono di aver finalmente «sollevato la clausewitziana nebbia della strategia», anche se gli antagonisti erano stati di volta in volta l’Iraq di Saddam Hussein, i talebani, la Serbia di Slobodan Milošević e la Libia di Muammar Gheddafi, che nella lotta dei dati non potevano certo entrare in competizione con gli Stati Uniti. La situazione odierna, quando i possibili antagonisti sono invece la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping (la cui capacità di inserire malware nell’IA commerciale degli Stati Uniti e, per estensione, nelle applicazioni di intelligenza artificiale militare sviluppate commercialmente, è definita dall’Autore addirittura «prodigiosa»), la lotta per un’informazione accurata nella grande concorrenza dei sistemi sarà più difficile e l’IA militare, secondo l’Autore, deve essere costruita con questo come principio di base. Tutto ciò atteso, conclude il Nostro — vincitore col presente articolo del primo premio nel concorso per saggi professionali «General Prize Essay Context» bandito dall’U.S. Naval Institute — per gestire con successo lo sviluppo dell’IA militare, il DoDdeve investire più tempo, maggiori ricerche e più risorse finanziarie «per superare gli inganni dei dati e adattare l’intelligenza artificiale alle applicazioni militari». L’inganno torna così a essere un fattore primario, come ci aveva insegnato Sun Tzu e per smascherarlo l’IA deve essere progettata all’uopo fin dall’inizio.

«Rodi 1480: Il Grande Assedio»

MEDIOEVO. UNPASSATODARISCOPRIRE, N.292, MAGGIO 2021

Nel 1453 Maometto II aveva conquistato Costantinopoli, la «seconda» Roma che, tra alti e bassi, era sopravvissuta quasi mille anni alla caduta della «prima» nel 476 d.C. (con la meno cruenta deposizione di Romolo Augustolo da parte del generale barbaro Odoacre) e, nel giro dei decenni successivi, per dirla in sintesi, attraverso brillanti campagne militari, dopo la Grecia, aveva spinto le sue forze vittoriose nel Mar Nero (contro le colonie genovesi di Crimea e l’impero comneno di Trebisonda sulla costa nord-orientale dell’Anatolia). Quindi, aveva lanciato il suo attacco verso l’Occidente cristiano, sia per terra (Serbia e Albania) sia per mare (con l’assedio di Rodi e il sacco di Otranto, le cui drammatiche vicende sono state ripercorse da Vito Bianchi nel bel libro Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista del 2016). Ormai nel fatidico anno 1480, soltanto l’isola di Rodi, prospiciente la costa dell’Anatolia — scrive l’Autore del presente articolo, Federico Canaccini — rappresentava il principale avamposto cristiano contro l’avanzata ottomana nell’Egeo. Nell’isola potentemente fortificata che

aveva fatto parte dell’impero bizantino (già oggetto di attacchi arabi prima e turchi poi, di cui l’Autore ripercorre rapidamente la storia), dopo il crollo dei regni crociati in Terrasanta e l’estrema difesa della piazzaforte di San Giovanni d’Acri, avevano infine trovato rifugio nel 1310 i Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni. Un ordine «religioso e caritatevole», nato per l’assistenza ai pellegrini in Terrasanta e riconosciuto ufficialmente da Papa Pasquale II nel 1113, che però nei decenni successivi aveva subito una svolta militare, «da caritatevole a cavalleresco», con la Regola ratificata da Papa Eugenio II nel 1157. In seguito, dopo la condanna e soppressione dei Templari nel 1312, l’importanza e la potenza degli Ospitalieri crebbe enormemente quando vennero nominati «eredi» del disciolto Ordine da Papa Clemente V.E. contro Rodi, in cui alle vecchie fortificazioni bizantine si sovrapponevano i più recenti ritrovati dell’architettura militare, difesa da 600 Cavalieri e 3.400 mercenari, secondo il costume dell’epoca, il 23 maggio 1480 si riversò la flotta turca di Mesih Pasha, forte di 130 navi e 40.000 uomini, le cui milizie sbarcarono sulla costa settentrionale dell’isola, iniziando con le artiglierie di grande calibro il bombardamento della torre strategica di San Nicola, che dominava il porto. E accanto ai cannoni, comparvero macchine da lancio e arcieri con frecce incendiarie (contro cui gli Ospitalieri avevano predisposto una sorta di «corpo di pompieri d’assalto» così da neutralizzare prontamente gli incendi che devastavano la città, spargendo il panico tra la popolazione). Gli Ottomani tentarono allora di attaccare la città anche via mare, ma ben due «assalti anfibi» vennero respinti dai difensori, mentre una vera e propria guerra di trincee venne iniziata dai Turchi per avvicinarsi sempre più al fossato e alle mura della città. L’attacco finale del 27 luglio, combattuto tra le macerie delle mura cittadine, portò a un terribile corpo a corpo, senza però successi significativi da parte dei Turchi, tanto che Mesih Pasha, alla fine d’agosto, dovette prendere atto della propria sconfitta (dei 40.000 uomini con cui era sbarcato, quasi un quarto aveva perso la vita) e decidere quindi di ritirarsi. Così, dopo aver resistito all’assedio turco, l’isola dei Cavalieri era salva, ma solo per poco, fino a quando cioè non venne di nuovo assediata e questa volta conquistata da Solimano il Magnifico nel 1522! Ma nel feroce scontro di civiltà tra la Croce e la Mezzaluna che caratterizza la storia del Mediterraneo, i Cavalieri già di Rodi, dopo il trasferimento a Malta, concessa loro dall’imperatore Carlo V, cambiando la propria denominazione in «Ordine di Malta», si presero la loro rivincita respingendo epicamente nel 1565 il grande assedio dell’isola lanciato dal visir Mustafa Pasha e dall’ammiraglio Piyale Pasha!

Ezio Ferrante

L’armata turca si prepara all’attacco di Rodi (miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin) - (teutonic.altervista.org).

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