Rivista Marittima - Maggio 2019

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MAGGIO 2019 - Anno CLII

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MAGGIO 2019

RIVISTA

MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €

* RIVISTA MARITTIMA *

MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

PRIMO PIANO

La sicurezza dell’alto mare, ruolo primario della nostra Marina Fabio Caffio 5


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Sommario PRIMO PIANO

6 La nostra flotta mercantile: un’eccellenza del «Made in Italy» Luca Sisto, Esther Marchetti

PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

70 Lo smaltimento della plastica in mare: nuove tecnologie Stefano Monti

78 La problematica dei cavi sottomarini Massimo Iacopi

STORIA E CULTURA MILITARE

82 La nascita di un pioniere: il ruolo di Raffaele Rubattino dall’età precavouriana alla colonia d’Eritrea Michele Graziosetto

12 La sicurezza dell’alto mare, ruolo primario della nostra Marina Fabio Caffio

18 Sicurezza marittima Francesco Chiappetta

32 Terrorismo e pirateria: minacce che condizionano lo shipping Andrea Moretti

40 Europa e cantieristica navale militare: scenari e potenziale evoluzione Michele Cosentino

56 Potere Marittimo: un apprezzamento totale Enrico Cernuschi

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RUBRICHE

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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Nautica da diporto Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni

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RIVISTA

MARITTIMA

MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

EDITORE

UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel. +39 06 36807248-54 Fax +39 06 36807249 rivistamarittima@marina.difesa.it www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Pagine/Rivista_Home.aspx

DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza

CAPO REDATTORE Capitano di fregata Diego Serrani

REDAZIONE Raffaella Angelino Gianlorenzo Pesola

SEGRETERIA DI REDAZIONE Massimo De Rosa Gaetano Lanzo

UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI Carmelo Sciortino Giovanni Bontade

IN

COPERTINA: Castellammare di Stabia (NA) 25 maggio 2019, varo di Nave TRIESTE (LHD, Landing Helicopter Dock), la nuova nave d’assalto anfibio multiruolo e multifunzione della Marina Militare.

MAGGIO 2019 - anno CLII

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HANNO COLLABORATO: Dottor Luca Sisto Dottoressa Esther Marchetti Ammiraglio Ispettore (ris) Fabio Caffio Contrammiraglio (aus) Francesco Chiappetta Dottor Andrea Moretti Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Dottor Enrico Cernuschi Capitano di fregata Stefano Monti Generale di Divisione (ris) Massimo Iacopi Professor Michele Graziosetto Ambasciatore Roberto Nigido, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Contrammiraglio (ris) Stéphan Jules Buchet Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante

Tel. +39 0331 1783010 www.necmedia.eu

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L’

E ditoriale

evoluzione del Potere Marittimo nella storia dei popoli, degli imperi, delle nazioni e degli Stati, descrive il plurimillenario uso del mare a sostegno dei propri interessi vitali, unitamente a un inevitabile contemporaneo processo osmotico di confronto e di scambio — dal mare e sul mare — ovvero tra civiltà e culture diverse. Così almeno a partire dal XIX secolo, abbiamo assistito, dapprima al globale monopolio economico e commerciale della Gran Bretagna, attraverso la piena espressione di un potere marittimo che ha regnato indiscusso e che determinò quello che gli studiosi definiscono come: pax britannica. La Royal Navy deteneva l’assoluto dominio del mare potendo permettersi di schierare una Flotta decisamente superiore secondo il principio del: Two Power Standars (mantenere in servizio un numero di navi da battaglia almeno uguale a quello combinato delle due successive più grandi Marine mondiali). Il potere marittimo britannico poggiava sostanzialmente su tre pilastri fondamentali: la flotta, il commercio, le colonie. La flotta disponeva, inoltre, di basi navali diffuse sull’intero globo, in particolare nei punti strategici per la protezione del commercio con le colonie. Il XIX secolo appare come cruciale poiché conobbe anche grandi trasformazioni in ogni aspetto della guerra navale in ragione dell’introduzione della propulsione a vapore e parimenti delle navi con scafo in ferro e dei proiettili esplosivi. La Royal Navy riuscì a mantenere un netto vantaggio rispetto a ogni potenziale avversario grazie anche a un netto vantaggio nell’industria cantieristica e nella quantità di risorse finanziarie utilizzabili per il mantenimento della supremazia navale. Su queste premesse — come ben noto — alla fine del XIX secolo lo statunitense Alfred Thayer Mahan (1840-1914), contrammiraglio, storico e studioso di strategia navale, espresse le proprie teorie in merito al Potere Marittimo pubblicando il proprio Influence of Sea Power upon History. Fu un libro di enorme successo che influenzò ogni potenza navale, in essere e in fieri. Sulla base di una solida esperienza storica secolare, Mahan codificò i termini del Potere Marittimo e divulgò le nozioni, oggi date per scontate, di proiezione della forza navale dal mare alla terra con l’obiettivo finale di condizionare l’economia dell’avversario; identificò il ruolo fondamentale delle Marine mercantili e la necessità di avere basi navali diffuse in tutto il mondo. Riscoprì, infine, l’eterno concetto della «concentrazione delle forze». A una attenta e più critica rilettura posteriore, peraltro, è stato altresì osservato che Mahan voleva influenzare il pensiero politico e strategico statunitense, essendo personalmente convinto in merito al fatto che il futuro degli Stati Uniti era sul mare, ponendosi così in contrapposizione rispetto alla maggioranza politica del suo tempo, isolazionista e continentale nordamericana. Parimenti discutibile fu pure il suo leitmotiv centrato sulla «grande-battaglia-navale-decisiva» che avrebbe dovuto assicurare, da sé sola, il dominio assoluto al vincitore. Ma Mahan non fu il solo pensatore della strategia marittima. Infatti, è possibile citare altri esempi illustri di studiosi come l’ammiraglio inglese Julian Corbett (1854-1922) il quale era viceversa contrario alla «battaglia decisiva» di stile Mahaniano sostenendo che il concetto di guerra offensiva o difensiva era legato, in realtà, alla situazione relativa delle forze e agli scopi politici alla base del confronto. Per Corbett la «battaglia decisiva» non andava perseguita a SEGUE A PAGINA 4

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tutti i costi; doveva essere casomai perseguita una corretta valutazione dei termini di costo ed efficacia delle risorse. Per quel pensatore britannico, di conseguenza, la strategia navale era solo una parte della strategia generale dello Stato o, ancor meglio, del Sistema Paese e il Potere Marittimo era la condizione necessaria per conseguire gli obiettivi prefissati. Dati questi due punti di riferimento, le teorie sul Potere Marittimo sono rimaste praticamente immutate per tutto il XX secolo. Oggi, però, sono oggetto di profonde trasformazioni a partire dal termine della Guerra Fredda, ultima contrapposizione classica del c.d. Secolo breve. Siamo infatti, passati dalla pianificazione di operazioni belliche che avevano come obiettivo il contrasto «in alto mare» delle Flotte avversarie a cicli di operazioni che vanno dalla deterrenza convenzionale alla sorveglianza e proiezione marittima passando, inevitabilmente, per la sicurezza del traffico, e per le operazioni di contrasto alla pirateria e contro l’utilizzo del mare per il commercio di esseri umani e di sostanze vietate in aggiunta all’eterno contrabbando. Più recentemente sono state altresì scoperte o riscoperte attività di capacity building e di controllo dello spazio «Cyber» e di «Information Superiority» mentre si profilano sempre più nette le interconnessioni tra il dominio marittimo e quello dello spazio esterno. In un policromo e complesso quadro dottrinale e anche geopolitico contemporaneo, la strategia navale italiana vede le unità della Marina Militare impiegate in attività di sea control a tutto campo, attraverso la Naval Presence, la Naval Diplomacy, le operazioni di Power Projection Ashore anche in contesti Joint e nell’ambito di forze multinazionali. La sostanza, infatti, non cambia. La Marina protegge le attività sul mare, quelle «blue water» del XXI secolo della «blue economy» che sono il fondamento della vita e della prosperità di tutti noi. Parimenti, è acclarato che, nonostante i moderni scenari post «Guerra Fredda», permeati dal fenomeno della globalizzazione, i concetti portanti relativi al potere marittimo, codificati all’inizio del XX secolo, rimangano validi e universalmente riconosciuti. La storia ci insegna, infatti, che il «dominio del mare» è una condizione che è sempre stata ricercata ma che generalmente non è stata mai raggiunta in maniera assoluta. Ecco dunque che «dominio del mare» possiede un significato profondo ancora oggi: la garanzia del pieno uso del mare a beneficio di noi stessi e dei nostri alleati oltre che la capacità di impedire in ogni momento a chi (Stato o privato) cercasse di ostacolarla sul mare e dal mare. Un dominio del mare assoluto è una condizione ideale e solitamente utopica; il suo esercizio «limitatamente nel tempo e nello spazio», è — per contro — una condizione relativa indispensabile da assicurare, magari solo in potenza, in tempo di pace e che non può essere conseguita in caso di crisi, perché le Marine, le navi e i marinai, non si improvvisano. In particolare l’Italia vive da sempre mediante un’economia di trasformazione che deve importare materie prime e deve esportare manufatti e servizi. La disponibilità e la garanzia del pieno e libero utilizzo, in ogni circostanza, delle vie di comunicazione marittime è interesse vitale e primario di ogni grande economia. Dati i volumi, sempre crescenti, di merci e valori, il mare è, oggi più che mai, non uno strumento ma lo strumento principe per la tutela dei propri legittimi interessi. L’Italia vive e prospera grazie al suo Potere Marittimo. E questo è costituito: dal Potere Navale (la Flotta, gli uomini e le donne, le basi navali, gli arsenali militari marittimi e le capacità di supporto tecniche e logistiche); da un’adeguata flotta mercantile; da un’industria per la Difesa avanzata sotto il profilo tecnologico; dai cantieri e dalle loro maestranze qualificate affiancati dalla diplomazia, da un’economia di mercato e da un’intelligence di taglia; da porti innovativi, dalle capacità di movimentazione in forma multimodale mezzi e passeggeri. Quanto alla strategia navale, essa deve necessariamente perseguire ogni utile sinergia sul piano delle cooperazioni inter-istituzionali e delle collaborazioni inter-agenzia, al pari della piena e tempestiva interoperabilità multinazionale, a partire delle Organizzazioni e dalle Alleanze di riferimento per l’Italia come l’ONU, l’UE e la NATO. Occorre infine sviluppare, sostenere e salvaguardare la cultura marittima nazionale, vera essenza vocazionale di un paese marittimo come l’Italia. Il potere marittimo, per l’Italia, deve essere inteso al servizio degli interessi nazionali per la crescita e la prosperità della nazione. Esso non vuole significare una vuota e generica volontà di supremazia o, peggio ancora, di dominio, ma l’espressione di una cultura profonda di un popolo libero, espressione di una vera e propria cultura marittima che —– nel sostegno e salvaguardia dei principi di libertà e di scambio, cooperazione e solidarietà, apertura culturale e civiltà a favore di tutti — sia in grado di sviluppare un futuro autentico per la fruttuosa convivenza tra i popoli. DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima


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PRIMO PIANO

La nostra flotta mercantile: un’eccellenza del

MADE IN ITALY Luca Sisto (*) - Esther Marchetti (**)

(*) In Confitarma dal 1989, ne è Direttore Generale dal 1o gennaio 2018. Nominato Capo del Servizio Politica dei Trasporti nel 2001, nel corso degli anni ricopre allÊinterno della confederazione i ruoli di Segretario della Commissione Navigazione a Corto raggio e della Commissione di Navigazione Oceanica, prendendo parte a numerosi tavoli tecnici istituzionali in tema di politica marittima sia a livello nazionale che internazionale. Promotore del ÿSeamasterŸ, ha rilanciato lÊIstituto Italiano di Navigazione di cui attualmente è Vicepresidente con delega per il mare. ˚ inoltre membro del CISM – Comitato Interministeriale per la Sicurezza dei Trasporti Marittimi e dei Porti. (**) Laureata in Relazioni Internazionali presso lÊUniversità degli Studi di Perugia, ha svolto attività di ricerca sulle Private Military and Security Companies presso lÊIstituto Affari Internazionali di Roma. In seguito, ha conseguito un Master in Management e Policy della logistica portuale nel Mediterraneo presso la Link Campus University di Roma. Dopo unÊesperienza biennale presso un istituto di vigilanza italiano che fornisce servizi di antipirateria marittima, da maggio 2018 è nel Servizio Politica dei Trasporti di Confitarma.

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L’Italia è uno dei principali Paesi europei per importazioni ed esportazioni marittime con il resto del mondo: circa 215 milioni di tonnellate (Fonte: riflinegroup.com).

L’

Italia è sempre stata e rimane un Paese di naviganti. Da generazioni tramandiamo il modo italiano di fare impresa sul mare e la flotta italiana rappresenta un’eccellenza del «Made in Italy». Un’eccellenza per la sua tradizione ma anche in termini di sicurezza delle persone a bordo e dell’ambiente: quindi sicurezza per tutti noi! Un’eccellenza nella tutela del lavoro marittimo: a bordo delle navi di bandiera italiana, in quanto territorio italiano, vigono i più alti standard internazionali di tutela del lavoro. La nostra legislazione sul lavoro marittimo è tra le più avanzate al mondo. Un’eccellenza in termini di qualità dei servizi offerti a livello internazionale dalla flotta italiana in vari comparti: dai traghetti merci/passeggeri alle crociere, passando per le navi altamente specializzate nel trasporto di prodotti petroliferi. La bandiera italiana rappresenta, quindi, un «marchio di qualità» internazionalmente conosciuto e un punto di forza del «sistema Italia» che, in quanto tale, va tutelato e promosso a vantaggio del Paese. Ciò a maggior ragione se si considera che la Commissione UE prevede

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che, entro il 2030, il 30% delle merci che percorre più di 300 km dovrà viaggiare su ferrovia o sulle vie navigabili e che al 2050 tale quota arriverà al 50%. Eppure, sembra che l’importanza delle vie marittime e delle navi per la nostra vita quotidiana non sia percepita fino in fondo. Sebbene infatti, come noto, tutto o quasi ci viene dal mare, dal cibo all’energia, fino ai nostri vestiti, l’impressione è che ancora non si conoscano abbastanza le tante facce e potenzialità dell’industria marittima: un’industria mobile e «silenziosa» che mette in rete e sviluppa l’economia del Paese. Secondo il «V Rapporto dell’Economia del Mare realizzato dalla Federazione del Mare – Censis» il cluster marittimo italiano si conferma, infatti, uno dei settori più dinamici dell’economia italiana, contribuendo al PIL nazionale per 32,6 miliardi di euro (2,03%) e dà occupazione a circa il 2% della forza lavoro del Paese (471.000 persone fra addetti diretti e indotto). Altri dati di grande impatto — per la natura a rete del cluster — sono il moltiplicatore del reddito che è pari a 2,63, e il moltiplicatore per l’occupazione che è pari a 2,77, dati che salgono per il settore dei

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PRIMO PIANO

La sicurezza dell’alto mare, ruolo primario della nostra MARINA Fabio Caffio (*)

«LA NAVE DA GUERRA COSTITUISCE UNA PARTE DEL TERRITORIO DELLO STATO, RAPPRESENTA IL GRADO DI CIVILTÀ DELLA NAZIONE, È ELEMENTO DI FORZA PER LA DIFESA DEI DIRITTI E DEGLI INTERESSI DEL PAESE». Premessa Regolamento per il Servizio a bordo delle Navi della Marina Militare, 1973 (SMM3)

(*) Ammiraglio ispettore, in riserva, presidente della Fondazione marittima Ammiraglio Michelagnoli ONLUS, esperto di Diritto internazionale marittimo, autore di numerosi articoli e pubblicazioni di settore, tra cui Il Glossario di Diritto del mare, la cui IV ed. 2016 è anche disponibile on line sul sito della Marina Militare nella sezione Editoria/Rivista Marittima.

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Unità della Squadra Navale in formazione.

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a ragione di esistere della Marina è, come si diceva mutuando la terminologia dell’art. 52 della Costituzione (1), quella di difendere la Patria in armi sul mare. Ora il Codice dell’Ordinamento Militare (COM) (2), all’art. 110, così declina la funzione d’istituto della Forza Armata: «La Marina Militare costituisce la componente operativa marittima della difesa militare dello Stato». Assicurare la difesa marittima dello Stato da rischi che minacciano la sua integrità territoriale e indipendenza politica assume oggi una valenza diversa rispetto al passato: le nuove insidie provengono da attori non statali, mentre le guerre aggressive alimentate dalle contese tra Stati sono state bandite dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla nostra Costituzione (3). L’interesse dello Stato a contrastare, sul mare, tali minacce asimmetriche non va però visto solo in chiave nazionale: in una prospettiva più ampia, esso è anche volto a garantire «la pace e il buon ordine dei mari» quali fattori primari della sicurezza internazionale (4). Non a caso le Nazioni Unite, nell’affrontare la sfida posta dalla pirateria, l’hanno considerata «a threat to international peace and security». In considerazione di tale approccio, le operazioni antipirateria sono inquadrate nell’ambito delle missioni di peace-keeping navale. A prescindere dagli specifici interventi del Consiglio di Sicurezza in materia di uso della forza, ex capo VII della Carta, per sradicare la pirateria, esistono comunque norme consuetudinarie e pattizie internazionali volte a contrastare i crimini marittimi. Si tratta di quelle disposizioni, codificate nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS, dall’acronimo inglese), che at-

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PRIMO PIANO

SICUREZZA MARITTIMA Vecchie e nuove minacce

Francesco Chiappetta (*)

(*) Ufficiale di Stato Maggiore della Marina Militare in ausiliaria dal 2016. Con prevalente esperienza operativa, segue temi di Difesa e Sicurezza Marittima. Consulente di CONFITARMA, socio dellÊIstituto Italiano di Navigazione, svolge attività di docenza presso alcuni Atenei e Istituti di Formazione marittima, in particolare con lÊUniversità degli Studi della Calabria (Presidente dellÊOsservatorio sulla Sicurezza Marittima del Laboratorio di Intelligence; dal 2016 docente di Maritime Cyber Security al master in Intelligence). Collabora con la Rivista Marittima e altre pubblicazioni a carattere marittimo.

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Centrale Operativa di Combattimento di Nave MARGOTTINI.

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el 1814 un Ufficiale della Marina borbonica, Giulio Rocco, pubblicava il volume dal titolo Riflessioni su Potere Marittimo (1). Il testo, nell’introduzione «Al lettore», si apriva così: «Il potere marittimo è nell’ordine politico una forza somma risultante da quella di una ben ordinata Marina Militare, e di una numerosa Marina da Commercio. Sono questi i suoi elementi, i quali esercitando fra loro una reciproca influenza concorrono alla composizione di quel prodotto, i di cui irresistibili effetti sono del pari noti all’uomo speculativo, ed alla massa delle Nazioni». Dunque, già ai primi dell’800 per la seconda potenza marittima europea era chiaro su cosa si fondava il Potere Marittimo di un Regno — oggi diremmo Nazione. Infatti, oggi come ieri, esso si basa senza dubbio sulla «reciproca influenza» tra le strutture di difesa e sicurezza nazionale dedicate al dominio marittimo e quello che oggi viene indicato in modo certamente più completo con il termine di «cluster marittimo» o meglio ancora «industria dello shipping». È evidente che proprio su tale reciproca influenza si sviluppa l’economia marittima di un Paese — quella che nel nostro XXI secolo viene indicata come

«blue economy». Un’economia fondamentale per una Nazione come l’Italia, basata essenzialmente su di un architettato industriale di trasformazione e che nel commercio marittimo — import di materie prime ed export di propri prodotti finiti spesso di alta qualità — fonda e deve fondare il proprio sviluppo e progresso economico. Giulio Rocco anticipava così il concetto di «Sea Power», poi sapientemente espresso, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del ‘900, dai due teorici classici: lo statunitense Alfred Thayer Mahan (2) e il britannico Sir Julian Stafford Corbett (3) — principali assertori della strategia marittima, ancor oggi largamente studiati nella gran parte degli Istituti di Studi Militari. Nell’età moderna, al concetto di Potere Marittimo, quale prodotto tra Potere Aeronavale (4) e la capacità industriale marittima di una Nazione, si è poi associato quello di Sicurezza Marittima (5) — da intendersi in questo articolo nel termine anglosassone di «security» ben distinto da quello di «safety». Ed è proprio nell’introdurre il tema della Maritime Security che, in questa sede, si vogliono esaminare rischi e minacce che oggi e nel prossimo futuro più preoccupano l’industria marittima.

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PRIMO PIANO

TERRORISMO E PIRATERIA: minacce che condizionano lo shipping Andrea Moretti (*)

«ECCO IL MARE, GRANDE E IMMENSO, DOVE SI MUOVONO CREATURE INNUMEREVOLI, ANIMALI PICCOLI E GRANDI. LÀ VIAGGIANO LE NAVI E LÀ NUOTA IL LEVIATANO CHE HAI CREATO PERCHÉ VI SI DIVERTA». (Salmo 104, 25-26)

(*) Vice Ispettore della Polizia di Stato in servizio alla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione – UCIGOS. ˚ stato parte attiva in diverse indagini riguardanti il terrorismo interno ed esterno e dal 2007 è impiegato in attività di intelligence e analisi. Laureato in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, collabora con la cattedra di Diritto dellÊImpresa presso la facoltà di Economia dellÊuniversità Politecnico delle Marche (con riferimento agli aspetti geopolitici e geostrategici del settore ÿenergiaŸ) ed è stato invitato come relatore esperto per conferenze sul tema della geopolitica nellÊambito del dottorato di ricerca in Scienze Giuridiche e Politiche presso lÊuniversità G. Marconi di Roma.

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Terrorismo e pirateria: minacce che condizionano lo shipping

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più coerente e generica, adattabile a diversi contesti, el 2017 il trasporto mondiale di merci via sia quella di definire il terrorismo come «l’uso calcomare è cresciuto del 4% rispetto all’anno prelato della violenza, o minaccia di uso della stessa, ficedente segnando l’incremento percentuale nalizzato a produrre terrore tramite il quale poter più elevato dell’ultimo quinquennio (1). esercitare un’azione coercitiva o di intimidazione sui Nel periodo 2018-2023 il tasso annuo di crescita governi o sulle società allo scopo di raggiungere composto del trasporto marittimo sarà del +3,8%, con obiettivi generalmente politici, religiosi o ideologici», un +4,9% delle rinfuse secche, un +6,0% dei trasporti coniata dallo Stato Maggiore Congiunto degli Stati in container, un +1,7% dei trasporti di petrolio grezzo Uniti d’America (8). I trasporti marittimi non possono e un +2,6% dei prodotti petroliferi e del gas (2). essere considerati immuni da tale minaccia e immagiLo shipping internazionale è diventato negli ultimi nando detta definizione rapportata all’ambiente anni un settore strategico dell’economia, tanto che la «mare», appare agevole pensare come il terrorismo movimentazione di merci via mare rappresenta l’80% marittimo sia quindi ascrivibile a quelle azioni o midei volumi del commercio mondiale (3). nacce cui sopra che possano essere messe in atto sia Nell’attuale contesto economico globale, quindi, le nell’alto mare, che si identifica sostanzialmente con le vie marittime sono il foro privilegiato per lo svolgiacque internazionali, che mento dei traffici commernella zona costiera, che ciali e, in quanto tali, non tende a coincidere con le possono essere considerate acque territoriali. estranee ad azioni ostili o Il primo caso moderno di criminali. Invero, la libertà attacco terroristico contro di movimento in mare, fauna nave passeggeri risale cilitata dal progresso tecnoal gennaio 1961, quando la logico, ha reso le acque del nave da crociera Santa mondo un elemento sempre Maria, battente bandiera più accessibile al terroriportoghese, fu sequestrata smo e alla pirateria. da un gruppo armato di opRelegare il concetto di positori alla dittatura di Saterrorismo in una formale Sequestro del SANTA MARIA: primo sequestro della storia di una nave da definizione è un compito crociera. Nell’immagine, scattata il 26.01.1961, un aereo americano avvista lazar (9). Il più eclatante, natante in rotta verso l’Africa (Fonte: exponav.org). A pagina precedente invece, risale all’ottobre assai arduo continuamente ilNave LUIGI DURAND DE LA PENNE in operazione antipirateria. 1985, quando la motonave dibattuto nella comunità initaliana da crociera Achille Lauro fu dirottata da un ternazionale. Il termine (in francese terrorisme) indica, gruppo di guerriglieri palestinesi che richiedevano il rinella storiografia, il periodo del Terrore in Francia dulascio di alcuni compatrioti detenuti nelle carceri israerante la Rivoluzione del 1700. Mentre, però, in quel liane (10). Con il trascorrere del tempo, però, la tempo fu un prodotto delle azioni del governo rivoluminaccia da parte di gruppi terroristici e le modalità di zionario, oggi lo si intende, in modo diametralmente azione sono cambiate radicalmente, basti pensare alopposto, come un metodo e uno strumento di lotta pol’attacco del 12 ottobre 2000 alla nave militare statulitica — volto a sovvertire/destabilizzare una struttura nitense Cole dove persero la vita 17 marinai e più di di potere o a restaurarla/stabilizzarla — che, per im30 restarono feriti (11). Da allora si sono susseguiti diporsi, fa uso di atti di estrema violenza, anche nei conversi altri attacchi in mare — tra i quali si ricordano i fronti di persone innocenti (4). casi del mercantile Galicia Spirit (2016), della petroA fronte delle diverse interpretazioni proposte dalla liera Melati Satu (2016), del catamarano HSV-2 Swift NATO (5), dall’UE (6), dalle Agenzie di Intelligence (2016) e della fregata al-Madinah (2017) (12) — che e Sicurezza statunitensi (7), credo che la definizione

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PRIMO PIANO

Europa e cantieristica navale militare: scenari e potenziale evoluzione Michele Cosentino (*) (*) Contrammiraglio in riserva, ha completato lÊAccademia Navale nel 1978 e si è laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso lÊUniversità di Napoli. Dal 1987 collabora con la Rivista Marittima e con diverse case editrici italiane e straniere ed è autore di numerosi libri, saggi e articoli.

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Nonostante risalga ad alcuni anni fa, questa immagine consente di apprezzare le potenzialità dello stabilimento Fincantieri del Muggiano, alla periferia della Spezia, che assieme a quello poco distante di Riva Trigoso, costituisce un polo integrato di elevata valenza industriale (Fonte: Fincantieri).

N

ell’era della post-globalizzazione, il connubio e la sinergia fra capacità scientifiche, industriali e cantieristiche e flotta commerciale possono sostituirsi alla pura e semplice Marina mercantile intesa come uno dei pilastri del potere marittimo. Stringendo il campo sulle capacità industriali e cantieristiche dell’Europa, si è di fronte a un settore la cui valenza strategica è ampliata e ampliabile dalle possibilità offerte dalla cooperazione intergovernativa e industriale, in uno scenario che ha un impellente bisogno di superare i confini spesso angusti di una primazia unicamente nazionale. Il 13 novembre 2017, 23 Nazioni aderenti all’Unione

Europea hanno firmato un testo sulla politica europea di difesa e sicurezza comune, in sostanza una conseguenza di quanto era stato già recepito negli accordi di Lisbona, per consentire — attraverso lo strumento della cooperazione rafforzata meglio noto come PESCO — a una determinata cerchia di Paesi membri UE di procedere in maniera più spedita di altri su iniziative concrete in questa delicata materia. Diversi commentatori hanno posto l’accento sulla coerenza esistente tra, da una parte, l’enfasi racchiusa in espressioni come «momento storico per la difesa europea» in direzione di un’autonomia strategica propriamente europea e, dall’altra, l’estrema sottigliezza di un’iniziativa finalizzata

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PRIMO PIANO

POTERE MARITTIMO: un apprezzamento totale Enrico Cernuschi (*) (*) Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia sulle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti Gran pavese (Premio Marincovich 2012), ULTRA - La fine di un mito, Black Phoenix (con Vincent P. OÊHara), Navi e Quattrini (2013), Battaglie sconosciute (2014), Malta 1940-1943 (2015), Quando tuonano i grossi calibri. Gli italiani dellÊInvincibile Armata (2016), Il Potere Marittimo nellÊambito mondiale e Sea Power the Italian Way, entrambi usciti nel 2017.

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L’equipaggio della pirofregata VITTORIO EMANUELE nel 1886. Il tempo passa e cambiano i tipi di navi. Invece il Potere Marittimo e l’Economia, mai (Fonte: USMM).

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a posizione geografica, la conformazione fisica del territorio, l’estensione del territorio, la grandezza della popolazione, il carattere nazionale e le caratteristiche dello Stato e delle istituzioni nazionali. Questi sono, in base ai sacri testi, gli elementi del Potere Marittimo. Questa cinquina vincente, identificata sulla base della storia navale, è stata largamente diffusa, alla fine

dell’Ottocento, dallo statunitense Alfred Thayer Mahan per essere poi ripresa da molti illustri pensatori. Tra i massimi, in Italia, vanno ricordati, quantomeno, gli ammiragli Romeo Bernotti e Oscar di Giamberardino affiancati (a parere di chi scrive, naturalmente) dai loro colleghi Antonio Flamigni e Pier Paolo Ramoino. Questi ultimi due autori, in particolare, hanno il grosso merito di aver riletto in maniera meno scolastica — e ben altrimenti calata nella realtà corrente — quegli stessi cinque princìpi di base, apprezzandoli correttamente nell’ambito della dura realtà contingente italiana e, più in generale, di qualsiasi potenza regionale evitando, in tal modo, di collocarsi in un non meglio precisato empireo ricalcato sul punto di vista, ideale e tipicamente anglosassone, di un never never land caratterizzato dalla disponibilità di risorse infinite e da una profondità strategica a prova d’invasione come quella assicurata a quei beati Paesi dalla Manica e dagli oceani. Volendo sintetizzare al massimo, qualsiasi strumento navale poggia su due pilastri: il primo è formato dalla Marina Militare (termine da intendersi nella sua componente aeronavale e organizzativa in mare e a terra); il secondo — di ben più difficile definizione — consiste in tutto quello che attiene al mare anche se Marina non è (Marina Mercantile, cantieristica, imprenditoria correlata, diplomazia e intelligence interforze). In questa sede, e per mere ragioni di comodità, questo secondo pilone portante sarà riassunto nella triade, dichiaratamente generalista, formata dalla Marina mercantile, dall’Economia e dalla Finanza. Volendo riprendere il metodo mahaniano (che poi era lo stesso proposto, al pari delle conclusioni, dal piemontese Giovanni Botero sin dal Cinquecento e dal partenopeo Giulio Rocco nel 1814), la storia navale fornisce esempi a volontà relativamente alla misera fine di imperi e uomini politici (spesso esiliati o, come è di moda da quasi un secolo a questa parte, impiccati o — comunque — morti assai male) colpevoli di aver trascurato o sottovalutato (purché ne avessero avuto, beninteso, la materiale possibilità) uno o entrambi i pilastri di cui sopra. La recente esperienza sovietica parla chiaro. Nonostante la grossa consistenza del capitolo dedicato, per decenni, da tutti gli almanacchi navali del mondo alla

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Lo smaltimento della plastica in mare: nuove tecnologie

Stefano Monti (*)

(*) Capitano di Fregata (SM) specializzato in Idrografia presso lÊIstituto Idrografico della Marina, attualmente impiegato al NATO Rapid Deployable Corps (NRDC-ITA). Successivamente alla laurea specialistica in Scienze ambientali marine (Indirizzo Oceanografico) ha conseguito il Dottorato di Ricerca (PhD) in Scienze della Terra e del Mare presso lÊUniversità di Genova. Collabora con la Rivista Marittima dal 2008.

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Ocean Array Cleanup, barriera galleggiante avente come scopo lo sviluppo di tecnologie per ridurre l’inquinamento delle plastiche negli oceani (Fonte: theoceancleanup.com).

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uanta plastica c’è nel mondo? Secondo alcune ricerche effettuate da diverse università americane, dagli anni Cinquanta a oggi sono state prodotte più di 8,3 miliardi di tonnellate di plastica e di queste circa 6,3 miliardi sono finite nella spazzatura. Dei rifiuti di plastica il 12% è stato bruciato, il 9% è stato riciclato e il 79% si trova in discariche o abbandonato nell’ambiente; in un anno finiscono nei mari circa otto milioni di tonnellate di plastica. C’è qualcosa che non quadra in tutto ciò, il cerchio non si chiude e si crea spreco o inquinamento. Un principio base dell’ecologia afferma che, in un sistema chiuso, vale il principio di conservazione della massa, che può solo subire processi di trasformazione e/o trasferimento da un comparto all’altro. La massa segue quindi un ciclo mentre, al contrario, l’energia segue un flusso unidirezionale degradando da una forma (per esempio la luce) a un’altra (calore) aumentando l’entropia generale del sistema secondo i principi della termodinamica. L’ecosistema, che comprende le due componenti biotica e abiotica, è la «scatola» che svolge la trasformazione energetica e trasforma la materia. Acqua, Ossigeno, Car-

bonio, Azoto, cioè i mattoni costruenti gli organismi viventi, sono quindi riciclati di continuo con tempi e modi differenti. Tali sostanze passano dai semplici organismi unicellulari fotoplanctonici allo zooplancton, dagli erbivori ai carnivori, dai produttori ai consumatori di vario ordine, con una complessità sempre più crescente sfruttando il flusso di energia della luce del sole (fotosintesi) e l’energia prodotta da reazioni chimiche. Il ciclo naturale della componente biotica organizzato in catene alimentari si chiude con gli organismi detrivori, bioriduttori e decompositori (funghi, batteri, muffe ecc...) che ritrasformano la sostanza organica in forma minerale rendendo quindi disponibili i nutrienti per il riciclo interno all’ecosistema. La decomposizione del detrito (la sostanza organica morta) è il processo principale di riciclizzazione dei nutrienti. Anche la componente abiotica, l’ambiente fisico-chimico, sottostando al principio base dell’ecologia prima accennato, ubbidisce al principio di conservazione; azoto e fosforo (cosiddetti «nutrienti limitanti»), per esempio, sono continuamente riciclati tra organismi marini e le componenti non viventi degli ecosistemi.

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

La problematica dei cavi sottomarini Internet e il mondo numerico sono associati a un mito della «dematerializzazione», mentre nella realtà essi si basano anche su oggetti concreti. In effetti, quando si invia una mail da un computer a un altro, i pochi kilobyte di dati devono molto spesso transitare attraverso una rete di cavi e di server, che fanno parte dell’aspetto materiale del mondo virtuale. Essi costituiscono un vero e proprio tallone d’Achille del Web.

Massimo Iacopi (*) (*) Generale dellÊEsercito Italiano in riserva. Laureato in Scienze Strategiche e specializzato in Geopolitica, socio di numerosi sodalizi tra i quali lÊIstituto di Storia nautica portoghese e Reggente di un sistema premiale riconosciuto dal Ministero della Difesa. Autore di pubblicazioni a carattere Storico Militare e di numerosi articoli di stampa su argomenti di carattere vario, pubblicati su periodici a livello nazionale e su giornali e periodici a livello regionale. Insignito del Premio Giornalistico Internazionale INARS Ciociaria, sezione scrittori nel 2007, collabora con la Rivista Marittima dal 2008.

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Rappresentazione grafica di un cavo sottomarino (Fonte: privacyitalia.eu).

Ma il lato materiale del web risulta anch’esso vulnerabile ed è abbastanza facile rendersene conto. Nell’ottobre 2015, l’Algeria si è ritrovata priva dell’80% delle sue capacità di accesso a Internet per circa una settimana, a causa della sbadataggine di un equipaggio di una nave (2) che aveva gettato e quindi ritirato l’ancora, la dove passava un cavo strategico per questi fini. Due anni più tardi, nel luglio 2017, lo stesso scenario si è riprodotto al largo della Somalia, dove un porta container (3) ha privato accidentalmente la Somalia del collegamento Internet per tre settimane. Questi due esempi rappresentano solo i casi più recenti, poiché, dagli inizi del 2000, sono state rilevate altre interruzioni accidentali di Internet in seguito a rottura dei cavi. In definitiva la fragilità del sistema appare evidente e reale.

Quando i militari si interessano ai cavi

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uando ci si pone nel campo delle comunicazioni su scala mondiale, ci si rende conto che i cavi sottomarini assumono un’importanza cruciale, poiché il 99% delle telecomunicazioni internazionali e 10 miliardi di dollari di operazioni finanziarie quotidiane (1) utilizzano questo mezzo.

Il tallone di Achille del Web In tal modo quando vengono evocate le vulnerabilità del mondo numerico, si pensa sempre ai cyber attacchi.

Un rapporto pubblicato il 1o dicembre 2017 dal think tank britannico Policy Exchange, presenta un riassunto delle possibili minacce e soprattutto un elenco delle fragilità che riguardano questo tipo di cavi. Del resto, la loro localizzazione è conosciuta da tutti a eccezione di determinati cavi a vocazione militare e il loro passaggio in alto mare crea, inoltre, un vuoto giuridico che faciliterebbe il compito per un attacco di tipo asimmetrico (4). L’attacco dei cavi sottomarini a fini militari non costituisce una novità, poiché, durante la Guerra Fredda, gli Americani avevano spiato un cavo di telecomunicazioni sovietico nel mare di Okhotsk. Anche in tempo di pace, sia gli uni che gli altri preferiscono prendere le loro precauzioni, per esempio il CNES sostiene un progetto di cavo sottomarino che consentirebbe di comunicare dalla Guyana alla madrepatria senza passare dagli Stati Uniti, paese del suo concorrente diretto: Space X. Ma, oltre allo spionaggio, può esistere un rischio di interruzione in caso di conflitto. Anche questa cosa non costituisce una novità: nel 1914 il Regno Unito aveva tagliato i cavi che servivano la Germania per le sue comunicazioni transatlantiche. Per il resto, la Russia dispone manifestamente il materiale necessario per questo tipo di operazioni. La presenza di una

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STORIA E CULTURA MILITARE

Statua raffigurante Raffaele Rubattino a Genova in piazza Caricamento (Fonte: it.wikipedia.org/Camillo Ferrari). Nella pagina accanto: ritratto dell’ armatore, particolare (Fonte: carabinieri.it).

La nascita di un pioniere: il ruolo di Raffaele Rubattino dall’età precavouriana alla colonia d’Eritrea Michele Graziosetto (*)

(*) Laureato (con lode) in Lettere, presso lÊUniversità degli Studi di Napoli. Ha diretto (tra il 1991 e il 2010) i Licei di Caluso, di Sezze-Priverno, di Minturno e (come reggente) di Castelforte (2010). Per un triennio (2004-2007) è stato preside a Lilla (F), (ove ha diretto i corsi per la lingua italiana, presso US del Consolato dÊItalia). Ha ricevuto il Premio della Cultura (D.P.M. 2000). ˚ insignito dellÊonorificenza di Cavaliere della Stella della Solidarietà italiana (Pres. Repubblica 2007). ˚ cultore di Storia contemporanea (Università Roma Tre). ˚ presidente dellÊUniversità del Golfo Formia-Gaeta-Minturno. Tra i suoi scritti, Il Trasformismo e lÊattività politica di Agostino Depretis; I giudizi di Piero Gobetti su socialismo e popolarismo, in Piero e Ada Gobetti, Atti, Cassino 2001; Trasformazione Trasformismo o Transumanza? (con altri brevi saggi), pref. G. Quagliariello; Francesco Crispi. La religione della Patria nella stagione del Trasformismo, pref. E. Di Nolfo; Tre donne intorno al cor⁄ (2008); I giorni nel labirinto; Tra buio e luce. Organizza il Premio (Poesia-Storia-Pittura) Nazionale Minturnae-Ornella Valerio.

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La nascita di un pioniere: il ruolo di Raffaele Rubattino dall’età precavouriana alla colonia ...

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e premesse per un risveglio delle esigenze della Marina del Regno Sardo — e dopo un ventennio — dell’Italia unita nascono da concomitanti fattori interni e internazionali: lo sviluppo dell’industria, la presa del potere in Francia a opera di Napoleone III (1850), la nomina Ministro della Marina mercantile del conte Camillo Benso di Cavour (1850) e il suo successivo ruolo di guida politica del Governo (1852-1861). Infatti, soltanto in un contesto di fiducia economica europea e mondiale sarebbe stato possibile coagulare interessi sociali e finanziari di gran parte delle forze produttive del piccolo Stato. La stessa scoperta in California (Stati Uniti) di consistenti giacimenti auriferi creò un’euforia collettiva che di lì a poco spinse a un flusso migratorio non solo nell’ex territorio messicano (ceduto agli Stati Uniti in febbraio 1848), ma anche verso il Nord (Canada e Alaska): tutto questo creò un clima di attesa e di progresso dei mezzi di comunicazione. L’Europa, da parte sua, ne sentiva l’urgenza e di qui un forte impulso da parte dei governi a promuovere, con sovvenzioni statali, investimenti nel campo delle strade ferrate (che pure avevano conosciuto un forte incremento dopo gli anni Venti), nel ripristino e ampliamento delle strade per la circolazione terrestre, al potenziamento delle flotte nazionali non soltanto per i commerci interni, ma anche per quelli transatlantici. I nuovi spazi atlantici misero in crisi la navigazione a vela, sostituita ben presto da piroscafi a vapore, più veloci, che apparvero sul fiume Hudson (Stati Uniti) nel 1807, mentre nel Mediterraneo, nel 1818, il primo appartenne alla Regia Marina Borbonica (Ferdinando I). È in questo arco di tempo che si inserisce la straordinaria biografia di Raffaele Rubattino che, da assicuratore marittimo, diventa imprenditore navale e successivamente si fa mediatore governativo per l’avvio del colonialismo italiano (1870). Raffaele era nato a Genova nel 1800, in un contesto familiare di solide tradizioni borghesi: la madre proveniva dalla famiglia Gavino, parente della facoltosa fa-

miglia dei Rebizzo, a loro volta conoscenti dei Manin e dello stesso Camillo Benso quand’era giovane ufficiale a Genova verso il 1830. Raffaele rimase orfano nel fiore della giovinezza, perdendo uno dopo l’altro i genitori e poco dopo, nel giro di due anni, anche la sorella. Per temperamento, nei primi anni di formazione scolastica, fu incline agli studi filosofici. Riuscì, durante la frequenza delle scuole di grado superiore, a stabilire e a consolidare nel tempo legami amicali con molti intellettuali impegnati politicamente per la trasformazione dei rapporti politici in chiave progressista, ma non si lasciò mai coinvolgere direttamente. Conobbe, tra gli altri, Jacopo Ruffini, quel Ruffini che diventò amico di Giuseppe Mazzini, di cui condivise gli ideali divenendo membro della Carboneria e, una volta scoperto, fu condannato a morte nel 1833 dal Tribunale militare all’uopo istituito da Carlo Alberto, per punire con pene esemplari tutti coloro i quali avevano osato organizzare una rivolta in Savoia. Lo si ricorda anche per testimoniare la tempra morale di questo ventottenne. Infatti, Jacopo già a 20 anni era avvocato, (divenendo poi anche medico ed esercitando la professione). Condannato alla pena capitale, subì in carcere un mese di torture, ma non rivelò i nomi degli altri cospiratori. Pur di evitare ogni cedimento, preferì suicidarsi. Su questo gesto estremo qualche studioso ha avanzato dubbi, sostenendo che si trattò di un vero omicidio mascherato da suicidio consumato dalle autorità, allo scopo di evitare che con l’esecuzione della condanna potessero scoppiare rivolte popolari. Ritornando al percorso biografico di Raffaele, questi fu in grado, grazie proprio al sostegno finanziario dei Rebizzo, di trovare la sua strada in campo commerciale. Infatti, furono proprio i parenti della madre a sostenere le iniziali operazioni commerciali dell’intraprendente giovane, che creò la sua prima attività nel campo delle Assicurazioni marittime. Resosi conto poi della modestia dei capitali «locali», cercò di allargare il suo orizzonte operativo e si rivolse agli imprenditori dell’area

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F ocus diplomatico Perché non possiamo non sentirci europei? Questa domanda è stata l’oggetto di un seminario organizzato nello scorso mese di aprile dall’Università LUMSA di Roma al quale ho partecipato. Cercherò di riassumere qui di seguito la sostanza delle risposte che ho dato, includendovi il senso delle domande e delle reazioni dei presenti. Il tema del seminario è stato affrontato sotto alcuni specifici angoli di valutazione in relazione: alla domanda del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea; all’insofferenza dei Paesi di Visegrad nei confronti degli aspetti sovranazionali dell’Unione Europea; alle condizioni per l’entrata e la permanenza nell’EURO; ai programmi di salvataggio di alcuni dei Paesi in difficoltà nell’Euro; alle prospettive per l’ulteriore sviluppo del processo di integrazione.

Brexit Ho dovuto convincermi da tempo che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sarebbe stata prima o poi inevitabile. Sono stato a suo tempo convinto sostenitore della partecipazione britannica al progetto europeo, al quale ritenevo Londra avrebbe potuto dare un valido apporto di efficacia e pragmatismo e contribuire al tempo stesso a migliori equilibri politici tra i Paesi Membri. Mi sbagliavo. Londra ha chiesto negli anni Sessanta di aderire alle allora Comunità Europee unicamente per la convenienza di associarsi a un progetto di liberalizzazione commerciale a livello continentale, che aveva dimostrato subito di avere successo, e per condizionarne gli sviluppi. Nutriva però profonde riserve verso le finalità politiche più ambiziose che i Paesi fondatori si proponevano. Si è sentita quindi sempre più a disagio man mano che il processo di integrazione avanzava verso li-

velli crescenti di cessione di sovranità nazionale alle istituzioni comuni e riduceva l’indipendenza del Governo e del Parlamento britannici in settori sempre più estesi. La Gran Bretagna, dopo aver cercato di condizionare al ribasso, non senza qualche successo, ogni modifica dei trattati volta a rafforzare il ruolo delle istituzioni europee e la portata delle politiche comuni, si è tenuta fuori dai progetti di integrazione più avanzati, come la politica monetaria, la libera circolazione dei cittadini, la politica sociale, l’immigrazione, la giustizia, gli affari interni. Ma questo non è bastato a contenere l’opposizione di una maggioranza, seppur esigua, di cittadini del Regno Unito verso un progetto che non sentono proprio e che contraddice quelli che ritengono essere i valori fondanti della propria nazione. Con grande lucidità Robert Schuman, creatore delle Comunità Europee e del metodo comunitario, prevedeva nelle sue memorie, raccolte poco prima della sua morte nel 1962, che governi e parlamenti britannici non avrebbero mai accettato regole decise al di fuori di essi. L’appartenenza alle istituzioni europee è stata del resto controversa e divisiva in Gran Bretagna sin dall’inizio. Il processo politico interno che ha portato all’adesione nel 1973 è stato tortuoso e contraddittorio come quello che si è avviato ora verso il recesso. Ed è stato segnato da ripetuti cambi di posizione dei due principali partiti britannici: allora come ora, incapaci di esprimere una posizione comune nell’interesse dell’intero Regno Unito. Alla luce dell’esperienza dei ripetuti negoziati concernenti l’appartenenza di Londra alle istituzioni europee svoltisi tra il 1969 e il 2007, mi auguro che il negoziato per il recesso si concluda con un accordo che mantenga il libero scambio commerciale con l’Unione Europea, possibilmente in-

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RUBRICHE

Osservatorio internazionale Germania: guardando a SUD Il Cancelliere tedesco Angela Merkel, il 2 maggio, ha concluso una visita di tre giorni in Burkina Faso, Mali e Niger. La visita della Merkel fa parte degli sforzi della Germania per rafforzare la sua difesa lontana e la cooperazione per la sicurezza nella regione attraverso lo schieramento di truppe e il supporto di capacità locali, il cosiddetto capacity building. È forte quindi la volontà di arginare fenomeni incontrollati di migrazione e, un’ulteriore rafforzamento della cooperazione di difesa con la Francia, nonostante i crescenti problemi tra Parigi e Berlino, incoraggerà la Germania a mantenere il suo coinvolgimento nella regione anche nel futuro prossimo. Mentre le preoccupazioni relative alla sicurezza e alla migrazione sono il principale fattore alla base del coinvolgimento della Germania, è probabile che anche gli sforzi diplomatici, come il viaggio della Merkel (preceduto da quelli della Ministra della difesa Ursula von der Layen, seguita da quella del Ministro degli esteri Heiko Maas) raccoglieranno in prospettiva frutti per le imprese tedesche che cercano opportunità di investimento nella regione. Tuttavia è forte la consapevolezza che l’aumento dell’impronta tedesca aumenterà anche la minaccia di rappresaglie dirette da parte di militanti islamici che prendono di mira il personale, i simboli e gli interessi economici tedeschi. La visita della Merkel riflette il crescente interesse della Germania per il Sahel negli ultimi anni e

La Cancelliera Angela Merkel e il Presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaboré (Fonte: dailynews.com).

segue una visita a Berlino dei presidenti del Burkina Faso e del Mali a febbraio e marzo scorso. Il coinvolgimento della Germania nel Sahel è stato inizialmente limitato a fornire supporto logistico militare per l’intervento francese nel 2013 e negli ultimi anni ha aumentato rapidamente il suo contributo e il suo impatto sul campo. La Germania, nel 2017, ha aumentato il suo contributo alla missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) che ora ha circa 900 soldati di stanza nella città settentrionale di Gao, otto elicotteri da attacco e trasporto, e un certo numero di droni di sorveglianza. La Germania contribuisce con oltre 150 soldati (e il comandante della forza) a una missione di addestramento dell’UE per l’Esercito del Mali (EUTM), e ha esperti civili e militari distaccati in una missione di rafforzamento delle capacità dell’UE per le forze di sicurezza del Niger (EUCAP), aprendo, infine, un nuovo campo militare, verso la fine del 2018, a Niamey (Niger). L’ultimo viaggio della Merkel è stato fortemente focalizzato sulla promozione di questa cooperazione per la sicurezza e non includeva rappresentanti delle imprese tedesche. La visita si è concretizzata con un contributo finanziario di 60 milioni di euro alla Forza congiunta del G5 Sahel, una forza di controterrorismo regionale composta da soldati del Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger da anni alla ricerca di fondi. Ha inoltre annunciato il sostegno di 20 milioni di euro al Burkina Faso e 35 milioni di euro al Niger per un mix di rafforzamento delle capacità di sicurezza e aiuto allo sviluppo. L’orientamento degli interessi tedeschi, generalmente in Africa, e più specificamente nel Sahel, è relativamente recente (salvo quello storico verso le sue ex colonie quali Togo, Camerun, Namibia e Tanzania). La cancelliera Merkel non ha visitato il continente africano tra il 2011 e il 2016, ma da allora è stata in 12 paesi. Questo importante cambiamento nell’approccio è guidato da due fattori principali. Innanzitutto, gli afflussi di migranti dal 2015 hanno spinto la «gestione della migrazione» al centro della politica interna ed estera tedesca; in parti-

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Marine militari AUSTRALIA Maritime Task Group per la RAN La Royal Australian Navy prevede di rendere operativo, entro la fine dell’anno, un MTG (Maritime Task Group) destinato a potenziare le capacità di risposta delle nuove forze navali del Paese. Creato nel dicembre 2018 e destinato a fornire una capacità iniziale di comando complesso a partire dall’attività di dispiegamento conosciuta con il nome «IPE19» («Info-Pacific Endeavour 2019»), che si sta sviluppando e che comprende le esercitazioni «Ocean Explorer» e «Ocean Raider» nonché la successiva «Talisman Sabre 2019» che vedrà la partecipazione in luglio di unità navali americane e giapponesi nelle acque vicine all’Australia, il Maritime Task Group (MTG) è destinato a creare un gruppo di unità di superficie in grado di portare a termine un’ampia gamma di missioni grazie alle nuove piattaforme e capacità che la RAN sta immettendo in servizio. In particolare, quest’ultima dispone già delle due unità tipo LHD classe «Canberra» e sta completando la linea dei tre caccia lanciamissili classe «Hobart». A questi, a partire dalla fine degli anni 2020, si aggiungeranno le fregate classe «Hunter» mentre nei primi

La Royal Australian Navy prevede di rendere operativo entro la fine dell’anno un MTG (Maritime Task Group) che sarà incentrato sui caccia classe «Hobart» (Fonte: Australia DoD).

anni 2030, è prevista l’entrata in servizio dei sottomarini convenzionali d’attacco classe «Attack». Destinato a svolgere principalmente due pacchetti di missioni rispettivamente rivolti alla lotta in alto mare con attività di protezione delle linee di comunicazione e il dominio dello spazio di manovra marittima nelle tre dimensioni di superficie, aeree e subacquee, e alla protezione dei gruppi ATG (Amphibious Task Group) incentrati sulle LHD classe «Canberra» in acque più vicine alla costa e in ambito litoraneo, l’MTG sarà impostato inizialmente sulle capacità C2 complesse fornite dai nuovi caccia classe «Hobart» e in futuro dalle fregate classe «Hunter» e potenzialmente dalle nuove unità da supporto e rifornimento in mare classe «Supply».

BELGIO Assegnato il contratto MCM Il Ministro della Difesa belga ha notificato, il 22 maggio, al consorzio Belgium Naval & Robotics, composto da Naval Group ed ECA Group, il contratto per la fornitura di dodici unità contromisure mine per le Marine belga e olandese. Il contratto comprende anche la fornitura di dieci suite (toolbox) basate su mezzi autonomi per un totale di un centinaio di «droni subacquei». Il contratto del valore di 2 miliardi di euro si svilupperà fino al 2024, con una prima fase di sviluppo, seguita da quella di produzione sia delle piattaforme navali che dei sistemi autonomi o a controllo remoto. Sei unità verranno fornite alla Marina belga e sei a quella olandese con consegne a partire dal 2024. Ciascuna unità da 2.800 tonnellate a pieno carico disporrà di un sistema per la guerra antimine integrato con quello da combattimento dell’unità e incentrato sui sistemi C2 MCM ECA Group «Umisoft» e Naval Group «I4Drones». Questi ultimi sono destinati a gestire le piattaforme senza pilota ECA Group di superficie «Inspector 125» a loro volta in grado di lanciare e recuperare in modo autonomo mezzi di sorveglianza

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Nautica da diporto SETTIMANA VELICA INTERNAZIONALE – 2019

(ITA358), imbarcazione dell’Accademia Navale, che si è classificata quarta. Laser

Vento sostenuto e mare mosso hanno caratterizzato molte giornate della Settimana Velica Internazionale 2019 (Fonte: M. Trainotti, settimanavelicainternazionale.it).

Dal 24 aprile al 1o maggio scorso si è svolta a Livorno la terza edizione della «Settimana Velica Internazionale - Accademia Navale e Città di Livorno», organizzata dall’Accademia Navale e dal Comune di Livorno, insieme a nove Circoli nautici dell’area labronica (1), e la collaborazione dello Yacht Club Costa Smeralda per la Regata dell’Accademia Navale. All’edizione di quest’anno hanno partecipato oltre di circa 1.000 atleti, la metà dei quali di età compresa fra 8 e 14 anni, che hanno partecipato alle prove in mare a bordo di circa 600 unità a vela appartenenti a 13 differenti classi.

Classi e regate J 24 Quest’anno non era presente La Superba, del Centro Velico della Marina Militare di Napoli, che ha vinto le precedenti due SVI della classe J24, ma le tre prove hanno fatto vedere delle belle regate con Notifyme-Pilgrim della Flotta del Lario (ITA 498) che ha vinto due delle regate conquistando così il Trofeo J24 messo in palio dalla Lega Navale Italiana che ha organizzato l’evento. Al secondo posto Jamaica (ITA 212) e terza Five For Fighting (ITA 304). Per la Marina Militare ha partecipato Arpione

Il Gruppo Vela Assonautica Livorno ha organizzato le regate dedicate ai giovani, in particolare quelle della classe Laser categorie Radial e 4.7, valevoli per l’Italia Cup di classe (III tappa). Le barche iscritte nella cat. 4.7 erano 181 e si sono date battaglia in tre prove. Si sono contesi la vittoria Alessia Parlanti e Niccolò Nordera che alla fine ha prevalso. Ben tre ragazze nei primi quattro posti. Mattia Cesana, quarto classificato, è stato il più bravo fra gli under 16. Nell’altra categoria, quella dei Radial, le prove in acqua sono state quattro, disputate fra il 26 e il 28 aprile, in condizioni meteo impegnative con vento forte e mare molto mosso. Matteo Paulon (U 19), dello Yacht Club Cannigione si è classificato primo su 157 partecipanti. Il giovane velista sardo nell’aprile del 2018 aveva vinto l’Europa Cup Laser. Al secondo posto (primo degli open) Nicolò Elena, del Circolo Nautico Andora, e al terzo la campionessa italiana 2018 Joyce Floridia (open), della sezione Vela Guardia di Finanza. Laser Bug Race Il Bug Race è un armamento del Laser Bug adatto a bambini che abbiano compiuto i 12 anni. Sulle acque davanti Quercianella, il Circolo nautico locale ha organizzato le regate di categoria. Ludovico Caserani, con un primo e un secondo posto (3 punti), si è aggiudicato la vittoria finale. Argento a Federico Menzio (p. 5) e bronzo alla prima bambina Giulia Ghirindelli (p. 6) che aveva vinto la prima prova ma ha concluso quinta la seconda regata. Optimist Il 30 aprile e 1o maggio si sono svolte le regate della classe Optimist preagonistica (ragazzi di 9 e 10 anni) organizzate dal Circolo Nautico Livorno. Al termine delle sei prove il vincitore è stato Giovanni Bedoni del Fraglia Vela Riva, che ha vinto 5 delle sei prove disputate (Tabella 1).

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C he cosa scrivono gli altri «Italy on the Rimland. Storia militare di una Penisola eurasiatica» QUADERNI SISM 2019

Veramente monumentale si presenta l’edizione dei Quaderni 2019 della Società italiana di Storia Militare (www.societàitalianadistoriamilitare.org), con una prefazione di Lucio Caracciolo e l’introduzione del Presidente della Società, prof. Virgilio Ilari, che ne ha diretto e curato la pubblicazione. In complesso ci troviamo di fronte a 83 contributi, per complessive 1.060 pagine e 400 illustrazioni, confezionate in un elegante cofanetto e suddivise in due Tomi. Sulla copertina del primo si staglia la stele eretta in onore di Garibaldi nella cittadina russa di Taganrog nel 1961, mentre su quella de secondo svetta l’immagine del «Faro Francesco Crispi», eretto nel 1924 a Capo Guardafui, oggi Ras Asir in somalo, a cui è stato dedicato il recente lavoro di Alberto Alpozzi. Il primo tomo, intitolato «Intermarium», tratta i rapporti tra l’Italia, l’Europa Orientale e la Russia (con le sezioni La Porta d’Oriente 1763-1861, Noi credevamo 1863-1943, «talk to Russia but keep sanctions, Nato tells Italy»). Il secondo, denominato «Suez», analizza la proiezione marittima del nostro Paese verso l’Oceano indiano, l’Estremo Oriente e il Grande Nord, con L’Italia della «Peutingeriana» [con riferimento alla copia medioevale di un’antica carta romana che mostrava le vie militari dell’Impero], Visioni d’Oriente 1917-1970, Nell’Estremo

Oriente 1855-1946 e, infine, Nel Mare Artico 1878-onwards. Settantuno gli Autori, con undici di essi che hanno contribuito con due o più articoli. Nel ricchissimo e variegato palinsesto che, ictu oculi, si contraddistingue per l’originalità dell’impostazione e dei contenuti, ci si propone quindi di «ripensare la storia della Penisola Centrale del Mediterraneo come parte di un conflitto globale di lunga durata per il controllo delle rotte terrestri e marittime dell’Eurafrasia». Molto importante, sotto il profilo metodologico e nel suo vasto respiro storiografico, l’Introduzione del Presidente Ilari quando scrive: «noi tentiamo qui una storia-puzzle, induttiva, scrutando e collegando, tra infinite possibili, 83 tessere che lasciano indovinare un mosaico. La cui intelaiatura non è la Penisola, ma il mondo, o meglio l’Isola-Mondo, in rapporto alla Penisola. Le tessere sono bonsai di studi precedenti o mirati compiuti dai settanta compagni di questa avventura […] combinando storia militare, geostoria, «global history» e «longue durée», presa in prestito dalla storia sociale e applicata alla storia dei conflitti». Il tutto tenendo sempre presente come, nella «visione» di fondo del curatore, il contesto internazionale che rese possibile l’unità politica della Penisola Centrale del Mediterraneo si deve ricercare nella Questione d’Oriente, ossia il primo grande scontro tra l’Impero Britannico e l’Impero Russo. Una collisione d’imperi per il controllo delle rotte oceaniche (atlantico-indiano-pacifico-artico) che circondano l’Eurafrasia (l’«Isola-Mondo») e la intersecano attraverso il Mediterraneo (Dardanelli, Suez), il Levante (Kuwait) e l’Asia Centrale (via della Seta, Transiberiana). Col Risorgimento, la Penisola entrò a far parte del Primo Occidente anglo-francese, nato con la guerra di Crimea. Divenute italiane, Venezia e poi Trieste cessarono di essere la Porta d’Oriente per trasformarsi nel Fronte Est dell’Occidente. Nel frattempo, col traforo del Fréjus e l’apertura del Canale di Suez, l’Italia era tornata a essere quella che era stata durante l’impero romano: un tratto della linea di comunicazione fra Thule (Irlanda) e Taprobane (Ceylon).

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Rivista Marittima Maggio 2019


Recensioni maggio_Layout 1 08/07/2019 11:37 Pagina 125

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Recensioni e segnalazioni Cristina Piga

Il ladro dellÊoceano Ugo Mursia Editore Milano 2018 Pagg. 208 Euro 15,00

Tutti coloro che, a vario titolo in qualità di membri della Marina Militare o della comunità degli armatori italiani, a suo tempo seguivano con attenzione e apprensione gli eventi causati dagli attacchi di pirati nel bacino somalo e Oceano Indiano sicuramente ricordano bene il caso del mercantile italiano Montecristo. Proprio su questo episodio si innesta il piacevole romanzo scritto da Cristina Piga (1), ambientato nella Roma dei nostri giorni (nel noto quartiere Prati), che ci riporta indietro nella storia recente trattando un fenomeno che a tutt’oggi risulta di estrema attualità (2). Avvenimenti ben presenti nella memoria della intera comunità marittima nazionale oltre che della Marina Militare. Un romanzo, tra l’altro, recentemente presentato a Roma, alla presenza dell’autrice, dalla Dottoressa Melita Cavallo, già presidente del Tribunale dei Minori di Roma e dal Direttore Generale di Confitarma, Dottor Luca Sisto. La presentazione si è conclusa con un intervento del Presidente Gianni Letta. L’antefatto. Siamo negli anni di maggior recrudescenza del fenomeno, quando gli attacchi dei pirati in East Africa si stavano manifestando con una particolare concentrazione anche sui mercantili italiani. Infatti, nell’estate/autunno del 2011 ben tre erano le navi italiane sequestrate dai pirati somali, non ancora liberate e in attesta di un riscatto. L’attenzione dei media e dell’intera comunità marinara italiana in quel periodo era ai massimi livelli. Il 10 ottobre del 2011, alle ore 06:45B, la M/N Montecristo, una Bulk Carrier del Gruppo d’Alesio di Livorno, a circa 700 miglia a Est della Somalia, dopo aver lasciato il Golfo di Aden — dove era stata scortata come previsto da due Unità

della Marina giapponese — veniva avvicinata da alcuni skiff e quindi abbordata da pirati somali armati di RPG. Varata il 10 giugno dello stesso anno e quindi costruita con i più recenti standard per resistere ai ripetuti attacchi dei pirati, il mercantile era partito dal porto di Liverpool il 20 settembre ed era diretto in Vietnam con un carico di materiale ferroso. Pur con tutte le misure di difesa passiva implementate — previste dalle Best Magement Pratices (BMP) già allora in vigore — nonché la presenza a bordo di un Security Team composto da personale italiano «NON ARMATO», 11 pirati (in seguito viene accertata la presenza tra questi di alcuni minori) riuscivano a prendere il controllo della nave (3). Gran parte dell’equipaggio — complessivamente costituito da tre italiani (il Comandante, il 3o Ufficiale di coperta e un Allievo di coperta), sei ucraini e dieci indiani — si rifugiava nella «cittadella», a eccezione del personale di plancia (Comandante e 3o Ufficiale di coperta) e dei quattro operatori del team di sicurezza privata. In seguito all’allarme lanciato dal Comandante della Montecristo, immediatamente ricevuto sui previsti canali attivati dalla comunità internazionale, la Task Force 508 della NATO, sotto il comando del Contrammiraglio Gualtiero Mattesi (4) imbarcato sul DDGH Andrea Doria e impegnato nell’Operazione Nato Ocean Shield, immediatamente disponeva l’invio in prossimità del mercantile di un velivolo da pattugliamento marittimo US e di due unità del Task Group navale: la USS De Wart e la RFA Fort Victoria (UK). Grazie all’iniziativa dell’equipaggio che, dalla cittadella, variava la rotta del mercantile, nonché alle informazioni contenute in un messaggio in bottiglia lanciato in mare dagli stessi marinai della nave (5), dopo poco più di 30 ore dall’attacco, i pirati, a seguito dell’intervento di un team dei Royal Marines, che, a bordo di alcuni fast-boat lanciati dalla Fort Victoria, avevano raggiunto l’Unità, si arrendevano. La tempestività degli ordini impartiti dall’Ammiraglio Comandante italiano della TF NATO e poi l’azione del team dei Royal Marines hanno consentito di fatto, la liberazione del mercantile italiano. Successivamente, gli undici pirati venivano trasferiti a bordo di Nave Andrea Doria e, dopo un considerevole periodo di perma-

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MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

NEL PROSSIMO NUMERO FOCUS SULLA CINA

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MAGGIO 2019 - Anno CLII

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MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €

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PRIMO PIANO

La sicurezza dell’alto mare, ruolo primario della nostra Marina Fabio Caffio 5


GIRO DEL MONDO La campagna addestrativa 1979-1980

R IVISTA M ARITTIMA


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