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Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo
La fregata MARGOTTINI impegnata nella campagna navale in Medio Oriente
e Mar Arabico (MOMA 19), finalizzata ad assicurare presenza, sorveglianza marittima e rafforzare la cooperazione con nazioni alleate e amiche anche nell’ottica di supporto al sistema Paese, avviando e consolidando relazioni con nuovi potenziali partner.
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Gino Lanzara
Capitano di fregata (CM); laureato in Management e Comunicazione d’impresa e anche in Scienze diplomatiche e strategiche. Analista e studioso di geopolitica e di sicurezza, collabora in materia con diverse testate. Ha pubblicato il saggio Guerra economica: quando l’economia diventa un’arma.
Secondo André Maurois (1) «La diplomazia è l’arte di esporre l’ostilità con cortesia, l’indifferenza con interesse e l’amicizia con prudenza»,una summa apprezzabile fin dalle prime tavole di 300, magistralmente disegnate da Frank Miller, impegnato nella rappresentazione dei (brevissimi) negoziati tra i messi imperiali persiani e Leonida e i suoi Spartani. Una τέχνη complessa, intrisa di politica e di una storia che non è mera elencazione, ma analisi approfondita di fatti sociali e bellici e che raggiunge considerevole vetta nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, quando il servizio diplomatico assurge a piena dignità professionale con specifiche norme e prescrizioni, che affondano le loro radici nell’infinita e variegata complessità del mondo classico. Dal VI sec. a.C. gli Elleni, istituzionalizzando la prassi di scegliere i loro legati tra oratori e uomini di legge, fanno comprendere l’importanza di poter disporre di soggetti capaci di instaurare relazioni proficue con le altrui e paritetiche autorità: dal diritto privato si sviluppa il principio di immunità che, sia pur non codificato esplicitamente, diviene prima regola e poi prassi consolidata insieme con il principio di reciprocità. Dando credito alle intuizioni di Machiavelli e Guicciardini, tra le pieghe della storia delle relazioni politiche, si teorizza la liceità, per un diplomatico, di operare anche con l’inganno, poiché se è vero che egli non è propriamente al di sopra della legge, è tuttavia soggetto a un corpus regolamentare diverso, poiché sottoposto, nel corso del suo mandato, alla giurisdizione del signore di cui è riconosciuto rappresentante. L’operato dei messi è dunque in simbiosi con la volontà del principe: la ragion di Stato oltrepassa
la morale individuale. È con Bisanzio che si comprendono l’utilità delle ambasciate e la rilevanza degli inviati, cui demandare sia l’onere di rappresentare e difendere gli interessi dello Stato rappresentato, sia di inviare relazioni dettagliate circa la situazione dei paesi stranieri di residenza. Si delinea, con sempre maggior precisione, la poliedrica e complessa figura dell’inviato: retore, osservatore arguto, politico fine e dotato di visione ad ampio spettro, tutte doti peraltro riscontrabili in uno dei corpi diplomatici più antichi, quello pontificio, forte del potere primaziale concesso, a suo tempo, dalle autorità imperiali. È l’Italia rinascimentale della seconda metà del 1400 che, oltre a essere madre e progenitrice di arte e cultura europee, diviene artefice dell’istituto giuridico diplomatico, destinato a segnare la vita politica mondiale in fieri. La diplomazia all’italiana si avvale dell’autorevolezza di personaggi di rara eccezionalità, come Dante, Petrarca, Boccaccio e, successivamente, Machiavelli e Guicciardini (2), tutti addentro al coevo contesto storico e politico. Il modello italiano (3) si estende al resto d’Europa e, con il passare del tempo, per naturale evoluzione del concetto degli Stati nazione, viene indirizzato alla cura esclusiva degli interessi del singolo paese, interessi ormai prevalenti rispetto ad un’attività diplomatica in via primigenia plasmata dall’arbitrio del Principe, volgendosi a perseguire un obiettivo rimasto immutato nei secoli: l’equilibrio di potere. L’arte rinascimentale della dissimulazione, lascia il posto a sistemi di comunicazione formali, reciprocamente accettati. È nel 1625 che Ugo Grozio (4), pubblicando il suo De jure belli ac pacis, ritenendo che tutti gli aspetti delle relazioni tra paesi dovessero soggiacere a una legge sovraordinata, comincia a dare forma più compiuta al diritto internazionale (5). Nel pensiero di Grozio, pur permanendo il concetto di guerra giusta, ovvero finalizzata alla realizzazione di un giusto diritto, si affaccia la necessità di regolamentarne le procedure, unitamente al bisogno di improntare un sistema valido e orientato alla pacifica definizione delle controversie (6). Nel 1648 la Pace di Westfalia, con l’affermazione del principio del cuius regio eius religio, segnando la dissoluzione del predominio di Papato e Impero, strutturandola su una base paritetica, fa sorgere la moderna società internazionale, caratterizzata dall’intensificazione dei rapporti tra Stati con la diffusione del reciproco stabilirsi di missioni diplomatiche permanenti. La storia è stata dunque sempre accompagnata dall’evoluzione politico diplomatica degli eventi, passando per le vicende della Grande Guerra, che inaugurò la diplomacy by conference, volta a eliminare il dogma della segretezza, e duramente criticata non senza elementi di fondatezza dal diplomatico scozzese Harold Nicolson (7). A questa si aggiunse la vincolante diplomazia multilaterale, peraltro a tutt’oggi ancora invisa alle potenze dominanti, avvinte alpericolosamente prezioso principio del divide et impera, con la fondazione della Società delle Nazioni, seguita dalle NU e dalle altre agenzie a carattere specialistico (8). Successivamente al Secondo conflitto mondiale, la diplomazia multilaterale si è ulteriormente estesa grazie al ruolo rivestito da organizzazioni, regionali o internazionali, come la NATO, l’AIEA, l’FMI (9), la WTO: alla diplomazia classica si affianca la cooperazione economica bilaterale e multilaterale con i suoi crediti agevolati volti a promuovere ricostruzione e sviluppo. Hans Morgenthau (10), tra le macerie ancora fumanti della Seconda guerra mondiale, nel 1948 pubblica Politica tra le nazioni e riassume i nuovi e moderni princìpi cui fa appellare la diplomazia al fine
«Nel 1648 la Pace di Westfalia, (...) segnando la dissoluzione del predominio di Papato e Impero, (...) fa sorgere la moderna società internazionale, caratterizzata dall’intensificazione dei rapporti tra Stati con la diffusione del reciproco stabilirsi di missioni diplomatiche permanenti» (Nell’immagine:
il momento della ratifica, Gerard Terborch 1648 - wikipedia.it).
«(...) successivamente al Secondo conflitto mondiale, la diplomazia multilaterale si è ulteriormente estesa grazie al ruolo rivestito da organizzazioni, regionali o internazionali, come l’FMI, l’AIEA, la WTO e la NATO»
(nelle immagini, da sinistra, i loghi delle organizzazioni citate).
di evitare ulteriori conflitti: in primis la liberazione dallo spirito di crociata con un’osservazione consapevole delle situazioni da molteplici punti di vista, e con Forze armate non più dominaeabsolutae delle relazioni internazionali ma strumento a supporto della politica estera. Tutti propositi che, alla luce delle dinamiche onusiane, portano a valutare gli squilibri manifestatisi nel tempo come giustificazioni per dei paradossi che Giovanni Giolitti avrebbe stigmatizzato affermando che«per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano». La diplomazia può dunque essere letta come mezzo cooperativo per alleati e avversari per risolvere i conflitti senza l’uso della forza, assecondando una visione più ampia che la colloca al centro stesso delle relazioni internazionali in associazione con potenza economica o militare per consentire a un attore internazionale di raggiungere i propri obiettivi politici. Cos’è dunque la politica estera se non azione strategica dello Stato nella sua dimensione internazionale, in connessione con la geopolitica, che è studio delle relazioni esistenti tra l’azione del potere politico sviluppate nella dimensione internazionale unitamente al contesto geografico entro cui prendono forma, e la politica internazionale? Le relazioni internazionali esistono dal momento della certificata esistenza di unità politiche indipendenti, così coese da riuscire a discernere tra dinamiche interne e dinamiche che ciascuna intrattiene vicendevolmente con le altre paritetiche unità; le relazioni internazionali pertanto non possono sussistere in tutti quegli ambiti storici carenti sia in quanto a distinzione tra interno ed esterno, sia per effetto di confini imprecisi sia per l’esistenza di vincoli connessi a fedeltà multiple come nel Medioevo europeo. Le relazioni internazionali, in quanto a teoria, sono disciplina recente, nata in Galles nel 1919 nel segno della corrente idealista, con l’istituzione della prima cattedra di International Politics, affidata ad Alfred Zimmern (11) che la intitola al presidente Wilson (12) e poco dopo migrata negli Stati Uniti in un contesto connotato da una transizione egemonica che ha segnato politica, economia, ideologie, Forze armate, con una caratterizzazione che ha inciso sia sulla qualità del vaglio concernente gli eventi da considerare, sia per quanto riguarda l’evo storico. Al di là della restrizione di orizzonte nello studio delle relazioni internazionali, che ha determinato una distorsione tale da indurre a valutare per normale ciò che resta un’eccezione, rimane il fatto che il punto di focalizzazione di tutti i maggiori dibattiti teorici e metodologici sono gli Stati Uniti, con il loro complesso di università, centri studio, riviste scientifiche. Pur in presenza di riflessioni più o meno autonome, perché queste potessero essere considerate parte integrante del corpo disciplinare delle relazioni internazionali, hanno dovuto subire un accurato processo selettivo che ne ha recepite alcune al prezzo della rimozione di altre. Non c’è dunque dubbio che, come disciplina accademica, le relazioni internazionali siano rimaste in nuce una scienza americana che conserva la centralità dei temi posti da opinione pubblica, policy makers e comunità
scientifica degli Stati Uniti e che offre spunti consistenti alle teorie istituzionalistiche anziché concentrarsi sulle istituzioni di lungo periodo quali la diplomazia, tralasciando questioni fondamentali come la fine della centralità europea e la conseguente dissoluzione della sua architettura politica. Finisce un’epoca, forse mai sorta, dalle cui ceneri prende il volo il realismo (13) che, eleggendo multipolarismo e bipolarismo (14), mette a nudo il fallimento delle utopie idealiste e l’impossibilità di mutare la natura della politica internazionale, affidando di nuovo alla guerra e alla sua minaccia il compito di garantire la pace presupponendo l’inutilità di perseguire quest’ultima a ogni costo, contrapponendo all’aggressione certa una più vantaggiosa guerra preventiva. La crudezza oggettiva e veritiera del realismo, ancora vivo e pregnante, non viene scalfita dai cicli storici che propongono l’insorgenza del neomarxismo, con il riorientamento delle dinamiche globali dall’asse Est/Ovest all’asse Nord/Sud, e l’evoluzione della capitalistica economia-mondo che porta sugli scudi sia il Dragone cinese sia il fallimento ideologico di Karl Marx; dell’istituzionalismo liberale, ugualmente avvinto all’aspetto economico capitalista; del costruttivismo che impone la comprensione delle istituzioni superando solo ipoteticamente la dimensione statocentrica. Nulla di strano, dunque, nel constatare come la teoria delle relazioni internazionali si sia sistematicamente rivolta alla questione della Guerra Fredda, figlia della seconda metà del ‘900, omettendo il legame tra il XX e i secoli precedenti, e smarrendo la consapevolezza che la politica internazionale analizzata altro non è che un modello determinato in via storica e geografica, privo di assolutezza concettuale. Questo conduce a considerare che globalizzazione e politica interstatale sono il risultato di un processo storico recente e dunque di per sé prive di validità universale, in ragione del fatto che ancora e solo gli Stati rimangono i detentori sovrani della facoltà di esercizio legittimo della violenza. Mentre per Raymond Aron (15) le relazioni internazionali hanno a che vedere con «lo studio della guerra e della pace, nonché di tutto ciò che esiste lungo il continuum che corre fra questi due elementi estremi»(16), per Stanley Hoffmann (17) «se la scienza politica è la scienza del potere, le relazioni internazionali sono la scienza dell’assenza di potere o della molteplicità dei poteri»(18) che implicano la compresenza di diverse condizioni, ovvero l’esistenza di attori, l’identificazione di un assetto che distribuisca gli attori stessi nello spazio, un sistema di interazione tra soggetti nell’ambito di un contesto che consideri la polarità del sistema politico definendone l’intrinseco carattere anarchico che individua la dimensione della sovranità, definendo gli Stati quali unici detentori di legittimità politica e che si richiama alla filosofia di Hobbes (19), Grozio, Kant (20); Stati che soggiacciono a precisi elementi che portano a indirizzare i coefficienti di volitività verso popolazione, posizione strategica, risorse economiche, volontà di potenza. Sotto quest’ottica, sempre considerando quale possa essere o diventare il campo d’azione della diplomazia, il sistema internazionale deve essere contemplato dove poter individuare gli elementi fondanti di una politica di potenza esercitata da attori indipendenti animati dal principio del superiorem non recognoscens. È diplomaticamente un gioco di equilibrio, che vede egemonia e stabilità sistemica dipendenti dalla concentrazione di potenza, con una distribuzione spesso diseguale, ma comunque ottimale; se le teorie del bilanciamento e teorie egemoniche inquadrano l’ordine quale elemento di attenuazione ancorché temporanea delle condizioni di anarchia. Ciò che è interessante tuttavia, è la visione incombente della guerra, che può figurare persino sia come il contrario del disordine secondo il principio della guerre en forme in linea con l’accezione conferita dal giurista Vattel (21), sia in quanto chiamata a interpretare un ruolo basilare nel mantenimento stesso dell’ordine internazionale. La stabilità dell’ordine dipende da quantità e natura delle risorse possedute, dalla configurazione del sistema, dal tipo di egemonia, dalla leadership economica, dall’esercizio della supremazia militare con il potere marittimo sotto l’ottica suggerita dalla direzione egemonica, culturale e morale teorizzata da Antonio Gramsci (22). La differenziazione tra politica interna ed esterna individua dunque lo stigma del sistema politico internazionale moderno, ovvero l’inesistenza di un governo mondiale, condizione che, costringendo ogni soggetto ad avere cura di sé stesso, ricade nell’accezione dell’anarchia internazionale, con
L’ammiraglio statunitense Alfred T. Mahan. Le sue idee sul potere marittimo hanno influenzato il pensiero navale nel mondo, e Julian Corbett, importante storico e geostragista britannico (usni.org). Accanto: l’accademico statunitense dell’Università di Princeton, Robert Keohane (Chatham House).
il sostantivo anarchia che non riveste il significato comune e corrente. Quale contraddittorio storico concettuale, anticipando le tematiche che tratteremo, cominciando a saggiare le profondità oceaniche, nel XIX secolo di Mahan e Corbett, la multipolarità affaristica globale e l’ordine mondiale non erano poi così anarchici, ma associati alla presenza di un potere dominante, quello Britannico, supportato dalla potenza della Royal Navy; Robert Keohane (23), in questo senso, ha parlato di stabilità egemonica per descrivere la situazione in cui una pace più ampia è il risultato di diplomazia, coercizione e persuasione da parte della potenza leader. Pur nella considerazione che il sistema politico internazionale è privo di governo, non può tuttavia dirsi che lo stesso sia per questo disordinato; ciò che è dunque difficile comprendere nelle relazioni internazionali, consiste nel porre a sistema come in un sistema anarchico si possa giungere all’ordine. Del resto va rammentato che, sebbene la cultura contemporanea sia adusa ad associare una complessa connotazione concreta e sostanziale all’anarchia, è tuttavia opportuno rammentare che la stessa è stata a lungo simbolo del pluralismo e delle libertà occidentali, in opposizione al dispotismo asiatico. Il rischio, come dimostrato dalla storia, è che i freni sociali, culturali, istituzionali, relazionali, potendo cessare dall’operare, indirizzino l’anarchia verso la condizione afferente al dilemma della sicurezza,che induce ad accumuli incontrollati di potenza secondo un movimento a spirale legittimato dalla mancanza di un’entità internazionale che controlli l’uso della forza da parte dei singoli Stati. È qui che, ancora realisticamente, si inserisce la tematica dell’equilibrio di potenza, uno dei teoremi più delicati delle relazioni internazionali, dove ci si riferi-
sce a una situazione nella quale nessun attore anche solo grazie ad alleanze, può ambire al dominio sugli altri soggetti. È del resto evidente che in politica internazionale esistono leggi immutabili che si rifanno comunque all’idea di Stato, di sicurezza contrapposta all’anarchia, fattori che portano immancabilmente a un lavorio diplomatico che segue sia il principio del selfhelp, che conduce a schierarsi con il più debole contro il più forte, sia la teoria del domino (24), secondo la quale anche un piccolo spostamento nella distribuzione di potenza, o della minaccia, scatena cambiamenti dello stesso segno. Quasi superfluo rammentare che la distribuzione di potenza è rimasta sottesa a logiche concrete e non a preferenze meramente ideologiche, dato che le alleanze di equilibrio non sono mai state pro ma sempre contra aliquem, in relazione alla potenza in quel momento disponibile. Se per Cobden (25) l’equilibrio è pura illusione, Ikenberry (26) individua tre possibili tipi di ordine, quello spontaneo dell’equilibrio, quello costituzionale negoziato, quello egemonico e imposto
dalla grande potenza o con il dominio o con la leadership. Sotto questa prospettiva, la politica internazionale è raffigurabile come una successione di ordini imposti dall’egemone di turno, ragion per cui l’evoluzione sistemica è stata caratterizzata dall’emersione di Stati che hanno governato stabilendo i modelli delle interazioni e le regole del sistema attraverso guerre di ampia portata. A tal proposito va rimarcato che nessuna teoria considera sic et simpliciter la forza bellica quale fonte sufficiente di egemonia, per sua natura temporanea, ma quasi tutte evidenziano la necessità di una supremazia militare. Egemonia è dunque la capacità proiettiva globale di forza militare tale da consentire la conquista di una posizione economica dominante, sia grazie all’hard power sia all’attraente e seduttivo soft power. Non a caso una rilevanza cruciale è rivestita dal potere marittimo, del cui fascino fu interprete anche l’ammiraglio A. von Tirpitz, Segretario di Stato dell’Ufficio della Marina Imperiale tedesca, che permette all’egemone di creare un sistema di transazioni commerciali a vasto raggio traendone profitto. Di rilievo l’osservazione che Keohane muove circa il fatto per cui l’egemonia facilita la cooperazione mentre il declino la complica, benché l’egemonia stessa non sia condizione indispensabile per ottenerla. Nel contesto delle relazioni internazionali, ci piace rammentare due figure di altissimo spessore politico-diplomatico: Metternich (27) e Kissinger (28), comparando, noblesse oblige, quanto traspare da Diplomazia della Restaurazione (29) riferita al Principe Klemens e da Gli anni della Casa Bianca fino a L’Arte della diplomazia del segretario di Stato statunitense. L’accostamento austro-statunitense fa emergere un approccio realista da parte di
entrambi che culmina con la strategia della diplomazia triangolare, riscontrabile in Metternich nella trattazione della questione sassone emersa durante il Congresso di Vienna, con il triangolo formato da Austria, Prussia e Francia e, per quanto concerne Kissinger, per il rapporto tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina, elemento fondante della détente russo-americana. Sia Metternich sia Kissinger inclusero alleati inattesi: Francia e Cina. Con i transalpini, il Principe aveva scongiurato il rischio di un compromesso geopolitico aprendo una nuova fase verso lo Stato che pure aveva sovvertito l’ordine europeo, usando Parigi quale elemento di disturbo volto a contenere gli ingombranti interessi prussiani. La mossa austriaca, segnando il ritorno francese sulla scena dell’equilibrio europeo, consentì a Vienna L’ammiraglio tedesco e segretario di Stato per il ministero della Marina di porsi al centro di un sistema utile per consentire la imperiale A. von Tirpitz (wikipedia.it). Nella pagina accanto: il matematico legittimazione politica franco-prussiana; Kissinger, da ed economista statunitense, John F. Nash (britannica.com). parte sua, sfruttò l’inattesa frattura sino-sovietica per imprimere una svolta al sistema bipolare, includendo nella propria orbita un paese ritenuto ostile. Gli Stati Uniti divennero il fulcro di un sistema attorno al quale far ruotare Unione Sovietica e Cina, e dove i due exalleati competevano per ottenere l’assenso del maggior rappresentante del capitalismo. Sia Metternich sia Kissinger furono al governo in un momento in cui la coesione interna era indebolita da una congiuntura critica caratterizzata da un mondo in trasformazione in cui recuperare il senso di sicurezza smarrito. Capacità di connessione logica, abilità nel tessere la rete diplomatica, perseguimento dell’interesse nazionale, flessibilità strategica fanno rientrare i due consiglieri in un ambito realista attento alla geopolitica e all’analisi dei rapporti di forza. Nel riconoscere quali caratteristiche comuni la prudenza rispetto all’uso della forza e il ricorso al negoziato anche per via non convenzionale quale quella offerta dalla diplomazia segreta, si deve ammettere che sia l’austriaco che l’americano hanno saputo farsi trovare pronti al mutare delle circostanze adattandovi una strategia di successo, accantonando le crociate ideologiche pur di raggiungere il proprio obiettivo. Quanto si sarebbero divertiti i professori von Neumann (30), Morgenstern (31) e Nash (32)? Molto, tra geni c’è un’ironica e inestinguibile affinità elettiva. Nella Teoria dei Giochi anche a loro attribuibile, la liaison tra
competizione e collaborazione avrebbe trovato, tra il 1815 e gli anni Settantadel XX secolo,spunti interessanti.Ieri come oggi, sarebbe esistita la possibilità di prevedere ragionevolmente le mosse della controparte così come concettualizzato dal professor Bueno de Mesquita (33)? Quali strategie avrebbero condotto al massimo beneficio? Cosa avrebbe potuto dare di più la scienza che analizza situazioni di interessi contrastanti per verificare, attraverso modelli matematici, soluzioni competitive o cooperative, simmetriche o asimmetriche, dinamiche o sequenziali? Diplomaticamente parlando, si sarebbe ottenuto di più collaborando o competendo su una base rigorosamente razionale con la controparte? Non è un caso se alla Teoria dei Giochi è stata ispirata la c.d. MAD (34), la dottrina che ha presieduto all’intero periodo della Guerra Fredda. Dire che la diplomazia sia un gioco appare azzardato, ma non v’è dubbio che essa si fondi su una raffinata razionalità massimizzante i vantaggi, dunque quanto mai vicina all’equilibrio di Nash (35) e comunque a un pensiero che non trascura i giochi cooperativi, molto più frequenti dei competitivi, dove invale il principio del the winner takes it all; giochi cooperativi dove secondo il prodotto di Nash esiste un’unica soluzione volta a produrre la massimizzazione dei vantaggi per entrambi. Vista la costante interpolazione tra le attività diplomatiche e quelle belliche, è possibile affermare l’esistenza di una concreta diplomazia militare? In fondo, l’idea stessa della mediazione, accostata all’esercizio ancorché legittimo della forza, sembra creare un ossimoro. Non è così, la risposta è molto più complessa, e passa attraverso l’excursus che contempla l’evoluzione del rapporto tra politica estera, uso della forza e natura dei nuovi conflitti che non possono prescindere dalla con-
«(...) La vicinanza tra le nostre navi e le vostre (...), per le ragioni che può immaginare è estremamente pericolosa, molte guerre sono cominciate così, caro signor ambasciatore; la citazione, tratta dal film Caccia a Ottobre Rosso, sintetizza i rischi della diplomazia delle cannoniere».Sotto, un
sommergibile sovietico della classe «Typhoon» (ilsole24ore.com).
nessione tra aspetti operativi e quadro giuridico e mediatico. Come è rimasto deluso chi si attendeva il diplomatico tratteggiato in redingote, così rimarrà scontento chi ancora immaginava il militare in mimetica avulso dal contesto in cui è immerso. Accanto allo spettro comportamentale individuato da Joseph Nye, associato al concetto accettato di àmbito del conflitto, c’è un altro spettro corrispondente entro il quale la forza militare può essere utilizzata per sostenere obiettivi politici; è di ciò che Robert J. Art (36) coglie l’essenza affermando che il potere militare può essere esercitato non solo con la forza ma anche pacificamente. Non è più una novità che il perseguimento degli obiettivi di politica estera possa essere conseguito anche grazie all’impiego di assetti militari, specialmente dalla fine della Guerra Fredda, con la comparsa di attori non più vincolati al confronto bipolare, in sinergia con il c.d. sistema paese, e con gli altri elementi commerciali, politici, economici; una netta controtendenza storica rispetto alla diplomazia delle cannoniere del XIX secolo (37), strumento intimidatorio utilizzato per stringere accordi grazie alla dimostrazione della propria superiorità militare (38), cui ora si oppone il concetto dello human terrain system che richiede il dispiegamento sul terreno di sociologi e antropologi. Tanto per rimanere sul cinematografico, vale la pena rammentare che «(…) La prudenza (…) impone di schierare le nostre navi per osservare le vostre. Il suo governo farebbe bene a considerare che tale vicinanza tra le nostre navi e le vostre, tra la vostra flotta aerea e la nostra, per leragioni che può immaginare è estremamente pericolosa, molte guerre sono cominciate così, caro signor ambasciatore»;la citazione, tratta dal film Caccia a Ottobre Rosso, sintetizza i rischi della diplomazia delle cannoniere.Sebbene non costituisca la ragion d’essere
delle Marine, la diplomazia navale ha un ruolo duraturo da interpretare nell’àmbito dell’esercizio del potere marittimo; a partire dalla coercizione esercitata dalla flotta ateniese di epoca tucididea fino alla stabilità egemonica fornita dalla Royal Navy del XIX secolo, le grandi potenze hanno utilizzato le Forze navali per governare il mondo secondo la loro visione, seguite a ruota dalle potenze emergenti. Che comunque per alcuni le flotte siano tornate sul proscenio, o che vi siano saldamente rimaste per altri, è indiscutibile, come è evidente che i Gruppi navali siano ancora funzionali all’esercizio di pressioni diplomatiche, per esempio da parte americana, ma anche russa, cinese e turca, cosa che impone un’osservazione: se i talassocrati rimangono padroni delle onde, gli altri aspiranti, nuovi o decaduti, hanno perfettamente inteso la necessità, per la loro politica di potenza, di gettare le basi di a classic coercive diplomatic measure. Del resto diplomazia navale, da intendersi come una forma di più ampio sforzo politico e dunque mezzo di comunicazione nei rapporti di potere, per la sua estensione concettuale non è termine agevolmente intuibile. Il ruolo diplomatico del potere marittimo ha sempre rivestito una particolare rilevanza, ed è di esclusivo appannaggio navale dato che non ha eguali negli altri domini. Va tuttavia anche detto che Mahan e Corbett, così ben addentro agli aspetti preparatori e di condotta della guerra in mare, non molto offrono come approfondimento diplomatico, benché non si possa disconoscere da parte di Mahan l’importanza attribuita alle Marine in tempo di pace e al fatto che il requisito strategico navale differisca da quello terrestre poiché sempre necessario e onnipresente. Se è vero che Mahan non utilizza il termine diplomazia, è però vero che l’Ammiraglio centra due grandi temi, ovvero quelli inerenti all’hard e al soft power, per cui le Marine vengono viste sia come strumenti coercitivi che come agenti sostenitori della reputazione nazionale; il fattore connesso al prestigio
può essere attualmente paragonabile al potere di attrazione di Joseph Nye (39), il principale teorizzatore del pensiero sul softpower nella politica internazionale contemporanea, cui si sono aggiunti professionisti navali e accademici come Mike Mullen (40) e Geoffrey Till (41), che hanno esaminato le precedenti teorie attraverso una lente postmoderna. I principi diplomatici sottesi da Mahan risiedevano in prevenzione e deterrenza. Si è dovuti giungere all’era contrassegnata dalla Guerra Fredda per cominciare a definire una forma di diplomazia navale quale oggetto di studio a sé stante, ma comunque condizionato dalla situazione geopolitica contingente con gli approfondimenti di sir James Cable (42) e Ken Booth (43), a cui si deve il riconoscimento delle difficoltà operative e Edward Luttwak (44) con la sua suasion (45) in Occidente e Sergej Georgievič Gorshkov (46) in Russia. Di Corbett, cui associamo il meno noto ma non meno importante sir Herbert Richmond (47), in tema di diplomazia, si possono comunque astrarre i principi di blocco navale e commerciale e di fleet in being inquadrabili in un contesto coercitivo. Attualmente le flotte occidentali controllano ancora gli oceani, vista anche la penuria di potenze regionali in grado di contenL’ammiraglio e politico sovietico Georgievič dere l’estensione marina; la loro Gorshkov, Comandante in capo della Marina sovietica per quasi trent’anni (wikipedia.it/mil.ru). posizione preminente si è accompagnata tuttavia a una diversificazione del ruolo in funzione delle operazioni assegnate, non più ristrette al combattimento, anche in considerazione della volitività delle potenze orientali e delle loro strategie. È possibile affermare che la diplomazia navale ha continuato a esistere durante le due guerre mondiali, ma non c’è dubbio che abbia risentito del clima politico post ’45, che ha posto limiti più vincolanti all’uso della forza, quando il focus strategico si è indirizzato alla deterrenza nucleare. Di rilievo Navies and Foreign Policy di Ken Booth, che ha introdotto una sorta di trinità delle funzioni navali, concetto che suggerisce i ruoli principali delle forze marittime: militare, di polizia e
diplomatico che contempla una gestione della politica estera senza per questo dover ricorrere all’impiego della forza. Booth asserisce che gli obiettivi politici di uno Stato trovano realizzazione attraverso tre mezzi sussidiari: negoziazione attraverso la forza, negoziazione pura, prestigio, da cui trarre l’utilità funzionale delle Marine grazie a sette caratteristiche chiave delle unità navali quali strumenti diplomatici: versatilità, controllabilità, mobilità, capacità di proiezione, potenziale di accesso, simbolismo, e resistenza. Traslando queste caratteristiche e applicandole all’ambito operativo, Booth ha teorizzato specifici principi fondamentali suddivisi in due gruppi: il primo, battezzato politica del potere navale, comprende dimostrazioni permanenti di potenza navale e specifici schieramenti operativi; il secondo, denominato politica di influenza navale, consiste in aiuti navali, visite operative specificamente finalizzate. La diplomazia navale, anche sotto forma di diplomazia di difesa, tuttavia, non ha trovato teorizzazione solo in Occidente, ma anche a Est, grazie all’ammiraglio sovietico Sergey Gorshkov, artefice della flotta (48) del Cremlino durante la Guerra Fredda, e autore di The Sea Power of the State del 1979. Gorshkov, studioso di storia navale, attento osservatore dell’Occidente, e convinto assertore dell’idea per cui la crescita navale post bellica fosse stata gestita quale risposta ai progressi navali americani e non quale semplice promozione della politica estera sovietica, ha utilizzato esempi dell’impiego diplomatico delle Marine antagoniste dell’Ovest per persuadere la leadership sovietica, focalizzata sulle forze di terra, dell’indispensabile utilità di un potere marittimo da volgere verso le distese aperte, lontano dalle coste, con una Marina utile anche in operazioni diverse dalla guerra. Gorshkov, non a torto, vedeva la NATO come «un’alleanza di Stati marittimi», caratterizzata dalla capacità statunitense di raggiungere una posizione preminente grazie alla collaborazione con la Gran
Bretagna, che non aveva concesso tale posizione alla Germania neanche con lo scontro diretto, grazie a potenti forze navali in grado di occupare posizioni oceaniche strategiche, mercé forze mobili, persistenti, indipendenti, schierabili e ritirabili a seconda di momento e necessità. Le Guerre locali dell’imperialismo di Gorshkov, definizione politicamente potente, può essere equiparata a quella dell’uso limitato di mezzi navali della Gunboat Diplomacy di Cable, non solo dal punto di vista coercitivo, ma anche del controllo esercitabile sugli alleati nella gestione delle relazioni di potere. Il 1990, quale termine finale della Guerra Fredda, ha caratterizzato il momento geopolitico con elementi connotati da trasformazione e incertezza; se la diplomazia navale della Guerra Fredda era stata inquadrata come strumento di equilibrio bipolare, la sua nuova versione non fu così marcata. In merito alla diplomazia coercitiva, Peter Viggo Jakobsen (49) ha affermato che la teoria poteva essere considerata ancora valida ma comunque bisognosa di un affinamento. Le osservazioni, tuttavia, non hanno sopito il dibattito, anzi lo hanno ravvivato aprendolo a nuove e dinamiche concettualizzazioni: oltre alla costante presenza dottrinale dell’US Naval War College, si «Navies and Foreign Policy di Ken Booth, libro che ha è affiancata anche la Royal Navy introdotto una sorta di trinità delle funzioni navali militare, di polizia e diplomatico». (...): che, negli anni Novanta, ha pubblicato per la prima volta le sue linee dottrinali con il formale riconoscimento della diplomazia navale, pur se sofferente per una troppo marcata focalizzazione occidentale: il post Guerra Fredda non ha riservato particolari attenzioni alle flotte in ascesa, ora però più che mai oggetto di studio ed espressione di rinnovata vitalità diplomatica. Malcolm Murfett (50), non a caso giunge alla conclusione che la diplomazia navale ha e avrà ancora rilevanza nella modernità perché utilizzabile in un’ampia varietà di occasioni al fine di ottenere risultati tangibili, così come dimostrato con le operazioni fuori area compiute negli ultimi anni dalla Marina cinese. Queste considerazioni riportano al-
l’aspetto coercitivo, coinvolgente minaccia ed effettivo uso della forza, e inducono a chiedersi se, in mare, possono davvero realizzarsi alleanze e coalizioni. Possiamo comunque affermare, fin d’ora, che la diplomazia navale non è semplice filiazione della diplomazia coercitiva, visto che esistono numerose iniziative di soft power che rientrano nel novero tematico di ciò che effettivamente fanno le Marine piuttosto che ciò per cui si addestrano, aspetto rilevante dato che dopo la fine della Guerra Fredda il ruolo puramente bellico delle Marine postmoderne occidentali è diminuito e solo ora, con l’insorgenza cinese, potrebbe tornare in auge. Ciò non toglie che le Marine, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, siano sempre state strumenti strategici e politici dello Stato oltre che combat-
tenti, e di questo è possibile trovare riscontro nelle parole di Oliver Cromwell che dichiarò che «a man o’ war is the best Ambassador!», affermazione che trova la giusta equivalenza nel XXI secolo con l’US Navy raffigurata come una portaerei con le sue «90.000 tonnellate di diplomazia». Non tutta l’attività diplomatica svolta, in e dal mare, è opera di cannoniere, come non tutta l’attività diplomatica svolta, in e dal mare, è coercitiva: cooperazione, collaborazione e assistenza reciproca sono elementi comuni nell’odierno mondo globalizzato. Ma è diplomazia navale o marittima? Se la diplomazia navale contemporanea è attualmente poco intellegibile è forse perché è ricompresa in un sottoinsieme tematico più esteso caratterizzato dalla percezione del significato attribuito alla diplomazia dalla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, ricadenti nelle consuete comunicazioni da Stato a Stato. Può essere utile mettere in relazione la diplomazia con l’esercizio del potere, in modo da chiarirne ruolo e scopo in accordo con la descrizione che ne fa Joseph Nye, che la definisce come la «capacità di influenzare il comportamento degli altri per ottenere i risultati desiderati» (51), uno strumento che comunicativamente cerca di favorire gli interessi di un attore internazionale, anche magari agevolando l’insorgere di una c.d. diplomazia di nicchia, definizione coniata da Andrew Cooper (52) negli anni Novanta. La citata definizione fa riferimento ad attori in possesso di particolari punti di forza e che sono in grado di farli pesare nei rapporti di potere, ragion per cui la diplomazia non deve essere limitata agli Stati riconosciuti, ma estesa a organismi internazionali e ad amministrazioni di fatto come Hezbollah, Hamas, Daesh (53) che, comunque, controllano un territorio, considerando che la forza militare possa essere ritenuta nicchia sfruttabile per scopi diplomatici Secondo L.W. Martin (54) la qualità essenziale di una Marina militare è la sua capacità di ingaggiare il nemico, anche se per la maggior parte della sua esistenza non è impegnata in combattimento ma ad esercitare un’influenza sugli affari internazionali: in alto mare i beni comuni globali forniscono uno spazio di manovra tradizionalmente indisponibile in altri ambiti. L’impiego di assetti militari per perseguire vantaggi politici al di fuori del contesto bellico rientra dunque in una forma di diplomazia di nicchia da parte dei detentori di capacità adeguate, che troverebbe applicazione sia come hard che come soft power e in questo contesto le Forze navali sono le chiavi inglesi capaci di stringere o allentare a seconda della situazione. Opportuno al proposito fare tesoro di quel che ha scritto Roger W. Barnett (55) nel suo libro Navy Strategic Culture: Why the Navy Thinks Differently (56),quando sottolinea che mentre a terra sono imposti i controlli sui visitatori esterni, e che il sorvolo dei ter-
Simulazione grafica della CVN-78, la superportaerei statunitense USS
GERALD R. FORD, prima di 10 unità previste in costruzione per
l’US Navy (wikipedia.it).
ritori deve essere autorizzato preventivamente, il mare aperto rimane disponibile all’uso collettivo, fattore per cui la natura politicamente non regolata degli oceani rende irripetibile l’ambiente marino, dove tuttavia l’etimologia del termine marittimo, pur compendiando molteplici aspetti del contesto, non si attaglia agli aspetti diplomatici, di più stretta pertinenza navale in quanto riferibile esclusivamente alle flotte; questo induce a ritenere la diplomazia navale sia quale sottoinsieme della diplomazia generale, sia quale mezzo di comunicazione degli Stati marittimi nel perseguimento dell’interesse nazionale, aspetti che consentono quindi di affermare che questa stessa forma di diplomazia si estrinseca nell’utilizzo di asset navali, quali strumenti comunicativi nelle relazioni di potere internazionali atte a favorire gli interessi degli attori coinvolti. Sono stati gli studiosi moderni del post Guerra Fredda e del dopoguerra a estendere il dibattito esaminando il complesso degli effetti del potere hard e soft attraverso coercizione, protezione, persuasione e assistenza, dimostrando che, a prescindere se si tratti di Guerra Fredda classica o post moderna, le strutture della diplomazia navale palesano caratteri costanti. Partendo da Mahan e Corbett è possibile constatare come i primi modelli si basino sulle concezioni realista o liberale, caratteristiche ripetute dagli esegeti della Guerra Fredda, tra cui Sir James Cable e cristallizzate in forma statocentrica. Nonostante l’enfasi globalista, pur riconoscendo l’importanza di diritto internazionale e coalizioni, lo Stato rimane alla base di ogni concettualizzazione (57) visto che, peraltro, ogni modello è basato su una metodologia meccanicistica fondata sui principi di azione e reazione di natura binaria aggressore-vittima, basati su risultati che richiedono l’assunzione di decisioni. In questa prospettiva va ricordato che, secondo Thomas Schelling (58), il successo dipende dall’accuratezza della previsione dei risultati da parte dell’individuo chiamato a tentare la manipolazione del processo cognitivo. In sintesi, i soggetti politici utilizzano la capacità navale inutilizzata delle Marine militari quando non sono in guerra, al fine di influenzare altri attori. Quali sono gli elementi di novità nell’era del post Guerra Fredda, alla luce di globalizzazione e crescente rilevanza degli attori non statali? Flussi commerciali transfrontalieri, natura transnazionale dei processi decisionali, interdipendenza statuale sono tutte problematiche, aumentate dal 1991 con la dissoluzione dell’entità sovietica, che hanno richiesto, nell’ambito di un ordine planetario, soluzioni globali entro cui considerare la capacità delle flotte, visto l’uso sempre più accentuato del mare e delle sue risorse per la promozione dei propri obiettivi (59); puntuale l’osservazione di Simon Serfaty (60) quando ha illustrato la visione di un mondo post-occidentale, in cui non si assiste al declino occidentale, quanto all’ascesa di tutti gli altri soggetti politici. Attualmente la diplomazia navale è svolta principalmente, ma non in via esclusiva (61), dagli Stati, tanto che sembra lecito prevedere un aumento della pressione sul sistema internazionale da gestire non necessariamente con l’uso della forza. Volendo sintetizzare i concetti, è possibile sì ipotizzare uno scostamento poco significativo dei principi della diplomazia navale, ma un suo uso comunque molto più diffuso di quanto non suggerisca in tema la pubblicistica. Posto che esiste sempre un vantaggio da trarre dalla preponderanza navale, c’è da chiedersi se i modelli esistenti siano ancora validi, o se necessitino di una revisione, specialmente quando relazionata alla mutata percezione del pubblico e alla rinnovata complessità degli eventi, spesso non più restringibili in via binaria a solo due attori, come è possibile constatare dalle dinamiche in corso e.g. nel Golfo Persico. Una visione diplomatico-navale più attagliata ai tempi richiede un modello fondativo basato non solo sulla valutazione degli eventi, ma anche sulle teorie comunicative, sulla considerazione della rilevanza dei vari stakeholder, sulla disponibilità e la tipologia dei mezzi impiegabili, sia in termini qualitativi sia quantitativi. Secondo Geoffrey Till, il mondo postmoderno richiede Marine facenti parte di Stati attagliati all’economia dell’informazione piuttosto che a quella di tipo industriale; in un mondo differente da quello disegnato dal bipolarismo, le Marine si indirizzano su quattro missioni chiave: controllo, operazioni expeditionary, ordine marittimo, mantenimento del consenso, con una significativa presenza navale avanzata (62),un punto debole se si considera la dimensione necessaria delle forze associata alle restrizioni di bilancio. Christian Le
«Le potenze sfruttano le Marine attraverso funzioni principali e altre secondarie ma non meno importanti. Fra queste, la partecipazione alle spedizioni tecnico scientifiche». Qui nelle immagini, nave ALLIANCE, unità
polivalente di ricerca della Marina Militare, giunta alla quinta campagna di ricerca in Artico denominata High North (IIM).
Miere (63) ha aggiornato il concetto di diplomazia navale con il suo libro La diplomazia marittima nel XXI secolo, introducendo due ulteriori classificazioni: diplomazia marittima cooperativa (più facilmente comprensibile) e diplomazia persuasiva, che compendia nebulosamente presenza e prestigio; a questo va aggiunta una rinnovata considerazione della Teoria dei Giochi in cui la realtà delineata dall’autore presenta un insieme complesso di stakeholder militari, paramilitari, commerciali e responsabili delle ONG. L’assunto logico imporrebbe che il mondo, in una fase di transizione, con una parziale adesione al modello della Guerra Fredda e con l’avvicinamento a un ambiente militare marittimo ibrido in cui coesistono Marine moderne e postmoderne, contempli la coesistenza di entrambi i paradigmi. La comparazione dei vari modelli di diplomazia navale individua temi suddivisibili in due categorie: costrutto (64) e contenuto (65). A prescindere dai pareri forniti da Luttwak, Booth, Nye e Le Miere, i modelli di diplomazia navale, esercitabile più facilmente su scala regionale che su scala globale, non
«Nel notare che mezzi e personale di serie televisive e film ispirati allo spazio si rifanno a terminologie marinaresche, che tradiscono una segreta passione per le Old Navies, anche la flotta stellare di Star Trek riconduce a una sorta di diritto internazionale, e soprattutto allo studio e all’uso della diplomazia cui è richiesto (...)» (Fonte immagini: brainstudy.info).
sono il semplice prodotto dell’epoca a cui appartengono, ma si fondano su quattro cardini: tradizione teorica realista e focalizzazione sui rapporti di potere, «stato-centrismo», metodologia meccanicistica, importanza del conseguimento di risultati, cui si associano coercizione, deterrenza, costruzione di immagini, prestigio, cooperazione, rassicurazione, attrazione e assistenza. Scopo della diplomazia navale rimane quindi quello di comunicare un messaggio, esplicito o implicito, a uno o più destinatari.
Le potenze sfruttano dunque le Marine attraverso funzioni principali e altre secondarie ma non meno importanti: ilwar-fighting, la sicurezza marittima e il defense engagement, in cui rientra la diplomazia navale, tre esplicazioni essenziali per l’acquisizione dell’abilità di impiegare le capacità militari in e dal mare per poterinfluenzareil corso degli eventi e mantenere la capacità del ruoloexpeditionary (66),la partecipazione alle spedizioni tecnico scientifiche (67). Nel corso della trattazione siamo stati accompagnati, alternativamente, da tavole di fumetti e dalle immagini dell’Ottobre Rosso in fuga; con l’auspicio di aver suscitato interesse verso un aspetto tutto sommato mai troppo dibattuto, non potevamo non rivolgerci alla fantascienza. Nel notare (simpaticamente, non ce ne voglia nessuno) che mezzi e personale di serie televisive e film ispirati allo spazio si rifanno a terminologie marinaresche, che tradiscono una segreta passione per le Old Navies, anche la flotta stellare di Star Trek riconduce a una sorta di diritto internazionale, e soprattutto allo studio e all’uso della diplomazia cui è richiesto, con l’uso accorto di eloquenza e tatto, il raggiungimento di un vantaggio strategico o di una situazione di mutuo interesse, in risposta a una problematica comune. È interessante constatare, tuttavia, che malgrado l’evoluzione tecnologica, oltre che all’infinito si continui a guardare alla diplomazia delle cannoniere. Forse, almeno in questo e malgrado tutto, un piccolo vantaggio lo stiamo ottenendo. 8
NOTE
(1) André Maurois,pseudonimodiÉmile Salomon Wilhelm Herzog, è stato unoscrittorefrancese. (2) Ambasciatore nel 1512 presso Ferdinando il Cattolico in Spagna, ritenne l’azione diplomatica assoggettabile alla ragion di Stato, sostenendo la necessità che godesse di una certa autonomia. Latore di una visione spregiudicata, influì sulla situazione italiana, investita dalle lotte egemoniche europee. Adoperatosi per creare la Lega di Cognac tra Vaticano, Stati italiani e Francesco I di Francia contro il potere imperiale di Carlo V, non poté né impedire la sconfitta della lega né il saccheggio di Roma del 1527. (3) I primi ad adeguarsi al nuovo corso furono, nel 1519, gli inglesi, con due ambasciatori permanenti — sir Thomas Boleyn e il dottor West — accreditati come diplomatici a Parigi. (4) Huig de Groot latinizzato inHugo Grotius, da cui Ugo Grozio, è stato ungiurista,filosofo,teologo,umanista,storico,poeta,filologo, nonchépolitico, di nazionalitàolandese. (5) Associabile alla legal diplomacy. (6) Individuò tre metodi: conferenze e negoziazioni tra i due contendenti; il compromesso, in cui ciascuno dei contendenti rinuncia/accetta concessioni; scelta casuale. Indispensabile la presenza di un giudice esterno, dedicato all’accertamento della legittimità delle negoziazioni. (7) SirHarold Nicolson è stato unpolitico,diplomaticoescrittorebritannico. (8) FAO, UNESCO, ecc. (9) Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e Fondo Monetario Internazionale. (10) Hans Joachim Morgenthau (Coburgo, 17 febbraio 1904-New York, 19 luglio 1980) è stato un politologo statunitense. (11) Sir Alfred Eckhard Zimmern(1879-1957) è stato uno studioso, storico e politologo inglese. Fu eminenteinternazionalista liberale. (12) Woodrow Wilson, natoThomas Woodrow Wilsonè stato unpoliticoeaccademicostatunitense. È stato il 28opresidente degli Stati Uniti(in carica dal 1913 al 1921), mentre in precedenza fugovernatore dello StatodelNew Jersey; anche uomo accademico, ricoprì la carica di rettore dell’Università di Princeton. (13) Nella tradizione realista lo scopo della diplomazia è quello di essere un mezzo attraverso cui agire secondo la logica che si dice inerente a un sistema anarchico di potere distribuito tra massimizzatori di potere interessati e autosufficienti. (14) Mentre il multipolarismo garantisce flessibilità degli allineamenti, ma rigidità strategica vincolata alle necessità degli alleati, nei sistemi bipolari la rigidità degli allineamenti offre una spiccata flessibilità nelle strategie. Se da un lato gli Stati temono di essere abbandonati dai propri alleati nel momento del bisogno, temono altresì di venire intrappolati dai propri partner a perseguire obiettivi altrui solo per poter mantenere l’alleanza in vita (dilemma della sicurezza delle alleanze). (15) Raymond Claude Ferdinand Aronè stato unfilosofo,sociologo,storicoepolitologo francese. (16)Aron, R.,Paix et guerre entre les nations, Paris 1962 (17) Stanley Hoffmannè stato unpolitologoaustriacocon cittadinanzafrancese, docente diScienze politicheall’Università di Harvard. (18) Luigi Bonanate, Prima lezione di relazioni internazionali, Laterza, 2010 (19) Thomas Hobbesè stato unfilosofobritannico, antesignano del Giuspositivismo e autore nel1651dell’opera difilosofia politicaLeviatano. La descrizione di Hobbes dellanatura umanacome sostanzialmente competitiva edegoista, esemplificata dalle frasiBellum omnium contra omnes(«la guerra di tutti contro tutti» nellostato di natura) eHomo homini lupus(«ogni uomo è lupo per l’altro uomo»), ha trovato riscontro nel campo dell’antropologia politica. (20) Immanuel Kantè stato unfilosofotedesco, considerato uno dei più importanti del pensiero occidentale. Fu il più significativo esponente dell’Illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi basilari dellafilosofia idealisticae di gran parte di quella successiva. Kant concepì la propria filosofia come una rivoluzione filosofica volta a superare ildogmatismometafisico, che per Kant caratterizzava il pensiero precedente, e ad assumere i caratteri di una ricercacriticasulle condizioni delconoscere. (21) Emer(Emmeric,EmerichoEmmerich)de Vattelè stato ungiurista,diplomaticoefilosofosvizzero, le cui teorie portarono alla fondazione del modernodiritto internazionalee della modernafilosofia politica. (22) L’egemonia culturaleè un concetto che indica le varie forme di «dominio»culturalee/o di «direzione intellettuale e morale»da parte di un gruppo o di unaclasseche sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. L’analisi dell’egemonia culturale, anche in quanto distinta dal mero dominio, è stata formulata per la prima volta daAntonio Gramsciper spiegare perché lerivoluzionicomunistepredette daKarl Marxnei paesiindustrializzatinon si fossero verificate. (23) Robert Keohaneè unaccademicostatunitense. Dopo la pubblicazione diAfter Hegemony(1984), fu associato alla teoria dell’istituzionalismoneoliberale, nonché alle relazioni transnazionali e la politica mondiale nelle relazioni internazionali negli anni Settanta. È professore discienze politichenella Woodrow Wilson School all’Università di Princeton.Un sondaggio del 2011 di studiosi di relazioni internazionali ha posto Keohane al secondo posto in termini di influenza e qualità del sapere negli ultimi venti anni. (24) Teoria geopolitica statunitense, avanzata sia dai democratici sia dai repubblicani durante la Guerra Fredda; asseriva che se una nazione chiave in una determinata area fosse stata presa dai comunisti, le nazioni vicine sarebbero cadute come pezzi di un domino, diventando anch’esse comuniste una dopo l’altra. Interessanti e suggerito argomento di studio sono le concettualità portanti del realismo: il bandwagoning ovvero la salita sul carro del vincitore, il buckpassing o scaricabarile, il chainganging o coinvolgimento di tutti gli Stati nel conflitto. (25) Richard Cobdenè stato unpoliticoedeconomistabritannico. (26) John Ikenberryè unpolitologostatunitense. Teorico delle relazioni internazionali e della politica estera degli Stati Uniti, è professore allaPrinceton University. (27) Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein,contee, dal1813,principediMetternich-Winneburgè stato undiplomaticoepoliticoaustriaco, dal1821al1848cancelliere di Stato. (28) Henry Kissinger, natoHeinz Alfred Kissingerè unpolitico,diplomatico tedesco naturalizzato statunitense. Membro delPartito Repubblicano, fuconsigliere per la sicurezza nazionaleeSegretario di Stato degli Stati Unitidurante le presidenze diRichard Nixone diGerald Fordtra il 1969 e il 1977. Nel 1973 fu insignito delpremio Nobel per la pace. (29) Tesi di dottorato sul Congresso di Vienna, Metternich, Castlereagh di Henry Kissinger; traduzione di E. Brambilla, Collezione Saggi, Milano, Garzanti, 1973. (30) John von Neumann, natoJános Lajos Neumannè stato unmatematico,fisicoeinformaticoungheresenaturalizzatostatunitense. È generalmente considerato come uno dei più grandi matematici della storia moderna e una delle personalità scientifiche preminenti delXX secolo. A lui si devono contributi fondamentali in numerosi campi dellaconoscenzacome lateoria degli insiemi,analisi funzionale,topologia,fisica quantistica,economia,informatica,teoria dei giochi,fluidodinamicae in molti altri settori dellamatematica. (31) Oskar Morgensternè stato uneconomistaaustriaco, cofondatore insieme aJohn von NeumanndellaTeoria dei Giochi. (32) John Forbes Nash, jr.è stato unmatematicoedeconomistastatunitense. Tra i matematici più brillanti e originali delNovecento, ha rivoluzionato l’economiacon i suoi studi di matematica applicata allaTeoria dei Giochi, ricevendo ilPremio Nobel per l’economianel 1994. (33) Bruce Bueno de Mesquitaè uno scienziato politico, docente presso laNew York University, e SeniorFellow presso la Stanford University- Hoover Institution. (34) Mutual Assured Destruction. (35) Equilibrio di Nash: combinazione di strategie che offrono la migliore risposta nei confronti una dell’altra. Strategia di Nash: strategia che prefigura la miglior risposta rispetto all’altra. (36) Robert Jeffrey Art, professore di Relazioni internazionali presso la Brandeis University, e Fellow presso il MIT Center for International Studies. Teorico del neo-realismo, che sostiene che la forza è ancora alla base della struttura del potere nel mondo moderno. È membro del Council on Foreign Relations, un think tank statunitense specializzato in politica estera e affari internazionali degli Stati Uniti. (37) Il termine è identificato con l’ideologia «Big Stick» del presidente statunitenseTheodore Roosevelte il viaggio della sua «Great White Fleet» nel 1909. La minaccia del potere militare divenne uno strumento ufficiale della politica estera degli Stati Uniti nel 1904 come parte del «Corollario della dottrina Monroe» del presidente Roosevelt. La flotta di «Black Ships» comandata dal commodoro americano Matthew Perry è un esempio di questo primo periodo diplomatico.Nel luglio 1853, Perry fece navigare la sua flotta di quattro solide navi da guerra nere nella baia di Tokyo in Giappone.Senza una flotta propria, il Giappone accettò di aprire i suoi porti al commercio con l’Occidente. Con la crescita della potenza militare degli Stati Uniti all’inizio del XX secolo, la diplomazia delle cannoniere di Roosevelt è stata temporaneamente sostituita dalladiplomazia del dollaro, una politica di «sostituzione dei proiettili con i dollari» attuata dal presidenteWilliam Howard Taft.
(38) L’effetto della semplice comparsa delle navi era spesso sufficiente a raggiungere l’obiettivo senza la necessità di ulteriori azioni (Don Pacifico 1850; cannoniera tedesca Panther e crisi di Agadir 1911, preceduta dalla crisi di Tangeri del 1905). (39) Politologo statunitense, Nye ha descritto il potere come la capacità di realizzare risultati comportamentali negli altri identificando 3 mezzi utili per il raggiungimento del fine: coercizione, ricompensa, attrazione. Da questi 3 elementi ha ricavato uno spettro di azioni estendibili dall’hard power (con il denaro e la forza) all’intangibilità di idee, valori e cultura costituenti il soft power. (40) Ammiragliostatunitense, noto per essere statoCapo dello Stato Maggiore congiuntodal1º ottobre2007al30 settembre2011. (41) Storico navale britannico e professore emerito di studi marittimi presso il Dipartimento di studi sulla difesa del King’s College di Londra. È il direttore del Corbett Center for Maritime Policy Studies. (42) Cable, autore di The Gunboat diplomacy, riteneva che la coercizione fosse implicita nella maggior parte delle relazioni internazionali e che se un governo fosse stato disposto a «premiare gli amici» punendo i nemici, «avrebbe ricevuto un’attenta considerazione». Questa prospettiva realista rispecchia il pensiero dominante della seconda metà del periodo della Guerra Fredda. «Per essere coercitiva una minaccia deve essere più di una previsione generalizzata di conseguenze disastrose, per quanto plausibili, nell’immediato futuro (...) esprimendo la disponibilità a fare qualcosa di dannoso (...) per gli interessi di un altro governo a meno che quel governonondesista o si astenga»; questo anche in relazione ad atti compiuti in funzione di possibili e imminenti avvenimenti nocivi (v. bombardamento di obiettivi a Beirut da parte della USS New Jersey nel 1983). (43) Autore di Navies and Foreign Politics, 1977. (44) Edward Nicolae Luttwak autore di The Political Uses of Sea Power, 1974 (45) Secondo Luttwak Suasion è un «termine convenientemente neutro (...) il cui significato suggerisce indirettamente qualsiasi applicazione politica della forza navale». La latenza della persuasione di Cable è correlabile, concettualmente, alla forza espressa da Cable. Il lavoro di Luttwak, oltre a risentire del post Guerra Fredda fu influenzato anche dal pensiero di Thomas Schelling, economistastatunitense, professore dipolitica estera,sicurezza nazionale, strategie nucleari econtrollo degli armamentiall’Università del Maryland, premio Nobel nel 2005 condiviso con Robert Aumann «per aver fatto avanzare la nostra comprensione del conflitto e della cooperazione tramite laTeoria dei Giochi»;ha pubblicato Arms and Influence, che stabilisce i principi di una strategia coercitiva e il suo effetto sui decisori. (46) Sergej Georgievič Gorškovammiraglioepoliticosovietico. (47) Sir Herbert William Richmond, ammiraglio della Royal Navy. (48) Ricordiamo la costruzione di navi di grande superficie, come gli incrociatori da battaglia della classe «Kirov», così come la portaerei della classe «Kuznetsov»; il programma come noto si interruppe con il dissolvimento dell’Unione Sovietica e il nuovo bilancio dedicato alla Marina. (49) Docente part time presso il Center for war studies - University of Southern Denmark. (50) Visiting Professor presso il King’s College di Londra. (51) Joseph Nye, Soft Power: The Means to Success in World Politics, 2005, Public Affairs (52) Autore di Niche Diplomacy, Middle Powers after the Cold War. (53) Michele Flournoy e Shawn Brimley hanno attirato l’attenzione su quelli che hanno definito «i beni comuni contestati» in un articolo del 2009 pubblicato per il Naval Institute statunitense del 2009, evidenziando le tattiche marittime di Hezbollah e al-Qaeda. (54) Autore di The Sea in Modern Strategy, 1967. (55) Ufficiale superiore dell’US Navy. (56) Naval Institute Press, 2009. (57) Mike Mullen non ha proposto la sua visione di una Marina di 1.000 navi o di una partnership marittima globale per ragioni altruistiche. Voleva che gli Stati Uniti, il suo paese, ne fossero al centro e lo guidassero. (58) Armi ed Influenza (1966). (59) V. Cina e India, che hanno trovato nell’espansione navale lo strumento necessario per la crescita economica e l’influenza globale. Quanto espresso vale per la sola Cina. L’India al momento pur incanalata nell’idea di Sea Power inglese al momento non è in grado di essere annoverata tra le potenze Talassocratiche. L’eccezionale sviluppo economico indiano va ricercato in altre tematiche come la strategia del micro credito, la spiccata propensione per l’informatica e la cibernetica e l’incremento demografico ed altri. (60) Professore, analista geopolitico, politologo, docente presso la Old Dominion University di Norfolk. (61) Tigri tamil, Hezbollah, organizzatori della flottiglia per la libertà di Gaza, Greenpeace hanno contestato l’assunto che la diplomazia navale sia affare esclusivo di uno Stato nazionale. (62) A questo proposito l’ammiraglio Mullen avanzò l’ipotesi delle «1.000 navi». Mullen era capo delle operazioni navali quando lanciò l’idea in un discorso all’US Navy War College nel 2005, asserendo che cambiamenti globali richiedevano una nuova immagine della potenza marittima. (63) Fondatore di Arcipel, una società di consulenza strategica con sede a Londra e L’Aia, che aiuta le organizzazioni a comprendere e adattarsi all’imprevedibilità. (64) Inquadramento nel contesto delle relazioni internazionali. (65) Esiti ed effetti desiderati dall’egemone. (66) Esempio di tale impiego è stato il dispiegamento di un cacciatorpediniere britannico al largo delle coste delle isole Falkland quale monito per l’Argentina. (67) Un esempio concreto è rappresentato dalle missioni condotte dall’Italia con nave Alliance.
BIBLIOGRAFIA
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