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Il Principe e il Poeta
In apertura: il Regio Cacciatorpediniere GIOSUÉ CARDUCCI nel 1940 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI). Sopra:
Sua Altezza Reale il Principe Filippo quando era, nel 1945, tenente di vascello e secondo sul cacciatorpedi-
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niere Whelp. Accanto: una pagina del diario dell’allora guardiamarina Principe Filippo (After the Battle).
Nel maggio 2021 la Rivista Marittima ha pubblicato un articolo dedicato a una conferma e ad alcune inattese rivelazioni relative alla reazione di fuoco, molto probabilmente da parte dell’armamento di una mitragliera binata da 37/54, dell’incrociatore Zara nel corso della nota azione notturna di Capo Matapan verificatasi il 28 marzo 1941 durante la Seconda guerra mondiale (1). Le convalide e le nuove notizie erano basate su una serie di notizie che il Principe consorte Filippo, Duca d’Edimburgo, aveva disposto fossero pubblicate, dopo la propria scomparsa, in ricordo delle sue esperienze di ufficiale della Royal Navy in occasione di quel conflitto. Trattandosi di un’Altezza Reale, e memore degli insegnamenti del grande Aldo Fraccaroli, maestro di storia navale e di etichetta (2), chi scrive si premurò di contattare le competenti autorità britanniche prima di redigere il pezzo. La risposta, giunta via e-mail in meno di 24 ore, autorizzava il tutto (tanto più che si trattava di brani già rilasciati alla stampa e apparsi sui quotidiani del Regno Unito), con la sola preghiera di voler rimettere, dopo la pubblicazione, una copia cartacea della rivista allo scopo di assolvere i consueti obblighi di archivio, richiesta che mi affrettai ad eseguire, trasmettendo all’indirizzo indicato in calce il numero del mensile in parola non appena questo mi arrivò per posta.
Ogni cosa sembrò, così, felicemente conclusa e tutto mi sarei aspettato meno di trovare, al ritorno dalle vacanze, una sontuosa busta in cartoncino Bristol rimessami dalla Royal Mail (più banalmente le Poste e Telegrafi inglesi). All’interno c’erano alcune fotocopie e una lettera. La missiva spiegava che il diario personale del Principe (manoscritto, per la cronaca, su un regolamentare Admiralty form S.519, Journal for the Use of Junior Officers afloat) non era destinato, purtroppo, alla pubblicazione; poiché, però, nel 1975 erano state pubblicate, con l’Approvazione Reale, alcune righe immediatamente successive a quelle rilasciate alla stampa in occasione della scomparsa di Filippo d’Edimburgo, nulla vietava di integrare — nell’interesse della storia — ciò che era già stato divulgato. La lettura delle pagine fotocopiate si rivelò, a sua volta, così stupefacente da spingermi ad acquistare quella sera stessa, a scanso di
ogni possibile equivoco, una copia di quella nota rivista britannica (After the Battle, Number 7, 1975), salvo mettermi subito al lavoro nel tentativo di ricostruire compiutamente il nuovo e, per certi aspetti, piuttosto diverso quadro che era emerso da quelle poche righe.
Una volta premesso il fatto che la vicenda oggetto di queste pagine rappresenta solo un dettaglio (fino a oggi trascurato e non valutato) di una vicenda — tragica — ben altrimenti più importante e nota, si sottopone, qui di seguito, all’attenzione del lettore il risultato di questi nuovi elementi.
Una cannonata in più
Tanto per cominciare le riparazioni in seguito ai danni (e alle perdite) causate dal tiro delle mitragliere da 37 mm dello Zara (fuoco diretto dapprima contro la nave da battaglia inglese Barham e, subito dopo che quest’unità, colpita, aveva spento i propri proiettori, in direzione delle luci della pari classe Valiant, a bordo della quale era imbarcato il Principe, con l’incarico di dirigere le fotoelettriche di quella corazzata) richiesero, per quest’ultimo bastimento, una volta giunto ad Alessandria, una settimana di lavori: «Valianttook a week to patch up». A questa conferma si aggiunge, ora, un fatto nuovo. Filippo osservò e annotò, infatti, «(…) un altro buco di 8piedi (pari a 2,4 m, nda), stretto ma profondo, a centronave nella controcarena di diritta» (3). Il proietto aveva attraversato, dall’alto verso il basso, la controcarena, per poi esplodere subito fuori, ed era visibile in quanto lo squarcio («the gash») era, in quel momento, immediatamente al di sopra della linea di galleggiamento, avendo la nave consumato buona parte della nafta e dell’acqua per le caldaie dopo quattro giorni di navigazione condotta, per diverse ore, a tutta forza (4). Quel danno richiese, a sua volta, un’altra settimana di lavori per essere riparato sommariamente inclinando (in quel momento il solitario, grande bacino galleggiante di quella base non era disponibile) il Valiant di ben 10 gradi («They spent the next week with a ten degree list while the repair was done»). A questa prima riparazione delle controcarene, effettuata coi mezzi di bordo e con i materiali e le maestranze forniti dalla nave officina Woolwich, seguì finalmente, tra il 13 e il 17 maggio, un’immissione in bacino per un più opportuno refit alle controcarene (di costruzione saldata), lavori peraltro non ancora del tutto ultimati quando la nave fu costretta a uscire da quel mezzo di lavoro per riprendere il mare in vista dell’imminente invasione tedesca di Creta (5).
A questo punto viene naturale chiedersi da dove venisse quel colpo, chiaramente non attribuibile, date le caratteristiche del danno, ai proietti scoppianti dotati di autodistruzione delle mitragliere da 37 mm dello Zara. Ed è proprio a questo punto che la situazione si fa, se possibile, ancora più ingarbugliata.
L’incrociatore ZARA nell’estate 1940 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
I casi sono due
La nuova Commissione d’inchiesta della Marina Militare indetta dopo la guerra, nel luglio 1946, in merito alla disgraziata vicenda di Matapan accertò, alla fine, sulla base della relazione originaria redatta, nel 1941, dall’ammiraglio Angelo Iachino (comandante, a quel tempo, della Squadra navale) che l’unica unità italiana che avesse reagito al tiro avversario era stata il cacciatorpediniere Alfieri. Le tre testimonianze raccolte nel 1941 in merito al fuoco aperto da una mitragliera binata da 37 mm dello Zara furono, viceversa, registrate ma, alla fine, scartate, sia per la mancanza di superstiti direttamente coinvolti in quell’episodio sia perché il fascicolo di propaganda inglese West of Malta East of Suez, pubblicato nel 1943 e unico «documento» a disposizione della nuova Commissione, non ne faceva cenno. Dal 2013 sappiamo, peraltro, che si trattò di una banale omissione (6). A questo punto sarebbe facile fare due più due e attribuire all’Alfieri quel centro casuale (date le circostanze) e poco più che simbolico arrivato a bordo del Valiant visto che, nella migliore delle ipotesi e data la compartimentazione delle controcarene (suddivise tra una metà superiore e una inferiore con paratie tra-
La sensibile differenza di altezza (nell’ordine dei 10 metri) tra le vedette dello ZARA e quelle in plancia a bordo della nave da battaglia WARSPITE.
La notte di Matapan la situazione era ulteriormente peggiorata dal crepuscolo di Giove alle spalle della III Divisione (Disegno di Arianna Cernuschi). In basso: la ricostruzione all’inizio dell’azione notturna di Capo Matapan fatta nel 1941 in occasione della rituale Commissione d’inchiesta istituita
per la perdita del CARDUCCI. Dalla relazione del R. CT CARDUCCI, nel corso della quale il comandante affermò, nell’aprile 1941, che: «la formazione fosse composta ... (v. testo nell’immagine)» (USMM).
sversali posizionate ogni 20 piedi), quella corazzata non deve aver imbarcato più di 200-250 t d’acqua, pur restando il fatto che se la non gran che attrezzata base di Alessandria (unico porto disponibile, nel Mediterraneo orientale, per questi lavori dopo l’abbandono, nell’aprile 1939, di Malta a causa della minaccia italiana) impiegò quasi due settimane prima di aver completato tutte le riparazioni resesi necessarie in seguito ai danni minori subiti, quella notte, da quella nave di linea.
Le 4 salve tirate dall’impianto binato di prora da 120/50 dell’Alfieri, nel corso della notte del 28 marzo 1941 (7), furono però sparate, alle 23:01, contro il caccia australiano Stuart,dopo cioè che le navi da battaglia britanniche avevano spento, alle 22:35, i propri proiettori e cessato il fuoco allontanandosi, ormai invisibili, nella notte, con direzione di marcia nord. La descrizione dell’orario e dei fatti riportata dallo Stuart («Fire was opened on the burning ship at 23:01, and she returned fire hotly for a few minutes») (8) coincide. A sua volta quel caccia australiano, mancato per pochi metri, fu costretto ad allontanarsi, lasciando al similare Havock il compito di finire quella nave avversaria. In seguito lo Stuart s’imbatté nello Zara, ormai immobilizzato e sbandato, il quale, però, accolse la nave australiana «(…) with a fairly and accurate heavy fire», sia pure senza registrare dei colpi diretti a bordo (9), costringendo, ancora una volta, quella silurante australiana ad allontanarsi. La precisa testimonianza in merito a questi stessi precisi minuti, fatta nel 1941 e in maniera del tutto indipendente dall’allora sottotenente di vascello Vito Sansonetti, ufficiale alle armi subacquee a bordo dell’Alfieri, il quale lanciò personalmente (e invano) dalla propria nave, ormai troppo sbandata, due siluri contro una di quelle due unità sottili avversarie, conferma il resoconto conservato a Sydney.
Il colpo giunto a bordo del Valiant,dopo l’apertura del tiro, a bruciapelo, da parte dei grossi calibri delle navi da battaglia inglesi avvenuta alle ore 22:30, pertanto, non può essere stato sparato dall’Alfieri. Si potrebbe pensare, a questo punto, a un caso di fuoco amico. La corazzata Barham, infatti, si trovava a poppavia del Valiant a oltre 5 mi-
Accanto: l’armamento dell’impianto prodiero da 120/50 del cacciatorpedi-
niere CARDUCCI (Fondo
Minchilli, g.c. ANMI). Sopra:
la nave da battaglia VALIANT
nel 1941 (Collezione Enrico Cernuschi). In alto, estate
1940. La plancia dell’ALFIERI. Al centro: l’impianto
lanciasiluri trinato prodiero
del cacciatorpediniere CARDUCCI nell’estate 1940
(Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
glia di distanza dopo aver effettuato una volta tonda in seguito ai primi colpi dello Zara giunti a bordo. In effetti, tornato in linea di fila mentre la nave ammiraglia Warspite e il gemello Valiant stavano accostando, barra a dritta, per sfuggire al lancio (dato dagli inglesi per scontato) di una salva di siluri da parte dei tre cacciatorpediniere italiani (nell’ordine iniziale Gioberti, Carducci e Oriani), avvistati inaspettatamente dai britannici alle 22:31, il Barham sparò, fino alle 22:35, con i propri grossi calibri e con la batteria secondaria di sinistra da 152 mm colpendo, probabilmente già alle 22:32, l’Alfieri. Né la direzione della nave presa a bersaglio dal Barham, né la traiettoria, inevitabilmente tesa, di un eventuale proietto da 152 mm di quella corazzata coincidono — però — con lo squarcio dall’alto verso il basso riparato, in seguito, a bordo del Valiant. È parimenti impossibile il caso di una bomba aerea tedesca, in quanto l’unico attacco effettuato (il 29 marzo) da alcuni velivoli bimotori Ju 88 della Luftwaffe fu diretto, senza successo, contro la portaerei Formidable.
Intendiamoci: come è del tutto naturale, la confusione regnava sovrana quella notte. Il Warspite per esempio, dopo l’avvistamento dei tre caccia italiani, diresse per primo il tiro dei propri impianti singoli da 152 mm in casamatta (i quali, a partire dalla seconda fiancata da 381 mm diretta contro il Fiume e lo Zara, avevano aperto anch’essi il fuoco contro quegli incrociatori), in direzione delle unità sottili avversarie dopo che queste avevano accostato a dritta finendo, però, per illuminare, prendere di mira e sparare contro i cacciatorpediniere Havock, Griffin e Stuart senza causare, apparentemente, danni. In quello stesso frangente i proiettori del lato non impegnato del Warspite inquadrarono, inoltre, la portaerei Formidable, già da qualche minuto in corso di rapido allontanamento, scongiurando solo all’ultimo istante, secondo i resoconti britannici, l’apertura del tiro da parte della batteria di dritta da 152 dell’ammiraglia di Cunningham contro quella nave (10). Il doppio timore dei siluri italiani (in realtà inesistenti) e di una mischia incontrollabile, spinse l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham a interrompere, alle 22:31 o appena pochi istanti dopo, l’azione delle corazzate e a ordinare un’ampia accostata a dritta. Ed è proprio a questo punto che il modesto mistero del colpo giunto sul Valiant potrebbe trovare una valida spiegazione.
Accanto: la nave da battaglia BARHAM ad Alessandria nel novembre 1940
(Collezione Enrico Cernuschi). Al centro: estate 1940. Impianto da 120 mm
del cacciatorpediniere ALFIERI (Fondo Minchilli, g.c. ANMI). In basso: il cacciatorpediniere australiano STUART nella tarda estate del 1940
(Collezione Cernuschi).
Il cacciatorpediniere dimenticato
A bordo delle navi da battaglia, gli inglesi, infatti, avevano stimato di essere il bersaglio dei siluri italiani non soltanto in seguito all’inatteso avvistamento di quelle unità sottili e alla loro posizione nell’ambito di un cerchio di lancio di 2.000 metri circa, ma anche a causa all’avvistamento di alcune fiammate (giudicate da 2 a 3 a seconda delle fonti) attribuite alle cariche dei lanciasiluri. Sappiamo che a bordo del cacciatorpediniere Carducci un colpo fortunato da 114, appartenente alla prima fiancata del Valiant diretta contro quella silurante italiana aveva interrotto, poco prima che l’Alfieri fosse colpito, i circuiti elettrici che collegavano la Direzione del tiro agli orologi a controindice dell’impianto prodiero da 120. Subito dopo, quel caccia italiano incominciò a far fumo, dal fumaiolo, su ordine del comandante, capitano di fregata Alberto Ginocchio. Sempre sul Carducci (il quale, dopo aver accostato a dritta per imitazione, stava tornando, come l’Alfieri, alle 22:31, nella direzione di marcia originaria, sopravanzando il Gioberti, per portarsi, avanti massima, all’attacco col siluro), fu impartito l’ordine, all’impianto prodiero, di aprire il fuoco mediante i due cannocchiali della punteria locale. Seguì (siamo nell’ordine, incontrollabile, di una manciata di secondi a cavallo tra le 22:31 e le 22:32) un nuovo proietto da 114 che si abbatté, questa volta a prua, sul Carducci, anche se alcune testimonianze italiane parlano, a questo proposito, di due esplosioni. Una decina di minuti dopo, quel caccia, dopo che aveva steso una cortina fumogena a protezione delle altre siluranti della squadriglia, fu nuovamente colpito, questa volta dai cacciatorpediniere avversari, perdendo, poco dopo, la prora. Non ci furono superstiti tra gli uomini dell’impianto prodiero; non possiamo quindi avere la certezza matematica che la seconda esplosione riferita da alcuni testimoni e le fiammate dei supposti tubi di lancio osservate, nel corso di quegli stessi istanti, dagli inglesi non fossero, in realtà, che il fuoco della prima (e, con ogni probabilità, ultima) salva del Car-
Posizioni approssimative e direttrici di marcia delle navi coinvolte alle ore 22:32 del 28 marzo 1941 (Disegno di Piera Marconi). Nella pagina accanto:
superstiti del cacciatorpediniere CARDUCCI nell’aprile 1941 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
ducci. È però noto il fatto che i cannoni in parola erano caricati, come da regolamento, sin dalla notte del 26 marzo, con granate perforanti da 120 con fondello senza ritardo in vista di un eventuale impiego notturno sotto i 10.000 m. Il comportamento di quel proietto contro la lamiera di acciaio a elevata resistenza da 13,2 mm di spessore della controcarena del Valiant all’altezza del parabordo di quella nave, coincide sia con lo stretto buco iniziale osservato dal Principe Filippo sia con la successiva esplosione (11). Pensare a una salva subito centrata in alzo e cursore, sparata, sia pure a quelle distanze ridotte, di notte mentre il Valiant mostrava ormai la poppa al Carducci è, naturalmente, un caso, quantunque non diverso dal centro che lo stesso Valiant mise a segno, con la propria prima fiancata da 8 proietti da 114 mm (la terza torre di quel calibro, quella centrale, era destinata al tiro illuminante) sparata poco prima contro quello stesso cacciatorpediniere.
Conclusione
Sia tuttavia concesso, in conclusione, a chi scrive, di ricordare un altro caso altrettanto curioso. Più o meno tutti abbiamo dovuto studiare a memoria, al liceo (parlo della mia generazione: 1960), le Odi barbare di Giosuè Carducci e, in particolare, quella dell’ «(…) inconscia zagaglia barbara» — parole che furono inevitabile oggetto di pesanti ironie tra noi studenti — che quel grande poeta (autore, tra l’altro, della ben più celebre, amatissima e musicale San Martino, con «La nebbia a gl’irti colli/piovigginando sale/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar») scrisse in occasione della morte del nipote di Napoleone, il giovane Principe Eugenio, figlio di Napoleone III e ucciso dagli Zulù nel 1879. Personalmente sono tra i pochi, ormai, che si ricordano il seguito di quella poesia dedicata al mancato, e dimostratosi personalmente coraggioso, Napoleone IV, quando quel poeta d’adozione bolognese scrisse: «Sta ne la notte la còrsa Niobe/sta sulla porta donde al battesimo/le uscíano i figli, e le
braccia/fiera tende su‘l selvaggio mare:/e chiama, chiama, se da l’Americhe,/se di Britannia, se da l’arsa Africa/alcun di sua tragica prole/spinto da morte le approdi in seno». Se oggi, dopo che Giosuè Carducci rese omaggio al Principe Eugenio Bonaparte, c’è la possibilità che Filippo, un altro Principe del sangue, abbia reso la stessa cortesia alla nave che portava il nome di quel Poeta e ai suoi marinai, ebbene la storia della Marina italiana e quella del mare in generale non avranno che un’altra leggenda vera in più. 8
NOTE
(1) Enrico Cernuschi, Le due navi del Principe Filippo, Rivista Marittima, maggio 2021. L’articolo in parola confermava un documento originale britannico del 1945 ritracciato e pubblicato dallo stesso autore, sotto il titolo I sette dello Zara, su Lega Navale, ottobre-novembre 2013. (2) Nell’agosto 1943, per esempio, l’allora sottotenente commissario Aldo Fraccaroli fu convocato da Genova a Roma, dove ricevette l’ordine di studiare uno stendardo da issare a riva durante le ormai frequenti visite del Principe ereditario Umberto. Erminio Bagnasco, Aldo Fraccaroli fotografo navale, Albertelli, Parma 1996, p. 20. (3) «They found another eight-foot hole, narrow but deep, in the starboard torpedo protection bulges amidships». (4) Vale la pena di notare che nel corso degli 80 giorni compresi tra le azioni di Gaudo e Matapan e la vigilia della campagna di Creta, le unità maggiori (navi da battaglia e portaerei) della Royal Navy presenti nel Mediterraneo consumarono, da sole, oltre 80.000 t di nafta, ovvero più di quante non ne abbiano bruciate (79.286 t), tra l’11 giugno 1940 e l’8 settembre 1943, tutte le 7 corazzate armate dalla Regia Marina durante la Seconda guerra mondiale. Un fatto, questo, che corrobora le critiche mosse nel 1961 dall’ammiraglio Odoardo Somigli (fondatore del CASD) all’ammiraglio Romeo Bernotti (padre dell’IGM, oggi Istituto di Studi Militari Marittimi), in occasione della pubblicazione, nel 1960, del volume Storia della guerra nel Mediterraneo, edito da Vito Bianco in Roma, quando quell’ex Sottocapo di Stato Maggiore della Marina affermò, in merito a quel nuovo volume di Bernotti, che: «Il libro segue principalmente, o ne dà l’impressione, qual filo conduttore, la storia ufficiale inglese. Si compiace delle citazioni dei nostri avversari, di tutti i generi (…)». Ufficio Storico della Marina Militare (d’ora in poi USMM), Fondo MARISTAT Ufficio Storico - Titolo E, Collezioni dalla H alla U, Lettera di Somigli a Bernotti del 10 gennaio 1961, p. 3; USMM, Dati Statistici, Roma 1972, p. 71; Anthony Watts, Battleships, Macdonald and Jane’s, Londra 1978, p. 47; David K. Brown, Aircraft Carriers, Macdonald and Jane’s, Londra 1977, p.42 e 44. (5) «The ship was still refitting as the tragedy of Crete rushed to its close». After the Battle, n. 7, p. 30. (6) Per 80 altre, analoghe omissioni, in sede storica, di colpi italiani messi a segno su navi di superficie britanniche tra il 1940 e il 1945, ma confermati da fonti inglesi, si rimanda all’ultimo capitolo di: Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, Venezia contro l’Inghilterra, da Alessandretta a Suda 1628-1649, Mursia, Milano 2020. Da allora le ricerche sono continuate e, con l’episodio specifico oggetto di quest’articolo, è stata toccata la quota, simbolica ma significativa, di 100 colpi esatti. (7) USMM, I cacciatorpediniere italiani, Roma 1971, p. 279. (8) Naval Historical Society of Australia (NSW) Archives, HMAS Stuart I File: A Destroyer’s two Years of War (The Chronicle of H.M.A.S.Stuart). (9) Idem. Si tratta di un altro episodio minore qui riportato per la prima volta e del tutto inedito, anche se coincide, quanto a orario e circostanze, con una delle testimonianze raccolte dalla Commissione d’inchiesta italiana del 1946 in merito a un’altra reazione a opera di un impianto binato da 37 mm, questa volta di dritta; l’affermazione in parola fu però subito dismessa in quanto non corroborata, come al solito, da East of Malta, West of Suez. In seguito, le affermazioni di quel fascicoletto propagandistico (66 pagine in tutto) sono state riprese, fino a oggi, in punta di polemica, da diversi autori italiani col risultato finale di arrivare alla caricatura di una caricatura sullo stile, grottesco, del noto pittore tedesco George Grosz. (10) L’ammiraglio Cunningham scrisse espressamente, in sede di rapporto, in merito ai giustificati timori di una «mêlée» coi cacciatorpediniere avversari. Il grande romanziere inglese Cecil Scott Forester, addetto alla propaganda navale presso il Ministry of Information, integrò, sempre nel precedentemente ricordato East of Malta, West of Suez, quella frase, col seguente scampolo di prosa: «That a contretemps of this nature was already taking place in the ranks of Tuscany was indicated by starshell and heavy firing of a bearing that none of our ships had reached. The Vittorio Veneto is believed to have shelled one of her own cruisers in this action». Circostanza, questa, del tutto inventata e che lasciò perplessa la Commissione italiana del 1946, ma che trova la propria spiegazione nell’uso che Forester aveva già fatto, in omaggio al cosiddetto Chiantishire, del termine «toscani», da lui usato per gli italiani in generale, nel proprio Victor Emanuel II, edito a Londra da Meuthen and Co. LTD nel 1927. (11) A mero titolo di confronto si ricorda che la carica di scoppio di un proietto perforante da 120 mm italiano era di 1,295 kg mentre, per esempio, facendo il confronto con la vicenda della nave gemella Warspite a Punta Stilo, quella di una palla da 320 mm era di 6,38 kg e quella di una granata dirompente da 203 mm ammontava a 7,5 kg. È opportuno aggiungere, inoltre, che la capacità di un’esplosione è regolata dalla legge della radice cubica. Un ordigno 1.000 volte più potente, pertanto, è solo 10 volte più distruttivo.
BIBLIOGRAFIA
Fondo Commissione d’Inchiesta Speciale (Cis) Navi perdute, Buste Pola, Fiume, Zara, Alfieri e Carducci. Ross Watton, The Battleship Warspite (Anatomy of the Ship), Conway, Londra 2002. S.W.C. Pack, Azione notturna al largo di Capo Matapan, Mursia, Milano 1972. Vito Sansonetti, Benvenuti a bordo, Nauticard, Roma 1998. Giuseppe Chirco, Il sacrificio della Prima Divisione a Capo Matapan, Laurenzana, Napoli 1995. Emilio Brenta, Circa due episodi navali: Pearl Harbour - Gaudo e Matapan, Rivista Aeronautica, febbraio 1948 (si veda pure la recensione di Salvatore Castagna sulla Rivista Marittima, maggio 1948). Giuliano Capriotti, Morte per acqua a Capo Matapan, Lerici, Milano 1965. Aldo Fraccaroli, Iachino e il tormento di Matapan, Storia militare, ottobre 1993.
FOCUSDIPLOMATICO
Lezioni dall’Afghanistan. Rapporti transatlantici e integrazione europea
Si è verificato solo in parte quanto era stato scritto nella Lettera Diplomatica 1302 del 19 aprile scorso (Rivista Marittima, giugno 2021, pp. 98-101), subito dopo la decisione del Consiglio atlantico a livello ministeriale richiesta dal presidente Biden di ritiro totale dall’Afghanistan entro l’11 settembre 2021, data poi anticipata unilateralmente al 31 agosto. Sulla base delle fonti e delle analisi allora disponibili non fu considerata la possibilità che lo sfaldamento del governo e dell’Esercito, peraltro delegittimati e debilitati dagli accordi privi di garanzie conclusi nel febbraio 2020 da Trump, avvenisse in così poco tempo consentendo ai talebani di assumere rapidamente il potere a Kabul.
Come praticamente tutti avevamo sbagliato sui tempi e quindi sulle capacità di reazione. E dopo l’irrevocabile decisione di Biden di non cedere alle richieste degli alleati di prolungare di alcuni giorni la protezione dell’aeroporto per proseguire l’evacuazione dei più vulnerabili, subendo invece l’ultimatum dei talebani, appaiono di non facile realizzazione i propositi di concordare con questi ultimi altre partenze.
Su questo e su quel che è accaduto durante il caldo mese di agosto appena trascorso è stato già detto tutto ed è inutile soffermarvisi ancora se non per dire che grazie anche all’azione di stimolo svolta dal presidente Draghi e dai suoi colleghi europei, si è sviluppata una iniziativa diplomatica, da noi centrata sul G20 in virtù della presidenza del gruppo da parte dell’Italia, diretta a coinvolgere i principali attori con i quali occorrerà interagire per gestire la crisi afghana: Cina, Russia, India, Turchia, Arabia Saudita, ai quali andranno aggiunti Pakistan e Iran. L’esercizio è molto difficile ma necessario. Si tratta di paesi che hanno interessi divergenti o non coincidenti, che già iniziano ad alzare il prezzo proponendo altri formati e ponendo condizioni. Nei loro confronti occorrerà tuttavia stimolare fattori di convergenza. E questi non sono pochi: — non avere in Afghanistan un regime che destabilizza i paesi vicini, che ospita volente o nolente organizzazioni terroristiche (cosa su cui, per quel che vale, i talebani sembrano essersi impegnati a evitarlo, ma che gli orribili recenti attentati smentiscono), che non mantiene standard minimi di dignità delle persone e di sopravvivenza fisica ed economica tali da limitare i flussi migratori; — combattere la produzione e il commercio di oppiacei; — rendere agibili le rilevanti risorse del paese e la sua collocazione, che lo rende un potenziale snodo logistico nei trasporti anche energetici tra est e ovest e tra nord e sud.
È necessario che in tutto questo si agisca assieme agli Stati Uniti perché è il nostro destino comune di occidentali a essere in gioco. Ma, occorre che gli americani si convincano ad ascoltare gli alleati, a riconoscere i loro interessi e a condividere le decisioni con loro.
Non è detto che su formati e modalità vi sia identità di vedute con Washington, e su questo sarebbe necessario uno stretto coordinamento dell’Italia con Germania e Francia. Quest’ultima ha appena partecipato, il 28 agosto, al massimo livello (il presidente Macron) a un incontro sulla
Immagini del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, avvenuto ad agosto scorso e, nella pagina successiva, civili afghani pronti a evacuare dall’aeroporto di Kabul (dall’alto: washingtonpost.com; aljazeera.com e huffingtonpost.it).
Focus diplomatico
cooperazione e la sicurezza regionale a Baghdad promossa dal governo iracheno su suggerimento francese; presenti il presidente al-Sisi, re Abdullah di Giordania ed emiri, primi ministri o ministri degli Esteri di paesi del Golfo e Iran, con gli ambasciatori del G20 quali osservatori. Che fossero attorno allo stesso tavolo, soggetti la cui cooperazione è necessaria per la sicurezza regionale è di per sé positivo. Ai margini dell’evento Macron ha annunciato la presentazione in Consiglio di Sicurezza assieme al Regno Unito di una risoluzione per la costituzione di una zona di sicurezza a Kabul gestita dalle Nazioni unite con una protezione militare internazionale, per consentire la prosecuzione delle evacuazioni. Le reazioni degli altri P5 (Stati Uniti, Russia e Cina) indicheranno se si tratta di una iniziativa destinata ad avere qualche seguito o se si ridurrà a un esercizio di pubbliche relazioni e di buona volontà da parte di chi lo ha proposto. I talebani si sono già espressi
negativamente ma hanno rilanciato affermando che agli afghani muniti di passaporto (a chi verrà dato?) e di visto di paesi terzi sarà consentito di partire. Un modo per sollecitare la riapertura di ambasciate e uffici consolari e quindi una forma di riconoscimento.
Andrà anche considerato il ruolo che potrà avere la resistenza afghana, quella armata con varie componenti e quella destinata verosimilmente a una tragica repressione della società civile. Si tratterà di vedere se sostenerla nei modi possibili possa essere utile assieme alle pressioni economiche a incidere sui comportamenti dei talebani anche rispetto alla lotta al terrorismo e al ruolo che a tale scopo possono avere gli stessi talebani. Bisogna chiarire quali sono gli obiettivi, e su questo le posizioni dei diversi attori possono essere alquanto diverse. Le vicende afghane hanno messo in discussione la solidità del rapporto transatlantico che i primi mesi della presidenza Biden sembravano aver rinvigorito dopo i gravi guasti prodotti da Trump. Vero è che i rapporti di Washington con gli alleati europei, pur nella consapevolezza dell’indispensabilità dell’Alleanza soprattutto durante la Guerra Fredda, hanno incontrato difficoltà in varie occasioni.
Le modalità con cui il presidente Eisenhower gestì la crisi di Suez a scapito di francesi e britannici pose fine alla persistente egemonia di questi due paesi nell’area mediorientale e accelerò i processi di decolonizzazione. Ma, gli effetti furono complessivamente benefici per l’Alleanza. La Gran Bretagna capì la lezione e consolidò il rapporto speciale con gli Stati Uniti. La Francia ne trasse la conclusione di accelerare il processo di integrazione europea e di piena riconciliazione con la Germania, rendendo più flessibili le proprie posizioni nel negoziato per la conclusione dei trattati per la costituzione della Comunità economica europea e dell’EURATOM, firmati l’anno successivo a Roma, allora incoraggiati dagli americani con una visione strategica che considerava del tutto secondari alcuni svantaggi di carattere commerciale che potevano profilarsi per settori più o meno rilevanti dell’economia statunitense.
Sta di fatto che la posizione americana sull’intervento franco-britannico a Suez fu condivisa da altri alleati europei come l’Italia e la Germania. Quest’ultima avrebbe concluso pochi anni dopo con la Francia il Trattato dell’Eliseo, consolidando il connubio alla base del processo integrativo europeo e ponendo al tempo stesso un freno alle tendenze centrifughe di De Gaulle che, pur essendo successivamente uscito dall’organizzazione militare dell’Alleanza ed espulso le basi americane e NATO dalla Francia, volle dimostrare più di ogni altro la sua totale solidarietà all’alleato americano in occasione della crisi dei missili a Cuba.
Più problematica, colpendo tutti i paesi europei, fu la decisione del presidente Nixon di abolire la convertibilità in oro del dollaro nel 1971, che poneva fine al sistema di cambi fissi su cui si reggeva anche il mercato comune. Fu la spinta a un processo, durato venti anni a causa delle diversità di condizioni economiche tra i paesi membri, che avrebbe portato alla moneta unica.
Non veniva comunque messo in discussione il trade off che era alla base dell’Alleanza: delega agli Stati Uniti della sicurezza europea e sviluppo sotto l’ombrello americano dell’economia, dello stato sociale e della trasformazione della società cui venivano dedicate risorse sottratte alle spese militari.
Contestualmente vi fu la guerra in Vietnam, che fu tra l’altro tra le concause della dichiarazione di inconvertibilità del dollaro. Fu una guerra solo americana, se si esclude un limitato sostegno attivo dell’Australia. Gli europei, diversamente dalla guerra in Corea, non vi parteciparono e diversi ne presero le distanze mentre alcuni, come l’Italia, non andarono al di là di una generica espressione di «comprensione», partecipando però attraverso canali informali a tentativi di mediazione non particolarmente graditi dagli Stai Uniti.
La vicenda non ebbe effetti di sostanza sul rapporto transatlantico. La fine della Guerra Fredda sembrava aver fatto venir meno la ragion d’essere della NATO, ma le crisi esplose attorno all’Europa davano una nuova dimensione di produttore di sicurezza all’Organizzazione, accettata da tutti gli europei che ne sono parte, malgrado qualche distinguo francese.
Ma un motivo di frattura tra gli alleati, che spaccò l’Unione europea, fu la guerra in Iraq, promossa da Bush e Blair con l’opposizione di Francia e Germania e una posizione iniziale di attesa dell’Italia che si unì assieme a vari altri al processo, anche militare, di nation building, dopo una autorizzazione in tal senso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Su questo si inserì la contemporanea ostilità americana tramitata dal Regno Unito alla proposta franco-tedesca di dotare l’Unione di una capacità autonoma di pianificazione e conduzione di operazioni militari di gestione delle crisi. Il colpo più grave fu inferto, alla fine del decennio successivo, da Trump, che mise in discussione la validità dell’Alleanza e la stessa garanzia di sicurezza agli europei che ne costituisce l’essenza. Assieme alla Brexit, la conseguenza fu l’acquisizione della consapevolezza che l’Europa deve pensare di più alla propria sicurezza. «Deve riprendere in mano il proprio destino», disse la cancelliera Merkel. Fu proposta e approvata dal Consiglio europeo la «Global strategy», che aggiornava quella del 2003, venivano ampliati gli strumenti della Politica Europea di Sicurezza e di Difesa e vi venivano dedicate risorse attraverso l’European Defense Fund e altre linee di finanziamento, con una particolare attenzione alla base industriale. È stato individuato un meccanismo di coordinamento delle acquisizioni. Ma l’attuazione concreta di tutto questo resta lenta, e nelle operazioni di gestione delle crisi che l’UE conduce dal Sahel ad altre aree del suo vicinato non vengono usati appieno gli strumenti comuni di pronto intervento posti in essere.
Ora vi è la crisi afghana che dà un nuovo stimolo a portare avanti quel che da tempo viene considerata una necessità: dotarsi di capacità in grado di dare all’UE una autonomia per poter affrontare le crisi che la circondano in modo conforme ai propri interessi, auspicabilmente assieme agli americani, ma se necessario anche da soli.
Un’altra conseguenza è l’emergente volontà degli europei di rivedere le modalità di funzionamento dell’Alleanza, nella quale finora, malgrado la collegialità che dovrebbe essere assicurata dal Consiglio atlantico, le decisioni strategiche sono prese in sostanziale solitudine dagli Stati Uniti, senza consultare gli alleati e neppure, a quanto pare, previamente informarli come è accaduto per il ritiro dall’Afghanistan.
Sta di fatto che l’Alleanza, rivista sull’aspetto di cui sopra, resta indispensabile per l’Europa. Indispensabile resta la protezione nucleare, almeno fino a quando la Francia non sarà disponibile a condividere il controllo della sua limitata, ma comunque in una misura difficile da valutare dissuasiva, «force de frappe», in un contesto di condivisione di sovranità, su questo aspetto, di carattere esistenziale. Ipotesi che non è decisamente alle viste. Indispensabili restano anche le capacità convenzionali in caso di attacco e per le più impegnative missioni di gestione delle crisi in termini di trasporto strategico, intelligence, protezione cyber, e altri «enablers». Questo non significa tuttavia che l’Unione non debba dotarsi
«Le vicende afghane hanno messo in discussione la solidità del rapporto transatlantico che i primi mesi della presidenza Biden sembravano aver rinvigorito dopo i gravi guasti prodotti da Trump»
(immagini: foxnews.com; bloomberg.com).
degli strumenti diretti a fornirgli una autonomia strategica più volte invocata per poter gestire la sicurezza, quanto meno nel suo vicinato attraverso una graduale crescita delle sue capacità. Ed è proprio su questo che si misurerà la possibilità per l’Europa, o di quella parte che lo voglia, di curare i propri interessi in un mondo multipolare, evitando di essere marginalizzata.
Va tuttavia considerato che è estremamente difficile se non impossibile la realizzazione di questo richiesto salto di qualità con l’Europa a 27 così come è. Emerge sempre più l’esigenza di una integrazione differenziata o a cerchi concentrici, mantenendo l’esistente per tutti (mercato interno, politiche di coesione e settoriali, incluso il green deal,ma con tutte le condizionalità e le selettività consentite dai trattati) e realizzando però il nuovo necessario con una maggiore condivisione di sovranità a partire dal nucleo di Germania, Francia, Italia e Spagna. L’Italia è oggi in grado di svolgere un ruolo propositivo e il presidente Draghi lo sta dimostrando. È evidente però che se in particolare Francia e Germania non ci stessero, nulla sarebbe possibile. Le imminenti elezioni nei due paesi e i governi che ne usciranno saranno quindi cruciali.
Vi sono naturalmente grossi problemi istituzionali da affrontare. I trattati, con le cooperazioni rafforzate e strutturate, danno degli strumenti che per i grandi temi possono tuttavia non bastare. Occorreranno verosimilmente trattati aggiuntivi, non sostitutivi di quelli esistenti, come fu fatto con Schengen, aperti a chi voglia unirsi quando ne avrà la volontà e i requisiti.
Il commissario Gentiloni e altri sottolineano giustamente l’esigenza di superare la regola dell’unanimità in tema di immigrazione e accoglienza ma anche di politica estera, sicurezza, difesa, bilancio e fiscalità comuni. Ma, i trattati lo consentono soltanto se vi è l’unanimità a introdurre su questi temi la regola della maggioranza qualificata. Interpretazioni creative potranno essere tentate ma poi dovranno passare i vagli giurisdizionali. Vi può essere quindi bisogno di qualcosa di nuovo, con una sua membership e sue regole anche se istituzioni esistenti con geometrie e composizioni specificamente adattate potranno essere utilizzate. Con l’UEM (Unione economica e monetaria) lo si sta già facendo. Il percorso è difficile, con rischi per la tenuta di tutto il sistema, ma non credo che vi siano alternative per uscire dall’asfissia dell’Europa nel mondo multipolare in cui non possiamo essere marginalizzati.
Il presupposto è ovviamente che vi sia una forte volontà politica a percorrerlo, e in particolare quella dei maggiori paesi membri dell’Unione ad accettare realmente una graduale e incrementale condivisione di sovranità in settori che ne sono l’essenza la cui necessità è stata autorevolmente ribadita a Ventotene il 29 agosto scorso dal presidente Mattarella. Il realismo non ci può far nascondere quanto siano forti difficoltà e ostacoli e che lungo la strada andranno accettati i compromessi necessari evitando forzature intempestive e non adeguatamente preparate che potrebbero impedire di raggiungere i risultati di volta in volta possibili. È quanto in buona parte accaduto durante tutto il processo di integrazione europea, ed è oggi quanto mai necessario non arrestarsi adattandosi a quel che le circostanze richiedono.
Su tutto pesa poi il pericolo che con l’indebolimento oggettivo di Biden e della sua squadra vi sia nel 2024 un ritorno di Trump o di qualcuno come lui. Prospettiva per la quale gli europei dovranno tenersi pronti. Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici
L’ambasciatore Maurizio Melani è stato direttore generale per la Promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, ambasciatore in Iraq, rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell’UE, direttore generale per l’Africa, ambasciatore in Etiopia, capo dell’Ufficio per i rapporti con il parlamento nel Gabinetto del ministro degli Esteri, capo della Segreteria del sottosegretario di Stato delegato alla cooperazione. Ha prestato servizio nella Rappresentanza permanente presso la CEE, nelle ambasciate ad Addis Abeba, Londra e Dar es Salaam e nelle Direzioni generali dell’Emigrazione, degli Affari politici e degli Affari economici. Docente di Relazioni internazionali e autore di libri, saggi e articoli su temi politici ed economici internazionali. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
Caucaso: azione e reazione
Truppe turche e azere hanno condotto esercitazioni militari congiunte nella strategica regione di Lachin, in Azerbaigian, in prossimità delle installazioni delle forze di pace russe, schierate a vigilare sulla tregua tra Armenia e Azerbaigian e nel pieno di crescenti tensioni tra Baku e Mosca. Le manovre, della durata di una settimana e conclusesi il 10 settembre, sono apparse di piccola scala e vi hanno preso parte forze speciali di entrambe le nazioni; ma il loro significato era nel chiaro messaggio politico che inviavano. Hanno visto la prima, apertamente mostrata, presenza di truppe turche in Azerbaigian e per di più nei territori che Baku ha ripreso, a forza di missili, droni suicidi e artiglieria a Yerevan, durante la guerra dello scorso anno. Questo, come accennato, avviene in un contesto difficile; l’Armenia, sia per ragioni interne e sia perché’ si sente ora supportata da Mosca, sta tentando di rialzare la testa dopo la sconfitta e una pesantissima crisi istituzionale che l’ha scossa a seguito del conflitto. Secondo recenti rapporti, le Forze armate armene si erano nuovamente dispiegate nel Nagorno-Karabakh attraverso il corridoio di Lachin e sarebbero state coinvolte in scontri a fuoco con le forze azere. L’Azerbaigian, in agosto ha chiesto formalmente alla Russia di porre fine alla bellicosità armena. Da parte sua, la Russia ha riferito che le truppe coinvolte erano quelle della non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh e non aveva giurisdizione e poteri su forze di fatto. Vista l’assenza di ogni azione russa, si teme che Baku potrà decidere di usare la forza per scacciare queste forze, siano esse regolari armene o quelle del Nagorno-Karabakh (o di quel che ne resta dopo il conflitto). Alla fine di agosto, le forze azere, con l’idea di dare un altro forte segnale, hanno bloccato una strada vitale che collega le principali città dell’Armenia meridionale interrompendo, di fatto, anche se brevemente, il transito fra Armenia e Iran (solido alleato di Mosca, in buoni rapporti con la Turchia, in ottime relazioni con Erevan ma in pessime con Baku, a causa degli stretti rapporti che il paese ha con Israele). Due giorni dopo la fine del blocco azero, secondo un comunicato stampa del comando dei peacekeepers russi, le forze di pace russe hanno subito risposto conducendo esercitazioni volte a «prevenire le violazioni da parte dei droni di un potenziale nemico e garantire la sicurezza dei posti di osservazione sul corridoio di Lachin». In altre parole, le esercitazioni delle forze di pace russe nel corridoio di Lachin potrebbero essere viste come un messaggio al pubblico armeno sulla disponibilità di Mosca a difenderlo. Mentre i media di Baku hanno ampiamente coperto le esercitazioni turco-azere, la copertura di Ankara è stata minima, nessun funzionario o ufficiale turco ha rilasciato dichiarazioni sulle esercitazioni ed è stato fatto solo un post sui social media istituzionali. In Armenia, ovviamente, le manovre sono state viste come una provocazione e l’odiato vicino azero è stato duramente criticato. Ma queste manovre nel corridoio di Lachin non erano le uniche svolte da Azerbaigian e Turchia; infatti, nella stessa settimana, si sono svolte esercitazioni congiunte delle forze speciali navali turcoazere lungo la costa del Mar Caspio, mentre sono state condotte esercitazioni aeree congiunte presso l’enorme base aerea di Konya, in Turchia centrale. Ankara ha anche annunciato una serie di nomine di alti ufficiali destinati a posizioni legate al tema dell’Azerbaigian, compreso il comandante di un’unità finora sconosciuta chiamata «Gruppo operativo dell’Azerbaigian» (nome utilizzato in precedenti discussioni con Baku riguardanti il dispiegamento di un contingente militare turco in Azer-
Mappa del corridoio di Lachin a seguito dell’accordo di cessate il fuoco del Nagorno-Karabakh del 2020 (Russian Ministry of Defence). Nella pagina accanto: immagine satellitare di velivoli F-15 dell’US Air Force nella base aerea di Konya (Google Harth).
baigian). Sebbene tale schieramento debba essere ancora formalizzato, la divulgazione dei nomi di questi ufficiali, così come il fatto stesso dell’esistenza del Gruppo, ha lo scopo di dimostrare che questo argomento non è stato rimosso dall’agenda turca ed è un altro segnale a Mosca, di forte critica per il sostegno all’Armenia; questo rientra comunque nella erratica strategia di Ankara dove sussistono dinamiche esterne e interne dettate dalle prossime elezioni e da una difficile situazione economica, con ammiccamenti, promesse e iniziative verso tutti i partner controversi e competitors occasionali (in attesa di trovare partner e, secondo una visione utilitaristica, nuovamente competitors, nel giro di pochi giorni). Un altro esempio di tale intesa contradditoria è in Siria, dove le forze russe che sostengono Bashar al-Assad (le cui truppe hanno recentemente riconquistato la città di Idlib), sono di fatto contrapposte a milizie islamiche che, appoggiate dalla Turchia, combattono anche le milizie curde di Siria, Iraq e della stessa Turchia (il PKK), appoggiate da Mosca, che al momento, come per la firma dell’accordo tra Ankara e Baku, non ha dato segni di particolare preoccupazione. A riprova della estrema mobilità delle dinamiche politiche di Ankara, pochi giorni dopo le esercitazioni turcoazere, vi è stato l’ennesimo summit tra Erdogan e Putin, dove i due, che sempre più dimostrano che il loro è un legame di soli interessi e nessuna fiducia reciproca, si sono accordati sulla ipotesi di programmi spaziali congiunti e affrontato lo spinoso tema dei missili antiaerei S400. Erdogan, appena arrivato dal fallimentare viaggio a New York in occasione dell’Assemblea generale dell’ONU, dove aveva cercato inutilmente di barattare, nel corso di un incontro con il presidente Biden, la cessione (a titolo gratuito) di batterie di missili «Patriot», il conseguente reingresso nel programma F-35 in cambio della promessa di non acquistare più missili russi, ha negoziato l’acquisizione, anche questa a titolo gratuito, di una nuova batteria di S-400 (la prima, per la quale le Forze aeree turche stanno completando il programma addestrativo sarà schierata intorno ad Ankara), prevedibilmente destinata a proteggere Istanbul e gli stretti. L’11 settembre scorso, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ritenendola legittima, ha difeso la presenza militare della Turchia in Libia, secondo i memorandum d’intesa ufficiali e secondo gli accordi tra i due paesi. In dichiarazioni ai media turchi, Cavusoglu ha spiegato che l’accordo con la Libia è stato stretto su richiesta dell’ex governo di accordo nazionale (GNA), guidato da Fayez al-Sarraj, sottolineando che la Turchia intende continuare nel suo ruolo di formazione e consulenza, secondo gli accordi firmati, rilevando che la presenza turca in Libia, Siria e Azerbaigian ha ridefinito equazioni e risultati politici; è interessante notare che Cavusoglu ha omesso di citare le presenze, azioni e le iniziative che Ankara ha in corso in Qatar, Afghanistan, Somalia, Sahel, Cipro e Mar Egeo. Il Ministro ha anche ribadito che Ankara non si è mai intromessa negli affari interni di nessuna nazione, sottolineando che la Turchia si aspetta ulteriori accordi commerciali e una maggiore cooperazione con i suoi alleati libici nel prossimo futuro. Il messaggio è chiaro: la Turchia non si sente coinvolta nella richiesta dell’ONU in merito al ritiro di tutte le forze straniere dal territorio libico; Ankara lo aveva già fatto sapere nel recente passato in diverse occasioni, ma questa volta il tono è, se possibile, ancora più netto e forte; va tuttavia ribadito che la Turchia sarebbe disposta a fare rientrare i mercenari siriani, la cui presenza non è più necessaria, poiché possono essere sostituiti dalle pregiate formazioni regolari turche, specializzate nell’uso di droni e della sorveglianza elettronica. Le prospettive sono quelle di un consolidamento ulteriore con Tripoli, con la formalizzazione, che alcuni analisti vedono come prossima, dell’apertura di basi navali e aeree permanenti. Non è un caso che la dichiarazione di Cavusoglu è avvenuta nel pieno di un difficile dibattito al Consiglio di Sicurezza sulla Libia e per il rinnovo del mandato della missione ONU, UNSMIL. Nonostante l’ottimismo di facciata, il Consiglio è irritato per
la mancanza di progressi e il rappresentante speciale, l’ex ministro degli Esteri slovacco, Jan Kubis, ha delineato come fondamentale una normalizzazione accelerata per procedere verso le elezioni generali, previste per il prossimo 24 dicembre. In realtà, come sempre all’ONU, è un gioco di specchi, e Mosca sembra ancora una volta in silenziosa sintonia con Ankara. La Russia ha bloccato il Consiglio di Sicurezza per il rinnovo di un anno dell’UNSMIL, minacciando la coesione della comunità internazionale in vista delle elezioni presidenziali previste per il 24 dicembre. La Russia, che ha potere di veto, non ha approvato la proposta di risoluzione redatta dalla Gran Bretagna sul ritiro di truppe e mercenari stranieri dalla Libia e sul ruolo dell’inviato dell’ONU nel paese nordafricano. La proposta inglese propendeva per un semplice rinnovo tecnico, anche se di un anno, sino al settembre 2022, che permettesse le elezioni mentre la Russia voleva ridiscutere la stessa architettura funzionale dell’UNSMIL, struttura oggettivamente peculiare. In un recente rapporto, l’ONU stessa raccomandava che una sola persona guidasse la sua missione nel paese. Nel 2020, gli Stati Uniti sono riusciti a imporre una doppia leadership, contro il parere degli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza ONU, prevedendo un emissario a Ginevra, lo slovacco Jan Kubis e un coordinatore, con sede nella capitale libica, il diplomatico dello Zimbabwe Raisedon Zenenga, mentre l’ONU raccomandava di avere un solo emissario, con sede a Tripoli, come avvenuto all’inizio dell’operazione. Durante il dibattito al Consiglio di Sicurezza, la Russia ha duramente insistito sul fatto che qualsiasi ritiro delle truppe straniere dovrebbe essere gestito in modo da non compromettere l’equilibrio di potere in quella nazione, nel quale Mosca si spartisce le aree di influenza con la Turchia. Negli ultimi anni il paese, ricco di petrolio, è stato diviso tra due amministrazioni rivali sostenute da potenze straniere e da una miriade di milizie. L’uomo forte dell’Est libico, Khalifa Haftar, è stato sostenuto dalla Russia (ma non solo). Dopo che le forze di Haftar, nonostante sostenute dai «contractors» della Wagner, sono state contenute, grazie al sostegno turco a quelle di Tripoli, nell’Ovest della Libia lo scorso anno, i due schieramenti hanno firmato un cessate il fuoco a Ginevra nell’ottobre scorso. Un’amministrazione provvisoria è stata istituita nel marzo di quest’anno per preparare le elezioni presidenziali e parlamentari previste il 24 dicembre prossimo; le divisioni sono tuttavia rapidamente riemerse, sollevando preoccupazioni circa la possibilità di svolgere le elezioni nella data prevista. Alla fine si è arrivati a un ennesimo rinnovo tecnico, ma con l’impegno di ridiscutere l’intera architettura della presenza ONU in Libia che è stata rinnovata al prossimo 31 gennaio e le elezioni sono appese a un filo e spostate sinora al 24 gennaio (per tentare di restare nei termini del mandato del Consiglio di Sicurezza). La scelta, di chiaro compromesso, è stata co-
L’inviato speciale delle Nazioni unite per la Libia, Jan Kubis, durante una riunione dei ministri degli Affari esteri della Lega degli Stati Arabi (unsmil. unmissions.org). Il generale e politico libico Khalifa Haftar (reuters.com).
munque aiutata dall’ennesimo fallimento dei colloqui tra le due fazioni libiche, tenuti a Rabat alla fine di settembre, dove le divisioni sulle modalità della legge elettorale sono state profondissime.
MINUSCA, l’ONU rimpatria le truppe del Gabon
Le Nazioni unite hanno annunciato per metà settembre che tutte le unità militari del Gabon schierate nella forza di mantenimento della pace nella Repubblica Centrafricana, MINUSCA, saranno rinviate nel loro paese quanto prima. Questo a seguito di rapporti credibili secondo cui diversi «caschi blu», non identificati individualmente ma certamente appartenenti al GabBatt avevano abusato di cinque ragazze. La MINUSCA ha affermato che una squadra di investigatori ha operato per valutare la situazione, stabilire misure di prevenzione e sensibilizzare le comunità su come denunciare lo sfruttamento e gli abusi sessuali. A causa della gravità di queste ultime accuse, il Segretariato delle Nazioni unite ha preso la decisione di rimpatriare l’intero contingente gabonese della MINUSCA. Una settimana prima, il Segretariato delle Nazioni unite aveva chiesto alle autorità del Gabon di nominare un investigatore nazionale entro una settimana e che l’indagine si concludesse in meno di 90 giorni, aggiungendo che l’ufficio Affari interni dell’ONU aveva aperto un’indagine e che era disposto ad assistere le autorità gabonesi in questo caso. Al di là del linguaggio diplomatico dell’ONU, il caso è talmente grave che ha portato l’organizzazione a chiedere il rimpatrio di tutto un contingente, un fatto estremamente raro e che viene adottato in circostanze estreme.
Indo-Pacifico: Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Francia
Sull’accordo tra Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna per l’acquisto da parte della Royal Australian Navy di sottomarini nucleari d’attacco e la conseguente cancellazione del contratto con un gruppo industriale francese per l’acquisizione di sottomarini a propulsione convenzionale, sono state riportate molte inesattezze. Forse sarebbe utile cercare di vedere le cose secondo la loro complessità e non riducibili a «grida» di qualche opinionista, spesso poco informato delle dinamiche strategiche e militari. La Francia è l’unico paese dell’UE presente nella regione dell’Indo-Pacifico, in particolare attraverso l’Isola della Riunione, Mayotte, la Polinesia francese e la Nuova Caledonia e altri piccoli scogli disabitati (Tromelin, Isole Sparse, Bassas da Europa). Si noti che solo Polinesia e Nuova Caledonia insieme rappresentano i 2/3 della ZEE (Zona Economica Esclusiva) francese a livello globale. Questa rilevanza geografica, tuttavia, non si accompagna, per ragioni comuni a molte nazioni euro atlantiche, a una significativa presenza militare francese e di conseguenza al mantenimento di uno status di potenza globale, che Parigi dice di avere e voler mantenere. Negli ultimi anni, e nonostante il loro contributo alle principali funzioni strategiche nazionali, le cosiddette forze di sovranità, definite in questa maniera perché assegnate ai dipartimenti e ai territori oltreoceano, hanno visto ridursi il loro formato e capacità a seguito della professionalizzazione delle Forze armate con la loro conseguente contrazione numerica, avvenuta tra il 1995 e il 2001, e della revisione generale delle politiche pubbliche (RGPP), condotta da diversi governi e presidenti tra il tra il 2007 e il 2013. Queste forze hanno pagato un prezzo pesantissimo in termini quantitativi e qualitativi. In uno scacchiere come quello dell’Indo-Pacifico chiaramente la dimensione aeronavale è fondamentale, ma nella presentazione della strategia per l’Indo-Pacifico pubblicata dall’Eliseo, si specifica che gli assetti schierati in Nuova Caledonia e Polinesia francese sono costituiti da sette navi, nove aerei e sette elicotteri, per un totale di meno di 3.000 tra marinai e avieri (senza contare le forze di terra limitate a tre battaglioni delle truppe di Marina, di cui uno ridotto di paracadutisti e un piccolo distaccamento della legione straniera). Ma, questo documento ignora le reali capacità di queste forze di sovranità, seppure assai ridotte. Così, mentre ormai da diversi anni si parla di militarizzazione della regione indo-pacifica, con budget militari in costante aumento in Cina, Australia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, India, Indonesia, Vietnam, si affermava, a Parigi, che l’armamento principale di una nave francese in questa regione era la sua bandiera. Il che è senza dubbio vero per i pescatori o trafficanti illegali, ma lo è assai meno per nazioni con intenzioni aggressive. In dettaglio, le forze francesi in Nuova Caledonia dispongono di una fregata di sorveglianza e due pattugliatori, ma senza capacità antisommergibili. Nella Polinesia francese, la situazione è
identica, con una fregata, due pattugliatori (di cui uno della gendarmeria). Per quanto riguarda la capacità aerea, vi sono quattro aerei da trasporto tattico (del tipo CN235), cinque elicotteri e cinque velivoli di sorveglianza marittima Falcon 200 «Guardian», il cui ritiro del servizio era stato pianificato già nel 2015, ma che per ragioni di bilancio sono ancora operativi. Ovviamente, tali capacità, poco più che simboliche sarebbero rafforzate, in caso di necessità, dalla Francia metropolitana, come è avvenuto con le operazioni «Pitch Black», «Pegasus» ed «Heifara Wakea», condotte tra il 2018 e il 2021 dalle Forze aeree con lo schieramento di velivoli «Rafale» in Australia e Polinesia, o con lo schieramento del gruppo d’attacco della portaerei Charles de Gaulle nel 2019 e con quello del sottomarino d’attacco nucleare Émeraude, accompagnato dall’unità di sostegno Seine, l’anno scorso. Ma, tali
missioni non sono ricorrenti e in ogni caso richiedono tempo per giungere in area. Per fare fronte a questi problemi, il Capo di Stato Maggiore della Marina francese, l’ammiraglio Pierre Vandier, aveva avanzato l’idea di preposizionare permanentemente assetti nella zona, emulando le scelte statunitensi e britanniche, re-militarizzando la presenza di Parigi nell’Indo-Pacifico. E ha sottolineato l’importanza e la necessità dello scambio con gli alleati in termini di intelligence, guerra elettronica, guerra antisommergibile, connessioni di sistemi d’arma. E si devono sostituire le fregate di sorveglianza nella regione dell’Indo-Pacifico, le cui capacità non sono al livello delle sfide e delle minacce. Ma con la Marine Nationale che dispone di meno di 20 fregate d’altura, cinque SSN e una sola portaerei, il margine di manovra è strettissimo; navi e personale sono al limite delle capacità. Questa situazione, anche se è chiaramente sgradevole per Parigi, che pure resta uno dei pochi paesi europei della NATO che ha un bilancio della difesa in linea con gli standard dell’Alleanza, fa comprendere perché’ Canberra, Londra e Washington non hanno ritenuto opportuno associare la Francia all’alleanza AUKUS per la regione Indo-Pacifico. Inoltre, esiste una pesante ipoteca di natura politica sulla presenza francese nell’area. Infatti, alla fine dell’anno, pandemia permettendo, dovrà tenersi il terzo e ultimo referendum di autodeterminazione per la Nuova Caledonia, secondo i termini dell’Accordo di Palazzo Matignon del 1988. Qualora la mozione per l’indipendenza prevalesse (nel secondo referendum, questa si è avvicinata alla soglia della maggioranza), per Parigi si aprirebbero scenari ancora più difficili e con il rischio di sgranamento della sua presenza nella regione, cui sarebbe interessata successivamente anche la Polinesia, dove esiste un movimento indipendentista, e dove, come in Nuova Caledonia, i territori non autonomi sono considerati non autonomi da parte delle Nazioni unite e quindi con tutti i diritti per cercare di ottenere l’indipendenza con mezzi pacifici. Una opzione simile è vista, ovviamente, con grande interesse da Pechino che cerca di inserirsi anche in quell’area (la Nuova Caledonia ha grandi disponibilità’ di nichel) e con altrettanta preoccupazione di Stati Uniti e Australia, che vedono con simile timore l’approssimarsi dell’indipendenza dell’isola di Bougainville, che nel 2023 dovrà finalizzare il suo processo di separazione da Papua-Nuova Guinea. Tornando agli strali mediatici della crisi francoaustraliana, bisogna dire, come accennato da anni oramai, che Canberra è impegnata in un programma di rafforzamento militare dove la presenza di sistemi d’arma francesi nel suo arsenale si sta attenuando e dove è in corso un deciso avvicinamento agli Stati Uniti, con cui l’Australia considera l’opzione di condurre operazioni congiunte cercando di conseguire la maggiore interoperabilità possibile (testimoniata dalla grande esercitazione multilaterale «Talisman Sabre 2021» tenutasi nel luglio scorso). Dal 2011 esiste la MRF-D (Marine Rotational Force-Darwin), una Air-Ground Task Force, schierata tra la Robertson Barracks e la base della RAAF di Darwin. Al momento della sostituzione della flotta di carri «Leopard I», invece di acquisire i «Leopard II», sono
Stati Uniti e Regno Unito doteranno l’Australia di sottomarini a propulsione nucleare: l’annuncio, in diretta tv, col premier australiano Scott Morrison (s) e quello inglese Boris Johnson (d), collegati alla Casa Bianca (repubblica.it).
stati scelti gli «Abrams» (e proprio quest’anno se ne prevede il triplicamento). Gli elicotteri d’attacco francesi «Tigre», entrati in servizio appena pochi anni fa, non sono mai stati apprezzati dall’Army Aviation e sono in via di sostituzione con «Apache». Le Forze aeree si standardizzeranno su F-35 «Lighting II» e «Hornet» avanzati. Le forze da pattugliamento marittimo stanno acquisendo i velivoli «Poseidon»; le unità maggiori di superficie, anche se di progetto spagnolo, in realtà sono copie di unità dei destroyer classe «Aegis» statunitensi, e le due portaelicotteri avranno a bordo F-35 in versione navale.
Equilibri precari in Bosnia
Il rappresentante serbo della presidenza bosniaca, Milorad Dodik, ha reso noto che la repubblica serba, componente della federazione di Sarajevo, sta avviando i piani per la ricostituzione delle Forze armate della Repubblica, dando un altro colpo alla fragile architettura degli Accordi di Dayton. Il rappresentante croato della presidenza, Zeljko Komsic, ha subito risposto, descrivendo l’iniziativa come un «atto criminale di ribellione». «Ritireremo il consenso per l’Esercito (congiunto)» in un voto nel parlamento della Republika Srpska, ha affermato il leader serbo-bosniaco Dodik, noto radicale che ha sempre avversato l’architettura di Dayton, come una finzione punitiva dell’identità serba. I serbo-bosniaci sono determinati a formare il proprio Esercito. In una mossa che potrebbe aumentare ulteriormente le tensioni nella regione dopo il boicottaggio delle principali istituzioni politiche del paese balcanico da parte dei serbi, in corso oramai da luglio, Dodik ha dichiarato che la decisione disporrà di tutti i crismi della legalità, in quanto sarà votata dal parlamento serbo-bosniaco, e prenderà corpo prima della fine dell’anno. La presidenza congiunta della Bosnia comprende tre membri — serbi ortodossi, croati cattolici e musulmani bosniaci — e dirige direttamente le Forze armate del paese. Dalla fine del conflitto nei Balcani nel 1995, che ha causato circa 100.000 vittime, la Bosnia è composta da due entità semi-indipendenti: la Republika Srpska gestita dai serbi e la Federazione croato-musulmana (a sua volta scossa da pericolose tensioni tra le due componenti, con i croati di Erzegovina, che nonostante le dichiarazioni di Komsic, hanno lo stesso obiettivo di separazione), collegate da istituzioni centrali, tra cui una presidenza e un Esercito congiunto che comprende circa 10.000 soldati e personale civile. In realtà, la formazione di una Forza armata nazionale non significa la costituzione di una nuova entità militare, ma semplicemente il ritiro dalle forze federali della brigata serba esistente. La formazione di Forze armate «nazionali» è stata vista come un passo pericoloso da parte di Dodik, che ha spesso sfidato le altre componenti bosniache, l’ONU, la NATO e l’UE, garanti della situazione attuale. Dodik ha sempre richiesto la secessione della Republika Srpska, affermando che la Bosnia uscita da Dayton era un esperi-
mento fallito della comunità internazionale e un paese «impossibile, diviso nella realtà e unito a forza». Da luglio, i serbo-bosniaci boicottano le principali istituzioni politiche del paese per protestare contro il divieto di negare il genocidio, imposto dall’allora inviato della comunità internazionale nel paese, l’austriaco Valentin Inzko. Il successore di Inzko, il diplomatico tedesco Christian Schmidt, ha ampi poteri esecutivi che gli consentono di imporre leggi, licenziare funzionari e deporre eletti. I tribunali in-
Zeljko Komsic, rappresentante croato della presidenza bosniaca (laregione.ch) e, sopra, il rappresentante serbo, Milorad Dodik (rtvbn-com).
ternazionali hanno accertato che il massacro di Srebrenica del 1995, di oltre 8.000 musulmani da parte delle forze serbo-bosniache, fu un genocidio. Ma, i leader serbi negano che l’atrocità sia stata un genocidio, definendolo invece un «grave crimine». All’inizio di questo mese, la Serbia (quella di Belgrado, guidata da un altro nazionalista radicale Aleksandar Vučić) ha chiesto a tutti i serbi di etnia nei Balcani di unirsi sotto un’unica bandiera, provocando disagio tra i suoi vicini decenni dopo che appelli simili hanno portato al conflitto negli anni Novanta. È da osservare il tempismo della dichiarazione di Dodik, che ha alzato ancora di più i suoi già esagitati toni, in concomitanza con la pericolosa escalation tra le comunità albanese e serba in Kosovo, che ha messo in allerta la K-FOR.
Presenza russa in Mali
Il ministro delle Forze armate francese Florence Parly è arrivata a metà mese in Niger, per una visita di due giorni ai suoi alleati nella regione del Sahel, dove le operazioni militari della Francia contro i gruppi islamisti sono minacciate dai colloqui del Mali per l’ingaggio di mercenari russi. La Francia, sostenuta dagli Stati Uniti (che alcuni vedono come una manovra compensativa dopo la vicenda dei sottomarini australiani) ha lanciato una massiccia campagna diplomatica per contrastare questo progetto, sostenendo che un simile accordo sarebbe «incompatibile» con il mantenimento della presenza militare francese. Anche il blocco regionale dell’Africa occidentale, ECOWAS, ha espresso preoccupazioni. Ma, la giunta malese mantiene le sue posizioni, rilevando che la Francia ha iniziato a ridurre il suo impegno militare nella lotta contro gli insorti legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico nella regione, e asserendo di sentirsi abbandonata. Il ministero degli Esteri del Mali ha descritto come inaccettabili, ostili e condiscendenti con la Francia le obiezioni del Niger alla prospettiva di un accordo con Wagner. Pochi giorni prima Parigi aveva dichiarato di aver eliminato il leader del gruppo dello Stato Islamico nel Grande Sahara nel nord del Mali, anche se trova comunque più difficile trattare con la giunta che con i precedenti governi civili. Una fonte del ministero francese delle Forze armate ha affermato che Florence Parly avrebbe discusso dei piani di Parigi per riconfigurare le sue operazioni con i paesi della regione, che avrebbe avvertito delle conseguenze se il Mali si fosse assicurato i servizi della Wagner e che avrebbe sottolineato l’importanza che la giunta organizzasse elezioni democratiche il prossimo febbraio, come promesso. Secondo fonti di Parigi, le Forze armate francesi hanno iniziato a ridispiegare gli elementi dell’operazione «Barkhane» dal nord del Mali, all’inizio di questo mese. La Francia desidera completare la riconfigurazione del suo impegno militare nel Sahel entro gennaio, intendendo ridurre il suo contingente dai circa 5.000 uomini attuali a 2.500-3.000, trasferendo più assetti in Niger e incoraggiando la forza speciale europea «Takuba» (che comprende attualmente circa 600 soldati provenienti da nove paesi e che dovrebbe accrescersi ulteriormente con l’arrivo di forze speciali ungheresi e italiane) a lavorare a fianco delle forze locali. In una prospettiva più ampia, il G5-Shael, un’alleanza di per sé fragile, con l’ultimo colpo di Stato in Mali, sembra aver ricevuto un altro duro attacco e la forza multinazionale, il suo braccio operativo, è gravemente indebolito per il ritiro delle forze del Chad dalla coalizione regionale. In questo spazio, con un tempismo rimarchevole si sarebbe inserita la Russia che cercherà di ampliare il suo raggio di azione e influenza, smagliando ulteriormente quella francese e di riflesso quella occidentale, atlantica, europea e statunitense. Da settimane, se non da mesi, diverse voci hanno segnalato l’ambiguità che si osserva attorno al secondo colpo di Stato del Mali, che ha bloccato un incerto processo di normalizzazione civile. Lo stesso ministro della Difesa di Praga (la Repubblica Ceca partecipa con un importante contingente alla forza «Takuba») ha duramente attaccato Mosca per la incessante campagna sui social media del Mali contro la presenza francese ed europea. Tale timore si è poi espresso con una massiccia manifestazione popolare a Bamako, contro la presenza della «Barkhane», la forza ONU (MINUSMA), la missione EUTM, la «Takuba» e la forza G5Shael. Ma questo, in ultima analisi risale alle contraddizioni di Parigi, dove il presidente Macron, diversi ministri e vertici militari, da mesi rilasciano dichiarazioni poco chiare e contraddittorie, lasciando intravedere un’incertezza di fondo sulle scelte da compiere. Per la Francia, la presenza dei «contractors» della Wagner anche in Mali rappresenta un incubo, e ripropone gli scenari in corso nella Repubblica Centro Africana, dove Bangui si sta spostando nell’area di influenza di Mosca.
Enrico Magnani
ARABIA SAUDITA
Prime prove a mare per la corvetta Al Jubail (828)
Il gruppo spagnolo Navantia ha annunciato, all’inizio di settembre, che la corvetta Al Jubail (828), unità eponima della classe di cinque unità per la Marina saudita (RSNF, Royal Saudi Naval Forces) ha iniziato le prove in mare nelle acque della Baia di Cadice per verificare il corretto funzionamento di tutti i suoi sistemi, in vista della consegna nel primo trimestre del 2022. Le prove richiederanno complessivamente due mesi, divisi in due distinti periodi, di cui l’attuale durerà circa due settimane. Vi partecipano circa 140 persone, tra cui circa 40 ingegneri di diverse specialità. Le prove sono gestite secondo Navantia dallo stesso gruppo cantieristico, industrie partner, Lloyds Register of Shipping e le principali aziende fornitrici del programma. Allo stesso modo, RSNF e personale della Marina spagnola partecipano per conto del committente. Queste prime attività in mare sono destinate alle prove di piattaforma e del sistema propulsivo e, soltanto successivamente alle medesime, secondo quanto affermato dallo stesso gruppo, l’unità avrà il sistema di combattimento installato, prima della consegna. Varata nel luglio 2020, è previsto che la corvetta Al Jubail venga consegnata alla RSNF entro cinque mesi dall’inizio delle prove in mare.
La corvetta AL JUBAIL (828), unità eponima della classe di cinque unità
per la Marina saudita (RSNF, Royal Saudi Naval Forces) ha iniziato le prove in mare in vista della consegna nel primo trimestre 2022 (Navantia). ARGENTINA
Varo dell’OPV Contraalmirante Cordero (54)
L’ultimo dei quattro OPV 87 in fase di fornitura da parte di Naval Group alla Marina argentina, è stato varato il 21 settembre presso i cantieri Concarneau da parte della joint venture Kership fra i cantieri Piriou e Naval Group. La consegna dell’unità alla Marina argentina è prevista per aprile 2022.
AUSTRALIA
Consegnato l’AOR Stalwart (III)
Secondo quanto dichiarato da Navantia, il Dipartimento della Difesa australiano ha firmato il certificato di accettazione del rifornitore di squadra (AOR, Auxiliary Oiler Replenisher) Stalwart (III). Si tratta del secondo AOR commissionato e costruito da Navantia in Spagna per la Royal Australian Navy e destinato a entrare in servizio per quest’ultima il prossimo 13 novembre. Varata il 30 agosto 2019 presso i cantieri Navantia di Ferrol, l’unità è partita dalla Spagna il 20 maggio di quest’anno e si è diretta a Perth, dove è arrivata il 21 giugno, secondo il programma previsto. Nonostante le condizioni associate al Covid, in circa due mesi, un team di 26 persone appartenenti al cantiere spagnolo di Ferrol ha lavorato a Perth, Western Australia, per eseguire i lavori di allestimento finale e attività manutentiva per supportare le prove in mare, che si sono completate il 22 agosto con le verifiche legate al sistema di combattimento, comunicazioni e navigazione. In concomitanza con la formalizzazione dell’accettazione della nave il 30 agosto, il Dipartimento della Difesa australiano e Navantia hanno anche firmato un contratto per l’estensione dei servizi di custodia e manutenzione fino al 30 settembre 2021. Tale accordo dà continuità alla linea di lavoro sviluppata da Navantia durante il processo di allestimento ed è finalizzata a fornire supporto durante il processo di transizione prima del trasferimento della nave alla Royal Australian Navy. Questa estensione includerà anche servizi di formazione e familiarizzazione per il personale. A tutto questo va aggiunto il supporto al ciclo di vita della nave per un periodo di 5 anni.
Il Dipartimento della Difesa australiano ha firmato il certificato di accettazione
del rifornitore di squadra (AOR, Auxiliary Oiler Replenisher) STALWART (III),
in vista dell’entrata in servizio a novembre 2021 (Navantia).
Sottomarini a propulsione nucleare per la RAN …
Il 16 settembre, il primo ministro australiano Scott Morrison, il presidente americano Joe Biden e il primo ministro inglese Boris Johnson, hanno annunciato di aver firmato una nuova partnership trilaterale nel settore della sicurezza meglio conosciuta come AUKUS (Australia, UK, US). La principale iniziativa nell’ambito di tale accordo è stata l’annuncio dell’acquisizione di almeno otto sottomarini a propulsione nucleare da parte australiana. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Primo ministro australiano, il governo locale intende costruire i nuovi battelli presso le infrastrutture cantieristiche di Adelaide, in stretta cooperazione con Gran Bretagna e Stati Uniti. Nei prossimi 18 mesi, l’Australia lavorerà insieme agli altri due partner per verificare quale sia la migliore via per raggiungere tale obiettivo. Il Dipartimento della Difesa australiano al riguardo ha istituito un’apposita task force per valutare tutte le attività che devono essere portate a termine in loco per soddisfare tale necessità. Il Primo ministro ha specificato che l’Australia non intende dotarsi di armamento nucleare o stabilire una capacità nucleare civile, mantenendo le proprie obbligazioni di non proliferazione in questo settore. In occasione dell’annuncio e del successivo comunicato stampa, è stato sottolineato che: «Tale annuncio significa che il governo australiano non procederà più con il programma di acquisizione dei sottomarini a propulsione convenzionale classe “Attack”». Il governo ha ringraziato la forza lavoro dei sottomarini della classe «Attack», Naval Group, il governo francese e Lockheed Martin Australia per i loro sforzi, fino a oggi. «Tuttavia, l’accelerazione dei cambiamenti alla sicurezza regionale renderà i sottomarini convenzionali inadatti alle nostre esigenze operative nei decenni a venire», ha affermato Morrison. Il governo di Canberra lavorerà attivamente con l’industria per garantire che le persone e le competenze sviluppate nell’ambito del programma esistente non vadano perse mentre lancia un nuovo programma per supportare la consegna di sottomarini a propulsione nucleare alla Marina. Sebbene la partnership istituzionale con il governo francese e contrattuale con Naval Group «avrebbe portato al sottomarino convenzionale più capace e letale mai costruito», la decisione del governo australiano ha rappresentato, per quello francese, un grave colpo alle relazioni fra i due paesi da parte di un alleato come l’Australia, tutto ciò mentre lo stesso Naval Group riceveva nello stesso giorno la comunicazione da parte del Dipartimento della Difesa australiano che il programma sarebbe passato a una fase successiva, secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato e presidente del Gruppo.
… nuovi sistemi d’arma a lungo raggio per le F.A. australiane
Nell’ambito dell’annuncio dell’accordo trilaterale AUKUS, il Primo ministro australiano ha annunciato che la nazione acquisirà rapidamente capacità di attacco a lungo raggio per migliorare la capacità dell’ADF (Australian Defence Force) di attacco dell’ADF nei tre domini.
Il DoD acquisterà missili da crociera «Tomahawk», da schierare sui nuovi caccia lanciamissili classe «Hobart», consentendo di colpire obiettivi terrestri a più estese distanze con maggiore precisione. A questi s’aggiungono i missili JASSM ER (Joint Air-to-Surface Standoff Missiles Extended Range) che consentiranno ai velivoli «F/A-18F Super Hornet» e in futuro ai velivoli «F-35A Lightning II», di colpire bersagli a una distanza di 900 km. Il governo australiano acquisterà anche missili antinave LRASM ER (Long-Range AntiShip Missile) per i velivoli «F/A-18F Super Hornet».
Continuerà anche la collaborazione con gli Stati Uniti per sviluppare missili ipersonici destinati alle Forze aeree australiane mentre le Forze di terra riceveranno missili guidati di precisione, in grado di distruggere, neutralizzare e sopprimere differenti bersagli a oltre 400 km. Il governo australiano accelererà anche l’investimento di un miliardo di dollari per sviluppare una capacità sovrana nel settore dello sviluppo e produzione di sistemi d’arma guidati.
Estensione della vita operativa dei battelli
classe «Collins»
Secondo quanto è emerso con lo stesso annuncio, in attesa che entrino in servizio i nuovi battelli, l’attuale classe di sommergibili classe «Collins» verrà sottoposta a un esteso programma di estensione della vita operativa per assicurarne la continuazione dell’efficacia e l’aggiornamento alle nuove minacce. Tale attività, secondo quanto riportato dal DoD australiano dovrebbe svilupparsi a partire dal 2026 fino oltre il 2040, mentre è emerso che la vita operativa di questi battelli dovrebbe completarsi nel 2048. Nel frattempo, l’attività manutentiva ciclica (Full-Cycle Docking) continuerà a essere condotta presso i cantieri di Osborne. Il primo battello a essere sottoposto all’estensione della vita operativa (LTE, Life-of-Type Extension) sarà l’unità Farncomb che sarà sottoposta ad attività manutentiva ciclica nel 2026.
L’attuale classe di sommergibili classe «Collins» in servizio con la Royal Australian Navy verrà sottoposta a un esteso programma di estensione della vita operativa in attesa dell’entrata in servizio dei nuovi battelli a propulsione nucleare, frutto dell’accordo trilaterale Stati Uniti, Regno Uniti e Australia (Dipartimento della Difesa australiano). Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri DSME di Okpo, l’8 settembre,
è stato celebrato il varo della fregata POHANG (FFG 825), sesta unità
classe «Daegu» tipo «FFX Batch 2» (Ministero della Difesa sudcoreano).
COREA DEL SUD
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri DSME (Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering) di Okpo, l’8 settembre, è stato celebrato il varo della sesta unità classe «Daegu» tipo «FFX Batch 2». Si tratta della fregata Pohang (FFG 825) che è destinata a entrare in servizio nei primi mesi del 2023.
La Corea del Sud lancia il primo SLBM da sottomarino in servizio
L’agenzia per lo sviluppo delle capacità della Difesa della Corea del Sud o ADD (Agency for Defense Development) ha annunciato lo scorso 15 settembre di aver completato con successo il lancio del primo missile balistico da sottomarino (SLBM, Submarine Launched Ballistic Missile) all’interno di un poligono militare, alla presenza del presidente Moon Jae-in e del ministro della Difesa nazionale Suh Wook. In precedenza, solo sei paesi, tra cui Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e India, hanno lanciato con successo un SLBM da un sottomarino, ha dichiarato l’ADD, facendo della Corea del Sud il settimo paese a entrare nel club di quelli dotati di tale capacità. Il KSLBM (Korean SLBM), che è stato identificato dagli analisti come il vettore «Hyunmoo 4-4», è stato lanciato dal sottomarino Dosan Ann Chang-ho, il primo dell’eponima classe da 3.750 tonnellate in immersione,
caratterizzato da sei VLS dietro la falsatorre in aggiunta ai tubi lanciasiluri prodieri, al largo della costa sudcoreana presso Taen, nella provincia meridionale di Chungcheong. Il K-SLBM ha colpito il bersaglio nonostante le condizioni meteorologiche avverse, incluso un tifone in avvicinamento. Il test ha dimostrato tutte le fasi di lancio e volo di un SLBM lanciato da un sottomarino che sfrutta il cosiddetto «lancio a freddo», una tecnologia che consente di accendere il motore del missile dopo aver spinto verticalmente il medesimo fuori dall’acqua, cui fa seguito l’accensione del booster e del motore principale, fino all’ingaggio finale del bersaglio. Un precedente test di iniezione aveva lo scopo di dimostrare solo l’accensione ausiliaria o l’accensione del motore principale ma non il volo completo. Secondo fonti ben informate, l’SLBM lanciato il 15 settembre ha colpito il bersaglio a soltanto circa 400 km di distanza all’interno di un poligono militare per rispettare le normative di sicurezza nazionali e internazionali. «Aumentare le nostre capacità missilistiche può creare una deterrenza definitiva contro le provocazioni nordcoreane», ha affermato il presidente sudcoreano Moon durante il test. L’ADD ha anche affermato di aver sviluppato con successo un «missile balistico ad alta potenza» che ha un carico utile significativamente aumentato, e che permetterà di potenziare le capacità di deterrenza delle Forze armate sudcoreane in tempi di pace.
Svelato nuovo missile antinave supersonico
In occasione dell’annuncio sopra riportato, l’Agenzia sudcoreana per lo sviluppo delle capacità della Difesa (ADD) ha mostrato i video di un nuovo missile antinave supersonico destinato a equipaggiare le nuove unità navali della Marina della Corea del Sud. Dalle immagini divulgate si tratterebbe di un missile da crociera supersonico la cui silhouette richiama quella del missile russo «Yakhont», e secondo diverse fonti sviluppato proprio con la tecnologia russa applicata al medesimo sistema d’arma di design russo. Le immagini si riferiscono al missile lanciato contro un bersaglio navale. Secondo alcuni, il sistema d’arma sarebbe in grado di raggiungere velocità di Mach 2-3. A quanto risulta, il ministero della Difesa sudcoreano starebbe sviluppando versioni diverse di missili supersonici lanciabili rispettivamente da terra e unità di superficie contro bersagli terrestri e navali. Secondo quanto dichiarato da fonti del ministero della Difesa, il missile lanciato da un sito costiero sarebbe in grado di colpire bersagli entro un raggio d’azione fino a 500 km, diventando un’arma A2AD (Anti Access/Area Denial) contro la Marina cinese e i suoi gruppi da battaglia incentrati su portaerei.
Varo del terzo sottomarino tipo «KSS III batch I»
Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Hyundai Heavy Industries (HHI) di Ulsan il 28 settembre, è stato varato il terzo e ultimo battello del programma «KSS III Batch I». Si tratta della prima unità della classe a essere realizzata dai cantieri HHI, in quanto i due precedenti sono stati costruiti dal gruppo DSME. Battezzato Shin Chae-ho, il nuovo battello è destinato a un periodo di prove in mare in vista della sua consegna alla Marina sudcoreana nel 2024, a cui seguirà l’impiego operativo.
Il terzo e ultimo battello del programma «KSS III Batch I», battezzato SHIN CHAE-HO (SS 086), è stato varato presso i cantieri Hyundai Heavy
Industries (HHI) di Ulsan il 28 settembre (HHI).
… assegnato il secondo battello «KSS III batch 2»
Il gruppo DSME ha annunciato il 10 settembre di aver ricevuto un contratto del valore di circa 985 miliardi di won pari a circa 844 milioni di dollari americani dall’agenzia per il procurement della Difesa sudcoreana
(DAPA) per la costruzione, equipaggiamento e fornitura del secondo battello del programma «KSS III Batch II». L’unità verrà realizzata presso il cantiere di Okpo con una consegna prevista per la fine del 2028.
ESTONIA Nuovo sistema d’arma antinave
Il Centro estone per gli investimenti nella Difesa (ECDI) ha firmato un contratto con la società Proteus Advanced Systems Pte. Ltd., una joint venture fra Israel Aerospace Industries Ltd. (IAI) ed ST Engineering Land Systems Ltd. (ST), per dotare le forze di difesa estoni di sistemi missilistici antinave «Blue Spear» («5G SSM»). Prescelto per assicurare una capacità d’attacco superficie-superficie contro bersagli navali attraverso batterie costiere, «questo sistema d’arma migliora sostanzialmente la nostra difesa costiera e invia un messaggio chiaro che stiamo contribuendo allo sforzo di difesa regionale e collettivo. Questo è uno dei sistemi d’arma più complessi e ad alta tecnologia (…) e un enorme balzo in avanti per le forze di difesa estoni», ha dichiarato il ministro della Difesa dell’Estonia, Kalle Laanet. Gli ha fatto eco il comandante della Marina estone, contrammiraglio Jüri Saska, che ha aggiunto: «il sistema d’arma scelto costituirà la pietra angolare della difesa navale estone per i decenni a venire. La Marina estone sarà in grado di contribuire in modo significativo allo sforzo di difesa nazionale, regionale e collettivo». Il sistema missilistico «Blue Spear» è un’arma di precisione avanzata che può operare in tutte le condizioni atmosferiche, giorno e notte e consente capacità di attacco contro bersagli mobili e fissi in mare. La portata massima del missile è di 290 km. I missili «Blue Spear» condividono un patrimonio tecnologico e d’esperienza con il sistema della famiglia di missili «Gabriel» della IAI, che è stato sviluppato nel corso di molti anni. Il sistema «Blue Spear» consente il lancio da diverse piattaforme terrestri con volo a velocità subsonica. Il sistema di guida del missile impiega un seeker attivo e una suite di navigazione integrata basata su INS/GPS immune al disturbo di quest’ultimo sistema. Secondo quanto dichiarato, tali sistemi sono dotati di una varietà di mezzi di inganno per raggiungere la loro missione e far fronte alle diverse sfide sul campo di battaglia.
Il Centro estone per gli investimenti nella difesa (ECDI) ha firmato un
contratto con la società Proteus Advanced Systems, una joint venture fra
Israel Aerospace Industries ed ST Engineering Land Systems (ST), per dotare le forze di difesa estoni di sistemi missilistici antinave «Blue Spear» («5G SSM») per la difesa costiera (Proteus Advanced Systems).
FRANCIA Prove in mare per la prima unità EDA-S
L’unità da sbarco capoclasse EDA-S (Engin de Débarquement Amphibie Standard) Arbaléte ha effettuato le prime prove a mare di compatibilità con l’unità d’assalto anfibio Tonnerre (L 9014) insieme a due unità EDA-R e due CTM nel corso del mese di settembre nelle acque antistanti Tolone. Destinate a rimpiazzare i mezzi da sbarco CTM (Chaland de Transport de Matériel) e ordinate dal ministero della Difesa francese nel 2019 in un numero iniziale di sei esemplari (in totale sono previste 14 unità), le unità EDA-S vengono realizzate da un team industriale capitanato dal gruppo CNIM e comprendente i cantieri Socarenam, il bureau navale Mauric e CNN MCO. Le prime due unità Arbaléte e Arquebuse hanno raggiunto Tolone dove saranno sottoposte a una serie di prove e valutazioni a mare da parte della Marina francese per sei mesi, in vista della messa in servizio in breve tempo. Con uno scafo trimarano e capacità di imbarco e sbarco roll-on/roll-off, le unità EDA-S sono state specificamente progettate per trasportare
la famiglia di veicoli «Scorpion», «Griffon», «Jaguar», «Serval», i carri armati tipo «Leclerc» dell’Esercito francese e in via alternativa personale e materiali vari, nonché operare dal bacino allagabile delle unità d’assalto anfibio classe «Mistral». Capace di trasportare fino a 65 t di carico nominale ed eventualmente massimo di 80 t, le unità EDA-S sono in grado di raggiungere una velocità massima di 16 nodi e operare in acque molto basse con un pescaggio di 1,2 metri a pieno carico. L’EDA-S è pienamente compatibile con i bacini allagabili di altre unità navali della NATO come quelle dell’US Navy classe «San Antonio» r» e derivate, in servizio con la Marina indonesiana, filippina, peruviana e del Myanmar.
L’unità da sbarco capoclasse EDA-S (Engin de Débarquement Amphibie Standard) ARBALETE ha effettuato le prime prove a mare di compatibilità con l’unità d’assalto anfibio TONNERRE (L 9014) nel corso del mese di
settembre (Giorgio Arra).
Leonardo fornirà supporto ai sistemi d’arma Super Rapido
Leonardo fornirà supporto logistico e servizi di manutenzione per i sistemi d’arma «OTO 76/62 Super Rapido» attualmente in dotazione ai caccia lanciamissili classe «Orizzonte», alle fregate classe «Aquitaine» tipo FREMM(Fregate Europee Multi Missione) e alle fregate di nuova generazione FDI(Fregates de Defense et d’Intervention) dellaMarine Nationale. Le attività saranno eseguite nell’arco di dieci anni e rientrano in un accordo quadro che rappresenta un’estensione del precedente contratto di manutenzione relativo alla sola classe «Orizzonte». Nel dettaglio, sono incluse la gestione, configurazione, fornitura di parti di ricambio, ingegneria di campo e l’aggiornamento della documentazione di ventidue sistemi «OTO 76/62 SR», il sistema d’arma navale di medio calibro di Leonardo oggi in servizio in oltre 50 paesi in tutto il mondo. Leonardo fornirà, inoltre, un corso di formazione e addestramento per il personale della Marine Nationale. Il supporto logistico potrà essere esteso in relazione alle esigenze del cliente e potrà comprendere anche l’aggiornamento dei sistemi, la fornitura di ulteriori attrezzature e diversi altri servizi di assistenza. Nel contratto sono, inoltre, incluse le attività tecniche di revisione generale, collaudo e allineamento di 11 sistemi che verranno affidate all’arsenale della Marina Militare italiana e al Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN) della Spezia, consolidando ulteriormente il rapporto tra Leonardo, la Marina Militare e la Marine Nationale, in un’ottica di sempre maggior cooperazione europea.
Il gruppo Leonardo fornirà supporto logistico e servizi di manutenzione per i sistemi d’arma «OTO 76/62 Super Rapido» attualmente in dotazione alle unità dellaMarine Nationale, fra cui le fregate classe «Aquitaine», di cui è qui ripresa la NORMANDIE (D 651) - (Marine Nationale).
GERMANIA Nuovi sistemi radar a lungo raggio per le fregate tipo «F 124»
Nell’ambito del programma di ammodernamento delle unità classe «Sachsen» (F 124) e con l’obiettivo di espandere le proprie capacità di difesa contro missili balistici e nuove minacce su mare e terra nell’ambito del progetto di difesa nazionale integrata, il 23 agosto, l’Ufficio federale per l’equipaggiamento, la tecnologia e l’impiego dell’informazione della Bundeswehr (BAAINBw) ha firmato un contratto con il gruppo Hensoldt per la produzione, fornitura e installazione di quattro sistemi radar a lungo raggio a bordo delle fregate citate, con un contratto del valore
di circa 220 milioni di euro. Il contratto prevede anche servizi di formazione e di supporto; secondo le informazioni divulgate, il gruppo Hensoldt fornirà i nuovi radar a lungo raggio per la sorveglianza aerea e marittima del tipo «TRS-4D/LR ROT», che andranno a sostituire i sistemi «SMART-L» a partire dal 2025. I nuovi radar si basano sul progetto e la tecnologia sviluppata dalla società israeliana Elta del gruppo IAI, con cui il gruppo tedesco ha siglato un accordo di collaborazione che ha già visto assegnare un contratto con l’Aeronautica tedesca per la versione da sorveglianza aerea e missilistica basata a terra su postazioni fisse del medesimo radar prescelto per la Marina tedesca. Con il sistema «TRS-4D/LR ROT», completamente digitale e che sfrutta la tecnologia e l’architettura d’antenna AESA sviluppata da Elta per i sistemi in servizio e destinati alle Forze armate israeliane, quelle indiane e altri operatori non meglio specificati, le Forze armate tedesche disporranno di nuovi sensori con capacità di rilevamento e tracciamento di missili balistici. Le tecnologie applicate alla famiglia di sistemi «TRS-4D/LR ROT» consentono una localizzazione precisa di oggetti particolarmente piccoli e manovrieri con una portata di oltre 400 km per bersagli aerei e fino a 2.000 km per oggetti in orbita terrestre. Secondo i piani attuali, il retrofit delle navi inizierà nel 2024 e dovrebbe essere completato entro il 2028. Oltre ai tre radar per l’installazione a bordo di altrettante fregate, un altro sistema sarà installato nella struttura di riferimento e di addestramento per i test presso la scuola di Parow dal 2023. Oltre alla formazione pratica, sarà possibile testare gli aggiornamenti del sistema radar prima che vengano implementati a bordo.
Nell’ambito del programma di ammodernamento delle unità classe «Sachsen» (F 124), il BAAINBw ha assegnato al team industriale capitanato dal gruppo Hensoldt insieme all’israeliana Elta/IAI un contratto per la fornitura di quattro nuovi radar a lunga portata per la difesa aerea e contro missili balistici (Hensoldt/IAI). Il gruppo Boeing ha annunciato il 28 settembre di aver ricevuto dall’US Navy un contratto per la fornitura di 5 velivoli ASuW/ASW «P-8A Poseidon» destinati alla Marina tedesca (Boeing).
Contratto per i primi velivoli P-8A Poseidon
Il Gruppo ha annunciato, il 28 settembre, di aver ricevuto un contratto di fornitura per 5 velivoli «P8A Poseidon» destinati alla Marina tedesca. Le prime consegne è previsto che inizino nel 2024 quando i nuovi aerei andranno a rimpiazzare la componente di velivoli ASuW/ASW «P-3C Orion». L’assegnazione
del contratto è stata preceduta lo scorso 23 giugno dall’approvazione e dall’assegnazione fondi da parte del parlamento tedesco, seguita dalla firma della lettera d’offerta e accettazione attraverso i canali FMS (Foreign Military Sale). Il programma vede il coinvolgimento dell’industria tedesca: lo scorso giugno, Boeing ha firmato accordi con le società ESG Elektroniksystem-und Logistik-GmbH e Lufthansa Technik AG, per collaborare all’integrazione dei sistemi, alla formazione e al lavoro di supporto per assicurare un’elevata disponibilità a favore delle missioni delle Marina tedesca. Le aziende tedesche che attualmente forniscono parti per il «P-8A» includono Aircraft Philipp Group GmbH, Aljo Aluminium-Bau Jonuscheit GmbH e Nord-Micro GmbH.
GIAPPONE Velivolo F-35B effettua test a bordo della
portaelicotteri Izumo (DDH 183)
A seguito delle decisioni del governo giapponese d’imbarcare i velivoli «F-35 Lightning II nella versione STVOL (Short Take-Off Vertical Landing) a bordo dei due cacciatorpediniere portaelicotteri classe «Izumo» della JMSDF (Japan Maritime Self Defense Force), e dei successivi lavori di modifica del ponte di volo e dell’equipaggiamento dell’unità capoclasse, nel periodo 3-7 ottobre un velivolo del Corpo statunitense dei Marine ha effettuato attività di appontaggio e decollo dall’unità per le verifiche iniziali d’integrazione. Ciò in preparazione del futuro imbarco del velivolo STOVL dopo che il governo ha deciso per l’acquisizione di 42 «F-35B» e per le relative modifiche alle due unità classe «Izumo». Secondo le disponibilità offerte dai recenti budget per la difesa giapponese, sono già state acquistate otto macchine a cui s’aggiungono ulteriori quattro velivoli richieste con il budget per l’esercizio finanziario 2022. La portaelicotteri Izumo è ritornata in servizio lo scorso 25 giugno, dopo 15 mesi di lavori al ponte di volo in contemporanea ad attività manutentive programmate svolte presso i cantieri JMU (Japan Marine United). Queste ultime hanno riguardato la prima fase di modifiche principalmente legate all’approntamento del ponte di volo e relativi spazi limitrofi oltre a equipaggiamenti di bordo, mentre la seconda fase è previsto che si svolga durante il 2024. I lavori riguarderanno l’ampliamento del ponte di volo nella parte prodiera attualmente di forma trapezoidale ma destinato ad acquistare una forma rettangolare per guadagnare spazi per la pista di decollo e gestione dei velivoli sul ponte. Anche l’unità gemella Kaga (DDH 184), a partire dalla fine dell’anno, sarà sottoposta ai lavori, che saranno effettuati con un’unica sosta grazie ai fondi allocati nel budget dell’esercizio 2021.
A seguito della decisione del governo giapponese d’imbarcare i velivoli STOVL «F-35B Lightning II» a bordo delle due portaelicotteri classe «Izumo» della JMSDF (Japan Maritime Self Defense Force), un velivolo del Corpo dei Marine americano ha effettuato le prime prove a bordo della capoclasse (Ministero della Difesa giapponese/JMSDF). La JMSDF prova i primi USV
Alla fine del mese di agosto sono circolate le prime immagini delle prove del nuovo veicolo di superficie a pilotaggio remoto (USV, Unmanned Surface Vehicle) in fase di sviluppo per la JMSDF. Realizzato dalla società JMU (Japan Marine United) Defense Systems, il nuovo USV è destinato a essere impiegato a bordo delle fregate classe «Mogami». L’USV sarà utilizzato insieme all’UUV (Unmanned Underwater Vehicle) «OZZ-5» sviluppato e prodotto da Mitsubishi Heavy Industries (MHI). L’UUV verrà lanciato dalle unità classe «Mogami» insieme all’USV e seguirà un percorso prestabilito per perlustrare un’area marina dove si stima l’esistenza di mine. Il ruolo dell’USV è quello di supportare le ricerche subacquee dell’«OZZ-5», acquisendo dalla superficie i dati acquisiti dal sonar dell’«OZZ-5» in tempo reale tramite modem acustici e trasmettere questi dati alle unità classe «Mogami» mediante link radio. Questi dati subacquei acquisiti verranno elaborati a bordo delle unità classe «Mogami», per confermare l’esistenza di mine. Nel caso positivo, gli USV verranno utilizzati per la neutralizzazione delle mine attraverso un sistema per la creazione di campi magnetici e/o di sistemi acustici oppure attraverso sistemi di neutralizzazione spendibili.
GRAN BRETAGNA Taglio della prima lamiera per la prima «Type 31»
Con una cerimonia tenutasi il 23 settembre presso il cantiere di Rosyth del gruppo Babcock in Scozia, alla presenza del segretario di Stato alla Difesa e re-
Con una cerimonia tenutasi il 23 settembre presso il cantiere di Rosyth del gruppo Babcock, è stato celebrato il taglio della prima lamiera della
fregata general purpose Type 31 VENTURER, prima della nuova classe
«Inspiration» (Babcock International).
sponsabile del programma di costruzioni navali nazionale Ben Wallace, è stato celebrato il taglio della prima lamiera della fregata general purpose Venturer prima della nuova classe «Inspiration». Si tratta della prima di cinque fregate «Type 31» che andranno a rimpiazzare le altrettante «Type 23» in configurazione general purpose. L’intera classe di fregate «Type 31» è destinata alla consegna per la fine del 2028, per entrare in servizio alla fine del 2030, dopo che l’unità capoclasse sarà varata nel 2023.
Dichiarata operativa la portaerei Prince of Wales (R 09)
Dopo due anni d’intensa attività preparatoria e addestrativa, la portaerei convenzionale Prince of Wales in servizio per la Royal Navy dal dicembre 2019, è stata dichiarata operativa con un comunicato emesso dalla Marina britannica all’inizio del mese di ottobre. Si tratta della prima portaerei della Royal Navy a imbarcare e testare l’impiego di droni, il primo dei quali, un bersaglio «Banshee Jet 80+» della QinetiQ è stato lanciato da bordo per verificare l’integrazione del sistema con le operazioni aeree della piattaforma e assicurare una capacità addestrativa e valutativa dell’unità e della Flotta della Royal Navy.
Procede il programma Fleet Solid Support (FSS)
Il ministero della Difesa britannico ha annunciato all’inizio di settembre di aver assegnato un contratto a ciascuno dei quattro consorzi industriali selezionati affinché sviluppino il proprio design nell’ambito della gara per l’acquisizione di tre unità per il supporto della Flotta o Fleet Solid Support (FSS) destinate alla Royal Fleet Auxiliary e alla Royal Navy. Si tratta dei consorzi capitanati dalla società Larsen & Toubro, che include la società inglese Leidos Innovations, dalle società Serco e Damen, che include la società inglese Derco, il Team Resolute, che vede la partecipazione del gruppo spagnolo Navantia e include le società inglesi Harland & Wolff e BMT, e il Team UK, che incorpora le società inglesi Babcock e BAE Systems.
GRECIA Accordo per l’acquisizione di unità FDI francesi
Lo scorso 28 settembre, nell’ambito dell’Accordo di Partenariato strategico per la cooperazione in materia di difesa e sicurezza firmato lo stesso giorno tra il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente francese Emmanuel Macron, è stato firmato anche un memorandum d’intesa tra il ministro della Difesa greco Nikòaos Panayotòpoulos e gli amministratori delegati di Naval Group, Pierre Eric Pommellet e di MBDA, Eric Béranger, alla presenza del ministro della Difesa francese Florence Parly, per avviare le trattative destinate alla definizione di un contratto per la fornitura alla Marina ellenica di tre fregate «FDI HN» (e il loro equipaggiamento) nonché una fregata aggiuntiva opzionale, relativo supporto manutentivo e pacchetto addestrativo. Le parti, secondo quanto dichiarato recentemente dall’amministratore delegato di Naval Group, stanno lavorando con l’obiettivo di firmare un contratto entro il 2021. Le piattaforme «FDI HN» (Fregates de Defense et d’Intervention, Hellenic Navy) saranno costruite presso il cantiere navale Naval Group di Lorient e, secondo il ministro della Difesa greco, le prime due fregate saranno consegnate entro il 2025
mentre la terza seguirà nel 2026. Non sono stati rilasciati ulteriori dettagli sulla piattaforma, sistemi d’arma ed equipaggiamenti imbarcati, a eccezione del fatto che l’«FDI HN» sarà una versione customizzata delle fregate FDI destinate alla Marine Nationale, che sarà equipaggiata con il sistema radar AESA a facce fisse «Sea Fire» di Thales e verrà dotata di missili MBDA «Aster 30 Block 1» per la difesa aerea e balistica e di missili antinave «Exocet MM40 Block 3c», in aggiunta a siluri leggeri «MU-90» e decoy anti-siluro CANTO di Naval Group. Secondo il portavoce del ministero della Difesa francese, il valore del contratto ammonterà a circa 3 miliardi di euro e comprenderà le unità navali, il relativo armamento e il supporto per i primi tre anni di vita operativa. Le immagini divulgate da Naval Group presentano una piattaforma FDI equipaggiata con cannone Leonardo «OTO 76/62 Super Rapido» che nel caso del modello presentato al salone greco Defea 2021 era in configurazione «Strales», ben 32 VLS per missili «Aster 30 Block 1», un sistema missilistico per la difesa ravvicinata RAM, due complessi a controllo remoto da 20 mm nonché otto lanciatori per missili «MM 40 Exocet» in aggiunta a lanciatori per decoy. Il complesso dei sensori è similare a quello delle FDI per la Marina francese. In precedenza, Naval Group aveva proposto, in base alle richieste del ministero della Difesa greco, una partecipazione dell’industria e della cantieristica locale, ma le strette tempistiche del programma, rendono difficile una compartecipazione locale che non sia legata a specifici equipaggiamenti mentre è prevedibile per il supporto in servizio.
Lo scorso 28 settembre è stato firmato un MoU tra il ministero della Difesa greco, Naval Group e MBDA per avviare le trattative legate a un contratto per la fornitura alla Marina ellenica di tre fregate «FDI HN» e il loro equipaggiamento, con opzione per una quarta unità, relativo supporto e addestramento (Naval Group). INDIA Nuova gara per unità contromisure mine
Il ministero della Difesa ha emesso una richiesta d’informazioni (RFI, Request for Information) al fine di prendere in leasing o acquistare dalle tre alle quattro unità contromisure mine da un governo straniero. Secondo la RFI, il ministero della Difesa indiano è interessato fino a quattro unità di cui la prima in consegna entro 10 mesi dal contratto, mentre le rimanenti dovranno seguire a intervalli di 4 mesi. È richiesto un accordo G2G per l’acquisizione o il leasing di unità in servizio o ritirate dal servizio che possono essere ammodernate per soddisfare le esigenze della Marina indiana. Quest’ultima ha una necessità impellente di mettere in servizio unità dedicate di più recente generazione perché dal 2019 non dispone più di alcuna unità MCMV. Tutte le precedenti gare sono state cancellate con evidenti conseguenze negative.
Consegnato l’OPV Vigraha (39)
Con una cerimonia tenutasi presso Chennai, la Guardia costiera indiana ha immesso in servizio il settimo e ultimo OPV della classe «Vikram». Si tratta dell’unità Vigraha che avrà base a Visakhapatnam e opererà sulla costa orientale sotto il controllo operativo e amministrativo del Comando operativo di settore della Indian Coast Guard. Con un dislocamento a pieno carico di 2.140 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 98,2 e 14,7 metri, il nuovo OPV è stato progettato e costruito presso i cantieri Larsen & Toubro Ship Building Limited di Kattupali e si caratterizza per un impianto propulsivo basato su due motori diesel da 9,1 MW in grado di imprimere una velocità massima di 26 nodi e un’autonomia di 5.000 mn a velocità economica. Gli OPV della classe sono stati inoltre progettati per trasportare un elicottero bimotore e quattro imbarcazioni ad alta velocità per operazioni di imbarco, ricerca e soccorso, con forze dell’ordine e pattugliamento marittimo. La nave è anche predisposta per l’imbarco di attrez-
zature antinquinamento in caso di spargimento di carburante. Con un equipaggio di 11 ufficiali e 110 marinai, l’OPV è dotato di radar per la navigazione e la ricerca di superficie, apparecchiature di navigazione e comunicazione, sensori e macchinari in grado di operare in condizioni di mare tropicale. La nave è armata con un cannone «Bofors» da 40/60 mm e dotata di due complessi a controllo remoto con mitragliatrice da 12,7 mm e relativo sistema di controllo del fuoco. La nave è inoltre dotata di un sistema di plancia integrato, un sistema di gestione della piattaforma integrato, un sistema automatizzato di gestione della propulsione e un sistema antincendio esterno.
Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa indonesiano, una cerimonia di taglio della prima lamiera per due nuovi OPV da 90 metri si è tenuta lo scorso 26 agosto presso il cantiere di DRU Shipyards (PT Daya Radar Utama DRU) a Lampung (isola di Sumatra). Secondo quanto è stato divulgato, si tratta di unità da 90 metri di lunghezza e 13,5 m di larghezza con un apparato propulsivo basato su motori diesel in grado di raggiungere i 28 nodi, con un equipaggio di 70 elementi e la capacità di trasportare altri 24 operatori per compiti di controllo del traffico marittimo attraverso due postazioni di lancio e recupero RHIB poppiere. Secondo le immagini divulgate, i nuovi OPV sarebbero armati con un cannone da 76/62 mm «Super Rapido» in posizione prodiera, un complesso cannoniero Rheinmetall «Millennium» da 35 mm sull’hangar e due complessi quadrupli per missili antinave MBDA «MM 40 Exocet Block 3» a centro nave. Le unità sono dotate di ponte di volo poppiero con hangar per un elicottero tipo Kaman «Super Seasprite» e un sistema di combattimento incentrato su di un radar di ricerca aeronavale e una direzione del tiro per l’armamento cannoniero.
ISRAELE Accordo per la fornitura delle unità tipo
«Shaldag Mk V» …
I cantieri Israel shipyards hanno annunciato di aver firmato con il ministero della Difesa israeliano
I cantieri Israel Shipyards hanno annunciato di aver firmato con il ministero della Difesa israeliano un accordo per la fornitura di quattro unità da pattugliamento veloce classe «Shaldag Mk V», customizzate secondo le esigenze della Marina israeliana (Israel Shipyards).
un accordo per la fornitura di quattro unità da pattugliamento veloce classe «Shaldag Mk V», che sono state adattate ai requisiti di configurazione unici della Marina israeliana. La versione «Mk V» della classe «Shaldag», è un’imbarcazione provata in combattimento, interamente in alluminio, leggera e veloce, propulsa da potenti idrogetti, con un’elevata capacità di carico utile, che fornisce elevata manovrabilità e tenuta di mare. La nuova versione ha una velocità superiore a 40 nodi, può accelerare da zero a 40 nodi in meno di un minuto, ha un diametro di virata di 150 metri e un pescaggio ridotto che le consente di operare in acque poco profonde. La versione «Shaldag Mk V» è dotata di sistemi d’arma avanzati e leggeri, nonché sistemi di navigazione e gestione del combattimento.
… progettazione di dettaglio per le unità classe «Reshef»
I cantieri di Haifa hanno più recentemente annunciato di aver firmato un accordo con il ministero della Difesa israeliano per la fase di progettazione dettagliata legata alla costruzione delle nuove unità classe «Reshef» per la Marina israeliana. L’accordo rappresenta un passaggio fondamentale prima della fase costruttiva della nave. Basate sulla nuova corvetta multiuso «SA’AR S-72», descritta come un «design collaudato», le unità classe «Reshef» potenzieranno in modo significativo le capacità della Marina israeliana in futuri scenari operativi e aiuteranno a proteggere la Zona Economica Esclusiva di Israele (ZEE) come così gli impianti offshore di petrolio e gas all’interno delle acque territoriali israeliane. Il sistema di combattimento a bordo delle nuove unità proviene dall’industria della difesa israeliana, sia per quelli già in produzione che quelli in sviluppo.
ITALIA Consegna dei primi attestati per il Naval Cockpit
Con l’ormai vicina consegna del primo Pattugliatore Polivalente d’Altura, nave Thaon di Revel (P 430), la Squadra navale entrerà nella disponibilità del primo Naval Cokpit, una postazione integrata che permette la condotta della nave e delle operazioni aereonavali da parte di soli due operatori, il Pilot e il Copilot, che hanno inglobato le figure dell’ufficiale di guardia in plancia e del Command. Da questa postazione è, infatti, possibile gestire sia le macchine, i timoni e gli impianti di piattaforma sia il Sistema di combattimento al livello più spinto, ovverosia l’uso delle armi in dotazione. La cerimonia di consegna dei primi attestati per l’impiego del sistema a bordo del pattugliatore Thaon di Revel, alla presenza del direttore di OCCAR (ammiraglio ispettore capo (ris) Matteo Bisceglia), del Comandante in capo della Squadra navale (ammiraglio di squadra Enrico Credendino), del direttore degli Armamenti navali (ammiraglio ispettore capo Massimo Guma) e del personale formatore di Leonardo e Seastema, ha suggellato l’inizio di una nuova fase per le unità della Squadra navale. Da molti mesi è, infatti, iniziata la formazione del personale durante le numerose uscite in mare delle nuove unità. Navigazioni che hanno permesso agli ufficiali designati a questo nuovo incarico di affrontare un addestramento pratico di tipo on job training grazie all’attività del personale del Centro Allestimento Nuove Costruzioni Navali (MARINALLES). Altra parte del percorso addestrativo si è svolta sia presso enti della Marina sui sistemi di simulazione, sia presso le ditte Leonardo e Seastema, con la frequenza di corsi propedeutici: si sono svolte, infatti, due settimane di addestramento presso il Centro di Programmazione della Marina (MARICENPROG) a cui hanno fatto seguito altre due settimane per la parte Sistema di Piattaforma e un’altra settimana per il Sistema di Combattimento. Sarà dunque questo, d’ora in avanti, il percorso formativo che gli ufficiali dovranno seguire per conoscere questo innovativo sistema e condurre la navigazione e le operazioni aereonavali dei
La Marina Militare ha annunciato che i primi ufficiali sono stati qualificati con apposito attestato per l’impiego dell’avveniristico «Cockpit Navale» installato a bordo dei PPA (Pattugliatori Polivalenti d’Altura) classe «Thaon di Revel».
nuovi PPA classe «Thaon di Revel». Attività che permette un altro passo verso il futuro, per vincere la scommessa fatta nel 2014, con l’approvazione della Legge navale, che ha dato luce a questo futuristico sistema di condotta della nave e della navigazione. Un autentico gioiello dell’italico ingegno che darà lustro alla Marina Militare e agli equipaggi del futuro. COMSUBIN e nave Tedeschi a Malta Nell’ambito dell’attività di Cooperazione bilaterale Italia-Malta, nel campo della Difesa, per incrementare le capacità delle Armed Forces of Malta (AFM) di condurre operazioni speciali in ambiente marittimo, un team di incursori del COMSUBIN ha operato con la Special Operations Unit maltese. Nell’ultima settimana di addestramento, l’Unità Navale Polivalente ad Alta Velocità (UNPAV) Tullio Tedeschi (P 421) si è integrata al Mobile Training Team e, attraverso le sue spiccate capacità di supporto alle Forze speciali, ha moltiplicato il ritorno addestrativo in favore di tutti i partecipanti.
MARICODRAG e CSSN partecipano a REP(MUS)21
Un team specialistico di MARICODRAG e un team del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN), hanno partecipato all’esercitazione internazionale REP(MUS) 21 — «Robotic Experimentation and Prototyping — Maritime Unmanned Systems» che si è tenuta tra il 13 e 24 settembre nelle acque prospicienti il
Portogallo. Lo scopo dell’esercitazione è stato quello di testare e sviluppare le capacitaà della nuova generazione di sistemi autonomi. Il team di MARICODRAG ha impiegato un veicolo subacqueo autonomo (AUV) tipo REMUS 100 dotato di sonar a scansione laterale ad alta definizione in grado di esplorare il fondale dell’area assegnata in maniera indipendente. Il team REMUS ha operato a stretto contatto con il NATO Mine Warfare Centre of Exellence e con i team AUV belga, francese, polacco, turco e portoghese, contribuendo allo sviluppo di un settore che rappresenta una prerogativa nel futuro delle operazioni marittime in ambito NATO. In tale contesto le Marine militari partecipanti hanno avuto la possibilità di confrontarsi e collaborare con i centri di ricerca militari e civili, università e le industrie del settore della robotica. Il team del CSSN ha partecipato nell’ambito dello SDI (Smart Defence Initiative) ASW Barrier sia da terra sia a bordo della nave da ricerca olandese GEOSea con il supporto di due PMI italiane, Graal Tech e Siel, impiegando diversi assetti unmanned quali tre veicoli autonomi riconfigurabili e un RHIB autonomo. L’esercitazione ha rappresentato la possibilità per il Centro e per le PMI coinvolte, di dimostrare le capacità della Marina Militare e delle PMI e di affinare livelli di interoperabilità con le altre nazioni interessate, dimostrando la capacità degli assetti unmanned di essere impiegati in un contesto ASW nell’ambito di uno scenario congiunto di veicoli autonomi a connotazione multinazionale e caratterizzati da una vasta eterogeneità.
Operazione Gabinia: intensa attività per nave
Marceglia
Dopo essere partita dalla Spezia per prendere parte all’operazione Gabinia, in transito per raggiungere l’area di operazioni nel Golfo di Guinea, al largo delle coste senegalesi, nave Marceglia ha pianificato e condotto un’attività addestrativa a distanza ravvicinata con la fregata brasiliana Independéncia (F 44) classe «Niteréi». L’occasione addestrativa ha visto impegnate le due unità in manovre cinematiche elementari e avanzate e operazioni di volo coordinate con gli elicotteri imbarcati. Nel pieno rispetto del protocollo anti-Covid, è stata svolta un’esercitazione di abbordaggio visit, board, search, and seizure (VBSS) a beneficio del Team Opposed della Brigata Marina San Marco, per testarne prontezza operativa e flessibilità d’impiego. Mentre la fregata brasiliana faceva rientro in Brasile, nave Marceglia continuava il suo viaggio per raggiungere l’area d’operazioni. Una volta giunti a destinazione, la fregata italiana ha svolto un’intensa attività addestrativa al largo della Costa d’Avorio con il pattugliatore spagnolo Vigia, nell’ambito della cooperazione con le Marine dei paesi UE. L’esercitazione è stata condotta con l’obiettivo di testare la prontezza operativa della catena di allarme tra le centrali operative nazionali in caso di eventi reali di pirateria. La PASSEX (Passing Exercise) con la nave spagnola Vigia rientra nelle attività di addestramento volte a promuovere la cosiddetta Strategia UE di Coordinated Maritime Presences (CMP), nel Golfo di Guinea, con l’obiettivo di aumentare la capacità di interoperabilità e l’info-sharing tra gli assetti europei dispiegati in area. L’Unione europea conferma così il suo impegno costante per assicurare la sicurezza marittima, garantendo complementarità e sinergia tra le azioni degli Stati membri e coordinando l’azione delle varie unità operative sotto catene di comando nazionali, attraverso una cellula di coordinamento dedicata.
La fregata ANTONIO MARCEGLIA (F 597) tipo FREMM è entrata a far parte del dispositivo navale e aereo nell’ambito dell’operazione Gabinia per assicurare la protezione del traffico commerciale nel Golfo di Guinea.
Nave Martinengo (F 596) partecipa all’operazione
Agenor
Dopo essere stata dispiegata nell’ambito dell’operazione Atalanta, dal 1o ottobre la fregata Federico Martinengo (F 596) opera come primo asset nazionale partecipante all’operazione Agenor nell’ambito dell’iniziativa Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) a guida europea. «L’integrazione di nave Martinengo in EMASOH evidenzia l’importanza di operare in un contesto multinazionale caratterizzato dalla centralità dei paesi europei come strumento efficace per
Dal 1o ottobre la fregata FEDERICO MARTINENGO (F 596) opera come
primo assetto nazionale partecipante all’operazione Agenor nell’ambito dell’iniziativa Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) a guida europea.
sviluppare il concetto di sicurezza collaborativa in mare. L’operazione rappresenta un momento molto significativo in quanto espressione di coesione tra tutti i paesi coinvolti, dimostrando l’alto livello di interoperabilità degli assetti volti a garantire la libertà di navigazione, proteggere il traffico civile e il libero flusso del commercio globale, operando nel pieno rispetto delle Diritto internazionale», ha affermato il comandante Roberto Carpinelli, con un comunicato stampa rilasciato dal quartier generale dell’operazione nella base navale francese di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Nave Martinengo imbarca due elicotteri «SH-90» ASuW/ASW e un team della Brigata Marina San Marco. L’iniziativa EMASOH è stata lanciata dalla Francia nel gennaio 2020, sulla base di una dichiarazione politica comune con Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo, e più recentemente ha ricevuto il sostegno da parte di una nona nazione: la Norvegia. Secondo la documentazione rilasciata al parlamento italiano, la partecipazione dei mezzi navali e aerei delle nazioni europee a EMASOH è finalizzata principalmente a tutelare il naviglio mercantile nazionale, sostenere il naviglio mercantile non nazionale, rafforzare la cooperazione con altre iniziative nell’area e contribuire alla «maritime situational awareness» dello spazio aereo e navale della regione. Gli assetti coinvolti adotteranno anche le misure necessarie per prevenire e scoraggiare atti ostili contro il naviglio mercantile nazionale. Questa è la prima volta che l’Italia si unisce a EMASOH nell’ambito della missione militare, parallelamente al coinvolgimento e supporto politico. L’unità dovrebbe partecipare alla missione per tre mesi.
Intensa attività addestrativa per la Seconda Divisione navale
Nei giorni 21 e 22 settembre ha avuto luogo, nelle acque del golfo di Taranto, un intenso e premiante momento addestrativo condotto dalle unità della Seconda Divisione navale. In particolare, a condurre le esercitazioni in mare sono state la portaerei Cavour, il caccia lanciamissili Andrea Doria, la FREMM Bergamini, la nave rifornitrice di squadra Etna, l’ausiliaria Procida, nonché diversi assetti ad ala fissa ed elicotteri della base di MARISTAER Grottaglie. I due giorni di esercitazione sono stati svolti sotto il comando dell’ammiraglio di squadra Paolo Pezzutti, comandante della Seconda Divisione navale, che ha seguito l’attività in mare da bordo di nave Doria, e hanno rappresentato un’imperdibile occasione per gli equipaggi della Divisione tarantina per riprendere confidenza con le attività in mare, nell’ultimo anno ridotte a causa del perdurare della situazione pandemica da Covid-19. In due differenti finestre addestrative, la portaerei Cavour ha inoltre condotto le operazioni di volo — chiamate «Carrier Qualification» — con gli aerei «AV8B Harrier II Plus» di MARISTAER Grottaglie, gestendo sul proprio ponte di volo le procedure di decollo e appontaggio di due velivoli con capacità di decollo corto e appontaggio verticale.
Settima edizione di Seafuture
Inaugurata la mattina del 28 settembre dal ministro della Difesa on. Lorenzo Guerini, accolto dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone, dalla presidente di IBG Cristiana Pagni, dal prefetto della Spezia dr.ssa Maria Luisa Inversini, dal sindaco della città della Spezia, Pierluigi Peracchini, e altre autorità civili e militari, la settima edizione del Seafuture, la business convention delle tecnologie navali e dual use, unica nel bacino del Mediterraneo perché organizzata all’interno di una base navale della Marina Militare, si è conclusa il 1o ottobre, alla presenza del sottosegretario di Stato alla Difesa senatore Stefania Pucciarelli e del Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare ammiraglio Aurelio De Carolis. Esposte in un’area di 9.000 metri quadrati, le eccellenze della Blue Economy, con oltre 220 espositori provenienti da tutto il mondo, sono
state apprezzate da circa 12.000 visitatori, con un incremento di circa il 25% rispetto alla scorsa edizione e quasi 70 delegazioni presenti. Sono questi i numeri che hanno sancito il successo di questa edizione del salone, i cui punti focali sono stati gli interessanti panel, distribuiti contemporaneamente in due aule. Dalle sfide e opportunità nel Mediterraneo allargato e la prospettiva della Marina Militare, alla gestione di un ecosistema marino per la crescita blu e alla resilienza informatica. Grande rilievo è stato dato, quest’anno, al seminario sull’underwater inaugurato da un intervento del sottosegretario Stefania Pucciarelli a cui ha fatto seguito l’ammiraglio Dario Giacomin, vice segretario generale della Difesa e l’ammiraglio Andrea Petroni, capo del reparto sommergibili della Marina Militare, nel corso del quale sono stati messi in evidenza i programmi e sviluppi nazionali in questo campo in vista della ricostituzione di un cluster governativo-industriale dedicato, e all’Istituto idrografico della Marina Militare, che ha organizzato due seminari su temi rilevanti tra cui l’indagine idrografica e l’Italia in Artico — High North 2021. A questi s’aggiungono il seminario dell’OCCAR, sulla cooperazione a livello europeo e internazionale nei programmi per la Difesa e dell’AIAD con la partecipazione delle società associate. A cornice della manifestazione, ormeggiate diverse navi, tra le quali la nave scuola Amerigo Vespucci e la fregata Rizzo utilizzate per l’occasione come sede alternativa per eventi e momenti di incontro tra partner internazionali e incontri bilaterali, elemento quest’ultimo ad alta connotazione internazionale. Tra gli eventi collaterali e che identificano ormai il valore stesso della settimana spezzina vi è il Seafuture Awards 2021, premio rivolto a laureati, dottorandi e dottori di ricerca provenienti dal mondo accademico italiano, sia civile che militare, che hanno presentato tesi legate allo sviluppo di processi e prodotti nell’ambito delle tecnologie del mare. Senza dimenticare l’accordo fra i tessuti industriali e della ricerca fra La Spezia e Tolone nonché i panel sullo sviluppo sostenibile, la transizione ecologica nel settore marittimo, la sostenibilità della Blue Economy in Libia, a testimonianza della copertura a 360° del Mare nostrum in tutte le sue possibili accezioni.
Nella giornata inaugurale del salone Seafuture è stato presentato il modello 1:1 del nuovo sistema missilistico antinave a lunga portata con capacità d’attacco terrestre Teseo Mk 2/E, alla presenza del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini e del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (autore).
Presentato il sistema MBDA Teseo Mk2/E
Con una cerimonia tenutasi presso lo stand del gruppo MBDA al salone Seafuture presso l’arsenale della Spezia, è stato presentato il modello 1:1 del nuovo missile antinave Teseo Mk2/E. L’evento ha visto la partecipazione del ministro della Difesa,Lorenzo Guerini, che ha provveduto a scoprire il modello, unitamente al Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’ammiraglioGiuseppe Cavo Dragonee all’ing. Lorenzo Mariani,direttore esecutivo, vendite e Business Development del Gruppo e amministratore delegato MBDA Italia. Per soddisfare i requisiti della Marina Militare italiana, MBDA Italia ha concepito un nuovo sistema d’arma antinave a lungo raggio con capacità d’attacco contro obiettivi terrestri, caratterizzato da una cellula e superficie di controllo con disegno atto a ridurne la segnatura radar, sistema propulsivo efficiente con booster coassiale (anziché ai lati della cellula) che secondo quanto riportato da MBDA, è in grado di assicurare una portata di oltre 350 km a bassissima quota. Il nuovo missile è dotato di un sistema di guida avanzato a doppio seeker (radiofrequenza ed elettro-ottico) e una testata scalabile all’avanguardia per ridurre gli eventuali danni collaterali, che sfrutta un avanzato sistema di pianificazione della missione, con un completo controllo e aggiornamento in volo grazie a un sistema data link a due vie. Il sistema di guida comprende un nuovo seeker RF e un sistema laser semiattivo che consente di ottenere una precisione chirurgica grazie alla designazione del bersaglio da terra o piattaforme aeree. MBDA ha ricevuto un contratto alla fine di novem-
bre 2020, che secondo quanto risulta dalla presentazione del programma davanti alle Commissioni difesa dei due rami del parlamento, comprende la progettazione, lo sviluppo, il collaudo, la qualificazione e l’industrializzazione del nuovo sistema d’arma come parte della prima fase del programma. Basandosi sulla famiglia di missili antinave Teseo con capacità di attacco terrestre, conosciuti in tutto il mondo come Otomat, insieme agli sviluppi tecnologici presenti e futuri, il nuovo missile è in fase di sviluppo, e in futuro sarà prodotto, da MBDA Italia presso il suo centro di eccellenza dei sistemi d’arma navali alla Spezia, che in passato ha dato vita e supporto alle famiglie di missili Otomat, Marte Mk2 e più recentemente Marte ER. Le altre due sedi di MBDA Italia, Roma e Fusaro, sono coinvolte nello sviluppo del sistema di guida e dell’elettronica.
INTERNAZIONALE OCEAN 2020: un successo anche la seconda sperimentazione
Il più grande progetto europeo di ricerca militare per la sicurezza marittima, guidato da Leonardo, ha portato a termine con successo l’esecuzione della seconda esercitazione navale che si è svolta il25 e 26 agosto scorso, nellabaia di Hanoal largo della costa meridionale dellaSveziae che ha visto la partecipazione di industrie, istituti di ricerca e ministeri della Difesa provenienti da dieci paesi europei. L’esercitazione navale ha avuto lo scopo di dimostrare come le informazioni raccolte dai diversi sistemi schierati nell’area delle operazioni possano essere integrate per costruire la RMP (Recognized Maritime Picture). La seconda esercitazione ha visto il coinvolgimento diben dodici sistemi unmanned aerei, di superficie e subacquei: «SW-4 Solo» (Leonardo), «Patroller» (Safran), «Cobra» (Bluebear), «Sea Raider» (TNO), «Water Strider» (IOSB), «Enforcer III» (Saab), «Piraya» (Saab), «DeDAve» (IOSB), «Oceanscan» (TNO), «Biondo» (CMRE), «Sea Wasp» (Saab) and «Gavia» (GMV Portugal), in aggiunta a un velivolo equipaggiato con un radar avionico di nuova generazione (Hensoldt). Inoltre, sono state impiegate quattro unità navali, rappresentate dall’unità di supporto svedese Pelikanen (A 247) con il controllo degli unmanned «Piraya» e «Biondo»; il pattugliatore Lituano Žemaitis (P 11) che ha sfruttato il Command Management System (CMS) «Athena-C» di Leonardo e dispiegato una squadra di Forze speciali con un RHIB; l’unità da ricerca tedesca Planet, che ha operato un C2 sperimentale e controllato gli unmanned «Water Strider» e «DeDAve»; il cacciamine polacco Czajka, che ha operato un ROV e dispiegato un team subacqueo della Marina portoghese con l’unmanned «Gavia». Alla dimostrazione hanno preso parte anche due Centri di Comando: l’EU-MOC(Maritime Operation Centre) prototipico a livello operativo a Bruxelles e ilCTG(Commander Task Group) a livello tattico sul Baltico. In continuità con l’esperienza maturata durante la prima esercitazione, guidata da Leonardo, nel Golfo di Taranto, la seconda demo si è basata sull’esecuzione di due scenari, rappresentati rispettivamente dalla sorveglianza, interdizione e ingaggio di più minacce di superficie, e dall’identificazione di attività ostili subacquee e rilevamento di Forze speciali nemiche in aree costiere. Entrambi gli scenari hanno consentito di verificare una serie di obiettivi, tra cui lancio e recupero di sistemi unmanned di superficie da bordo nave, autonomia di questi sistemi, integrazione tra sistemi non pilotati e CMS (Combat Management System), integrazione e rappresentazione dei dati da UxS tramite i CMS e trasmissione all’EUMOC (Maritime Operation Centre), come pure l’utilizzo di immagini satellitari da COSMO-SkyMed per aumentare la situational awareness.
QATAR Varata la terza corvetta classe «Al Zubarah»
Con una cerimonia tenutasi presso lo stabilimento di Muggiano (La Spezia) il 30 settembre, è stato celebrato il varo tecnico della terza unità della classe di corvette «Al Zubarah», commissionate a Fincantieri dal ministero della Difesa del Qatar nell’ambito del programma di acquisizione navale nazionale siglato nel 2016. Si tratta della corvetta Khor (F 103), di cui è prevista la consegna nel 2022. Alla cerimonia, svoltasi in formato ristretto e nel pieno rispetto delle prescrizioni anti-Covid, hanno partecipato lo Staff Brigadier General Abdulla Ali Al-Mazroey, vice comandante della Qatar Emiri Navy e comandante della Qatar Emiri Navy Flotilla, l’ammiraglio di divisione Giorgio Lazio, allora Comandante Marittimo Nord, e Marco Acca, vice direttore generale della Divisione navi militari di Fincantieri.
Consegna della prima unità addestrativa classe «Al Doha» …
I cantieri Anadolu del gruppo turco ADIK (Tuzla, Bosnia-Erzegovina) hanno consegnato alle Qatar Emiri Naval Forces (QENF) l’unità per l’addestramento Al Doha (QTS 91). La seconda unità battezzata Al Shamal (QTS 92) e varata nel dicembre 2020, è previsto venga consegnata nel 2022.
… varo del nuovo LCT Fuwairit (QL 80)
Con una cerimonia tenutasi il 25 settembre presso i medesimi cantieri di Anadolu è stato varato l’LCT Fuwairit (QL-80), ordinato insieme ad altre unità nel settembre 2020. L’anno scorso, Anadolu Shipyard e Barzan Holdings hanno firmato un contratto per la costruzione di mezzi di sbarco per soddisfare le richieste della Marina Militare del Qatar. Il cantiere navale Anadolu sta completando l’LCT (Landing Craft Tank) e ha in costruzione due LCM (Landing Craft Mechanized) da 40 metri e un LCVP (Landing Craft Vehicle & Personnel) da 15,7 metri secondo i termini del contratto. Con una lunghezza complessiva di 80 metri e una larghezza di 11,7 metri, un dislocamento di circa 1.150 t, l’unità da sbarco e trasporto mezzi pesanti presenta un sistema propulsivo con due motori diesel MTU «16V4000 M70» collegati ad altrettanti assi e capaci d’imprimere una velocità massima di oltre 20 nodi (18 nodi a pieno carico). Con un equipaggio e capacità di trasporto di 25 persone, l’LCT dispone di ponte per veicoli di 400 m2, che consente di accogliere fino a tre carri armati pesanti, oltre a veicoli militari di vario tipo e dimensioni, o 260 soldati completamente equipaggiati. Il mezzo da barco e trasporto sarà armato con due cannoni da 30 mm e due complessi a controllo remoto «STAMP» da 12,7 mm, entrambi prodotti dal gruppo Aselsan. La dotazione elettronica comprende un sistema elettro-ottico, un radar di navigazione dotato di WECDIS e sistemi di comunicazione. Con un’autonomia di oltre 1.500 miglia nautiche, l’LCT Fuwairit può rimanere in mare fino a 7 giorni senza rifornimento.
RUSSIA Impostazione del nono cacciamine classe
«Alexandrit» …
Il Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione Russa, ammiraglio Nikolai Yevmenov, ha preso parte presso i cantieri Sredne-Nevsky alla cerimonia d’impostazione del cacciamine Afanasy Ivannikov, nono esemplare della classe «Alexandrit». Secondo quanto dichiarato dall’Ammiraglio, la Marina russa intende acquistare ulteriori 10 unità della classe «Progetto 12700».
… varo della corvetta Askold …
Il cantiere Zaliv di Kerch in Crimea ha messo in acqua la corvetta Askold della classe «Karakurt» o «Progetto 22800». Si tratta della seconda unità della classe costruita dai cantieri Zaliv di Kerch, di cui la prima la corvetta Tsiklon è stata varata la scorsa estate e sta attualmente conducendo prove a mare a Novorossijsk, mentre la terza battezzata Amur è in corso di costruzione. Risultano già in servizio tre unità della classe: Mytishchi, Sovetsk e Odintsovo, tutte e tre in servizio con la Flotta del Baltico. Secondo quanto di-
vulgato, si prevede di costruire ben 18 unità della classe, che saranno divise equamente, secondo l’agenzia TASS, tra le flotte del Pacifico, Baltico e Mar Nero.
I cantieri Zaliv di Kerch in Crimea hanno varato la corvetta ASKOLD della classe «Karakurt» o «Progetto 22800», seconda unità della classe a essere realizzata per la Flotta del Mar Nero della Marina russa (Zaliv shipyard).
… impostazione della corvetta Bravy
La sesta e ultima corvetta della classe «Steregushchy» o «Progetto 20380» è stata imposta presso i cantieri Amur, nel Pacifico, il 29 settembre. Si tratta della corvetta Bravy, che andrà a ingrossare le fila della Flotta del Pacifico che già dispone di tre corvette del medesimo «Progetto 20380», vale a dire le unità Sovershenniy, Gromkiy e
Aldar Tsydenzhapov. La quarta unità della classe, battezzata Rezkiy, entrerà a far parte della medesima flotta quest’anno. Nel 2024 dovrebbe entrare in servizio la corvetta Grozniy. Entro il 2028, la Flotta del Pacifico disporrà di sei corvette «Progetto 20380» e sei «Progetto 20385».
STATI UNITI L’US Navy crea il Task Group Greyhound (TGG)
Al fine di mantenere un elevato standard operativo nel settore della lotta antisom condotta da unità di superficie contro minacce subacquee russe e assicurare assetti in grado di operare con continuità in caso di necessità, l’US Navy ha creato il Task Group Greyhound e ha assegnato al medesimo i primi due caccia lanciamissili classe «Arleigh Burke»: il Thomas Hudner (DDG 116) e il Donald Cook (DDG 75). Affrontare la considerevole minaccia subacquea proveniente dalla flotta russa richiede attenzione, monitoraggio continuo e un approccio di squadra alla guerra sottomarina. L’iniziativa TGG garantirà che i designati caccia della costa orientale rimangano post-dispiegamento in una fase di sostegno estesa a rotazione con altre unità. Ciò sarà supportato da attività manutentive ad hoc e certificazioni di prontezza sostenuta, il tutto per incrementare la difesa contro minacce subacquee al territorio americano.
Prove di cantiere completate per il caccia
Lyndon B. Johnson (DDG 1002)
I cantieri General Dy Dynamics Bath Iron Works e l’US Navy hanno completato con successo le prove di cantiere in banchina e in mare del caccia Lyndon B. Johnson (DDG 1002) classe «Zumwalt». A seguito del completamento di queste ultime e la positiva verifica della funzionalità dei sistemi di piattaforma elettrici e meccanici, il cantiere completerà l’installazione del sistema di combattimento e la sua attivazione.
Completamento della fase IOT&E per il programma UISS
Il Program Executive Office for Unmanned and Small Combatants (PEO USC) ha completato l’Initial Operational Test and Evaluation (IOT&E) per il programma Unmanned Influence Sweep System (UISS) a bordo della LCS Manchester (LCS 14) al largo della costa della California. L’attività IOT&E, condotta a maggio e giugno, ha incluso missioni di sminamento end-to-end contro bersagli simulati e ha dimostrato la sostenibilità e l’integrazione dell’UISS con la piattaforma LCS. Il team IOT&E ha condotto il lancio e il recupero in banchina e in navigazione, dimostrazioni di manutenibilità ed esecuzione di missioni end-to-end a sostegno della capacità operativa iniziale (IOC) del sistema a favore della flotta. Progettato come parte del pacchetto di missioni di contromisure contro le mine delle unità LCS, l’UISS consiste in un veicolo di superficie senza equipaggio per le contromisure delle mine (MCM USV) e un carico utile trainato designato al dragaggio per influenza di mine magnetiche, acustiche e magnetiche/acustiche. L’UISS può essere operato anche da navi di opportunità o da terra. In attesa dell’analisi dei dati e verifica dell’efficacia e idoneità operativa, la fase successiva porterà l’UISS al raggiungimento della capacità operativa iniziale.
Rifornimento in volo di F-35C con drone tanker MQ-25 Stingray
L’US Navy e Boeing hanno utilizzato con successo il primo prototipo («T1») del drone tanker «MQ-25» Stingray per rifornire per la prima volta un velivolo combattimento «F-35C Lightning II», dimostrando ancora una volta la capacità del velivolo di assolvere alla sua principale missione, dopo che in poco di più di tre mesi, il drone ha rifornito un «F/A18 Super Hornet» a giugno, un «E-2D Hawkeye» ad agosto e infine l’«F-35C» a settembre. Questo volo è stato l’ennesima dimostrazione fisica della maturità e della stabilità del design dell’aereo «MQ-25» Stingray. Il programma di test di volo «T1» è iniziato a settembre 2019 con il primo volo del velivolo. Nei due anni successivi, il programma di test ha completato più di 120 ore di volo, raccogliendo dati su tutto, dalle prestazioni dell’aeromobile alle dinamiche di propulsione, ai carichi strutturali e ai test di flutter per resistenza e stabilità. Boeing sta attualmente producendo i primi due velivoli di prova «MQ-25» Stingray. Il velivolo «T1» sarà utilizzato per condurre una dimostrazione di movimentazione sul ponte a bordo di una portaerei della US Navy nei prossimi mesi, per aiutare a far avanzare i progressi d’integrazione con la piattaforma navale.
L’US Navy ha accettato la consegna del primo velivolo «F/A-18F Super Hornet Block III0 di nuova produzione, il 31 agosto. Il primo dei 78 nuovi «Super Hornet» costruiti da Boeing è stato trasferito al Test and Evaluation Squadron (VX) 23 presso la Naval Air Station Patuxent River, nel Maryland, per continuare i test di sviluppo. I prossimi nuovi velivoli di produzione verranno assegnati al VX-9, presso la Naval Air Weapons Station (NAWS) China Lake, in California, per iniziare l’addestramento per i test operativi, durante i quali il velivolo sarà sottoposto a valutazione in scenari che imitano le missioni operative. Da quando sono stati consegnati i velivoli appartenenti al «Block III» per attività di test, la scorsa estate, alle unità di volo VX-23 e VX-31 presso il NAWS di China Lake, è stata messa alla prova l’ultima configurazione del caccia multiruolo. Quest’ultimo ha completato con successo i test di idoneità all’imbarco ed è ora in corso una valutazione completa dei nuovi componenti del sistema di missione «Block III». Il VX-23 ha condotto test di vibrazione, vibrazione e rollio, che imitano l’ambiente della portaerei per garantire che l’aereo e ogni nuovo sistema installato possano resistere alle intense sollecitazioni del lancio assistito da catapulta e di un atterraggio con gancio d’arresto. NAVAIR ha completato con successo queste attività a gennaio. I test di sviluppo e operativi continueranno fino all’inizio dell’estate del prossimo anno. Boeing ha un contratto iniziale per la consegna di due velivoli «F/A-18F Block III» al mese, fino alla fine dell’anno 2024.
Taglio lamiera per il terzo OPC
I cantieri Eastern Shipbuilding Group e l’US Coast Guard hanno celebrato il taglio della prima lamiera del terzo OPC (Offshore Patrol Cutter). L’unità capoclasse Argus ha quasi finito di essere completata e sta rispettando il budget e le tempistiche del programma mentre la seconda unità è stata impostata lo scorso maggio, e i primi materiali e componenti per la quarta unità sono stati ordinati. Il cantiere sta investendo in nuove infrastrutture, miglioramenti ed equipaggiamenti nonché in un centro d’integrazione per la suite di missione imbarcata, affinché possa varare e consegnare due OPC ogni anno.
UCRAINA Nuove sei motovedette «Mark VI»
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato che il 30 settembre, l’US Naval Sea Systems Command (NAVSEA) ha assegnato ai cantieri SAFE Boats International un contratto da 84 milioni di dollari per la consegna di ulteriori sei motovedette «Mark VI», con un’opzione per altre due. Secondo il Pentagono, questo contratto copre la progettazione di dettaglio, la costruzione, l’allestimento, la riattivazione e l’addestramento per sei motovedette (PB) «Mark VI» («Mk VI»), con un’opzione per altre due. Questo contratto segue quello iniziale di 19 milioni di dollari statunitensi assegnato nel gennaio di quest’anno per lanciare la produzione delle prime due motovedette ucraine tipo «Mk VI». Nel giugno 2020, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha approvato una possibile vendita FMS (Foreign Military Sales) al governo dell’Ucraina di un massimo di 16 motovedette «Mark VI» e relative attrezzature annue per un costo stimato di 600 milioni di dollari.
Impostazione della prima corvetta classe «Ada»
Con una cerimonia tenutasi l’8 settembre presso i cantieri di Istanbul del gruppo RMK Marine alla presenza di una delegazione del ministero della Difesa ucraino capitanato dal Capo di Stato Maggiore della Marina ucraina, l’ammiraglio Oleksiy Neizhpapa, è stata impostata la chiglia della prima di quattro corvette classe «Ada» destinata al paese che si affaccia sul Mar Nero. Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa ucraino, l’unità capoclasse in costruzione è previsto che venga consegnata nel 2022, per entrare in servizio con la Marina locale nel 2024. Secondo l’accordo di cooperazione militare siglato fra l’Ucraina e la Turchia nell’ottobre 2020, fra i diversi programmi di fornitura da parte dell’industria turca è prevista la costruzione ed equipaggiamento di almeno due corvette classe «Ada» di cui la capoclasse, da costruire e consegnare da parte dei cantieri turchi, mentre le rimanenti sono destinate a essere costruite presso i cantieri ucraini Okean.
Luca Peruzzi
I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Francesco Rotundi
In questa Rivista abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, esaminando in particolare le figure di Benedetto Brin, Giancarlo Vallauri, Giuseppe Rota, Domenico Chiodo, Umberto Pugliese, Vittorio Cuniberti, Edoardo Masdea, Ugo Tiberio, Gian Battista Magnaghi, Umberto Cagni, Angelo Scribanti e Gioacchino Russo. Tratteremo ora del generale del Genio Navale Francesco Rotundi (Foggia, 10 luglio 1885-Roma, 25 ottobre 1945), brillante e poliedrico ingegnere navale ricordato principalmente come autore del progetto della nave scuola Amerigo Vespucci e del rimodernamento delle corazzate classe «Cavour» e classe «Doria».
Come Rota, Pugliese, Cuniberti, Masdea, Russo e molti altri che hanno lasciato importanti tracce nella storia dell’ingegneria navale italiana (tra cui meritano di essere citati quantomeno Giacinto Pullino, Edgardo Ferrati, Alessandro Guidoni, Cesare Laurenti e Filippo Bonfiglietti), Rotundi si formò dal punto di vista professionale all’interno del Comitato per i Progetti delle Navi, fondato nel 1880 su impulso di Benedetto Brin, e sopravvissuto per oltre un secolo, pur con diversi cambiamenti di nome; nel suo ambito sono nati i progetti delle principali unità della Regia Marina e della Marina Militare, fino al 1994, quando il Comitato inteso come struttura permanente dove venivano sviluppati i
progetti delle navi della Marina è stato, di fatto, soppresso, e le sue principali funzioni trasferite allo Stato Maggiore della Marina. Francesco Rotundi nacque a Foggia il 10 luglio del 1885, figlio di Leonardo e Carmelina, secondogenito di tre fratelli e due sorelle, e compì i primi studi rivelando da giovanissimo la sua predilezione per le scienze matematiche. A quindici anni si iscrisse alla Sezione FisicoMatematica del locale Istituto Tecnico «Pietro Giannone» e, secondo un aneddoto, maturò l’idea e la speranza di diventare progettista di navi durante una gita scolastica a Manfredonia per visitare le navi da guerra ancorate in quel porto. Dopo aver conseguito il diploma, nel 1906 fu chiamato a prestare servizio di leva nella Regia Marina, venendo subito posto in congedo per completare gli studi. Iscrittosi alla Scuola Superiore Navale di Genova, si laureò in ingegneria navale e meccanica nel novembre 1908. Subito dopo, superato il concorso per ufficiali del Genio Navale, entrò in servizio con il grado di tenente. Il capo del Corpo del Genio Navale era, all’epoca, il tenente generale Edoardo Masdea, che svolgeva anche l’incarico di Presidente del Comitato Progetti Navi e che firmò il progetto originale delle corazzate classe «Conte di Cavour». Il suo primo incarico fu presso la Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Venezia, dove fu promosso capitano, rimanendovi fino al 1912, quando fu trasferito alla Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Taranto, per imbarcarsi sulla nave officina Vulcano in qualità di dirigente lavori. Trasferito alla Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Napoli nel 1913, si distinse subito durante le operazioni di salvataggio, e successivo recupero, dell’incrociatore corazzato SanGiorgio che si era incagliato nei pressi di Messina. Nel tardo pomeriggio del 21 novembre l’incroIl generale del Genio Navale Francesco ciatore, al comando del capitano di vascello Adolfo CaRotundi (Foggia 1885-Roma 1945) (wikipedia.it). cace, battente l’insegna del comandante della 2a Divisione navale, contrammiraglio Umberto Cagni, in trasferimento da Reggio Calabria a Napoli, per errore di navigazione si incagliò sulla spiaggia di S. Agata Militello (Messina). Venne liberato dalla presa del fondo con l’aiuto di cilindri di spinta inviati da Napoli, e il 10 dicembre entrò a Messina con i propri mezzi. Sull’incidente venne aperta un’inchiesta ministeriale che porterà dap-
Monumento dedicato nel 1955 a Francesco Rotundi, ubicato nella villa comunale di Foggia (g.c. Centro cultura del mare di Manfredonia). Accanto: il logo dell’Istituto nautico «Francesco Rotundi» di Manfredonia.
prima alla sospensione, e quindi alla riabilitazione dell’ammiraglio Cagni, personaggio molto discusso, di grandissimo valore, ma dal non facile carattere.
Il ruolo del capitano Rotundi, negli studi e nelle operazioni per il rigalleggiamento del San Giorgio, venne apprezzato dai vertici del Corpo del Genio Navale e gli valse la convocazione nel Comitato Progetti Navi, presso il Ministero della Marina, Comitato al quale fu assegnato nel novembre 1914, e dove svolse una importante parte della sua carriera, ricoprendo in successione ruoli di addetto all’ufficio tecnico, ufficiale superiore, e segretario. All’arrivo di Rotundi, nel 1914, il Presidente del Comitato era il tenente generale Giuseppe Valsecchi, che aveva firmato il progetto delle corazzate classe «Duilio», in gran parte basato su quello delle analoghe unità classe «Conte di Cavour».
La sua carriera militare proseguì brillantemente, venne nominato maggiore nel 1918, tenente colonnello nel 1924, colonnello nel 1931, maggiore generale nel 1934 e tenente generale nel 1938. Nei primi anni Venti, Rotundi fu autore del progetto delle navi posamine classe «Ostia» o classe «Legnano» (vedi Riquadro sui posamine). Successivamente (1925-26) stese il progetto della nave scuola Cristoforo Colombo, cui seguirà la Amerigo Vespucci, molto simile, ma non gemella (vedi Riquadro sulle navi scuola). Nel 1926 Rotundi fu assegnato per un breve periodo, in qualità di vicedirettore, al cantiere navale di Castellammare di Stabia, dove furono costruiti sia il Colombo che il Vespucci.
Rientrato a Roma, venne incaricato nel 1932 di coordinare il programma di rinnovamento delle navi da battaglia, che comprese il rimodernamento delle due corazzate classe «Cavour» e delle due classe «Duilio», e la costruzione delle quattro corazzate classe «Littorio» (o classe «Vittorio Veneto»); in Italia non si costruivano navi corazzate da circa vent’anni, e il programma coinvolse numerosi cantieri. Secondo quanto riporta il necrologio del generale Rotundi pubblicato sulla Rivista Marittima di ottobre 1945: «L’incarico, durato quasi dieci anni, fu assolto in maniera superba, e la magnifica opera — circa 250.000 tonnellate di corazzate — fu portata a termine con pieno successo, con una celerità e una efficienza veramente notevoli».
Oltre a svolgere questo lavoro di coordinamento, Rotundi firmò in prima persona il progetto di ricostruzione delle navi da battaglia classe «Conte di Cavour» e classe «Caio Duilio» (vedi Riquadri sulle corazzate rimodernate), sulle quali si imbarcò per un breve periodo durante le prove e i collaudi in mare, e collaborò con il generale Pugliese per la stesura dei progetti finali della nuove unità classe «Littorio». Dopo l’attacco notturno sulla rada di Taranto avvenuto il 12 novembre 1940, che portò al danneggiamento di tre navi da battaglia della Regia Marina, la Littorio, la CaioDuilio e la Cavour, partecipò ai lavori
La cannoniera persiana BABR, costruita nel 1931 nei cantieri di Palermo assieme alla gemella PALANG; il progetto di queste unità era derivato da quello dei posamine classe «Ostia» (Almanacco Navale 1941). In alto: vista esterna del posamine OSTIA nel 1927
(Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1996). Al centro: sopra, il posamine
MILAZZO, della classe «Ostia», progettata da Francesco Rotundi (Almanacco Navale 1938); in basso, la nave SIEN NING della Marina della Cina nazionalista, ex posamine italiano LEPANTO della classe «Ostia» (Jane’s Fighting Ships 1953-54). di recupero delle unità, occupandosi in particolare della Caio Duilio, coadiuvato dal tenente colonnello (GN) Eugenio Andri, già distintosi nel recupero della Leonardo da Vinci affondata nel porto di Taranto durante la Prima guerra mondiale (del recupero della Littorio si occupò il generale Pugliese, coadiuvato dal maggiore (GN) Franco Spinelli, e il recupero della Cavour venne rimandato, date le condizioni peggiori di questa unità, completamente affondata); grazie all’opera di Rotundi e Andri la Caio Duilio in soli due mesi fu recuperata e messa in condizioni di raggiungere con i propri mezzi e a una buona velocità (secondo Andri la velocità media reale fu di 15,7 nodi) il porto di Genova, dove venne immessa in bacino per le riparazioni definitive. Per il recupero, avendo la nave, che era ancora galleggiante, seppur molto appruata, una grossa falla nella zona di prora, venne fatto costruire presso i cantieri Tosi di Taranto un «tampone», cioè una struttura metallica cellulare da applicare alla nave ancora in galleggiamento; infatti l’unico bacino di dimensioni sufficienti a ospitare una corazzata disponibile nell’Arsenale di Taranto era stato destinato alle operazioni di recupero della Littorio. Nel corso del 1943, il generale Rotundi fu distaccato presso il ministero delle Comunicazioni e della Marina Mercantile, e all’atto della firma dell’armistizio dell’8 settembre si trovava presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste come consigliere delegato. Rifiutò subito ogni tipo di collaborazione con le autorità della neocostituita Repubblica Sociale
Dall’alto verso il basso: il varo della nave scuola CRISTOFORO COLOMBO avvenuto il 24 aprile 1928 nel cantiere di Castellamare di Stabia, dove Francesco Rotundi ricoprì l’incarico di vicedirettore; le navi scuola CRISTOFORO COLOMBO (a destra) e AMERIGO VESPUCCI (Notiziario della Marina febbraio 2019); il varo della nave scuola AMERIGO VESPUCCI avvenuto il 22 febbraio 1931 nel cantiere di Castellamare di Stabia (Notiziario della Marina febbraio 2018); vista esterna e dall’alto delle corazzate classe «Cavour» prima (in alto) e dopo (in basso) il rimodernamento del 1933-37 (wikipedia.it).
Italiana, e ritornò a Roma, stabilendovi la sua residenza. Subito dopo la liberazione della città riprese servizio attivo al ministero della Marina, dove rimase fino alla data della sua morte, avvenuta a Roma per malattia, il 25 ottobre 1945, a soli 60 anni. Sul numero di ottobre-novembre 1945 della Rivista Marittima fu pubblicato il suo necrologio, nel quale è riportato che: «Purtroppo i fatali eventi della Patria e la immatura fine del Generale ROTUNDI sconvolsero le previsioni che Egli potesse raggiungere il più alto grado come tutti avrebbero desiderato» e che: «La Marina ha perso nel Generale Rotundi un tecnico geniale, un uomo di cuore e un intelligente studioso dei più delicati e importanti problemi di costruzione navale». Fu insignito delle onorificenze di Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Nel 1946 le sue spoglie mortali furono traslate da Roma nella tomba di famiglia, nel cimitero di Foggia. Il 6 marzo 1949 la città di Foggia promosse una manifestazione per onorarne la memoria, e nella Chiesa di Gesù e Maria, officiato dal Provinciale dei Frati Minori, fu celebrato un solenne rito funebre. Il 1° novembre 1955 nella villa comunale ebbe luogo lo scoprimento di un busto eretto in onore del generale Rotundi. Il 4 agosto 1955 la Giunta comunale della città di Manfredonia votò all’unanimità la proposta del sindaco commendator Brigida di intitolargli l’edificio della locale Scuola Professionale Marittima, poi Istituto Tecnico Nautico «Gen. Francesco Rotundi», nato nel 1959 con due indirizzi di specializzazione, capitano di Coperta e capitano di Macchine. Dal 1° settembre 2010, con la riforma Gelmini, il percorso dell’Istituto Tecnico Nautico è confluito nel settore tecnologico attivando gli indirizzi «Trasporti e Logistica» — Articolazione: «Conduzione del Mezzo» — Opzione «Conduzione del Mezzo Navale» e Opzione «Conduzione Apparati e Impianti Marittimi».
Claudio Boccalatte
Cristoforo Colombo Regio Cantiere Castellammare di Stabia, 1926-28; Dislocamento: 2.790 t; Dimensioni: lunghezza al galleggiamento: m 66,75 — Lunghezza massima: m 78,3 — larghezza: m 14,85 — immersione m 5,63; Armamento: 4 cannoni da 76/40 — 2 mitragliatrici aa; Apparato motore: diesel elettrico — 1.600 HP — 2 eliche coassiali; Velocità: 10 nodi. Amerigo Vespucci Regio Cantiere Castellammare di Stabia, 1930-31; Dislocamento: 3.545 t; Dimensioni: lunghezza al galleggiamento: m 70 — lunghezza massima: m 82,38 — larghezza: m 15,54 — Immersione media: m 6.3; Armamento: 4 cannoni da 76/40 — 2 mitragliatrici aa; Apparato motore: diesel elettrico 1.900 HP — 1 elica; Velocità: nodi 10,5. Nei primi decenni del Novecento la Marina italiana era dotata delle navi scuola Amerigo Vespucci e Flavio Gioia, ex incrociatori costruiti nella seconda metà del XIX secolo. Quando si trattò di sostituire le due navi ormai vicine alla radiazione (il FlavioGioia fu radiato nel 1920, il primo Amerigo Vespucci nel 1928), lo Stato Maggiore della Marina si trovò a dover decidere fra la navigazione a vela o a motore come primo contatto degli allievi ufficiali con il mare; la prima alternativa si impose sia per la specifica padronanza degli elementi naturali che consegue dalla sua pratica sia per lo sforzo fisico a contatto con la natura che esso impone. Non essendo all’epoca più disponibili navi a vela di grandi dimensioni da trasformare, si dovette ricorrere alla progettazione e costruzione di nuove unità. Così nel 1925 venne approvato un progetto di nave a vela con propulsione ausiliaria elaborato dal tenente colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi e nacque il Cristoforo Colombo che venne varato nell’aprile del 1928. A questa unità fece seguito l’Amerigo Vespucci, impostato anch’esso a Castellammare di Stabia nel maggio del 1930 e varato nel febbraio del 1931. Il progetto del Vespucci venne derivato da quello del Colombo, maggiorandone le dimensioni con un rapporto di scala di 1,05. Il progetto di queste navi si ispirò, nelle forme esterne e nella dotazione velica, a quello del vascello Re Galantuomo, imponente unità della Marina italiana, già Monarca della Marina borbonica, progettato dal direttore delle costruzioni navali napoletano Felice Sabatelli, costruito a Castellamare di Stabia tra il 1846 e il 1852, dotato nel 1858 di apparato motore a vapore, incorporato nel 1860 nella Marina sabauda e nel 1861 nella Marina italiana con il nuovo nome che alludeva al primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II. Le caratteristiche strisce bianche e nere delle fiancate delle navi scuola rimandano alle fiancate del vascello, dove le linee bianche erano quelle in corrispondenza dei ponti di batteria e dove erano presenti i portelli dei cannoni. Ma, a parte l’aspetto esterno, Colombo e Vespucci erano navi per alcuni aspetti all’avanguardia; erano le prime unità militari italiane dotate di apparato motore diesel-elettrico in corrente continua. In particolare, il sistema di propulsione ausiliario (il sistema di propulsione principale sono le vele) di cui era dotata nave Vespucci alla consegna nel 1931, era basato su di un impianto elettrico per la propulsione con un motore elettrico e due dinamo trascinate da due motori diesel a 2 tempi e 6 cilindri tipo FIAT Q 426, e un impianto elettrico per i servizi di bordo in corrente continua a 110 V separato dal sistema di propulsione e alimentato da altre due dinamo. La scelta di dotare il Vespucci di un sistema di propulsione elettrico in corrente continua era stata fatta per consentire, in caso di necessità, di impiegare la nave come stazione galleggiante per la ricarica delle batterie dei sommergibili; sembra che, in effetti, nel corso della Seconda guerra mondiale ci si sia avvalsi di questa capacità. Il sistema di regolazione dei giri dell’unico asse elica di cui è dotato il Vespucci era basato sulla variazione della tensione tramite complessi e delicati sistemi elettromeccanici tipo Ward-Leonard, lo stesso impiegato sulla NewMexico e sulle altre corazzate dell’US Navy, dotate di propulsione elettrica. Ricordiamo che per variare la velocità di un motore in corrente continua occorre variare la tensione; il sistema Ward-Leonard varia la tensione della corrente prodotta da una dinamo di potenza modificando, con l’impiego di resistenze variabili, la corrente di eccitazione, corrente prodotta da una seconda dinamo più piccola che genera il campo elettrico che «eccita» la dinamo principale. Il Colombo aveva un impianto della stessa tipologia, ma con componenti diversi; per esempio aveva due motori elettrici di propulsione su due assi coassiali (uno interno all’altro) che muovevano due eliche a due pale contro rotanti. Il Vespucci è dunque di maggiori dimensioni del Colombo, essendo destinato a effettuare le campagne navali con gli allievi della 1a classe, un corso ancora in parte da sfoltire. L’armamento velico (tre alberi a vele quadre) è quello che si definisce del tipo «nave attrezzata a nave», con bompresso e tre alberi a vele quadre (trinchetto, maestra e mezzana), lo scafo è diviso su tre ponti (coperta, batteria, corridoio) e ha due sovrastrutture alle estremità (castello a prua e cassero a poppa). Le due navi andarono a costituire, nel 1931, la Divisione Navi Scuola ed effettuarono diverse serie di Campagne di istruzione. All’atto dell’armistizio, le due unità che si trovavano a Venezia, raggiunsero Brindisi. Nel dopoguerra, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace firmato a Parigi, la Cristoforo Colombo venne ceduta all’Unione Sovietica, che la utilizzò nel Mar Nero fino al tragico incendio del 1963 che la distrusse. L’Amerigo Vespucci, invece, iniziò a costruire la sua storia leggendaria solcando i mari di tutto il pianeta, e svolge le sue funzioni di nave scuola nella Marina Militare.
Sezione longitudinale della nave scuola CRISTOFORO COLOMBO progettata da Francesco Rotundi (Notiziario della Marina febbraio 2019).
I posamine classe «Ostia»
6 unità: Ostia (Cantiere Navale Triestino, Monfalcone, 1925-26), Azio, Legnano, Lepanto, (tutti costruiti dal cantiere C.N.R., Ancona, 1925-27), Dardanelli e Milazzo (Cantiere Navale Triestino, Monfalcone, 1925-27, cedute nel 1938 al Venezuela); Dislocamento: standard 700 t — pieno carico 954 t — massimo con mine a bordo 1040 t); Dimensioni: lunghezza: m 62,55 — larghezza: m 8,7 — immersione: m 2,4; Armamento: 2 cannoni da 102/35 — 1 cannone da 76/40 — 2/4 mitragliatrici antiaeree — 80 mine; Apparato motore a vapore: 2 caldaie, 2 motrici alternative a triplice espansione — 1.500 HP — 2 eliche; Velocità : 15 nodi. Dopo la guerra del 1914-18 la Marina mise in programma la costituzione di un moderno nucleo di posamine capace di effettuare un esteso minamento protettivo dei litorali nazionali e di certi punti obbligati d’accesso, e di transito, quali per esempio il Canale d’Otranto, il Canale di Sicilia, il Mar Rosso. In quest’ottica, nel 1922 fu progettato dal colonnello (GN) De Vito un nuovo tipo di posamine, la classe «Fasana», realizzata in quattro unità costruite presso il Regio Cantiere di Castellammare di Stabia. Nel 1924 il tenente colonnello (GN) Rotundi, stese il progetto di un tipo di posamine con la possibilità di essere impiegati anche in altri ruoli, di poco meno di 1.000 tonnellate di dislocamento in carico massimo, con una velocità di 15 nodi e una notevole autonomia di oltre 4.000 miglia alla velocità di 10 nodi. Furono costruite 6 unità che costituirono la classe «Ostia»: Ostia, Azio, Dardanelli, Legnano, Lepanto, Milazzo, tutti nomi, eccetto Legnano, di fatti navali di tradizione italica. Le navi ebbero scafi in acciaio dolce Martin-Siemens e, per il loro speciale servizio in climi caldi, presentarono alcune particolarità quali: rivestimento in legno della coperta a prora e a poppa, isolamenti interni intesi a difendere le unità delle alte temperature, alloggiamenti aggiuntivi, ecc. L’apparato motore si componeva di due caldaie a tubi d’acqua, tipo Thornycroft, e da due motrici verticali a triplice espansione che agivano su due assi. Di timoni ve n’era uno di tipo non compensato. Imbarcando la dotazione di 80 mine, sistemate su due binari, per complessive 86,101 tonnellate, il dislocamento massimo raggiungeva le 1.039,696 tonnellate. I risultati delle prove di velocità furono positivi (velocità superiori ai 15 nodi di progetto), mentre i consumi si rivelarono più alti del previsto, e i posamine della classe «Ostia» non poterono mai fruire dell’autonomia di progetto: alla velocità di 15 nodi questa non superò mai le 1.500 miglia. Nel 1938, il Dardanelli e il Milazzo, dopo essere stati rimodernati nel 1937-38 presso i cantieri O.T.O. della Spezia, vennero acquistati dalla Marina del Venezuela che li impiegò come cannoniere, pur mantenendo la capacità posamine, denominandoli rispettivamente General Soublette e General Urdaneta. L’Ostia, destinato in Mar Rosso, fu autoaffondato a Massaua l’8 aprile 1941, il Lepanto, destinato in Oriente, venne autoaffondato a Shangai l’8 settembre 1943, fu poi recuperato dai giapponesi che lo chiamarono Okitsis e passò infine alla Cina nazionalista con il nome di Sien Ning. Il Legnano fu affondato per bombardamento aereo tedesco a Lero il 5 ottobre 1943, L’Azio, unica unità sopravvissuta alla guerra, fu trasformata nel 1946 in nave idrografica e venne radiata nel 1957. Dal progetto di questi posamine fu derivato quello delle cannoniere tipo «Babr» per la Marina della Persia, costruite nel 1931 presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo in 2 esemplari (Babr e Palang, che in lingua persiana significano rispettivamente pantera e tigre), aventi apparato motore diesel con motori Fiat per una potenza di 1.900 HP. Grazie alla loro duttilità d’impiego e alle buone qualità marine, gli «Ostia», nel corso della loro carriera, furono adibiti fruttuosamente in compiti di vario genere, come quelli di cannoniere, unità scorta, navi scuola, idrografiche, stazionarie, coloniali; prestarono onorevolmente servizio nelle Marine di 5 paesi (Italia, Venezuela, Giappone, Cina nazionalista e Persia) in 3 diversi continenti.
Il rimodernamento delle navi da battaglia classe «Conte di Cavour»
Conte di Cavour (costruzione: Arsenale della Spezia, 1910-15; rimodernata nel 1933-37 presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Trieste) radiazione: 27/02/1947.
Giulio Cesare (costruzione: cantiere Ansaldo, Sestri Ponente, 1910-14; rimodernata nel 1933-1937 presso i Cantieri del Tirreno, Genova) radiazione: 15/12/1948. Dislocamento: normale: 28.800 t; p.c.: 29.100 t; Dimensioni: lunghezza fra pp. m 168,96; lunghezza al galleggiamento m 182; lunghezza fuori tutto m 186,4; larghezza m 28; immersione m 10,4; Armamento: 10 cannoni da 320/44, 12 da 120/50, 8 da 100/47, 8 da 37/54 e 12 da 20/65; Apparato motore: 2 gruppi turboriduttori Belluzzo — 2 eliche — 8 caldaie a nafta sub-verticali a tubi d’acqua tipo Yarrow con surriscaldatore — Potenza 93.000 HP; Velocità: 28 nodi; Combustibile: 2.500 t di nafta; Autonomia: 3.100 miglia a 20 nodi, 1.700 miglia a 24 nodi; Armamento 10-320/44; 12-120/50; 8-100/47; 8-37/54; 12-20/65; Protezione: galleggiamento (verticale): max. 250 mm; orizzontale max. 135 mm; artiglierie: torri g.c. max. 280 mm; basamenti torri g.c. max. 290 mm; torri m.c. max. 120 mm; torrione: max. 260 mm; Equipaggio: 36 ufficiali; 1.200 marinai e sottufficiali. Al termine della Prima guerra mondiale la Marina Militare aveva in servizio 5 corazzate monocalibro (dreadnought), la Dante Alighieri, due unità classe «Conte di Cavour» e due classe «Caio Duilio», oltre alla Leonardo da Vinci, pesantemente danneggiata da un’esplosione che ne aveva causato il capovolgimento, e alla super dreadnoughtCaracciolo, in avanzato stato di costruzione, prima di una classe che prevedeva la costruzione di 4 unità. Le difficoltà di bilancio portarono ad abbandonare i progetti di recuperare la Leonardo da Vinci e di completare la Caracciolo; nel 1928 venne radiata la Dante Alighieri, di caratteristiche oramai superate, e rimasero quindi in servizio le sole 2 corazzate classe «Cavour» e le due classe «Duilio». Più che per la loro reale efficienza bellica, queste unità furono mantenute per cercare di reggere un certo equilibrio con la Francia. Successivamente, quando, dopo il termine della «vacanza navale» degli anni Venti, furono messe in programma nuove unità presso altre Marine, in particolare le due corazzate veloci «Dunkerque» francesi, l’Italia decise di lanciare un programma per la costruzione di moderne unità corazzate da 35.000 tonnellate di dislocamento, armate con cannoni da 381 (la classe «Vittorio Veneto») e di rimodernare radicalmente le due «Cavour», onde ottenerne unità che non sfigurassero nel paragone con le «Dunkerque». Il progetto del rimodernamento delle «Cavour», elaborato dal generale Rotundi all’interno del Comitato Progetto Navi, era finalizzato al miglioramento della velocità, dell’armamento e della protezione, in particolare quella subacquea, delle due unità. Il rimodernamento fu radicale, probabilmente il più completo che sia stato mai effettuato per navi di linea. Solo il 40% circa della costruzione originale venne mantenuto. Per quanto riguarda l’armamento, venne sbarcata la torre centrale da 305 mm, e i rimanenti pezzi dello stesso calibro vennero alesati e portati al calibro di 320 mm. Venne costruita una nuova prora, saldata sopra quella originale, e sostituito interamente l’apparato motore. La corazzatura rimase quasi inalterata, con qualche aumento della protezione orizzontale, ma furono adottati i cilindri assorbitori tipo «Pugliese» per la protezione subacquea contro gli scoppi delle mine e dei siluri. Completamente rifatte le sovrastrutture; fu creato un torrione di comando a tronco di cono, non troppo elevato, al quale erano sovrapposti i grandi telemetri della direzione di tiro principale. Tra il torrione e il tripode poppiero si elevavano i due fumaioli, dritti, piuttosto piccoli e non troppo distanti l’uno dall’altro. Completato il rimodernamento nel 1937, le due corazzate rientrarono in Squadra, e parteciparono attivamente alle prime fasi della Seconda guerra mondiale; la Cavour, danneggiata nella notte di Taranto nel dicembre 1940 non rientrò più in servizio. La Cesare sopravvisse alla guerra e nel 1948, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace, fu ceduta all’Unione Sovietica dove rimase in servizio, nella flotta del Mar nero, con il nome di Novorossijsk fino al 28 ottobre 1955 quando venne distrutta da un’esplosione.
Schema della corazzatura delle corazzate classe «Cavour» rimodernate (Almanacco navale, 1941).
Il rimodernamento delle navi da battaglia classe «Caio Duilio» Duilio (costruzione: cantiere di Castellamare di Stabia, 1912-15; rimodernata nel 1937-40 presso i Cantieri del Tirreno, Genova), radiazione: 15/9/1956.
Andrea Doria (costruzione: Arsenale della Spezia, 1912-16; rimodernata nel 1937-40 presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Trieste), radiazione: 01/11/1956. Dislocamento normale: 28.700 t; p.c.: 29.000 t; Dimensioni lunghezza: fra pp. 168,96 m; f.t. 186,9 m; larghezza: 28 m immersione: normale: 9,1 m : p.c.: 10,4 m; —Apparato Motore: 8 caldaie sub-verticali a tubi d’acqua tipo Yarrow con surriscaldatore; 2 gruppi turboriduttori tipo Belluzzo — Potenza 85.000 HP; Velocità: 27 nodi; Combustibile: 2.550 t di nafta; Autonomia: 4.250 miglia a 12 nodi, 3.390 a 20 nodi; Armamento: 10-320/44; 12-135/45; 10-90/50; 19-37/54; 12-20/65; Protezione galleggiamento (verticale): max. 250 mm; orizzontale: max. 135 mm; artiglierie: torri g.c. max. 280 mm; basamenti torri g.c. max. 290 mm; torri m.c. max. 120 mm; torrione: max. 260 mm; Equipaggio: 35 ufficiali + 1.460 marinai. Nel 1937, completato il rimodernamento delle due corazzate classe «Cavour», entrarono in cantiere le due unità classe «Duilio» per subire analoga radicale operazione. Come già per le prime due navi da battaglia, il progetto di rimodernamento venne studiato dal Comitato Progetto Navi ed elaborato dal generale del Genio Navale Rotundi. La ricostruzione non si discostò nelle sue linee generali da quella delle «Cavour» (nuova prora, sostituzione apparato motore e sovrastrutture, lievi miglioramenti alla corazzatura, armamento principale ricalibrato e nuovo armamento secondario, cilindri assorbitori tipo «Pugliese»), ma tenne conto di alcune deficienze riscontrate nel rimodernamento delle due unità precedenti, cercando di porvi rimedio. Fu, fra l’altro, migliorato l’armamento secondario adottando i nuovi cannoni da 135 mm e da 90 mm, che diedero alle due corazzate armi antisiluranti e antiaeree, notevolmente superiori a quelle imbarcate sulle «Cavour». La contemporanea costruzione delle «Vittorio Veneto» influì sullo studio delle sovrastrutture di queste navi; infatti, in molti particolari le due nuove «Duilio» assomigliarono alle unità maggiori: ebbero, per esempio, torrione quasi eguale, alberetto poppiero dello stesso tipo e analoga disposizione dell’armamento minore. Rispetto alle «Cavour», i fumaioli vennero leggermente avvicinati tra di loro e sistemati in posizione più poppiera, in modo da liberare maggiormente i congegni di punteria installati sul torrione dai prodotti della combustione. Dopo il rientro in servizio parteciparono attivamente alla Seconda guerra mondiale; la Duilio, danneggiata nella notte di Taranto, rientrò in servizio nel maggio 1941, dopo 5 mesi di lavori a Genova. Le due unità classe «Duilio» furono le uniche corazzate lasciate alla Marina Militare italiana dopo la Seconda guerra mondiale, e rimasero in servizio fino al 1956, quando furono entrambe radiate.
Sezione longitudinale e sezioni trasversali delle corazzate classe «Duilio» rimodernate (Le navi di linea italiane 1861-1961).
Vista esterna del vascello della Regia Marina italiana RE GALANTUOMO, ex MONARCA della Marina borbonica; l’aspetto esterno delle navi scuola CRISTOFORO COLOMBO e AMERIGO VESPUCCI voleva riprendere le linee di questa bella unità (Le navi di linea italiane volume I 1861-1875).
BIBLIOGRAFIA
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«Afghanistan: quelle lezioni da non dimenticare»
IAI AFFARINTERNAZIONALI, 19 AGOSTO 2021
Duecento anni fa Carl von Clausewitz sosteneva che «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero e proprio strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. Se alle sue spalle non vi è una politica, nessuna guerra può essere vinta e, in linea di principio, non vi è alcun senso a combatterla. L’averlo dimenticato spiega in gran parte perché i paesi occidentali hanno perso la ventennale guerra combattuta in Afghanistan e perché, in poche settimane, è crollato, senza nessuna seria resistenza, il governo che in tutto questo periodo l’Occidente aveva sostenuto, leggiamo nell’articolo in parola scritto da Michele Nones, Stefano Silvestri e il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa. Questo principio non cambia per il fatto che alla guerra «tradizionale» si sia affiancata negli ultimi trent’anni la guerra «ibrida», con il coinvolgimento di forze irregolari e un ampio utilizzo degli attacchi terroristici fino al dilagare degli attacchi cyber. Mentre ci si dovrà preparare ad affrontare le conseguenze negative del ritiro dall’Afghanistan, è indispensabile, secondo gli autori, «individuare gli errori commessi e le lezioni di cui si dovrebbe fare tesoro». Alcuni punti emergono già con evidenza, altri richiederanno più tempo e una approfondita riflessione sia a livello generale sia nazionale. In estrema sintesi: gli obiettivi politici di ogni intervento militare in un’area di crisi devono essere «chiari e realistici», basandosi sulla massima consapevolezza della realtà in cui si intende intervenire. L’Occidente dovrebbe saper dimostrare la validità del suo sistema politico-economico-sociale sul piano del confronto senza alcuna pretesa di «esportarlo». In particolare, l’Unione europea e i suoi principali membri devono essere consapevoli che nel nuovo mondo globalizzato e multipolare possono contare solo se si muovono insieme (sottolineando come «anche nei confronti del nostro alleato americano dobbiamo saperci muovere collettivamente se vogliamo spingerlo a condividere, sostanzialmente e non solo formalmente, le sue scelte, anche dentro la Nato»). L’Afghanistan non deve essere considerata un’esperienza isolata o straordinaria. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’impegno in corso dei paesi europei nel Sahel (e in un gran numero di altri paesi africani) ruota intorno all’operazione francese Takuba (alla quale partecipa anche l’Italia) e siccome le crisi politiche in Mali e in Ciad stanno creando seri problemi, il presidente Macron, a sua volta, potrebbe essere tentato di seguire l’esempio del presidente Biden. Se ciò accadesse, le conseguenze sarebbero disastrose per la nostra sicurezza, dall’immigrazione al terrorismo. Allo stato attuale, in particolare, la comunità internazionale e, soprattutto i paesi della Nato, devono farsi carico degli afghani che hanno collaborato con noi in questi vent’anni. Questo comporta il riconoscimento del diritto d’asilo nei nostri paesi con una proporzionata loro suddivisione. «Se non lo facessimo, l’affidabilità occidentale sarebbe pesantemente compromessa a livello internazionale». Per l’Italia gli Autori aggiungono alcune poi specifiche riflessioni: aggiornare il Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015 in funzione dei cambiamenti intervenuti sullo scenario internazionale, laddove «la litania delle missioni di pace» deve lasciare il posto alla consapevolezza che, per conseguire determinati obiettivi politici, le missioni militari comportano anche l’uso della forza. E infine, last but not least, si ritiene opportuno diffondere la consapevolezza che «l’impegno delle nostre Forze armate in questi venti anni non è stato inutile — in considerazione del fatto che — le nostre Forze armate si sono comportate in modo ammirevole, coniugando l’intervento armato con una grande attenzione per la popolazione e per le sue esigenze: un modello di intervento anche per il futuro».
«Will the South China Sea spark the next global conflict?»
THE DIPLOMAT, N.79, JUNE 2021
«Un giorno la Grande Guerra europea verrà fuori da “qualche dannata stupida cosa” nei Balcani», aveva ammonito Otto von Bismarck, il famoso «Cancelliere di ferro» del Reich tedesco. E la profezia ventilata dal Bismarck si dimostrò lungimirante, poiché «una dannata cosa stupida» ai margini degli imperi dell’epoca trasformò senza soluzione di continuità «l’improbabile nell’inevitabile», fa rile-
vare il brillante politologo ed editorialista Richard Yajard Heidarian nell’articolo in parola, apparso sulle colonne della rivista originariamente australiana e oggi con sede a Washington D.C. (fondata nel 2001 e online dal 2009). Ciò che era iniziato con le guerre balcaniche sulle ultime vestigia del territorio ottomano in Europa, si trasformò rapidamente nella Prima guerra mondiale in seguito al surreale assassinio dell’erede al trono austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando. Il pur tragico evento, che all’inizio sembrava una tragedia relativamente gestibile nel più grande schema geopolitico del momento, mise invece in moto una catastrofica ondata di eventi da parte delle principali potenze europee che portarono fatalmente alla guerra. «Una volta premuto il pulsante della mobilitazione, l’intero vasto meccanismo per chiamare, equipaggiare e trasportare [milioni di] uomini ha iniziato a girare automaticamente», ha scritto Barbara W. Tuchman nel suo ormai classico libro, The Guns of August (1962) sulle fatidiche settimane dell’estate 1914, che avrebbero cambiato il destino dell’umanità, spesso contro la volontà vera dei suoi attori principali trascinati obtorto collo nel gorgo del conflitto. Ed ecco l’analogia storica posta in essere dall’Autore: per molti versi, le dispute sul Mar Cinese Meridionale sono la versione odierna dei Balcani dell’inizio del XX secolo, dove «qualche dannata cosa stupida» può scatenare un devastante conflitto globale al di là della nostra immaginazione. È qui, nel cuore marittimo dell’Asia, dove tutti gli ingredienti di un cataclisma globale cospirano contro il periodo postGuerra Fredda di pace e stabilità nell’Indo-Pacifico. È anche qui che il bordo nudo delle ambizioni egemoniche della Cina è in piena esposizione, con conseguenze terribili per i vicini più piccoli e lo stesso ordine internazionale liberale. Ecco il dilemma geopolitico che caratterizza i nostri tempi! «La Cina di oggi è troppo grande per essere “contenuta”, ma sta anche diventando “troppo vorace” per essere lasciata a sé stessa — osserva il Nostro in maniera molto incisiva — se c’è una cosa che la storia ci insegna, è che né il fatalismo strategico, che rischierebbe di trasformare il Mar Cinese Meridionale in un Mare clausum, un vero e proprio lago cinese, né una sconsiderata rivalità tra superpotenze, che potrebbero scatenare un conflitto globale, è consigliabile». È necessario quindi, a suo avviso, un approccio multilaterale attraverso una combinazione ottimale di engagement & deterrence, in base alla quale le potenze che la pensano allo stesso modo e i vicini «assediati» della Cina, in una sorta di «constrainment strategy» dovrebbero mettere in campo un insieme di contromisure diplomatiche, economiche e militari per sostenere un ordine libero e aperto nella regione più dinamica del mondo. «La posta in gioco è niente meno che il futuro dell’ordine globale del XXI secolo». Senza escludere peraltro che, sempre nel Mar Cinese Meridionale, Balcani dei nostri giorni figuratamente parlando, potrebbe verificarsi quella «dannata stupida cosa» che, quasi senza avvedersene, potrebbe innescare un «casus belli» su scala globale. Lo stesso ex segretario di Stato Henry Kissinger ebbe a dire che «il suo più grande timore era che marinai americani o cinesi troppo stanchi nel Mar Cinese Meridionale potessero commettere un errore e iniziare una guerra». Ed è, infatti, proprio lì che l’incidente tra un peschereccio cinese e un’unità navale americana mette in moto a cascata una serie di eventi che portano alla guerra mondiale, secondo il tema del libro 2034: A Novel of the Next World War. Un tecno thriller pubblicato lo scorso marzo dagli scrittori militari Elliot Ackerman e James Stavridis. Il primo, ex ufficiale dei Marines pluridecorato che ha prestato servizio in Afghanistan e Iraq, il secondo ammiraglio statunitense a quattro stelle in quiescenza, già comandante dell’US European Command e NATO Supreme Allied Commander Europe (2009-13). In rapide sequenze, Pechino, vinta la battaglia navale nel Mar Cinese Meridionale contro ben due air carrier strike group statunitensi, le cui comunicazioni vengono chiuse con un preventivo e brillante attacco di cyberwar, lancia l’invasione di Taiwan. La Russia, schierata a fianco della Cina insieme all’Iran, invade a sua volta il territorio polacco. A quel punto la presidentessa americana (sì proprio una donna eletta in una lista indipendente!) autorizza l’attacco nucleare sul porto cinese di Zhanijiang, mentre la Cina risponde usando le proprie armi nucleari per distruggere San Diego e Galveston. Siamo sull’orlo di una pericolosissima escalation
nucleare che viene però fermata manu militari dall’India, con attacchi a sorpresa sia contro la portaerei nucleare cinese Zheng He sia contro gli aerei americani diretti su Shanghai per un attacco nucleare che solo in parte riesce. La guerra termina come risultato degli accordi di pace di Nuova Delhi. Gli autori hanno reso, infatti, l’India «l’eroina» del loro libro, un’India che si candida così a essere la detentrice del nuovo ordine geopolitico nell’IndoPacifico. Sono gli statisti indiani che agiscono, infatti, con saggezza e prudenza per fermare l’escalation della guerra nucleare in corso e negoziare la pace. Illuminanti sono le parole che — sempre nella finzione letteraria — lo statista indiano Patel rivolge a suo nipote, vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti: «Hai sprecato il tuo sangue e il tuo tesoro a che scopo? Per la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale? Per la sovranità di Taiwan?Il mondo non è abbastanza grande per il tuo governo e quello di Pechino? Forse vincerai questa guerra. Ma per cosa? Per essere come gli inglesi dopo la Seconda guerra mondiale, il tuo impero smantellato, la tua società in ritirata? E milioni di morti da entrambe le parti?». Il 2034 prevede dunque una guerra nucleare tra grandi potenze che rimane però limitata e al lettore, che si chiede quanto può essere realistica, non sfuggirà l’invito degli Autori a un maggiore appeasement politico nei confronti della Cina, dopo i toni duri di Trump e di Biden, unitamente alla revisione dei principali capisaldi della politica estera statunitense lungo il Pacific Rim. Alla richiesta, infine, di offrire un consiglio al Pentagono e alla Casa Bianca, gli Autori hanno sottolineato la necessità di «un pensiero più creativo sul futuro», definendo addirittura Pearl Harbor, l’11 settembre, l’attuale pandemia e vent’anni di guerra in Afghanistan proprio come «fallimenti dell’immaginazione»!
«La galera di Abukir»
ARCHEO. ATTUALITAÊ DELPASSATO, N.438, AGOSTO 2021
Ogni volta che sentiamo parlare della baia egiziana di Abukir, il pensiero va subito alla celeberrima battaglia del Nilo combattuta tra la sera del 1º e la mattina del 2 agosto 1798, nella quale Nelson sconfisse clamorosamente la flotta francese al comando dello sfortunato Brueys. Il presente articolo ci porta invece indietro di parecchi secoli, nientemeno che alla città di Heracleion (detta anche Thonis dagli egizi), sommersa dalle acque a sei km dalla linea di costa sin dall’VIII secolo d.C. a causa di fenomeni sismici e geologici e riscoperta solo nel 2000. La città ellenistica, una vera e propria Venezia dell’antichità, di cui ci ha parlato lo storico Erodoto e il geografo Strabone, costruita com’era su una rete di canali, è stata teatro di una nuova e importante scoperta di archeologia subacquea, avvenuta nel corso delle ricerche che da anni interessano l’area. Si tratta del relitto di una «galèra» come titola l’articolo (ovvero «galèa») di età tolemaica [per l’etimologia e l’evoluzione storica rimane fondamentale il Vocabolario Marino e Militare del padre Guglielmotti, pp. 768-770], che colò a picco nel II secolo a.C., dopo essere stata colpita dai blocchi di pietra del vicino tempio di Amon Ra, il capofila del pantheon egizio, che un violento terremoto fece precipitare in mare. «Finora i ritrovamenti di “galere veloci” risalenti all’epoca ellenistica sono stati assai rari — spiega Franck Goddio, l’archeologo francese che ha guidato le ricerche — e il solo esemplare confrontabile con il nostro è il relitto della nave punica di Marsala (datata 235 a.C.) La galera venne costruita impiegando il “sistema a incastro delle mortase e dei tenoni” per le giunture e curando con particolare attenzione l’articolazione interna della struttura (ipac.regione.fvg.it). Al tempo stesso appaiono evidenti soluzioni tipiche della tradizione egiziana e possiamo perciò parlare di una costruzione di tipo misto realizzata da maestranze locali. La galera era sospinta dai remi, ma disponeva anche di un’ampia vela, come prova la presenza di un albero di notevoli dimensioni. Il fondo dell’imbarcazione era piatto così come la chiglia, in modo da favorire la navigazione nelle acque del Nilo e del Delta. La lunghezza totale dell’imbarcazione era pari a 25 m, una misura equivalente a circa sei volte quella della sua larghezza». Un altro tesoro archeologico in corso di studio si aggiunge così a quelli già ritrovati nella città sommersa di Heracleion, molti dei quali sono esposti nel Museo archeologico di Alessandria (https://aidanewsxl.wordpress.com/2017/12/31/egitto-baiadi-aboukir). Il Mediterraneo, infinito giacimento culturale sommerso, ha conservato perfettamente i tesori della città dedicata al dio Eracle, il cui culto era diffuso in tutto il mondo greco-romano!
Ezio Ferrante