Rivista Marittima - Aprile 2020

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APRILE 2020

RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

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* RIVISTA MARITTIMA *

APRILE 2020 - Anno CLIII

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FOCUS

Scacchiere Cina e Sud-Est asiatico SPECIALE

NATO Response Force, l’impegno della Marina


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RIVISTA MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

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GUERRA E PACE

NEL PENSIERO CONTEMPORANEO Rivista Marittima

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Sommario IL SUPPLEMENTO PER GLI ABBONATI Atti del XII Regional Seapower Symposium Venezia, 15-18 ottobre 2019

70 La potenza nipponica fra ambizioni neoimperialistiche e criticità socioculturali Giulia Ragno

SPECIALE

79 NATO Response Force: l’impegno della Marina in prontezza per la NATO

Fabio Accogli

QUESTO MESE CON LA RIVISTA MARITTIMA

PRIMO PIANO

6 ASEAN: dispute antiche per nuovi assetti economici e geopolitici Paola Giorgia Ascani

PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

90 La Marina pakistana si rinnova Giuliano Da Frè

STORIA E CULTURA MILITARE

20 Il Sud-Est asiatico

100 L’incredibile destino dell’incrociatore USS Indianapolis Domenico Vecchioni

Paolo Sandalli

34 L’inarrestabile avanzata della tecnologia cinese

RUBRICHE

Massimo Annati

42 Pirateria, virus ed economie Enrico Cernuschi

52 A Est di Suez e a Ovest di Singapore Michele Cosentino

64 Pakistan, realtà complessa e poco conosciuta

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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Che cosa scrivono gli altri

Marco Flavio Scarpetta

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

PROPRIETARIO ED EDITORE

UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel. +39 06 36807248-54 Fax +39 06 36807249 rivistamarittima@marina.difesa.it www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Pagine/Rivista_Home.aspx

DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza

CAPO REDATTORE Capitano di fregata Diego Serrani

REDAZIONE

IN

COPERTINA: un velivolo AV8/B sul ponte di volo di Nave CAVOUR.

Raffaella Angelino Gianlorenzo Pesola Tel. + 39 06 36807254

SEGRETERIA DI REDAZIONE Riccardo Gonizzi Gaetano Lanzo

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FOTOLITO E STAMPA STR PRESS Srl Piazza Cola di Rienzo, 85 00192 Roma

APRILE 2020 - anno CLIII HANNO COLLABORATO: Dottoressa Paola Giorgia Ascani Ammiraglio di Squadra (aus) Paolo Sandalli Contrammiraglio (ris) Massimo Annati Dottor Enrico Cernuschi Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Dottor Marco Flavio Scarpetta Professoressa Giulia Ragno Capitano di Fregata Fabio Accogli Dottor Giuliano Da Frè Ambasciatore Domenico Vecchioni Ambasciatrice Laura Mirachian, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante

Tel. + 39 06 36004142 Fax +39 06 36790123 info@essetr.it Rivista Marittima Aprile 2020


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E ditoriale

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n anno fa, precisamente il 23 aprile 2019, la Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare Cinese (PLAN), ha celebrato, nel porto di Tsingtao, il settantesimo anniversario dalla propria fondazione. Si è trattato di una manifestazione imponente culminata in una rivista navale alla presenza del Presidente Xi Jinping, nella propria doppia veste di Capo di Stato e comandante delle Forze Armate. Al defilamento hanno partecipato numerose navi, tra le quali il Liaoning, prima portaerei entrata in servizio, il Nanchang, il primo cacciatorpediniere lanciamissili di una nuova generazione e, naturalmente, numerosi sottomarini nucleari, essendo Tsingtao una delle maggiori basi della componente subacquea cinese. Come è tradizione, alla rivista hanno presenziato diverse navi da guerra straniere (ben 13) e 60 delegazioni. Tra le unità ospiti, tutte di nuova generazione, ricordiamo la fregata russa Admiral Gorshkov, il cacciatorpediniere missilistico Kolkata della Marina indiana, la fregata Stalwart della Marina di Singapore, il cacciatorpediniere lanciamissili Suzutsuki della Marina nipponica, la LPD (Landing Platform dock) Tarlac della Marina filippina e la corvetta missilistica Prottoy della Marina del Bangladesh. Alcuni esperti analisti hanno acutamente osservato come non si sia trattato solo di una dimostrazione di forza da parte cinese, quanto il desiderio di promuovere una rinnovata comunicazione strategica mondiale per il tramite delle Marine. I significati di tale evento sono dunque molteplici e riverberano sempre con attualità di contenuti nell’ambito geopolitico e geostrategico del Sud-Est asiatico e, pertanto, mondiale. Le pagine della Rivista che seguono, intendono approfondire proprio questi aspetti nella cornice dello scacchiere asiatico. Nessuno ha dubbi in merito al fatto che la Repubblica Popolare Cinese consideri sia l’Oceano Indiano sia quello Pacifico tra loro strettamente connessi e decisivi ai fini dei propri interessi nazionali. Pechino conta, ora e in futuro, sulle risorse e sui mercati posti a cavallo dei due oceani sfruttando, come è naturale, le linee interne di comunicazione e, proprio la Marina popolare ha la forza e la capacità necessarie per esercitare un efficace Sea Control a tutela di questi interessi. È inoltre condivisibile il giudizio in base al quale la Cina, nuova Potenza Marittima oceanica, oltre che continentale, sia altresì perfettamente consapevole in merito alle minacce e alle sfide di una globalizzazione inevitabilmente estesa a tutti i mari del mondo. Nella proiezione economica e strategica della Cina verso i mercati occidentali dell’Europa e del continente africano, questa dimostra infatti un approccio che richiama la saggezza millenaria del «Celeste Impero», sostenendo con forza il principio dei «buoni affari», nel massimo rispetto dei trattati e delle leggi internazionali. D’altra parte, con la Belt and Road Initiative (la Nuova via della seta), la via del Mar Mediterraneo appare strettamente connessa con quella della SEGUE A PAGINA 4

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Cina: più di 20.000 navi mercantili sono salpate dal Mediterraneo verso i porti cinesi attraverso il Canale di Suez. La Marina cinese ha contestualmente manifestato la sua presenza e, dal 2010 a oggi, 33 navi da guerra hanno fatto rotta verso 21 città del Mediterraneo e dei Paesi del Mar Nero. Tuttavia la Cina non possiede, per ora e in questo caso, le medesime capacità di presenza e controllo che può dispiegare nel Sud-Est Asiatico, senza parlare delle capacità denominate A2/AD, ovvero Anti-Access/Area Denial, un nome nuovo per definire la capacità di ostacolare, se del caso impedire, il transito di particolari aree da parte di potenziali forze avversarie. Una guerriglia navale che oggi prevede l’impiego coordinato di sottomarini, missili balistici antinave (soprannominati, non a caso, «carrier killer») e perfino droni. Per riassumere: da un lato la Cina promuove il dialogo a tutti i livelli e il principio dei mari liberi, aperti e sicuri; dall’altro alimenta l’opinione in base alla quale «l’Oceano Pacifico occidentale appartiene ai popoli che vi abitano», così come sostenne ai suoi tempi il «grande timoniere» Mao Tse-tung con particolare riguardo al Mar Cinese meridionale, considerato da sempre dalla Cina alla stregua di mare nostrum. Ciò risulta oggi ancora più evidente in occasione delle frequenti dispute territoriali a sfondo energetico che coinvolgono Cina, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Filippine e Taiwan, in particolare nell’area compresa tra le cosiddette Nine-Dash-Line (nove linee tratteggiate), dove si incrociano le rispettive «Zone Economiche Esclusive» (ZEE). Si tratta in tutta evidenza di una disputa legata alla disponibilità di risorse quali il petrolio, il gas naturale e la pesca; tutti fattori vitali per la crescita e lo sviluppo delle varie economie regionali (e non solo). Come se non bastasse, il Mar Cinese Meridionale è cruciale anche per la propria posizione strategica, in quanto solcato da alcune delle rotte marittime più trafficate al mondo che investono direttamente le economie di molti Paesi e, in particolare, gli Stati Uniti. Dal punto di vista giuridico Washington afferma con forza i principi sanciti dalla United Nations Convention on the Law of the Sea (ovvero la Convenzione di «Montego Bay»), un documento che garantisce alle navi e agli aerei sotto ogni bandiera il libero accesso in qualsiasi mare al di là del limite delle 12 miglia dalla costa. A fianco degli Stati Uniti si pone il Giappone, campione — nel proprio comprensibile interesse — di una visione «libera e aperta dell’Indo-Pacifico». Per quanto riguarda l’India, la competizione con la Cina resta aperta sul piano economico e finanziario globale mentre la spinosa questione del Tibet ha raggiunto una sorta di status quo. Gli sviluppi di questa situazione sono imprevedibili, quello che però è evidente è il ruolo che il SudEst asiatico ha assunto nello scacchiere geopolitico e geostrategico mondiale e della necessità di sempre maggiore approfondimento. Per concludere, ci sia concessa una piccola riflessione con riferimento alla situazione attuale della pandemia in corso del COVID 19. Non sappiamo cosa ci riservi il futuro e come cambieranno, se cambieranno, gli equilibri mondiali: Unione Europea, Sud-Est asiatico, Americhe, Africa, Medio Oriente e non solo. Tuttavia, all’interno della Rivista siamo orgogliosi di aver mantenuto — nel nostro piccolo — invariata la rotta —, continuando a informare il lettore senza soluzioni di continuità. È solo una modesta conferma del fatto che l’Italia tutta non si ferma, non si è mai fermata e mai si fermerà. I precedenti, d’altra parte, sono illustri. Tra le file rilegate della Rivista Marittima, alcuni volumi smilzi, di carta povera e ingiallita, ma dai caratteri nitidi e leggibilissimi, hanno sul dorso stampigliate le date del 1943 e del 1944. Così come non cessarono allora le pubblicazioni, coi suoi contenuti sempre e solo al servizio del Paese; la Rivista oggi continua a pubblicare e a informare a beneficio del lettore: ininterrottamente dal 1868. DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima

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PRIMO PIANO

ASEAN dispute antiche per nuovi assetti economici e geopolitici Paola Giorgia Ascani (*)

(*) Avvocato del Foro di Roma dal 2006, esercita prevalentemente in campo penale e tutela dei Diritti Umani. Patrocinante dinanzi la Suprema Corte di Cassazione e giurisdizioni superiori. Membro della Commissione Diritto e Procedura Penale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ha pubblicato con la casa editrice Giuffrè contributi sulla disciplina dei contratti, brevetti e marchi e proprietà intellettuale. È stata Tutor e membro del direttivo della Camera Penale di Roma e del Centro Studi Alberto Pisani. Ha curato, sotto il profilo giuridico e legale, progetti foto-editoriali in materia umanitaria e internazionale. È consulente giuridico e forense del Circolo del Ministero degli Affari Esteri.

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ASEAN: dispute antiche per nuovi assetti economici e geopolitici

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ottomettere il nemico senza combattere è prova di suprema abilità», così scriveva Sun Tzu ne L’Arte della Guerra, uno dei più antichi trattati di strategia militare. Questo capolavoro del pensiero, che oggi è pure utilizzato nelle scuole di formazione del management di tutto il mondo, ha senza dubbio influenzato nel corso dei secoli la filosofia orientale e potremmo dire, in parte, anche le attuali politiche e strategie cui si assiste nei Mari Cinesi. È noto ormai che questa porzione di Oceano Pacifico di 3.500.000 chilometri quadrati, racchiusa tra gli Stretti di Malacca e Taiwan, su cui affacciano ben dieci Paesi (Brunei, Cina, Cambogia, Vietnam, Filippine, Indonesia, Malesia, Singapore, Taiwan, Tailandia), sia oggi il principale teatro di rivendicazioni e interessi che i suddetti Stati asiatici

frontalieri cercano di affermare, con politiche sapientemente dosate tra egoismi e cooperazione opportunistica. Ma la ribalta di questo mare interessa anche altri attori, seppur non collegati geograficamente alla regione, come Stati Uniti, Australia e Russia, per via delle risorse energetiche che sembrerebbero caratterizzare i suoi abissi e la circostanza di essere la rotta mercantile più trafficata al mondo (con il transito di circa 5 miliardi di dollari di merci — per 1/4 statunitensi — ogni anno pari all’incirca a 1/3 dell’intero commercio marittimo globale e per un’ammontare che si aggira intorno ai 5.300 miliardi di dollari). Ovviamente si tratta di merci (prodotti di consumo, petrolio greggio, e/o suoi derivati, materie prime) destinate in buona parte anche all’Europa. Negli ultimi anni, l’accendersi di nuove contese, o l’acuirsi di antiche, nei Mari Cinese Orientale e Meridionale è dipeso proprio dalla scoperta di ingenti fonti di energia la cui quantificazione è, fra l’altro, ancora impossibile da determinare, posto che necessiterebbe di attività di esplorazione e accertamento realizzabili solo con la collaborazione degli Stati. Questi ultimi però, ancora restii, ne ritardano l’avvento per via delle numerose contestazioni che ancora sollevano, reciprocamente, sia per l’attribuzione

Immagine evocativa della geopolitica e dello scacchiere internazionale (Fonte: yurupari.edu.co). A sinistra: le bandiere dei Paesi Asean (Fonte: cfr.org).

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ASEAN: dispute antiche per nuovi assetti economici e geopolitici

Mappa del Mar Cinese (Fonte: ilpost.it). A destra: le contese Isole Senkaku (Fonte: scmp.com).

territoriale che per interpretazioni giuridiche, più o meno pretestuose, avanzate nell’ottica dell’esclusività. Per dare un’idea della posta in gioco che anima le spinte predatorie in questo angolo marittimo dell’Asia si riporta la stima del Dipartimento Statunitense dell’Energia (United States Department of Energy - DOE) secondo cui le riserve, già note, di petrolio ammonterebbero a 11 miliardi di barili e quelle di gas naturale a 190 migliaia di miliardi di metri cubi, più quelle, soltanto ipotizzate, di 22 miliardi di barili di petrolio e 290 migliaia di miliardi di metri cubi di gas. La dimensione del possibile volume d’affari che ruota attorno alle condotte che gli Stati asiatici, e non, tengono nei Mari Cinesi rende bene l’idea degli scopi veri di tutte le politiche adottate negli ultimi decenni. Soprattutto, svela le reali motivazioni delle numerose dispute sollevate attorno a isolotti, per la maggior parte disabitati e solo in apparenza privi di attrattiva; mire legate all’attribuzione dei relativi dominii del sottomarino, tramite l’assegnazione della titolarità delle ZEE (Zone Economiche Esclusive) per assicurarsene, indirettamente, la gestione e lo sfruttamento. Caso emblematico è quello della Secca di Scarborough, di fatto un nudo e arido scoglio in mezzo al mare, nelle

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cui acque però fioriscono giacimenti che variano tra le 10 e le 15 migliaia di miliardi di tonnellate di gas e si accapigliano Cina e Filippine, anelando ad assicurarseli, ciascuna, in toto. Tra le dispute più note vi è quella che riguarda le Isole Spratly che ha visto fronteggiarsi nel 2016 davanti al Tribunale Internazionale del Mare (ITLOS), Filippine e Cina con esito sfavorevole per quest’ultima, estromessa dal territorio che l’Autorità giudiziaria ha ritenuto d’esclusiva titolarità filippina. Soltanto nei fondali di quella ZEE vi sarebbero infatti 5,4 miliardi di barili e 50 migliaia di tonnellate di gas. Se però per queste isole i due Stati asiatici hanno stabilito di adire le vie legali, non così gli altri che, per lo più, continuano a tenere aperte le dispute o hanno ritenuto più opportuno giungere ad accordi di esplorazione e sfruttamento comune delle risorse. Il caso più noto è quello del 2009 quando fu raggiunto l’accordo tra Malesia e Brunei con la joint venture tra i due colossi dell’energia Petroleum Brunei e Petroliam Nasional Bhd’s (anche nota come Petronas). Questi sono i retroscena, ormai chiari, delle rappresaglie e tensioni che agitano le acque orientali del Sud-Est asiatico e che assumono via via, a livello internazionale, una im-

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portanza crescente per tutto il consesso geopolitico e geoeconomico del mondo.

Le dispute del Mar Cinese nell’area orientale: le Isole Senkaku Meno noto, forse, della parte Meridionale è il bacino orientale del Mar Cinese. Qui la ribalta è monopolizzata, ormai da decenni, dalla contesa delle Isole Senkaku in cui si fronteggiano Cina e Giappone. Considerata, a torto, una disputa minore, questa controversia ha invece una complessità, soprattutto giuridica, notevole, che si intreccia a ragioni di ordine storico-sociale, oltre che, economico. Dopo la Guerra Fredda, è divenuta una tra le questioni più critiche sotto il profilo politico del nuovo millennio. I due colossi orientali, hanno iniziato a contendersi inizialmente lo sfruttamento delle acque poiché ricche di risorse ittiche. Nel 1968, per via della scoperta della più ingente riserva di petrolio al mondo fatta dall’Economic Survey for Asia and East Asia, guidato dalle Nazioni Unite (UN ESCAP - Economic and Social Commission for Asia and the Pacific) la controversia, da mera questione regionale, è divenuta rilevante sotto il profilo ge-

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oeconomico internazionale. Il gruppo delle Senkaku è da sempre amministrato da Tokyo. All’incirca nel XV secolo, le Isole erano parte del Regno di Ryûkyû, vassallo cinese. Nel 1870 divennero feudo giapponese e nel 1895, all’esito della Prima guerra sino-giapponese, furono cedute definitivamente allo Stato del Sol Levante con il Trattato di Shimonoseki o, secondo una tesi altrettanto accreditata, il Giappone le incorporò in base alle norme del diritto internazionale sull’occupazione delle terrae nullius e annesse alla provincia di Okinawa. Dopo il Secondo conflitto bellico mondiale, nel 1951, i territori delle Senkaku, nel frattempo passati all’amministrazione degli Stati Uniti, rimasero esclusi dalla previsione dell’art. 2 del Trattato di Pace di San Francisco, in base al quale il Giappone avrebbe dovuto restituire tutti i territori acquisiti con la forza. Di fatto, si confermava che il possesso nipponico delle Senkaku era del tutto legittimo e non violento, ciò che trovò una conferma, nel 1971, quando l’Okinawa Reversion Agreement, all’art. II, ne sanciva e ribadiva l’appartenenza all’amministrazione giapponese e vi estendeva la protezione dell’art. V del Trattato di Mutua Sicurezza del 1960. Malgrado la situazione giuridica sembra essere quindi del tutto chiara e ormai cristallizzata al punto di aver portato, nel 2008, ad accordi pacifici e congiunti per lo sfruttamento delle risorse sottomarine, la pace nelle Senkaku è stata solo apparente. Diversi momenti di tensione si sono susseguiti a partire dalla prima decade del nuovo millennio: A) nel 2010, lo sconfinamento di alcuni pescherecci cinesi e il conseguente speronamento della Guardia Costiera giapponese (c.d. incidente delle Senkaku) ha portato all’arresto del capitano dell’imbarcazione da pesca, alla sospensione dello sfruttamento comune delle risorse e alla realizzazione di una specie di mini-embargo cinese nei confronti del Giappone (limitazione delle forniture di minerali e metalli rari, componenti essenziali del processo produttivo giapponese); B) nel 2012, il Giappone nazionalizzò tre delle otto Isole Senkaku prima appartenute a un privato, dichiarandole con la c.d. Shelving Formula, territorio giapponese de facto per impedire che la Cina vi accampasse ancora pretese in futuro. Dal punto di vista giuridico, l’accordo ribadiva le ragioni di diritto internazionale e storiche a sostegno del possesso nipponico con-

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Attivisti cinesi portano le bandiere cinese e taiwanese al loro approdo su Uotsuri Island, una delle Isole Senkaku (Fonte: Ap).

tro le quali si scatenarono le contestazioni cinesi agganciate ad altrettante motivazioni di diritto storico: 1) secondo la Cina la propria presenza sulle Isole già nel 1885, sarebbe testimoniata da due note con cui il Governatore di Okinawa chiedeva disporsi un’inchiesta per accertarne la sovranità; 2) uno studio recente del China and EU in the World Project della Fudan University sostiene che le Senkaku fossero dei feudi fiscali cinesi; 3) una serie indefinita di mappe riporterebbe le Isole ora con la denominazione in lingua cinese, ora nipponica, a testimonianza, quanto meno di un’alternanza della sovranità. Rimasta ancora senza soluzione per la complessità oggettiva, questa contesa sarà più di ogni altra un’importante banco di prova per testare l’efficacia dell’attività mediatrice dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico - Association of Southeast Asian Nations, della quale non fanno parte Cina e Taiwan) o di qualsiasi Stato esterno, in primis gli Stati Uniti, nel dirimere le questioni relative alla costituzione di ZEE

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e del relativo diritto di sfruttamento esclusivo della piattaforma in generale. In realtà, nel 1996, il Giappone ha provveduto a istituire una ZEE di 200 miglia a partire dalle Ryûkyû. Nonostante ciò la Cina ritiene ancora di poter avanzare dei diritti in virtù dell’UNCLOS sulla piattaforma che si protende dalle sue coste. Va detto però che le pretese siniche non mirano a costringere il Giappone a rinunciare alle Isole, quanto piuttosto a modificarne l’atteggiamento. La Cina infatti si adopera affinché si perpetui questo atteggiamento di contesa per evitare di perdere, una volta chiusa la questione a favore di un inevitabile uso esclusivo del Giappone, anche la speranza di una gestione comune. Il Giappone è quasi sicuramente il sovrano legittimo dei territori, ma in questo modo ancora non può disporne a pieno titolo. La Cina usa in modo sapiente quell’antica e pregevole strategia diplomatica di coercitive diplomacy denominata issue linkage con la quale sta raggiungendo lo scopo di tenere legato a sé il Giappone per ottenere un’accordo a sé favorevole, pur non avendo alcuna valida pretesa da avanzare. Mantenendo aperti i terreni di confronto scongiura infatti una risoluzione unilaterale a vantaggio solo di una delle due parti sia con metodi diplomatici, sia, all’occorrenza, con mezzi di coercizione atti a indirizzare, subdolamente, il proprio antagonista. Soltanto il tempo potrà dire se la Cina riuscirà nell’intento di negare al Giappone di controllare in esclusiva le Senkaku, certo è che l’impegno militare giapponese per queste Isole è a tutt’oggi ancora ingente e alla soluzione di questa annosa controversia si legano anche le altre dispute, secondo il principio che un precedente di qualsiasi tipo in quest’area del mondo si ripercuote sugli interessi globali e ridetermina equilibri non solo regionali, bensì internazionali, come si è visto per la sentenza di Arbitrato dell’ITLOS del 2016.

Le dispute del Mar Cinese nell’area Meridionale: le Isole Paracelso e la Secca di Scarborough Malgrado siano sempre più numerose le iniziative di collaborazione, risolte anche grazie alla mediazione dell’ASEAN la gran parte dei Paesi dell’area si trovano ancora a difendere prerogative e territori dalla Cina. Sul

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fronte meridionale, sono particolarmente complesse e interessanti due controversie: 1) Isole Paracelso/Xisha e 2) La Secca di Scarborough. 1) I territori delle Paracelso sono al centro di una contesa che coinvolge per lo più Cina, Taiwan e Vietnam. La Cina, come in tutte le dispute che la vedono protagonista, ha prodotto a sostegno delle sue pretese una serie di documenti storici. Afferma infatti la sua supremazia e titolarità sui quasi 130 isolotti che formano l’arcipelago delle Paracelso fin dal 210 a.C., e poi sotto le dinastie Song e Yuan. Proprio sotto questi ultimi, nel 1279, per la prima volta l’arcipelago sarebbe stato inserito in una mappa cinese. I motivi per cui la disputa si è protratta fino ai nostri giorni, tuttavia, sono da ricercare nella storia moderna. La Repubblica Cinese infatti controlla già una parte cospicua di quelle isole dal 1974. Il Vietnam, utilizzando del pari argomenti storici, ribadisce il proprio controllo, datandolo all’Impero del Vietnam del XV secolo e al periodo coloniale francese. La criticità nasce proprio da un atteggiamento ambiguo della Francia su cui si sono innestati gli eventi della Seconda guerra mondiale. Nel 1938 la Francia dichiarò l’arcipelago delle Paracelso annesso all’Indocina. Il Giappone, al contempo parte in causa nella guerra contro la Cina (secondo conflitto sino-giapponese), considerando le isole preda di guerra, contestò l’atto e nel

corso del Secondo conflitto mondiale invase le isole. Seguì, nel 1943, la Dichiarazione del Cairo con la quale il Giappone, per la prima volta in modo formale, riconosceva la restituzione dell’arcipelago, fra gli altri territori, alla Repubblica Cinese. La decisione, riconfermata alla clausola n. 8 della Dichiarazione di Postdam che seguì nel 1945, permette le odierne rivendicazioni cinesi, basandosi su solide basi di storia moderna. Alla fine del 1945 il Giappone concluse inoltre un accordo definitivo con la Cina per la rinuncia a ogni pretesa su Taiwan, Isole Spratly e Paracelso e nel 1952 vi riconobbe la sovranità cinese. I motivi di contesa non avrebbero dovuto sussistere stando a questi eventi se non fosse che, di fatto, l’Arcipelago rimase fino al 1956 in mano ai Francesi quando furono sostituiti dal nascente Stato del Vietnam del Sud subentrato, in modo illegittimo, nel possesso dei territori. L’incertezza derivatane fu causa dello scontro tra una squadra navale sudvietnamita e una della Repubblica cinese nel 1974, quando l’ultima ebbe la meglio e iniziò il suo dominio militare incontrastato sulle Paracelso. Oggi, infatti, sull’Isola di Woody all’interno dell’arcipelago risulta la costruzione di basi, piste e installazioni militari, alcune batterie missilistiche anti-aeree e anti-nave e una serie di batterie di elicotteri militari cinesi già schierati. Nel corso del 2019, si sono moltiplicate le violazioni

Malgrado la mediazione dell’ASEAN (a sinistra, il logo dell’Associazione), sussistono numerose controversie nel Mar Cinese Meridionale (Fonte: Opiniojuris/Reuters).

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La USS MCCAMPBELL (DDG85) durante un’esercitazione trilaterale di sicurezza navale nel Mar Cinese Orientale che impegna l’US Navy con la Flotta della Japan Maritime Self Defense Force e le navi della Republic of Korea Navy (Fonte: wikimedia.org). Nella pagina accanto: gli Stati membri dell’ASEAN (Fonte: ambjakarta. esteri.it).

territoriali; fra tutte, si ricordi quella del gennaio 2019, quando un cacciatorpediniere lanciamissili statunitense (USS MCCampbell), ha condotto un’esercitazione proprio nelle acque delle Paracelso, precisamente a 12 km dalle isole Xisha, azione di fatto interpretata dalla Cina come uno sconfinamento americano, durante la tregua dei 90 giorni accordata tra i due Paesi. Gli Stati Uniti hanno formalmente collocato l’operazione nell’ambito delle FONOPS, (Freedom Of Navigation Operations Operazioni per la libertà di navigazione) volte a preservare l’accesso alle linee di navigazione, come regolato dalla Convenzione Internazionale del diritto del mare (UNCLOS), ma la condotta ha riacuito il senso di precarietà geopolitica nel quadrante asiatico. Di fatto, il Vietnam, in cerca di sostegno dagli altri Paesi, fa da fulcro alla strategia americana di contenimento della Cina e nell’anno corrente, è anche alla guida dell’ASEAN, dove ha manifestato il proposito di richiamare l’attenzione proprio sulle dispute marittime con al centro, va da sé, quelle riguardanti le Paracelso. La partita in relazione agli obiettivi da raggiungere si è poi spostata sul fronte diplomatico. 2) In questo caso, a essere contesa è una porzione di territorio fatta di sabbia e rocce che affiorano appena (2 m) in superficie. Rivendicata dalla Cina e dalle Filippine, dalle cui coste dista appena 220 km, la Secca di Scarborough è insignificante solo in apparenza, vi si cela invece un punto cruciale per gli interessi ener-

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getici e commerciali dell’intero pianeta. Nel 2012 nelle sue acque si è evitato lo scontro armato a causa del blocco operato da una fregata filippina ai danni di otto pescherecci cinesi che praticavano bracconaggio del corallo. Ne seguì la reazione cinese con un possente blocco navale attorno alla Secca che arrivò all’attenzione internazionale quando gli Stati Uniti intervennero come forza mediatrice per il ritiro delle navi da guerra schierate nelle acque da entrambi gli Stati. Mentre le Filippine prestarono seguito all’impegno di ritirarsi, la Cina lasciò le sue flotte in loco. Per questo motivo, nel 2013, le Filippine fecero ricorso all’ITLOS (n. 201319) il quale in quell’occasione sentenziò, com’è noto, sancendo anche la piena titolarità sulle Isole Spratly, nella nota sentenza del 2016, e incrociando le due questioni. Detta decisione, malgrado non sia mai stata riconosciuta dalla Cina, ha comunque un forte valore di precedente per tutti gli altri Stati frontalieri coinvolti in dispute contro il gigante asiatico, oltre che di deterrente giuridico ufficiale per future rappresaglie cinesi. Non è un caso che soltanto due anni dopo, nel 2018 la Cina abbia avviato i negoziati per istituire un Codice di Condotta (il 18 maggio 2017, nella 14a riunione di alti funzionari tra la Cina e i Paesi dell’ASEAN tenutasi a Guiyang per l’attuazione della «Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale») che regoli i rapporti nella regione marittima finalizzato a sostenere

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e mantenere la pace nei Mari cinesi. Questo apparente ravvedimento sulla via di Damasco, indica piuttosto la consapevolezza che l’arma più sicura per controllare e gestire la Guerra Fredda commerciale con gli Stati Uniti possa passare solo attraverso accordi formali e condotte sostanziali con i Paesi dell’ASEAN. Se infatti la strategia statunitense sembra essere il divide et impera di latina memoria, la chance cinese di successo si aggrappa a quel principio, ricordato in apertura, della suprema abilità di sottomettere il nemico senza combattere, o almeno non farlo apertamente. Si può ben dire per queste ragioni che, al momento, il ricorso Repubblica delle Filippine vs Repubblica Popolare Cinese rimane un unicum giudiziario nella gestione dei conflitti nel quadrante del Sud-Est asiatico, poiché gli Stati del Mar Cinese Meridionale preferiscono adottare una politica del compromesso e della gestione comune delle risorse e dei territori che in qualche modo riesca a tener fuori altre figure internazionali dall’area.

La disputa delle Natuna Island e l’ascesa dell’Indonesia È notizia recente, inizio dell’anno in corso, che la crisi diplomatica e militare tra Cina e Indonesia in relazione alle Isole Natuna, si sia inasprita. Anche in questo caso è in ballo la sovranità marittima, con tutte le medesime peculiarità in termini di sfruttamento in esclusiva delle ZEE e delle risorse energetiche legate all’ambiente sottomarino. La Cina sostiene che dette Isole siano comprese nella c.d. Nine Dash Line (ovvero la linea dei nove tratti che, secondo la Cina, detta i confini della propria supremazia sulle acque del Mar Cinese Meridionale, prevalendo sull’UNCLOS istitutiva delle ZEE e che lo Stato asiatico non ha mai riconosciuto); l’Indonesia, invece, ha integralmente aderito ai dettami internazionali dell’UNCLOS e non riconosce alcuna legitti-

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mità alla Linea dei Nove Tratti. Queste premesse spiegano perché nel corso del 2016, si siano verificati ben 3 incidenti nelle acque delle Natuna Islands. La Cina ritiene che i suoi pescherecci siano autorizzati a penetrare nelle acque circostanti l’arcipelago, mentre l’Indonesia interpreta correttamente queste incursioni come uno sconfinamento nelle zone a proprio esclusivo sfruttamento economico. Nel mese di dicembre 2019, decine di pescherecci cinesi si sono introdotti nelle acque delle Isole Natuna, malgrado gli avvertimenti dell’autorità indonesiana, che ha così predisposto un’immediata risposta militare. Il livello della tensione è sfociato in un’intensa attività diplomatica che sostiene, con un’inedita strategia pacifica, la riaffermazione della supremazia indonesiana sui propri territori. Il Paese asiatico infatti ribadisce, in termini di pesca e controllo giuridico, la sua egemonia sulle acque comprese entro le 200 miglia marittime, quale Zona Economica Esclusiva disegnata dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Richiamandosi alla motivazione espressa nell’arbitrato internazionale dell’ITLOS del 2016 prima cennato (causa Cina vs Filippine per le Spratly), ribadisce che le condotte espansionistiche della Cina nel Mar Cinese Meridionale, fra l’altro basate solo su fragili argomentazioni (i c.d. diritti storici), sono illegittime e violano la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). La novità di rilievo è che l’Indonesia ha iniziato a far valere le proprie ragioni, rafforzando la propria flotta navale e di fatto impiegandola nella difesa della ZEE contro la Cina. Una serie di condotte indicative di un nuovo modo di percepirsi quale potenza marittima, attraendo così le problematiche che riguardano le sue acque tra i problemi di sicurezza interna. L’Indonesia, de facto, oggi mira ad assumere una leadership dell’ASEAN, e il suo comportamento denota come quel-

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l’unico, rilevante intervento dell’Autorità Giurisdizionale Internazionale Marittima (ITLOS) nel 2016 abbia costituito un precedente cruciale al punto da sovvertire l’ordine costituito nel Mar cinese, ridimensionando le mire espansionistiche della Cina che oggi si trova a dover interloquire forzatamente con un altro Stato in grado di tenere testa alle sue scaltre politiche. Ciò che va rimarcato è il significativo cambiamento di strategia. Solo pochi mesi prima della pubblicazione della sentenza di arbitrato tra Cina e Filippine, la situazione era molto tesa sotto il profilo militare e navale; si parlava addirittura della possibilità di una nuova Pearl Harbour proprio nelle acque delle Isole Natuna, dove i due Paesi avevano schierato le flotte navali. L’atteggiamento indonesiano era quindi particolarmente aggressivo e lontano da negoziati e lavori diplomatici, e replicando strategie che la assimilavano più all’Occidente si mostrava uno Stato in cerca di appoggi esterni (Stati Uniti), complicando e stravolgendo la natura locale dell’ASEAN. Nel 2017, il più significativo atto di questo atteggiamento, quando lo Stato asiatico si è deciso a ribattezzare alcune parti del Mar Cinese Meridionale come «North Natuna Sea», aggiornando le mappe della parte più settentrionale della propria ZEE. Per contro, la reazione cinese destituiva di fondamento la questione, e ne sottolineava la mancanza di valore sul piano internazionale. Mutando condotte, l’Indonesia oggi ha iniziato ad adottare una politica più sottile e autoreferenziale. Pur riconoscendo cruciale il ruolo dell’ASEAN per la stabilità locale quale strumento necessario alla cooperazione, tuttavia si impegna a rafforzare le proprie istituzioni in un ottica di contenimento delle interferenze sia statunitensi, che cinesi. Questa immagine di Indonesia come battitore libero che mantiene la propria individualità sia all’interno, che all’esterno delle dinamiche asiatiche è la vera innovazione nel panorama ASEAN e sarà sicuramente quella con cui dovrà misurarsi ora e in futuro la Cina, finanche nei suoi rapporti con gli Stati Uniti. La ridenominazione delle acque intorno alle Isole Natuna nell’ambito della cartografia internazionale e delle statuizioni dell’UNCLOS, se può essere interpretato come un mero atto di forza dalla Cina è invece, per il resto del mondo, il debutto indonesiano sulla scena geopolitica.

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L’Indonesia e il Global Maritime Fulcrum Il ruolo dell’Indonesia nell’ASEAN è mutato molte volte negli ultimi decenni, soprattutto dopo l’entrata in vigore e la sottoscrizione dell’UNCLOS. Importanti ragioni geografiche e di politica interna, unite all’adozione del concetto internazionale di Stato arcipelagico, hanno portato il Paese asiatico alla consapevolezza del proprio ruolo cruciale nel panorama internazionale geopolitico. Situata tra Oceano Pacifico e Indiano, è in assoluto il più grande Stato-arcipelago al mondo, confinante con ben altri 10 Stati. Le sue acque sono cruciali per le spedizioni internazionali e la loro conformazione, caratterizzata da diverse profondità, le rende adatte a importanti tipi di operazioni navali. Il Mar di Giava collega il continente Asiatico e l’Australia, le acque a est e ovest sono molto profonde e quindi idonee alla navigazione militare, il Mare di Sawu e quello di Giava permettono il transito, molto appetibile, di sottomarini dall’Oceano Pacifico a quello Indiano. Dopo l’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, l’Indonesia ha finalmente visto riconoscersi la tutela delle proprie acque, sottraendole alla navigazione e allo sfruttamento internazionale cui aveva dovuto assistere fino a quel momento. Prima dell’istituzione delle ZEE, le acque territoriali tra le varie isole che formano l’arcipelago arrivavano al massimo al limite di 3 miglia oltre il quale erano considerate alto mare e quindi soggette al regime di libertà di navigazione. Ciò consentiva a pescherecci e navi straniere di usare quei mari per scopi spesso dannosi all’Indonesia. Fino all’entrata in vigore dell’UNCLOS, l’unica forma di tutela era costituita dalla c.d. Dichiarazione Djuanda (dal nome del primo ministro che la firmò, nel 1957) i

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cui principi furono poi ratificati nella L. 4 del 18 febbraio 1960. Era istituito il nuovo limite delle 12 miglia per le acque interne entro cui riconoscere il passaggio inoffensivo delle navi straniere racchiuse in un sistema c.d. «delle linee di base arcipelagiche», principio sconosciuto fino a quel momento. Con detta legge, per la prima volta, l’Indonesia aveva il merito di introdurre nel lessico e nel diritto del mare internazionale i concetti di acque interne e passaggio inoffensivo, nella prima applicazione del The Archipelagic Outlook, il piano elaborato con la Dichiarazione Djuanda per apprestare la tutela e la realizzazione di un’unità territoriale arcipelagica comprensiva della tutela di ogni singola isola, grazie al riconoscimento del mare fra un’isola e l’altra come parte inscindibile dell’intero territorio indonesiano. Con la L. 6/1996 l’Indonesia adotterà l’UNCLOS, disciplinando in modo definitivo e recepito dalla Comunità Internazionale le proprie acque territoriali. Possiamo considerare l’Archipelagic Outlook, come la fase embrionale dello sviluppo di una difesa marittima, di un potere locale e internazionale per la salvaguardia della propria sovranità e delle sicurezza e diplomazia marittime indonesiane che permeano la sua attuale politica di affermazione, per lo più

sotto il profilo internazionale. I passaggi cruciali operati oggi in seno all’ASEAN e nei rapporti tenuti con la Cina, derivano dal lontano 1998 a cui risalgono le istanze interne di una maggiore attenzione al dominio marittimo. L’ostacolo principale a una sua compiuta realizzazione era da sempre la situazione giuridica relativa alla regolamentazione globale degli oceani. Il panorama indonesiano era infatti zeppo di leggi che dividevano le competenze tra i vari organi istituzionali, senza però alcuna coordinazione. Il primo passo verso una politica generale marittima fu la Legge Fondamentale n. 32/2014, sugli affari oceanici, che riuniva le disposizioni relative alla gestione e allo sviluppo del dominio marittimo indonesiano in un unico impianto normativo e istitutiva il Maritime Security Board, Agenzia per la sicurezza e l’applicazione della legge in mare. Questo primo approccio unitario alla regolamentazione marittima era tuttavia ancora molto rivolto verso una sistemazione prima di tutto interna del territorio, ed è stato del tutto superato negli ultimi anni dalle esigenze della interconnettività. Per questo l’Indonesia ha avvertito la necessità di andare oltre e sviluppare una serie di linee guida di più ampio respiro che guardino oltre i propri confini e si assicurino anche

Il sottomarino indonesiano. NAGAPASA (403). L’Indonesia, de facto, oggi mira ad assumere la leadership nell’ambito dell’ASEAN (Fonte: wikipedia.com).

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il dominio dell’ambiente esterno e un maggior controllo dei rapporti internazionali marittimi. L’attuale sfida indonesiana consiste insomma nell’ampliamento del dominio strategico e della sicurezza nazionale, migliorando le infrastrutture sia all’interno dell’arcipelago, che al di fuori di esso per migliorare al contempo la capacità di sfruttamento del commercio internazionale, abbattere i costi interni, combattere la pirateria e controllare le proprie risorse marittime come la pesca. Così facendo, la politica è entrata, da diversi anni, in una fase di implementazione e tutela della propria sovranità definita Global Maritime Fulcrum (GMF). Evoluzione del principio The Archipelagic Outlook, si è resa necessaria proprio per la costante e crescente minaccia cinese nei Mari cinesi e le controversie in atto nel Mar Cinese Meridionale a partire dal 2010. Il Libro bianco sul Global Maritime Fulcrum, nel 2013, spiegava già l’essenza della visione marittima da realizzare e i modi per raggiungerla e rappresenta la via di mezzo che ha portato poi alla formulazione compiuta dei principi fondanti il GMF. L’idea di rafforzare l’identità marittima dell’Indonesia al punto da renderla una potenza capace di influire sulla scena diplomatica e diventare il «fulcro» delle due vaste regioni marittime in cui si trova immersa come uno spartiacque è divenuta negli ultimi anni una priorità nazionale. Del pari, è sorta la convinzione che per mantenere sovranità e sicurezza nazionale, e al contempo la stabilità regionale, sia necessario un unico accordo sulla sicurezza marittima nazionale che sia la somma di tutti i quadri giuridici esistenti in materia, che possa superare la visione settoriale e prenda un respiro internazionale. Una siffatta politica si basa pertanto su 5 aspetti chiave: 1) cultura marittima; 2) risorse marine; 3) connettività; 4) diplomazia marittima; 5) sviluppo navale. Un progetto

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che nel suo insieme non differisce molto dal progetto cinese di una Via della Seta Marittima del XXI secolo che poggia sulla medesima proiezione verso occidente della Cina grazie all’incremento della connettività marittima commerciale, socio-politica e strategica dal Sud-Est asiatico, passando per l’Oceano Indiano e il Golfo Persico. A livello normativo, il GMF è stato introdotto tramite tre documenti: 1. Il Decreto Presidenziale del 20 febbraio 2017, relativo alla Politica dell’Oceano Indonesiano (IOP) come punto di riferimento per i programmi e le attività relative al dominio marittimo indonesiano («Indonesia capace di fornire un contributo positivo per la pace e la sicurezza nella regione e nel mondo», citando il documento), da attuarsi tramite i seguenti 7 pilastri: i. risorse umane e marine; ii. sicurezza marittima e applicazione della legge e sicurezza in mare; iii. governance e istituzioni oceaniche; iv. sviluppo dell’economia marittima; v. ocean space management; vi. cultura marittima; vii. diplomazia marittima; 2. Il primo piano d’azione per il periodo 2016/2019; 3. Il secondo piano d’azione per il periodo 2019/2024, in corso, con la promozione di una Guardia Costiera ASEAN e il rafforzamento della lotta alla pesca illegale nell’ambito dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) tramite la partecipazione alla Dichiarazione di sicurezza delle navi da pesca. È chiaro che un’Indonesia che raggiunga siffatti obiettivi assumerà una collocazione diversa da quella finora assunta nell’ambito ASEAN. Ben si comprende quindi che, anche solo a livello ideologico, le sue rinnovate ambizioni politiche ed espansionistiche, siano in grado di modificare gli equilibri interni dell’ASEAN, soprattutto in merito alle controversie nel Mar Cinese Meridionale a proposito delle quali vi è già discordia tra i componenti sull’approccio da dare alla crescente assertività cinese e alla mi-

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propria disponibilità anche alle tematiche dell’Occisura in cui intrecciare eventuali rapporti protettivi con dente, come la lotta al terrorismo, l’attenzione al climate gli Stati Uniti. In realtà, sembrerebbe che l’Indonesia sia change e il rispetto interconfessionale. orientata ad affrancarsi dalle volontà esterne nei limiti Si colloca attualmente con disinvoltura nell’ambito in cui questo significa andare contro i propri interessi e dell’ASEAN+3, dove dialoga per lo più con il Giapcosì agire in modo tale da sfruttare la cooperazione per pone e in parte, poter rimanere attranne qualche retore sulla scena miniscenza di globale e al tempo inaffidabilità, stesso rassicurare anche con la Cina; gli Stati minori ma è con l’Austradella compagine lia che l’Indonesia asiatica che le prosta cercando una prie intenzioni non stabilità di consiano prevaricanessioni e scambi. trici. Certo è che L’ a s s o c i a z i o n e mantenendo stretti delle Nazioni del rapporti con gli Sud-Est AsiaticoStati Uniti questi ASEAN, fondata potranno contare Una sintesi della politica indonesiana (Fonte: joac.org). Lo Stato arcipelago (a sinistra) ha assunto nel 1967 con la in modo stabile su un ruolo cruciale nel panorama geopolitico internazionale (Fonte: indonesia.nl). Dichiarazione di un cavallo di Troia nel Sud-Est asiatico di non poco rilievo, vista la straorBangkok, non a caso ha sede a Jakarta. Il Paese (tra i dinaria collocazione dell’arcipelago Indonesiano nel 10 fondatori che hanno istituzionalizzato l’idea di suquadrante indo-asiatico-pacifico che le assicura di ricoperare i particolarismi e i nazionalismi) ha reso prire un ruolo di primissimo piano. Una sorta di Titano l’ASEAN il secondo più grande progetto di integrafinora reietto (con 250 milioni di abitanti è la terza dezione dopo l’Unione Europea. mocrazia più grande del mondo) che si trova di colpo a In poco più di 50 anni di vita, l’ASEAN è riuscita a prendere coscienza di essere fondamentale per il mandotarsi di molteplici strumenti istituzionali per la tutela tenimento degli equilibri locali e internazionali. della pace, sicurezza e stabilità: 1) Trattato di Amicizia e Cooperazione, del 1976; 2) l’ASEAN Charter, nel Il ruolo dell’Indonesia nell’ASEAN 2008; 3) l’ASEAN Economic Community, nel 2015, nonché una serie di iniziative multilaterali quali Questa circostanza è ormai un dato acclarato: l’Inl’ASEAN Regional Forum, l’East-Asia Summit, donesia è riuscita a diventare una potenza regionale e l’ASEAN+1 e l’ASEAN+3 (con Corea del Sud, Cina e quindi lo Stato con maggior caratura nell’ASEAN, sia Giappone), l’ASEAN+6 (con Corea del Sud, Cina, a livello interno che esterno, sedendosi con un proprio Giappone, India, Australia e Nuova Zelanda) allo scopo peso specifico al tavolo dei lavori internazionali (Nadi coinvolgere le maggiori potenze dell’area e del zioni Unite, G-20, Asia Pacific Economic Cooperation mondo. Nel 2017, 40 anni dopo la sua nascita, si è do- APEC, East Asia Summit - EAS). A essa spetta sempre tata di uno Statuto con cui si definisce nuclear weapiù spesso il ruolo equilibratore nell’area asiatica senza pon-free zone e promotrice della protezione dei diritti ricorrere ad appoggi esterni, grazie alla dimensione terumani, della democrazia e della buona governance (art. ritoriale e alla collocazione geostrategica che la rendono 14 Statuto ASEAN). L’Associazione ha inoltre persocomunque un interlocutore obbligato anche per i partner nalità giuridica e possiede una propria Dichiarazione stranieri. Tra i Paesi ASEAN è sicuramente quello che dei diritti umani, esito del lavoro della Commissione ha sempre avuto il profilo più occidentale e mostrato la

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Intergovernativa sui Diritti Umani (AICHR). Sotto il profilo economico, l’ASEAN è la terza forza economica asiatica e la quinta del mondo, con la previsione di divenire la quarta entro il 2030, mentre per popolazione è il terzo blocco mondiale (oltre 600 mln di abitanti) dopo Stati Uniti e EU e possiede la capacità, unica al mondo, di far coesistere Stati provenienti da esperienze politiche diverse, finanche Paesi ancora marxisti, ciò che le assicura rosee prospettive future di funzionamento. Il modello Unione Europea ha ispirato fortemente l’ASEAN, prova ne è la creazione, nel 2015, dell’ASEAN Economic Community (AEC), finalizzato alla realizzazione di un mercato unico nel quale, al pari di Schengen, possano circolare liberamente beni, servizi e professioni e, prima ancora nel 1993, l’avvio della CEPT (Common Effective Preferential Tariff - Tariffa Effettiva Preferenziale Comune) finalizzata proprio alla realizzazione dell’area di libero scambio.

APEC - Asia Pacific Economic Cooperation, ARF - ASEAN Regional Forum, ASEAN+3 Nell’ambito dell’ASEAN, si sono formate nel corso del tempo numerose organizzazioni intergovernative per affrontare le questioni più rilevanti, quali: 1) APEC ovvero Asia Pacific Economic Cooperation; 2) ARF, ASEAN Regional Forum; 3) ASEAN+3 (rispettivamente a presidio di una visione comune in tema di commercio, di sicurezza e politiche sociali. 1) Creato nel 1989 con la Dichiarazione di Canberra, quale Organismo internazionale di consultazione e cooperazione sui temi riguardanti il commercio e gli investimenti, l’APEC, dal 1998 riunisce 20 Stati, o meglio le loro economie, dell’Asia orientale e del Pacifico (Australia, Brunei. Canada, Cile, Cina, Repubblica di Corea, Filippine, Giappone, Indonesia, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Perù, Russia, Singapore, Stati Uniti, Taiwan, Tailandia, Vietnam) più la Regione amministrativa speciale della Cina, Hong Kong. Ha come scopo la promozione degli scambi e del commercio tramite l’abbattimento delle barriere commerciali nell’area pacifico-asiatica. Proprio nel corso del 2020, come obiettivo, l’APEC deve realizzare la

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creazione dell’area di libero scambio tra gli Stati membri. Purtroppo però dal 2018, in cui per la prima volta in 29 anni un vertice APEC si è concluso senza un accordo per l’accentuarsi delle divergenze sulle politiche tariffarie e la concorrenza nell’area del Pacifico tra Cina e Stati Uniti, la difficile convivenza di quest’ultimi nell’ambito del consesso economico si è notevolmente complicata. Si auspica non in modo definitivo, tale da negare la speranza del raggiungimento degli obiettivi finali dell’organizzazione. Per vedere cosa accadrà, occorrerà attendere le prossime evoluzioni, sperando che siano superate le ragioni del motivo del contendere legate al lancio della c.d. Nuova Via della Seta, volta a inserire la Cina in nuovi mercati tramite le tre vie terrestre/marittima/polare, che gli Stati Uniti hanno interpretato come una «cintura costrittiva» inaccettabile per il commercio; 2) L’ARF (ASEAN Regional Forum), nasce nel 1993 e riunisce gli Stati membri dell’ASEAN, i loro principali partner commerciali e numerosi altri Stati dell’area asiatica, al fine di intessere un dialogo comune sulle questioni inerenti la sicurezza dell’area. L’ARF si prefigge anche di concretizzare una diplomazia preventiva in tutta l’area asiatica che possa incrementare il dialogo e superare, in modo pacifico, le numerose controversie tra Stati. La po-

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ASEAN: dispute antiche per nuovi assetti economici e geopolitici Una mappa dell’Indo-Pacifico. In quest’area sembra si giochi la partita del mondo, con equilibri variabili che dipendono dalla scelta dei partner, sia interni sia esterni. L’importanza geopolitica di quest’area si affianca alla potenza geoeconomica ed è per questa ragione che nessun continente deve sentirsi escluso dalle dinamiche che si svolgono nel Sud-Est asiatico (Fonte: jandaluzd.files. wordpress.com).

e non gode di una vera e propria autonomia rispetto all’organizzazione madre. Malgrado ciò è da considerarsi uno dei principali motori di cooperazione asiatica.

Conclusioni

litica dell’ARF è diretta alla formazione di un progetto comune di sicurezza e cooperazione nella regione asiatica che permetta di creare una rete di relazioni nell’area Asia-Pacifico quale base per accordi di tipo economico e politico. 3) ASEAN+3 o ASEAN Plus Three (APT), fu fondato nel 1997 con lo scopo di mettere insieme l’ASEAN e la Cina, Giappone e Repubblica di Corea (Corea del Sud). La cooperazione dell’APT si prefigge di combattere in modo comune, la criminalità internazionale, di realizzare una politica comune di sicurezza, economia, finanza, sviluppo economico e politiche del lavoro, ambientali e del welfare. Si tratta in buona sostanza di un progetto di relazioni esterne dell’ASEAN,

In buona sostanza, sembra che la partita del mondo si giochi nei mari asiatici, con equilibri variabili a seconda della scelta dei partner sia interni, che esterni. L’importanza geopolitica si affianca in quest’area a quella geoeconomica e ricorda al mondo la fitta rete di interessi che lega un Paese all’altro senza soluzione di continuità. Nessun blocco continentale o Comunità Internazionale può e deve sentirsi esclusa dai giochi e dalle dinamiche che si svolgono nel Sud-Est asiatico, perché, almeno fintanto che le rotte marittime dell’Artico non saranno rese disponibili dal cambiamento climatico e le mosse per la distribuzione e l’accaparramento delle nuove autostrade del mare non siano chiari a tutti, il progetto della Cina della nuova Via Commerciale onnicomprensiva, sta già cambiando, in previsione, gli assetti e le visioni di tutti gli Stati asiatici e dell’Occidente accortosi, di colpo, di non essere più il centro del mondo. Le sfide che il nuovo millennio porta con sé, sotto tutti i punti di vista, sono ancora una partita aperta che tutti possono giocarsi, Unione Europea e Italia comprese. Ciò che sta accadendo in quella porzione di Mondo fa comprendere, in via definitiva, come non esistano più regionalismi. 8

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PRIMO PIANO

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asiatico Nel «Secolo Blu» e del Pacifico, il Mediterraneo asiatico sarà determinante negli equilibri geopolitici tra Oriente e Occidente

Paolo Sandalli (*)

(*) Ammiraglio di Squadra in ausiliaria, ha ricoperto rilevanti incarichi a livello pianificazione strategica, politico-militare e diplomatico in ambito internazionale e interforze ai vertici dell’International Military Staff della NATO, della Divisione Piani e Politica Militare dello Stato Maggiore Difesa e Addetto per la Difesa con credenziali presso Indonesia, Singapore e Filippine. Ha esperienza operativa di 20 anni di imbarco e di comando navale, culminata nel comando della Forza Multinazionale Marittima delle Nazioni Unite in Libano, nonché quale Capo Divisione Operazioni della Squadra Navale. È stato Comandante in 2a, Direttore Corsi Ufficiali e insegnante di etica militare in Accademia. Ha conseguito un Master di II livello in Geopolitica e Relazioni Internazionali ed è autore di vari volumi e saggi a sfondo geopolitico, storico e militare anche sulla nostra Rivista.

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(Fonte: kyotoreview.org).

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egli anni tra il 2006 e il 2009 ho avuto la fortuna di fare la straordinaria esperienza professionale di Addetto per la Difesa del nostro Paese presso l’Ambasciata di Jakarta con credenziali anche presso la Repubblica di Singapore e quella delle Filippine, affacciandomi così alla realtà che già si delineava chiaramente della ascesa economica e politica del Continente Asiatico e dell’incipiente declino dell’Occidente, sia in termini della progressiva erosione del potere statunitense, unica potenza globale sopravvissuta alla Guerra Fredda, sia in termini di un’Europa ancora protagonista degli equilibri economici e culturali del pianeta, ma sempre meno rilevante per quelli afferenti la sicurezza e i rapporti di forza geopolitici del secolo che allora era appena iniziato. Viceversa ebbi conferma dell’importanza della regione in cui operavo, quale cerniera tra gli Oceani Indiano e Pacifico, per il controllo delle linee di comunicazioni marittime strategiche tanto per l’economia dell’Occidente, quanto per la già allora evidentissima e incontenibile ascesa economica cinese. Chiarissimo era, inoltre, fin da allora, come la regione sarebbe stata fondamentale per le tendenze evolutive riguardanti i principi basilari del diritto del mare in particolare per il regime degli stretti e delle acque arcipelagiche così come sono state codificate e imposte a tutti dalla nostra visione occidentale, oggi sovente messa in discussione da nuove potenze emergenti. Soprattutto mi apparve chiarissima l’importanza strategica dell’intera regione del Sud-Est asiatico in termini dell’eterno confronto, sempre riproposto dalla Storia, tra potenze marittime e continentali e quindi per i nuovi equilibri geopolitici, oggi sempre più evidenti, che si stavano già allora delineando.

L’influenza delle teorie geopolitiche elaborate nel XX secolo e i precedenti storici Durante il mio mandato, nella primavera 2008, chiesi e ottenni di essere invitato quale osservatore in rappresentanza della nostra Marina a una imponente esercitazione aeronavale

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organizzata nella acque del Bengala e in quelle del SudEst asiatico fino al Mar Cinese Meridionale dal Comando della VII Flotta Statunitense del Pacifico, denominata Malsindo dalle iniziali dei nomi di Malaysia, Singapore, India e Indonesia, quali principali attori e fornitori di forze, nonché controllori delle acque e basi in cui si svolgeva l’evento, ma non certo unici e principali partecipanti, essendo presenti, oltre alle preponderanti forze aeronavali e anfibie degli organizzatori americani, anche ingenti mezzi australiani,

giapponesi, neozelandesi e rappresentanze di Filippine e Brunei. L’unica Marina europea presente con proprie forze era quella britannica (una fregata e un contingente anfibio) in virtù dello status speciale conferitole dalla appartenenza al five powers agreement (1). Tra gli osservatori invece, oltre all’autore di questo articolo e al collega francese, erano presenti birmani, vietnamiti laotiani e cambogiani in veste di osservatori ASEAN (2), non invitati a partecipare con forze militari, data

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Il porto antico di Jakarta o Sunda Kelapa come appariva in una stampa olandese dell’Ottocento e come appare oggi (Fonte: Guida dell’Isola di Giava, Collana Periplus).

l’influenza cinese su quei Paesi o la loro lontananza dalle consuetudini navali occidentali, affinché ricevessero un chiaro segnale politico dall’evento. Sul piano della interoperabilità dei mezzi e dei contenuti operativi l’esercitazione vide ovviamente l’efficace integrazione solo delle forze americane con quelle Commonwealth e in parte giapponesi, risultando ben difficile quello con le Marine locali, ma il segnale politico-militare fu fortissimo e ne feci oggetto di un dettagliato rapporto, ipotizzando che l’evento costituisse

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puto cogliere quella parte di pensiero di Mackinder a un primo esperimento sul piano politico-strategico per proposito della dimensione costiera e marittima della la riedizione in funzione di contenimento della Cina realtà geopolitica del pianeta (inner e outer crescent) della SEATO (3) che a metà del secolo scorso era stata che circonda la World Island e costituisce il mezzo mecreata per contenere nella regione l’espansione del codiante il quale la ricchezza e le risorse non naturali, ma munismo di ispirazione sia sovietica che sino-maoista. prodotte dal genere umano attraverso la trasformazione Una sorta di tentativo di ricostruire quella belt o cintura delle prime, erano distribuite e usufruite nel mondo indi sicurezza ispirata da John Spykman (4) per riunire tero attraverso il libero commercio garantito dalla lile forze dei Paesi a vocazione marittima, come insegna bertà dei mari. Mackinder in sostanza era ben conscio la storia, tradizionalmente democratici e liberali per sidella fondamentale importanza delle linee di comunistema politico e liberisti per sistema economico, per cazioni marittime, ma aveva ritenuto erroneamente che contenere le spinte verso i mari dei Paesi a vocazione lo sviluppo delle ferrovie in atto ai suoi tempi avrebbe continentale, invece tradizionalmente totalitari per siconsentito ai flussi commerciali di svolgersi per linee stema politico e dirigisti in economia. interne entro heartland, dando così a chi avesse conQualche decennio prima di Spykman, Haushofer (5), trollato l’Isola del Mondo il dominio sullo stesso. Le profondo conoscitore e ammiratore dell’Asia e dei suoi cose peraltro si sono svolte diversamente da come egli popoli aveva predetto molto bene che il XXI secolo sarebbe stato il secolo dell’Asia e aveva in fondo ragione aveva previsto, come egli stesso in parte ammise. nel sostenere che le democrazie occidentali e in partiIl concetto fu invece ben compreso da Spykman, che colare l’Impero Britannico avevano costituito una cinrivisitò la teoria di Mackinder evidenziando l’importura di controllo attorno al continente asiatico fin dagli tanza del rimland euroasiatico che si estende dal Medialbori dell’epoca coloniale. Egli peraltro, quale tedesco terraneo al Giappone, passando attraverso la lunga fiancheggiatore iniziale del revanscismo germanico di catena di isole e penisole che circondano le masse conispirazione nazista, da cui poi, va detto a suo onore, tinentali asiatiche, laddove si trovano le chiavi del comseppe allontanarsi, e quale pensatore a vocazione conmercio mondiale, dell’interscambio via mare della tinentale discepolo di Mackinder (6) di cui aveva colto, ricchezza del pianeta e della sua distribuzione anche tra da nativo delle Alpi bavaresi, solo l’aspetto della iml’enorme massa di popolazione che vive e prospera geportanza dell’Eurasia continentale (heartland estesa dal Volga allo Yantze) quale riserva inesauribile della ricchezza naturale del mondo tale da assicurare il dominio dello stesso a chi se ne fosse assicurato il controllo, allora criticava aspramente tale cintura che considerava uno strumento di oppressione delle democrazie liberali e colonialiste occidentali inteso a impedire l’emancipazione e il progresso delle nazioni asiatiche e limitare il peso geopolitico di Germania e Russia. Basi, ancoraggi e punti di appoggio della Marina sovietica ai tempi della Guerra Fredda, lungo le stesse direttrici dell’antica Marina imperiale inglese (Fonte: USMM). Egli non aveva infatti sa-

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stendo tale ricchezza e i traffici marittimi che ne sono alla base. Non si può comprendere la politica americana nel corso della Guerra Fredda e la storia della seconda metà del XX secolo, ivi incluse le ragioni strategiche alla base degli interventi statunitensi in Corea e nel Vietnam, la creazione della SEATO e il sostegno fornito a regimi questionabili in termini di democrazia e rispetto dei diritti umani fornito a dittatori quali Soeharto in Indonesia e Marcos nelle Filippine, se non si comprende l’imperativo strategico per Washington di assicurarsi il controllo del rimland e in particolare del Sud-Est asiatico quale componente chiave per il controllo degli equilibri strategici secondo le teorie di Spykman. Né viceversa si possono comprendere le ragioni e gli sforzi allora alla base delle spinte del mondo comunista per fomentare movimenti di guerriglia insurrezionale di stampo marxista in tutti gli Stati del Sud-Est asiatico e ancor più i tentativi per il controllo integrale delle penisole coreana e vietnamita e la spaccatura in due di tali Paesi peninsulari in sfere di opposta influenza se non alla luce delle teorie spykeniane sulla importanza delle penisole quali elementi di interruzione della continuità della cintura stesa lungo il rimland indo-pacifico.

Gli intrinseci limiti ai tentativi delle potenze continentali di accedere al potere marittimo e il peculiare caso cinese Le potenze per geografia, e quindi per indotta vocazione, continentali non ignorano affatto il ruolo chiave del potere marittimo e la necessità di misurarsi anche sul mare con le potenze marittime se vogliono imporre alle stesse la loro egemonia. Ciò fu chiaro per esempio alla Germania del Primo e Secondo conflitto mondiale che cercò invano, con una flotta d’altura di tutto rispetto nel corso del Primo conflitto e con la flotta subacquea e la guerra di corsa in entrambi, di minacciare senza riuscirvi le preponderanti capacità di sea control avversarie. Fu chiaro alla Russia zarista con la fallita impresa di Tsushima contro il Giappone (7) e alla Russia sovietica con il formidabile programma navale frutto della appassionata opera dell’Ammiraglio Gorskov (8) intesa a sfidare inutilmente l’Occidente sul piano marittimo. Se tali tentativi fallirono si deve al-

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l’eterna lezione mahaniana sul potere marittimo quale prodotto di fattori di cui una potente Marina Militare costituisce elemento necessario ma non sufficiente. Altri fattori, quali la posizione geografica o la mentalità ed educazione marinara di un Paese azzerano o riducono drasticamente il prodotto se non sono presenti o se sono limitati. Non è facile quindi per l’orso tuffarsi e farsi balena per accedere agli oceani, così come non è facile per la balena addentrarsi all’interno della terraferma per nutrirsi delle riserve naturali strategiche, quali quelle energetiche e le materie prime, di cui le masse continentali sono ricche. Il sistema finora è stato in sostanziale equilibrio con maggiori vantaggi della balena che finora ha prevalso godendo della libertà, ricchezza e benessere offerte dalle condizioni che offre il dominio degli oceani. Peraltro la Storia insegna che ogniqualvolta si è cercato di mettere in discussione tale equilibrio si sono aperte le più drammatiche crisi per la pace e la stabilità del pianeta. La Cina peraltro merita un discorso a parte. Essa negli ultimi secoli non è certamente stata una potenza marittima e potrebbe pertanto apparire come un Paese a vocazione principalmente continentale. Ciò è avvenuto innanzi tutto a causa del suo declino politico ed

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L’Ammiraglio Liu Huaquing, fondatore del potere marittimo cinese, che si sta dotando anche di una formidabile capacità di proiezione attraverso le recenti componenti anfibile e unità portaerei (Fonte: China Defence Blog).

economico nei secoli che vanno dal XVI al XIX, che ha portato anche alle sconfitte e umiliazioni per opera delle potenze europee e del Giappone di cui presto ci sarà presentato il conto. La chiusura al mondo esterno si è poi protratta nel sistema comunista-maoista che ha dato origine a uno strumento militare concepito più per la repressione interna e la difesa delle frontiere continentali con una Unione Sovietica apparentata sul piano ideologico, ma rivale sul piano geopolitico. Perfino il ruolo di potenza nucleare e quello di membro permanente del Consiglio di Sicurezza, ottenuti al termine del conflitto mondiale, non avevano conferito al Paese, al di là delle ambizioni, il rango di potenza in grado di influenzare la politica globale e i destini del mondo. Il risveglio cinese verificatosi a cavallo dell’ultimo cambio di secolo comprende quindi inevitabilmente, accanto a quello economico e militare in generale, anche quello marittimo in piena coerenza con la storia, la cultura, la posizione geografica e grande tradizione commerciale e militare del Paese di Mezzo che fu in passato, anche se molti lo ignorano, una grande potenza marittima sia mercantile che militare. Consiglio a tutti in proposito la lettura del volume di Luise Levathes When China Ruled the Seas, purtroppo mai tradotto in italiano, che descrive come nel

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XV secolo la formidabile flotta dell’Ammiraglio Zeng He, costituita da enormi navi in legno, dotate perfino di compartimentazione e soluzioni tecniche per la stabilità dello scafo e il governo della rotta che precorsero ampiamente le soluzioni europee, esplorò l’intero Oceano Indiano e i mari del Sud-Est asiatico in missione di diplomazia navale a sostegno della politica economica e militare dell’impero. Le sette spedizioni organizzate toccarono le coste australiane quasi tre secoli prima di James Cook cui è attribuita la scoperta di quel continente e toccarono i porti del Golfo Persico e dell’Africa Orientale. Una statua dell’Ammiraglio Zeng troneggia ancora oggi nel porto antico della città indonesiana di Semarang. Altre fonti, ancorché non confermate, narrano che una spedizione giunse sulle coste americane del Pacifico 70 anni prima che Colombo toccasse quelle occidentali, imponendo alle popolazioni delle isole esplorate lungo la rotta tributi e aperture di relazioni commerciali con la Cina. Quando le flotte tornarono, l’imperatore era stato deposto e il Paese caduto nel caos con il susseguente forzato auto-isolamento e il plurisecolare declino. Ciò peraltro conferma che l’attuale trasformazione del Paese in poco più di un ventennio in una grande potenza marittima mercantile e militare,

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Il «filo di perle» steso dalla Cina a protezione e supporto delle proprie linee di comunicazione marittime e di rifornimento energetico. Si nota l’importanza degli Stretti che attraverso il Sud-Est asiatico mettono in comunicazione gli Oceani Indiano e Pacifico (Fonte: wikipedia).

accanto alla conservata dimensione di potenza continentale, sia pertanto un risveglio di una vocazione innata e di una tradizione e non una novità. Con la «collana di perle» e «belt initiative», (9) la Cina sta quindi tentando di scalzare l’Occidente da quel controllo dell’essenziale rimland Indo-Pacifica che gli aveva dato in passato gli strumenti per controllare le spinte continentali verso gli oceani e la supremazia nel commercio. Quindi al dragone sta riuscendo ciò che non riuscì all’orso russo nel tentativo di misurarsi con le balene sul mare. Se all’inizio del nostro secolo un’America desiderosa di conservare il ruolo di unica superpotenza in grado guidare e dirigere l’ordine planetario e una Europa responsabile e conscia del suo ruolo, determinata ad affiancare il grande tradizionale alleato in tale ruolo di leadership mondiale su di un piano di condivisione degli obiettivi, delle responsabilità e soprattutto degli sforzi, avessero saputo assieme governare una globalizzazione sfuggita di mano e mantenere quella supremazia politica, economica, ma anche soprattutto culturale e morale nel proporre al genere umano il sistema occidentale quale modello vincente di società, oggi probabilmente il controllo del rimland indo-pacifico sarebbe ancora tutto saldamente in mani occidentali. Oggi tale controllo è parzialmente sfuggito all’Occidente. La Cina ne ha capito la fondamentale importanza sia per garantirsi l’afflusso sicuro dei propri indispensabili ed enormi fabbisogni energetici, sia per la sicurezza delle linee di comunicazioni marittime es-

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senziali per la sua economia e si è tutelata con una filiera di accordi politici e capisaldi logistici che le consentono ampiamente di controllare e influenzare l’intero percorso. Nulla di preoccupante fintanto che la libertà e la sicurezza di tali vie, essenziali anche per l’Occidente, restino garantite per tutti e il flusso di merci e ricchezza possa viaggiare pacificamente in entrambe le direzioni per la prosperità di tutti i Paesi che vi contribuiscono. Diverso sarebbe se un giorno tale controllo e influenza cinese si trasformassero in dominio e la vasta catena di basi anche militari e comunque dual use che Pechino va inanellando attraverso i Paesi alleati o di influenza, in particolare Myanmar, Pakistan Ceylon, Bangladesh e avviato di recente anche Tailandia, diventasse un giorno strumento di coercizione contro le libertà altrui o mezzo per un diverso approccio al principio della libertà dei mari e del diritto marittimo come oggi lo concepiamo in Occidente. Il ruolo del nascente gigante indiano e dei Paesi del Sud-Est asiatico, che sommati rappresentano un formidabile peso geopolitico, farà la differenza e non a caso Nuova Delhi sta sviluppando sempre più stretti rapporti di cooperazione anche militare con i Paesi ASEAN, segnatamente Indonesia e Singapore, che hanno maggior interesse a contenere Pechino (10). Su tale aspetto gli Stati Uniti e l’Europa dovranno giocarsi la partita in nome dell’Occidente prima che sia troppo tardi.

Il Sud-Est asiatico quale Mediterraneo Asiatico e il suo ruolo chiave di cerniera tra Oceano Indiano e Pacifico Il motivo del peso geopolitico del Sud-Est asiatico e il ruolo che esso giocherà in tale partita è intuibile immediatamente da uno sguardo anche superficiale alla sua geografia. Esso è cerniera tra le masse continentali asiatiche e australiane e soprattutto collega Oceano Indiano e Pacifico attraverso gli stretti di Malacca, Sonda e Lombok. Attraverso tali choke points transita tutto il traffico marittimo in termini di risorse energetiche, materie prime e prodotti industriali trasformati tra Oriente e Occidente, in altre parole l’arteria giugulare del commercio mondiale. I porti che si affacciano su tale percorso, non solo Singapore che vanta primato a livello

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mondiale, ma tutta una serie di essi, movimentano un volume di merci, containers e passeggeri superiori al traffico che interessa i porti europei. Per accorciare tale percorso la Cina ha perfino accarezzato l’idea di un faraonico progetto per tagliare con un canale navigabile l’istmo di Kha, nella parte più stretta della penisola siamese, progetto al momento accantonato, ma non definitivamente abbandonato, mentre comunque si stanno realizzando soluzioni parziali attraverso oleodotti e gasdotti da un capo all’altro dell’istmo. Ai tempi in cui esercitavo il mio mandato in quell’area ero solito spiegare ai miei interlocutori dei tre Paesi di accreditamento al fine di stimolare l’interesse per la cooperazione e più stretti rapporti con l’Italia, la similitudine della loro situazione geopolitica con il nostro Paese. «Noi condividiamo – usavo dire – una situazione mediterranea, laddove tale termine non ha un significato geografico, ma geopolitico. Esistono

tre situazioni mediterranee nel pianeta: quella storica del Mediterraneo classico, i Caraibi e il vostro Mediterraneo Asiatico incuneato tra il Pacifico e l’Indiano. Le situazioni mediterranee dal punto di visto geopolitico si identificano in un complesso di popoli e Stati, spesso diversi e divisi per storia, cultura, religione, nonché spesso rivali per obiettivi ed interessi, ma accomunati da un fattore comune: il mare che da una parte stabilisce una separazione fisica e geografica, dall’altra crea una unione e comunanza di valori, mentalità e interessi per cooperare nella risoluzione dei problemi comuni e per instaurare tra i popoli delle diverse sponde le interazioni commerciali con cui essi si scambiano i prodotti del loro ingegno, della loro arte e dei lori territori arricchendosi, a vicenda in termini sia materiali che culturali e morali». Tale diversità e tale comunanza «mediterranea», tale ricchezza di storia e culture diverse, con peraltro alla base un

Una tipica imbarcazione da pesca del Sud-Est asiatico. Le risorse ittiche e la loro esportazione costituiscono un cespite importantissimo per l’economia dei Paesi della Regione (Foto autore). In alto: il passaggio tra gli Oceani Ondiano e Pacifico nei pressi dell’Isola di Lombok in una foto aerea (Fonte: archivio autore).

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denominatore comune, appare subito evidente se esaminiamo le nazioni del Sud-Est asiatico singolarmente. Innanzi tutto l’Indonesia: costituisce per peso demografico il quarto Paese al mondo, la terza democrazia (con un processo in via di consolidamento che sembra irreversibile) e il più popoloso Paese musulmano, peraltro con una costituzione laica e una tradizione ispirata alla tolleranza religiosa e culturale e al pluralismo delle etnie e confessioni, quindi possibile modello per gli Stati islamici per una via che concili Islam con democrazia, secolarismo e libertà religiosa. Le sue 17.000 isole costituiscono il più vasto arcipelago del mondo che si estende su un’area immensa, ricchissima di risorse in parte già in corso di sfruttamento, in parte inesplorate, per non parlare delle risorse ittiche tra le più vaste al mondo per biodiversità e natura dei fondali. Sotto tale aspetto il Paese è quindi fonte di importanti riflessioni sulle interpretazioni del diritto del mare attuale e delle sue evoluzioni future in termini di libertà di navigazione negli stretti e in acque arcipelagiche e sfruttamento delle inerenti risorse marine. Le necessità di sorveglianza dei suoi immensi spazi aeromarittimi fanno del Paese uno dei potenzialmente più promettenti mercati par l’industria della difesa. L’economia indonesiana cresce da oltre un ventennio a ritmi del 5/6% e il Paese, già membro del G20, ha un potenziale immenso di sviluppo futuro. Non a caso Xi Jinping ha scelto nel 2013 di annunciare ufficialmente al mondo l’iniziativa della 21st Century Maritime Silk Road o String of Pearls in un discorso pronunciato al Parlamento indonesiano, nella capitale del Paese che ospita il Segretariato dell’ASEAN, ne copre il 50% della superficie e ne genera il 50% del PIL. Singapore costituisce il fondamentale hub della regione, centro di tutti gli scambi finanziari e commerciali e attivissimo polo di convegni, studi tecnologici, scientifici, geopolitici e relazioni internazionali. La città-stato a cavallo tra due oceani è non solo la capitale finanziaria del Sud-Est asiatico, ma esercita una influenza che va ben oltre i confini della regione, soprattutto in campo marittimo e delle tecnologie e sistemi di gestione portuale. Essa è saltuaria sede di simposi navali simili a quello organizzato dalla nostra Marina a Venezia e dalla US Navy a Newport, mentre vi si svolge annualmente

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L’isola di Sentosa vista dalla aletta di plancia di Nave SAN GIUSTO nel corso della campagna in Estremo Oriente nel 2001 (Foto autore).

il cosiddetto Shangri-la Dialogue, che rappresenta uno dei principali e significativi eventi del pianeta in cui si dibattono i temi della sicurezza e degli equilibri geopolitici internazionali. Dal punto di vista militare il Paese è tutt’altro che trascurabile, vantando forze armate di tutto rispetto e di altissimo livello tecnologico ed efficienza operativa che hanno finora consentito alla cittàstato di godere nei confronti dei ben più grandi Paesi vicini i vantaggi di deterrenza della cosiddetta strategia nazionale del «gamberetto velenoso», minuscolo animale che popola quei mari, così indigesto da non essere predato da alcuna specie. Le due imponenti esibizioni, navale e aerea, di sistemi di difesa, che si svolgono ad anni alterni, ne fanno anche la sede ideale per la costituzione di rappresentanze da parte delle imprese del settore. La città-stato svolge e ha svolto un ruolo essenziale con Malesia e Indonesia nella eradicazione della pirateria nello stretto di Malacca, nonché nel contrasto al terrorismo islamico nell’area grazie alle sue formidabili

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capacità di intelligence che condivide volentieri con i vicini e che scambia continuamente con Israele e Stati Uniti. Con questi ultimi, attraverso le relazioni specialissime, accordi militari e concessione di basi, godono nel Paese di una privilegiatissima posizione. La Repubblica delle Filippine rappresenta da sempre l’avamposto statunitense nel Sud-Est asiatico, sia in quanto ex e unica colonia di Washington, sia per i trascorsi storici del Secondo conflitto mondiale in cui l’arcipelago rappresentò, attraverso la promessa di MacArthur «I shall return» (11), il mito della resistenza e poi della riscossa e vittoria finale contro il Giappone. L’arcipelago peraltro racchiude già in sé tutti le ricchezze, le diversità, i problemi e i limiti che caratterizzano l’intera regione. Le Filippine hanno un territorio ben definito geograficamente, ma al contempo frammentato in diverse realtà insulari diverse tra loro. Politicamente e culturalmente sembra un pezzo di Sudamerica incastonato nel continente asiatico. Costituisce l’unico Paese a maggioranza cristiana e cattolica della regione, ma comprende al sud una consistente componente musulmana che alimenta fenomeni di terrorismo e separatismo che sono comuni ad altri Paesi dell’area del Sud-Est asiatico, quasi tutti multietnici e multiconfessionali, ma che qui assumono particolare gravità e virulenza. Manila è certamente la capitale della regione più preoccupata per l’espansio-

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nismo cinese sui mari, sentendosene direttamente minacciata in quanto la sua Zona Economica Esclusiva ha più ampi confini diretti con quella di Pechino e il contenzioso per le Spratly (12), pur essendo comune ad altri Paesi dell’ASEAN, assume particolare asprezza e rilevanza nelle relazioni sino-filippine. La Tailandia e la sua attuale monarchia sono eredi orgogliosi dell’antico impero del Siam che vanta con fierezza di essere l’unico Paese indocinese a non essere stato sottoposto a colonizzazione. L’ascesa economica che, a cavallo del cambio di secolo, aveva portato il Paese nel gruppo delle cosiddette tigri asiatiche ha perduto in parte il suo vigore e, pur vantando tuttora importanti livelli di crescita, il Paese non è indenne da problemi. La Cina quindi tiene particolarmente a intensificare gli sforzi per accrescere la propria influenza lungo il bacino del Mekong, attraverso il quale ha lanciato l’iniziativa per un grande asse di comunicazione terrestre (gli altri si estendono verso il Myanmar e il Pakistan già ben più sottoposti all’influenza di Pechino) per collegare direttamente la string of pearls marittima ai confini delle province meridionali cinesi anche via terra. Il citato grandioso progetto cinese di tagliare l’istmo di Kha con un canale navigabile per accorciare di oltre mille miglia la rotta tra il Golfo di Tailandia e quello del Bengala e bypassare lo stretto di Malacca ancora facilmente controllabile dall’Occidente attraverso i rapporti privilegiati con Singapore, con la Malesia tuttora parte del five powers agreement e con un’Indonesia troppo grande per cadere sotto la totale influenza di Pechino, ha senso solo se quest’ultimo potesse esercitare un vero controllo su Bangkok e quindi sul territorio dell’istmo. Nell’attesa il dragone ha accantonato il progetto, ma la marcia lungo il Mekong è per la Cina obiettivo importante. La presenza di una casa reale finora stimata e perfino venerata nel Paese, certamente poco incline a piegarsi alla influenza di una burocrazia dittatoriale straniera di ispirazione marxista, costituisce certamente un ostacolo, ma il potere degli yuan oggi soverchia il potere delle stupe d’oro dei templi buddisti e dei marmi suntuosi dei palazzi dei sovrani siamesi che si specchiano sulle rive del fiume sacro. Molto dipenderà quindi dalla lungimiranza e determinazione di Washington e dei

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suoi sempre meno validi alleati europei se si vorrà evitare la sempre crescente influenza di Pechino sul Paese. La Malaysia condivide con Indonesia e Singapore il controllo dello Stretto di Malacca. L’ex colonia britannica è ancora ancorata all’Occidente per storia, convenienza, consuetudine, nonché dai meccanismi dell’obsoleto, ma tuttora vivo five powers agreement. Le periodicamente emergenti e spesso rinvigorite componenti di stretta osservanza islamica non avranno prevedibilmente mai forza sufficiente per prevalere nel Paese che appare avere sufficienti anticorpi verso tentazioni di tipo integralista. Sia le descritte radicate influenze occidentali, sia le descritte componenti di

soprattutto per la tragicità della sua storia recente. Il Vietnam è il Paese che nel secolo scorso ha praticamente conosciuto uno stato di guerra ininterrotto per quarant’anni, vincendo sempre contro potenze enormemente maggiori. Inizialmente contro il Giappone, contribuendo a scacciare dall’Indocina l’impero del Sol Levante, poi con la Francia per sottrarsi al giogo coloniale, quindi con la Cina maoista che invase una parte del Paese, infine con gli Stati Uniti che qui incontrarono la loro prima e unica sconfitta militare. Oggi il Paese gode di una travolgente crescita economica, mutuando molti aspetti del sistema di capitalismo di Stato cinese e i rapporti con Pechino sono

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stretta osservanza islamica, costituiscono comunque entrambe ostacolo ai tentativi di controllo di Pechino, i cui dirigenti, come poc’anzi descritto, vedono nel passaggio di Malacca il punto debole della string of pearls. Il territorio malese si estende anche sulla costa nord del Borneo e il suo vasto entroterra circonda anche il territorio del piccolo sultanato del Brunei. Tale piccolo Stato di stretta osservanza islamica, con gli sfarzi della sua corte, arricchisce di una pittoresca nota di colore la realtà regionale del Sud-Est asiatico o Mediterraneo Asiatico come preferisco chiamarlo. L’ex Indocina francese con le sue tre entità statali costituite da Vietnam, Laos e Cambogia si caratterizza

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migliorati. Tuttavia la vicinanza ideologica e sistemica non genera né fiducia, né amicizia. La Cina è più temuta che amata, venendo vista come un minaccioso e potente vicino con cui non mancano i contenziosi lungo la frontiera continentale e nel Mar Cinese Meridionale per le Spratly e le Paracel. I vicini Laos e Cambogia hanno a loro volta partecipato a tutte le tragedie che hanno coinvolto questa parte del subcontinente e di contro non godono della salute economica, della posizione strategica e dell’apparato militare su cui può contare la realtà vietnamita. In tale breve panoramica sugli Stati del Sud Est asiatico tratto per ultimo il Myanmar perché è il caso

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più emblematico della politica cinese nell’area e degli errori dell’Occidente. Il Paese birmano è certamente quello dell’area determinante e di maggior interesse per la Cina in quanto Pechino e Naypyidaw condividono oltre 2.000 chilometri di confine lungo i quali sono distribuiti in territorio birmano numerose minoranze come i Kokag e gli Wa di etnia o affinità cinese. Il porto di Kyaukphiu, collegato ai confini, consente alla Cina l’accesso diretto al Bengala e la realizzazione di vie di comunicazione attraverso le province settentrionali birmane, ancorché attraverso una selvaggia deforestazione, metterebbe in facile comunicazione Cina e India aggirando i difficili passi montani himalayani

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Alcuni momenti della campagna in Estremo Oriente del 2001 della Marina Militare. 1) Lo Stato Maggiore di nave SAN GIUSTO brinda con i colleghi delle Marine del SudEst asiatico. 2) L’autore presso la statua del grande ammiraglio e diplomatico cinese Zheng He, eretta presso il porto della città giavanese di Semarang. 3) Tramonto nello Stretto di Malacca su nave SAN GIUSTO. 4) L’autore a colloquio con il Capo di Stato Maggiore della Marina tailandese nel corso della sosta a Bangkok (Foto autore).

e l’altopiano tibetano. Per tale scopo Pechino ha sostenuto sin dagli anni Novanta la giunta militare al governo del Paese fino alla recente transizione democratica e ha profuso nello stesso, a piene mani, investimenti in infrastrutture tra cui principalmente linee di comunicazioni, gasdotti e oleodotti verso la costa e i porti del Bengala, ricevendo tra l’altro accesso alle ingenti risorse minerarie del Paese tra cui fonti energetiche e pietre preziose e legando indissolubilmente il Paese alla propria influenza anche grazie ai crediti vantati. La transizione democratica, ancorché incompleta, ottenuta attraverso l’ostinata ed eroica battaglia del suo simbolo, signora Aung San Suu Kyi,

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aveva concesso l’opportunità per l’Occidente di aprire al Paese e di sostenere la nuova leadership. Nonostante un iniziale tentativo condotto sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Europea, che negli anni recenti hanno investito nel Paese, il programma non è stato portato avanti con la dovuta decisione, assiduità e consistenza, complici anche i disordini e gli scontri etnici tuttora in atto. La Cina si è rifatta quindi avanti con determinazione e il recente incontro tra Xi Jinping e la signora Aung San Suu Kyi hanno ribadito gli stretti rapporti di cooperazione tra i due Paesi. Il Myanmar quindi costituisce elemento essenziale per la crescente influenza cinese nella regione e per lo sviluppo della

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string of pearls e della strategia cinese per cortocircuitare il collo di bottiglia di Malacca e affacciarsi direttamente sull’Oceano Indiano.

Conclusioni L’ordine mondiale incentrato sulle democrazie liberali uscito dalla Seconda guerra mondiale, dopo aver vittoriosamente superato la prova della Guerra Fredda, è oggi nuovamente messo in discussione da potenze autocratiche, complice anche il disimpegno americano maturato negli otto anni di amministrazione Obama. La sfida come sempre avrà i mari come principale palcoscenico e i bacini mediterranei saranno nuovamente protagonisti.

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ormai possibilità di Non a caso il nostro contenimento. Mediterraneo è sottoL’assertività e posto a nuove tensioni l’espansionismo cie a una crescente asnese procedono da un sertività nell’afferpaio di decenni con mare i propri interessi eleganza diplomatica da parte di Russia e e continue rassicuraTurchia, il cui camzioni al mondo che il mino verso lo stato di Paese persegue il procompiute democrazie prio pacifico sviluppo è stato rallentato e si è in armonia con tutti i interrotto anche a popoli e l’intera cocausa di molti errori munità internaziosia degli Stati Uniti, nale. Tuttavia il sia dell’Unione Europrocesso si accompapea verso tali Paesi. gna a un impressioErrori che hanno con- Nave SAN GIUSTO si avvicina all’ormeggio a Singapore (Foto autore). nante sviluppo di tribuito a infrangere il capacità militari strategiche di cui fa parte un imposogno nato alla fine della Guerra Fredda di «una comune nente programma di rafforzamento navale con capacità casa di sicurezza dall’Atlantico agli Urali»; ma il tema di proiezione aerea e anfibia. Pechino proclama la naesula da questo articolo e mi riprometto trattarlo in una tura difensiva di tale apparato e richiama volentieri futura occasione. Ciò che abbiamo invece esaminato è la sfida forse più importante, dato lo spostamento non come fin dai tempi del Celeste Impero la storia cinese più eurocentrico degli equilibri strategici del mondo, che sia sempre stata improntata a relazioni pacifiche con i si sta consumando nel Mediterraneo Asiatico come può vicini e come la stessa Grande Muraglia, fosse impronben definirsi il Sud-Est di quel continente. tata alla difesa dalle aggressioni e non alla condotta La Cina sta lavorando per escludere progressivadelle stesse. mente gli Stati Uniti dal Mar Cinese Meridionale e in Ciò storicamente è vero. Alcuni analisti, come Roprospettiva dalle isole e penisole dell’area, così come bert Kaplan, nel saggio Eurasia’a coming anarchy, sofecero gli Stati Uniti nei Caraibi, Mediterraneo Ameristengono addirittura che l’assertività in politica estera cano, nei confronti delle potenze europee all’inizio del delle nuove potenze autocrate, Russia e Cina, nasconXIX secolo. Se una tale evenienza dovesse verificarsi, dano le debolezze interne delle dittature al potere, alle cadrebbero inevitabilmente sotto la diretta influenza ciprese con crescenti opposizioni, forze centrifughe senese tutti i Paesi ASEAN, oltre a quelli dove, come abparatiste e crisi economiche latenti che presto esplodebiamo visto, l’influenza cinese o il condizionamento ranno. Nel caso cinese, se guardiamo alle ribellioni di cinesi sono già presenti. Molti Stati della regione maHong Kong, al parossistico controllo del web e dei nifestano già chiari segni di nervosismo in tal senso: media, alle crescenti rivolte degli Uiguri nelle provinIndonesia, Filippine, Malesia, Vietnam, Singapore cie orientali del Paese, agli squilibri nella distribuzione stanno ampiamente rafforzando i loro apparati militari. della ricchezza interna e all’affaticamento dell’attuale Se ciò accadesse, l’Occidente avrebbe perso per semsistema di produzione il cui ritmo non può essere manpre la possibilità di controllo di quel rimland indo-patenuto indefinitamente, possiamo anche ritenere che cifico che finora gli ha consentito il controllo delle vie tale analisi possa anche non essere sbagliata. di comunicazioni marittime strategiche e del commerPeraltro è dall’inizio del miracolo cinese che molti cio mondiale che passerebbe in altre mani senza più maitre à penser prevedono l’implosione della Cina, ve-

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nendo regolarmente smentiti dai fatti. Al momento in cui scrivo, la Cina sta dando anche prova di formidabile resilienza nell’affrontare e superare la prima pandemia dell’epoca moderna, mentre ancora non sappiamo come andrà da noi in Occidente. Pechino, anzi, tende ora la mano all’umanità intera mettendo a disposizione i propri insegnamenti e la propria esperienza. Personalmente ritengo non si possa non ammirare il popolo cinese per come ha affrontato tale emergenza, non riconoscere l’abilità dei governanti e non provare umana simpatia e fraternità di fronte al video mostrato al mondo in cui il giovane e provato personale sanitario si toglie, sorridendo, la mascherina a

sottolineare la fine dell’emergenza. Le emergenze globali quali il riscaldamento del clima, le pandemie, l’inquinamento, ci si augura che spingano verso rapporti tra la comunità internazionale improntati sempre più alla cooperazione. Tuttavia temo che anche tali aspetti non cancelleranno la competizione per gli equilibri geopolitici in un mondo sempre più disordinato e incerto, anzi, in molti casi, contribuiranno a esacerbarla e in questo caso ritengo che l’Occidente, se non si preparerà per tempo, parta altamente svantaggiato in una partita che si giocherà nei mediterranei del mondo tra cui in particolare in quello del Sud-Est asiatico. 8

NOTE (1) Il five powers agreement è un accordo multilaterale stabilito tra Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Malaysia e Singapore del 1971 dopo la decisione britannica, nel 1967, di ritirare tutte le proprie forze presenti a est di Suez. Il trattato coinvolge Paesi tutti ex colonie britanniche e membri del Commonwealth e prevede la consultazione immediata in caso di minaccia o attacco diretto a uno degli Stati membri con lo scopo di stabilire le misure da prendere collettivamente o separatamente. Tuttavia non comporta l’obbligo di intervento armato e riguarda esplicitamente i territori dei 5 Paesi, ma non le Zone Economiche Esclusive. (2) ASEAN (Association of Southeast Asia Nations), fondata nel 1967 con l’obiettivo primario di promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico e la stabilità nella regione. Attualmente ne fanno parte Brunei Darussalam, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Tailandia e Vietnam. Il Segretariato permanente ha sede a Jakarta. (3) La SEATO (South East Asia Treaty Organization) fu un’organizzazione politico-militare costituita con il trattato di Manila nel 1954 tra Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Filippine, Tailandia, Nuova Zelanda e per un breve periodo anche Francia e Pakistan, per contenere la pressione politica e militare dei Paesi comunisti asiatici sulla regione. Le divisioni palesatesi ai tempi della guerra del Vietnam, la mancata adesione di Indonesia e Malesia e la frammentazione delle posizioni e interessi ne dimostrarono l’inefficacia. Fu sciolta nel 1977. (4) John Spykman (1893-1943) politologo, giornalista, professore e pubblicista americano. Rielaborò le teorie di Mackinder e influenzò largamente la politica statunitense sostenendo la necessità per Washington di dominare gli oceani, mantenere divisa l’Europa e controllare il rimland asiatico in modo da contenere e poi controllare le potenze continentali dell’Asia centrale. (5) Karl Hausofer (1869-1946) generale, politologo, professore e geografo tedesco. All’inizio del ‘900 soggiornò e viaggiò a lungo in Estremo Oriente, in particolare in Giappone, con incarichi politico-militari e diplomatici. Studiò le filosofie e religioni orientali e fu grande ammiratore di quelle civiltà. Nel corso del Primo conflitto mondiale combatté sul fronte francese. Cominciò poi a occuparsi di studi geopolitici, fondando una propria rivista. Nel dopoguerra fu strenuo critico della pace di Versailles e vicino alle posizioni del partito nazista, fondando anche la società segreta Vril che sosteneva la superiorità della razza ariana. Si allontanò dalle posizioni naziste nel corso della Seconda guerra mondiale essendo contrario alla stessa e al conflitto con la Russia. Il figlio Albrecht partecipò al fallito colpo di Stato contro Hitler del 1944 e fu fucilato dalla Gestapo. Si suicidò nel 1946 con la moglie di origine ebraica che era stata perseguitata dalle leggi razziali. Il suo pensiero geopolitico si ispirava in parte alle teorie di Mackinder, ritenendo la storia un eterno conflitto tra le potenze continentali e marittime. Il popolo tedesco, russo e giapponese quali popoli superiori al mondo, secondo la sua visione, avrebbero dovuto allearsi contro gli Stati Uniti e l’Impero Britannico, che avevano creato un anello costrittivo per soffocare le potenze continentali e opprimere l’Eurasia e i suoi popoli. (6) Halford Mackinder (1861-1947) politologo, diplomatico, esploratore e geologo inglese considerato tra i padri fondatori della geopolitica. La sua teoria è basata sull’idea che la Storia sia una continua contrapposizione tra le potenze continentali e quelle marittime e sia soggetta a una stretta correlazione tra geografia e avvenimenti politici. L’Eurasia rappresenta il cuore (heartland o isola del mondo) il cui controllo consente anche di controllarne lo stesso in quanto l’Eurasia possiede tutte le risorse della terra. Attorno a heartland si estende la mezzaluna (crescent) delle altre terre che includono i Paesi a vocazione marittima che sono padroni della ricchezza e del commercio. Mackinder rielaborò più volte la sua teoria sostenendo che la tecnica dei mezzi di trasporto avrebbe alternativamente dato vantaggio a uno dei due protagonisti e vedeva nello sviluppo delle strade ferrate un vantaggio per le potenze continentali che avrebbero potuto dominare il commercio per linee interne soppiantando il primato delle comunicazioni marittime. Di qui la necessità per l’impero britannico di impedire l’egemonia di una sola potenza continentale o di una coalizione di esse in Europa o in Eurasia. (7) 27-28 maggio 1905, guerra russo-giapponese 1904-1905. (8) Sergej Gorskov (1910-1988) fu a capo della Marina sovietica dal 1956 al 1985, trasformando la forza armata da Marina da sea denial dotata di capacità costiere a uno strumento di sea control capace di minacciare le linee di comunicazione marittime dell’Occidente, dotato di capacità di proiezione aerea e anfibia e di una flotta di sottomarini d’attacco quale componente essenziale della deterrenza nucleare strategica. (9) La string of pearls è la componente marittima dell’iniziativa geopolitica e commerciale cinese della «Nuova Via della Seta» o «Belt and Road Initiative». È costituita da una serie di basi militari e civili, porti, punti di appoggio, relazioni commerciali attraverso le quali Pechino esercita la propria influenza e controllo lungo le vie di comunicazioni marittime essenziali per l’economia del Paese e ne assicura la protezione. La presenza cinese nell’Oceano Indiano è iniziata nel 2008 con la partecipazione alle operazioni internazionali anti-pirateria, si è consolidata con l’acquisizione di una base permanente a Gibuti e poi attraverso la «collana di perle». Oggi è praticamente permanente e si estende dal Mar Cinese Meridionale fino al Mar Arabico e alle coste africane. (10) India e Indonesia hanno recentemente sottoscritto un MoU di cooperazione, svolgono annualmente l’esercitazione congiunta Garuda Shaktie e pattugliano assieme le acque del Bengala. (11) Douglas MacArthur, Comandante in Capo dell’US Army in Estremo Oriente e nelle Filippine allo scoppio del Secondo conflitto mondiale, dopo l’attacco giapponese alle Filippine, fu costretto ad abbandonarle riparando in Australia il 12 marzo 1942 e promise con un celebre proclama che sarebbe ritornato («I shall return»). Infatti tornò il 20 ottobre 1944, sbarcando nell’arcipelago. (12) Le isole Spratly sono circa 100 scogli e atolli disabitati nel Mar Cinese Meridionale di enorme importanza strategica per la determinazione della ZEE dei Paesi rivieraschi e lo sfruttamento delle ricche inerenti risorse. Sono contese tra Cina (che a partire dal 2015 ha iniziato a costruire isole artificiali in zona suscitando le proteste della comunità internazionale), Filippine, Vietnam, Malesia e Brunei. L’arcipelago Paracel è invece disputato tra Cina e Vietnam.

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L’inarrestabile avanzata della tecnologia cinese Massimo Annati (*)

(*) Contrammiraglio in riserva. È uscito dall’Accademia Navale nel 1976. Si è laureato in ingegneria chimica e in ingegneria gestionale, conseguendo successivamente il Master in Business Administration presso l’Università Bocconi. È stato imbarcato su diverse navi sia in Italia che negli Stati Uniti (Personnel Exchange Program). Nel prosieguo ha ricoperto svariati incarichi presso la Direzione Generale degli Armamenti Navali, Segredifesa e Teledife. Svolge regolarmente conferenze in Italia e all’estero su argomenti relativi a difesa e sicurezza.

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L’entrata in linea della portaerei LIAONING ha rappresentato un salto di qualità nelle capacità della Marina cinese, oltre che un elemento di orgoglio nazionale. Qui sopra: un’immagine che rende bene lo sviluppo della Marina cinese, ormai arrivata nel ristretto «club» delle potenze marittime mondiali (Fonte: PLAN).

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a Cina ha vissuto uno sbalorditivo sviluppo economico e tecnologico, che l’ha portata, nello spazio di un paio di decenni, a divenire la seconda potenza mondiale. Nel 1992, quando il politologo Francis Fukuyama ha scritto il celebre La fine della storia, c’erano già evidenti segnali di questo epocale cambiamento, ma il mondo occidentale era così concentrato sulla propria prospettiva, da ignorare altre realtà. In

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quello stesso anno, il XIV Congresso del Partito ha approvato ufficialmente il termine «Economia di mercato socialista», un approccio che era stato avviato dieci anni prima da Deng Xiaoping. Negli ultimi 30 anni il PIL cinese è cresciuto in media del 8-10% annuo, trasformando profondamente la Cina e il mondo stesso. Secondo una nota leggenda, Lenin disse che i capitalisti avrebbero cercato di vendere ai comunisti la corda

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con cui sarebbero poi stati impiccati. La storia, lo sappiamo, non è andata così, ma lo sviluppo economico e tecnologico della Cina risponde bene a questa leggenda. Dopo l’apertura di Deng Xiaoping, le aziende dell’Occidente hanno entusiasticamente trasferito quote sempre maggiori delle proprie linee di produzione in Cina. Il concetto che ispirava questa scelta era evidente: si sarebbe potuto disporre di beni realizzati con costi inferiori che, nelle miopi speranze degli industriali occidentali, avrebbero loro consentito di guadagnare ampie quote di mercato, sbaragliando la concorrenza. Il problema però è che, avendo fatto tutti questa scelta, ci si è poi trovati a trasferire intere capacità produttive, spesso critiche, trasferendo anche la tecnologia e il know-how, consentendo così alla Cina di avviare paral-

sterminata popolazione da cui poter attingere i migliori talenti. Le università cinesi sfornano ondate di ingegneri, informatici, fisici, chimici, con un’ottima preparazione. I migliori vengono inviati anche all’estero dove acquisiscono ulteriori conoscenze. Nel corso degli ultimi 10 anni il numero di studenti cinesi nelle università statunitensi si è più che triplicato, arrivando a circa 400.000 presenze. Il Governo statunitense ha apertamente indicato questa situazione come un rischio per la sicurezza nazionale, visto che oltre a studiare, sembra che alcuni di questi studenti, secondo alcuni osservatori, svolgano un’efficiente attività di spionaggio industriale in sistematica violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Anche la massiccia presenza di aziende cinesi del campo informatico e telecomunicazioni è stato additato

lelamente iniziative autonome che hanno portato a importanti perdite di posti di lavoro e di capacità produttiva in Occidente. Ne è un esempio l’IBM, l’ormai antico gigante dell’informatica, l’azienda che aveva inventato il Personal Computer. Dopo aver fatto a lungo realizzare componenti dei propri computer in Cina, nel 2005 l’IBM ha chiuso definitivamente la linea dei PC, cedendola alla cinese Lenovo che ormai lavorava autonomamente. Nonostante l’ingresso formale nel WTO del 2001, la Cina dispone ancora di una economia protetta, dove le aziende operano in un mercato nazionale chiuso, con il sostegno finanziario dello Stato, senza dover rispettare (almeno in passato) norme ambientali o tanto meno sindacali, e con non troppo rispetto dei brevetti internazionali. Ma la Cina gode anche del beneficio di avere una

come una grave minaccia, tanto da escludere alcune aziende cinesi dalle infrastrutture telematiche e dai contratti con organizzazioni federali e da far pressioni sugli alleati perché facciano lo stesso. Il caso più celebre riguarda Huawei per le reti 5G e i telefoni cellulari, ma bisogna ricordare anche il divieto al Pentagono e alla Homeland Security di impiegare telecamere e droni di sorveglianza costruiti in Cina. La pianificazione centrale e il sussidio statale hanno fatto in modo che la Cina sia arrivata a possedere circa il 90% delle risorse mondiali di elementi (le cosiddette «terre rare») indispensabili per l’industria elettronica e il 100% delle industrie di estrazione e raffinazione di questi minerali. Questo significa che nessun componente elettronico può venire prodotto in Occidente, senza che la Cina fornisca i materiali necessari. Tale

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monopolio riguarda l’intero settore: dall’elettronica di consumo alle telecomunicazioni, dal mondo scientifico a quello industriale, fino a quello militare. Le cosiddette «Quattro Modernizzazioni» lanciate da Deng Xiaoping, comprendevano: Agricoltura, Scienza e Tecnologia, Industria e Difesa. Le ultime tre, combinate, hanno consentito alla Cina di dotarsi di uno strumento militare all’avanguardia. Il salto qualitativo è ancora più impressionante quando si consideri che all’inizio degli anni Ottanta le navi da guerra cinesi non differivano molto da quelle della Seconda guerra mondiale: plance coperte solo da teli di canapa, nessuna COC, cannoni caricati manualmente in coperta, tubi portavoce invece che interfoni, e così via. Oltre ad acquisire direttamente navi e sommergibili

la cosiddetta reverse engineering, senza curarsi troppo di licenze e proprietà intellettuale (è accaduto con i siluri antisom italiani A-244S, acquistati in circa 50 esemplari, da cui è stato poi derivato il siluro cinese Yu-7); oppure con acquisizione attraverso «vie misteriose» di un solo esemplare, poi replicato (come nel caso del veicolo per contromisure mine Pluto, replicato e riapparso quasi identico a bordo delle navi cinesi); oppure, come riportati da alcuni media, c’è stato un vero e proprio spionaggio industriale compiuto da cinesi operanti in Occidente o tramite hackeraggio dei sistemi informatici di aziende ed Enti militari. Il principale fornitore è stato, di gran lunga, la Russia, ma diversi equipaggiamenti erano francesi (motori diesel, cannoni da 100 mm, sonar, missili anti-aerei a corto raggio, elicotteri leggeri L’industria cantieristica cinese è la prima al mondo, con il 20% del tonnellaggio globale costruito (Fonte: CSSC). La velocità con cui la Cina sta rinnovando la propria flotta non è comparabile con alcuna altra realtà. Nella pagina accanto: un’immagine in cui si notano contemporaneamente in allestimento una LHD «Type-075» da 40.000 t, una LPD «Type-071» e una corvetta «Type-056» (Fonte: China Defense Forum).

sovietici/russi (come i sommergibili classe «Golf», «Romeo», «Whiskey» e, più recentemente classe «Kilo», i cacciatorpediniere classe «Sovremennyy»), oltre al naviglio minore, si è deciso di realizzare nei cantieri nazionali inizialmente poche navi maggiori per ciascuna classe, in modo da acquisire conoscenze e affinare le capacità in tutti i settori: progettuale, costruttivo, manutentivo e operativo. In questa fase i cantieri cinesi sono comunque ricorsi all’importazione di componenti critici. A volte si è trattato di importazioni di materiali acquisiti attraverso normali e corrette pratiche commerciali; a volte di produzioni su licenza, attraverso cessione di tecnologia, una pratica a cui la maggior parte delle aziende che operano in Cina ha dovuto sottostare per poter avere un contratto; oppure con acquisizione di lotti limitati, poi smontati e replicati tramite

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e pesanti), alcuni italiani (i già citati siluri antisom, lanciasiluri, veicoli caccia-mine), oppure tedeschi (motori diesel) e ucraini (turbine a gas). Si può citare, per esempio il percorso evolutivo dei cacciatorpediniere. Per molti anni la Marina cinese ha impiegato esclusivamente i soli «Type-051 Luda», varianti dei «Kotlin» sovietici, di capacità decisamente scadenti. Si trattava di un progetto della Seconda guerra mondiale, equipaggiato con un lanciatore di missili antinave al posto dei lanciasiluri, la cui produzione è continuata, con pochi miglioramenti, dal 1970 al 1990, per un totale di 17 unità. Poi è iniziata la costruzione di piccole serie di cacciatorpediniere di prestazioni via via più moderne, inizialmente equipaggiati con sistemi d’arma prevalentemente d’origine russa. Si sono così susseguiti i «Type-051B» (1 nave), «051C» (2), «052» (2),

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Per vent’anni (1970-1990) la classe «Luda» ha rappresentato l’unico gruppo di unità d’altura della Marina cinese, nonostante l’obsolescenza del progetto (Fonte: Xinhui). Al centro: nei pressi di Wuhan è stato realizzato un simulacro della futura portaerei per valutare l’impatto delle radiazioni elettromagnetiche e per studiare le movimentazioni degli aeromobili sul ponte (Fonte: Feng Cao). In alto: una fregata classe «Jinaghu-I». Le caratteristiche sono simili a quelle di una nave della Seconda guerra mondiale a cui sono stati aggiunti dei missili antinave di prima generazione. La nave nell’immagine è stata varata nel 1977, come la classe «Lupo» (Fonte: Xinhui).

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«052B» (2), seguiti dagli «052C» (8), per giungere infine alla grande serie degli «052D» (13 in servizio e 12 in costruzione). Anche se buona parte delle componenti del sistema di combattimento e di quello di piattaforma erano comuni tra varie classi di navi, questo approccio ha sicuramente creato dei problemi dal punto di vista logistico e addestrativo, ma bisogna al contempo riconoscere che ha consentito di migliorare la competenza, limitando l’impatto di eventuali errori. Da notare che gli «052C Luyang-II» dispongono per la prima volta di armi e sensori di progettazione interamente cinese: missili anti-aerei a lungo raggio HHQ-9, missili antinave pesanti a lungo raggio YJ-62, CIWS Type-730 e radar phased-array a facce fisse Dragon Eye comparabile all’americano SPY-1 del sistema Aegis. Nei successivi caccia «052D Luyang-III» costruiti in grande serie si trovano ulteriori innovazioni, che li portano a potersi confrontare con i più avanzati progetti, sia russi che occidentali. L’arrivo delle successive unità «Type-055 Renhai» ha ulteriormente sottolineato questa crescita. Si tratta di navi che non hanno un parallelo in occidente, classificate formalmente cacciatorpediniere pur essendo degli incrociatori da 180 m e 13.000 t, con 112 celle per lanciatori verticali universali (96 nei caccia statunitensi). Attualmente ve ne sono 5 in diversi stadi di costruzione, e uno in servizio. È importante osservare che alla crescente qualità (… anzi, dovremmo ormai dire «cresciuta», visto i livelli conseguiti), si affiancano volumi di costruzione assolutamente non comparabili a nessun altro Paese. Nel solo 2019 sono stati varati otto cacciatorpediniere «Type052D» e due «Type-055». Per confronto, negli Stati Uniti nel 2019 è stato varato un solo caccia classe «Arleigh Burke». Le due altre maggiori Marine occidentali, la britannica Royal Navy e la giapponese MSDF, a loro volta dispongono ciascuna di sei unità da difesa aerea, ovvero meno di quante ne siano state varate in un anno solo in Cina. L’industria cantieristica cinese, del resto, sta realizzando anche navi mercantili, petroliere, portacontainer e navi da crociera in grandi quantità, affermandosi come la principale del pianeta. Nel novembre 2019 i due più importanti cantieri cinesi, CSSC (China State Shipbuilding Corporation, il secondo al mondo, con 9,25 milioni di tonnellate costruite nel 2018) e

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CSIC (China Shipbuilding Industry Company, il terzo al mondo, con 6,02 milioni di tonnellate), si sono fusi, dando luogo alla più grande azienda cantieristica del mondo, la CSGC (China Shipbuilding Group Corporation), con 300.000 addetti e il 20% del mercato mondiale. In campo navale militare il nuovo colosso costruisce la quasi totalità nel naviglio cinese. In alcuni casi si può ben dire che la quantità sia, di per se stessa, una qualità. L’economia di scala ha un notevole impatto, non solo nel contenimento dei costi, visto che gli oneri non ricorrenti, come la progettazione, possono venire «spalmati» su un maggior numero di unità, e il «peso» contrattuale consente di ottenere migliori condizioni da fornitori e finanziatori, ma anche nella disponibilità di strutture, macchinari, tecnologie e professionalità che sono difficilmente reperibili/sfruttabili da realtà minori. La crescita della Marina cinese presenta un altro aspetto di grande importanza: lo spostamento da capacità unicamente costiere-litoranee a una robusta forza d’altura. Il grosso della Marina cinese non è più costituito da una pletora di vecchi sommergibili e di piccole unità di superficie, impiegate per il Sea Denial a ridosso delle coste ma, al contrario, è capace di operazioni prolungate fuori area per generare un’importante proiezione di potenza. Un Task Group cinese, composto da due unità combattenti (fregate o caccia) e una rifornitrice di squadra, è costantemente presente nelle acque dell’Oceano Indiano, dove alla lotta contro la pirateria si deve aggiungere la protezione della «Nuova via della seta», sfruttando anche la nuova base navale cinese costruita a Gibuti nel 2017, nei pressi del terminal container di Doraleh, costruito e gestito dai Cinesi. Questi Task Group si spingono con regolarità anche in Mediterraneo, conducendovi esercitazioni con cadenza quasi annuale. Il confronto tecnologico può quindi estendersi anche ad altre realtà specificamente realizzate per sostenere la proiezione di potenza in acque lontane: le grandi nuove navi d’assalto anfibio (sette LPD «Type-071» da 20.000 t e tre LHD «Type-075» da 40.000 t), le grandi nuove rifornitrici di squadra (due «Type-901» da 48.000 t e nove «Type-903» da 24.000 t), e naturalmente il gioiello della corona: ovvero il programma delle portaerei. Una

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Un cacciatorpediniere «Type-052C» sorvolato da un elicottero Harbin Z-9. La nave è equipaggiata con la prima versione di un sistema di difesa aerea simile all’americano Aegis, mentre l’elicottero è la copia del Dauphin francese. Al centro: un gruppo di moderne fregate e cacciatorpedinere cinesi, le cui caratteristiche non hanno nulla da invidiare rispetto ai più avanzati modelli occidentali. I caccia vengono costruiti con un ritmo notevole e sono la punta di lancia della flotta. In alto: l’arrivo di grandi rifornitrici di squadra è fondamentale per estendere le capacità di proiezione di potenza al di là delle acque vicine.(Fonte: PLAN).

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La skyline di Shanghai aiuta a comprendere quanto sia cambiata la Cina rispetto all’immagine appannata che molti occidentali avevano (Fonte: King of Hearts/wikipedia). A destra, in alto: un caccia «Type-052D» e una fregata classe «Jianghu». Assieme a nuove unità con caratteristiche avanzate, operano navi vecchie, seppur ben manutenute. In basso: l’ultima classe di unità combattenti di superficie è rappresentata dai grandi caccia (incrociatori) «Type-055» Renhai da 13.000 t (Fonte: PLAN).

in servizio (Liaoning-CV 16), ceduta dalla Russia e abbondantemente modificata in Cina, dotata di trampolino per il decollo e di cavi d’arresto (STOBAR); una appena consegnata (Shandong-CV 17), simile alla precedente, con alcuni miglioramenti, ma costruita completamente in Cina; e infine una terza, forse a propulsione nucleare, attualmente in costruzione, dotata di catapulte per il decollo degli aerei. A questa flotta bisogna poi aggiungere 30 moderne fregate, oltre alla forza subacquea di battelli convenzionali e nucleari. La nuova classe di sottomarini nucleari d’attacco («Type-095», Tang) è stata espressamente progettata per operare di concerto con un Task Group di portaerei. Anche in campo aereonavale bisogna registrare una prodigiosa crescita qualitativa. I nuovi bombardieri a

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lungo raggio Xian H6-J sono l’ultima di una lunga e apparentemente infinita serie di derivazioni da un vecchio progetto sovietico («Tu-16» Badger) degli anni Sessanta, di cui ormai conservano solo la sagoma esterna. L’ultima variante, che ormai differisce molto dal modello originale, dispone di ali in materiale composito, ed è armato con missili antinave supersonici YJ-12. I reggimenti da caccia dell’Aeronavale (PLANAF) impiegano, oltre agli altri modelli meno recenti, anche una ventina di Chengdu J-10, progetto nazionale comparabile all’EFA Typhoon europeo e 60 Shenyang J-11B (variante locale derivata dal russo Su-27SK Flanker-B), mentre le portaerei impiegano il Shenyang J-15, la cui struttura è derivata dal Sukhoi Su-33 Flanker-D, con l’avionica del Shenyang J-11. Il J-15 e il Su-33 sono im-

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piegati dalla portaerei russa Kuznetsov e dalla cinese Liaoling, e sono in grado di effettuare decolli corti con trampolino e atterraggi con cavi d’arresto (STOBAR). I Russi hanno sollevato molte polemiche su queste varianti costruite senza alcuna autorizzazione, e senza pagare alcuna royalty. Inizialmente la Cina ha sviluppato il J-11B attraverso la cosiddetta reverse engineering. Per quel che riguarda lo sviluppo del J-15, i Cinesi nel 2001 hanno acquistato in Ucraina un prototipo del Su-33, non completamente terminato, e l’hanno saputo adattare e riprodurre, realizzando il modello navale senza doversi appoggiare ai Russi. Alcuni velivoli modificati vengono impiegati per le prove di lancio tramite catapulta sulla base aerea di Huangdicun. Una variante biposto, la J-15D dedicata alla guerra elettronica, è stata

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recentemente vista a bordo della seconda portaerei. Un ulteriore modello di velivolo, più capace e dotato di motori cinesi, è attualmente in fase di sviluppo. In definitiva, vista la straordinaria crescita dell’industria e della tecnologia cinese, e l’enorme espansione dei propri interessi commerciali, con la creazione della Belt and Road Initiative (la c.d. Nuova via della seta) non bisognerebbe stupirsi del fatto che anche le forze navali abbiano seguito il medesimo percorso. È significativo che gli Stati Uniti abbiano pienamente recepito questa situazione, passando da una politica di stabilità, al concetto di un «near-peer adversary», fino all’attuale «great power competition», dove si riconosce esplicitamente alla Cina il ruolo di grande potenza, in conflitto d’egemonia mondiale. 8 41


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PRIMO PIANO

PIRATERIA, VIRUS

ED ECONOMIE Tre sfide in una per la Marina Militare Enrico Cernuschi (*)

(*) Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA - La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara), «Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri» e «Gli italiani dell’Invincibile Armata» (2016) e «L’ultimo sbarco in Inghilterra, 1547» (2018).

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La fregata LUIGI RIZZO, impegnata nel Golfo di Guinea in attività di sorveglianza, recentemente ha sventato un attacco di pirati al largo della Nigeria ai danni di un mercantile greco. La fregata della Marina Militare, raggiunta dalla richiesta d’aiuto, ha inviato l’elicottero di bordo in supporto dell’unità minacciata.

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notizia recente che il 26 marzo 2020 la fregata Rizzo ha sventato un attacco di pirati contro una nave mercantile greca al largo della Nigeria. Un elicottero decollato dal ponte di volo di quella unità è arrivato tempestivamente in zona ponendo fine al tentativo di arrembaggio (abbordaggio, come scrivono i giornali, è un brutto francesismo) seguito, poco dopo, dalla nave, giunta procedendo alla massima velocità. Si tratta di tre conferme di fatti ben noti: — la prima in merito alla verità secolare in base alla quale solo i velivoli di una Marina provenienti da una nave possono operare (grazie a equipaggi formati da marinai abituati a volare sul mare) con la necessaria immediatezza sul liquido elemento; — la seconda certezza è che niente come una nave è in grado di proiettare Potere Marittimo — in questo caso deterrenza protratta nel tempo — dalla linea della costa fino agli antipodi; — la terza, ben nota a chi naviga, è che lo spazio non basta mai. Una nave di adeguate dimensioni è in grado di fare cose che una più piccola non può assicurare (tanto meno nel tempo) con migliore tenuta al mare e capacità operativa. Detto in altre parole chi crede di risparmiare sul numero e sulle dimensioni delle unità butta via i quattrini dalla finestra. L’azione del 26 marzo è solo una delle numerose, analoghe vicende che caratterizzano da più di un decennio l’attività della Marina Militare nell’ambito del cosiddetto Mediterraneo Allargato. Navi di superficie, sommergibili e aerei sono impegnati in queste missioni, lunghe, molto dure per gli equipaggi e di grande impegno per tutta l’organizzazione a terra e logistica, per tacere dell’intelligence. Spesso non se ne parla, ed è un peccato perché la gente ha diritto anche a qualche legittima soddisfazione. Motivi di inevitabile riservatezza e, diciamolo pure, un certo stile che fa della discrezione il simbolo stesso dell’eleganza e l’anima della Marina, impongono il massimo riserbo. Solo qua e là qualche lampo o, se si preferisce, un flash d’agenzia, squarcia la cortina del silenzio. Durante la Guerra fredda questa stessa linea di condotta era più facilmente giustificabile, al di là del principio di base secondo il quale il Potere Marittimo è tanto più efficace quanto meno rumore fa. Non si può andare,

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La guerra terrestre è immediata, palpabile, piena di una sua aggressiva e retorica forza d’attrazione. Le sue regole sostanziali somigliano molto all’innata esperienza di lotta che ciascuno di noi porta in se stesso, come retaggio di millenni: tra una grande battaglia manovrata e una normale partita di pallone non vi sono poi troppe differenze, né sul piano tecnico, né su quello psicologico. Il linguaggio che si usa per descriverle non differisce sensibilmente, e anzi impiega gli stessi termini, per indicare le stesse azioni. Un competente di calcio di media cultura può abbordare la lettura del Vom Kriege di Clausewitz con minor fatica e più interesse di quanto si immagini. Per le operazioni navali, e anzi per la condotta delle operazioni navali, il discorso è necessariamente diverso. Esse non hanno nulla di spettacolare, se non nel momento del contatto di fuoco, e si basano su tematiche che Mare e terra non fanno per nulla parte del comune sottofondo culturale. Mentre le estensioni terrestri sono un qualcosa che Il motto orgoglioso «la va a pochi» calza a pennello ritiene l’attenzione su elementi precisi, frontiere, monquando si parla di Marina. Come scriveva, ancora sestagne, strade, boschi, quelle Marine appaiono prive di sant’anni fa, Franco Bandini, autore di non dimenticati significato alla maggior parte di noi. Il concetto di rotta interventi su queste stesse pagine in dibattito con i masnon è così evidente come quello di strada: e mentre è fasimi teorici del Potere Marittimo, primo fra tutti l’Amcile visualizzare geograficamente e quantitativamente il miraglio Romeo Bernotti, fondatore dell’IGM (oggi concetto di traffico terrestre, riesce ostico raffigurarsi Istituto di Studi Militari Marittimi, ISMM), «Analizzare le conseguenze di questi fatti è concretamente quello marittimo, della massima importanza, ed è con tutte le sue interdipendenze, tanto più necessario in quanto la tempi e accidenti. Vi è dunque critica storica, recente e passata, nella condotta di una guerra nali ha completamente ignorati. Vale vale quel tanto di non consueto e la pena di meditarne un attimo il di teorico che basta a respingerla perché. Fin dalla più remota antinel dominio della ragion pura, chità, l’attenzione dell’uomo è fuori della portata dell’istinto. stata soprattutto attratta, sul Inoltre i principi della strategia piano della fantasia e su quello marittima sono assai poco divulpiù filtrato della letteratura, dalle gati, e con malizia, proprio da battaglie terrestri. La carica parte di coloro che meglio li coumana contenuta in un sanguinoscono e se ne servono. Non è noso scontro in rasa campagna, assolutamente un caso che tra i avvenga esso tra il sibilo delle massimi teorici della guerra nafrecce o il muggito di un carro arvale siano l’americano Mahan e mato in azione, è sempre altisil francese Castex, cioè due uosima, fondata com’è sulla più mini di mare non certo nati sulle evidente nozione del coraggio, L’Ammiraglio Romeo Bernotti, fondatore dell’IGM, oggi rive del Tamigi. In realtà gli ultimi Istituto di Studi Militati Marittimi (ISMM). della tenacia, dello sforzo fisico. trecento anni di storia hanno visto tuttavia, oltre un certo limite. La Marina, qualsiasi Marina, non è un corpo separato, ma una parte dello Stato e, più propriamente, della comunità nazionale. Vive in simbiosi col popolo e da questo trae alimento sia in termini di uomini e donne (senza costoro, e senza il costante rinnovo delle generazioni, la Forza Armata non esisterebbe) sia di risorse (senza navi qualsiasi Marina sarebbe, parimenti, un assurdo). Questi ragionamenti lapalissiani sottintendono, pertanto, quel minimo di informazione che permette a un giovane di sognare di entrare, un giorno, in Marina e al legislatore e al corpo elettorale di sapere a cosa servono le poste in bilancio spese per questa specifica Forza Armata. Ed è qui che le cose si fanno, apparentemente, più difficili.

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tiera invalicabile persino all’indagine storica. L’“atmouna sola vera e grande potenza navale, l’Inghilterra: e sfera”, il “bagno culturale” nel quale è immerso da se volessimo allargare i confini di questo tempo ristretto, venti secoli lo storico europeo, e persino quello di altri dovremmo concludere che probabilmente essa è l’unico continenti, risulta spesso inadeguata per una esatta vaesempio di potenza completamente navale che sia comlutazione delle coordinate reali di un conflitto, quando parso sulla scena del mondo dall’inizio della storia a esso partecipi l’Inghilterra, come potenza navale. scritta. Vi furono certo altre nazioni che della potenza L’attenzione viene polarizzata da alcuni fatti, quasi per navale fecero uso, e qualche volta con perspicacia, ma un’atavica predilezione, e si storna da altri, giudicati innessuna, come l’Inghilterra, che su di essa abbia fonsignificanti e marginali. Ne sorgono analisi storiche apdato e mantenuto così completamente le proprie fortune. parentemente razionali, ma costruite in realtà senza una Si può anzi sicuramente aggiungere che la Gran Bretasicura percezione delle implicazioni reali del Potere Magna fu ed è un grande impero, proprio perché nacque rittimo. È del tutto chiaro che da parte inglese è per lo come espressione di un determinato e sicuro “pensiero meno ingenuo attendersi una rettifica storica di questi navale”, dapprima empirico, poi codificato come errori d’impostazione» (1). espressione di auto-coscienza e posto a fondamento di Queste lucide considerazioni sono ancora oggi attuali una politica costantemente a esso ancorata. La mentae, se possibile, rese ancora più stringenti dall’attuale crisi lità che nasce, o meglio che condiziona e accompagna sanitaria mondiale. Quanto più il corpo del pianeta è mal’esercizio del Potere Marittimo, non ha alcun riscontro lato, infatti, o addirittura in modalità «Bella addormencon quella poggiata su un potere terrestre: tanto dramtata», come sta oggi avvenendo sotto il triplice profilo matica, perentoria e sanguigna è quest’ultima, tanto è sanitario, economico e finanziario, tanto meglio deve elusiva, ritardatrice e fredda la prima. L’una si basa scorrere il sangue, magari a pressione bassa, ma costante, sullo scontro di fronte, e affida le proprie ragioni all’atsenza traumi e trombi. Ed ecco che il ruolo delle Marine trito che deriva dal combattimento: l’altra temporeggia, si conferma fondamentale nell’interesse di tutti. Sia la coevita il dramma dell’urto violento, attende con pazienza l’occasione in cui, in un dato punto, e in un dato istante, munità internazionale, sia i singoli Stati hanno infatti inpotrà presentarsi con forze quateresse a movimentare al meglio le druple di fronte a un nemico strerispettive esportazioni e importamato e affamato, e quindi già zioni durante e dopo la crisi. vinto. La costante di una politica Posto, pertanto, che: a) le acque militare terrestre è la conquista di coprono oltre il 70% del pianeta territori, la distruzione del potenTerra; b) che il trasporto via mare ziale nemico, l’atto di forza. La è e sarà sempre, sulla solida base costante di una politica navale è del principio di Archimede, più quella di determinare attraverso economico rispetto a quello per un paziente gioco prolungato nel via terrestre (ferroviaria o su tempo, l’usura inevitabile dell’avgomma), per tacere dei costosisversario e la sua riduzione alla simi aeroplani, tutto dipende, in posizione di scacco. Da una menbuona sostanza, dal traffico marittalità così congegnata, discende timo, si tratti della vita di tutti i una lunga serie di sorprendenti giorni o — ancor più — di questi valutazioni sui singoli obiettivi di attuali, difficili momenti da crisi guerra: qui le differenze tra menda Coronavirus. Le minacce nei talità terrestre e navale si fanno confronti del traffico possono a terribilmente ampie. Tanto, da co- L’Ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan, tra i loro volta riassumersi in tre generi: massimi teorici del Potere Marittimo. stituire troppo spesso una fronquelle istituzionali (conflitti o mi-

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nacce di guerra), quelle non istituzionali (pirateria e terrorismo) e quelle naturali. La Marina Militare provvede a prevenire e parare i tre problemi di cui sopra. In mancanza di questi anticorpi, tanto per continuare sullo stesso registro, il paziente muore, poiché l’autonomia del ciclo delle scorte industriali, agricole e alimentari ammonta, a seconda delle stime, a una o due settimane per i combustibili, a un po’ di più per il gas (incluso quello per cucinare) e a qualcosa di meno per la carne fresca; né sarebbe possibile incrementare queste riserve per mancanza, tanto per cominciare, di capacità di stoccaggio. La Marina, pertanto, fa vivere, da sempre, l’economia italiana, oltre ad assicurare l’evoluzione tecnologica (e pertanto anche sociale) del Paese. Una volta chiariti i termini della questione resta da stabilire come quantificare, in termini immediatamente comprensibili, il valore di quest’opera. Ed è qui che le cose si fanno, a un tempo, difficili e incredibilmente semplici.

Di cosa stiamo parlando? Come infatti avviene sempre in economia, tutto sta a stabilire, di comune accordo, quali sono i parametri di riferimento (benchmark per chi proprio non può fare a meno della lingua inglese). Fino a un mese fa, per esempio, il criterio di base adottato in sede Comunitaria era quello che si rifaceva a un generico richiamo alle teorie settecentesche di David Ricardo, un economista inglese il quale predicava che se la produzione di un determinato bene e servizio era più economica all’estero, era opportuno concentrarla laggiù. Dal punto di vista della ragioneria la cosa non faceva una grinza, per lo meno fino a quando l’attuale crisi non ha modificato il principio politico di base, diventato ora quello della tutela dei cittadini di un dato Stato cui altri Stati negano, o dirottano, le forniture di beni giudicati necessari per la propria popolazione autoctona in omaggio al principio, altrettanto legittimo, secondo cui Salus populi suprema lex esto, oltre a quello, tipicamente navale, del Diritto d’angheria. Più direttamente, e sempre in omaggio all’antica saggezza latina, mors tua, vita mea. Tradizionalmente l’indice economico utilizzato per quantificare le minacce al traffico in tempo di pace o anche di guerra quando la stessa è, tutto sommato, ancora equilibrata, è quello del costo dei noli e delle assicura-

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zioni. La minaccia degli attacchi al traffico nel caso di un conflitto limitato rientra, infatti, nel novero dei rischi che un sistema finanziario può ancora gestire. Quando, per contro, il pericolo della perdita dei bastimenti diventa più che probabile, non c’è contratto di assicurazione che valga e gli Stati (come avvenne, per esempio, durante la Seconda guerra mondiale dopo l’intervento dell’Italia e la caduta della Francia) si assumono il dovere di rifondere, puramente e semplicemente, il valore del mercantile andato perduto: ciò avviene, durante le ostilità, mediante nuove costruzioni o catture e dopo la guerra, quando i cantieri possono tornare in piena attività mediante organici programmi postbellici. Non si tratta, come sosterrebbero gli economisti (in realtà meri contabili) del bel tempo, di regalare le navi agli armatori, ma di far navigare le unità. La soluzione (apparentemente a costo zero e, pertanto, benvenuta presso certi miopi giornalisti e uomini politici, tutti improvvisatisi economisti d’occasione, sempre attenti al centesimo e pronti a perdere i miliardi) consistente nella requisizione tout court dei bastimenti in parola, con la conseguente militarizzazione degli equipaggi e del settore armatoriale, è — per contro — storicamente rovinosa. Le guerre e le crisi, infatti, prima o poi finiscono, pertanto la distruzione, senza curare le radici e il futuro, di quello che è il settore fondamentale per la circolazione dei beni di qualsiasi Paese e del mondo tutto, significa solo condannare alla stagnazione, all’inedia e alla morte i deboli superstiti. Basti, per tutti, l’esperienza dell’Unione Sovietica al termine di quella Guerra civile combattuta tra il 1917 e il 1923 che fu all’origine della sua stessa esistenza. Tagliata fuori dal mondo e con milioni e milioni di morti per fame, Mosca poté salvarsi solo grazie alla carità statunitense e in virtù del cibo e dei medicinali Made in USA trasportati laggiù su piroscafi statunitensi, non disponendo la neonata Unione Sovietica di una flotta commerciale dopo la requisizione e la perdita del naviglio mercantile ex zarista e lo sterminio o la fuga dei marittimi oltre che con la dispersione, dopo la rivolta di Kronstadt del 1921, della maggioranza delle maestranze e dei tecnici dei cantieri. Tutti costoro furono malamente rimpiazzati, nel corso di un’intera generazione (ovvero 25 anni), da una nuova leva di progettisti, ingegneri, specialisti e di armatori sia pure — nominalmente

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Grafico del debito pubblico statunitense (Fonte: United States Government/wikipedia).

— di Stato. Certo le sciagurate misure economiche a costo zero (quantomeno in termini di rubli) del 1919 e 1920 avevano fatto la gioia degli economi (non economisti) burocrati russi del tempo, ma quella stessa gente finì, non di meno, al muro — magari coi propri neri e ordinatissimi registri ancora sotto il braccio — in quanto la salvezza cartacea dei conti dello Stato aveva ceduto il passo rispetto alle perdite umane verificatesi tra le sventurate popolazioni sparse tra Leningrado e Vladivostok. Né diverse, anche se fortunatamente molto più brevi, furono le vicende della flotta commerciale francese durante i mesi del Terrore giacobino. Detto in altre parole, nel corso di situazioni eccezionali servono provvedimenti eccezionali che superino l’ordinaria amministrazione. Valga, a titolo d’ulteriore esempio, il costo pagato dagli Stati Uniti durante il Secondo conflitto mondiale: 1.154.000.000.000 dollari, incluse le due bombe atomiche sganciate sul Giappone. Da allora in poi il debito pubblico americano è rimasto pressoché costante, in termini reali assoluti, fino 1981 e in calo, in termini reali relativi al PIL, fino all’inizio della presidenza Reagan, salvo crescere in seguito provocando,

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anche con le spese programmate per le c.d. «Guerre stellari», la fine dell’Unione Sovietica e della minaccia atomica della Guerra fredda. In altre parole, le cambiali con cui Washington pagò sia la propria vittoria, sia la sopravvivenza politica degli Stati Uniti tra il 1941 e il 1945 sia — infine e in primo luogo — il primato economico e finanziario conquistato da Wall Street ai danni di Londra dal 1943 a oggi, non sono mai state onorate, ma semplicemente rinnovate per omnia saecula saeculorum. Questa stessa, dura realtà viola le regole della buona amministrazione e di quella diligenza del buon padre di famiglia che è stata spesso invocata, fino a ieri, confondendo il regime che regola i privati cittadini rispetto alle ben diverse responsabilità, moltiplicate per decine di milioni di volte, dello Stato. Questi fatti contabili, nondimeno, non hanno certo resuscitato le vittime di Hiroshima e Nagasaki, né le hanno fatte risultare nulle e non valide sui libri mastri della storia e dei pubblici bilanci. Si trattò, infatti e come sempre avviene, di morti a credito destinati a rimanere tali. I noli e le assicurazioni, pertanto, sono un indice accettabile del costo della regolarità dei traffici marittimi nel corso di situazioni, come quella odierna, di crisi grave, ma ancora gestibile, quantomeno con un po’di buonsenso, prima virtù — questa — di una politica che sia veramente tale. Resta, a questo punto, il problema di come misurare quest’indice.

Facciamo quattro conti Posto che sui danni della pirateria gli studi accademici sono estremamente prudenti, data la carenza di dati omogenei, un primo ordine di grandezza disponibile e ormai consegnato da anni agli archivi è quello espresso dal calo del 20% del traffico passato attraverso il Canale di Suez in seguito all’attività, a quel tempo in pieno slancio, dalla pirateria di base sulle coste somale in corso nell’Oceano Indiano tra il 2008 e il 2009 e destinata a raggiungere il proprio picco nel 2010. A ciò corrispose un minor movimento verificatosi nei porti italiani pari a più di un punto di PIL (2). Fermo restando il problema, insolubile, della correlazione piena tra causa ed effetto, una volta che pensassimo alle recenti polemiche italiane e comunitarie in merito a eventuali modifiche dello zero virgola del PIL italiano che dominavano i giornali ancora qualche mese

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fa nell’ipotesi di eventuali «sforamenti» nell’ordine assoluto di 3 miliardi di Euro, è evidente che stiamo parlando di cifre importanti e decisive: dato il PIL italiano del 2008, pari a 1.613,57 miliardi di Euro, il solo 1% ammontava, infatti, a 16 miliardi. L’intervento, some sempre discreto ed efficace, della Marina Militare fu, a questo punto, immediato e decisivo. In questa sede vale la pena di ricordare, a titolo d’esempio, l’azione della fregata Maestrale del 21 maggio 2009, quando quella nave salvò, nel Golfo di Aden, il mercantile Maria K. Gli uomini del Battaglione San Marco arrestarono, in quell’occasione, i 9 pirati, poi processati in Kenya. Questa e altre consimili vicende ebbero una ricaduta immediata, e direttamente quantificabile, a beneficio non solo del nostro Paese, ma dell’intera comunità internazionale. Nel 2010, invero, i costi della pirateria in tutto il mondo erano stimati tra 7 e 12 miliardi di dollari all’anno. Nel 2016, per contro, i danni sono stati di 0,8 miliardi di dollari a causa della pirateria in Africa occidentale e di 1,7 miliardi per quella in Africa orientale; mancano per contro dati sulle analoghe vicende verificatesi nelle acque della Malacca. Nel 2017 il maggior costo per assicurazioni è stato di 18,5 milioni — non, si badi bene, miliardi — di dollari, cui vanno sommati costi aggiuntivi per ulteriori polizze stipulate contro i sequestri pari a 20,7 milioni di dollari sottoscritte da circa il 35% delle navi che transitarono su rotte ritenute pericolose. Poiché la quota italiana del commercio mondiale ammontava, nel 2016, al 2,95%, si può stimare (a tutto concedere, visto che solo una parte del nostro commercio transita nelle aree soggette agli attacchi della pirateria) che i relativi costi a carico dell’Italia ammontassero, nel 2012, tra 0,2 e 0,35 miliardi di dollari per poi scendere a 0,075 miliardi (sempre Malacca esclusa) nel 2016. Detto in altre parole, questi vistosi risparmi coprono abbondantemente l’ammortamento delle fregate e dei pattugliatori della Marina Militare. Questo bilancio positivo è ancora più evidente se guardiamo il numero degli attacchi. Nel 2011 la pirateria imperversava, con 439 attacchi; quel totale è sceso, nel 2016, a 191 e a 162 nel 2019. Per riassumere, oggi — con gli attacchi ridotti a circa un terzo — il costo della pirateria si può ragionevolmente stimare, per l’Italia, a 100 milioni di dollari all’anno, pari a un’inezia rispetto ai 16 miliardi di Euro del 2008.

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Economia ed economisti A ben vedere, una delle conseguenze più vistose dell’attuale crisi sanitaria mondiale consiste senz’altro nel mutato atteggiamento degli economisti e, ancor più dei troppi commentatori, più o meno improvvisati, che cercano affannosamente di seguire gli esperti lungo questa novella via di Damasco. Non solo, infatti, il vecchio, amaro detto in base al quale non esiste l’economia, ma solo gli economisti, ognuno dei quali con la propria personalissima idea in merito a cosa è la moneta e come funziona, ha trovato conferma; ma è altresì emerso un fatto nuovo: i più severi e arcigni liberisti sono diventati, nel giro di una notte, keynesiani convinti e sostenitori della spesa pubblica. Torniamo, pertanto, a nave Rizzo intenta a dare la caccia ai pirati nel Golfo di Guinea per il bene di tutti. Secondo fonti dello Stato Maggiore della Marina Militare il costo di un’unità della classe FREMM ammontava, nel 2005, a 380 milioni di Euro. Una volta attualizzato il prezzo in parola rispetto all’inflazione verificatasi tra quell’anno e il 2019, la cifra in questione sale, per un’unità appena completata come quella, del 20,5 % (con buona pace di chi crede che l’inflazione, di per sé inevitabile e anzi auspicata in sede comunitaria, non esista più), arrivando così a Euro 458,05 milioni. Ipotizziamo, a questo punto e per semplicità, che il prezzo in parola sia composto, per il 75%, da beni e servizi prodotti in Italia. Nel 2018, infatti, le importazioni italiane sono ammontate a 423.998 milioni di Euro su un PIL di 1.753.949 milioni di Euro; ciò significa che l’incidenza dell’import sulla produzione interna è stata di quasi un quarto.

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Nave MAESTRALE impegnata in un’operazione antipirateria.

Dati: + 458,05 mln di spesa pubblica (G); - 114,51 mln di importazioni (M). Abbiamo un incremento del PIL italiano di 343,54 mln. Fatto questo senz’altro positivo, quantomeno in base a quello che si è sempre detto da vent’anni a questa parte. Il Prodotto interno lordo di cui si sono riempiti la bocca per troppi anni troppe persone che non conoscevano, evidentemente, neppure l’ABC dell’economia, misura — infatti — la ricchezza generata, nel corso di un anno, nell’ambito dei confini dello Stato indipendentemente dalla nazionalità di chi l’ha prodotta. Si tratta di una misura economica: il totale del PIL è, ripetiamolo, quello del reddito prodotto in Italia in un dato anno. Lo si potrebbe misurare sommando il valore di tutti i beni e servizi scambiati nel corso dell’anno, ma è importante rammentare che il ricavo di qualcuno è, sempre e comunque, la spesa di un altro soggetto. Per semplicità, quindi, il PIL si misura sommando i seguenti aggregati:

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+ consumi privati (C): acquisti di beni (alimentari, vestiario, immobili, ecc.) da parte dei residenti; + spesa pubblica (G): acquisti di beni e servizi (inclusi, quindi, gli stipendi del personale pubblico) da parte dello Stato; + investimenti fissi (I): la spesa delle imprese per l’acquisto di immobilizzazioni (macchinari, immobili, ecc.); + esportazioni nette (N): ovvero la differenza tra le esportazioni (E, le quali sono un valore positivo per il PIL) e le importazioni (M, che invece rappresentano ricchezza perduta dal sistema economico). Orbene: la spesa pubblica è stata sovente oggetto di critiche pauperistiche e di conio pseudo calvinistico che però l’attuale crisi sanitaria ha dimostrato essere piuttosto peregrine, oltre che politicamente improponibili, ma è non di meno necessario non dimenticare mai che la spesa G è, a sua volta, il ricavo che un privato consegue a fronte di beni o servizi forniti da quest’ultimo alla collettività. Per esempio le mascherine di cui oggi si lamenta la mancanza perfino negli ospedali. È chiaro, pertanto, che tali beni o servizi possono essere stati pagati dallo Stato a un prezzo più o meno congruo rispetto ai livelli del mercato interno o internazionale, ma è altrettanto importante notare che il denaro di quello stesso prezzo determina un incremento a cascata dei consumi e degli investimenti. Per esempio, se un’industria ottiene una commessa dallo Stato, è più che probabile che almeno parte del denaro incassato sia poi utilizzato per incrementare gli investimenti in macchinari (aumentando così l’aggregato I), soprattutto una volta che l’esecutivo agisca con intelligenza mediante la leva fiscale. Allo stesso modo, un impiegato pubblico consumerà una parte del proprio reddito per acquistare dei beni. Se questi nuovi acquisti sono rivolti a prodotti italiani, e non importati, il PIL ne beneficia, come è stato recentemente e autorevolmente ricordato. Tale funzione di volano per l’economia privata svolta da parte della spesa pubblica è a sua volta definita, da qualche secolo a questa parte, dalla teoria economica col nome di «moltiplicatore fiscale». L’aver dimenticato (in seguito a una quella che gli storici futuri etichetteranno, probabilmente, più alla stregua di una crisi di furore ideologico che non a una semplice moda passeggera) queste verità elementari e di

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base è come scordare l’uso del sale in cucina. Ben venga, pertanto, questo ritorno al buonsenso senza eccessi, di per sé non troppo diverso da quelli che furono, in Italia e in Europa, i rinnovati benefici della ritrovata democrazia parlamentare rispetto alla disastrosa «scorciatoia» delle dittature del secolo ventesimo.

Conclusione È un fatto che la maggiore difficoltà nel campo dei riflessi del Potere Marittimo nel campo dell’economia e, in dettaglio, del lavoro e dei risparmi di tutti noi, nessuno escluso, consistite nel rintracciare le informazioni di base. Non che siano segrete, ma sono ristrette, in pratica, per tutta una serie di motivi, privacy inclusa, al solo circuito degli addetti ai lavori, innescando così quel cortocircuito tra conoscenza e volontà pubblica che tanto ostacola, quantomeno in Italia, il libero scambio delle idee e delle correlate decisioni da prendere. Resta fondamentale, a questo proposito, la tesi di laurea in Scienze Marittime e Navali dell’allora guardiamarina e oggi Tenente di Vascello Daniela Martella (relatore davanti all’Università di Pisa il Capitano di Vascello Patrizio Rapalino), intitolata «Il problema della pirateria nella strategia marittima»; l’opera in questione contiene, oltre a solidi ragionamenti, una notevole quantità di dati di prima mano raccolti con infinita pazienza attraverso una miriade di fonti. In dettaglio, il 70% del commercio globale ricordato in precedenza e che viaggia per mare include anche due terzi del petrolio mondiale. Detto in altre parole il sistema circolatorio del pianeta terra dipende, a pena di un infarto senza rimedio, dalla partenza e dall’arrivo per tempo di circa 80.000 navi mercantili. La capacità complessiva della flotta mercantile mondiale è stimata, oggi, intorno

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Atti di pirateria denunciati (grafico di Michele Maria Gaetani). Nella pagina accanto: il saluto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’equipaggio della fregata CARABINIERE nel 2015 (Fonte: quirinale.it).

ai 20 milioni di TEU (twenty-foot Equivalent Unit), ossia la misura standard di volume per i container. Questo incremento è in capo, a sua volta, a navi mercantili di dimensioni sempre maggiori e di numero, di conseguenza, minore per motivi di economia di scala, oltre che per deficienza di equipaggi a partire dai quadri. Posto che il numero dei passaggi obbligati (chokepoint per i soliti affezionati irriducibili dell’inglese) è sempre quello, dagli Stretti di Malacca ai Dardanelli fino a Gibilterra, al Canale di Suez, a quello di Panama e all’imboccatura del Mar Rosso di Bab el-Mandeb (parole che significano, non a caso, in arabo, «La porta delle lacrime») è evidente, sulla solida base dei numeri e delle cifre, che siamo davanti alle seguenti due realtà di assoluta chiarezza militare: — il numero dei bersagli tende a diminuire, facilitando così l’offesa; — il valore dei singoli bersagli tende ad aumentare, incrementando in tal modo e ancora di più l’effetto perverso di cui sopra. La difesa di questi bersagli, si tratti di pirati, di tempeste o di guerre come quelle che si stanno verificando nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, è affidata alla Marina Militare, nell’interesse nazionale e internazionale, con un rapporto costo/efficacia a dir poco ideale che neppure il più calligrafico e prudente economista (vero) potrebbe contestare. Certo restano gli economisti falsi, magari appartenenti a quel variegato mondo, televisivo e no, oggi riciclatisi sotto la veste di virologi di complemento dopo essere stati, in passato, commissari tecnici ad honorem della nazionale, ma si tratta di una quantité négligeable rumorosa e inutile, in quanto i numeri parlano chiaro.

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Pirateria, virus ed economie

L’11 novembre 2015 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a bordo a bordo di nave Carabiniere (in quel momento in Oman) ha riconosciuto l’opera della Marina dichiarando che: «Grazie alle efficaci azioni di contrasto al fenomeno della pirateria poste in essere dalla comunità internazionale, il numero degli assalti — che aveva toccato il picco nel 2006 — si è ridotto drasticamente». Et de hoc satis. Alcuni anni fa ebbi modo di scrivere, su queste stesse pagine, in merito a questi medesimi argomenti rilevando che: «Queste considerazioni, di per sé piatte e banali, potrebbero spingere qualcuno a osservare, in legittimo contradditorio, che non siamo in guerra e che un simile linguaggio è a dir poco fuorviante. La grigia realtà, però, è un’altra: siamo in guerra e l’opinione pubblica fa, da quasi cinquant’anni a questa parte, una grossa confusione. L’errore di fondo nasce, con ogni probabilità, dal fortunato slogan “Fate l’amore, non fate la guerra” del 1968. Il paragone tra amore e guerra è, infatti, fuorviante. Il primo dei due termini in parola implica, infatti,

la collaborazione di due persone. Il secondo no. Ed è curioso notare che in un’epoca così attenta al problema della tutela dei diritti delle donne, ci si sia dimenticati del fatto che per uno stupro la volontà, alias violenza, di una sola persona basta e avanza. In guerra succede la stessa cosa. Non è un duello o un torneo. È un’aggressione a mano armata contro un soggetto che, di solito, non può difendersi o che l’attaccante di turno crede (di solito sbagliando) sia inerme e alla propria mercé» (3). Oggi, riprendendo le parole di tutti i capi di Stato e di governo del pianeta, siamo in guerra. Il nemico è un virus, con tutte le inevitabili ricadute in termini di debolezza e cattiva volontà umana che ne conseguono. Il cuore del pianeta non si fermerà come non si è fermato mai in millenni e millenni di sfide. Ma se il sangue dell’economia e del lavoro del globo continuerà a circolare lo si deve alle navi e agli uomini e donne dei loro equipaggi. La Marina Militare fa la sua parte per noi e per tutti. In silenzio e con efficacia. Per favore: non dimentichiamolo. 8

NOTE G(1) Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, ed. Longanesi, Milano 1969, vol. I, pagine 44 e 45. (2) Fausto Biloslavo e Paolo Quercia, Il tesoro dei pirati, supplemento della Rivista Marittima, marzo 2013, pagina 3. (3) Enrico Cernuschi, «Navi e quattrini», Rivista Marittima, febbraio-marzo 2009. BIBLIOGRAFIA Gianandrea Gaiani, «Dodici miliardi di dollari l’anno: è il costo finanziario della pirateria marittima a livello mondiale», Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2011. Ayşe Devrİm Atauz, Eight Thousand Years of Maltese Maritime History: Trade, Piracy, and Naval Warfare in the Central Mediterranean, University Press of Florida, 2008. Anna Bowden, Kaija Hurlburt, Eamon Aloyo, Charles Marts, Andrew Lee, The Economic Cost of Maritime Piracy, One Earth Future Working Paper, www.oceansbeyondpiracy.org, Broomfield CO, USA, December 2010. James Kraska, Contemporary Maritime Piracy: International Law, Strategy, and Diplomacy at Sea, Praeger, CA, 2011. Sami Bensassi and Inmaculada Martínez-Zarzoso, How Costly is Modern Maritime Piracy to the International Community?, Review of International Economics, 20(5), 869-883, 2012. Thomas K. Heebøll-Holm, Ports, Piracy, and Maritime War: Piracy in the English Channel and the Atlantic, c. 1280–c. 1330, Brill, Leiden, 2013. Inmaculada Martínez-Zarzoso & Sami Bensassi, The Price of Modern Maritime Piracy, Defence and Peace Economics, 2013 , Vol. 24, No. 5, 397-418. Gordon Wilmsmeier, International Maritime transport Costs: Market Structures and Network Configurations, Ashgate Publishing, Farnham, 2014. Stephanie Jones, Maritime piracy and the cost of world trade, Competitiveness Review, Vol. 24 No. 3, 2014, pp. 158-170. Stefan Eklöf Amirell and Leos Müller, Persistent Piracy: Maritime Violence and State-Formation in Global Historical Perspective, Palgrave Macmillan, 2014. C. Paul Hallwood and Thomas J. Miceli, Maritime Piracy and Its Control: An Economic Analysis, Palgrave Macmillan, 2015. Laura Galli, Le nuove forme di pirateria marittima e gli strumenti assicurativi a tutela della nave e dell’equipaggio, Università degli Studi Milano Bicocca, 2016. Maisie Pigeon, Dirk Siebels, Emina Sadic, John Hoopes, Kelsey Soeth, Sean Duncan, The State of Maritime Piracy 2016, One Earth Future, Broomfield, CO, USA 2017. Maisie Pigeon, Emina Sadic, Sean Duncan, Chuck Ridgway, Kelsey Soeth, The State of Maritime Piracy 2017, One Earth Future, Broomfield CO, USA 2018. Eromo Egbejule, «Maritime piracy increases business costs in the Gulf of Guinea - The cost of maritime piracy in West Africa was more than $800m in 2017: Oceans Beyond Piracy», Al Jazeera, 27 December 2019.

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A Est di Suez e a Ovest di Singapore Dinamiche strategiche e presenze navali dell’Oceano Indiano

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1) Sottomarino d’attacco a propulsione nucleare classe «Shang/Type 093B» della Marina della Repubblica Popolare Cinese. I dispiegamenti di unità navali subacquee e di superficie cinesi nell’Oceano Indiano sono aumentati considerevolmente negli ultimi anni (Fonte: sinodefense.com). 2) Il LEWIS B. PULLER (ESB 3), un’unità dell’US Navy tipo expeditionary mobile base in transito nello Stretto di Hormuz, a breve distanza da motoscafi armati dei Guardiani della Rivoluzione iraniana (Fonte: US Navy). 3) Il varo del sottomarino a propulsione convenzionale VELA, uno dei battelli realizzati in India utilizzando il progetto francese «Scorpene» (Fonte: Naval Group). 4) La portaerei indiana VIKRAMADITYA, la principale unità di superficie della Marina indiana, qui ripresa con velivoli multiruolo MiG 29K ed elicotteri Ka 31 sul ponte di volo (Fonte: India’s MoD).

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Michele Cosentino (*)

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onostante le sue dimensioni lo pongano al terzo posto nella graduatoria mondiale, negli ultimi dieci anni l’Oceano Indiano ha visto crescere un’importanza geostrategica già di per sé rilevante in virtù delle sue importanti direttrici di traffico, posizionate fra tre choke point di valenza capitale quali lo Stretto di Babel-Mandeb, quello di Hormuz e quello di Malacca. Questa rivalutazione dell’Oceano Indiano ha avuto inizio verso la fine del 2008, quando la Marina della Repubblica Popolare Cinese fece per la prima volta la sua apparizione in forze nel bacino: in quell’occasione, un gruppo navale guidato dal cacciatorpediniere lanciamissili Haikou fece rotta a ponente dello Stretto di Malacca per debuttare sul palcoscenico delle attività internazionali finalizzate a contrastare la pirateria marittima al largo delle coste somale. Opportunamente documentata, quell’operazione fu il primo dispiegamento navale della Marina cinese al di fuori dal teatro Indo-Pacifico sin dai tempi della famosa spedizione risalente al XV secolo guidata dell’esploratore, diplomatico e Ammiraglio Zheng He. Sotto l’egida della nota Belt and Road Initiative (BRI), Pechino considera ormai l’Oceano Indiano come la direttrice più importante della propria via marittima della seta, che permette di collegare la Repubblica Popolare Cinese con le regioni ricche di risorse naturali e di mercati per l’import-export situate in Africa, nel Medio Oriente e in Europa.

(*) Contrammiraglio (r) del Genio Navale. Ha frequentato l’Accademia Navale nel 1974-1978 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria Navale e Meccanica presso l’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sottomarini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma presso la Direzione Generale degli Armamenti Navali, il Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti e lo Stato Maggiore della Marina. Nel periodo 1993-1996 è stato destinato al Quartier Generale della NATO a Bruxelles; nel periodo 2005-2011 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matière d’Armaments (OCCAR) a Bonn. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto Consigliere Nazionale dell’ANMI per il Lazio Settentrionale. Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere (Rivista Marittima, Storia Militare, Rivista Italiana Difesa, Difesa Oggi, Tecnologia & Difesa, Panorama Difesa, Warship, Proceedings, ecc.) e ha pubblicato oltre 600 fra articoli, saggi monografici, ricerche e libri su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale.

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Il panorama generale

ressi nazionali in regioni marittime distanti dalle madrepatria. In tale contesto rientrano anche i sempre più freIn conformità a quest’assunto, le missioni antipirateria quenti dispiegamenti di naviglio cinese specializzato nel della Marina cinese sono proseguite in maniera costante supporto logistico in altura, la costruzione di un centro e il loro svolgimento ha potuto beneficiare anche delper la raccolta d’informazioni sull’isola di Coco (1), sotto l’apertura della base militare a Gibuti, la piccola Nazione la sovranità del Myanmar, nonché la realizzazione di terdel Corno d’Africa ormai divenuta un nodo strategico minali logistici nello Sri Lanka e in Pakistan di cui posmilitare per diverse Nazioni, Italia compresa. A partire sono facilmente usufruire anche unità navali militari. dal 2013, la Marina cinese ha potenziato la qualità dei diL’attivismo navale della Repubblica Popolare Cinese spiegamenti navali al largo della Somalia, rendendo noto aggiunge un’altra dimensione allo scenario dell’Oceano che alle missioni antipirateria partecipano anche sottoIndiano, un teatro marittimo che vede crescere la sua immarini a propulsione nucleare e convenzionale: anche se portanza strategica anche in virtù di altre situazioni pel’impiego di unità subacquee in operazioni di questo tipo culiari manifestatesi negli ultimi anni e che hanno può avere un senso se correlato alla raccolta d’informacontributo a elevare la soglia di rischio nell’intero spettro zioni di rilevanza strategica, è oggettivamente palese che operativo e geografico. Posta al limite inferiore di questo la prevedibile presenza di unità d’attacco classe spettro, la perdurante instabilità della Somalia si traduce «Shang/Type 093» assume un significato particolare in nell’incertezza dello scenario che sorgerà se e quando tertermini di deterrenza politico-militare, proiezione di pomineranno le operazioni di contrasto alla pirateria marittenza, presenza e sorveglianza e salvaguardia degli intetima, scenario di cui fanno già parte i traffici illegali di sostanze stupefacenti che scorrono lungo il corridoio marittimo — noto come hashish highway, autostrada dell’hashish — interposto fra la costa pakistana del Makran e quella dell’Africa orientale. Un altro motivo di preoccupazione per la stabilità dell’area è il traffico di migranti in corso fra le sponde meridionale e settentrionale del Golfo di Aden, generato da quel conflitto in corso nello Yemen che, con la sua dimensione marittima governata dall’impiego di missili costieri antinave e ordigni rudimentali a cura dei ribelli Houthi contro naviglio mercantile e militare, contribuisce a far migrare il livello di rischio verso quegli scenari a elevata conflittualità caratteristici dell’angolo nordoccidentale dell’Oceano Indiano (2). Il più palese esempio al riguardo è l’aumento della tensione fra l’Occidente e l’Iran a cavallo dello Stretto di Hormuz che, sebbene ai margini dell’Oceano Indiano, rimane uno dei punti di maggior competizione militare fra i soggetti in essa coinvolti. All’altra estremità delUna mappa del Golfo del Bengala che mostra chiaramente le distanze esistenti fra l’isola di Coco, sede di una struttura per la raccolta d’informazioni costruita da Pechino, e gli arcipelaghi l’Oceano Indiano, l’impatto dello Stretto di delle Andamane e Nicobare, territorio indiano (Fonte: wikipedia.it). Malacca sulle dinamiche geopolitiche del-

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liana — che più delle altre hanno adottato una più attiva l’Asia sudorientale rappresenta un altro potenziale fattore postura strategica nei confronti delle dinamiche presenti di rischio, perché legato alle non malcelate tensioni di nanell’Oceano Indiano e che dunque vale la pena esaminare tura territoriale marittima generate dalle rivendicazioni individualmente. di Pechino nell’adiacente e importante Mar Cinese Meridionale e a un prevedibile ritorno della pirateria al largo La Marina indiana: ambizioni e lacune di Singapore. In sostanza, la moderna percezione dell’Oceano InSin dalla sua indipendenza, la storia militare della Nadiano è quella di una vasta regione a Est di Suez e a Ovest zione indiana è stata dominata da situazioni conflittuali di Singapore dove risiede ed è attivo un complesso di miin cui ha spesso dominato la componente terrestre. Gli nacce che si evolvono secondo una dinamica complessa scontri di frontiera con la Repubblica Popolare Cinese e articolata, generatrice di una profonda modifica nell’atnel 1960 e la serie di conflitti con il Pakistan succedutisi titudine non solo delle principali Marine dell’area — in dagli anni Quaranta fino alla fine degli anni Novanta — primis quelle di India e Australia — ma anche di alcune con significative appendici marittime — hanno ampiaa essa geograficamente estranee, fra cui la Royal Navy. Proprio quest’ultima ha definitivamente abbandonato una postura strategica che l’ha vista assente per lungo tempo a Est di Suez, secondo un assunto politico rinunciatario risalente all’epoca laburista di Harold Wilson e che ha dovuto necessariamente essere ribaltato alla luce dei nuovi scenari geostrategici, pena la decadenza irreversibile dell’immagine di Londra sul piano internazionale. Da parte sua, Foto ricordo di ufficiali francesi e indiani scattata a bordo di una fregata della Marina indiana nel corso dell’edizione 2019 dell’esercitazione franco-indiana «Varuna», finalizzata a potenziare l’interoperabilità fra gli l’impegno degli Stati Uniti ri- assetti aeronavali delle due Nazioni partecipanti (Fonte: gK_Toda). mane concentrato nell’angolo nordoccidentale della regione marittima dell’Oceano Inmente giustificato uno notevole sforzo finanziario focadiano, che rimane comunque un’area sensibile per Walizzato su specifiche esigenze strategiche. La progressiva shington almeno sotto il profilo del libero transito da e e accresciuta presenza di forze navali cinesi nell’Oceano verso l’Oceano Pacifico: l’importanza che gli Stati Uniti Indiano ha tuttavia implicato per Nuova Delhi un riorienattribuiscono all’intero teatro Indo-Pacifico costituisce tamento politico-militare di cui potrebbero far verosimildunque la motivazione per una strategia d’impegno demente parte situazioni di vera e propria conflittualità clinata anche attraverso la cooperazione politico-militare marittima fra India e Repubblica Popolare Cinese: da un con l’Australia e l’India, a cui fa corollario il ripristino di decennio a questa parte, la rivalità strategica fra Pechino una presenza navale permanente a Singapore, peraltro e Nuova Delhi contiene dunque una dimensione maritcontenuta in termini di tipologia e quantità di unità perché tima che obbliga la Marina indiana ad ampliare la sua trarelativa a uno squadron di Littoral Combat Ships (3). In dizionale funzione di contenimento del solo Pakistan e a sintesi e con l’attivismo navale di Pechino sullo sfondo, fronteggiare l’assertività di Pechino nell’Oceano Indiano. sono dunque tre le Marine — quella indiana in primo Per fare ciò, Nuova Delhi ha intrapreso un certo nuluogo, seguita dalla Royal Navy e dalla Marina austramero d’iniziative per rafforzare le proprie posizioni nel-

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A Est di Suez e a Ovest di Singapore Questa mappa, riferita all’estate 2019 ma applicabile anche ai giorni nostri, mostra in maniera eloquente l’importanza dell’Oceano Indiano in relazione ai traffici marittimi di petrolio greggio verso l’Estremo Oriente, l’Europa e l’Africa (Fonte: Centro Studi Geopolitica).

l’area. Nel 2019, le infrastrutture del piccolo avamposto aeroportuale di Shibpur, situato sull’isola Great Andaman (nel Golfo del Bengala), sono state potenziate per consentire il rischieramento e l’impiego di velivoli per il pattugliamento marittimo ed elicotteri per la ricerca e soccorso in forza alla Marina indiana e pertanto convertite in una base aeronavale vera e propria, denominata Kohasa. Assieme alla base aeronavale Baaz, situata sulla Great Nicobar Island, e a due altre infrastrutture già presenti a Port Blair and Car Nicobar, la base aeronavale Kohasa forma così un sistema di strutture militari che fungerebbe da prima linea di difesa e contrasto nei confronti contro potenziali incursioni di forze militari straniere nei territori sotto il controllo di Nuova Delhi. Al rafforzamento del dispositivo militare nei due arcipelaghi concorrono anche periodici dispiegamenti e pattugliamenti eseguiti da corvette lanciamissili della Marina indiana, per lo più unità della classe «Kora» armate di missili antinave e che da qualche tempo hanno sostituito in questa funzione pattugliatori d’altura e forze leggere con ridotte capacità belliche. La Marina indiana ha inoltre trasferito negli arcipelaghi delle Andamane e Nicobare mezzi da sbarco di grandi dimensioni tipo LCU Mk IV, ciascuno in grado di trasportare e far sbarcare un cospicuo numero di militari, nonché di svolgere missioni di ricerca e soccorso e di assistenza umanitaria alle popolazioni civili. Se queste iniziative possono apparire limitate in rela-

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zione all’ampiezza e alla peculiarità delle mosse intraprese dalla Marina cinese, ben diversi sono gli sforzi avviati da Nuova Delhi per ammodernare e potenziare uno strumento aeronavale sempre proteso verso ambizioni strategiche di un certo rilievo. Ben noti sono i programmi in corso in tutti settori delle unità navali, dalle portaerei ai sottomarini a propulsione nucleare e convenzionale, dai cacciatorpediniere lanciamissili al naviglio per la guerra di mine, portati avanti grazie alla collaborazione e al coinvolgimento di non poche entità industriali e governative estere: tuttavia, altrettanto note sono le difficoltà oggettive riscontrate in quasi tutte queste iniziative, difficoltà di natura soprattutto tecnica e gestionale dovute principalmente alla volontà e alla pervicacia di agire con il massimo coinvolgimento di soggetti industriali indiani che spesso non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative e che hanno generato ritardi e aumenti dei costi di sviluppo e produzione (4). A questo scenario fa inoltre da sfondo un panorama di regole e procedure a dir poco farraginose che spesso hanno favorito la prevalenza della burocrazia e di pratiche poco trasparenti a vari livelli e che hanno pesantemente inficiato lo sviluppo armonico di adeguate capacità militari. Il risultato di tutto ciò è un miscuglio quantomeno eterogeneo di classi di unità navali e sistemi imbarcati di varia provenienza nazionale ed estera, con evidenti ricadute negative nel settore della standardizzazione, della logistica e dell’addestramento del personale.

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le informazioni che giungono all’IMAC da sei stazioni Di conseguenza, oltre a cercare in tutti i modi di miradar presenti nello Sri Lanka, otto situate sull’isola di gliorare la qualità dei materiali a disposizione per perseMauritius e una nelle Seychelles (5). guire determinate ambizioni, la Marina e le altre forze I governanti di Nuova Delhi sono consapevoli che armate indiane sono consapevoli che uno strumento efoltre a rafforzare i legami militari con le Nazioni rivieraficace per assicurare credibili capacità di presenza milische dell’Oceano Indiano è necessario creare forti relatare nella regione dell’Oceano Indiano risiede nel zioni con Stati geograficamente estranei all’Oceano rafforzamento della cooperazione strategica con le NaIndiano ma con cui condividono interessi strategici. Uno zioni aventi affinità politico-strategiche allineate con dei principali partner in tal senso è certamente la Federaquelle di Nuova Delhi. Ecco dunque che dal 2018 l’India zione Russa, di cui non si possono dimenticare i forti insta rafforzando la cooperazione con l’Indonesia, proprio teressi per l’Oceano Indiano che Mosca dimostrava già in virtù della collocazione geostrategica di quest’ultima a ridosso dell’Oceano Indiano e dello Stretto di Malacca, espandendo il dialogo politico avviato fra il Primo Ministro indiano Narendra Modi e il Presidente indonesiano Joko Widodo. Sul piano pratico, la Marina indiana e quella indonesiana hanno deciso di intraprendere importanti esercitazioni periodiche note come «Samudra Shakti», che dal 2018 hanno visto la partecipazione di unità di superficie e velivoli impegnati in attività addestrative incentrate sul contrasto antisommergibili. Come a Nuova Delhi, anche a Giacarta cresce gradualmente il sospetto che i sottomarini cinesi a propulsione nucleare e convenzionale usino lo Stretto di Malacca o altri passaggi dell’arcipelago indonesiano per dirigersi verso l’Oceano Indiano, obbligando la Marina indonesiana a rivolgersi sempre più a quella indiana per addestrare al meglio il proprio personale. L’attenzione di Nuova Delhi è rivolta anche al rafforzamento delle relazioni militari con lo Sri Lanka e le Maldive, attraverso la fornitura di addestramento e materiali quali pattugliatori, sistemi radar e di difesa contraerei, elicotteri leggeri e armi portatili. In cambio, l’India sta lavorando all’installazione di una serie di stazioni radar per la sorveglianza costiera su alcune isole dell’arcipelago maldiprimo appontaggio sulla portaerei VIKRAMADITYA del primo esemplare prototipico del «Light viano, collegate all’Information Management IlCombat Aircraft (Naval) Mk.1», versione navalizzata di un velivolo il cui sviluppo fu avviato & Analysis Centre, IMAC di Nuova Delhi; circa quarant’anni fa (Fonte: News Informe). In alto: un’istantanea dal basso di un pattugliatore marittimo antisommergibili P-8I «Neptune» della Marina indiana, armato anche con missili anin tal modo, sarà possibile realizzare un qua- tinave. La frequente presenza di unità subacquee potenzialmente ostili nell’Oceano Indiano ha indotto la Marina indiana a rafforzare la propria aviazione navale (Fonte: India’s MoD). dro tattico di situazione completo anche con

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2019» si sono svolti al largo di Goa, con la condotta di attività di contrasto antisommergibili, difesa contraerei e lotta antinave e il loro svolgimento si coniuga con il ciclo di esercitazioni aeronavali «Malabar», condotte anch’esse su base periodica dalla Marina indiana e dall’US Navy. Un aspetto peculiare della politica militare indiana riguarda la deterrenza strategica nucleare esercitata anche mediante l’impiego di unità subacquee, secondo un concetto che deve necessariamente basarsi su un minimo di capacità per infliggere agli avversari — il Pakistan, ma anche la Repubblica Popolare Cinese — danni inaccettabili e comunque tali da scoraggiare un first strike (6). Il percorso intrapreso da Nuova Delhi per giungere a una forza subacquea di deterrenza strategica sembra esser stato alquanto complesso, laddove si pensi che la pianificazione per costruire un sottomarino a propulsione nucleare lanciamissili balistici è iniziata nel lontano 1974, beneficiando di un’assistenza sovietica, e fors’anche francese, che non si è dimostrata sufficiente per accelerarne la realizzazione. Per addestrare il personale della Marina indiana destinato a un battello nucleare, nel periodo 1987-1991 l’Unione Sovietica concesse a New Delhi l’impiego in Una delle rare immagini del sottomarino nucleare lanciamissili balistici ARIHANT, che costituisce leasing di un battello classe «Charlie», attualmente la «gamba» marittima della deterrenza nucleare indiana e che nel 2018 ha completato il battezzato Chakra; tuttavia, l’espesuo primo pattugliamento (Fonte: US Navy). rienza acquisita in quell’occasione protagoniste di un ciclo addestrativo annuale noto andò sostanzialmente persa perché quando il primo — come «Varuna», iniziato dapprima con lo scambio d’ine al momento unico — SSBN indiano fu varato nel formazioni e con eventi di natura limitata per poi evol2009, la maggior parte degli ufficiali coinvolti nelle atversi come esercitazioni di elevata intensità operativa tività del Chakra aveva ultimato il servizio nella Marina a cui hanno partecipato assetti aeronavali man mano indiana. Per rimediare a quest’inconveniente, Nuova più numerosi e importanti. L’edizione 2019 di «VaDelhi ha fatto nuovamente ricorso al leasing decennale runa» è stata la più complessa fra tutti i cicli addestradi un battello russo, in questo caso un’unità classe tivi, con la partecipazione del gruppo navale incentrato «Akula II» trasferito nel 2010. Sul versante nazionale, sulla portaerei Charles de Gaulle (comprendente anche il programma Advanced Technological Vessel/ATV prese le fregate Provence e Latouche-Tréville) e un sottomail via nel 1983: un traguardo importante fu raggiunto rino d’attacco a propulsione nucleare classe «Améthyvent’anni dopo, quando un reattore prototipico raggiunse ste»: la Marina indiana ha partecipato con la portaerei la criticità all’interno di un simulacro di sottomarino reaVikramaditya e il sottomarino a propulsione convenlizzato in un sito terrestre, mentre i progettisti lavoravano zionale Shankul. Gli eventi addestrativi di «Varuna al progetto del battello vero e proprio, battezzato Ariall’epoca della Guerra Fredda, e anche se i tempi sono cambiati, non cambiano le ambizioni strategiche del Cremlino, sempre focalizzate sull’accesso ai porti dell’Asia meridionale. Dopo un periodo di basso profilo, l’interesse in tal senso è stato ravvivato sotto la leadership di Vladimir Putin e non è un caso che nelle ultime edizioni della dottrina marittima della Federazione Russa l’Oceano Indiano sia menzionato come una regione da sviluppare come una «zona di pace, stabilità e buone relazioni» e in cui si ravvisa necessaria una periodica presenza navale russa. L’India ha lavorato anche a una più stretta cooperazione navale con la Marina francese, anche perché Parigi ha giurisdizione su territori dell’Oceano Indiano quali Réunion, Mayotte e altri possedimenti insulari minori. Sin dal 1983, le Marine indiana e francese sono

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Unità del gruppo navale australiano (in primo piano il CANBERRA) impegnate assieme a naviglio malese nel dispiegamento «Indo-Pacific Endeavour 2019» (Fonte: RAN).

hant. Avvolta nel mistero, la costruzione del sottomarino è proseguita fino al suo ingresso in linea, pubblicizzato dai media indiani in maniera tutto sommato discreta e avvenuto ufficialmente nel 2016. Sottoposto a un intenso periodo di prove in mare comprensive dei lanci di missili balistici, l’Arihant ha completato il suo primo pattugliamento strategico nel novembre 2018, dopo aver trascorso 20 giorni in mare, presumibilmente nella parte centrale del Mar Arabico. È verosimile che il battello sia equipaggiato con quattro silos per il lancio di missili balistici K-4, accreditati di un raggio d’azione di circa 3.500 km e quindi in grado di colpire bersagli in tutto il territorio pakistano e in una parte di quello cinese. A tal proposito, è importante evidenziare che per esercitare una deterrenza credibile nei confronti della Repubblica Popolare Cinese — cioè per avere continuativamente in mare un battello armato con ordigni in grado di colpire bersagli di elevata valenza politico-militare — le prestazioni dei missili imbarcati obbligano l’Arihant a svolgere i pattugliamenti di deterrenza principalmente nel Golfo del Bengala, proprio in quell’area dove risulterebbe all’opera la stazione per la raccolta d’informazione realizzata dalla Marina cinese sull’isola di Coco citata in apertura. Questo scenario, «arricchito» dalla possibile presenza di battelli cinesi in pattugliamento, degrada notevolmente capacità di deterrenza strategica subacquea comunque limitate perché affidate in toto a un unico battello: queste considerazioni inducono quindi a pensare che l’Arihant sia sostanzialmente un dimostratore prototipico da cui la Marina indiana sta acquisendo le ne-

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cessarie lezioni per realizzare un secondo battello, noto come Arhighat ma non ancora in linea, nonché per dare il via alla realizzazione di una classe di SSBN comprensiva di un numero di battelli sufficiente — almeno tre — per un credibile esercizio della deterrenza strategica e di cui l’Aridhaman dovrebbe essere il primo esemplare. Tuttavia, le poche informazioni che circolando al riguardo e l’incertezza che avvolge i programmi navali indiani non consentono di fare valutazioni sulla materia.

Una Marina per due oceani Storicamente impegnata su due versanti marittimi oceanici, negli ultimi anni la Royal Australian Navy sta rivolgendo la sua attenzione prioritariamente a occidente, anche a proposito del contrasto dei flussi migratori provenienti per lo più dall’Indonesia e all’espansione navale cinese; da ricordare inoltre, che sin dal conflitto in Golfo Persico del 1990-91 la Marina australiana invia periodicamente nella regione marittima mediorientale una o più unità, impiegate successivamente anche per il contrasto della pirateria. Queste iniziative rientrano in una strategia politica australiana attuata mediante la creazione e il rafforzamento di un’architettura di cooperazione con una marcata connotazione marittima che ha come obiettivo il mantenimento di un’accettabile stabilità in tutti i teatri d’interesse per Canberra. In materia di sicurezza, le elezioni politiche del 2019 hanno sostanzialmente confermato una linea d’azione in cui, riconoscendo la leadership di Nuova Delhi nell’Oceano Indiano e come affermato dal Ministro

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della Difesa Linda Reynolds, si persegue la cooperazione con l’India piuttosto che la competizione, con l’obiettivo comune di bilanciare la crescente presenza marittima della Repubblica Popolare Cinese. A ciò si aggiunge per l’Australia l’esigenza strategica di non trascurare il versante del Pacifico sudoccidentale e di assicurare un ordinato flusso di materie prime per la propria industria. La cooperazione regionale propugnata dall’Australia è soprattutto basata su esercitazioni bi- e multilaterali e sulla ricerca di altri strumenti per rafforzare qualitativamente i buoni legami già esistenti. Noto come «Indo-Pacific Endeavour, IPE», il dispiegamento annuale, durante l’estate australe, di un gruppo navale australiano nell’Oceano Indiano riflette gli sforzi di Canberra per un maggior impegno su quel versante, mettendo in campo assetti aeronavali che contribuiscono concretamente alla sicurezza regionale. Per l’edizione 2019 dell’IPE, il task group era incentrato sull’unità d’assalto anfibio Canberra e comprendeva anche le fregate Newcastle e Parramatta, il rifornitore di squadra Success, un sottomarino classe «Collins», 14 elicotteri e un totale di 2.500 uomini e donne: il comando del task group affidato a un generale dell’aeronautica australiana e la presenza sul Canberra di mezzi e personale dell’Esercito hanno rispecchiato la connotazione interforze dell’evento, così come la partecipazione ad alcune fasi di un pattugliatore marittimo antisommergibili P-8 «Poseidon» australiano particolarmente dotato nella lotta contro le minacce subacquee. Di IPE 2019 hanno fatto parte anche visite nei porti delle principali Nazioni dell’Asia sudorientale — anche quelle affacciate sull’Oceano Indiano — e attività operative nel Mar Cinese Meridionale per dimostrare la costante attenzione devoluta dall’Australia agli sviluppi in quella regione marittima. Un altro tema sviluppato durante IPE 2019 ha riguardato il rafforzamento delle relazioni bilaterali in materia di sicurezza fra l’Australia e lo Sri Lanka, in parte dovuto alla necessità per Canberra di prevenire i traffici illegali di migranti, buona parte dei quali giungevano sulle coste australiane proprio dallo Sri Lanka prima che gli sforzi congiunti dei due Paesi non fermassero il fenomeno. A cadenza biennale si svolge invece l’esercitazione bilaterale AUSINDEX, condotta nel Golfo del Bengala e che nel 2019 ha visto per la prima volta la partecipazione

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di un pattugliatore marittimo «Poseidon» australiano e un velivolo similare «Neptune» dell’Aviazione navale indiana. La presenza di un battello classe «Collins» e del sottomarino indiano Sindhukirti ha aggiunto un nuovo livello di qualità addestrativa e operativa ad AUSINDEX, anche con l’obiettivo di rafforzare l’interoperabilità fra assetti aerei e navali di diversa estrazione culturale. Essendo al momento limitata a questi due eventi addestrativi, la partnership aeronavale fra Australia e India dovrebbe evolversi secondo un futuro auspicalmente più consolidato. Al momento, esiste un accordo fra Canberra e Nuova Delhi per lo scambio d’informazione sul traffico mercantile fra India e Australia, un piccolo passo verso la possibile creazione di un contesto condivisibile di maritime domain awareness, ma preoccupazioni di natura politica e risorse limitate sembrano rallentare un siffatto sbocco. L’accordo sulla sicurezza e sulle comunicazioni siglato nel 2018 fra l’India e gli Stati Uniti potrebbe rappresentare una cornice per giungere a un qualcosa di simile che riguardi il contesto indo-australiano, soprattutto dopo l’acquisizione, a cura di Nuova Delhi, di numerosi sistemi di produzione statunitense: uno sbocco logico dovrebbe essere la condivisione trilaterale delle informazioni, grazie alla duratura attenzione rivolta dalle tre Nazioni alle attività navali cinesi nell’Oceano Indiano. Non è un caso che AUSINDEX 2019 — logicamente in-

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La fregata australiana TOOWOOMBA, ripresa in navigazione nel Golfo di Oman nell’ambito dell’iniziativa «International Maritime Security Construct». Si tratta dell’ultima evoluzione di una presenza continuativa della Marina australiana nell’area mediorientale che dura ormai dal 1990. A sinistra: quattro sottomarini australiani classe «Collins» impegnati in manovre evolutive. La base aeronavale di Cockburn Sound, nei pressi di Perth, sull’Oceano Indiano, è stata ammodernata per consentirne l’impiego anche dei futuri sottomarini convenzionali classe «Attack» (Fonte: RAN).

serita in IPE 2019 — si sia svolta quasi simultaneamente alla prima esercitazione antisommergibili fra l’US Navy e la Marina indiana, con la partecipazione di pattugliatori marittimi antisom delle due aviazioni navali, del cacciatorpediniere lanciamissili statunitense Spruance e di un numero imprecisato di unità subacquee. Ampliando le considerazioni di natura politica, la riluttanza dell’India a includere l’Australia nelle già citate periodiche esercitazioni «Malabar» — a cui, oltre agli Stati Uniti partecipa anche il Giappone — ha non poche implicazioni per il futuro della collaborazione in materia di sicurezza fra le quattro Nazioni. Gli sviluppi politicomilitari di un costrutto di sicurezza quadripartito vengono seguiti con molta attenzione a Pechino perché esso viene logicamente percepito come un espediente per bilanciare la ricordata e crescente espansione navale cinese, e proprio una «Malabar» ampliata anche all’Australia può rappresentare uno sbocco concreto verso tale costrutto. Tuttavia, il desiderio di evitare provocazioni verso la Repubblica Popolare Cinese non significa che Australia e India non possano sfruttare altre opportunità per la loro cooperazione militare da cui Tokyo è tenuta ai margini. Comunque, l’India non è l’unico partner per l’Australia nell’Oceano Indiano, perché altrettanto importante quanto AUSINDEX è stata la prima esercitazione multinazionale «La Perouse» condotta nella primavera del

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2019 nel Golfo del Bengala a cura di un gruppo navale incentrato sulla portaerei Charles de Gaulle e a cui hanno partecipato per l’Australia la fregata Toowoomba e il sottomarino Collins, nonché unità navali giapponesi e statunitensi. L’elevato livello d’interoperabilità già esistente fra le quattro Marine è stato dimostrato dalla gamma di missioni eseguite durante l’esercitazione, dall’assistenza umanitaria in caso di calamità a operazioni di lotta antisommergibili e difesa contraerei. Le già citate operazioni navali australiane nei dintorni del Golfo Persico cominciano a pesare sulle limitate risorse della Marina australiana. Sin dal 1990, Canberra ha avvicendato unità navali per 68 volte, nell’ambito di uno schema noto come «Middle East Region Rotation» che ha più volte garantito a un contrammiraglio australiano il comando di una delle tre task forces schierate fra il Golfo Persico, il Mar Arabico settentrionale e l’Oceano Indiano occidentale. Il contributo australiano alle operazioni di sicurezza marittima ivi condotte è noto come «Operation Manitou», ma dall’estate del 2019 esso è stato inserito nel cosiddetto «International Maritime Security Construct», propugnato dagli Stati Uniti e appoggiato anche da altre Nazioni al fine di dissuadere l’Iran da mosse azzardate in campo marittimo dopo il sequestro temporaneo di alcune petroliere in navigazione nello Stretto di Hormuz. Tuttavia e nonostante i risultati

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positivi raggiunti dalle unità navali australiane, i periodi di dispiegamento di assetti e personale hanno ripercussioni negative sulle limitate risorse disponibili per Canberra e la Marina si è adoperata in tutti i modi per massimizzare il ritorno negli investimenti eseguiti, come per esempio la partecipazione delle fregate in transito da e per il Medio Oriente alle esercitazioni bi- e multilaterali menzionate in precedenza, il prolungamento temporale dei dispiegamenti da sei a otto mesi e un maggior numero di visite nei porti delle regioni rivierasche dell’Oceano Indiano. Restando nel settore degli investimenti, sono in corso diverse iniziative per ammodernare le infrastrutture militari affacciate sull’Oceano Indiano, come per esempio il potenziamento della pista situata nell’arcipelago delle isole Cocos — da non confondere con l’isola Coco — al fine di permetterne l’impiego anche da parte dei «Poseidon» e dunque estendere in maniera significativa la copertura per la sorveglianza dell’Oceano Indiano settentrionale. Una simile iniziativa è in corso anche per la base dell’Aeronautica di Derby, sulla costa nordoccidentale australiana, mentre la base aeronavale di Cockburn Sound, nei pressi di Perth, è stata ammodernata per consentirne l’impiego a cura delle unità anfibie e di superficie, e in prospettiva, dei futuri sottomarini convenzionali classe «Attack».

dall’accresciuta competizione navale nel teatro euroatlantico, che richiede alla Gran Bretagna una maggior azione di presenza e complica ulteriormente il già precario equilibro fra assetti e requisiti che travaglia la Royal Navy. Dunque, una fregata basata in permanenza nel Bahrain serve a rafforzare la presenza navale britannica a Est di Suez e libera risorse per altri requisiti anche imprevisti perché si evitano i transiti legati a un rischieramento basato sulla rotazione di unità obbligate ad andare nel, e a venire dal, Golfo Persico. Una peculiarità della presenza britannica a Est di Suez riguarda il verosimile dispiegamento nella regione di un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare, un «lusso» che con una consistenza di sette battelli in inventario sarebbe forse difficile concedersi in virtù sia dell’aumentata attività subacquea

Il ritorno di Londra a Est di Suez La presenza della Royal Navy nell’Oceano Indiano riflette un paio di questioni a valenza strategica che la Gran Bretagna è chiamata ad affrontare soprattutto nello scenario post Brexit. In primo luogo, la grand strategy di Downing Street basata sul concetto Global Britain implica per la Marina britannica una maggior presenza e influenza in tutto il teatro Indo-Pacifico e soprattutto in Estremo Oriente. Per soddisfare questo requisito permeato anche da illustri precedenti storici, già nel 2018 ha preso il via il rischieramento triennale permanente di una fregata classe «Duke» — il Montrose — nella nuova base navale britannica realizzata in Bahrain, nota come HMS Juffair (7) e da cui operare con continuità nella regione del Golfo Persico, anche assieme ad altri assetti inviati periodicamente da Londra non solo a Est di Suez ma anche a Est di Singapore (8). La seconda questione deriva

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La portaerei britannica QUEEN ELIZABETH sarà il fulcro di un gruppo navale della Royal Navy in azione nell’Oceano Indiano (Foto G. Arra).

russa nella regione euro-atlantica sia dell’esigenza di assegnare un SSN in permanenza, a partire dal 2021, alla scorta del gruppo navale incentrato su una delle due portaerei classe «Queen Elizabeth». L’Oceano Indiano rimane comunque una regione strategicamente rilevante per Londra. La partnership con diverse Nazioni alleate e il contributo a mantenere aperte e sicure le vie di comunicazione marittima servono a sottolineare una presenza della Royal Navy nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano settentrionale di cui fa parte la dislocazione permanente nel Bahrain anche di un gruppo di cacciamine e la presenza di personale britannico negli staff delle forze navali multinazionali ivi ope-

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ranti. La partnership strategica di Londra nel teatro IndoPacifico comprende una gamma variegata di Nazioni, prime fra tutte quelle appartenenti al Commonwealth (fra cui primeggiano India, Pakistan, Sri Lanka e Australia), nonché i membri del Gulf Cooperation Council, il Giappone e, naturalmente, gli Stati Uniti; numerose sono quindi le occasioni per svolgere attività di naval diplomacy associata a eventi addestrativi che vedono soprattutto la partecipazione delle unità navali di base ad HMS Juffair e quelle dispiegate periodicamente dalla madrepatria. La presenza della Royal Navy nell’Oceano Indiano è pertanto una presenza a tutto campo, anche se negli ultimi tempi un’attenzione più che particolare richiede la regione a cavallo dello Stretto di Hormuz per i noti eventi che hanno coinvolto forze e militari e paramilitari iraniane. Nell’estate del 2019, l’area è il palcoscenico di due distinte operazioni di sorveglianza navale e una di esse — denominata «Sentinel» — è guidata dagli Stati Uniti sotto l’egida del cosiddetto International Maritime Security Construct, IMSC (9); scopo dell’operazione è sorvegliare con maggiore attenzione e potenziare la sicurezza delle principali rotte commerciali a ridosso di Hormuz, evitando l’escalation della tensione, dissuadendo Teheran e, in sostanza, contribuendo a rafforzare la stabilità nell’area. Se Washington ha la leadership nell’IMSC, essenziale è il ruolo di Londra, e della Royal Navy, nel giocare un ruolo maggiormente soft e diplomatico soprattutto nei confronti delle monarchie del Golfo, oltre che garantire forme di presenza di aeronavale che un impegno protratto nel tempo richiede a tutte le Nazioni finora coinvolte; a tal fine, alla fregata Montrose e ai cac-

ciamine di base nel Bahrain, si è unito anche un cacciatorpediniere lanciamissili classe «Daring», dispiegato nel Golfo Persico secondo il solito criterio di rotazione.

Considerazioni conclusive La regione dell’Oceano Indiano sembra diventata un teatro sul cui palcoscenico grandi e medie Potenze si cimentano secondo diversi livelli di rivalità marittima che tuttavia non sembra richiamare la medesima attenzione rivolta a livello internazionale a quanto accade nel teatro euro-atlantico e nell’Oceano Pacifico. In un siffatto scenario, non è dunque strano che in esso abbia luogo una vera e propria corsa agli armamenti navali riguardante più o meno le forze navali di tutte le Nazioni situate a Est di Suez e a Ovest di Singapore; per non annoiare il Lettore con una sequela di numeri, acronimi, date e quant’altro, questo studio non ha volutamente affrontato i programmi in corso in diverse Nazioni e si è dunque focalizzato su alcuni aspetti peculiari di natura operativa e politico-militare. La presenza di linee di comunicazione marittima ad alta valenza sia per le Nazioni europee sia per quello affacciate sul Pacifico rende comunque l’Oceano Indiano un crocevia della massima importanza che collega via mare l’Europa con il continente asiatico, percorso da direttrici di traffico essenziali per lo sviluppo socio-economico di diversi soggetti con diversi requisiti strategici e politico-militari. Da qui la necessità di preservare anche nell’Oceano Indiano condizioni di stabilità e sicurezza per evitare l’insorgere di crisi e conflitti che si rivelerebbero altamente dannosi per tutta la comunità internazionale. 8

NOTE (1) Sebbene Pechino non abbia mai pubblicizzato lo sfruttamento di queste infrastrutture, negli ultimi anni i timori di Nuova Delhi sono aumentati proprio in virtù della presenza di forze militari potenzialmente ostili in un arcipelago, quelle delle Coco, che dista circa 32 miglia dai territori insulari indiani delle Nicobare e delle Andamane: infatti, questi arcipelaghi sono molto più prossimi alle coste tailandesi e birmane che non a quelle indiane e sono la sede dell’unico comando joint presente nelle forze armate di Nuova Delhi. (2) All’attacco contro unità navali statunitensi al largo delle coste yemenite, Washington ha reagito con il lancio di missili da crociera contro alcune postazioni di Houthi e con operazioni di strike condotte da mezzi aerei non pilotati contro obiettivi del terrorismo islamico. (3) Non è tuttavia da escludere che unità subacquee dell’US Navy operino con una certa regolarità sotto la superficie dell’Oceano Indiano, se non altro per sorvegliare in maniera discreta i movimenti della Marina cinese. (4) Un esempio probante su tutti è quello della versione navale del caccia leggero Tejas, un velivolo la cui versione terrestre, derivata dal Mirage 2000 francese, è stata oggetto di sviluppo, prove e sperimentazioni per ben 40 (quaranta) anni. Il primo esemplare di Tejas navalizzato — ufficialmente noto come Light Combat Aircraft (Naval) Mk.1 — ha eseguito il primo appontaggio sulla portaerei Vikramaditya a gennaio 2020 e se ne prevede la piena operatività nel 2026. (5) Cofinanziate dall’India, queste infrastrutture sono operative già dal 2016. (6) Nel 1998, dopo la sperimentazione di cinque ordigni nucleari nel deserto del Rajastan, l’India annunciò pubblicamente il ricorso alla dottrina del No First Use in materia di armi atomiche. (7) Come da tradizione, il nome della base navale viene declinato come quello di un’unità navale della Royal Navy, con tanto di HMS, cioè His/Her Majesty’s Ship. (8) La dislocazione permanente di una fregata nel Bahrain prevede comunque la sostituzione dell’equipaggio ogni quattro mesi, attingendo a personale di unità della stessa classe. Nel caso del Montrose, l’equipaggio alternato è quello della fregata Monmouth. (9) L’altra operazione di sorveglianza navale va sotto il nome di EMASOH, European-led Mission Awareness in the Strait of Hormuz, apparentemente gestita dall’Europa, ma in realtà guidata dalla Francia e a cui partecipa anche l’Italia.

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PRIMO PIANO

PAKISTAN

una realtà complessa e poco conosciuta Marco Flavio Scarpetta (*)

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unjab, Afgani, Kashmir, Sindh... Ogni lettera che compone il nome Pakistan, letteralmente «la terra dei puri» ma tradizionalmente un acronimo di diverse regioni e popolazioni, sembra voler ricordarne la loro difficile coesistenza. Per quanto una visione olistica della regione possa talvolta tornare necessaria, il Pakistan ha internamente tante facce dal punto di vista geopolitico. Nel complesso, lo Stato pachistano ha dimostrato di avere un’economia stabile, molto più forte di quanto ci si sarebbe aspettato di vedere negli ultimi anni. Le spese militari sono in costante aumento, a beneficio del suo Esercito e della Guardia Nazionale, della sua Marina Militare e dell’Agenzia di Sicurezza Marittima, e della Fizaia, cioè l’Aviazione Militare pachistana. A queste voci si aggiungono anche le forze paramilitari come i Corpi di Frontiera e i Ranger. Il Pakistan nasce come un territorio cuscinetto voluto dal governo britannico affinché restasse sotto la sua influenza. Sarebbe servito inoltre a contenere la Russia (poi diventata Unione Sovietica) e le sue influenze territoriali verso l’Asia Centrale. Anche l’India, infatti, resa indipendente di lì a poco dalla Gran Bretagna, si sarebbe poi rivolta verso il so-

(*) È dottore in Storia e in Giornalismo, ha conseguito un master in Comunicazione Politica Internazionale presso l’Università di Sheffield, ha collaborato con diverse testate, insegna e si occupa attivamente di giornalismo e di fotografia. Collabora con la Rivista Marittima da diversi anni.

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cialismo mentre la Cina sarebbe diventata comunista. La creazione del Pakistan risale a una spartizione territoriale dell’India del 1947, suddivisione che portò subito a un violento scontro dove oltre dieci milioni di persone persero la vita «da una parte e dall’altra della nuova frontiera» come ricorda Francesca Marino. Il risultato fu di costruire due blocchi separati. Da un lato il Bengala, musulmano, che poi avrebbe intrapreso una propria strada autonoma e diversa da quella del Pakistan odierno. Dall’altro riunire il Punjab, il Sindh, il Belucistan e la Provincia della Frontiera del Nord-Ovest (denominata in diversi modi, oggi Entità Autonoma del Gilgit Baltistan, ancora sotto l’amministrazione pachistana) al confine con l’Afghanistan — tutti territori a maggioranza musulmana. A questo quadro, si sarebbe poi tentato di aggiungere nel corso dei decenni il Kashmir (ufficialmente, Jammue Kashmir), musulmano ma governato dalla dinastia hindu dei Dogra, che rimase inizialmente ancora sotto il dominio britannico per poi entrare a far parte dell’India. Da un punto di vista militare e commerciale, bisogna seguire il percorso individuale di alcune di queste regioni, spesso quelle periferiche, per comprendere il quadro geopolitico attuale pachistano e le prospettive che attendono questa regione del mondo.

Il Belucistan

L’esibizione di un paracadutista durante la parata militare del «Pakistan Day» (Fonte: dawn.com). A destra: il territorio del Belucistan segnalato in rosa (Fonte: wikipedia.it).

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Il territorio corrispettivo del Belucistan è stato diviso in due regioni nel diciannovesimo secolo. La parte più a Ovest è passata sotto il controllo dell’impero persiano mentre quella più a Est sotto il controllo dell’impero britannico. La parte persiana è diventata quindi iraniana e non è mai riuscita a portare avanti le proprie istanze indipendentiste. La parte più a Est è rientrata quindi nei territori del Pakistan non senza presentare, anche qui, un forte desiderio di autonomia. Il Belucistan è un territorio molto vasto, quasi la metà di tutta la nazione pachistana, ma con scarsissima densità di popolazione. 65


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Pakistan, una realtà complessa e poco conosciuta

Quando nel corso di questo secolo si è rimarcata la dicotomia tra l’alleanza con il governo statunitense e quella con i capi talebani provenienti dall’Afghanistan, nel Belucistan si è talvolta preferito rispettare le vecchie alleanze e dare rifugio a questi ultimi. Parafrasando Massimo Fini, è stata la scelta più concordante con la loro cultura e in rispetto dei precedenti trattati e accordi voluti dai capi tribali. Tutto ciò ha rappresentato per il governo del Pakistan un punto a suo favore: nel Belucistan era presente una minoranza della popolazione, irredentista, in forte opposizione al governo centrale e che prestava il fianco a gruppi terroristici e a nemici internazionali. A questo quadro, si aggiunge l’importanza territoriale del Belu-

cistan, una provincia già confinante con l’Afghanistan e l’Iran, con punti di forza sul piano economico e strategico e con novecento miglia di costa sul Mare Arabico. Trecentoquarantasettemila chilometri quadrati ricchi di rame e oro nella (regione di Saindak), uranio, carbone, ferro, marmo, petrolio, e altri materiali pregiati. Caratteristiche che hanno fatto gola tanto al governo centrale del Pakistan che le detiene, quanto a quello statunitense e quanto, anche, a quello della Repubblica Popolare Cinese. Solo la città di Sui copre una buona fetta del fabbisogno energetico interno dell’intero Paese grazie al suo impianto di estrazione del gas, a cui si aggiungono impianti dove si effettuano test nucleari, laboratori di co-

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struzione di missili a testata nucleare, basi militari dell’Aviazione e della Marina e sessanta distretti militari con quattro basi permanenti dell’Esercito. Il gasdotto di Sui è stato più volte attaccato ed è attualmente protetto dai Corpi di Frontiera per volere del governo. Lungo le centinaia di chilometri di costa, precisamente nei dintorni della cittadina di Gwadar, quanto nel territorio di Saindak, lo storico alleato del Pakistan, cioè la Repubblica Popolare Cinese, ha messo profonde radici: nel primo caso con la costruzione di una gigantesca struttura portuale, nel secondo con delle miniere. Sempre lungo la costa, sorge la cittadina di Chabahar, porto strategico per l’India. Dall’altro lato, la regione del Belucistan si presenta povera, flagellata dall’analfabetismo e dalla disoccupaGiovani pakistani radunati zione, un territorio in cui sotto un’enorme bandiera (Fonte: armytimes.com). la popolazione ha scarso accesso all’acqua corrente e all’energia elettrica ed è priva di strutture sanitarie e scolastiche. I pochi civili che risiedono nella regione accusano il governo centrale del Pakistan di avere occupato militarmente il territorio. Il risentimento della popolazione locale vale a ricordare quanto l’intera regione possa dimostrarsi poggiata su un equilibrio precario. Il governo ha impiegato decine di migliaia di guardie di frontiera, quattro brigate dell’Esercito, truppe della Guardia Costiera, aerei ed elicotteri per mantenere la regione ed epurarla dai campi dei terroristi. Non di meno, nel Belucistan si è reagito eleggendo pochi anni fa un proprio re e un proprio, fantomatico governo con sede a Gerusalemme, mentre nel capoluogo della regione, Quetta, ha potuto risiedere il mullah Omar fino al 2009. La presenza di Talebani e successivamente di Al Qaeda ha inevitabilmente portato a una interpretazione dell’Islam ora molto più marcata in una regione precedentemente non problematica. Durante una conferenza nell’estate del 2015, il Primo Ministro

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indiano Narendra Modi è stato accusato dal Ministro Bugti (proveniente dal Belucistan) di essere responsabile di attacchi a diverse basi militari, di terrorismo e di tentativi di sovvertire gli accordi economici con la Cina. La Cina intanto porta avanti diversi progetti tra cui quelli di connessione tra Gwadar, Turbat, Khuzdar e Quetta — oltre che alla costruzione del corridoio CPEC formato da autostrade, ferrovie, oleodotti e gasdotti e dotato di fibra ottica e centrali energetiche. Quest’ultimo progetto ha ricevuto quasi cinquanta miliardi di dollari di stanziamenti e finirà con il collegare il Pakistan all’Iran. A fine 2016 è stata indetta una gara di appalto con lo scopo, letteralmente, di spostare la città vecchia di Gwadar per fare spazio al progetto.

Il Gilgit Baltistan

La «Torre del Pakistan», situata al centro di Lahore, celebra l’inizio del processo che porterà all’indipendenza del Paese (Fonte: ispionline.it).

Il governo cinese ha mostrato interesse anche per la regione di Gilgit Baltistan dove, come ha riportato Selig S. Harrison, giornalista del New York Times, ha mobilitato migliaia di soldati del proprio Esercito. Il Gilgit Baltistan confina con il corridoio di Wakhan, territorio Afghano che sembra essere sotto il controllo pakistano, con il Kashmir, con il Khyber Pakhtunkhwa, presunto santuario dei Talebani di origine pakistana, e con lo Xinjiang, il famigerato territorio cinese abitato dagli Uiguri, la popolazione turcica soggetta all’assimilazione forzata da parte del governo cinese. Non è distante dal passo di Khyber, la rotta storica di rifornimento statunitense per l’Afghanistan ed è stato, negli ultimi mesi, caratterizzato dall’arrivo di una costante infiltrazione di Uiguri. Lo scopo della Cina, secondo quanto riportato già da anni da Harrison, è quello di costruire in questa regione una ferrovia utilizzando i propri uomini dell’Esercito, al fine poi di creare un collegamento con i propri porti in costruzione a Gwadar, Pasni e Ormara. Inoltre, il resto dell’Esercito cinese in-

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viato sul luogo dovrebbe estendere l’autostrada di Karakoram per collegare meglio Pakistan e Cina. Infine, altri membri dell’Esercito dovrebbero lavorare nella costruzione di non meglio localizzati tunnel, dighe e tratti autostradali, come altri progetti ancora da definire e, non da ultimo, un oleodotto per connettersi con l’Iran. A complicare, e di molto, il quadro, è necessario sottolineare che la regione di Gilgit Baltistan non è ufficialmente del Pakistan ma risulta ancora contesa con l’India. Anche tra la stessa Cina e l’India non mancano i territori contesi, come nel caso della regione di Arunachal o lungo i tratti di frontiera tra i due Paesi dove una mancata definizione accettata da entrambe le parti continua a portare a piccoli scontri. Dall’altro lato, le

relazioni pacifiche tra la Cina e il Pakistan si sono costantemente sviluppate sin dal governo di Zulfikar Ali Bhutto — lo stesso uomo politico che davanti a una incredula Oriana Fallaci cercava di spiegare come il marxismo si potesse far conciliare senza esitazioni con l’Islam. Negli anni Sessanta, inizia la collaborazione tra Cina e Pakistan concernente anche il nucleare — a cui si aggiunge la Corea del Nord come acquirente e fornitrice preferenziale. Negli anni Ottanta, agli scienziati pakistani sono forniti i disegni e la preparazione, oltre ai materiali necessari. È avviata anche la costruzione di una infrastruttura nucleare — come riportato da Thomas C. Reed e Danny B. Stillman. Il governo cinese ha già contribuito alla co-

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struzione di quattro infrastrutture nucleari e il suo appoggio è andato anche all’Aviazione tramite l’aiuto dato alla realizzazione di jet da combattimento. La popolazione cinese in Pakistan così come il numero delle sue imprese si moltiplica costantemente. Il governo cinese sembra appoggiare l’annessione del Kashmir al Pakistan e ha sempre sostenuto quest’ultimo a discapito dell’India, rivale storica di entrambi i Paesi. Inoltre l’opinione pubblica cinese, al contrario, per esempio, di quella statunitense, non ha mai dato segno di opporsi a certe politiche più discriminatorie e integraliste che il Pakistan ha adottato — come ha sottolineato Francesca Marino.

Il Kashmir Esistono inoltre due questione molto problematiche da dover tenere a mente per comprendere il quadro geopolitico e militare in cui il Pakistan si ritroverà a muoversi nel futuro più prossimo. La prima è relativa al Kashmir. Sin dalla notte dei tempi, cioè sin dalla separazione del Pakistan dall’India avvenuta nel 1947, il Kashmir si è rivelato essere un territorio di difficile gestione. Il Kashmir è stato un regno indipendente, di maggioranza tuttora musulmana, governato però da una minoranza induista tra cui il maharaja che subito decise di far annettere il proprio regno all’India. Altrettanto subitanea fu la reazione pakistana: l’Esercito pakistano superò il confine con il Kashmir e lo occupò, sostanzialmente bene accolto dalla popolazione musulmana, facendo scoppiare il primo conflitto con l’India. Da allora India e Pakistan hanno combattuto diverse guerre vere e proprie per il controllo della regione — oltre che al cosiddetto conflitto di Kargil. Inoltre, mentre la Cina rivendicava il possesso di una regione del vicino Ladakh nel 1959 — a cui già si aggiungeva la questione tibetana — si sviluppava in Kashmir anche un movimento che ne auspicava la totale indipendenza, tanto dal Pakistan quanto dall’India. Il Kashmir ha continuato lo stesso a essere parte dell’India per quanto gli fosse garantita una propria autonomia. Lo scorso agosto, il governo indiano ha annunciato

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la modifica della propria costituzione, in particolare del paragrafo 35A dell’articolo 370 cioè dell’articolo che garantiva privilegi e autonomia al Kashmir. Questa mossa ha subito scatenato proteste e ha reso ancora più turbolenta la regione. Il governo indiano ha potuto prendere questa decisione perché, da un lato, era in suo potere decidere la modifica di questo articolo in accordo con il governo stesso del Kashmir — ma da più di un anno il Kashmir non aveva un governo effettivo e quindi la decisione è sembrata essere totalmente nelle mani del governo indiano. Infatti, Mehbooba Mufti, precedentemente a capo del Kashmir, aveva perso la maggioranza e il governo indiano aveva successivamente incluso il Kashmir in un governo federale. La mossa del Primo Ministro indiano Narendra Modi, la sua legalità e le sue conse-

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Pakistan, una realtà complessa e poco conosciuta La separazione tra India e Pakistan risale al 1947. Tuttavia, il controllo della regione del Kashmir (nella foto in basso) è tuttora motivo di attrito (Fonte: en.wikipedia.org).

pakistana nel Kashmir, aveva minacciato di usare i propri progetti idroelettrici per vendicarsi del Pakistan tuonando «fango e acqua possono scorrere insieme», la Cina lo convinse a fare subito marcia indietro. La minaccia sarebbe stata ritirata, infatti, perché la Cina controlla l’acqua che viene dal Tibet e aveva chiuso subito gli affluenti del fiume Brahmaputra privando il governo indiano di questa risorsa.

Il Gran Gioco

guenze, sono ancora soggette a dibattito. Infine, un ulteriore questione apparentemente irrisolta e che rischia di degenerare in una vera guerra è relativa al controllo delle acque fluviali e vede come al solito coinvolte tanto la Cina quanto il Pakistan e l’India, come ha riportato Keith Johnson del Foreign Policy. Le acque scarseggiano in Pakistan e in molte regioni dell’India. Già Nehru aveva definito le grandi dighe come «i templi della nuova India». Molti tratti fluviali sono condivisi dai due Paesi, secondo precisi trattati. I nuovi progetti idroelettrici indiani che rimettono in discussione la condivisione delle acque del fiume Indo e dei suoi affluenti sono malvoluti dal Pakistan perché rimettono in discussione proprio questi trattati. Intanto, essere costretti a condividere queste acque è risultato essere per i due Paesi un deterrente. La Cina sarebbe rimasta un alleato tanto utile e forte del Pakistan che, quando il Presidente indiano Modi, nel 2016, dopo essere scampato a un attentato presumibilmente di matrice

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Il Pakistan si presenta, in conclusione, come un Paese molto ricco, centrale e importante, una potenza militare con uno sbocco sul mare, dagli alleati forti, dall’economia stabile e proiettato verso il futuro, industrialmente, tecnologicamente e militarmente. Al tempo stesso, il Pakistan è il Paese che la stampa definisce «il mostro di Frankenstein», rifacendosi alla sua nascita artificiale, al suo includere porzioni di territori appartenuti fino a poco prima ad altre entità geopolitiche, oppure come «l’amico impresentabile», rimandando a quanto difficile possa essere gestire un’alleanza con questo complesso Paese in cui diverse volontà coesistono. La politica internazionale del Pakistan rispecchia da un lato l’amicizia storica con le nazioni occidentali, il rispetto e l’alleanza dovuti a esse, e dall’altro lato i propri interessi commerciali e politici tramite l’alleanza con la Repubblica Popolare Cinese. Rispecchia anche la propria cultura di Paese dell’Asia Centrale e, non da ultimo, di Paese islamico, attraverso difficili alleanze con i territori vicini e culturalmente più affini. Rispecchia infine, sempre più nel dettaglio, gli interessi mossi regione per regione, di territori che entrano in conflitto tra di loro e con altri Paesi in conflitto, a loro volta, tra loro. La stabilizzazione di un territorio tanto carico di importanza e al tempo stesso tanto complesso e burrascoso sta già richiedendo diverse generazioni e sembra ancora lontana dal suo compimento. Sarà anche difficile vedere un governo lasciare la presa sui territori contesi e le tensioni commerciali e militari resteranno alte, col rischio che la Cina possa intervenire più drasticamente di quanto non sia già intervenuta e lasciare forse privi gli altri territori della possibilità di giocare al Gran Gioco. 8 69


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LA POTENZA NIPPONICA fra ambizioni neoimperalistiche e criticitĂ socioculturali Analisi del riscatto geopolitico del Giappone ostacolato da fragilitĂ endogene 70

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La bandiera del Sol Levante sventola a bordo delle navi in banchina a Yokosuka, in Giappone (Fonte: newsweek.com).

egli scenari geopolitici del Pacifico il Giappone compensa il crescente isolazionismo degli Stati Uniti e la guerra ibrida cinese d’interdizione con una strategica riaffermazione di potere appellandosi agli ancestrali valori imperiali. Le evidenze dell’assertività nipponica sono offerte dagli orientamenti politici del Primo Ministro Shinzo Abe volti al revisionismo storico, dal programma di sviluppo economico e militare e dalle inevitabili implicazioni ideologiche di tale programma. Questi fattori di riscatto geopolitico d’area presentano, tuttavia, elementi di criticità nei requisiti di potenza: fra tutti il calo demografico crescente e irreversibilmente consolidato dall’idea di purezza etnica e dall’intransigente discriminazione operata all’interno del territorio insulare. La leadership del Sol Levante, per contrastare tale criticità, sta promuovendo politiche di apertura: economica, mediante i partenariati transpacifici; tecnologica, oltrepassando gli standard del know how nell’hightech; sociale attraverso il revisionismo della politica migratoria. Ultima soglia, a carattere culturale, può essere considerata quella olimpica, posticipata al 2021 (1), in cui l’Impero potrebbe completare il suo restyling imperiale. Il modus operandi nipponico ci spinge a delle riflessioni e sollecita alcuni punti di domanda.

Il ruolo marittimo del Giappone e la leadership regionale Nell’edizione 2016 del Libro Bianco della Difesa nipponica il governo di Tokio esprime profonda preoccupazione per l’espansionismo cinese nel quadro di una strategia finalizzata a modificare in tempi brevi l’equilibrio di potenza nella regione Asia-Pacifico. L’attivismo del Dragone è segnalato da numerosi eventi: violazioni dello spazio aereo nipponico, incursioni navali attorno alle isole Senkaku/Dyaou, sconfinamenti nelle acque ter(*) Docente di storia contemporanea e geostoria presso il Liceo Archita di Taranto, si occupa dell’aggiornamento e della formazione istituzionale dei docenti in area metodologico-didattica per l’insegnamento disciplinare anche in lingua straniera. Ha organizzato numerosi seminari storici in rete dedicati alla storia del Novecento per la preparazione degli studenti del triennio fra cui: la problematica balcanica, il rapporto fra guerra e guerriglia, la guerra di trincea.

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ritoriali giapponesi nell’arcipelago delle Osumi e a Kyushu, una delle principali isole nella morfologia del Sol Levante, transiti intensi nel Canale di Miyako. Se all’aggressività di Pechino si aggiungono la minaccia missilistica di Pyongyang e il contenzioso in atto sin dalla Guerra Fredda con la Russia sulle Kurili e sull’isola di Sakhalin (2), è comprensibile l’adozione di contromisure da parte di Tokio per la tutela degli scenari internazionali di più diretto interesse: l’estremo Oriente, la fascia interregionale marittima a sud del contingente asiatico, i choke points strategici di Hormuz e Malacca. La reattività nipponica avviene in nome della sovranità territoriale che si profila su una superficie liquida strettamente connaturata alla sua insularità e al suo fabbisogno energetico. In forza della morfologia, distribuita in 6.800 isole, ragion per cui è stata attribuita la sesta ZEE più ampia del pianeta, il Paese adotta legittimamente, in tempo di pace, compiti di sorveglianza negli spazi aeromarittimi in cui è immerso rendendosi operativo anche nella prevenzione di attacchi missilistici, cibernetici, spaziali nonché nel sostegno alle popolazioni civili colpite da calamità naturali e artificiali. La difesa degli interessi marittimi per l’impero del Sol Levante rappresenta, dunque, l’identità politica di una nazione che dipende totalmente dalle comunicazioni via mare per le importazioni di materie prime che giungono da Sud e le esportazioni di prodotti che si irradiano in tutto il mondo. Tale finalità, tuttavia, s’innesta nel più ampio spazio geopolitico ed economico dello scacchiere Asia-Pacifico in cui l’adozione di contromisure d’interdizione implica il riarmo militare per garantire gli assetti funzionali all’assertività del moderno Potere Marittimo. Lo dimostrano gli investimenti delle altre Marine militari regionali sensibili alla dimensione navale con programmi di ammodernamento e capitalizzazione del know how cantieristico e delle dotazioni d’arma: di superficie, anfibia e subacquea in concezioni joint. Ne consegue che, i nodi più caldi delle contese si spostano dal confine terrestre a quello liquido, surriscaldando i rapporti fra Stati rivieraschi. Di conseguenza la svolta riarmistica leggibile nelle iniziative militari e dottrinali dei players regionali, risveglia i simboli dell’ambizioso impero del Sol Levante pre1945 legato storicamente alla Marina da guerra: rievocando i fasti della talassocrazia asiatica ancorata a vittorie epocali (3),

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ne ripristina i paradigmi ideologici della fede smisurata nella battaglia decisiva. A oltre settant’anni dalla sconfitta lo strumento navale giapponese torna a essere, sul piano simbolico, spirituale e organizzativo, il contraltare all’innegabile affermazione marittima cinese e non solo; rievocando le dottrine di Alfred T. Mahan (4) che, nella declinazione nipponica individuano nella triade: morale, addestramento e qualità dei mezzi l’antidoto all’equazione strategica nemica, il revisionismo storico ritrova la sua identità di gloriosa potenza militare intrinsecamente connessa alla tradizione imperiale.

Dal pacifismo alla normalizzazione Attualmente, sul piano formale, l’impero del Sol Levante non possiede una Marina da guerra bensì una FAM (Forza di Autodifesa Marittima), plasmata secondo gli indirizzi degli occupanti statunitensi che, dopo aver imposto l’articolo 9, ne rivalutarono successivamente le potenzialità nell’ottica storica di containment al comunismo dilagante. Ciò ha permesso al Giappone di conservare le virtù addestrative della storica Accademia navale dell’isola Etaijama, esplicitate nelle tradizionali funzioni difensive di acque e stretti (5) dalla minaccia sottomarina, a cui si aggiungono le innovative operazioni di bonifica anti mina (6), di logistica di supporto in Oceano Indiano (7), di contrasto alla pirateria nel Corno d’Africa. Tali performances hanno consentito al Giappone di oltrepassare il suo raggio d’azione con l’avanguardistica apertura, a Gibuti, della prima base estera dalla fine del Secondo conflitto mondiale, avendo preso atto della perdita di tenuta statunitense nella tutela delle rotte vitali nipponiche e dei rischi derivanti dalle contradditorie azioni degli Stati Uniti nei confronti di P’yŏngyang e dell’influenza sempre meno convincente sulla Cina. La percezione dell’impero nipponico, come della Corea del Sud, è quello di cadere nel paradosso strategico di non detenere armi nucleari ma di essere nel mirino dei vicini come se le detenesse, per via dell’ombrello difensivo statunitense che di fatto, in caso di attacco, sembra sempre meno disposto ad attivarsi nell’era del disimpegno trumpiano. In tale dimensione d’incertezza il Giappone, vantando i requisiti di potenza, coglie l’occasione per diventare nuova forza motrice degli sforzi rivolti a so-

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La potenza nipponica fra ambizioni neoimperialistiche... Il cacciatorpediniere portaelicotteri (DDH) JS IZUMO, è uno dei simboli della Potenza Militare nipponica. Il Giappone formalmente non possiede una Marina da guerra ma una «Forza di Autodifesa Marittima» (Fonte: nationalinterest.com).

stenere i proxy fornendo sicurezza marittima ai Paesi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale (Filippine, Malaysia e Vietnam) e investendo anche in piani infrastrutturali che li strappino all’egemonia del Dragone e a quella statunitense con un doppio ordine di interventi: economico-finanziario, in relazione all’isolazionismo che Trump ha manifestato con il ritiro dal Trans Pacific Partnership, e militare. Considerando il livello finanziario si osserva che, a compensazione delle misure protezionistiche statunitensi, il Giappone programma una serie di iniziative di lungo periodo per potenziare la propria produttività, giocando il vantaggio competitivo della sua attrattività economica, resistente e appetibile agli occhi dei partner esteri, per assurgere a Stato leader di un ordine regionale tra Paesi affini per interessi, fra cui Australia e Singapore, nonché fattore di stabilità tra Cina e Stati Uniti. La conseguente strategia marittima fonda la vision su tre pilastri: connettività economica, capacity building degli Stati costieri,

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presenza strategica, per garantire il rispetto del diritto internazionale marittimo (8). Su questa linea Shinzo Abe è impegnato in una serie di visite ufficiali nella regione Asiatico-pacifica con lo scopo di rafforzare la cooperazione economica, politico e militare: in questo quadro è prevista la costituzione di un fondo dedicato all’assistenza tecnico militare nonché una politica di trasferimento di tecnologie e cooperazione industriale con le aziende nipponiche coinvolte a favore della Nuova Zelanda e dell’Australia. Tale strategia diplomatica s’inquadra in quella di più ampio respiro volta a compensare l’attivismo del Dragone verso le nazioni asiatiche ma anche mitigare gli effetti del ritiro di Washington dal trattato commerciale Trans Pacific Partnership. In tale ottica il Giappone è diventato principale motore della Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership, un organismo commerciale multilaterale che nel marzo 2018 ha ereditato la TPP elaborando, contestualmente, la Regional Comprehensive Economic

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Forza di Autodifesa Marittima (Fonte: comitato14maggio.blogspot.com).

Partnership (RCEP), ambizioso accordo di libero scambio tra lo stesso Giappone e l’ASEAN (9), sebbene in esso la Cina giochi un ruolo significativo. In merito alla dimensione militare, il ritorno allo status di potenza leader tiene necessariamente conto delle potenzialità nelle realtà planetarie del XXI secolo attivando meccanismi di sorpasso sulla tradizionale logica difensiva per abbracciare strategie offensive in grado di fronteggiare la minaccia nordcoreana ed esercitare la deterrenza e il necessario contenimento di Pechino nel traffico commerciale del Mare cinese. Questa lettura aiuta a comprendere perché l’attuale governo guidato dal Primo Ministro Shinzo Abe abbia richiesto la riforma dell’articolo 9 che, dal 2014, consente di fatto alle FF.AA. di soccorrere gli alleati se necessario alla sicurezza nazionale, togliere il vincolo sulle spese militari, partecipare a operazioni congiunte nel Mar Cinese Meridionale.

Requisito di potenza: dotazione militare e capacità navale Il paradosso statunitense scolpito dall’articolo 9 della costituzione dettata da Mc Arthur nel 1946, tramutava l’arcipelago nipponico non solo in potenza economica

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atta al contenimento dell’ideologia comunista ma avamposto difensivo nello scacchiere asiatico, beneficiando di investimenti (10) tali per cui il budget della Difesa risultava terzo nel mondo dopo Stati Uniti e Unione Sovietica. Ne era conscio l’imprenditore Donald Trump che oggi, in qualità di Presidente, esplicita la volontà di disimpegno della superpotenza consapevole dei vincoli unilaterali dettati dall’art. 5 del Trattato di Mutuo Soccorso. Vero è che la Marina nipponica ormai vanta un autonomo know how tecnologico, avanzato e progressivamente qualificato (11) poiché il costante ammodernamento militare giapponese è la trasposizione concreta, condivisa anche dalla Corea del Sud, della contrapposizione strategica sia agli storici competitors (Cina; Russia, Corea del Nord) che ai nuovi antagonisti filo occidentali appoggiati dagli Stati Uniti. Alla fine del 2016 le forze militari giapponesi hanno registrato 255.000 uomini e donne a cui si aggiunge una riserva formata da 47.900 effettivi. Specificatamente nella Marina si registrano circa 45.000 unità, 47.000 nell’Aeronautica mentre altri 4.000 addetti sono utilizzati nelle strutture di interforze, d’intelligence, di procurement e ricerca tecnologica. In generale la suddivisione dei compiti rispecchia quella occidentale: lo Stato Maggiore interforze è responsabile delle operazioni militari secondo un approccio che enfatizza mobilità e prontezza d’intervento. La Marina nipponica è organizzata in cinque distretti regionali che funzionano da comandi territoriali a sostegno della flotta; a essi sono assegnate le unità di scorta meno moderne (cacciamine, pattugliatori costieri e naviglio ausiliare minore) mentre le unità più moderne vengono affidate ai comandi operativi che dispongono di 64 unità maggiori combattenti di superficie, 80 elicotteri

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(imbarcati e basati a terra), 70 pattugliatori marittimi. La recente decisione di acquisire 17 convertiplani Osprey permetterà l’utilizzazione per missioni di trasporto e proiezione sia sulle due portaeromobili Ikumo e Kaga (12) (in servizio da marzo 2017) che sulle più piccole Hyuga e Iselle. Il Giappone, con i nuovi programmi stilati nel 20132014 in funzione anticinese, ha deciso altresì di aumentare la flotta subacquea passando da 16 a 22 battelli di altissima qualità tecnologica, con un incremento del 37%. La novità è offerta dal lotto di 5 «Soryu» con propulsione AIP, in conse- Parata della Marina giapponese (Foto Kazuhiro Nogi/AFP). gna dal 2018, a rappresentare l’eccellenza della flotta. Nella pianificazione giappotività orientati a distretti industriali hight tech a garannese, inoltre, le unità maggiori si caratterizzano per zia di un PIL apprezzabile si sommano al prestigio stoequipaggiamenti in configurazione antimissili balistici rico assurgendo il Giappone al rango di media potenza e quelle a consegna 2020-2021 prevedono sistemi pro(15). Pure il possesso di armi nucleari, in una nazione pulsivi sia per produrre energia elettrica che per ridurre che le ripudia per ragioni storiche, paradossalmente è i consumi di combustibile. soddisfatto dall’ombrello di sicurezza statunitense e dall’attuale proiezione di investimento in armamenti I requisiti di potenza, i fattori di criticità, le a propulsione nucleare per contrastare il cattivo vicino contromisure nordcoreano. La stessa fragilità energetica, neutralizzata dalla solidità dei contratti e delle partnership gloLa performance nipponica del XXI secolo registra bali, si tramuta in coefficiente positivo. un’assertività inversamente proporzionale al crescente Resta tuttavia un elemento di criticità: il fattore dedisimpegno statunitense verso Tokio e verso il Pacimografico. Esso influisce, per effetto d’interdipenfico. L’obbligo di tutela dei parametri energetici e denza, su altri indicatori di potenza poiché è l’elemento commerciali, vitali alla sua configurazione insulare in endogeno della produttività, dell’influenza economica un quadro geopolitico dinamico e complesso, enfatizza nonché dell’identità nazionale e della sicurezza (16). la versatilità culturale e il risveglio del Sol Levante la cui volontà di potenza dal 1945 restava shintoisticaNe è controprova il decremento delle reclute nella FAN mente sopita in attesa di esplicitarne al meglio i coefgiapponese anche in virtù di un totale assorbimento dei ficienti nel contesto più opportuno. Secondo una laureati, con salari appetibili, nel mercato del lavoro lettura morgenthauniana (13), d’altronde, molti di queprivato e della declinante attrazione per la carriera misti indicatori vengono soddisfatti; i fattori geostrategici litare in un contesto abituato a una certa prosperità e (14), quelli di organizzazione politico-sociale all’indunque poco propenso al nazionalismo e al militarismo segna dell’efficienza amministrativa, quelli di produtdi ritorno. Ne consegue che il controllo delle periferie

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settori delle tre K (19) con compensi più generosi e l’almarittime sarà sempre più difficile sebbene l’impero si lentamento dei vincoli di permanenza transitoria nel sia dotato di sistemi di difesa automatizzati e abbia inPaese non solo nel terziario ma anche nel secondario trapreso alleanze difensive con i Paesi rivieraschi affi(20). Infine l’apertura di una linea di accesso professiodabili (17) per un’interoperatività non solo economica nale a cervelli stranieri altamente qualificati che, per ma militare funzionale alla tutela del Mar Cinese a Sud conto di società innovative, intendano investire nel e a Oriente. Paese dei samurai (21). Elementi frenanti allo sviluppo demografico vanno individuati sicuraConclusioni mente in un indicatore culturale: la Le politiche disciplina Nihonsfavorevoli all’imjinron; essa esalta migrazione e l’osle secolari peculiasessiva difesa rità dell’essere della purezza di giapponese al di là razza e sangue dell’appartenenza (22) in un Paese a alla stessa razza, irreversibile delingua e spazio ed clino demografico, enfatizza altrovano dunque l’estremo l’unicità palliativo nelle ponipponica facendo litiche d’immigrapresa nel binomio zione temporanea di sangue e cul(23) e di automatura; tale elemento Rinvio ufficiale dei Giochi Olimpici da parte del Comitato Olimpico Internazionale (Fonte: sportfair.it). zione evidenscoraggia lo sviziando una falla luppo demografico vanificando il requisito di potenza nella riaffermazione al ruolo di potenza per uno Stato ostentato con orgoglio dall’antagonista cinese in ogni sempre più connesso a livello globale. L’aspirazione a manifestazione militare e culturale. Se a ciò si aggiunleadership egemonica in area Pacifica necessita, ingono la bassa fertilità e l’invecchiamento, è palese la vece, di abilità comunicative e innovazione culturale minaccia per l’impero del Sol Levante che nel 2018 ha nell’ottica del cambiamento: una sfida per l’impero che censito 126,96 milioni di individui e che, in proiezione entro la ri-definita soglia olimpica 2021 s’impegna a statistica, prefigura una perdita di 16 milioni nel 2040 e ricodificare (24) il tessuto metropolitano e infrastrutprogressivamente un ulteriore calo che nel 2065 lo porturale dei villaggi sportivi aprendosi empaticamente e terà a 88,08 milioni di abitanti. La consapevolezza della umanamente all’ospite straniero, seppur nell’esprescriticità è tale da spingere il governo ad adottare politisione di un softpower ostinatamente teso alla veicolache di intervento finalizzate a mantenere uno standard zione dei propri valori. numerico sui 100 milioni. In primis la citata CPTPP asLa pandemia Covid-19 e il conseguente slittamento sicura alla potenza nipponica l’accesso ai nuovi mercati, delle Olimpiadi 2020, sinonimo del softpower ad ampia acquisendo i diritti sulla proprietà intellettuale per gaportata visiva, nonostante l’immediata perdita econorantirsi un livello di know how in deficit di risorse inmica del rinvio, potrebbero rappresentare per il Giaptellettuali, segue la politica inclusiva della porta aperta pone un’occasione unica per eleggerle a spazio a tutti i partner accreditati nel campo dell’innovazione simbolico e catalizzatore di nuovi equilibri ed assetti (18). Ulteriore strategia riguarda la pratica migratoria geopolitici a guida nipponica. tesa a compensare la riduzione di occupati autoctoni nei Quanto l’impero del Sol Levante abbia investito in

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geopolitica dello sport è deducibile dal video di presentazione dei Giochi (25) in cui il mix d’immagini fra tecnologia, sport e anime si polarizza sul testimonial d’eccezione: Shinzo Abe che, autoironicamente, si trasforma nell’invincibile personaggio Nintendo Super Mario a ratifica dello stretto legame tra potere (soft) e promozione olimpica. A un occhio critico non sfugge come la scelta di stile, per montaggio audiovisivo e selezione contenutistica, evidenzi il marchio neo nazionalistico del prodotto per una potenza emergente che aspira a un ritorno politico più che economico, capace di trasformare lo svantaggio del differimento temporale e del danno finanziario in opportunità di rilancio identitario. Lo slittamento, piuttosto che la cancellazione delle Olimpiadi 2020, permetterà a Tokio di ridefinire strategie di affermazione in uno scenario sicuramente stravolto dalla geopolitica all’epoca Covid-19, fluido e destrutturato sul piano delle relazioni e delle dinamiche internazionali, scardinate dall’ostilità virale che ha azzerato le certezze di solide potenze frenando ambizioni globali. Per contro la pandemia Covid-19 rischiava di essere il fattore letale per una potenza emergente rallentata proprio da criticità demografiche, ragione per cui Tokio da subito ha adottato rigide procedure di prevenzione verso la popolazione autoctona smorzando sul nascere la catastrofe del contagio: le azioni adot-

tate in nome della sicurezza ben si sono conciliate con la cultura giapponese in cui: il distanziamento sociale, i limitati contatti fisici fra persone e l’uso massiccio di mascherine fanno parte delle consuetudini culturali tradizionali. Omogeneità etnoculturale e basso tasso di fertilità, dunque, incidono molto più della vulnerabilità energetica sulla traiettoria geopolitica nipponica tanto da compromettere le aspirazioni di potenza d’area in un contesto in cui la densità demografica gioca un ruolo significativo. In tale contesto la minaccia Covid-19, nel breve periodo, si è costituita come rischio reale per la sicurezza demografica ma le contromisure nipponiche sono state tempestive e risolutive (26). Il caso della nave da crociera Diamond Princess, tenuta in quarantena ventitré giorni nelle acque internazionali giapponesi, ha confermato non solo la volontà di contenimento del rischio sanitario ma anche quella di autoisolamento identitario (27). Nel lungo periodo, tuttavia, le perplessità si legano alla reale efficacia dei surrogati adottati dalla politica imperiale per sopperire alla forza demografica endogena e controbilanciare l’ossatura ideologica che fa della purezza di sangue un imprescindibile valore di identità rallentando qualsiasi processo espansivo, anche in virtù di approcci discriminatori verso la stessa comunità nipponica. 8

NOTE (1) Il 24 marzo 2020 il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach e il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe hanno concordato di posticipare le Olimpiadi di Tokyo entro l’estate del 2021 a causa della pandemia di Covid-19 e delle crescenti pressioni di atleti e Comitati olimpici nazionali. È stato Abe a deciderlo in relazione alla diffusione imprevedibile e senza precedenti dell’epidemia su scala mondiale: «Sulla base delle informazioni fornite dall’OMS, al fine di salvaguardare la salute degli atleti, di tutti i partecipanti ai Giochi olimpici e della comunità internazionale». La decisione, ratificata dall’Esecutivo del CIO, congela la vetrina nipponica funzionale all’amplificazione del soft power nipponico. (2) Andrebbe presa in considerazione anche la tensione fra Tokio e Seul per le isole Takashima/Dokdo, sebbene le due nazioni, divise per ragioni storiche ed economiche, restano alleate per fronteggiare la minaccia nordcoreana. (3) Il vasto impero marittimo del Sol Levante si caratterizzò per importanti battaglie sempre aperte da azioni della Marina con attacchi violenti, lanciati a sorpresa e tali da anticipare le dichiarazioni di guerra: 1874, anno della prima incursione a Formosa (Taiwan), 1894 anno dell’agguato ai trasporti cinesi diretti in Corea; 1904 data d’attacco della flotta russa alla fonda di Port Arthur; 1905 anno della vittoria gloriosa sui Russi a Tsushima a cui seguì, cinque anni dopo, l’occupazione della Corea; 1941 anno dell’attacco a sorpresa di Pearl Harbour, che segna la massima espansione dell’impero sull’acqua. (4) In nessun altra lingua le opere di Mahan sono state tradotte più che in giapponese e dal 2004 l’Istituto di Difesa costituisce l’avanguardia della rifiorente geopolitica insulare. (5) Le più importanti arterie marittime del Paese necessitano la tutela dei choke points vitali: Tushima, Tsugaru, Soya. (6) Nel Golfo Persico nel 1991 a seguito del conflitto in Iraq. (7) Nell’ambito dell’Operazione Enduring Freedom le unità giapponesi garantirono il rifornimento delle navi impegnate fine al 2007. (8) Le parole chiave di questa strategia giapponese sono: libertà di navigazione, grandi progetti infrastrutturali per una crescita collettiva, apertura commerciale, rispetto dell’integrità territoriale degli Stati e del diritto internazionale, pacifica risoluzione delle controversie. (9) Si fa riferimento alla comunità dei Paesi del Sud-Est asiatico, anche se l’accordo è stato allargato all’India e alla Cina. L’apertura alla potenza competitor va considerata alla luce della performance trumpiana che considera Tokio come Pechino bersagli della guerra commerciale sulle importazioni. Ragion per cui la Cina pone sotto una diversa luce il rapporto con l’impero del Sol Levante per bilanciare le perdite derivate dal peggioramento delle relazioni con la Casa Bianca. (10) Il cui vincolo di spesa nazionale non doveva superare l’1%. (11) L’elenco delle nuove acquisizioni include anche droni e veicoli anfibi, oltre le unità navali con sistemi anti-missile Aegis e i nuovi caccia statunitensi F-35. Tra le voci specifiche incluse nel Defense Program and Budget emerge la risposta ad aggressioni contro isole remote con missili balistici oltreché il rafforzamento delle capacità di intelligence. (12) Emblematico il caso delle due grandi unità, quintessenza della capacità di proiezione navale della Marina giapponese, che riprendono il nome delle due portaerei che parteciparono all’attacco di Pearl Harbour, secondo la tradizione riservata alle grandi Marine della storia. Si stabilisce in tal modo una continuità culturale del patrimonio marittimo nazionale, rigorosamente custodito nei paradigmi di potenza dell’immaginario collettivo nipponico che trova ulteriore esempio nella nave museo

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La potenza nipponica fra ambizioni neoimperialistiche... Misaka, l’ammiraglia della flotta vittoriosa di Tushima. (13) Si rinvia alla teoria del realismo classico espressa in: Morgenthau H. J. (1948), Politics Among Nations: The Struggle for Power and Peace, New York, Alfred A. Knopf, trad. it., Politica tra le nazioni. La lotta per il potere e la pace, Bologna, Il Mulino 1997. (14) Il Giappone nella sua propensione insulare, si configura come cerniera fra spazi acquatici oceanici. (15) La classificazione di potenza su scala regionale si addice a entità statali con un’economia altamente sviluppata e una popolazione ridotta. (16) Il coefficiente demografico può essere considerato un valore molto importante poiché incide quantitativamente sulla forza lavoro, su quella produttiva e su quella militare. L’indice di popolazione, inoltre, permette introiti di tassazione significativi al fine di un investimento per le spese della Difesa. (17) Australia, Filippine, Nuova Zelanda, Vietnam, India. (18) Si pensi all’ingresso naturale di Taiwan e della Corea del Sud. (19) Kitsu, Kitanai, Kiken nella lingua orientale sta ad indicare i tre aggettivi: difficili, sporchi, pericolosi. (20) La politica migratoria in Giappone è stata, in precedenza, molto rigorosa nei tempi limitati di soggiorno e selettiva nei confronti delle risorse umane anche nei settori delle tre K svolti da asiatici continentali, per lo più nepalesi e bengalesi, in qualità di manodopera temporanea. (21) Per questa categoria è garantita l’accelerazione delle pratiche per la residenza permanente. (22) Ulteriore fattore di bassa natalità va ricercato nella discriminazione interna fra classi sociali che, nonostante gli interventi istituzionali, permane a livello ideologico e viene iterata mediante liste di «proscritti» ovvero di famiglie indesiderate e quindi penalizzate sul piano dei diritti umani. Va ricordato che nella società giapponese contemporanea persiste l’esistenza di una varietà di minoranze autoctone emarginate in nome dell’omogeneità razziale: gli ainu, popolazione dell’isola di Hokkaido, i burakumin e gli hinin ritenuti impuri per la loro occupazione, a cui si sommano i coreani residenti nell’arcipelago dal periodo in cui il Giappone occupò la penisola. (23) In Giappone resiste la convinzione che gli immigrati e gli stranieri più in generale, siano dei potenziali criminali che possano minacciare in termini allogeni la pacifica esistenza dell’arcipelago. È interessante notare altresì come i Giapponesi si riferiscano a se stessi come nihonjin per discriminare i connazionali emigrati all’estero mediante il lessema nikkeijin. Decade in tal modo anche linguisticamente il diritto di essere chiamati «giapponesi» nel momento in cui si abbandona la patria. Per gli esuli non è prevista nessuna comprensione in quanto vittime di un destino avverso; la maggior parte li considera, al contrario, traditori che, lasciando il Paese, non meritano più alcuna accezione linguistica identificativa. (24) Il progetto urbano riguarda la formulazione plurilingue della segnaletica informativa e comunicativa. (25) Si fa specifico riferimento al video di promozione delle olimpiadi di Tokyo del 2020 presentate alla cerimonia di chiusura di Rio 2016: www.youtube.com/watch?v=9R_2Vi1wLa8. (26) Il Governo giapponese, oltre a sensibilizzare le persone anziane al pericolo, ha disposto la chiusura delle scuole elementari, medie e superiori su tutto il territorio anticipando al 2 marzo l’inizio delle vacanze di primavera degli istituti scolastici nonché la chiusura di Musei e luoghi culturali. Ha inoltre cancellato concerti in calendario e spettacoli di teatro Kabuki posticipando gli incontri del campionato di calcio. Con particolare riguardo alla Prefettura dell’Hokkaido, in cui si registrava il maggior numero di casi, il Governatore ha dichiarato lo stato di emergenza fino al 19 marzo con precise misure restrittive. Sono stati: intensificati i controlli alla frontiera per il rispetto del divieto di ingresso in Giappone, il rafforzamento della quarantena con 14 giorni di isolamento in un luogo indicato dal responsabile dell’ufficio dell’ispezione sanitaria. Si è proceduto alle restrizioni relative al visto e alla sospensione della validità di «single-entry visa» e di «multiple-entry visa» rilasciati prima del 20 marzo 2020 dalle Ambasciate o dai Consolati Generali del Giappone che si trovano in una lista di Paesi a emergenza Covid-19 prevedendo come ultima data il 30 aprile 2020, prorogabile. (27) Mentre si trovava nelle acque territoriali giapponesi, la nave da crociera Diamond Princess è stata messa in quarantena il 4 febbraio 2020, sette giorni dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’emergenza sanitaria globale. Una decisione consigliata dalla rilevazione del contagio in un ottantenne sbarcato a Hong Kong, 24 ore prima. I passeggeri sono rimasti isolati a bordo della nave nel porto di Yokohama fino al 27 febbraio. BIBLIOGRAFIA «Asahi Shimbum Culture Research Center, Japan’s Entrenched Discrimination Toward Foreigners», in The Asia Pacific Journal, Ottobre 2008. AA.VV. The Japanese Wartime Empire, Princeton University Press, Princeton 2010. Beasley W. G., Storia del Giappone Moderno, Einaudi 1973, Torino. Beasley W. G., Japanese Imperialism 1894-1945, Oxford University Press, Oxford 1991. Cosentino M., «Il ruolo marittimo del Giappone», in Rivista Marittima, Marzo 2017. 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NATO RESPONSE FORCE L’impegno della Marina in prontezza per la NATO Fabio Accogli (*)

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l 31 dicembre 2019 la Marina Militare, attraverso il Comando della Seconda Divisione Navale (COMDINAV DUE), nella sua doppia veste NATO di COMITMARFOR Headquarters (Comandante della Forza Marittima Italiana) inquadrato nella NATO Force Structure dell’Alleanza, ha terminato l’incarico di Maritime Component Command (MCC) della NATO Response Force (NRF). Sulla base di una rotazione annuale l’Italia si alterna con gli altri quattro Paesi europei in grado di esprimere un High Readiness Force (Maritime) Headquarters nel ruolo di prontezza in cui esercita il Comando e Controllo di una Task Force. (*) Capitano di Fregata (1968), entra in Marina nel 1991, promosso Tenente di Vascello, tra il 2001 e il 2002 è il responsabile di una sala operativa presso il Centro Intelligence Interforze, prima di assumere il Comando del 3o Distaccamento Autonomo Interforze di Monte Conero. Tra il 2011 e il 2013 viene destinato presso la Divisione J2 del Comando Operativo di Vertice Interforze. Ad agosto 2013 viene trasferito presso la Seconda Divisone Navale dove ricopre l’incarico di Capo Ufficio Informazioni Operative e Guerra Elettronica e, in ambito NATO, di Capo Divisione N2 di COMITMARFOR. Dal 2013, oltre alla certificazione NATO, ha preso parte a tutte le esercitazioni della Divisione e ha ricoperto l’incarico di Chief of Staff durante tre rotazioni dell’OPERAZIONE MARE SICURO a guida COMDINAV DUE. Per la stesura dell’articolo, l’Autore desidera ringraziare il Capitano di Fregata Marco Bruno Campasso, il Capitano di Corvetta Ugo Giglio e il Tenente di Vascello Mirco Romano.

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Il ciclo si compone di un anno di preparazione, detto di stand-up, uno in carica, detto di stand-by, e due di stand-down, in cui il Comando prepara strutture e personale alle necessità degli anni successivi. Nel corso del 2019 la NRF è stata composta anche dal 1st German-Netherlands Corp (1GNC), nel ruolo di Land Component Command (LCC), dal JFAC Torrejon nel ruolo di ACC (Air Component Command) e dal NATO Special Operations HQ nel ruolo di cellula SOCC (Special Operations Forces Component Command) operanti alle dirette dipendenze del Joint Force Command Naples (JFCNP). In questo articolo, nonostante il ciclo di NRF duri 2 anni, ci concentreremo principalmente sul periodo di preparazione e certificazione del Comando. Altri aspetti di approfondimento dottrinale e organizzativo sono relativi al NRF, il MCC e il battle-staff e la task organization.

che può operare in maniera isolata ovvero alle dipendenze di un comando Joint, eseguendo un ampio spettro di operazioni militari e non. Il Comando della Seconda Divisione Navale (COMDINAV DUE), che ha sede a Taranto, è in grado di pianificare e condurre operazioni in mare ma è anche il Comandante organico della Base Navale e del Servizio Efficienza Naviglio, nonché delle unità navali che fanno parte del gruppo portaerei (Caccia, Fregate e Rifornitrici). Può essere dispiegato e attivato a bordo di nave Etna, di nave Garibaldi o della Portaerei Cavour in ruolo flagship. In futuro, potrà avvalersi di nave Trieste, LHD (Landing Helicopter Deck) di nuova costruzione che sarà dotata di velivoli di 5a generazione F-35B e di eccellenti capacità di Comando e Controllo. Queste stesse capacità vengono rese disponibili in ambiente NATO per la NRF HRF-M (High Readiness Force HeadquartersMaritime).

COMmander ITalian MARitime FORces COMITMARFOR è nato il 4 settembre 2002 e ha assunto il ruolo di MCC in prontezza per la NATO Response Force (NRF) per la prima volta dal luglio 2005 al giugno 2006, successivamente nel 2009, nel 2014 e infine nel 2019. Nella sua veste di MCC nazionale ha la capacità di comandare una componente marittima

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NATO Response Force (NRF) La NRF è stata costituita nel 2003 come forza di reazione rapida composta da unità terrestri, marittime, aeree e forze speciali in grado di essere dispiegate in tempi brevissimi. La NRF è concepita per assolvere un ampio ventaglio di compiti, tra cui:

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Nave CAVOUR rifornita da nave ETNA. In basso: lo schema di una Task Force in ambito NRF.

— capacità immediata di risposta per la Difesa Collettiva, prima dell’arrivo delle altre forze; — operazioni di gestione delle crisi (Crisis Response Operations) e di supporto alle Operazioni di pace (Peace Support Operations); — soccorsi in caso di calamità naturali (disaster relief) e protezione delle infrastrutture critiche. La decisione di impiegare la NRF viene presa dal Consiglio del Nord Atlantico (North Atlantic Council - NAC), il più alto organismo di livello politico in seno alla NATO, mentre il Comando della NRF è esercitato dal Supreme Allied Commander Europe (SACEUR). Il comando operativo è delegato, secondo un turno annuale, ai Joint Force Commanders di Napoli e di Brunssum (Olanda) che stabiliscono deleghe e relazioni di Comando e Controllo (C2) del MCC. La NRF si basa su un concetto di «rotazione» annuale delle forze e dei Comandi. Le forze che contribuiscono alla NRF devono rispettare specifi-

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che procedure e standard richiesti per le operazioni difensive ed expeditionary. Le unità individuate quali componenti del dispositivo vengono sottoposte a un intenso periodo di addestramento volto non solo a migliorare le capacità necessarie per ricoprire il ruolo assegnato, ma anche a superare i severi standard richiesti dalla NATO e verificati da un pool di esperti in occasione di specifiche esercitazioni. In ambito maritime l’Italia è una delle quattro nazioni NATO, insieme a Francia, Gran Bretagna e Spagna, in grado di fornire alla NATO un MCC. Gli Stati Uniti contribuiscono in maniera importante all’unico MCC permanente dell’Alleanza con STRIKFORNATO (Naval Striking and Support Forces NATO) che è sempre in prontezza. Durante il summit del Galles del 2014, con il Readiness Action Plan, gli Alleati hanno deciso di incrementare le capacità della NRF creando la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la «spearhead force» della NATO, quale risposta ai cambiamenti dello scenario geopolitico incrementando il dispositivo NRF a circa 40.000 uomini. La Forza è pronta a muovere entro pochi giorni dalle prime indicazioni di potenziali minacce al fine di agire come deterrente a ulteriori escalation. In ambito maritime, il nucleo della VJTF consiste in quattro gruppi standing della NATO (cioè permanentemente attivati, due di altura - Standing NATO Maritime Group, gli SNMG1 e SNMG2, e due di forze di

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Imbarco Bording Team. Nella pagina accanto: in alto, organizzazione di riferimento per un MCC, Maritime Component Command e, sotto, lo schema del MOC, Maritime Operation Center, su Nave ETNA.

contromisure mine - Standing NATO Mine Countermeasures Group, gli SNMCMG1 e SNMCMG2). Nel caso di attivazione della NRF il MCC assume il comando dei gruppi navali standing e, in aggiunta, di sommergibili e MPA (Maritime Patrol Aircraft), costituendo la enhanced NRF (eNRF). La VJTF maritime viene poi integrata dall’Initial Follow-on Forces Group (IFFG) che comprende un Amphibious Task Group ed altri enablers. In base all’entità dell’operazione, le forze possono essere rafforzate da un Followon Forces Group (FFG), costituito da forze a minore prontezza operativa, che possono includere anche un Carrier Strike Group (CSG).

Maritime Component Command Un MCC è responsabile della pianificazione e condotta di operazioni in ambiente maritime.

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L’organizzazione della Task Force si basa sulla task organization tradizionale in cui si possono stabilire, in maniera flessibile, dei Task Group subordinati, organizzati in Task Unit e Task Element. Una volta assegnata la missione e chiarito l’intento del Comandante, il controllo e l’esecuzione delle operazioni sono tipicamente decentralizzati. Infatti, è possibile assegnare alcune o tutte le funzioni di comando in una specifica area ai Warfare Commanders (per esempio Antisubmarine Warfare Commander - ASWC, Strike Warfare Commander - STWC, Surface Warfare Commander - SUWC), functional group Commanders (per esempio Mine Warfare Commander - MWC e Underway Replenishment Group Commander - URGC) e coordinators (per esempio Helicopter Element Coordinator - HEC). Questo tipo di organizzazione consente di condurre operazioni a largo spettro distribuendo le forze secondo

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task omogenei. Per l’assolvimento dei compiti un MCC è organizzato in divisioni e celle — che compongono lo staff — dirette da un Chief of Staff (COS) e comandate, come nel caso di ITMARFOR, da un Ammiraglio di Divisione. COMITMARFOR impiega una struttura organizzativa a standard NATO al fine di essere pienamente interoperabile sia con i comandi di componente paritetici (LCC Land Component Command, ACC - Air Component Command e SOCC - Special Operations Forces Component Command), sia con JFCNP (Joint Force Command Naples). In questo quadro operano: — il Command Group, formato dal Comandante, il COS, gli Special Advisors (quali per esempio il Legal, Medical, Political Advisor) e i Capi Divisione e le Divisioni: — N1, per il personale; — N2, per l’intelligence; — N3, per le operazioni; — N4, per la logistica e l’efficienza; — N5, per la pianificazione e valutazione operativa; — N6, per le comunicazioni e le reti informatiche; — N7, per gli aspetti inerenti l’addestramento; — N8, per la parte amministrativa. Nel caso di attivazione i militari assegnati durante il periodo di pace (Peace Establishment - PE) vengono incrementati per espletare le funzioni richieste. La composizione dello staff, in quello che viene chiamato Crisis Establishment (CE), può più che raddoppiare a seconda del tipo di operazione, aggiungendo nuove funzioni e garantendo il funzio-

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namento del Comando sulle 24 ore. Una volta a pieno regime, ogni divisione del MCC scambia informazioni sia all’interno del Comando supportandosi a vicenda, sia verso l’esterno con le omologhe divisioni dei comandi paritetici. L’organizzazione dello staff è flessibile, adattabile e scalabile sulla base della missione assegnata, dell’ambiente in cui vengono condotte le operazioni, delle potenziali minacce e della natura della crisi. Alla tradizionale struttura in Divisioni (N-) si sovrappone

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un’organizzazione cross-funzionale (cioè costituita da elementi di ciascuna divisione/cellula) il cui cuore pulsante è il Maritime Operations Center (MOC). Il MOC è concepito per mantenere una costante e completa conoscenza della situazione in atto, emanare gli ordini alle forze e controllarne l’esecuzione, contribuendo ad alimentare il ciclo decisionale del Comandante. Il MOC fornisce un framework all’interno del quale il Comandante esercita il C2 delle forze e coordina le relazioni con gli altri Comandanti di componente (Supporting/Supported). All’interno del MOC sono collocate una serie di celle specialistiche che, collegate con i rispettivi N-, fungono da elemento di raccordo operando funzionalmente alle dipendenze del MOC Director; esempi sono i desk delle: — Contromisure mine; — Operazioni anfibie; — NCAGS: Naval Cooperation and Guidance for Shipping, responsabile della cooperazione e del coordinamento con il cluster marittimo civile; — Civil Military Cooperation (CIMIC), responsabile della cooperazione con il mondo civile, in particolare con le organizzazioni governative e non; — Special Operations, responsabile del coordinamento delle attività svolte con le forze speciali in supporto all’operazione;

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— Force Protection responsabile della prevenzione e protezione delle forze da attacchi terroristici e del nemico; — PsyOps, responsabile del coordinamento delle operazioni volte a scaturire degli effetti psicologici sull’avversario; — Info Ops, responsabile del coordinamento delle attività svolte nel dominio delle informazioni; — Personnel Recovery, responsabile della condotta delle operazioni di ricerca e soccorso di personale isolato nel territorio avversario; — Targeting, responsabile della pianificazione e condotta delle attività di ingaggio; — Comunicazioni. Parallelamente al MOC opera il Maritime Air Operation Center (MAOC), elemento che si occupa della pianificazione e della condotta delle attività aeree.

Il Battle Rhythm Il Battle Rhythm è lo strumento con il quale viene cadenzata un’operazione militare. Richiede un efficiente sistema di processazione degli input e degli intenti per permettere al Comandante di prendere decisioni informate. Nel dettaglio, si compone di una serie di elementi: input (sotto forma di messaggi, rapporti e briefing), working group, che elaborano le informazioni, boards che validano i prodotti e

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vengono verificati propongono al attraverso un proComandante le cesso di certificapossibili opzioni. zione. Viene Infine, durante il esaminata la ridecision briefing spondenza alla il Comandante normativa NATO prende le decidelle procedure, sioni in funzione dell’organizzadel quadro di sizione, delle infratuazione prospetstrutture ma, tato. A valle del soprattutto, viene decision briefing valutato lo struvengono emanati mento operativo. gli ordini e le diIl processo di rettive verso i cocertificazione mandi subordinati viene eseguito per l’esecuzione Un esempio di Battle Rhythm e, in basso, un esempio di cellula durante la «Mare Aperto 18». nell’anno antecedei task. dente lo stand-by, detto di stand-up, e impegna lo staff Un Battle Rhythm di un’operazione Joint è estremanella configurazione di Crisis Establishment (CE). Si mente complesso perché si tratta della fusione sincrocompone di 3 fasi nell’ambito di una esercitazione nizzata dei processi decisionali di tutti i Comandi NATO appositamente selezionata: coinvolti, quelli single service — il MCC nel nostro — Crisis Response Planning (CRP); caso — e quello joint del JFC. — Esercitazione con forze reali; La Certificazione NATO — Esercitazione del tipo Command Post Exercise / Computer Aided Exercise (CPX/CAX). Gli standard di interoperabilità e le capacità operaLe attività sono svolte in un ambiente Joint suptive del Comando che dovrà assumere il compito NRF

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IL COMANDO DELLA SECONDA DIVISIONE NAVALE La costituzione del Comando della Seconda Divisione Navale (COMDINAV DUE) risale al dopoguerra, quando la Flotta Navale Italiana era organizzata in Divisioni. Il motto del Comando della Seconda Divisione Navale è: «PER UNDAS AD GLORIAM FREMIT» — espressione latina che significa «per onde echeggia il mare» — scelto per ricordare la potenza e la grandezza delle eroiche Unità che hanno solcato i mari sotto le sue insegne. La Seconda Divisione Navale svolge i seguenti compiti: — Force provider del Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV); Comando nazionale delle Forze marittime, per l’impiego operativo degli assetti assegnati, con Proiezione di potenza — sul mare e dal mare — attraverso il Gruppo Portaerei e relative unità di scorta e logistiche; — Comandante della Componente Marittima in mare, all’interno della Struttura delle Forze della NATO, che partecipa al turno di rotazione di prontezza con gli altri Comandi delle Forze Marittime della NATO (COMITMARFOR). Il Comandante della Seconda Divisione Navale si avvale di una combinazione di capacità e assetti: — staff impiegato a bordo e presso l’Headquarters a terra, organizzato funzionalmente, per operare in ambito nazionale e NATO; — una flotta di superficie, costituita da 12 navi: Nave Cavour - Portaerei STOVL, piattaforma di Comando e Controllo e Flagship della Squadra Navale; Nave Andrea Doria - Cacciatorpediniere tipo «Orizzonte» e Flagship della Seconda Divisione Navale; Nave Luigi Durand De La Penne & Nave Mimbelli - Cacciatorpedinieri classe «Ammiragli»; Nave Bergamini & Nave Martinengo - FREMM (Fregate Europee Multi Missione) in ruolo General Purpose (GP);

portando un JFC e collaborando con il LCC, l’ACC e il SOCC. Il primo evento valutato, la pianificazione di una operazione in risposta a una crisi, è iniziato il 12 febbraio 2018 e, nell’arco di 6 settimane, ha permesso di avviare l’operazione promulgando il Piano Operativo (OPLAN) dell’esercitazione Trident Juncture 2018 (TRJE-18). Svolta a livello di Major Joint Operation (MJO), è stata la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra Fredda. Il CRP si è sviluppato attraverso l’attivazione del Maritime Operations Planning Group (MOPG), con il supporto di un mentore di grande esperienza. La pianificazione operativa rappresenta un momento di grande impegno e soddisfazione professionale — il cui culmine è il wargaming in cui il MOPG simula lo scenario dell’operazione nelle varie combinazioni tra

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Nave Alpino & Nave Carabiniere FREMM in ruolo Anti Submarine Warfare (ASW); Nave Etna - nave rifornitrice di Squadra, piattaforma di Comando e Controllo; Nave Stromboli - nave rifornitrice di Squadra; Nave Zeffiro & Nave Espero - fregate ASW classe «Maestrale». — Stazione di Supporto Navale (MARISTANAV TARANTO), strutturata per fornire supporto, logistico e tecnico manutentivo per le Unità Navali della Divisione, nonché per garantire servizi a Unità nazionali e alleate in transito, grazie alla disponibilità di capacità che comprendono, 15 Unità navali portuali con equipaggio (tra cui rimorchiatori), 60 mezzi navali minori (chiatte, pontoni e motoscafi), e 60 veicoli militari di vario tipo. La Seconda Divisione Navale garantisce la prontezza operativa della componente navale attraverso la programmazione delle attività di addestramento, verifiche/ispezioni periodiche, monitoraggio dell’efficienza delle piattaforme, della propulsione, del C2 e dei sistemi d’arma, pianificando i lavori di manutenzione tramite il Servizio Efficienza Navi della MARISTANAV, e coordinando con l’Arsenale i grandi lavori e le revisioni previste. Il Comandante della Seconda Divisione Navale, pianifica e svolge attività di addestramento secondo le direttive di CINCNAV e, se attivato come Comandante della Componente Marittima, assicura il comando tattico delle Forze assegnate.

le azioni realistiche dell’opponente, giocate da un cosiddetto Red Team, e le linee di azione delle proprie forze. Si tratta del momento in cui il Comandante e il suo staff verificano i punti deboli del piano operativo modificandolo come necessario. A valle del wargaming, il Comandante deciderà come organizzare e disporre le forze e, soprattutto, come impostare la campagna. La fase di pianificazione si conclude con un briefing al Joint Force Commander che sintetizza il concetto operativo (CONOPS). La seconda fase del processo di certificazione è stata caratterizzata dalla conduzione, dal 7 al 18 maggio 2018, di una esercitazione di tipo LIVEX, la Mare Aperto 18-1 (MA 18-1) con la partecipazione di forze nazionali e NATO. Si tratta di una esercitazione periodica che la Marina Militare svolge semestralmente,

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Rifornimento in mare della portaeromobili GARIBALDI.

centrata sull’addestramento dello strumento aeronavale e sull’interoperabilità con assetti dell’Esercito Italiano e dell’Aeronautica Militare. Il team valutativo del Comando Marittimo della NATO (MARCOM, con sede a Londra) ha sottoposto a valutazione durante i dieci giorni di attività le procedure e l’organizzazione del MCC nel condurre l’operazione e nel gestire unità navali, aerei, elicotteri e i 5.700 militari, in parte appartenenti alle forze anfibie. La terza fase della certificazione è stata condotta dal 14 al 23 novembre 2018. La Command Post Exercise/Computer Aided Exercise (CPX/CAX) della TRJE-18, nuovamente a bordo di nave Etna riconfigurata per raggiungere la «full capability» dello staff. L’elevatissimo valore addestrativo della TRJE-18 ha consentito alla Marina Militare, e in particolar modo agli uomini e alle donne di COMITMARFOR,

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di addestrarsi in uno scenario contro un avversario paritetico cosiddetto «near peer». Il complesso apparato joint e combined era orientato al contenimento dell’opponente e alla successiva ripresa del territorio perso in un ambiente caratterizzato da una minaccia del tipo Anti Access Area Denial (A2AD). In questo contesto l’opponente impiega sistemi d’arma di vari tipi operanti in differenti domini al fine di assicurare una difesa stratificata e a lungo raggio dei propri assetti strategici. COMITMARFOR è stato posto a capo di una task force aeronavale di altissimo livello, ancorché in forma simulata, costituita da più di 90 unità navali, incluso un gruppo portaerei con AV8B+, Mirage ed F35 imbarcati, un gruppo anfibio costituito dal 26o Marine Expeditionary Unit statunitense, unità e truppe anfibie europee, e un gruppo di sottomarini, parte dei

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quali a propulsione nucleare. Il ruolo svolto da COMITMARFOR ha messo in luce l’estrema flessibilità d’impiego della componente maritime per la connotazione intrinsecamente multidisciplinare e multidimensionale che, unitamente al concetto di sea basing, ne enfatizza la specificità e peculiarità rispetto alle altre Forze Armate. In particolare, il carattere expeditionary della Forza Anfibia imbarcata, ma soprattutto la sua versatilità d’impiego e la rapidità di ridislocazione ha fornito un prezioso supporto alla manovra Joint. Nello scenario, caratterizzato dalla parte più settentrionale dell’impervio territorio norvegese, ha costituito ancor più un valore aggiunto alla manovra terrestre del LCC. La quantità e la varietà di mezzi impiegati ha consentito a tutti i partecipanti all’esercitazione di essere sottoposti a un addestramento unico ed estremamente efficace, garantendo loro un altissimo ritorno in termini di esperienza e know-how. Dal punto di vista valutativo, inoltre, si è trattato del momento più importante della certificazione, in cui i valutatori di MARCOM hanno verificato i processi decisionali e organizzativi dell’operazione condotta in maniera sincronizzata con le forze aeree e di terra seguendo il Battle Rhythm del JFC NP.

Carrier Strike Group in mare.

Conclusioni I due anni trascorsi tra stand-up e stand-by hanno dimostrato gli alti livelli professionali raggiunti dal personale Marina in grado di interfacciarsi sia con i marinai delle nazioni NATO che con le altre Forze Armate straniere in maniera competente. La certificazione ha permesso di mettere in luce le capacità, il ruolo e il contributo che la Marina è in grado di fornire a protezione del fronte sud della NATO in risposta alla sempre più complessa e instabile situazione geopolitica in quello che l’Italia chiama Mediterraneo Allargato. La Marina, infatti, con la sua capacità sea-basing di natura expeditionary, permette di mantenere una duplice capacità di deterrenza e di stabilizzazione. Le forze possono essere, infatti, dispiegate in prontezza in mare quale capacità «immanente», in grado di colpire ovunque necessario, all’improvviso e con rapidità. Un gruppo anfibio (Amphibious Task Group - ATG), parte del MCC, è

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in grado di essere un deterrente, può proteggere infrastrutture sensibili e può riprendere zone cadute sotto il controllo dell’opponente oltre a eseguire i compiti classici delle forze anfibie. La chiave del successo, in questo settore, rimane la capacità di Comando e Controllo — decentralizzato verso il Comandante in mare — che, attraverso il MCC è in grado di impiegare le capacità strike di un gruppo portaerei e di una forza anfibia. L’esperienza acquisita, tuttavia, rappresenta per la Marina un punto di partenza verso un ulteriore affi-

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ELENCO DEGLI ACRONIMI

namento dell’organizzazione, delle competenze, dei processi e dei sistemi in settori di altissima specializzazione ed emergenti (Carrier Strike Group Ops, Info Ops, Cyber, Space support). Infine, la posizione centrale dell’Italia nel fronte sud della NATO, consente alla Forza Armata di rappresentare anche lo strumento principe nelle attività di capacity e confidence building dell’Alleanza volte a rafforzare e stabilizzare le turbolente aree dell’Africa settentrionale a cavallo tra l’arco di instabilità e il Mediterraneo. 8 Rivista Marittima Aprile 2020

ACC: Air Component Command ADP: Automatic Data Processing ASWC: Anti Submarine Warfare Commander ATG: Amphibious Task Group ATO: Air Tasking Order BSD: Battle Staff Director CE: Crisis Establishment CIMIC: Civil Military Cooperation CIS: Communication Information System COPS: Current Operations COS: Chief of Staff CRO: Crisis Response Operations DIM: Daily Intention Message EWCC: Electronic Warfare Coordination Cell FFG: Follow-on Force Group FOPS: Future Operations HEC: Helicopter Element Coordinator HN: Host Nation HRF-M: High Readiness Force-Maritime IFFG: Initial Follow-on Force Group IM: Information Management JFAC: Joint Force Air Coordination JFCNP: Joint Force Commander Naples JLSG: Joint Logistic Support Group LCC: Land Component Commander LEGAD: Legal Advisor LHD: Landing Helo Deck LNO: Liaison Officer LOGFAS: Logistics Functional Area Services MAOC: Maritime Air Operations Center MATO: Maritime Air Tasking Order MCC: Maritime Component Commander MCM: Mine Counter Measures MEDAD: Medical Advisor METOC: Meteorological and Oceanographic Operations Cell MOC: Maritime Operations Center MOPG: Maritime Operations Planning Group MPA: Maritime Patrol Aircraft MWC: Mine Warfare Commander NAC: North Atlantic Council NCAGS: Naval Cooperation and Guidance for Shipping NRF: NATO Response Force OPTASK: Operation Tasking PAO: Public Affair Officer PE: Peace Establishment POLAD: Political Advisor PRCC: Personnel Recovery Coordination Cell RMP: Recognized Maritime Picture SACEUR: Supreme Allied Commander Europe SAT: Submarine Advisory Team SEC: Submarine Element Coordinator SNMCMG: Standing Naval Maritime Counter Measures Group SNMG: Standing Naval Maritime Group SOCC: Special Operations Component Command STRATCOM: Strategic Communications STWC: Strike Warfare Commander SUWC: Surface Warfare Commander TBMD: Theater Ballistic Missile Defence TLAM: Tomahawk Land-Attack Missile URGC: Underway Replenishment Group Commander VJTF: Very high readiness Joint Task Force VTC: Video Teleconference

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

LA MARINA PAKISTANA

si rinnova Giuliano Da Frè (*)

N

ata con gli stessi cromosomi ereditari di marca britannica, e nello stesso giorno della sua tradizionale rivale indiana (il 14 agosto 1947, data dell’indipendenza dei due giganti asiatici da Londra), la Marina pakistana ha però da subito faticato a mantenere i tassi di crescita dei cugini. Le ambizioni oceaniche dell’India hanno infatti sin dall’inizio alimentato una flotta con una taglia da Blue Water Navy: ed entro la prima

metà degli anni Sessanta (quando iniziò un ciclo bellico ad alta intensità di durata decennale, con il conflitto frontaliero indo-cinese del 1962, seguito da altre due guerre combattute col Pakistan nel 1965 e 1971, con forti risvolti anche marittimi) erano state acquisite, per lo più dalla Gran Bretagna, una portaerei ricostruita, 2 incrociatori, 3 caccia e 5 fregate di seconda mano, e 8 moderne fregate di scorta, oltre al naviglio specializzato e ausiliario. Dal

(*) Giornalista e scrittore monzese, classe 1969, dal 1996 collabora con varie testate specializzate nel settore militare tra cui RID - Rivista Italiana Difesa, Focus Storia/Wars e Rivista Marittima. Dal 2002 al 2013 analista navale per il web magazine Analisi Difesa, e dal 2014 per Portale Difesa, ha scritto circa 400 articoli dedicati soprattutto alla storia militare, ai conflitti internazionali e allo sviluppo delle forze armate di tutto il mondo. Con Odoya ha pubblicato La marina tedesca 1939-45 (2013) e Storia delle Battaglie sul mare (2014), cui sono seguiti per la Newton Compton, Le grandi battaglie della Prima guerra mondiale (2015) e I grandi condottieri del mare (2016), e La guerra paraguayana 1864-1870 (Chillemi Edizioni, 2015), mentre nel 2019 è uscito per Odoya un Almanacco Navale della Seconda guerra mondiale.

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La fregata ZULFIQUAR, prima di una classe di 6 unità tipo «F-22P», realizzate in parte localmente, e consegnate in 2 lotti tra il 2009 e il 2020 (Fonte: wikipedia.it).

canto suo, il Pakistan ricevette nello stesso periodo, sempre dalla Royal Navy, un incrociatore e 9 caccia (2 dei quali restituiti nel 1959-1960), 4 fregate e 2 corvette, più il naviglio logistico (1); a riequilibrare la situazione, c’era però un’arma che la Marina pakistana si sforzerà sempre di mantenere a un livello almeno qualitativo elevato; ossia quella subacquea, immettendo in servizio un primo sommergibile, ceduto dall’US Navy, già nel 1964, con 3 anni di anticipo sui rivali. L’unico altro assetto moderno dell’epoca, furono gli 8 dragamine tipo «Bluebird», costruiti dagli Stati Uniti per il Pakistan in conto MAP tra il 1956 e il 1963. Dopo le guerre del 1965 e 1971, la situazione si è evo-

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luta secondo linee ormai chiaramente tracciate; e se dagli anni Sessanta un accordo con Mosca — soprattutto in funzione anticinese — permetteva a New Delhi di acquisire naviglio nuovo di pacca, creando tra l’altro una numerosa componente subacquea e una sofisticata flottiglia di unità leggere lanciamissili, abilmente impiegate nella guerra del 1971 (2), dal decennio 1970-1980 una graduale crescita economica e industriale ha permesso all’India di accedere al più sofisticato materiale occidentale; anche attraverso realizzazioni su licenza sempre più indigenizzate, o frutto di cooperazioni. In mezzo secolo, pertanto, la Marina indiana ha acquisito o ordinato 3 portaerei, 6 sottomarini nucleari e 28 conven-

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zionali, 15 caccia lanciamissili, 46 fregate e 27 tra corvette e OPV (senza contare quelli della Guardia Costiera), 16 unità anfibie, oltre al naviglio minore. E tutte navi di nuova costruzione, con l’eccezione di 2 portaerei, una LPD e un sottomarino nucleare.

La risposta pakistana, tra punte di lancia e usato sicuro Privo delle risorse economiche indiane (e con ambizioni marittime comunque più limitate), il Pakistan ha preferito fino agli anni Duemila supportare soprattutto un potente apparato militare aero-terrestre. Per la Marina, anche alla luce dei successi ottenuti nel 1965 e 1971 — quando il sommergibile pakistano Hangor colse il primo affondamento di una nave da guerra (3) del 1945 —, soldi e risorse furono focalizzati sul mantenimento di una moderna e ben addestrata componente subacquea, acquistando prima i 3 sommergibili classe «Hangor», tipo «Daphne» francesi, costruiti nel 1967-1970, cui se ne aggiunse un quarto quasi nuovo vendutole dal Portogallo nel 1975 per sostituire il vecchio Ghazi (affondato dagli Indiani nel 1971, e di cui riprese il nome), seguiti nel 1972-1973 da 6 mini-sommergibili tipo SX-404 dell’italiana COSMOS di Livorno. Nel 1978 furono quindi acquistati anche 2 sofisticati battelli tipo «Agosta-70», in costruzione in Francia per il Sudafrica, ma sottoposti a embargo, e consegnati al Pakistan nel 19791980 (classe «Hashmat»), anno in cui risultavano pertanto essere in linea 6 sottomarini e 5 mini-sommergibili, tutti con meno di 10 anni di vita (4). Il resto della flotta era decisamente meno sfolgorante: parte del naviglio ex britannico fu mantenuto in linea sino ai primi anni Ottanta, e tra il 1977 e il 1983 sostituito da 6 caccia ex US Navy non meno datati, tipo «Gearing», costruiti nel 1944-1949, ma sottoposti nei primi anni Sessanta al radicale ammodernamento FRAM-I. Un accordo in chiave anti-indiana con la Cina, stretto dopo la guerra del 1965, permise di acquisire naviglio moderno, ma solo di piccola taglia, come 8 motomissilistiche (copie cinesi delle Komar» e «Osa-I» sovietiche), e altrettante unità cacciasommergibili tipo «Shanghai-II»; il naviglio leggero fu l’unico a poter contare, in quegli anni, su materiale moderno, sebbene non troppo sofisticato, come 4 veloci aliscafi siluranti Type-025 cinesi, in servizio dal

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1973 al 1992, le 4 cannoniere classe «Rajshahi» costruite in Gran Bretagna nel 1963-1965 (3 affondate nel 1971), e i 4 pattugliatori antisom da 430 tonnellate classe «Baluchistan», sempre realizzati in Cina nel 1976-1980. Londra e Washington cedettero poi anche unità più moderne, sebbene sempre di seconda mano: il cacciatorpediniere (indicato anche come incrociatore) Babur, un ex «County» da 6.800 t. costruito nel 1960-1963 e trasferito nel 1982, 8 fregate antisom americane delle similari classi «Garcia/Brooke», realizzate nel 1962-1968 e cedute nel 1989 per un quinquennio, precedute nel 1988 da 2 di poco più recenti (1968-1972) «Leander» britanniche. Il naviglio logistico versava all’incirca nelle stesse condizioni: nel 1963 l’US Navy aveva trasferito una cisterna da 22.000 t, del 1944, per il rifornimento in mare, e altre unità minori, seguite nel 1989 da una grande naveofficina, sempre veterana di guerra. Negli anni Novanta, mentre la tensione con l’India tornava ad aumentare, e la rivalità si trasferiva anche nei settori nucleare e missilistico, le cose per la Marina pakistana cambiarono poco. La componente subacquea restava la punta di lancia, su cui concentrare le scarse risorse disponibili: e mentre dal 1985 partivano radicali programmi di ammoderna-

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La fregata americana USS RODNEY M. DAVIS nel 2010, dopo le modifiche effettuate in vista della cessione alla Marina Pakistana, dove dal 2011 è in servizio come ALAMGIR. Al centro: due fregate cinesi Type-054 in navigazione con l’incrociatore americano BUNKER HILL: nel 2018 è iniziata la costruzione di 2 unità similari (Type-054AP) per il Pakistan, con consegna nel 2020-2021, e con un’opzione per altre 2 (Fonte: wikipedia.it).

mento per i 6 battelli di costruzione francese (equipaggiati con sensori e suite di guerra elettronica di nuova generazione, e modificati per l’impiego di missili antinave a cambiamento d’ambiente tipo «Sub Harpoon») (5), e localmente venivano realizzati nel 1988-1992 altri 3 sommergibili tascabili tipo COSMOS, nella versione più grande MG-110, nel 1994 veniva firmato un contratto, del valore di quasi un miliardo di dollari, relativo alla costruzione di 3 battelli di nuova generazione, tipo «Agosta-90B», predisposti per l’adozione in un secondo momento di un modulo propulsivo AIP «Mesma», all’epoca ancora in fase di sviluppo. L’accordo, comprendente un importante investimento per ammodernare il polo cantieristico di Karachi, e un pacchetto di 25 missili antinave SM-39 «Exocet» e 100 siluri F-17P Mod2, prevedeva che solo il capoclasse Khalid fosse realizzato in Francia, con consegna nel 1999, mentre il Saad sarebbe stato in parte assemblato nell’arsenale di Karachi (dove è stato completato nel 2003), mentre l’Hamza vi è stato interamente costruito, sebbene in tempi più lunghi del previsto, tra il 1997 e il 2008, e imbarcando subito il modulo MESMA, poi retrofittato nel 2011-2013 sugli altri 2 battelli. Anche il comparto del naviglio leggero, e le compo-

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nenti logistica e specializzata, hanno conosciuto una limitata modernizzazione attraverso l’acquisto di mezzi sofisticati e in parte realizzati localmente. Nel 1991-1994 a Karachi veniva realizzato il pattugliatore antisom da 180 t Larkana, prima unità da guerra costruita in Pakistan; sebbene non particolarmente riuscita, ha fornito le basi progettuali per le 2 successive motomissilistiche classe «Jalalat», da 200 t, armate con 4 lanciatori per missili antinave cinesi C-802, e consegnate nel 19971999. Nel 1992 fu poi firmato un contratto con la Francia, che portò all’immediata cessione di un moderno cacciamine tipo «Tripartito», il Munsif, completato appena 3 anni prima, e alla costruzione per la Marina pakistana di altre 2 unità, una delle quali con il coinvolgimento del cantiere di Karachi, e consegnate nel 1996-1998. Fu infine acquistata una moderna rifornitrice di squadra costruita in Cina, la Nasr (1987), e 2 cisterne costiere, completate localmente nel 1984 e 1992; nel 1994 fu poi ottenuta dall’Olanda per 5,3 milioni di dollari, comprensivi di revisione generale, la rifornitrice Poolster, ribattezzata Moawin, vecchia di 30 anni, ma tra le prime a essere realizzate negli anni Sessanta di tipo moderno e polifunzionale, con ampio hangar a e ponte di volo per trasportare e supportare sino a 5 elicotteri.

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TABELLA 1 – LE MAGGIORI UNITÀ IN SERVIZIO REALIZZATE PRIMA DEL 2010 (in neretto le unità moderne) 3 3 2 1 4 2 2 3 3 1

SSK/AIP minisub SSK FFG FFG FAC FAC FAC MCM AOR

cl. «Khalid» tipo MG-110 cl. «Hashmat» Alamgir cl. «Tariq» cl. «Zarrar» cl. «Jurrat» cl. «Jalalat/Larkana» cl. «Munsif» Nasr

Francia/Pakistan Italia/Pakistan Francia Stati Uniti (Perry) GB (Type-21) Turchia Pakistan Pakistan Francia/Pakistan Cina

Sostituire il Babur e le vecchie unità alturiere ex US Navy (6 caccia e 8 fregate) fu più complicato: e dopo aver preso in considerazione varie opzioni, nel 1993 fu firmato un accordo del valore di 90 milioni di dollari, comprensivo di revisione, parti di ricambio, ed elicottero «Lynx», per l’acquisto delle 6 fregate classe «Amazon/Type-21», realizzate per la Royal Navy tra il 1969 e il 1978, andate a formare entro il 1994 la classe «Tariq». Si trattava di unità recenti, di moderna configurazione multiruolo, con una vita media di 15-20 anni, sebbene fossero afflitte da vari difetti, come la scarsa stabilità, e strutture vulnerabili soprattutto agli incendi; due unità erano state affondate alle Falkland, e le altre erano state duramente provate dalla campagna invernale in Sudatlantico, e avevano dovuto essere sottoposte a revisione e modifiche. Contemporaneamente, nel 1993-1994 venivano aggiornate le 2 fregate tipo «Leander» in servizio dal 1988, e vecchie di oltre 20 anni. Le «Tariq» furono poi aggiornate radicalmente in Pakistan tra il 1998 e il 2002, sostituendo buona parte delle armi e dei sensori originali, sostituendoli con materiale di varia provenienza, e soprattutto suddividendo le 6 unità in due varianti, di 3 esemplari ciascuna: la prima variante, da difesa aerea, ha visto imbarcare il complesso SAM a 6 celle LY-60N cinese (ma ispirato al modello «Albatros/Aspide» italiano) (6), un CIWS «Phalanx» e adeguata sensoristica, mentre la seconda variante è in funzione antinave, equipaggiata con 2 impianti lanciatori per missili «Harpoon» RGM-84A. Nell’ultimo decennio le unità hanno subito ulteriori aggiornamenti, imbarcando suite di guerra elettronica allo stato dell’arte,

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1999-2008 1990-1992 1979-1980 2010 1993-1994 2007-2008 2006 1994-1999 1992-1998 1987

MLU in corso tipo Cosmos (ammodernate) costr. 1979 costr. 1969-1978 MRTP-33 tipo Jalalat tipo Tripartito -

mentre Babur e Badr venivano disarmate nel 2013-2014 per cannibalizzazione. A migliorare la situazione, nel 1987 fu creata la Maritime Security Agency (MSA), con l’obiettivo di potenziare la sino ad allora rachitica Guardia Costiera, attivata nel 1971 riorganizzando i precedenti servizi doganali. Oltre a ricevere alcune unità dismesse dalla Marina (compresi 3 dei vecchi caccia ex inglesi e americani di costruzione bellica, modificati, e l’ultimo dei quali radiato nel 2010), la MSA negli anni Ottanta e Novanta ha ottenuto alcuni assetti nuovi di pacca, compresi i 4 pattugliatori da 435 t classe «Barkat», realizzati in Cina nel 19881990, simili ai cacciasommergibili classe «Baluchistan».

La svolta del XXI secolo Come abbiamo visto, negli anni Ottanta e Novanta la Marina pakistana, oltre a mantenere sempre elevato lo standard della sua ormai tradizionale punta di lancia subacquea, avviò un limitato sforzo di modernizzazione anche in altri settori: e la componente alturiera, pur ridimensionata quando tra il 1990 e il 1998 furono radiati l’incrociatore Babur e i 6 caccia tipo FRAM (uno dei quali in realtà rimasto in servizio con la Maritime Security Agency sino al 2010), e riconsegnate agli Stati Uniti le 8 fregate affittate nel 1989, fu riorganizzata su 8 fregate ex britanniche degli anni Settanta, sebbene di due generazioni diverse; che però alla fine del XX secolo restavano gli unici assetti di scorta rimasti, e con le 2 «Leander» comunque oramai in rapido invecchiamento. Negli anni Duemila, mentre entrava nel vivo il pro-

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nuove di pacca, con un contratto da 750 milioni di dolgramma per i nuovi sottomarini classe «Khalid», e torlari: le 4 fregate tipo F-22P, versione export ampiamente navano a salire le tensioni con l’India, quasi sfociate in customizzata delle Type-053H3 della PLAN, sebbene il una nuova guerra nel 2001-2002, e dopo le crisi missilidesign stealth rimandi a quello delle più avanzate Typestiche e nucleari del 1998 e il breve «conflitto di Kargil» 054. Si tratta di fregate leggere multiruolo da 3.140 t, del 1999, il governo di Karachi tornò a meditare su una con diesel francesi e armi e sensori quasi tutti cinesi (ma espansione della flotta, che coinvolgesse anche assetti compreso il sistema SAM FM-90, versione export dello strategici, come sottomarini armati di missili con testata HQ-7B, derivato dal «Crotale»), consegnate tra il 2009 atomica, e la possibile acquisizione di portaerei VSTOL e il 2013 come classe «Zulfiquar», andando a sostituire di seconda mano, in risposta ai nuovi piani indiani, che le 2 «Leander» e altrettante «Tariq»; il quarto esemplare comprendevano SSBN, e l’acquisto e ricostruzione della è stato realizzato a Karachi. Nel 2012 è poi stata annunportaerei Gorshkov, da affiancare con 2 o 3 unità indigene ciata la volontà di realizzare altre 2 unità, sempre localdi nuova costruzione (7). Ma reggere i ritmi dei cuginimente, con impostazione nel 2016, e consegna nel 2020. rivali è impossibile, anche quando il procurement indiano è in affanno. Più sensatamente, gli ammiragli pakistani hanno allora deciso di trasferire i concetti sino a quel momento applicati quasi esclusivamente alla componente subacquea, anche ai comparti di superficie, a vari livelli, puntando su una crescita qualitativa e — in prospettiva — quantitativa che fosse sostenibile; sempre appoggiandosi alla Cina, che peraltro sforna naviglio sempre più sofisticato, e con robuste iniezioni di tecnologia avanzata occidentale. Programmi mirati sempre di più a realizzare o assemblare nei cantieri pakistani varie tipologie di naviglio, con conseguente maggiore autonomia manutentiva e trasferimento di know-how. Con assistenza tedesca (che ha fornito diesel e sistemi di contromisure, mentre armi e radar sono cinesi), e partendo dal Il pattugliatore KASHMIR, primo di 6 unità (2 OPV e 4 guardacoste medi) di costruzione cinese realizzati anche localmente nel 2016-2019 per la Maritime Security Agency (Fonte: assets. progetto delle FAC classe «Jalalat», dal shephardmedia.com). 2003 è iniziata la costruzione di altre 2 moNel 2017 e 2018 sono stati siglati altri 2 contratti con la tomissilistiche, classe «Jurrat», consegnate nel 2006, Cina, questa volta proprio per un totale di 4 fregate Typeanno in cui partiva per le unità leggere d’attacco e sorve054AP, la cui costruzione è iniziata nel 2018, con conglianza anche un programma con la Turchia, che portava segne nel 2021-2022. Si tratta di unità più grandi, da alla realizzazione di 2 piccole motomissilistiche spinte oltre 4.000 t, multiruolo, con un occhio alla difesa aerea, da idrogetto sino a 60 nodi, tipo MRTP-33 (classe «Zarrar»), consegnate nel 2007-2008, affiancate da vedette radaristica adeguata, e un sistema a lancio verticale VLS veloci tipo MRTP-15. per missili a medio raggio HQ-16, a 32 celle. ContemMa la vera svolta giunse nel 2005, quando, per la poraneamente — e mentre alcune fonti parlano di una prima volta, anche per la componente alturiera gli amopzione per altre 2 Type-054AP — la Marina pakistana miragli pakistani poterono ordinare una classe di navi si è «scatenata», ordinando per la componente di super-

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La corvetta turca HEYBELIADA, prima di 4 unità del programma MILGEM: nel 2018 il Pakistan ne ha ordinate 4, da realizzare in parte localmente entro il 2023-2024 (Fonte: Defpost). Al centro: la corvetta d’attacco HIMMAT, terza unità classe «Azmat», costruita a Karachi nel 2015-2017 (Fonte: quwa.org). In alto: rendering delle corvette tipo «Swift Corvette 75», progettate dai cantieri americani Swiftships di Morgan City: il Pakistan è in trattative per acquisirne da due a quattro, ottimizzate anche per le operazioni speciali (Fonte: pbs.twimg.com).

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ficie altre 12 unità, di quattro modelli diversi, senza contare 6 OPV per la Maritime Security Agency, e una nave per il supporto della rinnovata flotta. Il primo programma a partire è stato quello delle piccole corvette d’attacco classe «Azmat», radicale rivisitazione, con design stealth e armi e sensori avanzati, dei pattugliatori Type-037-II: la prima unità è stata costruita in Cina nel 2011-2012, mentre nel 2014-2018 sono state completate le unità realizzate a Karachi, tutte armate con missili antinave, sistemi CIWS e mitragliere per autodifesa. Nel novembre 2017 è stato annunciato un ordine ai cantieri americani Swiftships di Morgan City per 2 corvette antisom, tipo «Swift Corvette 75», piccole unità stealth ottimizzate anche per supporto a operazioni speciali e di intelligence, da 75 metri e una notevole capacità elicotteristica (possono impiegare un S-70 «Seahawk»), e un armamento multiruolo, con missili antinave e un sistema SAM di difesa di punto. Il contratto a oggi non sembra essere stato definito, anche per la possibile opzione relativa ad altre 2 unità; le corvette avrebbero dovuto essere in consegna dal 2021, ma a fine 2018 le trattative segnavano il passo, forse in merito a nodi quali la realizzazione su licenza, e trasferimenti di tecnologie giudicate sensibili (8). È invece entrato nel vivo un altro programma varato nel 2017, relativo a 2 pattugliatori d’altura tipo OPV-2400 dell’olandese Damen (ma in costruzione dal 2017 nei suoi cantieri di Galati, in Romania): si tratta di grandi unità da 2.300 t e 23 nodi di velocità, con design stealth e spazi e predisposizioni per imbarcare armi e sensori più performanti di quelli al momento previsti, compresi elicottero e Compatto da 76/62 mm. Le unità, dal settembre 2019 impegnate nelle prove in mare, saranno consegnate nel 2020: e sul tappeto c’è l’ipotesi di realizzarne altre localmente, soprattutto se il progetto delle «Swift Corvette» dovesse naufragare. D’altra parte, nel 2018 è finalmente giunto a contratto un programma in discussione da molti anni, relativo all’acquisizione di 4 corvette/fregate leggere appartenenti al progetto «Milgem» turco, già operativo per la Marina di Ankara con la classe «Ada». Si tratta di unità piccole (2.000 t circa) ma sofisticate e multiruolo, armate con missili antinave «Harpoon» e per la difesa a corto raggio «Sea Ram», elicottero e sistemi antisom, e cannone da 76/62 mm SR di Leonardo. La loro costruzione, suddi-

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visa tra cantieri turchi e pakistani, è iniziata nel 2019, e saranno consegnate tra il 2023 e il 2025; anno in cui dovrebbero pertanto essere in servizio 14 fregate e da 6 a 8 corvette/OPV, senza contare le eventuali opzioni: e tutte con meno di 15 anni di vita; con una sola eccezione. Nel 2010 infatti Karachi acquistò una fregata americana tipo «Perry», costruita nel 1978-1979 ed entrata in servizio col nome di Alamgir e funzioni di ammiraglia nel 2011 dopo una radicale revisione, compresa in un pacchetto da 65 milioni di dollari, con lo sbarco della rampa di lancio per missili prodiera, sostituita da 2 impianti quadrinati per gli «Harpoon», recuperati nel 2015 dalle 2 fregate tipo «Amazon» disarmate. A supporto di una forza di superficie in piena espansione, ad affiancare la rifornitrice Nasr e sostituire la vecchia ex Poolster olandese, nel 2018 è entrata in servizio una nuova Moawin: una moderna unità logistica polivalente frutto di un contratto da 80 milioni di dollari firmato nel 2013 con la turca STM, che ha fornito progetto e assistenza alla sua costruzione nei cantieri di Karachi. Altre unità ausiliarie moderne si sono aggiunte in questi anni, come le 2 piccole cisterne classe «Madadgar», consegnate nel 2011, una nave scuola a vela acquistata in Gran Bretagna nel 2010, e alcune imbarcazioni di uso locale. Anche la Maritime Security Agency ha conosciuto un deciso ammodernamento, soprattutto grazie ai contratti siglati con la Cina nel 2015 per due nuove classi di pattugliatori, da realizzare in parte localmente. Tra il 2016 e il 2018 sono così stati consegnati i 4 «Hingol», da oltre 600 t e 27 nodi di velocità, con spazio a poppa per

limitate operazioni VERTREP, e i 2 più grandi OPV portaelicotteri classe «Kashmir», da 3.500 t e 25 nodi di velocità, completati nel 2018-2019. Nel 2017 sono inoltre entrati in servizio 2 guardacoste tipo «Island» del 1991, ceduti dagli Stati Uniti. Da questo ingente sforzo di ammodernamento, il più vasto mai operato dalla Marina pakistana, non potevano certo restare esclusi i suoi «delfini»; che, in effetti, iniziavano a essere quasi superati dagli eventi. Nel 2006 infatti sono stati disarmati i 4 «Hangor», di fatto dimezzando in un colpo solo la flotta subacquea, ossia l’assetto più pregiato nella strategia asimmetrica imposta al Pakistan dalla superiorità navale indiana. Contando poi l’età avanzata e i limiti operativi dei 2 «Hashmat» e dei 3 sommergibili costieri della COSMOS, gli ammiragli di Karachi potevano contare su 3 soli battelli sofisticati, peraltro necessitanti di interventi per essere equipaggiati con i moduli AIP. Nel 2008 erano pertanto state avviate trattative sia con l’allora DCNS per un secondo lotto di «Agosta-90B», sia con la tedesca TKMS, per 3 ancora più sofisticati Type-214, con l’obiettivo di schierare una decina di battelli. I costi erano però ritenuti eccessivi (tenendo anche conto che Karachi continua ad accarezzare il sogno di acquisire un battello nucleare), tanto da costringere la Marina a scegliere tra un limitato numero di unità più avanzate, o di sacrificare la qualità alla quantità. Dopo lunghe trattative avviate nel 2011, nel 2015 è stato annunciato un accordo con la Cina, per acquisire in 2 lotti 8 sottomarini AIP; il contratto, siglato nel 2016 e del valore stimato tra i 4 e i 5 miliardi di dollari — il più costoso

TABELLA 2 – LE NAVI IN SERVIZIO DAL 2010 O IN COSTRUZIONE (in neretto i programmi completati) 6 4 4 2 1 2 2 4 4 8

FFG FAC OPV OPV JSS OPV FF FFG FF SSK/AIP

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cl. «Zulfiquar» cl. «Azmat» cl. «Hingol» cl. «Kashmir» Moawin Damen OPV2400 Swift Corvette 75 Type 054AP tipo Milgem/Ada cl. «Hangor»

Cina/Pakistan Cina/Pakistan Cina/Pakistan Cina/Pakistan Turchia/Pakistan Olanda/Romania Stati Uniti Cina/Pakistan Turchia/Pakistan Cina/Pakistan

2009-2020 2012-2018 2016-2018 2018-2019 2018 2020-2021 2021 2021-2022 2023-2025 2022-2028

F22P/lotto 2 Guardia Cost. Guardia Cost. Type-039B/S20

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La Marina pakistana si rinnova

e ambizioso quindi della storia navale pakistana —, verte sui battelli tipo «S-20», versione export dei Type-039B della PLAN (o Type-041/«Yuan»), equipaggiati con diesel tedeschi e un sistema AIP derivato dal modello «Stirling», mentre anche parte della sensoristica sarà customizzata. Come accennato, i battelli saranno suddivisi in 2 gruppi: i primi 4 vengono realizzati in Cina, con consegna prevista nel 2022-2023, mentre gli altri saranno prodotti a Karachi, e completati tra il 2027 e il 2028, andando a formare la nuova classe «Hangor», e portando a 11 il numero dei sottomarini AIP pakistani disponibili tra meno di 10 anni; saranno equipaggiati con missili antinave a cambiamento d’ambiente, e probabilmente con una versione navalizzata del missile cruise «Babur-3», che può essere dotato di testata atomica. Una risposta quindi ai sottomarini classe «Arihant» indiani, a livello di capacità di «second strike» nucleare.

Assetti aerei e organizzazione della Marina pakistana Un discorso a parte va fatto per l’Aviazione navale pakistana (Pakistan Naval Air Arm), nata ufficialmente nel 1975, dopo che già all’indomani della guerra del 1965 erano stati attivati assetti aeronavali nell’ambito dell’Aeronautica, e che acquisì materiale moderno e di elevata qualità: nel 1974 furono ordinati 3 Breguet Br1150 «Atlantic» francesi, di seconda mano ma di costruzione recente, entrati in servizio nel 1975-1976 dopo una revisione completa, mentre contemporaneamente giungevano dalla Gran Bretagna 6 fiammanti elicotteri Westland «Sea King» Mk-45; si trattava di validi mezzi antisom, cui si aggiunsero nel 1977 altri 4 elicotteri leggeri SA-319B «Alouette-III» multiruolo,

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affiancati da altri 2 esemplari equipaggiati con radar di sorveglianza nel 1982. Negli anni Ottanta anche gli assetti ad ala fissa venivano potenziati, acquisendo quali ricognitori e aerei da collegamento il Fokker F27MP (alcuni esemplari anche destinati nel 1988 alla MSA) e ammodernando gli «Atlantic», integrando i missili antinave AM-39 «Exocet», e acquisendo un quarto esemplare dismesso dalla Francia. Anche la linea dei «Sea King» fu potenziata integrandovi gli «Exocet», e acquisendo alcuni esemplari di seconda mano, con un ultimo lotto di 6, ottimizzati per l’eliassalto, ricevuti nel 2017-2018, in parte per cannibalizzazione. Nel 1988, infine, venivano ordinati 3 quadriturboelica «Orion», consegnati tuttavia a causa dell’embargo solo nel 1996-1997. Si trattava di seconda mano ma ricostruiti allo standard P-3C/Update II.75, assieme a un pacchetto di equipaggiamenti comprendente 28 missili antinave AGM-84A «Harpoon», per un valore complessivo di 170 milioni di dollari. Per fronteggiare le perdite (nel 1999 erano andati perduti un «Orion» e un «Atlantic», quest’ultimo abbattuto da MiG-21 indiani a

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sostituire gli assetti margine della più datati, lascia «guerra di Kargil»), prevedere l’acquisie la prevista radiazione di nuovi velizione degli aerei voli. Anche la francesi, ritirati dal composizione dei servizio entro il reparti navali e aerei 2012, nel 2005 sono potrebbe subire stati acquistati altri 7 delle variazioni. At«Orion», nella verpattugliatore ASW P-3CUP «Orion»: il Pakistan ne ha acquistati in tutto 12, consegnati già sione ricostruita P- Un ricostruiti in 3 lotti, tra il 1996 e il 2012 (Fonte: wikipedia.it). Nella pagina accanto: un sottomarino tualmente, dal Capo 3CUP, 2 dei quali AIP «Type-039B» della Marina Cinese: nel 2016 il Pakistan ne ha ordinati 8, nella versione export di Stato Maggiore «S-20», da realizzare in 2 lotti entro il 2028, con 4 battelli costruiti localmente (Fonte: nationa(con QG a Islamaper attività addestra- linterest.org). bad) dipendono, tiva, nell’ambito di oltre ai vari enti organizzativi, logistici, specialistici e amun contratto da 970 milioni di dollari, in parte coperti da ministrativi, il Comando Flotta (COMPAK), e quelli della Washington, e consegnati tra il 2007 e il 2012; 2 velivoli grande base di Karachi, dell’area Nord e del Punjab, della distrutti dai Talebani durante l’attacco alla base aeronadifesa costiera, del supporto logistico, di Forze speciali, vale di Mehran, nella notte del 22-23 maggio 2011, sono Aviazione Navale e Sommergibili. stati sostituiti. Due aerei da trasporto ATR-72 spagnoli, Il 18o Squadron Destroyer comprende le 4 nuove freacquistati di seconda mano nel 2013, sono inoltre stati trasformati in pattugliatori ASW (nella variante denomigate classe «Zulfiquar» e la più datata Alamgir, mentre il nata RAS-72 «Sea Eagle») nel 2015-2019, dotati di radar 25o Squadron Destroyer inquadra le restanti 4 «Tariq», AESA «Seaspray-7300», e apparati antisom, mentre già che verranno sostituite dalle nuove fregate cinesi Typeda qualche anno era stato acquisito un Hawker-850XP da 054. Il 10o Squadron pattugliatori schiera le piccole corricognizione elettronica. Va ricordato che l’8o Squadron vette classe «Azmat», mentre un altro squadrone inquadra le unità leggere d’attacco: la prossima entrata di Masroor/Karachi, su «Mirage» 5PA3 dei primi anni in servizio di nuove fregate leggere/corvette/OPV poOttanta, e aggiornati col programma ROSE, è abilitato trebbe portare all’attivazione di un altro reparto. I somalla cooperazione aeronavale, e impiega missili AM-39. mergibili formano la Submarine Force, per ora su un solo Anche la linea ad ala rotante è stata aggiornata, non gruppo operativo. Le unità logistiche e specialistiche solo ammodernando dagli anni 2000 «Sea King» e sono poi inquadrate negli Squadrons 9o e 21o, oltre che «Alouette-3», ma anche acquistando dalla Cina un primo lotto di 6 moderni elicotteri ASW Harbin Z-9EC, destinate ai comandi locali. Infine, l’Aviazione Navale è derivati dall’Eurocopter AS365 «Dauphin» francese, concentrata nella grande base di Mehran, e inquadra 3 che hanno sostituito nel 2009-2010 altrettanti «Lynx» squadriglie di velivoli ad ala fissa (27ª, 28ª, 29ª), altretinglesi, giunti nel 1994 di seconda mano assieme alle tante di elicotteri (111ª, 222ª e 333ª), la 47ª su droni da fregate Type-21. Il rapido espandersi del numero di sorveglianza «Uqab-II»; a Mehran si trova anche il reunità in grado di trasportare elicotteri, e la necessità di parto volo della MSA. 8 NOTE (1) I cantieri italiani realizzarono in quegli anni una nave cisterna per l’India e una per il Pakistan, consegnate rispettivamente nel 1954 e 1960. (2) Si veda anche: G. Da Frè, I grandi condottieri del mare, Newton Compton, Roma 2016, pagg. 654-672. (3) Peraltro, una moderna fregata antisom di costruzione britannica, la Khukri, in servizio dal 1958. (4) Gli SX-404 furono radiati negli anni Ottanta, tranne uno andato perduto nel 1976. (5) Versione UGM-84Am tuttavia mai trasferiti al Pakistan, al contrario delle varianti navale e aviolanciabile. (6) Negli anni Ottanta, prima dell’embargo causato dagli eventi di piazza Tienanmen, nel 1989, Pechino acquistò sistemi missilistici «Crotale» francesi e «Aspide» dell’allora Selenia, per poi svilupparne varianti nazionali. (7) Nel 2004 il governo indiano firmò infatti l’accordo con la Russia relativo alla Gorshkov, e i primi contratti con aziende nazionali e straniere (compresa Fincantieri) per supportare la progettazione della portaerei indigena. Tuttavia, a dispetto dell’allarme generato in Pakistan, la Vikramaditya, frutto della ricostruzione dell’unità russa tipo «Kiev», è entrata in servizio soltanto nel 2013, con 4 anni di ritardo, mentre la Vikrant, impostata nel 2009 e il cui completamento era atteso per il 2016, secondo gli ultimi report sarà pronta solo nel 2021, e pienamente operativa 2 anni dopo. Nel 2017 è stata radiata la vecchia portaerei Viraat, ex Hermes britannica. (8) quwa.org/2018/11/16/pakistan-defence-review-news-updates-4/

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STORIA E CULTURA MILITARE

L’incredibile destino dell’incrociatore s i l o p a n a i d USS In 100

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Domenico Vecchioni (*)

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La USS INDIANAPOLIS (CA-35) vista da poppa, al largo della California, il 10 luglio 1945. Fotografia della Collezione Bureau of Ships, Archivio nazionale degli Stati Uniti.

a gente di mare, si sa, è in genere superstiziosa. A causa probabilmente della imprevedibilità del mare e della pericolosità della loro professione, i marinai si sono sempre mostrati sensibili ai segnali, alle credenze e alle tradizioni suscettibili di attirare misteriosamente la cattiva sorte. Si tratta certo di sentimenti irrazionali, basati solo su miti e leggende che non hanno alcun fondamento, ma che nel mezzo di un oceano in tempesta possono invece assumere forza e consistenza. In realtà è sufficiente navigare con senso responsabilità, con adeguata formazione professionale e rispettando i canoni previsti di sicurezza per neutralizzare le assurde credenze popolari (nessuna banana, nessuna donna e nessun fischio a bordo, mai uccidere un albatro ecc.) e limitare i danni provenienti dalle inevitabili avversità del mare. Ma nell’agosto del 1945 molti marinai credettero che il terribile destino riservato all’equipaggio dell’incrociatore Indianapolis fosse dovuto a una sorta di maledizione, a un fato avverso che aveva voluto vendicarsi del contributo dato dall’incrociatore americano all’annientamento atomico di Hiroshima avvenuto il 6 agosto 1945. Nelle sue stive in effetti la nave aveva trasportato, da San Francisco all’isola di Tinian (punto di partenza dei bombardieri atomici) le parti essenziali (involucro e carica di uranio) di Little Boy, come grottescamente fu chiamata la grossa bomba che rase al suolo la città giapponese. Nella notte del 29 luglio 1945, dopo aver consegnato il suo carico mortifero, l’Indianapolis si dirige verso la base navale di Leyte, nelle Filippine. Sulla sua rotta finisce per incrociare il sottomarino giapponese I-58, comandato dal Capitano Mochitsura Hashimoto e con 129 uomini di equipaggio. Il sommergibile giapponese pattuglia le acque dell’arcipelago filippino, senza peraltro molte speranze di essere utile alla vittoria dell’impero del Sol Levante, in una guerra oramai agli sgoccioli. Quando il capitano giapponese avvista l’incrociatore americano, non può quindi fare a meno di sobbalzare con sorpresa e soddisfazione! Ha una nave nemica alla sua portata: non se la lascerà sfuggire! È arrivato il suo momento. Potrà finalmente dare quel contributo alla causa imperiale che cominciava a disperare di poter offrire. Constata subito che vi sono due elementi a suo favore. L’incrociatore non naviga a zig-zag, come avrebbe dovuto fare secondo le istruzioni, proprio per evitare i sottomarini e cosa, più importante, non dispone di alcuna scorta. È insomma un’occasione unica e irripetibile, che non può mancare. (*) Già diplomatico di carriera, ha ricoperto numerosi incarichi alla Farnesina tra i quali quello di Consigliere alla NATO, Vice Rappresentante Permanente al Consiglio d’Europa, Console Generale a Nizza e a Madrid e Ambasciatore d’Italia a Cuba. Saggista, storico e divulgatore, ha al suo attivo diverse biografie storico-politiche (da Evita Peron a Raul Castro) nonché studi sulla storia dello spionaggio (Storia degli 007 dall’antichità ai nostri giorni). Collabora abitualmente con BBC History Italia ed è Direttore della collana Ingrandimenti presso la casa editrice Greco e Greco di Milano.

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Ordina quindi immediatamente ai suoi uomini di mettersi ai posti di combattimento e fa sparare dai tubi di lancio anteriori tre siluri. È appena passata la mezzanotte del 30 luglio. Dopo alcuni tesissimi minuti di attesa, nel sottomarino giapponese scoppia l’entusiasmo. I tre siluri hanno fatto centro! L’incrociatore è stato colpito al cuore. In effetti si è spaccato in due e in meno di venti minuti viene inghiottito dalle acque. Tempo comunque sufficiente per i due terzi dei 1.200 uomini di equipaggio di buttarsi alla bell’e meglio in acqua o, per i più fortunati, di salire sui pochi battelli pneumatici che era stato possibile recuperare, dopo che le lance di salvataggio erano colate a picco con la nave. In totale dunque quasi 800 marinai sopravvivono al naufragio, mentre gli altri 400 rimangono incastrati nelle viscere dell’incrociatore affondando irrimediabilmente negli abissi. Gli ottocento sopravvissuti, pur storditi dall’improvvisa disgrazia, sono tuttavia felici di constatare che il sommergibile giapponese non è riemerso in superficie per «finire il lavoro» mitragliando i naufraghi nemici, come erano soliti fare! Il Capitano Hashimoto è sicuro di aver compiuto al meglio la sua missione. Ne è molto soddisfatto. Non è necessario infierire e di conseguenza decide di abbandonare il luogo del naufragio, anche perché teme che navi nemiche possano avvicinarsi per portare soccorso. In effetti tra i marinai che hanno salvato al vita regna una relativa tranquillità, sicuri che in breve tempo sarebbero arrivati gli aiuti invocati. Nel frattempo, grazie ai gilet di salvataggio e alle tavole di legno riemerse dalle strutture della nave, quasi tutti i naufraghi potranno passare indenni la loro prima notte trascorsa nelle acque dell’oceano. Con le prime luci dell’alba, la speranza di

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essere avvistati da un aereo si fa gradualmente più consistente, ci si incoraggia a vicenda e non si nutrono dubbi che la base navale di Leyte sia al corrente di quanto accaduto. Ma all’improvviso tutte queste confortevoli speranze lasciano il posto a sentimenti di incontenibile terrore: un branco di grossi squali affamati, attirati evidentemente dal sangue delle prime vittime, si sta dirigendo verso di loro! Una minaccia contro cui è impossibile difendersi. La maggior parte dei naufraghi è immersa nell’acqua ed è quindi comprensibile la loro reazione di voler a tutti i costi salire sui pochi battelli pneumatici già zeppi fino all’inverosimile dei loro più fortunati colleghi. Col solo risultato tuttavia di capovolgere i battelli, condannando gli occupanti a morte sicura. Gli implacabili squali attaccano con inaudita violenza. Non c’è scampo. È impossibile resistere allo loro forza travolgente. L’oceano si tinge di rosso, il rosso del sangue delle vittime che ancora di più eccita i pescecani che continuano a divorare senza sosta. La scena è terrificante. Grida disperate, urla agghiaccianti, corpi orrendamente straziati, decine e decine di marinai letteralmente mangiati da quei mostri marini. Risparmiati dal sommergibile giapponese, i superstiti saranno decimati dagli squali. Destino davvero orribile! I marinai che mostrano di avere più sangue freddo, cercano di applicare le istruzioni apprese sui manuali della Marina nel caso di attacchi provenienti da squali. Cercare cioè di spaventarli sguazzando rumorosamente nell’acqua e propinando calci ben finalizzati. Ma una cosa è leggere queste istruzioni durante un corso di addestramento, altra cosa è avere di fronte a sé un mostro lungo 6-7metri e dal peso di oltre una tonnellata… Misura dunque, che

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grandi quantità, provocando l’accelerazione della loro in quelle circostanze, alla presenza cioè un branco di morte. La mancanza d’acqua risulta così atroce da rensquali affamati e inebriati dal sangue che scorre in abdere meno angosciante persino l’assenza di cibo. bondanza, si rivela drammaticamente inconsistente. Altro nemico dei naufraghi si rivela il sole dei tropici, Si calcola che i marinai vittime degli squali, e, come che picchia inesorabilmente e incessantemente sulla testa vedremo, del caldo e della sete, siano stati più di 400! dei malcapitati, che non dispongono di alcuna ombra per Terminato l’inaspettato festino, gli squali se ne vanno. ripararsi. Inevitabili i colpi di sole e gravi bruciature sulla Ma altri pericoli e disastri attendono i naufraghi. Nel pelle. E poi ci sono sempre gli squali che non hanno comcorso delle ore seguenti ci si rende conto con angoscia pletamente abbandonato la partita e ogni tanto si rifanno che nessuna missione di soccorso è stata inviata, altrivivi. Insomma ogni dieci minuti muore un marinaio! Fimenti sarebbe già arrivata. La sensazione di essere stati nalmente al quinto giorno abbandonati si diffonde tra di sofferenza un aereo i marinai, soprattutto al americano in missione di calar del sole, quando non ricognizione di routine inpotranno essere localizzati travede un insolito spettadall’alto e dovranno pascolo: centinaia di uomini, sare un’altra lunga notte in piedi sui loro instabili immersi nelle acque delbattelli, agitano le loro cal’oceano. mice, gridando di gioia e di Ma cosa è successo? La speranza. Dopo vari giri su Marina americana, per inse stesso per rassicurare i credibile che possa semnaufraghi di averli localizbrare, non ha ricevuto alcuna notizia dell’affonzati e dopo aver lanciato damento dell’Indianapolis. alcune zattere gonfiabili, il Un enorme, incredibile erpilota dà finalmente l’alrore di coordinamento tra larme, inviando alla base le varie sezioni della base un rapporto di avvistadi Leyte incaricate di momento. Presto arriveranno nitorare la navigazione, fa Il Comandante dell’INDIANAPOLIS, McVay III. Nella pagina accanto: i soprav- i sospirati soccorsi. vissuti alla disgrazia durante il trasporto verso l’ospedale (Fonte: sì che ciascuna sezione history.navy.mil). I sopravvissuti alla trapensa che sia l’altra ad gedia saranno in definitiva avere preso in carico l’Indianapolis. Di conseguenza nes318, il che vuol dire che i marinai deceduti sono stati suno si preoccupa troppo dei messaggi radio provenienti 878 di cui grosso modo una metà sprofondata negli dall’incrociatore, come nessuno pensa di rispondere nella abissi con la nave e l’altra stroncata dagli squali, la sete convinzione che altri abbiano già risposto. Così, in quei e il sole tropicale. Una tragedia navale così presente nella terribili momenti, nessun aereo, nessuna nave si mette in memoria collettiva americana che Steven Spielberg, per movimento per soccorrere gli sfortunati sopravissuti, la aumentare la drammaticità della sceneggiatura e dare cui situazione non fa che peggiorare drammaticamente maggior forza evocativa ai dialoghi del suo famosissimo col passare delle ore e dei giorni! film Lo Squalo (Jaws), aggiunge un preciso riferimento Innanzitutto c’è la grande sete che secca completaal naufragio dell’Indianapolis. Così uno dei personaggi mente la gola e tormenta il fisico. Qualcuno pensa di vindel film (il Capitano Quint, interpretato dall’attore Rocerla bevendo la propria urina, altri ingoiano piccole dosi bert Shaw) è uno dei sopravvissuti dello storico incrodi acqua salata, altri ancora, praticamente impazziti, non ciatore e spiega appunto come era riuscito a sopravvivere resistono alla tentazione di bere l’acqua del mare in all’attacco degli squali.

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Naturalmente il naufragio ebbe un seguito giudiziario. Il comandante McVay III fu deferito alla Corte marziale e accusato di non aver preso le misure necessarie per evitare l’attacco sottomarino, di non viaggiare a zig-zag secondo regolamento e di non avere richiesto la scorta. Veniva anche accusato di non aver saputo organizzare una corretta evacuazione della nave. Malgrado il suo eccellente curriculum, nonostante la tradizione marinara della famiglia (era figlio e nipote di un ammiraglio), McVay III fu dichiarato colpevole! A nulla valsero i pur significativi argomenti presentati a sua difesa. McVay in particolare dichiarò di aver espressamente fatto richiesta di una scorta, ma aveva ricevuto una risposta negativa. Il caccia di scorta previsto, Underhill, era affondato qualche giorno prima della partenza, ma nessuno glielo aveva comunicato. L’accusa che avesse omesso di navigare a zig-zag, aumentando le possibilità di essere attaccato da un sottomarino, era senza fondamento. In quelle condizioni e con quella visibilità non sarebbe servito a nulla! Circostanza confermata dallo stesso Capitano Hashimoto, chiamato a testimoniare, il quale dichiarò che per lui non ci sarebbe stata alcuna differenza se McVay non avesse navigato in linea retta. L’evacuazione della nave poi era stata fatta nelle sole condizioni possibili che consentiva una nave colpita in pieno e in procinto di affondare in 15-20 minuti. La Corte marziale tuttavia rimase insensibile a tutte queste argomentazioni. McVay del resto costituiva il capro espiatorio ideale da dare in pasto a un’opinione pubblica rimasta profondamente scossa dalla tragedia. Pesava poi sullo sfortunato comandante un altro elemento a suo sfavore: aver salvato la propria vita! Se ci fosse stata meno fretta di trovare un responsabile su cui far ricadere tutta la colpa, la Corte marziale avrebbe fatto meglio a indagare sull’operato del Centro controllo traffico di Leyte, per individuare i responsabili dell’incredibile ritardo con cui furono organizzati i soccorsi, arrivati sul posto dopo 5 giorni! Se il naufragio non si poteva evitare, i suoi danni si potevano certo contenere. Lo stesso imputato chiese alla Corte di indagare in quella direzione, ma non ebbe risposta. Dopo la guerra McVay lasciò la Marina, molto provato dalla sentenza della Corte marziale. Gli anni che segui-

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rono furono molto difficili per lui. Se gran parte dei superstiti continuava a ritenerlo innocente, alcune associazioni dei familiari delle vittime, invece non risparmiavano dichiarazioni e prese di posizione per ricordargli la sua imperizia e le sue responsabilità. Una terribile pressione psicologica cui non riuscì a far fronte e che esplose quando fu colpito anche sul piano degli affetti familiari, perdendo la moglie a causa di una grave malattia. Nel novembre 1968 il coraggioso ma sfortunato comandante pose fine ai suoi giorni, sparandosi alla testa con la sua pistola d’ordinanza. Ma molti dei suoi compagni di sventura non smisero di difenderne la memoria e l’operato, chiedendone la piena riabilitazione e sollecitando in tale prospettiva autorità di governo, uomini politici e lo stesso Congresso. Finalmente dopo anni di ingiustificata ritrosia la Marina americana accolse la richiesta avanzata dallo stesso Presidente Bill Clinton e nel 2001 emise un comunicato ufficiale in cui scagionava il comandante McVay III da ogni responsabilità nella tragedia dell’Indianapolis. Recita il testo: «Il popolo americano dovrebbe ora riconoscere l’assenza di colpevolezza del comandante McVay per la tragica perdita dell’USS Indianapolis e della vita degli uomini che vi perirono a seguito dell’affondamento dell’unità. Nel ruolino di servizio del capitano di vascello McVay è stato inserito il proscioglimento della responsabilità della perdita dell’unita e della vita dei suoi uomini». Un modo per rendere, sia pur tardivamente, giustizia a chi era stato ingiustamente accusato. McVay in effetti, eccellente ufficiale di Marina, aveva pagato per colpe e responsabilità altrui. Non si era in effetti voluto del resto indagare sulle carenze della stessa Marina, sulla negligenza di altri alti ufficiali, sulle imprecise informazioni fornite al comandante dell’Indianapolis. L’opinione pubblica voleva subito un colpevole su cui riversare i suoi sentimenti di frustrazione e di rabbia davanti all’immane tragedia e chi meglio lo poteva rappresentare se non il comandante, colpevole per giunta si essere sopravvissuto? Ma, in definitiva, hanno forse ragione i marinai convinti che il fato abbia voluto punire l’Indianapolis per aver trasportato l’arma fatale che avrebbero distrutto la città di Hiroshima, cancellando in un baleno la vita di 70.000 persone? 8 Rivista Marittima Aprile 2020


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RUBRICHE

FOCUS

D I P L O M AT I C O

Al tempo del coronavirus (20 marzo 2020) Il virus ha rimesso in moto tutte le diatribe e le fratture dello scenario internazionale dell’era post-globale. In Europa, le difficoltà di coordinare un piano sanitario e varare un programma comune di rilancio economico, la ricomparsa delle frontiere in area Schengen, le disfunzioni commerciali in nome di accaparramenti nazionali di respiratori e ventilatori polmonari. Più oltre, nel Mediterraneo e in Medio Oriente, c’è chi profitta per indebolire l’avversario proseguendo assedi e campagne belliche, chi subisce l’aggravarsi di condizioni socio-economiche e di bilancio già precarie, chi spera di trarre vantaggio da insperati rinvii di un processo per corruzione e provvidenziale chiusura del Parlamento, chi punta a prevalere sui concorrenti nella corsa al ribasso dei prezzi degli idro-

Ma c’è anche chi, nella confusa girandola di tamponi, cocktail di farmaci anti-virus, competizione per arrivare prima di altri alla scoperta di vaccini, o riemergere per primi nello scenario di una de-globalizzazione incalzante, si sta chiedendo perché mai il cielo si accanisca ancora una volta contro un popolo accasciato da nove anni di guerra. In Siria, solo i curdi del Rojava stanno cercando di darsi una qualche organizzazione di contrasto al virus, necessariamente con i mezzi di fortuna, in un contesto sempre gravato da campi di prigionia di foreign fighters che nessuno vuole indietro. Altrove, non è dato conoscere cosa succeda nei martoriati centri urbani, periferie, campagne. Accentuano i rischi di contaminazione la fitta presenza militare di ingombranti vicini, le sacche di ribellione indomita, mentre il nemico

carburi, chi ricorre a prestiti del FMI senza troppe speranze di vederseli concedere, chi tenta di acquisire posizioni più favorevoli in trattative improbabili sulle spalle dei migranti. E altrove, c’è chi diffonde fake news per screditare sistemi democratici, chi paventa indesiderati ritardi nel progetto di de-linkage dal Continente, chi oscilla tra tentazioni di minimizzare il rischio e rapide manovre per arrestare crolli in borsa o di valuta. Chi si scambia accuse di essere all’origine del virus e riassume toni di confronto che solo a dicembre parevano attenuati, chi è costretto a riconsiderare i tassi di crescita nella sua corsa al primato mondiale. Ci si salva insieme o non ci si salva, si ripete. Mentre il pensiero corre al si salvi chi può. Una ritirata entro le barriere del nazionalismo antagonista. Prospettive di rovinose guerre commerciali.

di tutti, l’ISIS residuale che si annida nei deserti, può trovare nuovi spazi e opportunità. Inoltre, il coronavirus ci distrae dalla tragedia delle migliaia di profughi, molti Afgani, che si accalcano alle frontiere greco-turche di Edirne. In uno scenario rimasto in sospeso, ove né Mosca né l’Europa hanno finora potuto placare recriminazioni non sempre ben riposte. Il virus ci riporta d’un tratto a una situazione in cui principi e ideali lasciano spazio alla logica primordiale della paura e sopravvivenza. Sempre più difficile recuperare i termini di una convivenza internazionale basata sull’ordine multilaterale costituito. Allorché una pandemia, per definizione, dovrebbe animare ovunque uno spirito di collaborazione nella ricerca di rimedi vuoi sanitari vuoi economico-finanziari. L’ONU e le Agenzie colle-

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Focus diplomatico

gate non possono che lanciare allarmi sui rischi di contagio, mettere in guardia sulle prospettive prossime e su quelle future, fare la conta delle vittime nei diversi Continenti, elargire raccomandazioni, attirare l’attenzione sulle condizioni dei più deboli ed emarginati, e sulle prospettive cupe dell’economia globale, ma non possono dettare prescrizioni che non sono richieste dagli Stati. È di ieri, l’appello accorato di Guterres per un cessate-ilfuoco ovunque nel mondo. Nel frattempo, scienziati e ricercatori, le sole categorie che praticano lo scambio di informazioni, individuano Obiettivo comune di tutti i Paesi e i Continenti: la lotta al virus (Fonte: fisar.org).

come causa principale del frequente proliferare mondiale dei virus il vistoso squilibrio determinato dai comportamenti umani nel pianeta, non solo mediante urbanizzazioni sfrenate ma con una sistematica distruzione dell’habitat originario degli animali che sono naturale deposito dei virus stessi (foreste pluviali o altro). Esiste una connessione diretta tra il contagio dei virus, problemi sociali ed economici, e ambiente planetario. Siamo ancora in tempo per porre rimedio? In Europa, si sta facendo strada un approccio impron-

tato a maggior realismo. La BCE inaugura il Pandemic Emergency Purchase Program, la Commissione sospende il Patto di Stabilità. Sono primi passi. Altre misure saranno necessarie verso una politica di responsabilità e lungimiranza comune. Ma anche questo non sarà sufficiente se non si allargherà lo sguardo all’intero pianeta, superando, in nome della pandemia, fratture, diatribe, scontri bellici. Il mondo è interconnesso e nessuno può pensare di limitarsi a una dimensione regionale. Il virus rimbalza dal Pacifico al Mediterraneo all’Atlantico, mettendo a rischio la tenuta sociale di Paesi e continenti. La ripresa non potrà compiersi senza una chiamata a correo mondiale, mediante la riattivazione delle Organizzazioni Internazionali esistenti o formule di coordinamento più ristrette ma che coinvolgano i grandi protagonisti nei diversi Continenti. Con l’obiettivo di fissare regole o quantomeno principi comuni. Vi è, in questo, una responsabilità primaria dei grandi attori mondiali, inclusa l’Europa. Nel 2021 l’Italia assumerà per la prima volta la Presidenza del G20. La lotta alle conseguenze economico-sociali del coronavirus sarà necessariamente una priorità assoluta, da gestire in modo coordinato, mobilitando ogni risorsa, e ricorrendo anche a idee innovative quali un nuovo sistema fiscale internazionale (già annunciato nei mesi scorsi) che, a partire da una adeguata tassazione dell’economia digitale, possa contribuire a sorreggere la ricostruzione economica. È in gioco la riabilitazione del pianeta. Che non potrà prescindere da un cambiamento di rotta, in campo economico, sociale, ambientale, culturale. Valgono più che mai le linee-guida dell’Agenda 2030 che l’ONU ha messo in campo per uno Sviluppo Sostenibile. Se gestito in modo cooperativo, il coronavirus potrebbe paradossalmente rappresentare una grande opportunità. Laura Mirachian, Circolo di Studi Diplomatici

Entrata in carriera diplomatica nel 1974. Tra i principali incarichi: in servizio all’Ambasciata a Mogadiscio durante la guerra dell’Ogaden, nel 1987 alla Rappresentanza Permanente presso Nazioni Unite e OO. II. a Ginevra per seguire i negoziati multilaterali dell’Uruguay Round che avviano la globalizzazione dei commerci, nel 1991 all’Ambasciata a Belgrado come Incaricata d’Affari durante le guerre balcaniche, nel 1995 a Roma come Capo dell’Unità Balcani e Mediterraneo Orientale. Nel periodo 2000-2004 Ambasciatore a Damasco. Al rientro a Roma, Direttore Generale per i Paesi Europei. Dal 2009 al 2013, Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite e OO. II. Nel 2008 nominata Ambasciatore. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’Associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di Ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.

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O SSERVATORIO Afghanistan: meno aiuti e tanti problemi Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato che Washington ridurrà gli aiuti all’Afghanistan di $ 1 miliardo quest’anno a causa di un impasse della leadership nel Paese che sta ostacolando un piano mediato dagli Stati Uniti per i colloqui con i talebani. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha tentato di negoziare un accordo di condivisione del potere a Kabul tra il Presidente afghano Ashraf Ghani, vincitore ufficiale di una recente elezione, e il concorrente Abdullah Abdullah, che ha rivendicato la vittoria. Pompeo ha affermato che gli aiuti potrebbero essere ripristinati se i leader afgani cambiassero il loro comportamento, altrimenti, nel 2021, questi fondi sarebbero definitivamente sospesi (per ora sono semplicemente posti in attesa di essere trasferiti a Kabul). Pompeo ha affermato che i tagli non influenzeranno l’assistenza degli Stati Uniti Il Presidente afghano Ashraf Ghani (Fonte: alle forze di sicupresident.gov.af). rezza afghane, mentre Ghani ha dichiarato che il suo governo lavora per invertire la decisione degli Stati Uniti, ma allo stesso tempo, cercare fonti alternative di finanziamento. L’improvviso viaggio del segretario da Washington, anche con il problema del coronavirus che impatta nella vita negli Stati Uniti e logora la stabilità dell’attuale amministrazione è comunque un pesante indicatore del crescente allarme dei funzionari statunitensi per lo stallo politico e i rischi di destabilizzazione nel governo afghano, la cui coesione è necessaria per dare credibilità e portare a conclusione il negoziato con i talebani e non ripetere l’altro disastro politico che da troppi mesi affligge la governabilità irachena, dove non si riesce a trovare una minima intesa tra partiti, persone, gruppi ed entità di ogni tipo e natura. L’influente giornale Washington Post, noto per una dura ostilità all’amministrazione Trump e che critica

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INTERNAZIONALE ogni sua decisione, sottolinea che resta essenziale che gli Stati Uniti promettano di fornire al governo afghano supporto economico, diplomatico, di intelligence e militare a lungo termine. Ma i problemi non vengono mai da soli. Infatti, alle dispute all’interno di quella parte del mondo politico afghano che è schierato con Washington e i suoi alleati, si aggiungono fattori esterni infatti, da quando i leader statunitensi e talebani hanno firmato un accordo di pace il 29 febbraio scorso, il mondo è stato scosso dalla diffusione del Coronavirus. Come parte dell’accordo, gli Stati Uniti hanno deciso di ridurre il numero di truppe in Afghanistan da 13.000 a 8.600 nei prossimi mesi e di ritirare tutte le truppe entro 14 mesi. Quest’accordo sembra difficile da mantenere, infatti, a metà di marzo circa 1.500 militari e contractors sono tornati in Afghanistan, previa una quarantena obbligatoria di 14 giorni prima di poter iniziare le loro operazioni. Questo mentre il personale della 82a Divisione paracadutisti e della 1a Divisione corazzata è stato posto in quarantena dopo un periodo di servizio in quella nazione. Questa situazione sta creando un innegabile effetto a catena nel processo di rotazione dello spiegamento delle forze armate statunitensi in Asia Centrale (e in tutto il mondo). In conformità con l’accordo di pace, gli Stati Uniti hanno anche concordato di favorire lo scambio tra mille militari e poliziotti afghani contro 5.000 talebani, nonostante una dura resistenza da parte del Presidente Ghani. I funzionari stanno tentando di accelerare questo processo al fine di mitigare il rischio sanitario per i prigionieri e tentare di mantenere intatto l’accordo di pace.

UNAMID (UN-African Union Mission in Darfur): una transizione? Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il Darfur sta prendendo in considerazione una nuova missione di consolidamento della pace che potrebbe sostituire l’attuale missione congiunta ONU-Unione Africana (UNAMID, UN-African Union Mission in Darfur). Il mandato della nuova missione consisterebbe nell’aiutare il Sudan a prepararsi per le elezioni democratiche e a compilare una nuova costituzione. La proposta fa seguito a una richiesta in febbraio da parte del governo di transizione per tale missione. Il progetto di risoluzione sugge-

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risce che già dal 1o maggio l’UNAMID (istituita nel 2007) potrebbe essere sciolta. Il suo mandato principale, quello di protezione dei civili, sarebbe trasferito al governo ad interim del Sudan. Dal 1o maggio, per un periodo iniziale di un anno, verrebbe istituita una nuova missione chiamata UNPPIMS (UN Political and Peacebuilding Integrated Mission in Sudan). La nuova entità dovrebbe essere sostanzialmente più ridotta dell’attuale UNAMID (4.300 soldati, 2.100 agenti di polizia e circa 1.500 dipendenti civili) con 2.500 agenti di polizia e un battaglione di reazione rapida (800 soldati), ma con un’importante presenza di civili qualificati nell’assistenza alla transizione, mediazione e assistenza nel capacity

Il Consiglio di Sicurezza ONU delibera sul Sudan (Fonte: un.org).

building di istituzioni democratiche. Il governo di transizione del Sudan ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di istituire un’operazione per assistere nel processo di pace e aiutare il Sudan a mobilitare l’assistenza finanziaria internazionale. In una lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla fine dello scorso gennaio, firmata dal Primo ministro Abdallah Hamdok, venivano riassunti gli ultimi sviluppi politici del Paese e che hanno visto la fine del governo del General Bashir (al potere dal 1989 al 2019) e dei timori che una chiusura dell’UNAMID senza un adeguato rimpiazzo potesse riportare al potere i clan politici, militari e tribali che hanno gestito il Sudan e le sue disgraziate guerre civili. L’UNAMID, che al picco delle dimensioni aveva raggiunto quasi 20.000 tra soldati e poliziotti, in realtà ha

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avuto una vita difficile, essendo duramente ostacolata e in ogni modo dall’allora governo di Khartoum che, di fatto, appoggiava le feroci milizie «Janjaveed» (cavalieri armati) che aggredivano e massacravano le popolazioni agricole del Darfur che ostacolavano il nomadismo degli allevatori. Questa nuova contrapposizione fa da esca a conflitti già esistenti e porta a violenze inenarrabili che richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale grazie all’eccezionale mobilitazione di media e personaggi famosi e, nonostante la durissima opposizione di Khartoum, le Nazioni Unite sono riuscite a inviare una forza incaricata di proteggere le popolazioni civili di quella disgraziata regione. L’allora governo sudanese, grazie a una campagna politica e di lobbying, riesce a far entrare nel meccanismo l’Unione Africana, con il palese obiettivo di tagliare le unghie all’ONU e a una sua capacità invasiva. L’UNAMID proprio per questa doppia natura non è mai stata né amata né considerata dall’ONU, anche per i problemi funzionali che la co-gestione con l’Unione Africana portava e che ha obbligato la NATO a intervenire con supporti logistici e di consulenza, soprattutto nelle prime fasi dell’operazione. Inoltre, l’UNAMID è nata come un tentativo di migliorare le performances della precedente missione africana in Darfur, la AMIS (African Union Mission in Sudan), considerata poco efficiente e giudicata non in grado di svolgere pienamente le funzioni di protezione dei civili per il fatto che il Sudan, quale Stato aderente all’Unione Africana, riusciva a imporre una linea di condotta favorevole ai suoi piani, orientati a spegnere focolai di resistenza nel Darfur.

Taiwan: cresce la rabbia La rabbia sta crescendo a Taiwan contro una Cina che continua a svolgere manovre aeronavali intorno all’isola e questo anche nei momenti più bui della crisi sanitaria che colpiva Pechino. L’isola ha risposto con continui decolli delle sue forze aeree e manovre di unità navali. Le manovre delle forze armate di Pechino per sé non sono una novità. Infatti, sin dal 2016 la Cina ha aumentato la pressione verso l’isola con ogni mezzo in quanto vede con preoccupazione l’affermarsi e il consolidarsi, nella società civile (e nella direzione politica) taiwanese, di aspirazioni indipendentiste e la riduzione del ruolo del Vecchio partito nazionalista (il Kuomintang) che sebbene

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anticomunista non voleva assolutamente staccare il cordone ombelicale con il continente. Questo cambio, anche per i mutamenti demografici all’interno dell’isola è considerato come destabilizzante e arriva a minacciare apertamente azioni di forza. La Presidente Tsai Ing-wen, rieletta nel gennaio scorso, è al centro delle «attenzioni» di Pechino perché rifiuta di riconoscere il concetto secondo cui Taiwan fa parte di «una Cina». Le manovre cinesi hanno scatenato la rabbia sui social media taiwanesi con diverse richieste di abbattere i velivoli di Pechino (un jet cinese ha brevemente attraversato la linea mediana che separa i due spazi aerei nel febbraio scorso, meno di un mese dopo la rielezione di Tsai). Come in altri scenari

La presidente taiwanese Tsai Ing-wen (Fonte: media.president.gov.tw).

il coronavirus è diventato un ulteriore campo di battaglia politico. La Cina accusa Taiwan di utilizzare lo scoppio della pandemia per promuovere l’indipendenza in quanto Taipei ha firmato diversi accordi bilaterali con Paesi, compresi gli Stati Uniti, sulla prevenzione delle epidemie e ha anche cercato di aderire all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Accanto all’allerta delle forze di Taiwan, è stata registrata anche la presenza, per una ennesima volta nell’area, di un velivolo RC-135U «Combat Sent», specializzato nell’intercettazione e codificazione delle comunicazioni militari.

Russia: muscoli flessi Sono incrementate le attività aeree russe che suscitano attenzione da parte della NATO e dei suoi partner in Europa. Anche in Asia si registra una significativa crescita

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di attività. L’ultima settimana di marzo ha visto un volo, definito come programmato da tempo, da parte del Ministero della Difesa di Mosca, della durata di oltre nove ore, di una coppia di bombardieri strategici Tu-95MS (codice NATO «Bear», la versione dedicata al trasporto e lancio di missili da crociera) sulle acque internazionali del mare del Giappone e sulla parte nord-occidentale dell’Oceano Pacifico. In alcune fasi del percorso, gli aerei russi erano accompagnati da caccia dell’aviazione giapponese. Secondo il Ministero della Difesa di Mosca, tutti i voli russi sono effettuati in stretta conformità con le norme internazionali relative all’uso dello spazio aereo.

Australia: Northern Hub strategico Mentre il governo australiano tenta di gestire la poliedrica crisi della pandemia di COVID-19 che sta attualmente investendo il globo, continuano le attività di pianificazione e operazioni relative alla sicurezza nazionale tradizionale. Il modo in cui il governo australiano bilancerà gli aspetti economici, sanitari e di sicurezza di COVID-19, con la necessità di mantenere la vigilanza sulla minaccia in atto rappresentata da Paesi come la Cina, è motivo di preoccupazione. La pressione strategica cinese che naturalmente influenza gli equilibri regionali e mondiali continuerà, pandemia o meno, e l’Australia ha aggiunto ulteriore vigore alla sua presenza strategica nella regione indo-pacifica annunciando un massiccio piano di rafforzamento della base della RAAF (Royal Australian Air Force) a Tindal, nel Territorio del Nord. Tindal è stata la principale installazione di proiezione di potenza per tre decenni (anche se in uso discontinuo sin dal 1942). Dopo lo «spostamento a nord» dell’Australia, per gran parte delle sue unità militari e capacità, dalla fine degli anni Ottanta, Tindal è stata la sede della prima linea australiana per i suoi aerei d’attacco e ricognizione, oltre a ospitare unità aeree statunitensi, di nazioni alleate e partner. La progressiva entrata in servizio degli F-35 Joint Strike Fighters «Lighting II» è l’occasione per lanciare miglioramenti importanti della base, che potrà accogliere anche bombardieri strategici B-52 dell’USAF. L’annuncio dell’avvio dei lavori è un passo importante per il miglioramento della capacità di combattimento aereo dell’Australia e verso un’ulteriore interoperabilità con gli

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le esportazioni di armi russe hanno rappresentato il 21% delle esportazioni totali di armi nel mondo nel 2015-2019, ma erano inferiori del 18% rispetto al 2010-2014. Sebbene l’India sia rimasta il principale destinatario di armi russe nel 2015-2019, rappresentando il 25% del totale, le esportazioni di armi russe in India sono diminuite del 47% tra il 2010-2014 e il 2015-2019. Nel 2015-1919 la Russia ha consegnato le armi a 47 Stati. Un totale del 55% delle sue esportazioni di armi è anRussia: principessa d’Africa dato ai suoi tre principali destinatari: India, Cina e Algeria. A livello regionale, gli Stati in Asia e Oceania hanno I Paesi africani hanno ordinato hardware russo per circa rappresentato il 57% delle esportazioni di armi russe nel 1 miliardo di dollari dalla Russia negli ultimi sei mesi. Se2015-2019, il Medio Oriente il 19%, l’Africa il 17%, condo Dmitry Shugaev, direttore del Servizio federale per l’Europa il 5,7% e le Americhe lo 0,8%. Le esportazioni la cooperazione tecnico-militare (FSVTS), i rappresentanti russe delle principali armi in Medio Oriente sono aumendella maggior parte dei Paesi africani hanno confermato la tate del 30% tra il 2010-2014 e il 2015-2019, ha affervolontà di sviluppare una cooperazione strategica con la mato SIPRI. Nel 2015-1919 Russia, anche nell’ambito l’Egitto e l’Iraq sono stati i tecnico-militare. Molti principali destinatari delle hanno espresso interesse esportazioni di armi russe in nell’acquisizione di attrezzaMedio Oriente, rappresenture e armi militari, aumentando, rispettivamente, il 49 tando le quote per l’addestramento del persoe il 29% delle esportazioni nale nazionale e l’assistenza di armi russe nella regione. di quello specializzato. Le consegne in Iraq sono Dall’ottobre 2019, il portaaumentate del 212% nel pefoglio di ordini dei Paesi riodo 2010-2014, mentre africani per le armi russe ha quelle in Egitto sono auraggiunto l’ammontare di un Un momento del Summit Russia-Africa a Sochi (Fonte: todaynewsafrica.com). mentate del 191%. Sebbene miliardo di dollari. Pertanto, le forze russe sostengano il il vertice di Russia-Africa di Sochi (23-24 ottobre) ha dato governo siriano nel conflitto in Siria dal 2015, le conseun impulso tangibile e reale alla cooperazione con i Paesi gne di armi russe in Siria sono diminuite dell’87% tra il del continente nonostante l’opposizione e le sanzioni (in 2010-14 e il 2015-1919, e rappresentavano solo il 3,9% particolare dagli Stati Uniti ed Europa). L’anno scorso i delle esportazioni di armi russe in Medio Oriente e lo maggiori clienti della Russia erano Cina, India ed Egitto. 0,7% del totale delle esportazioni di armi russe nel 2015La Turchia è stata un cliente notevole, acquisendo sistemi 2019. I dati SIPRI hanno mostrato che nel 2019 la Russia di difesa aerea S-400. Il 45% delle esportazioni militari ha esportato in Algeria 300 veicoli BMPT-72 Terminator, russe è legato al trasporto aereo, quasi un terzo delle atha concluso la consegna di 12 caccia Su-30K in Angola, trezzature di difesa aerea e circa il 15% dei sistemi terrestri. fornito quattro sistemi di difesa aerea Pantsyr-S1 in EtioIl resto è equipaggiamento navale e altri prodotti. Per pia e 300 missili anticarro AT-6 e diversi elicotteri d’atquanto riguarda il COVID-19, Mosca è cosciente delle tacco Mi-35M in Nigeria. L’Egitto ha ricevuto missili conseguenze che potrebbe avere sul settore della difesa e anticarro AT-16 e AT-9, un satellite da ricognizione, eliha già rallentato i negoziati con la Cina. Secondo l’Istituto cotteri d’attacco Ka-52, aerei da combattimento MiGinternazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI), 29M e missili aria-aria AA-11 e AA-12. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nonché per operazioni più strette con alleati e partner emergenti come il Giappone e, in prospettiva, India, Indonesia e Corea del Sud. Si prevede che i lavori inizieranno a metà 2020 con le strutture e gli aggiornamenti da completare entro il 2027 anche se non è stato fatto alcun annuncio ufficiale, al contrario, l’incertezza causata da COVID-19 potrebbe modificare il cronoprogramma.

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G5 Shael: non un colpo di spada nell’acqua Al vertice di Pau, che ha riunito la Francia e i Paesi del G5 Sahel, il 13 gennaio scorso, oltre all’invio in zona di altri 600 soldati francesi, è stato deciso di rafforzare il coordinamento tra il quartier generale della forza «Barkhane» e la forza congiunta del G5 Sahel oltre ad accentuare gli sforzi contro lo Stato islamico nel grande Sahara (nella zona nota come i tre confini, perché situato ai confini del Mali, del Niger e del Burkina Faso). Ciò ha comportato, in particolare, l’istituzione di un meccanismo di comando congiunto (MCC), con l’integrazione di elementi di collegamento del comando della forza G5S all’interno del posto di comando congiunto di teatro «Barkhane» a N’Djamena (Ciad), una cellula di intelligence e un posto di comando congiunto presso il QG del G5S a Niamey (Niger). Le nuove architetture sono state dichiarate operative il 13 marzo scorso. In particolare il posto di comando congiunto dovrebbe coordinare le azioni condotte dalle varie unità — di «Barkhane», G5S e delle forze armate nazionali — impegnate nell’area delle tre frontiere. Inoltre, l’unità di intelligence ha svolto un importante lavoro contribuendo alla neutralizzazione di diversi terroristi con supporto aeroterrestre. Nel mese di marzo si è svolta l’operazione «Monclar» alla quale hanno partecipato unità della «Barkhane» G5S. L’operazione ha mobilitato circa 5.000 soldati, di cui 1.700 francesi (con 400 veicoli), 1.500 della G5S e 1.500 delle forze armate del Niger (FAN) e ha neutralizzato un gran numero di terroristi. Non sono stati forniti ulteriori dettagli sulle perdite umane inflitte ai gruppi jihadisti, in quanto non indicatori di successo. L’operazione «Monclar» avrebbe permesso di degradare le capacità logistiche e di combattimento dei gruppi terroristi nell’area dei tre confini, di mettere a punto e migliorare il coordinamento tra le forze francesi e quelle dei partner. Resta tuttavia da vedere se i risultati dell’operazione comprometteranno in modo significativo la forte capacità di rigenerazione delle formazioni terroriste (che sebbene poco numerose sono assai mobili), che operano in un territorio a loro consono, usano tensioni interetniche e tribali già esistenti e reclutano combattenti sempre più giovani, beneficiando della complicità di gran parte delle popolazioni locali, ostili per diverse ragioni ai propri governi e alla presenza di soldati stranieri.

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Ciad: ora basta? L’esercito del Ciad non parteciperà più alle operazioni militari oltre i suoi confini, ha detto il Presidente Idriss Deby, dando un potenziale colpo agli sforzi internazionali per sconfiggere i militanti islamisti nella regione colpita dal conflitto del Sahel e del Lago Ciad. Deby ha parlato durante una visita nella zona del Lago Ciad, nella parte occidentale del Paese, per segnare la fine di un’offensiva contro il gruppo jihadista Boko Haram, che ha sferrato il suo attacco più mortale contro l’esercito ciadiano a marzo, uccidendo quasi 100 soldati in un’imboscata. Successivamente l’esercito ha dichiarato che altri 52 soldati sono morti nella controffensiva della durata di 10 giorni, sferrata contro Boko Haram, e di aver ucciso 1.000 militanti islamisti riconquistando due basi dell’isola nel lago, sul quale si affacciano Ciad, Camerun, Niger e Nigeria.

Il Presidente del Ciad, Idriss Deby (Fonte: thenational.ae).

«Il Ciad si è sentito solo nella lotta contro Boko Haram da quando abbiamo lanciato questa operazione», ha detto Deby in un discorso. «I nostri soldati sono morti per il Lago Ciad e il Sahel. Da oggi nessun soldato ciadiano prenderà parte a un’operazione militare esterna», ha proseguito. Non è chiaro quali siano state le cause che avrebbero avuto un impatto sulle operazioni anti-jihadiste della Task Force congiunta multinazionale (MNJTF, Multinational Joint Task Force) composta da truppe provenienti da Paesi confinanti con il Lago Ciad, ma le capacità d’intervento sono state ridotte da divisioni e mancanza di collaborazione tra gli Stati aderenti e da problemi di altra natura, come le spinte secessioniste nel Camerun anglofono e nuovamente nel Biafra nigeriano.

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Le forze armate del Ciad sono tra le più rispettate nella regione, una reputazione forgiata durante decenni di guerre e ribellioni e affinata in una campagna del 2013 contro islamisti legati ad Al-Qaeda nel Mali settentrionale (senza dimenticare, tuttavia, un ruolo ambiguo svolto all’esplodere della crisi nella Repubblica Centrafricana nel 2012). La sospensione delle operazioni militari esterne da parte del Ciad, inizialmente sembrava che avrebbe potuto coinvolgere la partecipazione alla forza multinazionale G5S. La conferma della continuità di detta partecipazione è stata annunciata dalle autorità francesi alcuni giorni dopo la dichiarazione di Deby, avvenuta l’11 aprile, la quale potrebbe tuttavia influenzare la forza militare del G5 sostenuta dalla Francia, che combatte nel Sahel con soldati del Mali, della Mauritania, del Niger, del Burkina Faso e dello stesso Ciad.

Nazioni Unite: non dimentichiamo i suoi caduti Almeno 27 membri del personale delle Nazioni Unite — 23 militari e personale di polizia e 4 civili — sono stati uccisi in attacchi deliberati nel corso del 2019. Ciò porta il bilancio delle vittime a 423 dipendenti delle Nazioni Unite e personale associato, uccisi in attacchi deliberati negli ultimi 10 anni (ordigni esplosivi improvvisati, razzi e colpi di artiglieria, colpi di mortaio, mine antiuomo, granate, attacchi suicidi, omicidi mirati e agguati armati). Per il sesto anno consecutivo, nel 2019, la maggior parte degli attacchi ha avuto luogo in Mali. La Missione multidimensionale di stabilizzazione integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) ha subito la maggior perdita di vite umane con 22 militari uccisi, 11 dei quali nell’incidente ad Aguelhok, il peggior episodio dell’anno. Nel 2018, i «caschi blu» caduti erano stati 11 peacekeeper di MINUSMA. Il personale ucciso nel 2019 invece, proveniva da Benin (1), Ciad (12), Guinea (3), Sri-Lanka (2), Egitto (2), Etiopia (1) Libia (1), Figi (1), Giamaica (1), Nigeria (1), Togo (1) e Stati Uniti (1). Questi attacchi hanno avuto luogo ad Abyei (a cavallo tra il Sudan e il Sudan del Sud, dove opera l’UNISFA), Mali, Libia (UNSMIL) e Afghanistan (UNAMA). Nel 2018, almeno 34 dipendenti militari e civili delle Nazioni Unite e personale associato sono stati uccisi in attacchi. Negli anni precedenti le vittime sono state: 71 (2017); 32 (2016), 51 (2015); 61 (2014); 58 (2013); 37 (2012); 35

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(2011); 15 (2010). Oltre all’incolumità personale, la vita del personale ONU deve far fronte anche ad altri rischi. Infatti, nel 2019, in un’azione aggressiva contro l’indipendenza del servizio civile internazionale, il governo della Somalia ha dichiarato persona non gradita Nicholas Haysom, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale per la Somalia e capo della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Somalia (UNSOM). Il Segretario Generale, in una dichiarazione del 4 gennaio ha affermato che la dottrina della persona non gradita non si applica al personale delle Nazioni Unite come definito nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, che si applica invece agli agenti diplomatici accreditati da uno Stato all’altro nel contesto delle loro relazioni bilaterali. Le Nazioni Unite non sono uno Stato e il suo personale non è accreditato negli Stati in cui sono schierati, ma opera sotto la sola responsabilità del Segretario Generale. Una settimana dopo Antonio Guterres ha «fortemente» respinto la decisione del governo del Guatemala di chiudere unilateralmente la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala (CICIG, International Commission against Impunity in Guatemala), un organo indipendente istituito dalle Nazioni Unite e dal Guatemala per indagare su gruppi armati e di sicurezza illegali e sull’alto livello di corruzione nel Paese.

Libia: situazione complessa Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres sta tentando di trovare un successore di Ghassan Salamé, suo Rappresentante Speciale e capo della missione in Libia dal 2017 al 2020. Sfortunatamente, la nomina sta languendo dopo il rapido consenso di 14 dei 15 membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Chi è stato il ritardatario? Gli Stati Uniti, che poi hanno fatto capire di opporsi alla nomina facendone cadere il consenso necessario. Il candidato iniziale, il diplomatico algerino Ramtane Lamamra, è ben considerato nella regione e nel mondo e anche nei circoli diplomatici statunitensi per aver stretto buoni legami con Washington. Recentemente Lamamra è stato Commissario dell’Unione Africana per la Pace e la Sicurezza (2008-2013) e Ministro degli esteri (2013-2017), ed è stato Vice Primo ministro nel governo di transizione post-Bouteflika. Ha anche lavorato come ambasciatore in Etiopia, Gibuti e Stati Uniti. Prima della

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nomina a Washington, è stato rappresentante permanente del suo Paese all’ONU. Trovare un responsabile per la missione in uno scenario intricato e contraddittorio come la Libia è difficile. La nomina di Ghassan Salamé nel 2017 è stata assicurata dopo una ricerca di quattro mesi per un mediatore adatto, prima che il Generale Haftar allargasse il conflitto attaccando Tripoli. Dopo Lamamra sono salite le quotazioni dell’attuale Ministro degli esteri della Mauritania, Ismael Ould Cheikh Ahmed, anche se vi potrebbero esservi delle perplessità in quanto Nouakchott (capitale della Mauritania) si è avvicinata in tempi recenti agli Emirati Arabi Uniti, uno dei maggiori sostenitori di Haftar, assieme a Egitto e Russia. Sebbene la Libia non sia una delle maggiori preoccupazioni per l’amministrazione americana, lo è per l’Egitto che condivide un lungo confine con quel Paese ed è preoccupato che l’instabilità continua alimenterà il libero movimento di combattenti islamisti, armi e contrabbando. La Francia è preoccupata per tale situazione e per i migranti che attraversano il Mediterraneo, e il colosso energetico francese Total è in competizione con l’italiana ENI sul fronte energetico. Il confine dell’Algeria con la Libia è motivo di preoccupazione per il nuovo governo del Presidente Tebboune, poiché i disordini in Libia potrebbero destabilizzare ulteriormente il Mali e il Sahel sul fianco meridionale dell’Algeria. Le armi acquistate dal Qatar e fornite dalla Francia e dal Regno Unito alle forze anti-Gheddafi sono state bloccate al confine algerino dove gli islamisti stavano cercando di trasferirle a gruppi salafiti in Algeria. Una Libia stabile tornerà sui mercati globali del petrolio e del gas naturale (può facilmente aumentare fino a 2 milioni di barili di petrolio al giorno, con pace e riparazioni adeguate) rafforzando la sicurezza dell’Europa e riducendo la leva energetica della Russia. Sebbene l’amministrazione Trump voglia ridurre la presenza di truppe americane in Africa, un energico processo diplomatico in Libia può essere sostenuto dall’impronta leggera delle forze statunitensi in Africa. Il Presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto agli Stati Uniti di non tagliare il supporto alle forze francesi in Africa. Il Pentagono (più i militari che la leadership civile del Dipartimento della Difesa) sta respingendo i tagli pianificati alle forze statunitensi in Africa e premendo per un maggiore coinvolgi-

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mento militare, diplomatico ed economico di Washington nel continente, rappresentando le fratture sempre più evidenti all’interno dell’amministrazione Trump. Il sostegno degli Stati Uniti agli sforzi della Francia altrove in Africa darebbe a Parigi — alleato significativo di Washington — una maggiore influenza nel processo di pace in Libia, che è un importante teatro nella guerra dei droni. Anche se i droni militari variano in portata, letalità e dimensioni, il loro dispiegamento da parte di entrambi i rispettivi contendenti e alleati (in particolare la Turchia per Sarraj e gli EAU per Haftar) ha alterato l’equilibrio di potere e la logica di deterrenza in Libia. La proliferazione di droni riduce il divario di potere tra le parti interessate: colpire con un’arma automatica non è più così diverso dal colpire con un Wing Loong o Bayraktar ed è molto economico. Di conseguenza, gli UAV (Unmanned Aerial Vehicle) sono un «equalizzatore di potenza» piuttosto che un deterrente, aumentando la complessità della guerra civile libica. La facilità con cui vengono fabbricati i droni, l’assenza di un rigoroso quadro giuridico per regolarne l’utilizzo e la ricerca per minimizzare le perdite, sono tutti motivi alla base della corsa in atto per i droni. Tuttavia, se i droni minimizzano l’esposizione dei soldati al rischio fisico, non minimizzano necessariamente i danni collaterali. In Libia, sono sempre i civili a essere le principali vittime di questa situazione, peggiorata con lo scoppio della pandemia di COVID-19 che ha ulteriormente aumentato la vulnerabilità del popolo libico perché il Paese è a rischio significativo data l’assenza di infrastrutture per assorbire le minacce mortali per la salute.

EUTM (European Union Training Mission Mali): nominato un nuovo comandante della missione Il 16 aprile il Generale di Brigata dell’esercito ceco, František Ridzák, è stato nominato nuovo comandante della EUTM Mali. Il suo mandato inizierà il 12 giugno 2020. Ridzák, succederà al Generale di Brigata portoghese João Pedro Rato Boga de Oliveira Ribeiro. Attualmente è direttore dell’agenzia di sistemi di comunicazione e informazione delle forze armate ceche mentre in precedenza ricopriva posizioni di rilievo all’interno dell’esercito. La decisione della nomina è stata adottata dal Comitato Politico e di Sicurezza del Consiglio Europeo. Enrico Magnani

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MARINE AUSTRALIA La fregata Arunta (151) lancia con successo missile ESSM La prima delle unità classe «Anzac» ad aver completato il programma d’ammodernamento Project SEA 1442 Phase 4/4B AMCAP (Anzac Midlife Capability Assurance Program (AMCAP) ha condotto con successo il primo lancio con il sistema missilistico Raytheon ESSM (Evolved Sea Sparrow Missile). Si tratta della fregata Arunta (151) che è stata sottoposta alle attività d’ammodernamento in poco meno di 20 mesi, nel corso dei quali l’unità ha ricevuto un nuovo e più alto torrione principale sormontato dalla suite radar con facce fisse multiple a scansione elettronica attiva CEA Technologies CEAFAR unitamente al sistema CEA Technologies CEAMOUNT per l’illuminazione e guida del sistema missilistico a guida radar semiattiva ESSM, nuovi sensori aeronavali e nuovi apparati per le comunicazioni, il tutto gestito da un sistema di combattimento ammodernato a partire dal sistema di comando e controllo. A questi s’aggiungono l’aggiornamento o introduzione di nuovi sistemi di piattaforma, fra cui la revisione del sistema propulsivo unitamente al potenziamento del sistema di condizionamento. Il programma viene portato avanti dall’Alleanza WAMA fra il Governo e l’industria locale guidata da BAE Systems e comprendente Saab Australia e Naval Ship Management Australia. Il tiro del sistema missilistico con il nuovo sistema di combattimento rappresenta un successo per l’alleanza governativo-industriale locale, che sta portando avanti l’attività d’ammodernamento sulle rimanenti fregate della classe «Anzac», attività che dovrebbe concludersi con la riconsegna di tutte e sette le unità alla fine del 2023.

Impostazione della chiglia per il secondo OPV Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Osborne Naval Shipyard di Adelaide, è stata impostata la chiglia del secondo OPV della classe «Arafura». Si tratta dell’unità battezzata Eyre che è previsto entri in servizio nel 2023. Il Capo di Stato Maggiore della Royal Austrialian Navy ha annunciato anche i nomi delle seguenti quattro unità e precisamente la terza sarà chiamata Pilbara, la quarta Gippsland, la quinta Illawarra e la sesta Carpentaria. La classe prende il nome da una regione costiera e

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M I L I TA R I marina dell’Australia, così come le successive, dando origine a un’inedita onomastica per la RAN. L’unità capoclasse è destinata a entrare in servizio nel 2022.

CANADA Primi test d’immersione per il sommergibile Victoria Il primo dei tre sommergibile della classe «Victoria» destinato a rientrare in servizio con la Marina canadese nel 2020, ha completato con successo i primi test d’immersione presso la base navale di Esquimalt, nella Columbia britannica. Si tratta del battello capoclasse che è stato sottoposto a importanti lavori di revisione e ammodernamento affinché possa rimanere in servizio fino alla fine del prossimo decennio. A tal riguardo, la Marina canadese ha dichiarato che vorrebbe mantenere in linea tali battelli ulteriormente, fino alla metà degli anni 2030. Come anticipato, il sommergibile Victoria (876) ha effet-

Il sommergibile VICTORIA (Fonte: Dipartimento Difesa Canadese).

tuato con successo tre immersioni fino a 11 metri nel corso di un periodo temporale di circa 20 ore, al fine di verificare la tenuta stagna del battello e la funzionalità di alcuni fra i più importanti sistemi di piattaforma per il controllo dell’assetto. Affinché il battello possa ritornare in servizio, secondo quanto richiesto dalla Marina canadese, dopo aver completato le prove d’accettazione in porto e in mare, lo stesso deve essere dichiarato sicuro e certificato da un equipaggio qualificato e con esperienza per lo svolgimento della futura attività valutativa propedeutica a quella operativa. Secondo quanto dichiarato dal Dipartimento della Difesa canadese al Parlamento nazionale, nel corso del 2019, i quattro battelli non hanno effettuato neanche

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un’ora d’attività a mare in quanto sottoposti a lavori di revisione, riparazione e ammodernamento, dopo che due unità della classe hanno portato a termine un’intensa attività operativa nel periodo 2017-18. In particolare, il battello Chicoutimi (879) ha trascorso 197 giorni in missioni di monitoraggio dell’embargo alla Corea del Nord nel Pacifico settentrionale, nell’ambito di una più ampia e intensa attività nel bacino del Pacifico con una visita per la prima volta dal 1968 in Giappone e una permanenza in mare senza precedenti nella storia della componente. Il Windsor (877) ha invece trascorso 115 giorni in attività principalmente legate a operazioni NATO nell’Oceano Atlantico.

di container e materiali vari, il nuovo rompighiaccio disporrà di spazi e magazzini fra cui 510 metri cubi per carichi containerizzati e cargo veicolari, 400 metri cubi per il trasporto di combustibile e 400 per carichi pallettizzati. L’unità disporrà di laboratori di vari natura fra cui chimici, micro/macro biologici nonché medici per emergenze in aggiunta a imbarcazioni da trasporto e collegamento per la spola nave-terraferma e attività a mare. La nuova unità che non ha ancora ricevuto un nome e la cui costruzione è iniziata nel 2018, è destinata a entrare in servizio nel 2023.

CILE Iniziata la costruzione del nuovo rompighiaccio

Il gruppo cantieristico Hyundai Heavy Industries (HHI) ha annunciato lo scorso 16 marzo di aver siglato con l’agenzia sudcoreana per il procurement della Difesa (DAPA, Defense Acquisition Program Administration), il contratto per la progettazione di dettaglio e la costruzione della prima fregata classe «Ulsan» o tipo «FFX Batch III». Si tratta della prima di sei unità di cui nel 2016 il gruppo HHI ha ricevuto il contratto per la progettazione di base e che si caratterizza per un sistema di combattimento potenziato in particolare nel settore della difesa aerea e missilistica. Con un dislocamento stimato superiore a 3.500 tonnellate a p.c., una lunghezza e larghezza rispettivamente di 129 e 15 metri, la capoclasse verrà costruita presso i cantieri Ulsan del gruppo e consegnata nel 2024. Con un apparato propulsivo ibrido in configurazione CODLOG (Combined Diesel-eLectric Or Gas) e caratterizzato da quattro diesel-generatori che alimentano i sistemi della piattaforma e i motori elettrici Leonardo DRS per le basse andature al fine di ridurre la segnatura acustica nel corso delle operazioni antisom, e da una turbina a gas per le andature sostenute e velocità massima di 30 nodi, le nuove immagini della futura classe di fregate si caratterizzano per un nuovo torrione di dimensioni maggiorate che accoglie, nella parte superiore, le quattro antenne del nuovo radar a scansione elettronica attiva sviluppato dal gruppo sudcoreano Hanwha Systems unitamente a un sistema IRST panoramico con quattro sensori all’infrarosso e antenne varie del sistema per la Guerra Elettronica. In aggiunta a questi e altri sensori fra cui una direzione del tiro elettro-ottico/IR, il gruppo Hanwha Sy-

Secondo quanto dichiarato dai cantieri ASMAR, presso lo stabilimento di Talcahuano è iniziato l’assemblaggio dei vari moduli dello scafo del nuovo rompighiaccio, destinato a rimpiazzare l’attuale unità da 6.570 t Almirante Óscar Viel (46) nell’ambito del programma «Antarctica 1». Quest’ultimo riguarda l’acquisizione di una piattaforma capace di supportare le missioni scientifiche e le basi permanenti e stagionali sul territorio dell’Antartide vantato dal Cile, in aggiunta alla conduzione delle missioni di ricerca e salvataggio nelle acque di competenza cilena. Customizzato sulla base delle esigenze della Marina cilena partendo dal progetto «Vard 9203» della società canadese Vard Marine del gruppo Fincantieri, il nuovo rompighiaccio dovrà essere in grado di operare nelle acque antartiche con ghiaccio spesso un metro e vecchio di un anno (annotazione di classe «PC 5» del Lloyd Register) e neve recente, a una velocità massima di tre nodi. Con un dislocamento di 10.400 tonnellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 111 e 21 metri e un’immersione di 7,2 metri, la nuova piattaforma avrà un sistema propulsivo diesel/elettrico in grado di assicurare una velocità massima di 15 nodi e un’autonomia operativa di 60 giorni. La nuova unità dovrà essere in grado di accogliere in aggiunta all’equipaggio di 86 componenti, anche 34 fra personale scientifico e tecnico. Equipaggiato con un ponte di volo poppiero e hangar in grado di accogliere due elicotteri tipo «Super Puma», nonché un’area prodiera con gru ad alta capacità per l’imbarco e sbarco

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COREA DEL SUD Nuove unità FFX

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stems fornisce anche il sistema di comando e controllo che gestisce tutto il sistema di combattimento. Come anticipato, quest’ultimo comprende un armamento potenziato con un cannone da 127 mm, sistemi di lancio verticale per diversi sistemi missilistici superficie-aria e superficie-superficie, fra cui il nuovo sistema LIG Nex1 K-SAAM «Haegung», lanciatori per missili antinave e un sistema per la difesa di punto di produzione locale in aggiunta a calibri minori per quella ravvicinata.

ECUADOR Progetto Fassmer per unità multiruolo Nell’ambito di una gara internazionale, i cantieri ASTINAVE EP hanno selezionato il progetto Fassmer «MPV70 Mk II» e assegnato, ai relativi cantieri tedeschi, il contratto per il programma d’acquisizione di nuove unità multiruolo destinate alla Marina dell’Ecuador. L’unità capoclasse verrà costruita presso i cantieri di Guayaquil di ASTINAVE EP, sfruttando il progetto, supporto ingegneristico e tecnico nonché pacchetti di componentistica forniti da Fassmer. Il progetto «MPV70 Mk II» si

di volo poppiero per un elicottero medio da 11 t e due stazioni di lancio e recupero sempre poppiere per altrettanti intercettori veloci per compiti di sorveglianza, controllo e soccorso a cui s’aggiunge una zona logistica a centro nave. Servita da una gru ad alta capacità e altre due di minore portata, quest’ultima area è destinata ad accogliere diversi carichi containerizzati (fino a 12 container ISO 20) in aggiunta a carichi liquidi mentre l’unità sarà in grado di rifornire in mare altre unità navali grazie ad apposite attrezzature. L’armamento comprende un cannone Leonardo «Super Rapido» da 76/62 mm e due sistemi d’arma a controllo remotizzato con cannone da 25-30 mm.

EGITTO Consegnato il terzo sommergibile «Tipo 209/1400mod» Con una cerimonia tenutasi il 9 aprile scorso alla presenza di una limitata rappresentanza, Thyssenkrupp Marine Systems ha consegnato il terzo sommergibile «Tipo 209/1400mod» alla Marina egiziana. Si tratta del battello S43 che va ad aggiungersi ai primi due consegnati rispettivamente nel dicembre 2016 e agosto 2017, mentre il quarto è previsto in consegna nel 2021.

FIGI Consegnata l’unità Savenaca (401)

Il progetto tedesco Fassmer «MPV70 Mk II» per l’Ecuador (Fonte: Fassmer).

caratterizza per la combinazione di capacità di supporto e operative, consentendo di ottimizzare gli assetti in servizio e potenziare le capacità di supporto in caso di calamità e soccorso alla popolazione. La nuova unità è stata progettata per svolgere missioni di sorveglianza, comando e controllo, grazie al sistema di combattimento «Orion» del gruppo ASTINAVE EP e di un radar multifunzionale con antenne a scansione elettronica attiva completamente digitale, sviluppato congiuntamente dalla società italiana Virtualabs srl e ASTINAVE EP. Le immagini divulgate della piattaforma «MPV70 Mk II» evidenziano un ponte

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Il gruppo cantieristico australiano Austal ha consegnato, il 9 aprile, al Dipartimento della Difesa australiano che a sua volta ha donato nel corso della medesima cerimonia al Governo delle Figi, la prima di due unità della classe «Guardian» nell’ambito del programma PPB-R (Pacific Patrol Boat Replacement). Assegnato al gruppo Austal, quest’ultimo prevede la fornitura gratuita, a 12 Paesi del Pacifico centrale, di 21 unità classe «Guardian» da 39,5 metri. L’unità Savenaca ha poi fatto rotta per le isole Figi dove rimpiazzerà l’unità Kula (201) della classe «Pacific» in attesa che entri in linea anche la seconda unità della nuova classe.

FRANCIA Prove del data «Link 22» a bordo della fregata Normandie (D 651) Nel corso del Déploiement de longue durée (DLD) o dispiegamento di lunga durata in vista dell’entrata in

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linea, la fregata Normandie classe «Aquitaine» ha completato con successo i primi test del sistema data «Link 22» nell’ambito d’attività addestrativo-operative con stazioni e unità della Marina canadese e olandese. Secondo quanto evidenziato, rispetto al sistema «Link 11», di cui rappresenta il sostituto, il «Link 22» si caratterizza per l’implementazione dei più recenti standard in termini di sicurezza delle comunicazioni e trasmissioni. A questi s’aggiunge la possibilità di utilizzare apparati in banda UHF e HF e quindi non dipendere dal mezzo satellitare, e un nuovo «messaging» similare al «Link 16», fra i diversi miglioramenti tecnologici. La fregata Normandie è la prima unità della Marina francese a essere dotata del nuovo data link.

della Sécurité Civile, mentre l’unità tipo BSAOM Dumont d’Urville (A 624) si rendeva disponibile per il trasbordo del materiale e raggiungere la Guyana. Anche assetti dell’Aviazione di Marina così come pompieri, fanti di Marina e la gendarmeria marittima hanno preso parte alle attività di supporto in Francia e nei territori d’oltremare.

Il supporto contro la pandemia della Marina francese Con l’esplosione della pandemia, la Marine Nationale è stata chiamata all’evacuazione per mare di pazienti Covid-19 da strutture ospedaliere di Ajaccio in Corsica al continente. La portaelicotteri anfibia (PHA, Porte-Hélicoptères Amphibie) Tonnerre (L 9014) ha lasciato Tolone per Ajaccio il 21 marzo, con personale medico militare e civile per l’evacuazione grazie alle proprie capacità ospedaliere di una quindicina massimo di pazienti, attività che si è completata il giorno 23 con il rientro su Marsiglia. Con l’attivazione da parte del Presidente della Repubblica francese dell’Operazione Résilience, sono state messe in campo le altre unità della classe per supportare le autorità e la popolazione dei territori d’oltremare. In particolare, la PHA Mistral (L 9013) accompagnata dalla fregata Guépratte (F 714), entrambe impegnate nella campagna d’istruzione «Jeanne D’Arc 2020» della Marina francese a favore degli allievi dell’Accademia Navale, con a bordo anche un distaccamento delle Forze Aeree della Marina italiana di cui parleremo oltre, mentre si trovava nell’Oceano Indiano, è stata dirottata verso i Territori d’Oltremare dell’isola di Mayotte e La Réunion, così come l’unità tipo BSAOM (Bâtiment de Soutien et d’Assistance Outre-Mer) Champlain (A 623). Successivamente, il 3 aprile, la PHA Dixmude (L 9015) ha lasciato Tolone per le Antille con a bordo materiale medico vario e quattro elicotteri, di cui due Puma dell’Aviazione dell’Esercito, un Ecureuil della Gendarmerie Nationale e un EC 145

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Mezzi da sbarco delle portaelicotteri d’assalto anfibio classe «Mistral» impegnati nella lotta al Covid (Fonte: Ministero della Difesa Francese).

GERMANIA Nuove imbarcazioni veloci a chiglia rigida La Marina tedesca ha ricevuto i primi esemplari delle 22 imbarcazioni veloci a chiglia rigida «Gecko» da 7,5 metri ordinati alla Zodiac Milpro per rinnovare e standardizzare la componente in servizio. Si tratta di una customizzazione specifica per la Marina tedesca, con uno scafo e piattaforma ridisegnati nonché nuovi equipaggiamenti per la navigazione e le comunicazioni. In grado di raggiungere una velocità massima di 36 nodi grazie a idrogetti, l’imbarcazione può trasportare fino a 8 persone su sedili ammortizzati di cui 6 possono essere velocemente rimosse per ospitare carichi vari. Nove di queste imbarcazioni sono già state consegnate alla Einsatzflottille 2 di Wilhelmshaven, alla Scuola Navale di Mürwik e alla Scuola d’ingegneria marittima di Parow, mentre altre unità sono destinate alle fregate classe «Brandenburg», «Sachsen», alle navi rifornimento classe «Berlin» e «Elbe», nonché al centro di addestramento per il controllo dei danni della Marina tedesca. Dodici imbarcazioni aggiuntive risultano ordinate per le nuove corvette classe «Braunschweig». Un sistema di lancio e recupero è stato specificamente riprogettato per le unità classe «Elbe».

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Invio rifornitore nel Mediterraneo La nave da rifornimento Berlin (A 1411) del «Tipo 702» è entrata a far parte dell’SNMG 2 (Standing NATO Maritime Group 2). Quest’ultima unità dispone di capacità ospedaliere e attrezzature per la verifica della positività al COVID-19.

68» per siluri leggeri («Mk 46» e «Type 73»). L’unità dispone di un ponte di volo e hangar per accogliere un elicottero ASW «SH-60K». Secondo quanto dichiarato dal Ministero della Difesa giapponese, l’unità è predisposta per l’impiego di un sistema di difesa laser e un cannone «rail-gun».

GIAPPONE Entra in servizio il caccia Maya (179)

GRAN BRETAGNA La Royal Navy sperimenta i droni al freddo

La Japan Maritime Self-Defense Force (JMSDF) ha immesso in servizio, lo scorso 19 marzo, il primo caccia AEGIS classe «Maya» costruito presso i cantieri Isogo Works di Yokohama del gruppo cantieristico Japan Marine United Corporation (JMU). L’unità Maya è entrata in servizio con la Flottiglia di Scorta 1 basata a Yokosuka. Realizzato nell’ambito del programma «27DDG», con un dislocamento a p.c. di 10.250 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 170 e 22,2 metri e un apparato propulsivo in configurazione COGLAG (COmbined Gas-eLectric and Gas) in grado di assicurare una velocità massima di 30 nodi, si tratta del primo caccia lanciamissili concepito fin dall’inizio per la difesa contro i missili balistici (BMD, Ballistic Missile Defense). Con un equipaggio di 310 elementi, la nuova classe di caccia si caratterizza per l’adozione del sistema di combattimento AEGIS «Baseline J7» basato sul sistema radar «AN/SPY1D(V)» capace di utilizzare il sistema missilistico per l’ingaggio di missili balistici Raytheon «SM-3 Block IIA», sviluppato congiuntamente da Stati Uniti e Giappone e la versione multiruolo di nuova concezione «SM6», a cui s’aggiunge il sistema di distribuzione e condivisione dei dati di tiro Raytheon CEC (Cooperative Engagement Capability), il radar multifunzionale Northrop Grumman «AN/SPQ-9B» e tre direzioni del tiro «Mk 99» e il sistema ASW «AN/SQQ-89». Il sistema di combattimento comprende due complessi di lancio verticali Lockheed Martin «Mk 41» per complessive 96 celle (di cui 64 a prora e 32 sull’hangar) in grado di lanciare missili «SM-3», «SM-6», «SM-2ER Block IIIB» e «Type 07» (VL-ASROC, Vertical Launch Anti-Submarine Rocket), a cui s’aggiungono due lanciatori quadrupli per missili antinave «Type 90/17», un cannone «Mk 45 Mod 4» da 127 mm, due sistemi per la difesa ravvicinata «Phalanx», due lanciatori tripli «Tipo

In occasione del dispiegamento della LPD Albion (L 14) e del 47o Commando dei Royal Marines in Norvegia, il reparto NavyX della Royal Navy destinato alla sperimentazione e introduzione di nuovi sistemi senza pilota in servizio unitamente all’Office for the Chief Techology (OCTO) del Ministero della Difesa britannico, hanno testato per la prima volta, in un ambiente operativo artico, un complesso di mezzi senza pilota e autonomi. Nell’ambito dell’esercitazione «Advanced Autonomous Force 2.5», la Royal Marine Commando Force, unitamente all’industria e agli enti indicati, hanno testato con successo una suite di velivoli senza pilota e autonomi comprendente un’imbarcazione a pilotaggio remoto o USV (Unmanned Surface Vessel) «MAST (Maritime Autonomy Surface Testbed) 13» sviluppata dalla società L3Harris per il DTSL (Defence Science and Technology Laboratory) britannico, droniaerei leggeri a decollo e atterraggio verticale quadricottero Mallory Aeronautics «TRV-150» e ala fissa «Puma» unitamente a un veicolo autonomo subacqueo «Remus» nell’ambito di un contesto operativo che sfrut-

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Test di mezzi senza pilota in ambiente operativo artico dalla LPD ALBION della Royal Navy (Fonte: Ministero della Difesa Britannico).

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tava l’impiego dell’intelligenza artificiale per il comando, controllo, sorveglianza, ricognizione, intelligence e distribuzione delle informazioni. L’esercitazione sviluppatasi su quattro giornate ha visto l’impiego della nave Albion quale piattaforma di comando e controllo dell’esercitazione, che ha registrato il primo impiego da parte dell’unità 700X Naval Air Squadron della Royal Navy dedicata alla sperimentazione nel campo dei velivoli non pilotati e delle nuove tecnologie collegate, di un UAV «Puma» da un mezzo da sbarco dei Royal Marines.

Supporto alla lotta contro la pandemia In aggiunta al personale, mezzi e installazioni messi a disposizione nell’ambito del dispositivo del Ministero della Difesa britannico, fra cui risaltano il personale sanitario e i due elicotteri Merlin in stato d’allerta presso la RNAS Culdrose in supporto all’Inghilterra del Sud, isole del Canale e isola di Scilly, all’inizio di Aprile, la nuova supporto medico Argus (A 135) della Royal Fleet Auxiliary (RFA) è salpata con destinazione la regione caraibica per il supporto ai Territori d’Oltremare britannici nella prossima stagione degli uragani, fornendo altresì potenziale assistenza in caso di necessità per la lotta contro il coronavirus.

INDONESIA Ammodernamento della fregata Usman-Harun (359) Il gruppo Thales e il gruppo indonesiano Len Industri hanno siglato un contratto per il completamento dell’ammodernamento della fregata leggera UsmanHarun. Nell’ambito del relativo programma, in cui la società indonesiana è integratrice del sistema di combattimento, grazie al nuovo contratto, unitamente a Thales, che è stata indicata come fornitore dei sistemi di combattimento di tutte le unità in servizio, le due società procederanno all’installazione del sistema di comando e controllo «TACTICOS», del radar aeronavale «SMART-S Mk 2», della direzione del tiro elettro-ottica/radar «STIR EO Mk 2» e del sistema RESM «Vigile Mk 2». Il programma d’ammodernamento destinato a estendere la vita operativa dell’unità verrà completato alla fine del 2023, sfruttando al contempo

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la medesima sistemistica installata anche sulle nuove fregate classe «Martadinata», con evidenti benefici in termini di standardizzazione, addestramento e costi complessivi.

INTERNAZIONALE Primo tiro di qualificazione per il missile «ANL/SeaVenom» MBDA ha completato con successo, il 20 febbraio scorso, il primo tiro di qualificazione del missile antinave leggero franco-britannico ANL (Anti-Navire Léger)/ «Sea Venom». Il tiro è avvenuto sul poligono della DGA francese presso l’Ile du Levant (Var) a partire da un elicottero «Dauphin» utilizzato per la sperimentazione e valutazione di nuovi sistemi. Il missile è stato lanciato da quest’ultimo elicottero vicino all’altezza minima di rilascio, raggiungendo la sua fase di crociera sul mare a una quota molto bassa. Durante la sua fase terminale, l’equipaggio dell’elicottero ha utilizzato le immagini provenienti dal sistema di guida con sensore agli infrarossi — trasmesse via data link — per eseguire con successo un perfezionamento manuale del punto di impatto. Il missile ha quindi seguito questo punto designato fino a colpire il bersaglio con un elevato livello di precisione. Quest’ultimo lancio si basa sui due precedenti che hanno testato il missile fino al limite delle sue capacità sia per quanto riguarda le prestazioni che il sistema di guida terminale. Il missile è destinato a essere impiegato dagli elicotteri Leonardo «AW-159 Wildcat» britannici e le future piattaforme Airbus «Guépard» HIL (Hélicoptere Interarmées Léger) francesi.

ITALIA La Marina Militare contribuisce al dispositivo sanitario della Difesa Nell’ambito di un più vasto contesto interforze volto a fronteggiare l’emergenza sanitaria legata all’epidemia da coronavirus, la Marina Militare ha raccolto l’appello della Protezione Civile, mettendo a disposizione le proprie risorse, umane e infrastrutturali, a supporto del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). «L’impegno della Marina è molto articolato: per quanto riguarda il personale sanitario abbiamo inviato in supporto dell’SSN

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sugli ospedali civili, rendendo quindi disponibili preziosi letti presso i nosocomi nazionali. Sessanta uomini hanno garantito l’approntamento del PMA, in cui stanno lavorando 8 ufficiali medici, 16 sottufficiali infermieri, 11 operatori tecnico-sanitari in aggiunta a fucilieri di supporto. In accordo con la direzione del vicino Ospedale Urbani, il PMA accoglie degenti contagiati in fase post acuta e di miglioramento, o persone in attesa di tampone e che possono essere positive o Il Posto Medico Avanzato messo a disposizione dalla Marina Militare presso l’Ospedale «Carlo Urbani» di Jesi. meno, eccetto che per malati il cui quadro clinico è aggravato da specifiche patologie. Struttura caratterizzata da elevata sia medici che infermieri in tutte le sedi dalle quali è arflessibilità di utilizzo grazie all’impiego di shelter sanitari rivata questa richiesta. Attualmente ci sono 14 medici e e tende, il PMA può essere imbarcato oppure trasportato 17 infermieri che operano nei vari ospedali del nord in anche via terra tramite autocolonna. Il complesso sanitario particolar modo a Lodi, Bergamo, Milano, Novara e più è elettricamente autonomo grazie a uno shelter con generecentemente anche nell’ambito della Regione Lazio», ratore elettrico che alimenta anche le tende a struttura ricosì il Contrammiraglio Riccardo Guarducci, Capo gida deputate alla degenza. La struttura del PMA dell’Ispettorato della Sanità della Marina Militare ha dicomprende due shelter allestiti per le emergenze/primo chiarato a Rai Radio 1 il 28 marzo, in aggiunta al persosoccorso, uno shelter ambulatorio per visite mediche donale distribuito in diverse case di cura e strutture più tato di elettrocardiografo e di ecografo, uno shelter farcolpite. Tale numero è salito, al 20 aprile, a 123 fra memacia, in aggiunta a quello con generatore elettrico e al dici e infermieri, suddivisi in 19 team distribuiti fra 8 recomplesso di tende a struttura rigida per la degenza. La gioni in strutture ospedaliere, case di riposo/RSA e capacità medico-sanitaria della Brigata Marina San Marco medicina territoriale. è uno degli elementi cruciali di supporto al complesso Nell’ambito delle attività di contrasto alla pandemia operativo della Forza da Sbarco della Marina, essenziale messe in atto dal Ministero della Difesa, su richiesta del per operazioni anfibie di proiezione dal mare, secondo il Comando Operativo Interforze (COI), la Brigata Marina San Marco ha provveduto a mettere a disposizione, il 2 cosiddetto concetto «Sea Basing». All’interno vi operano aprile, un PMA (Posto Medico Avanzato) presso l’ospenormalmente medici e infermieri della medesima Brigata dale Carlo Urbani di Jesi. Personale della Brigata Marina per garantire le operazioni di triage, primo soccorso, visite San Marco si è occupato della progettazione, sopralluoghi, ambulatoriali e, all’occorrenza, degenza trasporto da Brindisi via terra e messa in servizio della Missione internazionale per le Forze Aeree della struttura presso il nosocomio di Jesi, attività portata a terMarina Militare mine complessivamente in meno di 72 ore. Il PMA è rappresentato da una struttura modulare e mobile con Nell’ambito della campagna d’istruzione «Jeanne capacità d’accoglienza fino a 40 pazienti di cui 4 in terapia D’Arc» 2020 della Marina francese a favore degli allievi intensiva, con lo scopo di alleggerire il carico dei ricoveri dell’Accademia Navale, lo scorso 26 febbraio, la portae-

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«Gazelle», con la partecipazione di forze speciali e tre caclicotteri Mistral (L 9013) e la fregata Guépratte (F 714) cia «Mirage 2000» operanti localmente. Successivamente sono salpate da Tolone per un’attività d’istruzione, addeè stata la volta dell’Operazione Task Force (TF) 150 in strativa e operativa che avrebbe dovuto portare le due Oceano Indiano, in collaborazione con altre forze navali unità a effettuare una campagna della durata di circa cinstraniere presenti in zona, in particolare unità giapponesi que mesi attraverso il Mar Mediterraneo, il Corno e australiane. d’Africa e l’Oceano Indiano per raggiungere l’Oceano PaCon la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte cifico e partecipare a missioni ed esercitazioni internaziodel Governo francese a seguito della pandemia coronavinali, quali l’Operazione Task Force (TF) 150 e rus e il successivo lancio dell’Operazione Resilience, il l’esercitazione «La Pérouse» con forze australiane, giap25 marzo, in supporto alla nazione, nell’ambito di queponesi e americane nel Golfo del Bengala e «Croix du st’ultima, le tre unità della classe «Mistral» sono state deSud» con le altre Forze Armate francesi dispiegate in stinate ad assicurare il supporto ai territori d’oltremare. La Nuova Caledonia nel Pacifico. In aggiunta all’equipaggio campagna d’istruzione è, così, diventata missione secone al personale in formazione, la portaelicotteri anfibia Midaria e le unità del gruppo incentrato su nave Mistral stral ha imbarcato un contingente di Fanteria di Marina e hanno preso attivamente parte all’operazione, a cui ha dell’Aviazione dell’Esercito francese, quest’ultimo con due elicotteri «Gazelle» in aggiunta a un distaccamento contribuito anche il distaccamento delle Forze Aeree della per operazioni anfibie con un mezzo da sbarco EDA-R e due EDA-S, oltre a fucilieri di Marina francese. A bordo anche un elicottero «Alouette III» dell’Aviazione di Marina francese, un «MH-90A» e 14 tra piloti, operatori e specialisti di volo del Quarto Gruppo Elicotteri di Grottaglie delle Forze Aeree della Marina Militare. Nel corso della navigazione verso Gibuti, il gruppo navale ha raccolto la richiesta di soccorso di una nave mercantile maltese che richiedeva un’evaUn «MH-90A» con piloti, operatori e specialisti di volo del Quarto Gruppo Elicotteri di Grottaglie partecipano alla cuazione medica (MEDEVAC) missione internazionale della Marina francese (Fonte: Ministero della Difesa francese). per un membro dell’equipaggio, nel Mar Rosso. L’elicottero italiano è decollato in Marina Militare, in supporto alle autorità e popolazione meno di 30 minuti per recuperare il marittimo che, in condei territori francesi dell’Oceano Indiano meridionale, in seguenza di un infarto, necessitava di assistenza immeparticolare l’isola di Mayotte e La Réunion, come sopra diata. Prelevato dall’elicottero italiano, l’infartuato è stato riportato parlando delle attività della Marina francese. poi curato dai medici militari francesi a bordo del Mistral. Arsenale di La Spezia e CSSN sviluppano Il distaccamento italiano ha poi preso parte alle successive valvole e protezioni attività del gruppo, a partire dall’esercitazione anfibia «Wakri 2020» sulla costa di Gibuti, che ha visto l’imbarco Al contenimento della pandemia da coronavirus pardi ulteriore personale della Fanteria di Marina e del genio tecipa anche l’Arsenale e il Centro di Supporto e Spein aggiunta a un totale di 40 mezzi ed elicotteri «Puma» e rimentazione Navale (CSSN) della Spezia. Avvalendosi

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di interne capacità di stampa 3D, il primo ha creato un team per contribuire al progetto di realizzazione di maschere respiratorie d’emergenza, riadattando la maschera da snorkeling «Easybreath» in commercio, facendo così fronte alla penuria di maschere C-PAP ospedaliere per terapia sub-intensiva, avvalendosi di una ditta locale esterna che contribuisce a titolo non oneroso, alla distribuzione dei prodotti, a supporto della ASL 5 di La Spezia e ulteriori strutture sanitarie. Insieme al CSSN, l’Arsenale ha avviato la produzione di dispositivi e distribuzione per la protezione del personale potenzialmente in contatto con soggetti positivi al virus. Si tratta di uno schermo integrale facciale, da utilizzare insieme alla mascherina.

La Brigata San Marco partecipa al controllo del territorio Nell’ambito delle attività di contrasto al COVID-19, la Marina Militare, su richiesta dello Stato Maggiore della Difesa, impiega i Fucilieri della Brigata San Marco anche nel controllo del territorio a partire dalla fine marzo. Il San Marco garantisce continuità nell’attività di vigilanza e controllo del Centro di Permanenza per il Rimpatrio (C.P.R.)/Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Restinco e integra, con il proprio personale, i dispositivi in atto nell’ambito

dell’Operazione Strade Sicure in concorso alle competenti Prefetture e Forze dell’Ordine, affiancando l’Arma dei Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza nel controllo dei varchi d’accesso alla provincia di Brindisi.

L’impegno della Guardia Costiera Nell’ambito dell’emergenza sanitaria nazionale, la Guardia Costiera non ha diminuito il proprio impegno nell’assolvimento dei propri compiti istituzionali, al fine di continuare a garantire l’operatività dei porti, la sicurezza e la regolarità dei trasporti marittimi, oltre alla salvaguardia della vita umana in mare, a fronte di situazioni inedite, come il rientro delle navi da crociera battenti bandiera italiana, l’inserimento nei dispositivi di ordine pubblico, gli interventi operativi nel quadro del dispositivo di Protezione Civile nazionale, la messa a disposizione degli aeromobili e naviglio per esigenze specifiche legate alla distribuzione di materiali e trasporto personale medico.

Nave Luigi Rizzo in attività antipirateria nel Golfo di Guinea

Nell’ambito delle attività della Marina Militare, atte a contribuire alla sicurezza marittima e alla libera circolazione del traffico marittimo, la fregata Luigi Rizzo (F 595) ha lasciato la base navale della Spezia il 2 marzo scorso per dirigere verso il Golfo di Guinea. Si tratta di una zona marittima in cui la pirateria è ancora attiva con 121 attacchi, secondo l’International Maritime Bureau nel corso del 2019, con il sequestro di 64 marittimi di varie nazionalità. Dopo aver fatto tappa presso il porto di Tema (Ghana), parte del complesso metropolitano della capitale Accra, nave Luigi Rizzo ha iniziato il pattugliamento nell’area, operando al largo delle coste nigeriane, per assicurare presenza e sorveglianza a tutela della sicurezza della navigazione in alto mare e degli interessi nazionali. Nel I Fucilieri della Brigata San Marco sono attivi nel controllo del territorio da fine marzo. corso di tale attività, l’unità italiana è

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andata in soccorso di una nave mercantile a circa 50 mn dalla costa meridionale della Nigeria, oggetto di un attacco pirata. L’unità militare, che era a 100 miglia di distanza, si è diretta verso la posizione dell’evento per fornire eventuale supporto e avviando le ricerche in area con l’elicottero di bordo. Contattato sul canale 16, il Comandante della nave mercantile ha dichiarato di aver subito 3 tentativi di abbordaggio da parte di uno skiff con a bordo 7 uomini armati. I tentativi sono andati a vuoto e l’imbarcazione con i pirati a bordo si è allontanata verso la costa. La fregata Luigi Rizzo ha continuato le ricerche e ha poi ripreso il pattugliamento dell’area, assicurando, con la sua presenza, un efficace effetto deterrente. Tale attività è stata capitalizzata anche ai fini dell’azione dell’Unione Europea. Nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Coordinated Maritime Presence — volta a supportare il c.d. «Approccio Integrato» dell’Unione alla stabilità e sviluppo dell’area del Golfo di Guinea — la Marina Militare ha infatti condiviso con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), la Maritime Situational Awareness (MSA) che il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV), quale hub nazionale di riferimento, garantisce relativamente alla regione, grazie alle intrinseche capacità di Information Fusion Center e alle potenzialità della piattaforma tecnologica SMART (Service oriented infrastructure for MAritime tRaffic Tracking) Fenix. A tal proposito, sin dal 2008, l’area ha beneficiato dell’integrazione nella community del Trans Regional Maritime Network (T-RMN) con l’accesso del Senegal, seguito da quello della Nigeria e più recentemente del Camerun.

Continua il contributo all’Operazione Atalanta e NATO SNMG2 In questo particolare momento, continua il contributo della Marina Militare a due importanti missioni internazionali: l’Operazione Atalanta dell’Unione Europea e quella della partecipazione alla Forza Navale permanente NATO SNMG2 (Standing NATO Maritime Group 2). Nel primo caso, la fregata Carlo Bergamini (F 590), dopo essersi integrata nel dispositivo dell’Operazione Atalanta ha effettuato attività CIMIC (Civil Military Cooperation) con il personale della Base Militare Italiana di Supporto a Gibuti, a favore della popolazione

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locale e MCB (Maritime Capability Building) addestrando personale della Guardia Costiera. Successivamente dopo aver ospitato a bordo il Comandante dell’Operazione Atalanta, ha preso parte a un’attività addestrativa con l’unità omanita Al-Rasikh (Q 42) e quella spagnola Numancia (F 83), attuale ammiraglia della missione Atalanta. Nel caso invece della partecipazione alla NATO SNMG2, quest’ultima, sotto il comando (a rotazione) del Contrammiraglio Paolo Fantoni della Marina Militare da dicembre 2019, imbarcato sulla fregata Virginio Fasan (F 591), sta operando nel Mar Nero, avendo preso parte a un’esercitazione congiunta con la Marina e l’Aeronautica Rumena, a cui è seguita alla fine di marzo un’esercitazione con la Guardia Costiera della Georgia.

Capacità di trasporto in alto bio-contenimento elitrasportata Grazie alle Forze Aeree della Marina Militare, con il contributo del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana (CRI), la Forza Armata contribuisce al dispositivo integrato messo in atto dalla Difesa per il trasporto di pazienti in alto bio-contenimento a favore della Protezione Civile. Tale dispositivo è mantenuto costantemente in prontezza operativa, per far fronte alle specifiche esigenze di trasporto di malati con patologie infettive. Oltre alla disponibilità presso ciascuna delle tre basi della specialità (Catania, Luni e Grottaglie) di barella elitrasportabile, per pazienti ad alto rischio infettivo monoposto «IsoArk N36-4» per alto bio-contenimento, il dispositivo di Forza Armata è costituito da un elicottero «SH-90» e da un elicottero «SH-101» con relativi equipaggi di volo forniti rispettivamente dal 4° e dal 1°/5° Gruppo Elicotteri, di stanza rispettivamente presso le Stazione Aeromobili di Grottaglie e Luni-Sarzana, entrambi in grado di fornire un team sanitario di supporto. A queste piattaforme ad ala rotante s’aggiunge la disponibilità di un velivolo «P-180» con relativo equipaggio presso l’aeroporto di Pratica di Mare. La Forza Armata inoltre offre un dispositivo integrato di bio-contenimento sempre gestito con il supporto del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana (CRI), di stanza presso la Stazione Elicotteri di Catania, che a sua volta garantisce un team sanitario di supporto, che comprende un elicottero

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«SH-101» con relativo equipaggio di volo del 3° Gruppo Elicotteri mantenuto costantemente in prontezza di 2 ore, e una camera d’isolamento modello «IsoArk» con un posto letto (due in caso di necessità e medesima patologia infettiva) per il trattamento del paziente a terra.

COMSUBIN adatta maschere iperbariche Nella corsa per aiutare il personale medico nei reparti di rianimazione, grazie all’esperienza maturata dagli specialisti del Comando Subacquei ed Incursori (COMSUBIN), in particolare dell’Ufficio Tecnico del Gruppo Operativo Subacquei (GOI) nel campo degli interventi di ossigeno terapia iperbarica, questi ultimi hanno suggerito di utilizzare le maschere oronasali, impiegate negli impianti iperbarici, riscontrando analogie d’impiego di questi sistemi con quelli del personale sanitario in servizio nei reparti di rianimazione. Queste maschere sono state realizzate per essere impiegate in ambienti iperossigenati, sono già dotate di valvole di non ritorno, per il gas in ingresso e per quello in uscita, e possono essere collegate semplicemente ai filtri antivirali già in uso negli ospedali. Nell’ambito del coordinamento con le autorità competenti, il primo aprile è stato consegnato un primo lotto di maschere oronasali al Reparto Rianimazione dell’Ospedale S. Andrea della Spezia. Positive le prime impressioni nelle prove d’uso. Le maschere sono confortevoli, con un alto potere filtrante e riutilizzabili infinitamente, in quanto lavabili e sterilizzabili.

PAKISTAN Impostazione chiglia per la seconda fregata Tipo «054 A/P» Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri cinesi di Hudong Zhonghua, il 23 marzo scorso è stata impostata la chiglia della seconda di quattro fregate «Tipo 054 A/P» per la Marina del Pakistan. Quest’ultimo ha siglato un primo contratto nel 2017 per la prima coppia di unità seguita da una seconda coppia con un contratto siglato nel giugno 2018. Secondo le immagini divulgate nei diversi eventi legati al programma, queste unità differirebbero da quelle consegnate alla Marina cinese per l’installazione di un diverso radar multifunzionale principale e per l’imbarco di missili da crociera antinave a lunga portata quali il sistema «Harbah».

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RUSSIA Varo della settima corvetta «progetto 20380» Lo scorso 12 marzo presso i cantieri Severnaya Verf di San Pietroburgo, alla presenza del Viceministro alla Difesa Alexey Krivoruchko e del Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione Russa, Ammiraglio Nikolai Evmenov, si è tenuta la cerimonia del varo della quinta corvetta realizzata dal cantiere nell’ambito del programma d’acquisizione delle unità «progetto 20380». Si tratta della corvetta Retiviy, impostata nel febbraio 2015 e che dovrebbe iniziare i test in porto per la fine del 2020. Al pari delle unità successive alla capoclasse, anche la quinta unità è equipaggiata con il sistema missilistico per la difesa aerea «Redut» incentrato sulla munizione «9M96E» e il sistema di lancio verticale a 12 celle in sostituzione del sistema per la difesa ravvicinata «Kashtan». L’unità è destinata a entrare in servizio con la Flotta del Mar Nero.

Prove in porto per il sommergibile Volkhov (B 603) Sono iniziate le prove in porto del secondo battello a propulsione diesel-elettrica progetto «636.3» destinato alla Flotta del Pacifico. Si tratta dell’unità Volkhov, che al pari della capoclasse e delle rimanenti quattro unità della classe è stata costruita presso i cantieri dell’Ammiragliato di San Pietroburgo sul progetto del bureau di progettazione Rubin, anch’esso parte del gruppo USC.

Ritardi nel programma per le due unità «Progetto 11711 migliorato» Secondo la TASS, il programma per la costruzione delle due unità d’assalto anfibio «progetto 11711 migliorato» presso i cantieri Yantar sta subendo ritardi. Secondo l’agenzia russa, i ritardi sarebbero da ascrivere alla mancata consegna dei disegni di dettaglio nei tempi programmati. L’unità capoclasse del «progetto 11711», Ivan Gren (135) è stata consegnata nel giugno 2018 mentre la seconda, battezzata Petr Morgunov (117), dovrebbe seguire nel prossimo tardo mese di maggio.

Missione di durata record per i velivoli «Tu-142» Una coppia di velivoli «Tu-142» decollati dal base di Olenya nella penisola di Kola, secondo il sito Barents

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Observer, che ha avuto conferma da parte dell’Aeronautica norvegese, ha effettuato la più lunga missione finora realizzata sull’Oceano Atlantico. Dopo esser stati intercettati da una coppia di «F-16» dell’Aeronautica norvegese, i due velivoli da pattugliamento marittimo e lotta antisom a largo raggio hanno continuato la propria missione a nord della Scozia dove sono stati intercettati e scortati da una coppia di «Typhoon» della Royal Air Force nel proseguo del volo a occidente dell’Irlanda dirigendosi verso sud e raggiungendo il Golfo di Biscaglia. Qui sono stati intercettati dai velivoli dell’Aeronautica francese, prima di ritornare verso nord presso la base di partenza. Secondo quanto riportato, si tratterebbe della più lunga missione finora realizzata da questi velivoli procedendo a sud sull’Oceano Atlantico.

Primo battello classe «Akula» ammodernato Il primo battello d’attacco a propulsione nucleare classe «Akula» o «progetto 971 Shchuka-B» a essere sottoposto a importanti lavori di revisione e ammodernamento dopo un lungo periodo di inattività ha completato le prove a mare lo scorso fine marzo. Si tratta del battello Vepr (K-157), unica piattaforma della sotto-versione «Akula II» («Progetto 971U») che al pari degli altri battelli della classe nelle quattro sotto-versioni, hanno rappresentato la temibile ossatura della componente d’attacco della flotta subacquea della Marina dell’Unione Sovietica. Dei rimanenti battelli, in aggiunta al Vepr, risultano ai lavori di revisione e ammodernamento le unità Volk (K-461), Bratsk (K-391), Leopard (K-328) e Samara (K295). Secondo quanto dichiarato dal Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione russa, l’SSN Vepr ha completato le prove a mare nel Mare di Barents dopo essere stato sottoposto a importanti lavori presso i cantieri Zvezdochka di Nerpa. I risultati di tale attività sono stati analizzati in vista del previsto ritorno in servizio con la Flotta del Nord nel mese di aprile. Secondo quanto divulgato, questi battelli entreranno in servizio con nuovi equipaggiamenti, fra cui il sistema missilistico da crociera della famiglia «Novator 3M14/54 Kalibr» («SS-N-27 Sizzler») in sostituzione del sistema «RK-55 Granat» («SS-N-21 Sampson»).

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SPAGNA L’LPD Galicia (L 51) in supporto medico a Melilla In aggiunta al dispiegamento di uomini, donne e mezzi sul territorio nazionale e le isole, il Ministero della Difesa spagnolo ha inviato la LPD Galicia (L 51) nell’enclave autonomo di Melilla, dove è arrivata il 2 aprile, quale supporto medico con capacità di ospitare malati di coronavirus in caso di necessità. L’unità si è poi trasferita a Ceuta, nell’altro enclave spagnolo in Nord Africa, dove ha portato sostegno sanitario e grazie al personale e mezzi imbarcati, ha effettuato attività di disinfestazione in diverse installazioni ed edifici locali.

STATI UNITI Procede il programma UUV «Manta Ray» L’agenzia americana DARPA (Defense Advanced Research Proejcts Agency) ha selezionato quattro società per il programma «Manta Ray» destinato a sviluppare e dimostrare tecnologie per una nuova classe di veicoli autonomi subacquei (UUV, Unmanned Underwater Vehicles). Si tratta delle società Lockheed Martin Advanced Technology Laboratories, Northrop Grumman Systems Corporation e Navatek che avranno il compito di sviluppare una soluzione integrata per UUV e relative missioni, a cui s’aggiunge la società Metron che lavorerà su tecnologie critiche e soluzioni specifiche nel settore dell’approvvigionamento e accumulo energetico a quote necessarie per il successo operativo. Il programma «Manta Ray» è destinato a dimostrare tecnologie critiche per una nuova classe di UUV a lunga autonomia e largo raggio d’azione con carico pagante. Veicoli subacquei in grado di operare per lunghi periodi in modo autonomo senza la necessità di supporto logistico e manutentivo umano offrono una persistenza operativa finora non ottenibile nel corso di dispiegamenti di lunga durata. Il programma prevede tre fasi di sviluppo, destinate a culminare in un veicolo dimostrativo completamente integrato capace di portare a termine una missione in un contesto dinamico di alto mare.

Ulteriori veicoli anfibi ACV per l’USMC (United States Marine Corps) Nell’ambito del contratto del valore di 113,5 milioni di dollari assegnato lo scorso 26 febbraio dal Corpo dei

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Un veicolo anfibio da combattimento (Fonte: Ministero della Difesa Usa).

Entrata in servizio la nave HERSHEL ‘WOODY’ WILLIAMS (Fonte: US Navy).

Marine al gruppo BAE Systems, quest’ultimo, insieme alla società Iveco Defence Vehicles, consegnerà ulteriori 26 veicoli anfibi da combattimento 8x8 nell’ambito della fase di produzione iniziale a bassa cadenza del programma di sviluppo e produzione della piattaforma ACV (Amphibious Combat Vehicle). Il nuovo contratto porta il totale dei mezzi ordinati a 116, in attesa che venga approvata la produzione a piena cadenza. L’attuale produzione a bassa cadenza riguarda la variante per il trasporto truppe della famiglia di mezzi ACV, destinata a comprendere ulteriori versioni compresa quella per il comando e controllo, il combattimento con torretta armata di cannone da 30 mm e recupero. Il nuovo mezzo anfibio 8x8 basato sulla piattaforma Iveco DV SuperAV, si caratterizza per dimostrate e potenziate capacità d’impiego a mare e di mobilità su ogni terreno nonché trasporto protetto di 13 marine oltre all’equipaggio di tre elementi rispetto agli attuali mezzi cingolati «AAV-7». Il mezzo dispone di protezioni maggiorate contro mine, ordigni esplosivi improvvisati (IED) e minacce cinetiche rispetto agli attuali mezzi, questi ultimi destinati a essere affiancati e progressivamente rimpiazzati a partire da quest’anno.

nary Transfer Dock) e tre ESB (Expeditionary Sea Base). Destinate a svolgere un’ampia gamma di missioni di supporto avanzato fra cui quelle delle forze speciali, queste ultime si caratterizzano per capacità di comando, controllo e pianificazione missioni, nonché trasporto di materiali e mezzi navali minori in aggiunta a un esteso ponte di volo con spot per quattro elicotteri tipo «MV22» e «MH-53E» o mezzi non pilotati e relativo hangar.

Entra in servizio la Hershel ‘Woody’ Williams (ESB 4) L’US Navy ha immesso ufficialmente in servizio la nave tipo ESB (Expeditionary Sea Base) Hershel ‘Woody’ Williams lo scorso 9 marzo. Costruita insieme ad altre quattro unità da parte dei cantieri General Dynamics NASSCO nell’ambito della classe «Montford Point» che comprende due unità tipo T-ESD (Expeditio-

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L’impegno dell’US Navy nella crisi epidemiologica La mobilitazione della Marina americana nella lotta alla pandemia epidemiologica ha visto lo schieramento delle navi ospedale Comfort (T-AH 20) nel porto di New York e Mercy (T-AH 19) nel porto di Los Angeles, nonché l’impiego di circa tremila tra medici, personale infermieristico e tecnico, fra cui centinaio di riservisti a bordo di queste navi, nel Javits Center di New York e in altri ospedali civili. La nave ospedale Mercy ha preso in carico i primi pazienti il 29 marzo mentre la Comfort l’ha seguita il primo aprile. Altre centinaia di elementi del personale sanitario sono stati schierati nei centri ospedalieri di Dallas e New Orleans mentre i reparti del genio (Seabee) sono stati impegnati nel convertire edifici commerciali in strutture mediche in sei diversi Stati del Paese. A questi s’aggiungono personale e mezzi aerei a disposizione per il trasporto, collegamenti ed emergenze, al pari della US Coast Guard.

Consegnato il primo SSC La società Textron Systems ha annunciato di aver consegnato all’US Navy, il 6 febbraio scorso, il primo

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mezzo da sbarco a cuscino d’aria di nuova generazione SSC (Ship to Shore Connector). La piattaforma è stata sottoposta a un’intensa attività di qualifica e accettazione conclusasi nel dicembre 2019. L’US Navy continuerà a utilizzare il mezzo consegnato (Craft 100) per attività di test e addestramento. L’inizio dell’attività d’accettazione del mezzo successivo è prevista per questa primavera, mentre risultano altri 13 mezzi in diverse fasi produttive.

La portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) è pronta per le operazioni aeree L’US Navy ha completato la certificazione del ponte di volo e del centro di controllo del traffico aereo della portaerei a propulsione nucleare Gerald R. Ford (CVN 78). Per ottenere tale risultato, l’unità avrebbe dovuto completare la certificazione del sistema PALS (Precision Approach Landing System) per l’atterraggio di precisione, e condurre due giorni consecutivi di operazioni aeree con 50 «agganci» nelle ore diurne il primo giorno, seguiti da 70 diurni e 40 notturni il giorno successivo. L’equipaggio e il personale di volo della portaerei nonché quello del Carrier Air Wing 8 (CVW8) imbarcato hanno superato tale soglia minima richiesta, completando in due giorni, con i velivoli F/A-18 E/F Super Hornet dei quattro squadroni imbarcati, ben 123 «agganci» diurni e 42 notturni, dopo aver ottenuto la certificazione del sistema PALS nei modi IA e II per l’impiego diurno/notturno e in condizioni meteo/marine avverse. L’unità è quindi pronta per l’impiego , quale

La portaerei a propulsione nucleare GERALD R. FORD (Fonte: US Navy).

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unica portaerei disponibile sulla costa orientale quest’anno avendo anche, successivamente, portato a termine i primi test di qualificazione del sistema di combattimento.

UNIONE EUROPEA L’UE ha lanciato l’Operazione EUNAVFOR MED IRINI Il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato lo scorso 31 marzo la decisione che ha dato il via all’Operazione EUNAVFOR MED IRINI. Quest’ultima, che in greco significa «pace», avrà come compito principale l’implementazione dell’embargo sulle armi da parte delle Nazioni Unite alla Libia attraverso l’uso di risorse aeree, satellitari e navali. In particolare, la missione sarà in grado di effettuare ispezioni delle navi in alto mare al largo delle coste libiche, sospettate di trasportare armi o materiale correlato da e verso la Libia, conformemente alla Risoluzione 2292 (2016) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come compiti secondari, EUNAVFOR MED IRINI monitorerà e raccoglierà informazioni sulle esportazioni illecite dalla Libia di petrolio, petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati, nonché contribuirà al potenziamento delle capacità e alla formazione della Guardia Costiera e della Marina libiche nei compiti di contrasto in mare. Infine, contribuirà alla distruzione del modello commerciale delle reti di trafficanti di esseri umani attraverso la raccolta d’informazioni mediante aerei da pattugliamento. La missione è posta sotto il comando del Contrammiraglio Fabio Agostini e il suo quartier generale operativo è situato all’interno dell’aeroporto militare F. Baracca a Roma-Centocelle. Il mandato dell’Operazione IRINI durerà inizialmente fino al 31 marzo 2021 e sarà sotto stretto controllo degli Stati membri dell’UE, che eserciteranno il controllo politico e la direzione strategica attraverso il comitato politico e di sicurezza (CPS), sotto la responsabilità del Consiglio e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza. Parallelamente al lancio dell’Operazione IRINI, l’Operazione EUNAVFOR MED esistente nel Mediterraneo, SOPHIA, ha cessato definitivamente le sue attività. Luca Peruzzi

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«By 2035 China’s Navy Will Be the World’s Largest» U.S. NAVAL INSTITUTE PROCEEDINGS, VOL. 146/2/1. 404, FEBRUARY 2020

Sulle colonne del mensile dell’Accademia navale di Annapolis, il Rear Admiral (ret.) US Navy Michael A. McDevitt, Senior Analyst del prestigioso Center for Naval Analyses di Arlington, che da poco ha festeggiato i suoi primi 75 anni di attività (cna.org), per cercare di interpretare i ritmi futuri delle costruzioni navali militari della flotta della Marina cinese (denominazione ufficiale People Liberation Army’s Navy), ci propone una «tabella sinottica» proiettata nella cornice temporale degli anni 2020-2021 (come di seguito riportata). Una tabella che pone a confronto la composizione attuale della Marina cinese con quelle delle principali potenze navali del mondo (ergo Regno Unito, Francia, Giappone, India, Russia, Stati Uniti), in un palinsesto invero prezioso dal punto di vista documentale dal cui esame si evince, ictu oculi, la netta superiorità cinese sui competitor navali in considerazione, eccetto ovviamente la Marina degli Stati Uniti, cui compete «for now», sottolinea l’Autore, l’indiscusso dominio globale dei mari, laddove «The United States has both a quali-

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tative and quantitative advantage in aircraft carriers, high-end air defense cruisers and destroyers, large amphibious ships, and nuclear attack submarines». Nell’incertezza di poter prevedere esattamente la reale portata dei programmi navali cinesi nel prossimo quindicennio, l’Autore suggerisce di prendere in considerazione quanto è stato già realizzato da Pechino nello scorso quindicennio, laddove sono state commissionate/varate «131 unità (blue-water capability) e costruite altre 144 (near-seas operations), per un totale quindi di 275 nuove unità militari». Facendo le debite proporzioni, con un occhio alla capacità dei cantieri cinesi e alle plausibili dismissioni che nel contempo si verificheranno, il contrammiraglio McDevitt non esita a dichiarare: «I predict the PLAN’s blue water capable ships in 2035 will number around 270 warships». Uno scenario in cui la componente subacquea sarà destinata, plausibilmente, a «raddoppiare», compresi i sottomarini nucleari d’attacco. In esito alle capacità costruttive del cantiere di Holudao, il numero delle portaerei da 85.000 t potrebbe arrivare, sempre entro il 2035, a contare ben cinque/sei unità, con tre già operative nel prossimo settennio, con un sostanziale incremento dell’Aviazione navale che punta sul caccia multiruolo di IV generazione «Shenyang J-15 Flying Shark», mentre invariato, dovrebbe rimanere il numero delle unità «near-seas capability». In buona sostanza, la PLA Navy dovrebbe constare tra un quindicennio, in complesso, di ben 430 unità, una vera e propria «world class navy», come aveva preconizzato lo stesso Xi Jinping.

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«Le Siècle de Machiavel» LE FIGARO, 9 MARS 2020

Lo storico ed economista francese Nicolas Baverez, nel suo breve ma pregante intervento sulle pagine del quotidiano d’oltralpe, traccia un interessante quadro delle relazioni internazionali — la cui analisi suscita un crescente interesse tra i lettori in uniforme — all’insegna del Machiavelli, sotto la quale — a parere dell’Autore — si è svolto il tragico destino del XX secolo. Il «secolo breve» articolato in due guerre mondiali che hanno visto contrapporsi nazioni e imperi, democrazie e totalitarismi. Mentre il XXI secolo, dopo il crac finanziario del 2008 che ha chiuso il ciclo della globalizzazione liberale, non sembra essere da meno, nel senso che «le XXIe siècle s’organise autour d’une politique faite de force et de ruse, d’affirmation des ambitions de puissance, de primat de l’efficacité sur la morale et sur le droit». La conquista del potere e il suo mantenimento sembrano infatti giustificare il ricorso a qualsiasi mezzo, come dimostra il totalitarismo cinese, ovvero il regime di Damasco che si è assicurato la propria sopravvivenza al prezzo 450.000 morti e 12 milioni di profughi su una popolazione di 22 milioni di abitanti, denuncia il Nostro senza infingimenti e con un velo di profondo pessimismo. «La menzogna e l’astuzia sono dunque elevate al rango di strategie. Il legame indissolubile che il Machiavelli instaura tra il Principe e l’Arte della Guerra ritrova dunque una sua attualità». Di qui la rinascita, come negli anni Trenta del secolo scorso, di regimi «machiavellici» per i quali, ancora una volta, «il fine giustifica i mezzi» e che si prefiggono la distruzione della democrazia liberale. «Il paradosso è che a spalancare un incredibile spazio politico e strategico del XXI secolo sono le stesse democrazie occidentali — Stati Uniti in primis — con la loro deriva populista. Il XXI secolo sarà “machiavellico” e la più importante posta in gioco sarà la libertà politica. È venuto il momento per le democrazie di mobilitare le loro forze per affrontare la sfida dei “machiavellismi” della nostra epoca». E non è un caso che proprio negli Stati Uniti della presidenza Trump un profes-

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Il «machiavellismo» di Trump (Fonte: blogs.berkley.edu).

sore di storia dell’Università di Berkeley, Peter Sahlins, abbia dato, con un tono di divertissement (ma poi non troppo!) ai propri allievi, ciascuno sotto le mentite spoglie del Segretario Fiorentino e con i suoi scritti alla mano, il compito di scrivere una «lettera aperta» al Presidente per denunciare apertis verbis le forme, i modi e gli atteggiamenti del suo disinvolto «machiavellismo»!

«The Bering Strait: An Arena for Great Power Competitions» JOINT FORCE QUARTERLY, 96 - 1ST QUARTER, JANUARY 2020

Gli effetti perversi dei cambiamenti climatici stanno modificando l’assetto dell’Artico col progressivo scioglimento dei ghiacci della sua calotta, in un trend irreversibile ormai dal 2007 che, stando alle ultime osservazioni satellitari del settembre dello scorso anno, alla fine cioè dell’estate artica, hanno fatto registrare 4,15 milioni di km2, il secondo record negativo dall’inizio delle misurazioni stesse. Si sono aperti così nel Grande Nord nuovi scenari per la competizione di potenza tra gli attori interessati, le cui motivazioni sono economiche (secondo le previsioni del U.S. Geological Survey nei fondali artici si nasconde il 13% delle risorse in inesplorate di petrolio, il 30% di quelle di gas naturale e il 20% di quelle di gas naturale liquefatto) e le conseguenze sempre geopolitiche. Nell’articolo in esame il maggiore USMC Ryan

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Tice, sia pur rapidamente, concentra la sua attenzione sul dimenticato Stretto di Bering che separa, come noto, la Siberia russa dall’Alaska statunitense, ponendo in risalto come «this 51-mile -wide Strait» stia diventando nell’attuale contesto geostrategico «an emerging maritime corridor that is becoming increasingly vital to the economic and National security interests of the United States and its allies — e inoltre, come già ufficialmente evidenziato dalla U.S. Navy Arctic Roadmap: 2014–2030, anche — a strategic maritime corridor serving as the bridge between the growing threats in Asia and Europe» (www.navy.mil/docs/USN_arctic_roadmap .pdf). Lo Stretto di Bering è dunque la «porta dell’Artico» dal versante Pacifico che, in previsione dell’ulteriore progressivo scioglimento dei ghiacci polari, acquisterà un’importanza sempre maggiore per il controllo delle rotte marittime per i Paesi del Far East (cioè Giappone, Corea del Sud e, soprattutto Cina, che si è definita «near arctic State»), pur sempre con l’attuale primazia russa nel dominio ravvicinato delle acque del passaggio a NordEst, almeno finché le rotte commerciali internazionali non si potranno spostare con sicurezza in una posizione più centrale (Transpolar Route), quindi più lontana dalla lunga costiera siberiana. E se l’Autore vede la questione sotto un profilo prettamente militare, ingolfandosi nella descrizione delle numerose iniziative operative statunitensi nel suddetto teatro con le rispettive catene di comandocontrollo in vista di possibili complicazioni con la Russia e la Cina, non sarà discaro per i lettori, in una visione più ampia che meglio gli permetta di apprezzare la straordinaria importanza prossimo ventura dello Stretto di Bering, rivedere quel teorema geopolitico che chi scrive aveva già enunciato sulle colonne della rivista Limes nell’articolo «Il “Cuore dei Mari”

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batterà al Polo Nord» (n. 2/2012). Teorema secondo il quale, in estrema sintesi: «Se l’Artico sarà il Nuovo Medio Oriente dell’energia, lo Stretto di Bering diventerà in un prossimo futuro — figuratamente parlando — il Nuovo Stretto di Hormuz».

«A Vele spiegate nella Storia» IL SOLE 24 ORE, DOMENICA, 1O MARZO 2020

Ci sono alcune navi, «catalizzatori dell’immaginazione», che non muoiono mai, ma continuano a vivere nei secoli attraverso le pubblicazioni a loro dedicate, le ricostruzioni in copia, il culto dei loro reperti e, se del caso, l’assidua ricerca dei loro relitti. È il caso del brigantino Endeavour, la nave che, tra il 1768 e il 1771, accompagnò il celeberrimo James Cook nella sua prima grande esplorazione alla ricerca della Terra Australis Incognita nell’Oceano Pacifico. Sul supplemento culturale del quotidiano finanziario ambrosiano ce ne parla, in un ampio articolo, Roberto Casati in occasione dell’ultimo libro, «vera e propria biografia» della nave stessa, scritto di Peter Moore, che fa seguito all’analogo lavoro di Ray Parkin (1997 e 20032). Una storia invero tanto gloriosa quanto sfortunata quella dell’Endeavour. In estrema sintesi, varata nel 1764 come Earl of Pembrooke (368 t, lunghezza 32 m) era una nave adibita al trasporto del carbone sulla costa dello Yorkshire che, acquistata dall’Ammiragliato nel 1768 col nuovo nome Endeavour, al comando del Lieutenant Cook, al quale era stata affidata la spedizione scientifica congiunta con la Royal Society a Tahiti per osservare il transito di Venere davanti al Sole nonché raccogliere le prove dell’esistenza della Terra Australis Incognita. Dopo aver effettuato il periplo del mondo, via Capo Horn all’andata e Capo di Buona Speranza al ritorno — durante il quale aveva toccato la costa della Nuova Zelanda 127 anni dopo l’olandese Abel Tasman e, per la prima volta, il 19 aprile 1770, quella dell’Australia, scampando peraltro al naufragio sulla barriera corallina — venne utilizzata dapprima su e giù per l’Atlantico per rifornire la remota guarnigione inglese delle Falkland e poi, rinominata Lord of Sandwich, come nave appoggio per la grande spedizione

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Immagine di James Cook tratta dal famoso ritratto di Nathaniel Dance Holland con l’HMS ENDEAVOUR sullo sfondo (Fonte: ligurianautic.com).

militare britannica durante la guerra di indipendenza americana. Alla fine, nel 1778, deliberatamente (e ingenerosamente!) affondata per bloccare l’accesso a Newport della flotta francese. «Ingranaggio dapprima dell’economia inglese — commenta Casati — strumento delle sue ambizioni coloniali cui verrà in seguito sacrificata, l’Endeavour rimarrà per sempre legata alla spedizione di Cook, coadiuvato a bordo dall’equipe di scienziati della Royal Society, che ne fecero la prima nave oceanografica — nel senso che — navigando lungo l’Atlantico era diventata una sonda scientifica. Le reti solcavano le acque, raccogliendo il contenuto dell’oceano, portandolo nella nave dove poteva essere sottoposto al rigore di Linneo e sintetizzate a beneficio della scienza in quaderni e riviste. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere in modo così sistematico prima di allora». Il termine stesso «endeavour» (sforzo, tentativo, impresa) caratterizzerà un’epoca intera, come una sorta di

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«finestra sul suo secolo», il Settecento, come pure tra la fine del Ventesimo e l’inizio del XXI secolo, allorché il suo nome, nelle venticinque missioni dal 1992 al 2011, ha viaggiato nello spazio, scritto sulla carlinga del NASA’s Space Shuttle «Endeavour» (www.space.com/17695space-shuttle-endeavour-surprising-facts.html). E se una copia della ricostruzione della nave si può ammirare e visitare nel porto di Sidney, ormeggiata davanti all’Australian National Maritime Museum, si è anche sulla buona strada per il recupero del suo relitto dopo una lunga e laboriosa azione congiunta di individuazione da parte dei ricercatori del Rhode Island Marine Archeology Project e dal team subacqueo della Royal Australian Navy, guidati nientemeno che dal vice-Ammiraglio Michel Noonan il quale, all’uopo, non ha esitato a immergersi per verificare personalmente «se i resti dei cannoni corrispondevano alle attese degli archeologi» (www.ligurianautica.com/ rubriche/sui-fondali-di-rhode-island-ritrovato-il-relittodellhms-endeavour/). Ezio Ferrante

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