LAVORO
I PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ E LA DECISIONE DELLA CORTE
DI ALESSANDRA SANNIPOLI, REFERENTE PER LE RELAZIONI INDUSTRIALI DI ASSOSISTEMA CONFINDUSTRIA
IL NUOVO INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL’ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI Con la sentenza n. 125/2022, depositata il 19 maggio scorso, la Corte costituzionale si è nuovamente1 pronunciata in merito ai contenuti dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ritenendo incostituzionale l’inciso “manifesta” che caratterizzava l’elemento dell’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
LA QUESTIONE DI ILLEGITTIMITÀ La questione di legittimità è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 6 maggio 2021, nell'ambito di un giudizio di opposizione2 promosso dal datore di lavoro avverso una ordinanza dello stesso Tribunale che, all’esito della fase sommaria, ha annullato il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo e ha disposto la reintegrazione
del lavoratore. Nello specifico, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’ art. 18, comma 7, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno
2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
1) Ricordiamo la recente sentenza della Corte costituzionale la n. 59/2021, con cui è stato dichiarato incostituzionale l’art. 18, comma 7, secondo periodo, della Legge 300/1970 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare», invece che «applica altresì», la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma. 2) Ai sensi dell’art. 1, comma 51, legga legge n. 92/2021 (rito Fornero) «Contro l'ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui al comma 49 può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all'articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti. Il giudice fissa con decreto l'udienza di discussione non oltre i successivi sessanta giorni, assegnando all'opposto termine per costituirsi fino a dieci giorni prima dell'udienza».
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La Corte costituzionale nel condividere i profili di illegittimità sollevati dal giudice a quo, anzitutto, ha ritenuto violato il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. Secondo la Corte, la gradualità della tutela nella fattispecie di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (reintegrazione solo in caso di manifesta insussistenza; indennizzo negli altri casi “meno gravi” o “non manifesti”) è ingiustificata, tenuto conto che nelle ipotesi di licenziamento per ragioni soggettive la reintegra non richiede alcuna manifesta illegittimità del motivo e, analogamente, nelle ipotesi di licenziamento collettivo, il vizio sostanziale (violazione dei criteri di scelta) comporta sempre la reintegrazione, a prescindere dalla gravità di tale vizio. Ne consegue che la distinzione sul grado di illegittimità del licenziamento, nella sola ipotesi di giustificato motivo oggettivo individuale, determina una forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo, rispetto alla posizione di coloro che sono stati licenziati per ragioni disciplinari o nell'ambito di un licenziamento collettivo.
La Corte costituzionale ha rilevato altresì l'irragionevolezza della disposizione in quanto la necessità di effettuare una distinzione tra motivo oggettivo, manifesto e non, comporta inevitabili incertezze applicative e può condurre a soluzioni difformi, ampliando eccessivamente il "fisiologico" margine di discrezionalità del Giudice nella valutazione del caso concreto. Sul punto, la sentenza ha lucidamente argomentato: «La scelta tra due forme di tutela profondamente diverse è rimessa a una valutazione non ancorata a precisi punti di riferimento, tanto più necessari quando vi sono fondamentali esigenze di certezza, legate alle conseguenze che la scelta stessa determina … Il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico. Non solo il riferimento alla manifesta insussistenza non racchiude alcun criterio idoneo a chiarirne il senso; esso entra anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo al fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in una prospettiva di immediato e age-
vole riscontro. La sussistenza di un fatto non si presta a controvertibili graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto una alternativa netta, che l'accertamento del giudice è chiamato a sciogliere in termini positivi o negativi».Da ultimo, per quanto concerne l’applicazione della – ormai residuale – tutela indennitaria la Corte ha affermato che «Rientrano nell’area della tutela indennitaria le ipotesi in cui il licenziamento è illegittimo per aspetti che, pur condizionando la legittimità del licenziamento, esulano dal fatto giuridicamente rilevante, inteso in senso stretto. In tale ambito si colloca il mancato rispetto della buona fede e della correttezza che presiedono alla scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi appartengono a personale omogeneo e fungibile». Dunque, secondo l’impostazione seguita dalla Corte l’insussistenza del fatto vale a circoscrivere la reintegrazione ai vizi più gravi, mentre la violazione dei principi di buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori da licenziare in caso di posizioni fungibili comporta l’applicazione della tutela meramente indennitaria.
CONCLUSIONI Per concludere, con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022, la Corte Costituzionale ha stabilito che ai fini della tutela dell'articolo 18, il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia "manifesta". L’incostituzionalità difatti ha colpito la sola parola “manifesta”, che precede l’espressione “insussistenza del fatto” posta a base del licenziamento per ragioni economiche, produttive e organizzative. La sentenza della Corte ha in tal modo riscritto gli equilibri della norma in esame ampliando l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria (con l’abolizione di un presupposto) e ridimensionando il perimetro applicativo della tutela indennitaria.
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