30 La Corte costituzionale
La composizione della Corte costituzionale La Costituzione ha previsto che la Corte sia formata da quindici giudici, scelti tra persone particolarmente qualificate e di comprovata esperienza: professori ordinari di università in materie giuridiche; avvocati che abbiano svolto per almeno vent’anni l’attività professionale; giudici appartenenti alle giurisdizioni superiori amministrative o ordinarie (giudici della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato o della Corte dei conti). La scelta dei componenti della Corte è effettuata per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e, per il restante terzo, dalle più alte Magistrature.
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Legittimità costituzionale significa che la Corte verifica se una legge o un decreto è conforme o meno ai princìpi contenuti nella Costituzione. Nel caso in cui la Corte ritenga che una legge o un atto avente forza di legge sia in contrasto con la Costituzione, cioè costituzionalmente illegittimo, ha il potere di farne cessare l’efficacia «dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» sulla Gazzetta Ufficiale.
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Per assicurare l’effettiva osservanza dei princìpi costituzionali, la stessa Carta ha previsto un organo, la Corte costituzionale, il cui compito fondamentale è proprio quello di giudicare «sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni» (articolo 134).
Presidente
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Nella realtà può accadere che uno degli organi che hanno il compito di emanare leggi (Parlamento o Regioni) oppure atti aventi forza di legge (Governo) emanino atti contrari ai princìpi costituzionali. Così, per esempio, l’articolo 3 stabilisce che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». In Italia, sarebbe dunque in contrasto con la Costituzione una legge in materia di lavoro che prevedesse retribuzioni differenti per i cittadini maschi rispetto alle donne.
Vicepresidente
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La Costituzione italiana, come quasi tutte le Costituzioni moderne, è rigida. Ciò significa che può essere modificata solo tramite una complessa procedura e che, in base al criterio della gerarchia delle fonti, i princìpi costituzionali in essa contenuti devono essere assolutamente rispettati da tutte le altre fonti (leggi, decreti, regolamenti ecc.), perché rappresentano le fondamenta sulle quali viene costruito l’intero ordinamento giuridico.
La composizione della Corte costituzionale
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La rigidità della Costituzione
I giudici della Corte costituzionale restano in carica nove anni, durante i quali non possono svolgere nessun’altra attività, e godono di particolari immunità, finalizzate ad assicurare la loro indipendenza: non sono perseguibili per le opinioni espresse durante l’esercizio delle proprie funzioni e non possono essere sottoposti a processo penale senza previa autorizzazione da parte della stessa Corte. La Corte elegge tra i propri componenti il Presidente. La sua carica dura tre anni ed è rieleggibile. Il Presidente non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti nel qual caso il suo voto vale doppio: è dunque un primus inter pares (primo fra uguali). La sede della Corte è a Roma, presso il palazzo della Consulta, situato a pochi metri dal Quirinale. La prima riunione della Corte è avvenuta solo nel 1956. Attualmente si riunisce più volte al mese e i tempi di emanazione delle sue sentenze sono inferiori a un anno.
Le funzioni Alla Corte costituzionale sono assegnate in sostanza quattro funzioni: giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; giudicare sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e i conflitti fra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni; giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o attentato alla Costituzione; giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
Il controllo di legittimità costituzionale Il primo e storicamente più importante ruolo della Corte è quello di “giudice delle leggi”: a essa spetta infatti il compito di controllare che le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni rispettino la Costituzione (cosiddetto controllo di legittimità costituzionale o di costituzionalità). La Corte è chiamata a controllare sia che gli atti legislativi siano stati adottati nel rispetto dei procedimenti previsti dalla Costituzione (costituzionalità formale), sia che il contenuto degli atti in questione sia conforme ai princìpi costituzionali (costituzionalità sostanziale). I dubbi di costituzionalità possono essere sollevati solo in occasione dell’applicazione di una legge da parte dei giudici comuni. Quando un giudice, nel corso di un pro-
Gli inizi della Corte L’istituzione della Corte Costituzionale, non prevista nell’ordinamento italiano anteriore al 1948, fu la conseguenza della scelta dell’Assemblea costituente di attribuire alla nuova Costituzione una forza tale da evitare che le leggi potessero modificarla o sostituirsi ad essa. Il testo della Costituzione ha previsto dunque esplicitamente l’istituzione della Corte, le sue funzioni fondamentali, la sua composizione e gli effetti delle sue decisioni sulle leggi, ma ha rinviato a leggi successive l’ulteriore disciplina della sua attività. L’ordinamento della Corte è stato completato solo nel 1953. I primi giudici si sono insediati nel Palazzo della Consulta due anni dopo e la Corte, presieduta da Enrico De Nicola, ha tenuto la sua prima udienza pubblica il 23 aprile 1956. La discussione riguardava la costituzionalità di una norma delle legge di pubblica sicurezza del 1931, che richiedeva un’autorizzazione di polizia per distribuire volantini o affiggere manifesti e puniva la distribuzione o affissione non autorizzate. La questione era stata sollevata da ben 30 giudici penali di tutto il Paese che dubitavano della conformità all’art. 21 Cost. (libertà di manifestazione del pensiero). La prima sentenza sancì l’incostituzionalità della norma, ribadendo inoltre che qualsiasi legge anteriore o posteriore alla Costituzione poteva essere controllata ed annullata se in contrasto con essa.
cesso, ritiene che la legge da applicare al caso concreto non possa essere interpretata conformemente alla Costituzione e presenti dubbi di costituzionalità, sospende il processo rimettendo la questione alla Corte costituzionale. Questo sistema di controllo di costituzionalità è definito incidentale. Il giudizio di costituzionalità in via principale può essere promosso solo quando il Governo ritiene che una legge regionale ecceda la competenza della Regione o quando una Regione ritiene che una legge (o un atto avente forza di legge) dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza. La Corte può prendere le sue decisioni in udienza pubblica o in camera di consiglio (a porte chiuse). In entrambi i casi, le decisioni sono prese sempre dal collegio, cioè dall’insieme dei giudici (da undici, numero minimo richiesto perché la Corte possa decidere, a quindici, il totale dei membri). Se la Corte “accoglie” la questione di legittimità costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, che cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla “Gazzetta Ufficiale”. La pronuncia della Corte ha un effetto generale (non limitato al singolo giudizio in cui la questione è stata sollevata) e definitivo (non è infatti possibile rimettere in discussione la decisione). Si può quindi dire che in questo caso la legge “scompare” dall’ordinamento. La Corte può anche decidere che a essere incostituzionale non è l’intera norma in questione, ma solo una parte di essa. In questi casi la Corte indica chiaramente la parte della legge destinata a perdere efficacia e, se possibile, individua la norma che la sostituirà. La Corte può anche “rigettare” la questione di legittimità costituzionale e ritenere che la norma non sia incostituzionale. In tal caso respinge il dubbio di costituzionalità con una pronuncia detta di rigetto. In questo caso, la norma rimane valida e i giudici potranno continuare ad applicarla. La decisione non ha però effetto generale e definitivo: infatti, lo stesso dubbio di legittimità costituzionale potrà essere nuovamente posto all’attenzione della Corte, anche con motivi o argomenti nuovi. Un’altra ipotesi è che la Corte respinga un dubbio di costituzionalità perché ritiene che la norma in questione possa essere interpretata in maniera conforme alla Costituzione. Questo avviene per mezzo delle cosiddette sentenze “interpretative”. Sebbene formalmente queste decisioni non vincolino i giudici diversi da quello che ha sollevato la questione, i giudici tendono ad adeguarsi alle interpretazioni proposte dalla Corte. Infine, la Corte può ritenere che la questione di costituzionalità sia inammissibile perché mancano i requisiti necessari per sollevarla. In questo caso la Corte non può nemmeno controllare la costituzionalità della norma.
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