Notizie LOTTA DI CLASSE N° 3

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011

Notizie LOTTA

di CLASSE

Supplemento a Lotta di Classe - Periodico dell’U.S.I. - A.I.T.

VENERDI’ 28 GENNAIO SCIOPERO GENERALE

CONTRO l’attacco ai lavoratori, al loro diritto di organizzarsi e di scegliere i propri rappresentanti, al loro diritto di rivendicare e di scioperare; PER migliori condizioni salariali, di lavoro e di vita In linea con l’attacco generalizzato che da anni viene portato alla condizione e ai diritti dei lavoratori, degli studenti, dei precari e degli immigrati, dai proconsoli di Berlusconi (da Brunetta a Tremonti, da Gelmini a Sacconi) è arrivato Marchionne, il t e r m i n a t o r, a d a r e l ’ u l t i m a s p a l l a t a a i l a v o r a t o r i . G l i “ a c c o r d i ” d i P o m i g l i a n o e M irafiori accordi non sono, ma semplicemente diktat che la Fiat impone ai lavoratori. Il voto al referendum di Mirafiori – che ha approvato di stretta misura l’accordo, molto più stretta che a Pomigliano - dice una cosa molto semplice: quasi la metà dei lavoratori ha respinto nettamente il ricatto, altri hanno ceduto al sì intimiditi e minacciati dall’azienda, dai sindacati collaborazionisti, dalla campagna terroristica dei mass-media padronal-governativi, dalla propaganda di loschi figuri del cosiddetto centro-sinistra, dalle ambiguità della signora Camusso. Ora in Fiat tutto diventa legittimo: far lavorare gli operai sino allo sfinimento (anche 10 ore al giorno per quattro giorni consecutivi), con pause ridottissime e la mensa spostata a fine turno, il divieto di ammalarsi, quello di scioperare contro l’accordo e l’impossibilità di eleggere i propri rappresentanti, che saranno nominati d’ufficio dai sindacati collaborazionisti che l’avranno firmato (Fim, Uilm, Ugl e il sindacato giallo Fismic). Fuori rimane la Fiom che non l’ha sottoscritto, così come i sindacati di base. Ma la Fiom, bisogna dirlo chiaro e senza equivoci, è vittima più di se stessa che di Marchionne avendo, da anni, cogestito un sistema di relazioni sindacali fondato sulla sistematica esclusione dai diritti di rappresentanza del sindacalismo conflittuale e alternativo. Se proclamiamo questo sciopero non è dunque a difesa dei diritti della Fiom, ma del diritto dei lavoratori a scegliere liberamente le forme della propria rappresentanza, a esprimere le proprie rivendicazioni, con le modalità di lotta che riterranno necessarie. Il modello Marchionne, che è passato a Mirafiori, si cercherà di estenderlo negli altri stabilimenti Fiat, nel suo indotto, ma anche fuori, nelle altre aziende, in tutto il mondo del lavoro. Questo modello va combattuto fin da subito e dappertutto ed è per questo che invitiamo tutti i lavoratori a scioperare, tutti gli studenti, i precari, i disoccupati, tutti quelli che subiscono miseria, sopraffazione, emarginazione, a manifestare con forza e determinazione. Perché il modello-Fiat potrebbe diventare il modello sociale futuro dove i diritti, anche quelli più elementari, saranno sempre più l’elemosina dei padroni. La Segreteria Nazionale USI-AIT

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011

Dallo Statuto dei Lavoratori a quello dei Lavori La legge n. 300 del 1970, universalmente conosciuta come “Statuto dei Lavoratori”, fu varata in un periodo molto caldo delle lotte e delle conquiste operaie. Doveva in qualche modo normare e cristallizzare i rapporti di forza tra lavoro e capitale, che in quegli anni stavano mutando rapidamente a favore del movimento dei lavoratori. Non dunque una conquista, ma piuttosto un congelamento di uno stato di cose acquisito, come a dire “fino qui, ma non oltre”. Non a caso, come ci ha ricordato recentemente (e strumentalmente) il ministro Sacconi, suscitò forti malumori nella CGIL che vi vedeva un vincolo alla possibilità di contrattare su tutto (“il contratto è il nostro Statuto” dichiararono dirigenti cigiellini), compreso ovviamente i diritti sindacali. Lo Statuto, composto da 41 articoli, è diviso in sei titoli (Della libertà e dignità del lavoratore; Della libertà sindacale; Dell’attività sindacale; Disposizioni varie e generali; Norme sul collocamento; Disposizioni finali e penali) che definiscono minuziosamente un corpus di diritti dei lavoratori, recependo, in qualche modo, le spinte emerse dalle lotte dell’Autunno caldo. Recependole tuttavia contraddittoriamente, dove a fronte della parola d’ordine “parità di salario, parità di diritti” lo Statuto escludeva da una serie di tutele i lavoratori delle piccole aziende (quelle con meno di 15 dipendenti) e ne limitava l’applicazione nel pubblico impiego (articoli 35 e 37). Nel complesso lo Statuto rappresentava un elemento di forte novità nelle relazioni sindacali perché: a) normava legislativamente una materia nuova per la giurisprudenza, dando l’avvio al giuslavorismo e alle cause di lavoro come integrazione/sostituzione alle vertenze classiche; b) normava le forme della rappresentanza sindacale e lo status dei diritti delle organizzazioni sindacali, sia pur contraddittoriamente in quanto mentre affermava che “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro” (articolo 14), d’altro canto restringeva il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali nell’ambito “delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” o “delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva” (articolo 19). Nel complesso lo Statuto, con la sua “rigidità legislativa” si proponeva, e si proporrà negli anni successivi, come gabbia e come trincea di difesa. In questa duplice valenza subirà limature, modifiche e “attacchi” da destra e da sinistra, da parte padronale (in nome della necessità di una flessibilità crescente del mercato del lavoro) e da parte di settori di lavoratori fuoriusciti e organizzati fuori dal sindacalismo confederale (sindacati di base). Ricordiamo, cronologicamente e senza pretesa di completezza, la legge quadro (n. 93/83) che ha esteso moltissimi articoli dello statuto al pubblico impiego; la legge n. 108/90 che ha riscritto parzialmente l’articolo 18 (inefficacia e invalidità del recesso, a tutela dei lavoratori licenziati ingiustamente); il decreto legislativo n. 29/93, che, contrattualizzando il rapporto di lavoro pubblico, ha esteso lo statuto per intero al pubblico impiego ed anche ad unità lavorative con meno di 15 dipendenti (1); l’accordo interconfederale del dicembre 1993 sulla costituzione delle RSU che ha cambiato di fatto la titolarità dell’articolo 19, 23, 24, 25 sui diritti delle rappresentanze aziendali; il referendum abrogativo del giugno 1995 delle clausole restrittive

dell’articolo 19, quelle per intenderci che riservavano i diritti sindacali ai sindacati maggiormente rappresentativi (leggasi confederali); i decreti legislativi n. 396/97 e n. 80/98 che estendono le RSU al pubblico impiego; il decreto legislativo n. 297/2002 che nella riforma generale del collocamento ha abrogato gli articoli 33 e 34 liberalizzando la collocazione al lavoro; il decreto legislativo n. 196/2003 che è intervenuto sull’entità delle disposizioni penali a fronte di violazione di articoli dello statuto riguardanti la privacy dei lavoratori (articolo 38). A questo percorso, che potremmo definire “interno” in quanto riguarda l’apparato della legge, i suoi adeguamenti e/o modifiche, si è affiancato, e non da oggi, un percorso “esterno” che metteva in discussione non tanto i singoli articoli o commi, quanto la “filosofia” dello statuto, ovvero il suo essere (almeno formalmente e con tutti i limiti che abbiamo segnalato) una Carta dei diritti dei lavoratori e, di conseguenza, dei doveri dei datori di lavoro. La prima picconata, sostanziale e organica, allo statuto avrebbe dovuto essere, agli inizi del 1998, la proposta di uno «Statuto dei lavori», elaborata dal non-compianto Marco Biagi e Michele Tiraboschi su indicazione dell’allora Ministro del Lavoro Tiziano Treu, che però non venne mai tradotta in un disegno formale di legge. L’assunto da cui partiva era la necessità di estendere l’ambito di applicazione di una parte, più o meno consistente, delle tutele previste per il lavoro subordinato (segnatamente quelle previste dallo statuto) al lavoro precario che stava iniziando a dilagare. Scrive a questo proposito Maria Strino (2): “Il progetto di «Statuto dei lavori» – sul presupposto della inutilità di ogni sforzo teso a definire una realtà, quella del lavoro, in continua trasformazione – si strutturava intorno all’idea di un intervento di rimodulazione delle tutele, diretto ad assicurare a tutti i rapporti di lavoro una base minima di protezione, che si intensificasse in relazione ai rapporti con maggior bisogno di tutela attraverso la puntuale indicazione del tipo di garanzia da applicare (diritti in materia di salute e sicurezza, libertà e dignità, diritti sindacali, equo trattamento economico, ecc.). Un ruolo altrettanto centrale rivestiva, in questa proposta, la previsione di un meccanismo di «certificazione», in sede amministrativa, della qualificazione assegnata dalle parti al rapporto di lavoro”. Non può sfuggire il passaggio essenziale “la rimodulazione delle tutele” per tutti i rapporti di lavoro e la “base minima di protezione”. In soldoni, la condizione del lavoro precario (minimamente tutelata) che diventa il parametro fondante dei diritti di tutti i lavoratori. Più chiaro di così! Ma, come scrive ancora la Strino: “L’obiettivo della rimodulazione delle tutele era destinato, tuttavia, a soccombere nel confronto, sollecitato dal Governo Prodi, con il disegno di legge Smuraglia («Norme di tutela dei lavori ‘atipici’»), dal quale è scaturito il testo del disegno di legge approvato dal Senato il 4 febbraio 1999 e passato alla Camera con il n. 5651 senza, poi, essere trasformato in legge. Quest’ultimo rappresenta il frutto della complessa mediazione tra l’iniziativa parlamentare e la proposta ministeriale, accogliendo, da un lato, l’impostazione del disegno di legge Smuraglia relativamente alla individuazione di una terza categoria contrattuale, dall’altro, le indicazioni dello «Statuto dei lavori» in tema di certificazione dei rapporti di lavoro. Il quadro di tutele introdotto, giudicato eccessivo e in controtendenza rispetto alle istanze di flessibilità provenienti dal mondo del lavoro, ha costituito il principale ostacolo all’approvazione del disegno di legge n. 5651 sui c.d.

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011 “lavori atipici””. Inizia dunque in quegli anni un duplice percorso: quello ipotizzato da Biagi di una “ricomposizione” al ribasso di un quadro comune di diritti dei lavoratori, siano atipici o dipendenti a tempo indeterminato, implicante una revisione profonda dello Statuto dei Lavoratori e quello di una definizione autonoma del lavoro atipico e precario. Di quest’ultimo ricordiamo solamente le due tappe fondamentali: la legge 196/97 o Pacchetto Treu e il decreto legislativo 276/2003 o Legge Biagi (convertito in Legge 30/2003), che tutti ben conosciamo. L’altro percorso, quello che porta all’attuale bozza di Statuto dei Lavori targata Sacconi, è più complesso e travagliato e dunque possiamo solo, qui nel seguito, tracciarne uno svolgimento cronologico molto sintetico: - marzo/aprile 1998 - Marco Biagi (a cura di), Progetto per la predisposizione di uno «Statuto dei nuovi lavori» - articolato normativo: bozza preliminare; - febbraio 2002 - Marco Biagi (a cura di), Delega al Governo per la redazione di un testo unico in materia di disciplina di tipologie contrattuali in cui sia dedotta attività lavorativa («Statuto dei lavori»); - agosto 2002 - Disegno di legge n. 1674, in materia di “Diritti di sicurezza sociale in materia di tutela attiva del lavoro e del reddito”, d’iniziativa dei senatori Treu, Piloni e altri; - dicembre 2002 - Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori - Disegno di legge n. 1872, d’iniziativa dei senatori Amato, Treu e altri; - aprile 2003 - Disegno di legge n. 2225, in materia di “Interventi urgenti per il riconoscimento a tutti i lavoratori di una «rete comune di diritti di cittadinanza» e misure urgenti di politiche attive del lavoro orientate alle piccole e medie imprese”, d’iniziativa dei senatori Piloni, Treu e altri; - marzo 2004 - Decreto istitutivo della Commissione sullo Statuto dei lavori; - marzo 2005 - Statuto dei lavori, testo consegnato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali; - febbraio 2007 - Disegno di legge n. 1356 del contenente “Deleghe al Governo in materia di statuto dei lavori, ammortizzatori sociali, incentivi al reimpiego e al collegamento tra salari e produttività”, d’iniziativa dei Senatori: Sacconi, Gentile, Novi, Morra, Piccone e Stracquadanio; - novembre 2009 - Disegno di legge n. 1873 teso a varare un Codice del Lavoro semplificato, d’iniziativa del senatore Ichino e altri. Almeno due le considerazioni che si impongono: la prima è che il progetto di Sacconi non nasce dal sacco di Babbo Natale, è da oltre un decennio che se ne discute e si tenta di picconare la vecchia legge 300; la seconda è che questo fervore “riformatore” ha animato in par misura governi di centro-destra e di centro-sinistra che hanno messo all’opera i loro esperti. Arriviamo allo Statuto sacconiano. Le premesse necessarie per inquadrarne il senso e la portata, le abbiamo in parte già viste, ma conviene sistematizzarle e ordinarle: a) il vecchio Statuto dei Lavoratori, pur con le limature, aggiustamenti e modificazioni subite negli anni, costituisce ancora un nocciolo duro di diritti del lavoratore salariato a tempo indeterminato, anche se ormai si dovrebbe parlare di uno Statuto “formale” a fronte di uno “materiale” sedimentato nel tempo; b) negli anni la composizione del mercato del lavoro è decisamente cambiata, il lavoro atipico e precario ne rappresenta una quota, sebbene ancora minoritaria, sempre più consistente;

c) il lavoro atipico è estremamente variegato nelle sue tipologie e variamente normato, anzi ipernormato; ciò contrasta con la sua necessaria flessibilità (3); d) non c’è nessun interesse a determinare un nucleo forte di diritti per i lavoratori atipici, in quanto ciò contrasterebbe con l’esigenza di estrema duttilità e flessibilità del loro rapporto di lavoro; e) c’è invece un grande interesse a rendere tipico il lavoro atipico, nel senso di assumerlo a paradigma per tutto il lavoro dipendente, compreso quello “garantito”; f) Ciò evidentemente può essere fatto solo con la definizione di un nucleo molto debole di diritti comuni e lasciando il resto ad altre forme di regolamentazione. Infatti lo Statuto sacconiano procede secondo tre direttive: La prima è quella della sovrapposizione al vecchio Statuto, lasciandolo formalmente intoccato ma facendolo diventare una scatola vuota. Come scrive infatti Alleva: “Si tratta tecnicamente di un progetto di legge delega per la emanazione di uno o più decreti legislativi diretti alla redazione di un testo unico denominato appunto Statuto dei lavori, che dovrebbe sostituire lo Statuto dei lavoratori, o, piuttosto, sovrapporsi ad esso e ad altre leggi di tutela. Diciamo “sovrapporsi” perché il progetto si caratterizza per una innovazione metodologica davvero perfida essendo d’altro canto la perfidia il tratto caratteristico dell’agire dei transfughi, al cui novero sicuramente appartengono gli autori e proponenti di questo progetto. L’innovazione metodologica consiste nel fatto che il nuovo testo legislativo invece di disporre direttamente previsioni peggiorative rispetto agli attuali in tema, ad esempio, di licenziamenti, di mansioni e qualifiche, di trasferimenti, di sanzioni disciplinari, di contratti precari, di orario di lavoro, di salario ecc., consentirà ai contratti collettivi di derogare in lungo e in largo le norme esistenti in relazione, ad esempio, alla collocazione territoriale o alla dimensione dell’impresa o al settore produttivo e così via” (4). La seconda è proprio quella di procedere per delega, disegnando un quadro molto generale del progetto, sottraendo quindi le varie tappe della sua attuazione complessiva, non tanto alla timida, insulsa e ipotetica opposizione parlamentare quanto all’attenzione dei lavoratori. La terza è quella di delegare alla contrattazione collettiva la definizione dei diritti stessi, ovviamente in deroga rispetto all’esistente. E qui sta il vero colpo di genio. Di quale contrattazione si parla? Non necessariamente della contrattazione nazionale di categoria, ma bensì di quella di tutti i livelli, territoriale e aziendale compresi. Dopo aver affossato la contrattazione nazionale di categoria (e non dimentichiamo che questo è un processo che parte da lontano, almeno dalla fine del modello contrattuale rivendicativo, sancita nel 1993 anche dalla Cgil, vero signora Camusso?) siamo recentemente arrivati, con il sistema-Marchionne, allo smantellamento della contrattazione aziendale, con accordi sindacali sostituiti da “regolamenti di fabbrica” decisi in sede padronale. Bisogna ricordare che in questo percorso gioca un ruolo fondamentale l’accordo separato sulla riforma degli assetti contrattuali del gennaio 2009 (sottoscritto da Cisl e Uil, ma non da Cgil) che spalanca le porte alla possibilità di derogare (in senso naturalmente peggiorativo) a quanto stabilito nei contratti nazionali di categoria. Infatti l’articolo 16 dell’accordo dice testualmente: “Per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente sul territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singo-

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011 li istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di categoria”. Più esplicito di così! A quale contrattazione sarà dunque affidata le negoziazione dei diritti (sempre ovviamente in deroga)? Non lo sappiamo, ma qualche idea l’abbiamo… In conclusione, qualcuno potrebbe appellarsi alla speranza (ormai quasi una certezza) che questo governo non duri e che i progetti di Sacconi decadano. Qualcuno potrebbe sperare che alle presumibili prossime elezioni di primavera questo governo di puttanieri e di baldracche sia cancellato. Siamo però sicuri che il “nuovo che arriva” non sarebbe costituito da un comitato d’affari della borghesia capitalista ancora più efficiente di questo, magari con un Ichino, un Boeri o un Garibaldi al posto di Sacconi? Guido Barroero

Note: (1) Ricordiamo che nel 2003 si è svolto un referendum per estendere le garanzie previste dall’articolo 18 anche ai lavoratori delle aziende private con meno di 15 dipendenti. In quell’occasione votò solo il 25,50% degli elettori e quindi non fu raggiunto il quorum necessario, anche se il sì ottenne l’ 86,70% dei voti espressi. (2) Maria Strino, Lo Statuto dei Lavori, in http://dirittoditutti. giuffre.it/psixsite/Archivio/. (3) Anche se tentativi di semplificazione sono stati variamente proposti, ricordiamo solo quella di Boeri-Garibaldi del 2007, sul “contratto unico”, ripresa, nel febbraio 2010, da Paolo Nerozzi ed altri 47 senatori del PD con il ddl sul “Contratto unico d’Ingresso” per i precari che prevede anche un Salario Minimo Legale per chi non ha un contratto di lavoro nazionale. /4) Piergiovanni Alleva, Che cosa c’è dietro lo statuto dei lavori, in http://prcmantova.wordpress.com

L A B O Z Z A D I S TAT U T O D I S A C C O N I

Articolo 1 - Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori 1. Al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, il Governo è delegato a emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato Statuto dei lavori. 2. La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) razionalizzazione e semplificazione con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo, prevedendo un nuovo regime di sanzioni, in particolare di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita; b) identificazione di un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale monocommittenza; c) conseguente identificazione della rimanente area di tutele con possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Nell’esercizio di questa capacità la contrattazione collettiva tiene conto, in particolare, dei seguenti indici: - andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle crisi aziendali e occupazionali, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare; - caratteristiche e tipologia del datore di lavoro anche con riferimento a parametri dimensionali della impresa non legati al solo numero dei dipendenti; - caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati;

- modalità di esecuzione della attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente, con particolare riferimento all’impegno temporale e al grado di autonomia del lavoratore; - finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o di inserimento al lavoro. d) riordino della regolazione delle tutele nel mercato del lavoro con riferimento ai servizi di orientamento e collocamento al lavoro e ad attività di formazione secondo percorsi per competenze in ambiente produttivo, certificabili negli esiti, coerenti con i fabbisogni professionali rilevati; e) estensione, su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni, degli ammortizzatori sociali senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica. 3. I principi e criteri direttivi di cui al comma 2 potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Articolo 2 - Disposizioni concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1 1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione sono trasmessi alle Camere, una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega. 2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni. 3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.

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IL COMANDO D’IMPRESA NELLE ATTUALI POLITICHE LIBERISTE E DI GUERRA

Sin dall’inizio del secolo scorso la legislazione del lavoro si era sviluppata partendo dall’ovvia considerazione dello squilibrio di potere contrattuale esistente tra lavoratore e datore di lavoro e gli strumenti utilizzati per bilanciare questo squilibrio sono rappresentati da una serie di principi che negli ultimi tempi stanno subendo attacchi gravissimi da parte del capitale e del governo che lo rappresenta. I pilastri portanti sono essenzialmente due: un primo, è rappresentato dall’individuazione di diritti del lavoratore indisponibili così da rendere nullo ogni eventuale patto contrario imposto dal datore di lavoro (si tratta ad esempio del diritto al riposo settimanale, alle ferie, alla irriducibilità della retribuzione, alla contribuzione previdenziale, al mantenimento della professionalità raggiunta, all’attività sindacale, alla tutela della maternità, ecc.); l’altro pilastro è stato la creazione, a partire dal 1973, di un rito speciale più celere e privo sostanzialmente di costi per il lavoratore, così da rendere effettivi tali diritti attraverso la loro azionabilità. Come ho già avuto modo di evidenziare in sede di primo esame del c.d. collegato al lavoro (rinvio al precedente articolo di Lotta di Classe sul tema, n. 115 del marzo-aprile 2010) - in seguito divenuto la legge n. 183/2010, che è entrata in vigore lo scorso 24 novembre 2010 - l’effetto dirompente di tale provvedimento è proprio quello di attaccare questi due pilastri. Infatti, se da un lato la gratuità del processo del lavoro rischia di essere vanificata dalla possibilità, ora prevista per legge, di demandare la risoluzione delle controversie di lavoro ad arbitri, cioè giudici privati che ciascuna parte deve pagare di proprie tasche (e che potranno anche discostarsi dalle norme di legge e decidere secondo equità), dall’altro la fissazione di termini stringenti di decadenza, per impugnare qualsiasi tipo di licenziamento illegittimo (anche verbale o nullo), i contratti a termine (sia diretti che somministrati), le altre forme di precariato (collaborazioni a progetto, intermediazioni illecite di manodopera, ecc.), i trasferimenti (del singolo lavoratore o dell’intera azienda), sembra operare come un condono preventivo dei comportamenti illegittimi del datore di lavoro, poiché preclude al lavoratore, superati tali termini, di accedere alla tutela giudiziaria ancorchè siano in gioco diritti indisponibili. Rinviando ai precedenti numeri di Lotta di Classe l’analisi dettagliata del collegato lavoro, mi soffermo ora su un punto specifico ovvero la possibilità di deroga alla legge da parte dei contratti collettivi e del contratto individuale di lavoro, poiché si tratta di un aspetto che già è emerso nella legge 183/2010 ma che ha ottenuto ulteriori rafforzamenti nel recentissimo “accordo” di Mirafiori e che si preannuncia essere un elemento qualificante lo Statuto dei lavoratori attualmente al vaglio dalle forze di governo. La possibilità di derogare alle previsioni della contrattazione collettiva da parte del contratto individuale è stata sancita dalla l.n. 183/2010 con l’ampia estensione dell’utilizzo della certificazione dei contratti di lavoro, già prevista dalla legge Biagi: si tratta di una procedura dove impresa e lavoratore sottoscrivono insieme la validità e la correttezza di legge di un contratto e che dietro l’apparente volontarietà delle parti agisce come strumento di ricatto che il padrone utilizza per mettersi al riparo da future vertenze,

rendendo più complicata l’impugnazione dei contratti di lavoro, soprattutto se si tratta di contratti atipici, precari o con clausole aggiuntive alle norme (dai contratti a progetto ai regolamenti per i soci lavoratori di cooperativa). Attraverso questa procedura è ora consentito di introdurre nel contratto individuale: a) la clausola compromissoria (quella in base alla quale si dice che in caso di controversia il lavoratore non si potrà rivolgere ad un giudice ma ad un arbitro privato) e sebbene l’attuazione di tale norma è demandata alla contrattazione collettiva, è espressamente previsto che se ciò non avvenga entro 12 mesi il Ministero del lavoro convoca le parti per un eventuale accordo e se ciò non avviene sarà lo stesso ministero ad emanare un decreto attuativo; b) inoltre può essere certificato ogni aspetto del rapporto di lavoro (dalla motivazione della scadenza del contratto, alla flessibilità/elasticità del part time, alle causali della somministrazione, alle causali del licenziamento ecc..) e così se fino ad oggi il contratto individuale di lavoro era volto unicamente a disciplinare gli aspetti essenziali del rapporto (mansioni, inquadramento, patto di prova, orario di lavoro), rinviandone la regolamentazione dei diversi aspetti al contratto nazionale di categoria, è ora riconosciuta alle parti (e quindi alla parte più forte del rapporto il datore) la possibilità di inserire clausole che possono estendere le tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo di licenziamento, inserendo una regolamentazione individuale del rapporto anche difforme da quella prevista dal contratto collettivo nazionale. Se nella legge 183/2010 la derogabilità alla contrattazione collettiva poggia sull’ipocrita assunto di una supposta parità tra lavoratore e datore di lavoro, con l’”accordo” siglato il 23 dicembre 2010 per lo stabilimento Fiat di Mirafiori in relazione alla joint venture Fiat-Chrysler viene scalfita la stessa funzione della contrattazione collettiva nell’ottica di stabilire, esplicitamente e senza travisamenti di sorta, un comando d’impresa assoluto e smisurato, relegando i sindacati collaborazionisti a tutori dell’ordine aziendale. Non entrerò nell’analisi dettagliata dell’accordo ma per dare contezza di quanto sto dicendo è opportuno innanzitutto evidenziare come l’accordo preveda due fasi: una transitoria e una successiva e definitiva. A fronte di un investimento da parte di Fiat solo preannunciato (perchè nell’accordo non v’è traccia di alcun obbligo concreto da parte di Fiat in tal senso), gli unici elementi certi della fase transitoria sono l’apertura di licenziamenti collettivi e il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria per tutto il personale per la durata di un anno a partire dal prossimo 14 febbraio 2011. Chiarita quale sarà la sorte del personale per tutto il 2011 e appurato che, ancora una volta, Fiat attingerà dalle casse dello stato per rilanciare lo stabilimento, viene affrontata la fase definitiva: il personale dello stabilimento di Mirafiori verrà assunto dalla Join Venture Fiat Chrysler con cessione del contratto individuale e, sebbene l’attività della Joint Venture sia sempre la stessa (rimanendo inalterati lo stabilimento, il personale, l’attività merceologica, il marchio, il capitale di riferimento della holding), è espressamente previsto che non sarà applicato l’art. 2112 c.c., cioè di quella

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011 norma che ha proprio la finalità di apprestare una tutela effettiva del lavoratore in caso di trasferimento d’azienda mantenendo inalterati i rapporti di lavoro esistenti al momento del trasferimento e i diritti che ne conseguono. Alla domanda di come mai l’accordo menta così spregiudicatamente quando dice che non si applicherà l’art. 2112 c.c., la sola risposta possibile è che l’azienda vuole costringere i lavoratori già dipendenti Fiat da decenni a firmare nuovamente un contratto di assunzione e tale costrizione è dettata dalla necessità che il nuovo contratto individuale estinguerà e sostituirà il precedente, conterrà l’intero accordo e farà quindi sì che vi sarà coincidenza perfetta tra contratto collettivo, contratto individuale e comando di impresa. Così recita espressamente l’art. 2 dell’accordo laddove afferma che “le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro …sicchè la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce sanzione disciplinare”: in altri termini la violazione di un anche una sola clausola dell’accordo costituisce infrazione disciplinare da cui può derivare perfino il licenziamento. Senza ora diffondersi in disquisizioni giuridiche sulla differente natura di contratto collettivo e contratto individuale, l’intento dichiarato di Fiat e organizzazioni sindacali collaborazioniste è perciò quello di annullare la volontà del singolo individuo e stabilire un potere di comando assoluto sull’organizzazione del lavoro (ritmi di lavoro, turni, orario, mobilità, assenze) e sui corpi dei lavoratori. E se il potere sui corpi dei subordinati non ha nulla di nuovo, la novità è soprattutto nell’eliminazione di ogni ipocrisia rispetto al ruolo che Fiat intende dare al sindacato: viene infatti stabilito che la Joint Venture non aderirà al sistema confindustriale e applicherà un contratto collettivo specifico che includerà unicamente quanto convenuto con la presente intesa. L’intento di Fiat è quello di liberarsi di ogni altra forma di contrattazione nazionale, ponendosi al riparo da eventuali interferenze derivanti dal complesso delle relazioni industriali a livello nazionale e chiedendo ai sindacati collaborazionisti di svolgere un ruolo che non sia quello di rappresentare le istanze del la-

voro nel confronto/conflitto con chi lo utilizza nell’esercizio dell’impresa, ma quello di “trovare soluzioni coerenti con gli obiettivi condivisi” (con l’impresa) e quindi sindacati e direzione “assumono la prevenzione del conflitto come un reciproco impegno su cui il sistema partecipativo si fonda”. Mai è stato detto con così esplicita chiarezza che il ruolo del sindacato sia quello di bloccare il conflitto e solo a queste condizioni ai sindacati firmatari - e solo a questi - viene riconosciuta la possibilità di costituire le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 SL con le conseguenti prerogative sindacali, utilizzando dunque, per l’esclusione dei sindacati non firmatari, quello stesso meccanismo con cui tutte tre le OOSS confederali hanno sempre cercato di impedire ogni forma di rappresentanza sindacale ai sindacati di base. E se quello della totale subordinazione al comando d’impresa è il ruolo che Fiat pretende per il sindacato e la contrattazione collettiva (va evidenziato che il testo di Mirafiori non è affatto frutto di un accordo fra contrapposti interessi bensì una firma per adesione ad un testo unilateralmente predisposto dalla parte datoriale), non stupisce il plauso con cui cui è stato accolto dal governo, il cui ministro Sacconi proprio lo scorso novembre ha presentato alle parti sociali la bozza di “Statuto di lavori” dove, non solo viene espressamente riconosciuta la possibilità di deroga alle norme di legge ad opera della contrattazione collettiva ma ciò che emerge con assoluta chiarezza è proprio l’esorcizzazione del conflitto valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Se in epoca fascista le organizzazioni sindacali ricevevano riconoscimento per decreto, previo positivo giudizio circa la compatibilità dei loro obiettivi con il sistema corporativo e con il fine superiore della prosperità dell’economia nazionale, le attuali politiche liberiste e di guerra pretendono la complicità del sindacato a fungere da impresa meramente erogatrice di servizi per garantirsi rapporti di lavoro sempre più individualizzati e una gestione totale dei corpi dei subordinati. Melissa Mariani

IL X° CONGRESSO DELLA CNT

Cari compagni, care compagne, dal 4 all’8 dicembre, la spagnola CNT-AIT ha tenuto il suo decimo congresso a Córdoba, un evento ricco di simbolismo visto che è stato una sorta di epilogo alla celebrazione del Centenario dell’organizzazione. Insieme a circa 500 delegati accreditati di sindacati da tutte le province dello Stato spagnolo, c’erano anche un certo numero di osservatori, sia della CNT sia di organizzazioni invitate, durante tutto il Congresso. Il lavoro organizzativo è stato fatto da un certo numero di compagni che hanno lavorato per più di un anno in una Commissione di Organizzazione e dal Sindacato de Officios Varios di Cordoba così come del precedente Segretariato Permanente del Comitato. Un duro lavoro della militanza del sindacato che ha dovuto anche affrontare l’organizzazione di varie giornate culturali a Cordoba, dalla presentazioni di libri, come quello offerto dal compagno David Ordóñez “Agitazione anarcosindacalista” passando per la proiezione di film prodotti dalla CNT negli anni ‘30 fino allo spettacolo finale di Leo Bassi dal titolo “Utopia”.

L’ultimo Congresso effettuato ebbe luogo 15 anni fa a Granada. Pertanto, è stato necessario che i sindacati tornassero a riunirsi nuovamente per decidere aspetti organizzativi importanti come il cambiamento della Normativa Organica, la struttura territoriale, la gestione di fondi o il funzionamento della Fondazione Anselmo Lorenzo. D’altra parte, unitamente a questa necessità di condividere le regole interne ed organizzative, la CNT-AIT necessitava di ricalibrare i suoi percorsi di sviluppo nell’azione sindacale e sociale a seconda del contesto politico, sociale, economico e culturale attuale dal quale l’anarcosindacalismo deve proporsi come una necessità reale e tangibile. Uno strumento di lotta che ci permetta di finire con il capitalismo prima che il capitalismo finisca noi. Come ho detto, durante il Congresso si sono affrontate tematiche e problematiche del mondo del lavoro attuale e le relazioni tra lavoratori in continua evoluzione. In questa fase del capitalismo caratterizzato da grande complessità, gli anarcosindacalisti devono affrontare problemi quali: l’istituzione di sezioni sindacali nelle aziende con una forza lavoro diversificata in diversi settori; [l’istituzione di] sezioni sindacali in grandi aziende

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011 dove lavorano altri lavoratori in subappalto; le strutture organizzative nelle quali noi lavoratori dobbiamo organizzarci, ecc. Allo stesso modo, l’analisi della situazione attuale del lavoro e del sindacalismo ci porta ad ampliare il nostro ambito di attività e lotta, oltre il livello del posto di lavoro per promuovere il sindacalismo a spazi di socializzazione più ampi, come possono essere i quartieri stessi. Questo permette di collegare le lotte sindacali con quelle sociali e ritornare al concetto di sindacato come di luogo di socializzazione e identità di classe. Inoltre, i dibattiti hanno anche sottolineato la necessità di occuparci alla realtà del lavoro contadino e di incoraggiare la creazione di una struttura economica basata proprio sulle cooperative di produzione e di consumo responsabile per far fronte al capitalismo con un nostro modello economico alternativo. La maggior parte dei sindacati, d’altro canto, ha convenuto che, nella situazione attuale della CNT, è prioritario ottenere un maggiore radicamento a livello locale per consentire un’ulteriore espansione delle lotte che si stanno portando con successo nel lavoro e nel sociale e, così, poter offrire un’alternativa più potente al modello della società attuale. Il sindacato fu pesantemente colpito dai famosi Patti de la Moncloa degli anni’70, per i quali i sindacati gialli, i datori di lavoro e il governo firmarono la loro “pace sociale” tacitando la lotta dei lavoratori. Ora più che mai, dobbiamo essere preparati per crescere una volta che è stato dimostrato che i sindacati che svendono i diritti dei lavoratori e la loro ideologia del denaro sono una testa in più del serpente dello stato. Un fascismo burocratico e ipocrita che sta uccidendo la classe operaia e la sua lotta. Molti sono coloro che vorrebbero vedere una CNT all’inter-

no del gioco politico della “democrazia”, perché sanno che la CNT e tutto ciò che essa rappresenta sono un pericolo per lo stato attuale delle cose. Il nostro sindacato continua a riaffermarsi dopo il suo decimo congresso nei suoi principi, strategie e obiettivi anarcosindacalisti, oggi come un secolo fa, senza distaccati e senza sovvenzioni. Le sensazioni di questi giorni sono stati davvero indescrivibili. Poter vedere sindacati di località tanto diverse discutere su un’organizzazione comune è qualcosa che dimostra come è reale la nostra utopia. Nonostante le diverse modalità di pensiero tipiche di ogni organizzazione orizzontale come la nostra, emoziona vedere come i compagni mantengono vivo l’anarco-sindacalismo. Dopo aver trascorso cinque regimi politici, la guerra civile, la clandestinità e la repressione più dura che quella che ancora oggi viviamo, gli anarco sindacalisti, e in questo caso concreto la CNT, possono ancora affermare che il modello anarchico organizzato continuerà a restare sveglio finchè noi anarcosindacalisti lo vorremo e che, compagni, è motivo di orgoglio e di sprone per continuare la nostra lotta, come disse Garcia Oliver, “fino alla vittoria totale della classe lavoratrice “. Infine, non voglio congedarmi senza ringraziare il compagno dell’USI-AIT per aver assistito al congresso a Cordoba in questi giorni e per il saluto che il [vostro] sindacato ci ha inviato attraverso di lui. un saluto libertario, viva la lotta della classe lavoratrice! Salute e anarchia! Sergio Ramiro, CNT Jaen (trad. da Massimiliano Ilari, USIParma)

La CNT raddoppierà il proprio impegno nella lotta sindacale senza dimenticare l’economia alternativa Mentre si celebra l’ultima sessione del X Congresso della CNT, emergono le linee principali di quella che sarà la sua linea sindacale e sociale per i prossimi quattro anni. Il lungo centinaio di delegazioni – più di 500 ciennettisti, soprattutto giovani – conclude così queste 50 ore di assemblea plenaria, oltre ai precedenti dibattiti nei rispettivi sindacati di provenienza. Dopo un analisi dettagliata dell’evoluzione del capitalismo e della società di classi nel contesto attuale, la CNT considera che stanti le stesse cause dei grandi problemi dell’umanità, bisogna continuare le stesse forme di lotta che diedero tante vittorie al movimento operaio, prima di essere assimilato dal sistema durante il secolo passato. Le varie crisi che stiamo subendo oggigiorno (ambientale, alimentare ed economica) seguono un capitalismo se possibile ancora più predatore da quando i sindacati hanno dimenticato i propri strumenti classici di organizzazione: azione diretta, autogestione e federalismo. In tal senso la CNT ritiene che la propria strategia sindacale contro le elezioni sindacali senza distaccati o sovvenzioni, è l’unica alternativa che resta alla classe lavoratrice per capovolgere questa correlazione di forze sfavorevoli per frenare la speculazione, lo sfruttamento del lavoro, la distruzione ambientale, gli abusi sociali di ogni tipo (sui migranti, donne, detenuti, bambini...) Tra le risoluzioni adottate si trova una chiara argomentazione contro l’economia finanziaria: l’organizzazione si impegna ad evitare che i propri utili cadano in qualsiasi tipo di fondo speculativo e a promuovere l’obiezione fiscale. Inoltre, aumenterà la propria presenza nei centri per l’impiego concentrandosi sui settori più precarizzati come ricettività, commercio agroalimentare... I problemi inerenti a questo sistema economico coinvolgono un numero sempre maggiore di lavoratori per cui le alleanze circoscritte a movimenti sociali e sindacali vengono tenuti in gran considerazione nel far fronte comune nel quotidiano. Verranno promosse le lotte trasversali su ecologia, genere e insegnamento, oltre a iniziative concrete quali i gruppi confederali di consumo responsabile o i progetti di pedagogia libertaria. Ieri in chiusura del Congresso è stato eletto il Segretario generale: Alfonso Álvarez, conducente di autobus della AUCORSA, e Cordoba come sede del Comitato Confederale. Inoltre , la CNT continuerà a lavorare per articolare un movimento di economia alternativa, che vada oltre il volgare cooperativismo, attraverso collettività di produzione e di consumo, senza dimenticare che la soluzione definitiva ai problemi causati dal capitalismo è il sostituirsi ad esso con un sistema di persone libere da costrizioni di carattere economico o religioso, che si organizzano dal basso verso l’alto, condividendo le necessità e l’economia: il comunismo libertario. 8 dicembre 2010 Miguel Fernández Martín

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Notizie Lotta di Classe - n. 3 - 20 Gennaio 2011

D A PA R M A : L A C O O P P R O G E S L’Unione Sindacale Italiana-Sez. Parma, lamenta nuovamente la situazione incresciosa nella quale si trovano ad essere alcuni settori gestiti da Coop. Proges, tra questi in particolare i Gruppi Appartamento per Disabili. Allo stesso tempo, denunciamo l’indifferenza dell’Agenzia Disabili del Comune di Parma, che, connivente di fatto con un soggetto privato, rinuncia di fatto al proprio ruolo di garante di efficienza e di soddisfazione di utenti e operatori. Come già segnalato, da mesi sono bloccate tutte le uscite (week end, soggiorni vari) che prima, senza alcun onere economico da parte degli enti pubblici, venivano effettuate e che sono previste dall’Appalto stesso; a questa sofferta decisione gli operatori sono arrivati per il rifiuto, da parte di Coop. Proges, di riconoscere lo stesso trattamento economico stipulato ormai 5 anni fa da USI, che rappresenta tutti/e gli /le operatori/trici del settore, e l’allora Coop. Dolce. Attualmente, Proges è forte di un accordo stipulato nel 2002 (!) con la CGIL e la CISL (e anche qui, meglio lasciar perdere il ruolo di certi supposti “paladini dei lavoratori”..) che di fatto prevede indennità ridotte del 30-40% rispetto a quanto pattuito sindacalmente (e che quindi doveva essere recepito) cinque anni fa: inconcepibile. L’intervento doveroso di mediazione chiesto all’Agenzia Disabili, che in teoria dovrebbe sovra intendere la piena applicazione di quanto richiesto in sede di appalto, non c’è stato, per motivi a noi ignoti, tanto che nutriamo seri dubbi sull’efficienza e la competenza di certi dirigenti che dubitiamo abbiano mai visto un disabile, se non nelle rare occasioni di vetrina… Allo stesso tempo, da mesi siamo a conoscenza di gravi disagi circa l’utilizzo per queste persone disabili di automezzi (tra l’altro acquistati con soldi propri), che, usurati dagli anni, non vengono doverosamente sostituiti in modo risolutivo, nonostante Coop. Proges nell’appalto vinto lo prevedesse; al momento, infatti, alcuni gruppi hanno pulmini ottenuti grazie a scomodi giri degli operatori per reperirli, altri invece da almeno sei mesi sono, letteralmente, a piedi.

dire: nessuna possibilità di uscite per attività di socializzazione naturale per ogni essere umano, cosa invece garantita prima; difficoltà nell’effettuare visite mediche; ecc.. Abbiamo inoltre verificato che Pro.ges, per ottemperare agli oneri di appalto, ha effettuato lavori di manutenzione all’interno delle strutture per disabili. Questi lavori, svolti alle volte con scarsa attenzione e quindi con diversi errori, hanno comportato disagi vari, alle volte addirittura vere e proprie barriere architettoniche. Stiamo parlando di luoghi di vita per persone diversamente abili. Di fronte a questa situazione, Cooperativa Proges e Agenzia Disabili continuano ad opporre indifferenza se non, addirittura, in alcuni casi, minacce di provvedimenti verso quegli operatori che osano denunciare la situazione, preferendo magari, con interventi ad hoc, cercare inutilmente di dividere la compattezza degli stessi operatori, anche in virtù della frammentazione degli stessi in sei realtà differenti. I lavoratori che attualmente operano all’interno delle strutture per persone diversamente abili, pur consapevoli del rischio ritorsioni, faranno di tutto affinchè le persone più deboli non vengano sopraffatte da logiche politico- economiche di mercato per cui Pro.ges svolge un ruolo da protagonista E tutto questo, ricordiamolo, avviene in un contesto di mensilizzazione forzata, stipendi bassi, continuo cambiamento delle cooperative, ecc. Richiediamo pertanto che Agenzia Disabili e Coop. Proges inizino ad interloquire fattivamente con USI, unica rappresentanza sindacale del servizio, senza mettere in atto ritorsioni verso gli operatori, con l’obbiettivo di risolvere una situazione nella quale lavorare e vivere è difficile. Gli operatori e le operatrici chiedono solo di poter effettuare nelle migliori condizioni possibili il proprio lavoro, nell’interesse anche dell’utenza. USI-Parma Parma, 21 dicembre 2010

DA CARRARA: COMUNICATO DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL SINDACATO ARTI E MESTIERI Nonostante le condizioni climatiche abbiano visto l’Italia bloccata dal gelo, si è svolta normalmente e in maniera molto partecipata, nei locali del Circolo Goliardo Fiaschi di Carrara, l’Assemblea sindacale Nazionale, riprendendo e assumendo in maniera organica gli impegni già formulati a Leòn e a Riotorto, in continuità con il lavoro già svolto. L’esigenza di una organizzazione capace di raccogliere le spinte autogestionarie, finalmente sempre più diffuse, la crisi del sistema capitalistico e la necessità, ormai improrogabile, di costruirne alternativa è stato elemento centrale del dibattito che è rimasto saldamente legato alla concretezza delle nostre esperienze messe in campo. In ugual misura si è evidenziata la volontà di rifiutare vuote enunciazioni ideologiche che sono state causa dei nostri ritardi nella Storia e che hanno permesso alla sinistra, alla chiesa cattolica e addirittura persino a frange della destra, di cavalcare e deformare i concetti e le pratiche che storicamente ci appartengono. La formulazione di un preciso piano di lavoro ha impegnato i Compagni presenti per la maggior parte dell’Assemblea, individuando i modi per sostenere e far crescere le realtà federate e di conseguenza tutto il Sindacato e, in questa ottica, si è deliberato di affidarmi la carica di Segretario Nazionale e non più il ruolo, ormai assolto, di segreteria reggente. In questo incarico sarò coadiuvato dai Compagni che hanno ruolo di riferimento per le sezioni, in modo da arrivare, con una struttura organizzativa più adeguata, al prossimo Congresso che si terrà a metà primavera prossima, con luogo e data da fissare dopo una verifica di disponibilità. Avanti Compagni dall’Animo forte! Carrara 19/12/2010 Gino Ancona (Segretario nazionale Arti e Mestieri)

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DA NONANTOLA: LA COOP ESTENSE Marchionne fa Male, la Coop fa Peggio. No alle “Pagelline” Se Marchionne ottiene la massima flessibilità all’interno degli stabilimenti FIAT, per la Coop Estense questo è già un risultato consolidato.... e rilancia. La Coop vuole introdurre la “Pagellina”: una scheda di valutazione individuale, a completa discrezione del capo negozio, che comporterà l’elargizione del salario variabile solo per alcuni. Questo determinerà una competizione e una divisione tra gli operai e le operaie introducendo condizioni di ancor maggiore disparità e costituendo un ulteriore forma di controllo all’interno del luogo di lavoro. Con questa operazione inoltre la Coop consegue un elevato risparmio economico ed un controllo sul monte salari erogato. In questo progetto di riduzione del costo del lavoro si inserisce anche la volontà di non riconoscere LIVELLI contrattuali di fatto già acquisiti per mansioni svolte. Come sindacato USI-AIT invitiamo gli operai e le operaie dell’Azienda coop estense a prendere atto delle condizioni di sfruttamento e di sopraffazione che vivono quotidianamente, non indulgendo sulla retorica aziendale e a mettere in ATTO FORME DI LOTTA COLLETTIVA contattandoci al numero di Gianluca 377-2463748 (rappresentante USI-AIT - RSU di Nonantola)

DA FIRENZE: VIA DEI CONCIATORI DOMENICA 23 GENNAIO IN VIA DEI CONCIATORI FIRENZE QUARTIERE SANTA CROCE, DALLE ORE 10,30 ALLE ORE 24, GIORNATA DI MOBILITAZIONE E DI AVVIO DELLE ATTIVITA’ DEL PROGETTO CONCIATORI (TEATRINO PER BAMBINI, LABORATORI DI AUTOPRODUZIONE, RICICLO/ RIUSO, MULTIMEDIALE, DIBATTITI, AGGREGO, CONCERTO, CIBARIE, VINO. PURTROPPO LA GIUNTA COMUNALE DEL ROTTAMATORE RENZI HA GIA SVENDUTO ALL’ASTA TUTTO L’IMMOBILE (MILLE EURO AL METRO QUADRO IN PIENA FIRENZE STORICA!!!). IL COMUNE SI E’ IMPEGNATO A STIPULARE IL CONTRATTO CON IL COMPRATORE (GLI SPECULATORI DI TURNO) ENTRO IL 15 LUGLIO. MA NOI ANDIAMO AVANTI, ABBIAMO APERTO NUOVI SPAZI NELLO STABILE DI VIA DEI CONCIATORI E DAL 23 GENNAIO APRIAMO UNO SPAZIO PUBBLICO AUTOGESTITO APERTO A TUTTI I CITTADINI, CONTRO LA SPECULAZIONE E CONTRO L’ARROGANZA DEL POTERE POLITICO. DOMENICA 23 GENNAIO IN VIA DEI CONCIATORI A PARTIRE DALLE 10,30 FINO ALLE 24 PARTECIPATE NUMEROSI!!!

DALLA FRANCIA Que vive la résistance populaire autonome en Tunisie! I delegati sindacali della CNT-AIT-Francia riuniti il 15.1.2011 salutano la sollevazione popolare del 14 gennaio in Tunisia. Il comportamento della popolazione tunisina è un segnale forte nella lotta mondiale contro il capitalismo e lo Stato; essa ci mostra che la resistenza autonoma degli sfruttati può far cadere la dittatura. Noi ci auguriamo che questa lotta per la giustizia sociale e l’emancipazione possa svilupparsi, che i lavoratori e la gioventù tunisina possano sviluppare propri mezzi decisionali, malgrado tutti i tentativi di recupero e di divisione politica o religiosa che rischiano di prendere campo. Solo la resistenza autonoma degli sfruttati uniti in una prospettiva di lotta di classe per opporsi vittoriosamente alla barbarie del sistema Viva il comunismo libertario! Viva l’Associazione Internazionale dei Lavoratori!

REDAZIONE LOTTA DI CLASSE U.SI. Genova - Redazione collegiale Referente tecnico: Carlo Canepa Dino Ariis per il sito Internet Per collaborazioni contattare: E-mail: redazione@lottadiclasse.it tel. 3312880416 Recapito postale: c/o Guido Barroero C.P. 1545 Genova Centro - 16121 GE SITI INTERNET DELL’U.S.I. http://www.usi-ait.org (sito nazionale USI) http://www.lottadiclasse.it (sito Lotta di Classe) http://www.artiemestireri.it (sito USI Arti&Mestieri)

Toulouse, le 15 janvier 2011

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