editoriale La Nuova Europa 1/2014

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N.1

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Gennaio-Febbraio 2014 editoriale

2 Il cuore dell’uomo è più grande di ogni complotto

Voci dal Majdan

dossier a cura di Marta Dell’Asta

4 TRE MESI DA RICORDARE 12 15 18 23

Konstantin Sigov La scommessa di Pascal è la scommessa di Kiev Georges Nivat Lettera a un amico ucraino Aleksandr Filonenko, Aleksej Sigov In piazza irrompe la novità Georgij Kovalenko Amici non mormorate!

28 LE CHIESE SUL MAJDAN 30 Come un segno in mezzo agli scontri 31 Onufrij di Cˇernovcy e Bukovina Appello a Putin 33 Chi era quel prete? 34 L’INTERVENTO 34 Andrej Kolesnikov Putin 2014 – Brežnev 1968 35 Dichiarazione di Memorial 36 Andrej Zubov Tutto questo c’è già stato 38 Ol’ga Sedakova La società russa alla luce del Majdan ATTI DEL CONVEGNO: Identità, alterità, universalità (sessione moscovita)

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Marta Cartabia Cristiani nella vita pubblica Paul Bhatti In nome della libertà religiosa e della dignità umana Jordi Faulí La Sagrada Família: storia, progetto e attualità Mariella Carlotti Creatività e tradizione nella Sagrada Família Angelo Scola Cristiani in una società plurale Elvira Parravicini Ogni vita è una promessa

IN MEMORIA

85 Luigi Geninazzi Addio Mazowiecki, politico mite 89

recensioni e segnalazioni

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Il cuore dell’uomo è più grande di ogni complotto

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er la nostra e la vostra libertà», il vecchio slogan innalzato da sette russi sulla Piazza Rossa per protestare contro l’invasione sovietica di Praga è tornato a risuonare nella nostra Europa in crisi. Quello che sta succedendo in Ucraina interessa la nostra libertà, e non perché ci minacci qualche invasione, ma perché da come ci poniamo di fronte agli eventi ucraini dipende anche come stiamo nella vita di ogni giorno, qui, in Italia, nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nei nostri posti di lavoro. Ci sono almeno quattro questioni importanti.

Innanzitutto abbiamo la guerra mediatica che si è scatenata attorno alla questione del Majdan e del successivo intervento russo. Non c’è bisogno di particolari studi per rendersi conto che (salvo qualche rara eccezione) la maggior parte dei commenti e persino delle cronache girano attorno alla questione dei rapporti di forza tra lo schieramento americano-europeo e quello russo e attorno alla questione dei mandanti: chi ha voluto la rivoluzione, chi l’ha fomentata, chi ha tramato, chi ha pagato? Una serie di analisi, per lo più costruite su teoremi e da esperti che sembrano ignorare «particolari» di non poco conto della storia ucraina (chi ha parlato del Holodomor dell’inizio degli anni ‘30 con i suoi milioni di morti, chi ha accennato alla complessità del «fascista» Bandera che finisce in un campo di concentramento nazista, ecc.?) e si 2

compiacciono di denunciare gli ideologi americani che «hanno sentito l’odore del sangue» e hanno spinto Putin all’intervento. Il tutto costruito con uno strabismo suicida come quello del professor Cohen secondo il quale se il Canada o il Messico avessero minacciato di fare quello che minacciava di fare l’Ucraina, «Obama avrebbe reagito come Putin se non peggio» pur di difendere la sua sfera di influenza. Il professor Cohen, che conosce perfettamente le trame che noi non conosciamo, non parla, come Putin, della necessità di difendere i cittadini russi dal caos della rivoluzione, ma della liceità di invadere una nazione per difendere la propria sfera di influenza; se qualcuno avesse usato lo stesso criterio per difendere gli interventi occidentali in passato si sarebbe squalificato di fronte all’opinione pubblica mondiale. Il professor Cohen lo fa a dispetto della realtà perché, quando l’intervistatore gli ribatte che proprio non se lo vede Obama ad invadere il Canada, lui se la cava con un patetico «ok, ma almeno si sarebbe creata una situazione di crisi» e torna rapidamente all’Ucraina delle sue ricostruzioni teoriche. Certo, lui se la cava perché ormai siamo entrati nel mondo dei teoremi e lui può continuare a parlare in linea teorica come se uno stato di guerra fosse la stessa cosa di una situazione di crisi, ma noi, noi che viviamo nel mondo reale? Se seguiamo la sua logica ci

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suicidiamo: restiamo con l’immagine di un mondo nel quale si può dire tutto e il contrario di tutto, in cui soprattutto contano queste mitiche e segrete forze occulte che tramano da una parte e dall’altra e rispetto alle quali non si vede cosa possa fare la singola persona, se non farsi rinchiudere nell’alternativa, sempre perdente, di stare con gli uni o con gli altri, di decidere della propria vita sulla base di un’idea o, peggio, di un teorema comunque malvagi. E poco cambia di che colore sia il teorema, se sia occidentale o russo, se il colpevole sia alla Casa Bianca o al Cremlino. La questione fondamentale è che nulla di tutto questo ha un rapporto sostanziale con quello che è successo. I ragazzi che nel novembre scorso sono scesi in piazza protestando per il mancato ingresso in Europa erano poche migliaia; ma sono diventate centinaia di migliaia (e non erano più solo ragazzi, c’erano vecchi ed handicappati) quando quei ragazzi sono stati pestati con una violenza d’altri regimi: la dignità umana offesa ha trasformato le unità in centinaia, ha fatto quello che, prima, le trame dell’ovest o dell’est non erano riuscite a fare. Poi, solo dopo, si sono scatenate le belve della rivoluzione. E qui vanno lette le testimonianze che pubblichiamo; non c’è nessuna esaltazione sentimentale o

spiritualista; i monaci che vanno a pregare tra i contendenti e fermano per brevi istanti la violenza non negano questa violenza né l’attribuiscono solo a una parte, si limitano a ricordare che quella violenza si poteva fermare, che, sia pur per poche ore, è stato possibile fermarla; si limitano a farci vedere che in mezzo a quella violenza è successo qualcosa che nessuno credeva possibile: credenti di tutte le confessioni cristiane (da sempre ostili), assieme persino a ebrei e buddisti, si sono ritrovati a pregare e a formare uno spazio di interposizione, per garantire la salvezza dei prigionieri. È proprio in questo senso che vanno viste le foto che pubblichiamo: per ricordare che l’uomo resta sempre un uomo, un essere dal valore inestimabile, quale che sia il male di cui si può macchiare; per ricordare che il punto non è discutere sui teoremi e cercare di convincere gli altri, ma riscoprire l’origine di quella dignità e di quel valore, vederlo in atto, prima di ogni ricostruzione, vederlo così potente da essere capace di fermare la belva, vederlo così reale da ridarti una speranza anche in mezzo a quell’inferno: perché un uomo al quale è restituita la sua dignità non ha più bisogno dei potenti di turno o delle loro trame, può tornare a sperare non perché qualche potente lo salverà in un futuro, ma perché ha scoperto di essere un valore inestimabile, di essere amato.

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