Florenskij alla Sapienza

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N.2

(368)

Marzo-Aprle 2013

BIBLIOTECA DELLO SPIRITO

editoriale

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Sfuggire al Grande Inquisitore

63

La fede che «interessa» all’uomo

ricostruire il mosaico

4 17

Rostislav Kolupaev Papa Bergoglio e i greco-cattolici in Argentina

(Intervista di Aleksej Reutskij)

24

Irina Šalina Costantino ed Elena, tra mondo romanico e bizantino

Un’amicizia in Cristo nel lager RUSSIA CRISTIANA NOTIZIE

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Angelo Bonaguro

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Emanuela Tangari

88

Storia della nostra libertà Florenskij alla Sapienza

Majja Kucˇerskaja

Marta Dell’Asta Testo unico di storia: pensiero unico?

93

Giovanna Parravicini La guerra dei bambini

Marta Dell’Asta Invece di Anna Karenina, Motja

58

Françoise Lesourd

OPINIONI A CONFRONTO

IL MONDO DELL’ARTE

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71

Ljudmila Fedorenko I fili d’argento delle generazioni

34

PASSATO PROSSIMO

Panteleimon di Smolensk Conoscono Dio ma non sanno chi è Cristo

Javier Prades, Aleksej Uminskij

ARCHIVIO STORICO

99

Ortodossa di frontiera

Angelo Bonaguro Cinque chili di cioccolato

(Intervista di Marta Dell’Asta)

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Florenskij alla Sapienza Emanuela Tangari

A Roma, presso l’Università di Tor Vergata, alcuni studenti hanno riproposto, dal 14 al 22 marzo scorso, una mostra su padre Florenskij già presentata al Meeting di Rimini. È stata un’occasione di crescita personale e di incontro.

C

HI È SALITO AL PRIMO PIANO di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata tra il 14 e il 22 marzo ha visto che stava accadendo qualcosa. A passar dritto si tratterebbe di cinque gigantografie, trentaquattro pannelli in fila, i pannelli della mostra itinerante Nulla va perduto. L’esperienza di Pavel Florenskij, inaugurata il 14 marzo dal curatore e grande esperto di Florenskij, il professor L’ubomír Žák, e aperta per una settimana ai numerosissimi visitatori arrivati a Tor Vergata. Basta fermarsi qualche minuto in più, o assistere alle visite guidate offerte da otto studentesse e studenti di Filosofia più uno di Fisica, per accorgersi che «dietro» questi pannelli non c’è solo un’iniziativa culturale ma qualcosa di inconsueto, di diverso e interessante. Che cosa mette insieme nove universitari – tutti provenienti da luoghi, storie ed esperienze diverse, – tra loro, tra noi? E cosa mette insieme noi e un genio russo di cento anni fa, un uomo così

lontano nel tempo e nello spazio come Pavel Florenskij? Due delle tante domande che, attraversando il corridoio in cui la mostra è stata allestita, ci si poteva fare, e ci si è fatti. La mostra ripercorre l’esperienza umana, spirituale e scientifica di questo straordinario personaggio di difficile, quasi impossibile, definizione tanto è stata vasta la sua attività, e tanto intensa la sua vita; una vita che in questi giorni ci è diventata familiare, prossima forse più di quella di alcuni che incontriamo di persona. Una vita di cui si è parlato, discusso, su cui ci si è confrontati nel periodo precedente alla mostra, preparando le visite guidate, e che è stata il fil rouge dei più diversi momenti, dalle telefonate a tarda sera al paragone con gli esami che stiamo preparando; dall’organizzazione tecnica ai pranzi in Università, quando nella rumorosa confusione della affollatissima mensa ci si ritrovava a discutere delle scoperte scientifiche di Florenskij, della sua incrollabile «percezione

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del mistero», di come sia possibile restare vivi e sperare anche dentro al GULag. La mostra è stata, di fatto, l’occasione per accorgersi che è possibile, e come sia possibile, vivere l’Università: le visite guidate sono diventate, per una settimana, impegno quotidiano; il «foglio-turni» è stato, già dal secondo giorno, ripiegato: nessuno se ne andava dalla mostra. Chiunque sia arrivato o passato su quel corridoio si è accorto di quest’aria quasi di festa, fatta di divertimento e allegria, e al contempo di serietà con ciò che si stava facendo; non sono mancate neppure le polemiche da parte chi aveva qualcosa da obiettare: segno, anche questo, che c’era visibilmente qualcosa in atto, altrimenti non ci si prenderebbe la briga di fermarsi a discutere. Ma, soprattutto, chiunque sia arrivato o pas-

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sato per quel corridoio si è imbattuto in uno sguardo di «simpatia umana», forse il tratto più evidente dei nostri giorni: in un luogo dove si passano anni di vita ma che troppo spesso è ridotto a un mero «esamificio», nella perenne attesa di qualcosa che sarà, che accadrà, che dovrà venire… la possibilità di costruire, di vivere qualcosa che è presente, che ci mette in gioco totalmente, che ci fa essere e scoprire noi stessi, che ci permette di offrire e comunicare qualcosa che ci sta a cuore. Che questa simpatia umana non fosse legata al «vendere un prodotto» ma a qualcos’altro è evidente dalle reazioni dei visitatori: Lorenzo, un giovane lavoratore, viene venerdì a vedere la mostra, e dopo tre giorni torna portandosi dietro quattro amici per farla vedere anche a loro. Una ragazza arriva

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dicendo: «Ho solo un quarto d’ora e poi devo scappare, possiamo fare una visita veloce?», ma dopo cinquanta minuti è ancora lì, commossa davanti ai pannelli sul GULag. Così Nicola, un pensionato attento e curioso, che di fronte al pannello sul lavoro legge la frase di Florenskij, «occupatevi dell’opera vostra, cercate di compierla nel migliore dei modi, e tutto ciò che fate, fatelo perché neanche un solo istante della vostra vita vi scorra accanto senza senso o contenuto» e d’impeto esclama: «Ma guarda! Questa stessa cosa l’ho pensata ogni mattina della mia vita, andando a lavorare al mio banco di frutta!», e sul finire della visita, alle 13:15, dice: «Avevo appuntamento con mio fratello a mezzogiorno, ma può aspettare! Preferisco stare qui a sentire voi, perché queste cose bellissime bisognerebbe sempre ricordarsele per vivere!». Significativi anche i tanti commenti sul guestbook, fra i molti «grazie» ci sono frasi entusiaste: «Grazie per la bellissima esperienza», scrive Luciana; «Mi sono avvicinata ad un pannello per un aforisma che avevo letto e ho finito con il commuovermi per un uomo che ho scoperto», scrive Arianna. Oppure Pamela, che acutamente dice: «Grazie per la possibilità di conoscere Florenskij. L’occasione per conoscere qualcuno può essere anche questa: non di persona, bensì attraverso le persone (persone come voi!)». Potrebbe sorgere il dubbio su quale sia la differenza tra il leggere un libro, leggere il catalogo della mostra e il parteciparvi: difficile rispondere in modo teorico, ma questa differenza è stata chiara in ogni faccia, in ogni sguardo, in ogni domanda e dialogo tra noi e chi abbiamo incontrato. È la differenza, come ci ha detto il nostro professore di Storia del pensiero teologico durante una lezione di qualche mese fa, che «il semplice leggere non porta, perché non ci sarebbe il calore, la freddezza, l’incertezza di quando anche solo da lontano ci si sfiora umanamente».

Raccontando Florenskij, spiegando il suo desiderio di una conoscenza «relazionale», la sua inquieta ricerca della verità, la sua profonda concezione dell’amicizia, la sua grande umanità fin dentro l’esperienza più dura del martirio, abbiamo nello stesso tempo sperimentato quella passione, quella possibilità di amicizia, quella conoscenza che accade davvero dentro un rapporto, e che per questo può essere un avvenimento. E se è vero che dietro quei pannelli c’è stato molto più di una «iniziativa culturale studentesca», è altrettanto vero che si è trattato di una vera iniziativa culturale, in cui il vertice della cultura è la disponibilità, l’attenzione, un orizzonte integrale di conoscenza: in una parola, l’incontro con chi si ha davanti. Un incontro che va dallo studio di Florenskij all’incontro con i relatori che hanno inaugurato la mostra; da quello tra noi studenti a quello con i professori che ci hanno aiutato e sostenuto, passando attraverso i visitatori e arrivando alle collaboratrici ausiliari dell’Università, che il giorno dopo la fine della mostra ci chiedono: «Ma è già finita? Peccato, prima il corridoio era più bello». Oltre a tutto ciò che si può dire e raccontare, si tratta davvero di questo, di una bellezza che coinvolge tutti, che desta una curiosità e che spezza il corso delle «logiche normali». Di solito gli eventi iniziano con un progetto, con delle domande e terminano con delle risposte; sono grata nel constatare che noi siamo partiti da alcuni legami e da alcune domande, e che adesso che la mostra è finita ci ritroviamo con domande forse diverse ma ancora più grandi, più vive: domande su Florenskij, sul nostro studio, sui rapporti, sulla vita. E con la curiosità di scoprire cosa vorrà dire che «nulla va perduto: tutto passa, ma tutto rimane, niente si perde completamente, niente svanisce, ma si conserva in qualche modo e da qualche parte».

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