Libro calendario 2017

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LA CROCE E LA VITE

Icone e affreschi dell’Antica Georgia

2017 LA CASA DI MATRIONA


LA CROCE E LA VITE Icone e affreschi dell’Antica Georgia

Libro-Calendario 2017 TESTI Nana Burchuladze REALIZZATO A CURA DI Nana Burchuladze (Museo Nazionale Georgiano) Giovanna Parravicini (Fondazione Russia Cristiana)

REFERENZE FOTOGRAFICHE Museo Nazionale della Georgia (tav. 3, 5, 6, 7, 11, 15, 19, 22, 23) Centro Nazionale di ricerche sulla storia dell’arte georgiana e la tutela del patrimonio culturale G. Chubinashivili (tav. 1, 4, 8, 16, 17, 20, 24) Museo Statale Storico di Kutaisi (tav. 10) Editrice Karchkhadze (tav. 13, 21) Mirian Kiladze (tav. 9, 12) Giorgi Bagrationi (tav. 18) Tamar Khosroshvili (foto p. 1) Fondazione Vittorio Sella, Biella (foto p. 14)

GRAFICA Angelo Bonaguro

La Casa di Matriona © 2016 Fondazione Russia Cristiana, via Tasca 36, 24068 Seriate (BG) (Italia) Tel.: (+39) 035.294021 rcediz@tin.it • www.russiacristiana.org Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale, del testo e delle illustrazioni sono riservati in tutto il mondo. In copertina: Madre di Dio (IX, XI, XII, XIII, XVI, XVIII secolo, chiesa della Natività della Madre di Dio a Tsilkani, Georgia orientale, Museo Nazionale d’arte della Georgia Amiranashvili, Tbilisi) Finito di stampare nel mese di luglio 2016 dalla Ghilardi soluzioni d’immagine via Annunciata, 24060 Entratico (BG)

«LA CROCE E LA VITE» può essere trasformato in un prezioso libro per la vostra biblioteca. È sufficiente tagliare la copertina e tutti i fogli lungo il tracciato indicato. AVVERTENZA: Finché il calendario è appeso alla parete non tagliare alcun foglio.


LA CROCE E LA VITE Icone e affreschi dell’Antica Georgia Riandando alle origini del cristianesimo in Georgia, ci imbattiamo nel simbolo della croce ricavata da un ramo di vite, che la Vergine affidò a santa Nino inviandola a evangelizzare queste terre: una reliquia, conservata a tutt’oggi nella cattedrale (Sioni) di Tbilisi, che costituisce una mirabile sintesi del cristianesimo, indicando la fecondità della Croce, il dono dell’Eucarestia e il mistero della Comunione («Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» Gv 15,5). Ma non solo: la croce-vite è in qualche modo anche l’archetipo del particolare «carisma» del cristianesimo georgiano e della sua cultura, in cui fecondità e convivialità si intrecciano indissolubilmente con una vertiginosa, irriducibile tensione alle altezze. L’antichissima arte della coltivazione della vite e della produzione del vino in Georgia trova il suo punto di arrivo nell’arte del convivio, ancor oggi radicata nella società e scandita da gesti e rituali sacri, come quello di onorare l’ospite – segno del Divino Ospite che bussa alla porta di ogni uomo, o di libare il vino – simbolo dei doni della terra, dello scorrere della linfa vitale. Si disegna una croce ideale, tra quest’abbondanza, questo largheggiare di auguri, di cibi e bevande, che rimanda alla dimensione orizzontale della perenne fecondità della vita, e la verticale tracciata dalle vette della catena del Caucaso, vertiginoso richiamo al divino anche per il viaggiatore straniero: «All’improvviso, a una brusca svolta a destra la gola si apre, e al nostro sguardo, vicinissimo, appare il Kazbek con i suoi ghiacciai scintillanti al sole. Impressiona per la sua possanza – alto, terribile, immoto. Ci afferra uno struggimento irripetibile: il Kazbek, davvero una creatura di altri mondi, si erge circondato dai monti che gli giurano fedeltà e ci guarda… Mi gira la testa, come se qualcuno mi strappasse dal luogo in cui sto e mi sollevasse in alto, e io mi trovassi faccia a faccia con Dio» (Knut Hamsun, In un paese fiabesco, 1910). Nasce da questo incrociarsi di umano e divino la civiltà austera, impervia e aristocratica dell’Alto Svaneti, con le sue case-torri e la sua arte ieratica, incisiva, quasi selvaggia. Nasce di qui, oltre che dall’antico mito del vello d’oro nella Colchide, l’amore per la lucentezza dell’oro, degli smalti e delle pietre preziose, con cui sono realizzate splendide icone caratteristiche dell’arte sacra georgiana. È un amore appassionato per ogni bellezza fisica e naturale, radicato però in quello che Pavel Florenskij, nato tra i monti del Caucaso, definiva l’«interrogativo sul trascendente»: «Il luogo in cui sono nato ha determinato per sempre alcuni aspetti della mia anima… Le cime innevate che incorniciano la steppa mi rendono cosciente sia della mia libertà sia della mia limitatezza. Le cime innevate, infiggendosi nella volta celeste, me la avvicinano e me la allontanano. La cornice delle cime innevate è altrettanto indispensabile alla mia struttura spirituale del cielo che sta in alto e di quello che sta in basso – la steppa. Non mi rassegnerò, non posso rassegnarmi a che qualcuno mi impedisca la vista delle cime con delle palizzate di legno o nascondendomele con il fumo» (Lettera a Sergej Bulgakov, 15 agosto 1917). A introdurci in questo universo artistico e spirituale è Nana Burchuladze, storica dell’arte, docente universitaria e conservatrice del patrimonio artistico medioevale del Museo Nazionale Georgiano.


tavola 1

LA MADRE DI DIO IN GLORIA

2

1125-1130, mosaico della conca absidale, chiesa della Natività della Vergine, monastero di Gelati (Georgia occidentale)

U

no dei capolavori dell’arte medioevale della Georgia è il mosaico di Gelati, che decora la conca absidale della chiesa principale del monastero e presenta la Madre di Dio con Bambino fra gli Arcangeli. La tipologia iconografica della Vergine, la Nikopeia, era considerata patrona dei sovrani e apportatrice di vittoria. Il monastero di Gelati, chiamato dagli annalisti «seconda Atene» e «nuova Ellade», venne fondato dal grande sovrano georgiano Davide il Costruttore nel 1106, in una bellissima località collinare non lontano dalla città di Kutaisi. Scopo del re era trasformare il monastero in una culla di cultura cristiana, come realmente avvenne grazie alle iniziative sia dello stesso Davide, sia dei governanti che gli succedettero. Il sovrano (successivamente canonizzato) fece ricche donazioni al monastero in costruzione e vi trasferì da Tao-Klarjeti l’icona miracolosa della Madre di Dio di Khakhuli (riprodotta a p. 26). Egli progettò inoltre di decorare la chiesa principale con mosaici, ma quest’opera venne realizzata dal suo successore, Demetrio I, che portò a termine la costruzione del monastero dopo la sua morte. Davide morì nel 1125 e, come aveva indicato nel testamento, fu sepolto vicino all’ingresso principale al monastero, affinché tutti quelli che vi giungevano passassero attraverso la sua tomba. La chiesa fu consacrata nel 1130, di conseguenza il mosaico della «Madre di Dio in gloria» fu eseguito tra il 1125 e il 1130 (alcuni frammenti conservatisi nel nartece ovest del tempio consentono di stabilire che la parte restante dell’interno venne decorata nel XII secolo ad affresco). La parte inferiore della composizione a mosaico andò distrutta nel XVI secolo, in seguito a un incendio. Venne sapientemente ricostruita ad affresco nel periodo in cui vennero restaurate anche la parte restante dell’abside e le pareti della chiesa. Nel XIX secolo vennero rozzamente ritoccati con colori a olio lo zigomo sinistro e il collo della Vergine, laddove l’acqua, filtrata attraverso il tetto, aveva staccato le tessere. Dopo il 1980 il mosaico è stato restaurato, ripulito e liberato dai rifacimenti pittorici del XIX secolo, ritornando così all’antico splendore. Il prezioso materiale, la raffinata tecnica e il magnifico stile artistico fanno sì che il mosaico di Gelati possa reggere il confronto con opere bizantine musive quali i ritratti imperiali coevi di Santa Sofia a Costantinopoli. Tra queste ultime, l’analogia più prossima è una raffigurazione del 1118, epoca dell’imperatore Alessio I Comneno, rappresentato insieme all’imperatrice accanto alla Nikopeia. La grande somiglianza tra la Nikopeia di Costantinopoli e quella di Gelati ci consente di supporre che la prima fungesse da modello per la seconda: ne sono conferma la medesima sagoma della figura della Madre di Dio, la posa e la collocazione sul suo seno di Cristo Emmanuele, il colore azzurro del maphorion (tradizionalmente color porpora), il disegno del panneggio, la bordura e la frangia d’oro, la forma e la disposizione delle «stelle» d’oro sulla fronte e sulle spalle della Vergine, la mappula bianca che ha in mano, il gesto benedicente di Gesù e così via. Esistono però anche vari particolari in cui le due figure si discostano: in particolare, i lineamenti e l’espressione del volto della Madre di Dio di Gelati, così come di Cristo e degli Arcangeli, sono tipicamente georgiani. È indubbio che quest’opera fosse realizzata da un artista georgiano che ben conosceva i capolavori dell’arte musiva bizantina esistenti a Nicea, Cipro, Costantinopoli, e in particolare le decorazioni di Santa Sofia. Sappiamo che alcuni georgiani parteciparono attivamente alla vita politica e culturale di Bisanzio. Nel 1065-1081 fu imperatrice di Bisanzio Maria, figlia del sovrano georgiano Bagrat IV e zia di Davide il Costruttore, che sostenne i monasteri georgiani che si trovavano fuori dei confini del paese e i georgiani che vivevano a Costantinopoli, sul Sinai, sull’Athos, a

Il monastero di Gelati.

L’abside di Gelati con il mosaico della «Madre di Dio in gloria», XII sec. Cipro, a Gerusalemme e in altri centri della cultura cristiana. Essa mantenne inoltre stretti contatti con la corte georgiana e contribuì a sua volta alla costruzione del monastero di Gelati (insieme al primo consorte, Michele VII Ducas, è raffigurata su una piastrina d’oro con smalti fissata alla sommità del trittico della Madre di Dio di Khakhuli). Probabilmente, l’imperatrice Maria fece istruire nell’arte del mosaico uno o più artisti georgiani nelle botteghe di Costantinopoli, proprio in vista della realizzazione del mosaico di Gelati. Si ritiene che al lavoro dei mosaicisti a Gelati sia legata anche un’icona processionale di san Giorgio, l’unica icona a mosaico esistente in Georgia, per lungo tempo custodita nello Svaneti, e trasferita a Tbilisi solo a metà del XX secolo. È realizzata con una tecnica straordinaria e un ottimo stile. La fattura della tavola e i resti di chiodi dorati sulla cornice indicano che l’icona aveva un prezioso rivestimento metallico e faceva parte, presumibilmente, di un dittico.

Di lato: la Nikopeia di S. Sofia di Costantinopoli; sopra: Michele VII Ducas e l’imperatrice Maria raffigurati nella piastrina di Khakhula.


TAV. I

LA MADRE DI DIO IN GLORIA • 1125-1130, mosaico

GENNAIO 17 18 19 20 21 22 23 24

MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ

25 26 27 28 29 30 31

MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ

1 2 3 4 5 6 7 8

DOMENICA

S. Maria Madre di Dio

LUNEDÌ

Ss. Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno

MARTEDÌ

Santissimo Nome di Gesù

MERCOLEDÌ

S. Benedetta

GIOVEDÌ

S. Amelia

VENERDÌ

Epifania

SABATO

S. Raimondo di Peñafort

DOMENICA

Battesimo del Signore

9 10 11 12 13 14 15 16

LUNEDÌ

S. Giuliano

MARTEDÌ

S. Aldo

MERCOLEDÌ

S. Igino

GIOVEDÌ

S. Arcadio di Cesarea

VENERDÌ

S. Ilario

SABATO

S. Felice M., S. Bianca

DOMENICA

S. Mauro

LUNEDÌ

S. Marcello I


ARCANGELO MICHELE

tavola 2

XI-XII sec., legno, tela, tempera, argento dorato, 65 x 47 cm,chiesa dei SS. Quirico e Ulita, comunità di Kala, Lagurka, Museo Storico Etnografico Nazionale dello Svaneti, Mestia

SANTA NINO

D

opo gli apostoli Andrea e Simone il Cananeo, a evangelizzare il popolo georgiano giunse da Gerusalemme in Iberia (Kartlia) santa Nino, una vergine della Cappadocia. Si mise in cammino a piedi verso il paese che custodiva la tunica di Cristo e il mantello del profeta Elia, con la benedizione della Madonna, che le aveva donato una croce ricavata da una pianta di vite. Come sede per la sua predicazione la vergine scelse la capitale dell’Iberia, Mtskheta, nel punto di confluenza dei due fiumi Kura (in georgiano Mtkvarii) e Aragvi. Qui, sul monte Bagineti si ergevano gli idoli d’oro venerati dai sovrani Mirian e Nana e da tutto il popolo. Per mostrare il potere della propria fede, pregando Nino fece andare in pezzi i giganteschi idoli: questo miracolo avvenne tra il 326 e il 337, il 19 agosto, festa della Trasfigurazione, a indicare la trasfigurazione interiore che attendeva l’Iberia. Con le sue preghiere Nino restituì la salute alla regina e all’erede al trono e compì numerosi altri prodigi. Questi fatti influirono anche sul re che un giorno, mentre cacciava, all’improvviso si trovò immerso in un’oscurità impenetrabile, e invocò in aiuto il Dio di Nino, Gesù Cristo; subito l’oscurità si dissipò ed egli vide la luce fulgente del Sole della Verità. In seguito, Mirian si fece battezzare insieme al suo popolo alla confluenza dei due fiumi. Dopo Mtskheta, la santa visitò le regioni di Khakheti (dov’è sepolta), Mtiuleti e Khevi, dove pure battezzò molti, secondo il volere e la missione affidatale dalla Vergine. Il più antico testo della vita di santa Nino risale al IV secolo, ma la storia della Conversione della Kartlia si è conservata solo in manoscritti del X secolo, stilati da monaci georgiani nei monasteri del Sinai e di Tao-Klarjeti. A quest’epoca risalgono anche le più antiche redazioni delle esortazioni della santa vergine. È il periodo dell’intensificarsi in Georgia dell’attività di pastori cristiani (san Grigol Khandzeteli, san Serapion Zarzmeli), e di politici del casato dei Bagrationi (Ashot, David e Bagrat Kuropalat), in vista della riunificazione di tutte le terre georgiane in un unico forte Stato cristiano, che avrebbe svolto un ruolo significativo nella vita politica e culturale di Bisanzio. Al X secolo risale anche la più antica raffigurazione di santa Nino pervenutaci, un bassorilievo scolpito su un pilastro ottagonale della galleria sud, nella chiesa regale di Oshki (attualmente in territorio turco, cfr. foto a pag. 19). A Oshki la santa vergine era rappresentata sopra la composizione della Deesis, in atteggiamento di Orante, con le braccia levate al cielo. Purtroppo, questo ritratto è andato distrutto

alla fine del XX secolo e ne è rimasta solo una copia del 1917, conservata nel Museo d’arte di Tbilisi. Per posa e vesti santa Nino ricorda la Madre di Dio diaconessa, ma la raffigurazione era accompagnata da una scritta esplicatoria eseguita in carattere Asomtavruli. Tale somiglianza non è evidentemente casuale, poiché Nino fece le veci della Madre di Dio nella missione di convertire al cristianesimo la Kartlia, come pure di fondare e far crescere la Chiesa georgiana. Il ciclo agiografico dell’apostola della Georgia venne rappresentato nel X-XI secolo sulle pareti del diakonnikon della A sinistra: bassorilievo raffigurante santa Nino. Sopra: part. chiesa principale del mo- del Miracolo del sollevamento della colonna, Ani, sec. XIII. nastero di Udabno (David Gareja), ma fu ridipinto all’inizio del XIII secolo ed è gravemente danneggiato. Gli affreschi del periodo tra il XII e il XIII secolo fanno pensare che la regina Tamara fosse molto devota a santa Nino. A Vardzia, Betania, Bertubani, Kintsvisi, Gareja, l’evangelizzatrice della Georgia è sempre raffigurata in prossimità del ritratto della regina. È datato all’inizio del XIII secolo un affresco di santa Nino nella chiesa di Tigran Honents ad Ani, in territorio armeno, decorata da artisti georgiani. Qui è raffigurato un miracolo operato da santa Nino, quando grazie alle sue preghiere un pesante tronco, destinato alla costruzione della chiesa, venne sollevato dagli angeli e collocato senza sforzo al posto assegnatogli, sopra la cappella della Veste del Signore. Questo miracolo è legato alla costruzione della cattedrale di Mtskheta, Svetitskhoveli. La memoria di santa Nino si celebra due volte all’anno: il 14 gennaio è il suo dies natalis al cielo, il 1° giugno la data del suo arrivo in Iberia.

Nana Burchuladze

Storia e cultura della GeorGia

P 3

osta allo spartiacque fra due continenti, nella parte meridionale della catena principale di monti del Caucaso, la Georgia rappresenta un crocevia geografico e culturale fra Europa e Asia. La sua lingua è fra le più antiche del mondo e ha tre varianti di scrittura, di cui due ecclesiastiche e una laica; appartiene al gruppo delle lingue cartveliche, diffuse fondamentalmente nel Caucaso meridionale. Si ritiene che l’antico nome del paese, Sakartvelo («terra dei cartveli»), si colleghi a Kartlos, nipote del patriarca biblico Jafet. Secondo le antiche Cronache, tale nome apparve per la prima volta nell’XI secolo, con la riunificazione delle terre georgiane in un unico Stato, e si consolidò definitivamente nel XIII secolo. Il greco Georgos, che significa «coltivatore della terra», originò il nome del paese nelle lingue europee. Il termine russo Gruzija deriva dall’arabo-persiano Gurdzhan o Gurzan, che dà il nome alla Georgia nelle lingue orientali. La maggior parte del territorio è montuosa, ma esistono anche pianure. Nelle regioni occidentali il clima è subtropicale; in quelle orientali, continentale. Esistono zone alpine, grotte carsiche e perfino il deserto, numerosi fiumi, laghi e sorgenti, ghiacciai perenni, foreste. La civiltà georgiana è antichissima; fra le prime testimonianze culturali vi sono graffiti con scene di caccia nelle grotte di Trialeti, analoghi alle opere paleolitiche del Medio Oriente. In epoca neolitica apparvero i primi insediamenti stabili, come testimoniano resti di abitazioni, con vasellame e manufatti, a volte anche decorati, del VI-IV millennio a.C.Tra questi oggetti vi sono anche statuette femminili di pietra o di osso, le cosiddette «Veneri», simboli della fecondità, cioè della Dea madre progenitrice. In particolare, tra gli oggetti in argilla vi sono recipienti che ci hanno conservato semi di uva di 8000 anni fa, dimostrando così che la viticultura e la produzione di vino in Georgia è forse la più antica del mondo.


TAV. II

ARCANGELO MICHELE • XI-XII sec., legno, tela, tempera, argento dorato

GENNAIO 1 2 3 4 5 6 7 8

DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA

9 10 11 12 13 14 15 16

LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

MARTEDÌ

S. Antonio

MERCOLEDÌ

B. Beatrice

GIOVEDÌ

S. Bassiano

VENERDÌ

S. Sebastiano

SABATO

S. Agnese

DOMENICA

S. Vincenzo

LUNEDÌ

S. Babila

MARTEDÌ

S. Francesco di Sales

25 26 27 28 29 30 31

MERCOLEDÌ

Conversione di S. Paolo

GIOVEDÌ

Ss. Tito e Timoteo, s. Paola

VENERDÌ

S. Angela Merici

SABATO

S. Tommaso d’Aq., s. Valerio

DOMENICA

S. Costanzo, s. Ciro

LUNEDÌ

S. Martina, s. Savina

MARTEDÌ

S. Giovanni B.


tavola 3

PRESENTAZIONE AL TEMPIO DEL SIGNORE

4

XII secolo, oro, smalto cloisonné, 12 x 10 cm, Museo Nazionale d’arte della Georgia Amiranashvili, Tbilisi

L

a festa della Presentazione al tempio (che nella tradizione orientale prende anche il nome di Incontro, o Purificazione della Madre di Dio), si celebra il 2 febbraio e fu introdotta a Gerusalemme dal IV secolo. A Roma e a Costantinopoli divenne una festività ufficiale nel V-VI secolo, e dall’XI venne inserita nel novero delle grandi feste liturgiche. Un’interessante raffigurazione del soggetto è riportata da questa lamina d’oro con smalti cloisonné, parte di un ciclo delle dodici feste che originariamente doveva decorare una grande icona o un altro oggetto di uso liturgico. Di questo ciclo si sono conservate altre due piastrine mentre le rimanenti furono rubate nel XIX secolo e in seguito furono individuate nelle collezioni di P. Botkin e A. Zvenigorodskij per poi scomparire senza lasciar traccia. Sono splendidi esempi di decorazione a smalto del XII secolo, caratterizzati da una rara tecnica, da un elevato livello artistico e da elementi iconografici inusuali. Particolarmente interessante, a questo riguardo, è la Presentazione al tempio: vi spicca, in primo luogo, lo sfondo architettonico composto da tre templi, di cui quello centrale ha il tetto di foggia tipicamente georgiana. Un elemento raro è anche il candelabro con la candela accesa, proprio al centro della composizione, tra la Madre di Dio e Simeone. I tre templi simboleggiano la Trinità e l’edificio centrale, decorato da tre croci, è simbolo della seconda ipostasi trinitaria, Gesù Cristo. La candela è un elemento ben noto nell’arte dell’Europa occidentale, mentre nel mondo ortodosso, ad eccezione della Georgia, non si incontra quasi mai. La raffigurazione della candela indica che Cristo, presentato al tempio, è la «Luce del mondo», come pure la Madre di Dio è «lampada inestinguibile»; infine, che la Presentazione al tempio venne a sostituire la festa pagana legata al mito di Proserpina, che si celebrava attraverso processioni con candele accese. Nella regione montuosa dello Svaneti, la notte della vigilia della festa la popolazione visita i cimiteri con fiaccole e canti sacri per ricordare ai defunti l’approssimarsi della salvezza, e il giorno dopo, detto popolarmente Giorno di

Le piastrine con le raffigurazioni della Risurrezione di Lazzaro (a sin.) e della Pentecoste (a destra). San Simeone, accende grandi falò e imbandisce banchetti. In questa festa, che prende il nome di Lamproba («festa delle Luci»), si intrecciano rituali pagani e cristiani. Inoltre, seguendo l’usanza di Gerusalemme, in Georgia la celebrazione religiosa della festa si svolgeva attraverso una veglia notturna, con le candele accese. In questa icona Gesù, ancora fra le braccia della Madre, guarda impaurito san Simeone, rendendo così il senso della Vittima sacrificale racchiuso nell’evento. La gamma cromatica dell’icona è molto ricca, composta da rosso intenso, azzurro, verde e bianco. Caratteristica è la veste a strisce del Bambino Gesù, diffusa nelle opere bizantine a smalto dell’XI-XII secolo. Dal punto di vista artistico colpiscono il cestino giallo sullo fondo scuro, rosso porpora, con colombe candide, l’alternanza dei nimbi verde scuro, azzurro e violetto, e le calzature rosse della Madre di Dio che lasciano vedere le dita dei piedi.

A metà del III millennio a.C. nel territorio sud-orientale dell’attuale Georgia si forma la cosiddetta cultura Kuro-Araxes, caratterizzata da un forte sviluppo della lavorazione della terra e dell’allevamento del bestiame, e da un notevole miglioramento del tenore di vita della popolazione, dovuto anche allo sviluppo della metallurgia. Nel III-II millennio gli attrezzi di lavoro sono prevalentemente in rame e bronzo, e in ambito edilizio abbiamo grandi opere della cultura megalitica: mura difensive cosiddette «ciclopiche», fortezze, dolmen, menhir e cippi votivi, che indicano l’evolversi della civiltà locale, in parallelo alla cultura delle popolazioni delle terre del medio Oriente. Nei kurgan georgiani di quest’epoca sono stati rinvenuti ricchi tesori di oggetti d’oro, argento e bronzo, sovente decorati con pietre preziose colorate, manufatti di ceramica dipinta, tessuti di lana e di lino, cocchi e carri lignei, ecc. Nell’insieme, questi materiali archeologici testimoniano che le tribù georgiane erano in collegamento con le popolazioni della Mesopotamia, dell’Asia Minore, del Mediterraneo, dell’Egitto, avevano un proprio pantheon religioso che raffiguravano su oggetti rituali, e su cui si diffondevano miti e leggende. Uno dei miti prediletti è quello di Amiran, un eroe che fu incatenato dagli dei ai monti del Caucaso, e che ha molti elementi in comune con il mito di Prometeo. Tra il II e il I millennio a.C. si formano due gruppi tribali principali: i Diaochi e i Colchi. A questo secondo gruppo è legato l’antico mito del vello d’oro, di cui ci parlano antiche fonti greche (Erodoto, Strabone, Csenofonte, Pindaro, Eschilo, Apollonio di Rodi), asserendo che il regno della Colchide fosse ricchissimo d’oro: per questo vi giunsero gli Argonauti, che rubarono il vello d’oro al re Eete con l’aiuto di sua figlia Medea. Nella sua Geografia Strabone scrive che «presso costoro i torrenti portano l’oro, e i barbari lo raccolgono in cestelle forate ed in pelli lanose, d’onde poi nacque anche la favola del vello d’oro» (libro XI, 2,19). La veridicità dell’informazione di Strabone è confermata dai metodi di estrazione dell’oro in uso per molti secoli tra gli abitanti dell’Alto Svaneti. D’altro canto, la ricchezza del regno dei Diaochi e dei Colchi attirò incursioni e invasioni di nemici e nomadi, che condussero alla sua rovina nell’VIII secolo a.C. Nel VII-VI secolo la colonizzazione greca della regione caucasica del mar Nero ebbe un notevole influsso sulla cultura locale. I greci fondarono proprie colonie nella Georgia occidentale (tra cui Fazis, Gienos, Pitiunto, Dioskuria, Archeopolis, ecc.); in tal modo, nacque una cultura in cui tradizioni e innovazioni si fondevano insieme. La testimonianza più eloquente è forse l’antico insediamento di Vani (Georgia occidentale), città munita di mura difensive e torri, templi, are votive, mausolei ecc., entro il cui perimetro gli scavi archeologici hanno portato alla luce reperti provenienti sia dalla Colchide sia dalla Grecia. ➤


TAV. Iii

PRESENTAZIONE AL TEMPIO DEL SIGNORE • XII secolo, oro, smalto cloisonné

FEBBRAIO 17 18 19 20 21 22 23 24

VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ

25 26 27 28

SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ

1 2 3 4 5 6 7 8

MERCOLEDÌ

S. Verdiana

GIOVEDÌ

Pres. del Signore Dell’Incontro (biz.)

VENERDÌ

S. Biagio, s. Oscar, s. Cinzia

SABATO

S. Gilberto

DOMENICA

S. Agata

LUNEDÌ

S. Paolo Miki e compagni

MARTEDÌ

Ss. Perpetua e Felicita, s. Riccardo

MERCOLEDÌ

S. Girolamo E.

9 10 11 12 13 14 15 16

GIOVEDÌ

S. Apollonia

VENERDÌ

S. Arnaldo, s. Scolastica

SABATO

B.V. di Lourdes

DOMENICA

S. Eulalia

LUNEDÌ

S. Benigno di Todi

MARTEDÌ

Ss. Cirillo e Metodio

MERCOLEDÌ

Ss. martiri Copti in Libia

GIOVEDÌ

S. Giuliana di Nicomedia


tavola 4

GIUDIZIO UNIVERSALE

«Apparizione della croce», affresco della cupola di Timotesubani.

P

rima dell’inizio della Quaresima, durante la liturgia domenicale della settimana dei latticini, si fa memoria del Giudizio universale, allorché ogni uomo riceverà in base alle proprie opere, i peccatori precipiteranno nell’inferno e i giusti entreranno in paradiso. Di questo parlano la Sacra Scrittura (Mt 12,36;25,31-46; Lc 22,30; Gv 5,22-30; 1 Cor 15-5152; 2 Cor 5,10) e i Padri della Chiesa (Efrem il Siro, Teodoro Studita, Romano il Melode e altri ancora). Raffigurazioni simboliche, prefigurative di questo tema sono note fin dalle catacombe, mentre negli affreschi dell’XI-XII secolo delle chiese di Tessalonica, Grottaferrata, Torcello, in un codice greco conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi ecc., se ne incontrano versioni sempre più ampie e complete. Fra gli esempi più antichi di raffigurazione del Giudizio universale vi sono anche opere di pittura georgiana: gli affreschi dell’XI-XII secolo della chiesa principale del monastero di David Gareja a Udabno, del Sioni di Ateni, delle chiese di Bochorma, Ikvi e le illustrazioni del Vangelo II del monastero di Jurchi, dello stesso periodo. Il Giudizio universale vi viene presentato nella versione ampia, che approfondisce il senso dell’evento e il contenuto escatologico del tema, collegandolo al mistero della redenzione del genere umano, cuore della rivelazione divina. Va osservato che la più antica icona del Giudizio universale, datata tra l’XI e il XII secolo e conservata nel tesoro del Monte Sinai, fu dipinta dal monaco georgiano Ioann Tokhabi. In Georgia il più ricco Giudizio universale appare negli affreschi della chiesa di Timotesubani – uno dei monumenti principali della cosiddetta epoca d’oro nella storia del paese – co-

Inizio del XIII sec., affreschi della chiesa di Timotesubani (Georgia orientale) struita e decorata tra il XII e il XIII secolo, al tempo della regina Tamara. La pittura ricopre interamente le pareti, con cicli comprendenti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, apocrifi della Madre di Dio, storie della Passione e dei miracoli del Signore, ritratti di santi sia singoli che a coppie e a gruppi. Singole figure e addirittura intere scene sono dipinte anche nei vani delle finestre, questo conferisce al programma una straordinaria ampiezza e un gusto narrativo particolare. Secondo la tradizione georgiana, nella cupola è rappresentata una croce inscritta in un cerchio, non però nella redazione dell’«Ascensione della croce» (insieme ad angeli in volo, cfr. tav. 18), ma nell’antica variante dell’«Apparizione della croce». Al di sotto è raffigurata una Deesis con arcangeli e, più in basso, tra le finestre del tamburo, su due registri si dispongono profeti e martiri. Nella conca absidale è raffigurata la Madre di Dio in Maestà, più sotto una Deesis con apostoli, padri della Chiesa e diaconi. Nel transetto ovest la scena dominante è il Giudizio universale, che ha come nucleo centrale la Deesis, cioè la supplica a Cristo Giudice, i dodici apostoli, le schiere angeliche e una splendida scena del paradiso: qui, sullo sfondo di magnifici alberi sono raffigurati su un unico registro la Vergine tra arcangeli, il Seno di Abramo, Adamo ed Eva inginocchiati davanti alla Croce, il buon ladrone con la propria croce, un serafino a guardia delle porte del paradiso e un angelo che indica la via ai giusti che si appressano alle porte, guidati da san Pietro. I restanti elementi della scena (gli angeli che suonano le trombe, che pesano sulla bilancia peccati e virtù, il corteo dei giusti, la cacciata dei peccatori all’inferno, i supplizi infernali, la terra e il mare che restituiscono i morti e così via) sono situati sulle pareti nord e sud. Sono visibili anche, come tutori dell’ordine, santi guerrieri. Sempre qui, in uno degli episodi è rappresentata l’icona acheropita di Cristo (Mandylion), che infonde speranza nel Salvatore, il Dio fatto Uomo. Lo stile degli affreschi di Timotesubani è dinamico, il programma iconografico molto denso. Composizioni e figure hanno movimenti plastici, pose, gesti ed espressioni drammatici. Sullo sfondo compaiono molte architetture, colline, alberi ed elementi paesaggistici eseguiti con grande accuratezza. Le figure sono imponenti, con volti tondi e lineamenti marcati, energicamente modellate e contrassegnate da accenti grafici di grande effetto. Siamo di fronte a un’opera eccelsa di pittura medioevale georgiana. Caratteristico anche il sottilissimo intonaco, che lascia intravvedere i mattoni sottostanti.

Part. del volto del buon ladrone, Giudizio Universale.

IL MITO DEL VELLO D’ORO

«Sapevo della spedizione degli argonauti alle foci del Phasis, nella Colchide, alla ricerca del vello d’oro. Da tempo, ormai, avevo imparato che quei “luoghi mitici” erano proprio quelli in cui abitavamo noi e che, di conseguenza, il mito era tanto reale quanto lo eravamo io e la nostra Colchide. Il Phasis è l’odierno Rion, e sapevo anche che nella gola del Rion si levava la rupe su cui era stato crocifisso Prometeo... Sentivo vicini i miti greci, e la terra sulla quale camminavo era impregnata di effluvi dell’antichità classica».

5

PAVEL FLORENSKIJ, AI MIEI FIGLI. MEMORIE DI GIORNI PASSATI, 18 APRILE 1923


TAV. Iv

GIUDIZIO UNIVERSALE • Inizio del XIII sec., affresco

FEBBRAIO 1 2 3 4 5 6 7 8

MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ

9 10 11 12 13 14 15 16

GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

VENERDÌ

S. Donato

SABATO

S. Patrizio

DOMENICA

S. Mansueto, s. Tullio

LUNEDÌ

S. Eleuterio

MARTEDÌ

S. Pier Damiani

MERCOLEDÌ

S. Margherita, Cattedra di s. Pietro

GIOVEDÌ

S. Policarpo di Smirne

VENERDÌ

S. Sergio di Cesarea

25 26 27 28

SABATO

S. Cesario, s. Vittorino

DOMENICA

S. Romeo

LUNEDÌ

S. Giuliano di Alessandria

MARTEDÌ

S. Romano di Condat


tavola 5

QUARANTA MARTIRI DI SEBASTE

L’

icona raffigura quaranta soldati romani della Cappadocia, martirizzati per la fede in Cristo per ordine dell’imperatore Licinio nel IV secolo, nei pressi della città di Sebaste (territorio dell’odierna Turchia). Furono gettati in un lago di acque gelide, e per piegare la loro volontà lì accanto fu riscaldata una sauna, ma i militi cristiani (ad eccezione di uno, di cui prese il posto il soldato che avrebbe dovuto far loro da scorta), sopportarono con fermezza la prova; in seguito furono spezzate loro le ginocchia e infine vennero bruciati vivi (la loro memoria cade il 9 marzo). La vicenda dei martiri di Sebaste divenne rapidamente nota in tutto l’impero romano e, dopo il riconoscimento ufficiale del cristianesimo, sul luogo dov’erano sepolti sorse una chiesa con quaranta cupole; in seguito vennero dedicate loro molte chiese e monasteri. L’antica venerazione del popolo georgiano per i santi di Sebaste è documentata dalla dedicazione ai Quaranta martiri delle prime chiese sorte nel paese, tra cui la basilica di Nokalakevi, V-VI secolo (Georgia occidentale), e una chiesa del VII-VIII secolo a Tbilisi. La più antica icona dei Quaranta martiri giunta fino a noi è del X secolo. Proviene da Co-

XI-XII secolo, comunità di Latali, villaggio di Ipkhi, chiesa di San Giorgio, legno, tela tempera, 69 x 53 cm, Museo Storico Etnografico Nazionale dello Svaneti, Mestia stantinopoli, è realizzata in avorio e custodita nel Museo Bode di Berlino. All’incirca allo stesso periodo risale un’icona a tempera di Ochrid (XI sec.), che, come la precedente, riporta gli elementi del proselita e della sauna. In Georgia raffigurazioni dei Quaranta martiri si incontrano principalmente nella pittura parietale, nella chiesa di Natlistsmeli a David Gareja, nel nartece della chiesa principale di Vardzia, ad Akhtala (Lori), Timotesubani (tutti questi affreschi risalgono all’inizio del XIII secolo), a Tsalenjikha (XIV sec.), Chala, Tabakini, Nokalakevi (XVI sec.), e così via. Vi sono singoli Volto di martire, esempi di raffigurazioni miniaturistiche nel XVII-XVIII part. dell’icona. secolo. L'opera in esame, splendido esempio di pittura a tempera dell’XI-XII secolo, è l’unica di tale soggetto di cui a tutt’oggi si abbia notizia. È molto simile agli affreschi di Ateni e probabilmente fu dipinta dal maestro principale che lavorò in quella chiesa, nella zona absidale e nel transetto sud, dove è situato il ciclo mariano. La composizione dell’icona è costruita verticalmente. Le figure dei quaranta martiri sono disposte su cinque registri e mostrate in movimento, in pose diverse, mentre al di sopra di esse è visibile, in un medaglione rosso che campeggia sul fondo dorato, la figura a busto di Gesù Cristo in vesti azzurre. Questi benedice con ambo le mani i martiri e le corone preparate per loro, disposte sul fondo dorato simmetricamente, su due file. L’icona rende con grande maestria la condizione fisica e spirituale dei martiri, le loro pose ed emozioni, che mutano a seconda della distanza che intercorre fra essi e il Signore. Coloro che sono nei registri più bassi sopportano a stento il dolore, mentre nei ranghi intermedi i martiri cominciano gradualmente ad acquisire una certa calma e in alto sono ormai eretti, perché la presenza del Signore infonde loro pace perfetta. Nel colorito dell’icona predominano tonalità dorate e verde oliva, ma i tocchi di cinabro e di lapislazzulo racchiusi nella fascia celeste e «disseminati» nella parte inferiore della composizione, come pure le energiche lumeggiature, ravvivano e arricchiscono la gamma cromatica, conferendole in certa misura un tono aristocratico. I volti e i corpi ignudi dei martiri sono eseguiti con raffinatezza. La loro tonalità principale, dorata, è magistralmente lavorata e sfumata a morbide e sottili pennellate di verde e rosa, con delicati «colpi di luce» finali. Colpisce il disegno dei contorni, insolitamente plastico ed espressivo, dotato di una ritmicità musicale, che delinea in maniera calligrafica le figure dei martiri creando un effetto di volume e di agilità. Oltre agli affreschi del Sioni di Ateni, paralleli dell’icona dei Quaranta martiri si rilevano in opere di pittura monumentale georgiana come gli affreschi del nartece della chiesa principale di Gelati (primo terzo del XII secolo) e della chiesa rupestre di Vardzia (fine del XII secolo), costruite dai sovrani georgiani. L’icona è dunque legata alla pittura della capitale e appartiene indubbiamente a uno dei laboratori di corte. Probabilmente un tempo la cornice dell’icona era rivestita da una lamina d’argento con motivi e figure ornamentali.

Volto del sommo sacerdote, Sioni di Ateni, fine XI sec.

Parallelamente alla Colchide, nella parte orientale della Georgia sorse il regno di Iberia (Kartlia), con centro a Mtskheta, alla confluenza dei fiumi Kura e Aragvi, sulle vie commerciali dall’India al Mediterraneo – la celebre via della Seta. La fioritura della Kartlia si fa risalire al regno di Farnavaz I, nel III secolo, che secondo le fonti avrebbe creato anche la scrittura georgiana; questa civiltà univa al suo interno tradizioni occidentali (greche) e influssi di culture orientali, in primo luogo di quella persiana. La sua cultura si sviluppò secondo queste tradizioni anche nella fase successiva dell’espansione romana, che iniziò con la presa di Mtskheta da parte di Pompeo nel 65 a.C., e proseguì nella Colchide. Se gli storici romani (Strabone, Plutarco, Tacito, Cassio Dione) attestano l’accanita resistenza opposta in un primo tempo dalle popolazioni del Caucaso alla conquista romana, nel I-II secolo le relazioni fra la Kartlia e Roma si trasformarono in una mutua alleanza di cui restano molte testimonianze sia letterarie che archeologiche.

6

il batteSimo della GeorGia La storiografia georgiana tramanda due date per il battesimo della Kartlia, il 326 e il 337, sebbene la sua popolazione avesse sentito parlare di Cristo fin dal tempo della sua vita terrena, a quanto narra la Conversione della Kartlia, una raccolta stilata a partire dal V secolo, per iniziativa del re Vakhtang Gorgasali († 502). Questi, successivamente canonizzato, avrebbe ottenuto l’autocefalia della Chiesa georgiana, avrebbe costruito numerose chiese e addirittura il monastero di Santa Croce a Gerusalemme. I testi più tardivi della raccolta risalgono all’XI secolo. Secondo questa fonte, alla Crocifissione erano presenti due ebrei provenienti da Mtskheta e uno di essi, Elioz, riuscì a portare con sé in Georgia la


TAV. v

QUARANTA MARTIRI DI SEBASTE • XI-XII secolo, legno, tela, tempera

MARZO 17 18 19 20 21 22 23 24

VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ

25 26 27 28 29 30 31

SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ

1 2 3 4 5 6 7 8

MERCOLEDÌ

Le Ceneri, s. Albino

GIOVEDÌ

S. Angela de la Cruz

VENERDÌ

S. Camilla di Auxerre

SABATO

S. Casimiro, s. Lucio

DOMENICA

I di Quaresima Dell’Ortodossia (biz.)

LUNEDÌ

S. Vittore

MARTEDÌ

S. Felicita, s. Perpetua

MERCOLEDÌ

S. Giovanni di Dio

9 10 11 12 13 14 15 16

GIOVEDÌ

S. Francesca

VENERDÌ

S. Emiliano

SABATO

S. Costantino

DOMENICA

II di Quaresima Di Gregorio Palamas (biz.)

LUNEDÌ

S. Cristina

MARTEDÌ

S. Lazzaro

MERCOLEDÌ

S. Longino, s. Luisa

GIOVEDÌ

S. Damiano


tavola 6

ANNUNCIAZIONE

7

1001, chiesa di Sagolasheni, Kartli (Georgia orientale), argento dorato, 30 x 34, 5 cm, Museo Nazionale d’arte della Georgia Amiranashvili, Tbilisi

L

a festa dell’Annunciazione viene raffigurata dai primi secoli del cristianesimo, e fin dall’epoca precedente l’iconoclastia trova ampia diffusione in tutta l’ecumene cristiana (affreschi delle catacombe, bassorilievi in pietra e avorio, tessuti, pittura monumentale e miniatura). La sua iconografia non è complessa, ma ogni opera ha caratteristiche proprie di stile e di iconografia. Lo schema iconografico dell’icona in esame, realizzata tra il X e l’XI secolo, è assolutamente originale. Nella parte superiore della composizione appaiono due edifici simili, che alludono alla Chiesa dell’Antica e della Nuova Alleanza, mentre la grande cupola centrale simboleggia il velo che copre i Santi Doni, il ciborio che sormonta l’altare a sottolineare la sacralità della vittima incruenta. La forma del ciborio rimanda anche all’edificio a cupola sostenuto da colonne costruito nel IV secolo dall’imperatrice Elena a Gerusalemme sul Santo Sepolcro, che viene raffigurato sovente nell’iconografia paleocristiana (l’altare è assimilato al sepolcro di Cristo). Allo spazio del presbiterio rimandano anche le colonne unite da un tirante ai lati delle figure, e la cortina che raffigura simbolicamente l’aprirsi delle porte del paradiso che avviene con l’Annunciazione. Inoltre, la cortina scostata prefigura la Passione del Signore, poiché all’atto della sua crocifissione il velo del tempio di Gerusalemme si squarciò in due. Questa variante iconografica pone in risalto anche il vaso contenente i gomitoli di filo lavorati dalla Vergine Maria, a simboleggiare che il corpo della Madre di Dio è lo scrigno in cui si incarna il Figlio di Dio. Questo particolare arcaico (lo troviamo dal IV-VII secolo in opere in avorio, tessuti, bassorilievi dei sarcofagi ecc.) testimonia che l’autore dell’icona conosceva bene le antiche scene dell’Annunciazione eseguite a Roma, a Bisanzio, in Egitto, Palestina, Siria. La lamina d’argento dell’icona è abbastanza consistente e le raffigurazioni ivi cesellate sono «ferme». Il rilievo non è molto alto, ma tutti i particolari, le linee, la composizione nel suo insieme sono nitidi e chiari. I corpi slanciati sono aggraziati, sebbene la ricchezza del panneggio delle vesti e la «profondità» del suo disegno conferiscano alle figure senso architettonico e peso. Nonostante la schematicità del disegno, tutti gli elementi sono cesellati con grande maestria; sono lavorati diversamente, da un lato, le ali e le vesti, e dall’altro, i motivi ornamentali della cornice, che costituiscono un magnifico esempio di decorazione. Da notare che i motivi ornamentali sulla cornice riprendono i bassorilievi esistenti sulle pareti delle chiese georgiane costruite tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, ad esempio a Oshki, Ishkhani, Samtavro, Svetitskhoveli. Il tipo di incisione usato dall’artista ricorda la scultura, come si nota dal senso architettonico della composizione, dalla profondità delle linee, dall’appiattimento delle figure. La perizia dell’artista è testimoniata anche dalla sua capacità di rendere il morbido fluire del tessuto delle cortine, di creare il senso volumetrico delle colonne, dei capitelli e del vaso. L’orafo modella con mano esperta l’estremità delle pieghe del tessuto a punteggiature, decora le piume delle ali dell’angelo a squamette e le colonne a volute spiraliformi, e così pure orna variamente il cuscino, il trono e il tappeto sotto i piedi della Santissima Vergine. Inoltre, esprime molto efficacemente le emozioni dei protagonisti, in modo contenuto ma eloquente. L’icona di Sagolasheni apparteneva a un ciclo di dodici feste destinato a essere collocato alla sommità di una recinzione presbiteriale. Se ne sono conservati cinque soggetti: l’Incontro tra Maria ed Elisabetta, la Presentazione al tempio, il Battesimo e l’Ascensione. Oltre al titolo, su ciascuna icona sono riportate anche singole lettere eseguite nel carattere georgiano antico maiuscolo Asomtavruli, che qui indicano dei numeri. Nell’angolo destro superiore della nostra icona (che non presenta titolo), è visibile la lettera «A», che significa «uno» ed assegna all’Annunciazione il primo posto nel registro delle feste di Sagolasheni.

Svetitskhoveli.

L’Incontro tra Maria ed Elisabetta e, sotto, la Presentazione di Gesù al tempio.

tunica del Signore. Sua sorella Sidonia, dopo aver stretto a sé con venerazione questa reliquia morì, e fu sepolta nel luogo dove nel IV secolo sarebbe stata costruita la prima chiesa, Svetitskhoveli. Fonti georgiane del IX-XI secolo attestano inoltre che nella Kartlia giunse per ben tre volte l’apostolo Andrea, inviato dalla Vergine che, sentendo avvicinarsi la morte, volle far dono al paese da lei amato di una sua icona acheropita con il Bambino tra le braccia. In seguito ai numerosi miracoli compiuti dall’icona l’imperatore Eraclio II, durante la campagna in Georgia (627-628) fece costruire ad Atskuri una grande chiesa ad essa dedicata. Nella terra georgiana predicarono inoltre Simone il Cananeo, Mattia, Bartolomeo e Taddeo; Simone e Mattia, in particolare, morirono nella Georgia occidentale, dove furono sepolti, l’uno nel monastero del Nuovo Athos in Abchazia, l’altro in Adjaria. Alla predicazione apostolica fece seguito nel IV secolo l’opera evangelizzatrice di una vergine proveniente dalla Cappadocia, santa Nino, narrata ancora una volta dalla


TAV. vi

ANNUNCIAZIONE • 1001, argento dorato

MARZO 1 2 3 4 5 6 7 8

MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ

9 10 11 12 13 14 15 16

GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

VENERDÌ

S. Patrizio

SABATO

S. Giuseppe

DOMENICA

III di Quaresima Adorazione s. Croce (biz.)

LUNEDÌ

S. Claudia

MARTEDÌ

S. Elia

MERCOLEDÌ

S. Lea

GIOVEDÌ

S. Turibio di M.

VENERDÌ

S. Severo

25 26 27 28 29 30 31

SABATO

Annunciazione del Signore

DOMENICA

IV di Quaresima Di s. Giovanni Climaco (biz.)

LUNEDÌ

S. Ruperto

MARTEDÌ

B. Renata

MERCOLEDÌ

B. Agnese di Chatillon

GIOVEDÌ

S. Leonardo Murialdo

VENERDÌ

S. Beniamino


tavola 7

CROCIFISSIONE

XI-XII secolo , comunità di Ipari, villaggio Svipy (Georgia nord-occidentale) Legno, tempera, argento dorato, 28 x 20,7 cm, Museo Storico Etnografico Nazionale dello Svaneti, Mestia

L’

icona è una stauroteca, cioè un reliquiario composto di due tavole, di cui quella superiore sottile e mobile copre la parte centrale della tavola inferiore. Nella tavola inferiore sono scavate delle minuscole nicchie per custodire frammenti della croce del Calvario e di reliquie di santi. I bordi dell’icona (quello superiore è andato perduto) sono decorati da lamine cesellate d’argento dorato. L’asse compositivo della Crocifissione è costituito da una croce marrone a otto terminazioni, che divide la scena in due parti uguali. Su di essa riluce misticamente la raffigurazione del Salvatore, dipinto in calde tonalità di ocra dorata. La forma sinuosa del corpo senza vita appeso per le mani inchiodate, il capo reclinato, l’espressione sofferente del volto e il sangue scarlatto che sgorga dalle ferite dei chiodi e dal fianco conferiscono alla scena una particolare espressività. La drammaticità del soggetto è accentuata dalle pose degli angeli in pianto e dai volti afflitti della Vergine e di san Giovanni ai lati della croce. A ricostruire la posa delle mani della Madre di Dio, danneggiate, ci aiuta un’icona della Crocifissione molto simile alla nostra, conservata nel monastero di Santa Caterina sul Sinai, che curiosamente coincide con l’icona svaneti per data di esecuzione e misure, indicando così la familiarità dell’artista georgiano con la Santa Montagna del Sinai. In entrambe le icone, la destra di Maria si tende in gesto di supplica verso il Figlio crocifisso, mentre la sinistra si incrocia con il braccio destro sul petto. In tal modo, la mano destra è assimilata al calice in cui la Vergine, simbolo della Chiesa, raccoglie il sangue di Cristo, mentre le braccia incrociate sul petto ricordano l’atteggiamento con cui i fedeli si accostano alla comunione durante la liturgia. Il capo reclino della Vergine, la drammatica espressione del suo volto e il gesto delle mani rimandano al Pianto della Madre di Dio di Gregorio di Nicomedia (IX sec.), che dall’XI secolo entrò a far parte della liturgia della Settimana santa e si recita ogni anno il Venerdì santo. L’anatomia di Cristo crocifisso è resa dall’iconografo in maniera molto convenzionale; per sottolineare che siamo di fronte al Dio incarnato, le sue membra (soprattutto le estremità inferiori) sono raffigurate insolitamente allungate, sottili e curve. Questa forte stilizzazione crea l’effetto di una figura mistica ed eterea, allude al sacramento della Comunione, poiché la carne del Signore è il pane eucaristico, e il sangue il vino. Alla Comunione rimanda anche la forma a x con cui si annoda sul davanti il lino che cinge i fianchi del Crocifisso, che ricorda le scritte che si stampano sulle prosfore (pane usato per l’Eucarestia). Sul fondo geometrico stilizzato erano disposti 8 medaglioni lisci, tondi e cuoriformi (due di essi non si sono conservati): questa cifra è il simbolo dell’ottavo giorno, cioè della Seconda venuta di Cristo e del Giudizio universale. La raffinata tecnica pittorica dell’icona, il respiro e la classica simmetria della composizione, la lievità e il raffinato slancio delle figure, l’espressività delle loro sagome, l’eleganza delle pose, la misura dei gesti e della mimica, nonostante la loro carica emotiva, il colorito chiaro, il delicato accostamento di tinte pure e trasparenti, il «ravvivarsi» della gamma

tenue e armoniosa attraverso vividi tocchi di cinabro e lapislazzulo, il brillio irreale del fondo oro conferiscono alla raffigurazione un aspetto straordinariamente festoso e aristocratico.

Icona della Crocifissione, XI-XII sec., Svipi, Museo Nazionale Storico Etnografico dello Svaneti, Mestia.

Conversione della Kartlia e da altre fonti, secondo cui anche Nino si diresse alla volta della Georgia secondo l’indicazione della Madre di Dio, che le diede una croce ricavata da una pianta di vite, simbolo del Salvatore e della Vergine, come pure del paese in cui la santa era inviata in missione (cfr. ill. p. 1). Battezzata in tenera età, Nino desiderava ardentemente visitare il paese che custodiva la tunica del Signore e il mantello del profeta Elia, portato dagli ebrei esiliati a Babilonia. La tradizione vuole che fosse imparentata con san Giorgio, particolarmente venerato in Georgia, e che fosse una seguace dell’imperatrice Elena, che le avrebbe affidato una lettera, un’icona del Salvatore e una reliquia della Santa Croce per la prima regina cristiana, Nana. Dopo che con le sue preghiere e miracoli santa Nino ebbe impetrato la conversione del sovrano Mirian, questi inviò dei messi all’imperatore Costantino per chiedergli ministri del culto e artigiani in grado di costruire edifici del nuovo culto. Non sappiamo con precisione di che provenienza fossero gli uomini inviati dall’imperatore, ma è noto che fino al X secolo la liturgia nelle chiese georgiane si svolgeva secondo il rituale di Gerusalemme, ➤

SVETITSKHOVELI, LA «COLONNA VIVIFICANTE» «Uno dei più importanti monumenti dell’antichità cristiana in Georgia è certamente la cattedrale patriarcale di Mtskheta, che prende il nome di Sveti-Tskhoveli, cioè “colonna vivificante”… È la secolare fortezza e il baluardo dell’ortodossia georgiana, il monumento della cultura cristiana e del gusto artistico del suo popolo, il testimone delle glorie e delle sventure da esso vissute lungo i quindici secoli della sua esistenza cristiana… Oltre alla tunica del Signore, nella cattedrale erano custodite molte reliquie, tra cui ad esempio il mantello di Elia, la veste e la cintura della Vergine, e altre ancora…».

8

A NATROEV, MTSKHETA E LA SUA CATTEDRALE SVETITSKHOVELI. DESCRIZIONE STORICO-ARCHEOLOGICA, TIFLIS 1900


TAV. vii

CROCIFISSIONE • XI-XII secolo, legno, tempera, argento dorato

APRILE 17 18 19 20 21 22 23 24

LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ

25 26 27 28 29 30

MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA

1 2 3 4 5 6 7 8

SABATO

S. Ugo

DOMENICA

V di Quaresima Di s. Maria Egiziaca (biz.)

LUNEDÌ

S. Riccardo

MARTEDÌ

S. Isidoro

MERCOLEDÌ

S. Vincenzo F.

GIOVEDÌ

S. Pietro da Verona

VENERDÌ

S. Giovanni Battista de La Salle

SABATO

S. Giulia Billart, s. Francesca Romana

9 10 11 12 13 14 15 16

DOMENICA

Le Palme

LUNEDÌ

S. Beda il giovane

MARTEDÌ

S. Stanislao

MERCOLEDÌ

S. Giulio I, s. Giuseppe Moscati

GIOVEDÌ

Giovedì santo

VENERDÌ

Venerdì santo

SABATO

Sabato santo

DOMENICA

Pasqua


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