Libro-Calendario 2018

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L’ETÀ AUREA DI PISA

libro-calendario

2018 LA CASA DI MATRIONA

Tavole XII-XIII secolo


TAVOLA 1 Antiche icone toscane Michele Bacci (Università di Friburgo)

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er molti secoli gli artisi italiani hanno guardato a Bisanzio come a una fonte d’ispirazione, soprattutto quando si trattava di realizzare immagini dipinte desinate alla devozione privata o al culto collettivo, per le quali l’icona orientale rappresentava un modello autorevole e ampiamente, se non universalmente, riconosciuto. Il fatto sesso che i pittori si cimentassero nella realizzazione di oggetti di queso tipo, che si richiamavano più o meno fedelmente ad archetipi associati con la crisianità greca, indica di per sé che, da parte del loro pubblico, c’era un interesse evidente per l’uso religioso delle immagini dipinte secondo modalità analoghe, se non proprio identiche, a quelle diffuse a Cosantinopoli o nel Mediterraneo orientale. Lo sPregio deLLA mAnierA grecA

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uesa è un’affermazione banale, nella sua logicità, e tuttavia per molti anni è sembrato che l’orientamento bizantineggiante della pittura prodotta in Italia anteriormente a Giotto cosituisse una sorta di corpo esraneo, e per più versi imbarazzante, che nella sua alterità silisica si poneva in contraso con quelle che si ritenevano essere le caratterisiche fondamentali dell’arte italiana, ossia una ricerca cosante del volume e della terza dimensione delle figure umane e una resa naturalisica, otticamente credibile se non illusionisica, dello spazio fisico. Partendo da quesi presupposi si aveva difficoltà ad ammettere che, sia pure in un tempo remoto, delle forme che apparivano asratte, fortemente silizzate, se non addirittura malamente abbozzate, avessero potuto godere di apprezzamento generale. Negli anni Trenta, quando l’ideologia nazionalisa propugnata dal fascismo prevaleva nella penisola, tutta la produzione, soprattutto toscana, che mosrava assonanze con l’arte di Bisanzio ed era designata con l’espressione piuttoso ambigua di maniera greca era fatta oggetto di ricerca da due punti di visa fondamentali: da una parte c’era chi riconosceva in quese opere alcuni primi, timidi passi verso il naturalismo e le interpretava dunque come tappe iniziali di un percorso che sarebbe poi culminato con Giotto, dall’altra sudiosi come Roberto Longhi propugnavano un’idea assai più radicale, che bollava tutta (o quasi) la pittura pre-giottesca come una forma d’adesione totale e incondizionata a una tradizione artisica descritta come radicalmente «altra» e incompatibile con lo spirito sesso dell’arte italiana, che avrebbe trovato espressione, per la prima volta o quasi, nell’opera del maesro fiorentino. L’interesse

MADONNA COL BAMBINO NEL TIPO «HODIGHITRIA» c. 1275-1300, Pisa, chiesa di San Frediano

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a forma ovale di questa tavola è presumibilmente il risultato del suo adattamento all’esposizione entro una mostra d’altare, che dev’essere avvenuta nel XVII o XVIII secolo. In origine si trattava indubbiamente di un’icona quadrangolare, che raffigurava Maria in posa frontale conformemente a una variante del classico schema dell’Hodighitria. In passato l’immagine è stata avvicinata alla Madonna dei Santi Cosma e Damiano, ma un’analisi più serrata indica che, con tutta probabilità, non si tratta qui dell’opera di un artista pisano, bensì di un maestro bizantino della prima età paleologa. I confronti più convincenti sono con opere realizzate nell’ultimo quarto del secolo XIII nelle botteghe di Tessalonica. Con queste ultime l’icona pisana condivide tutta una serie di soluzioni formali, tra cui, ad esempio, la resa del volto allungato e contraddistinto da un’espressione delicatamente malinconica, il naso leggermente rivolto a destra e gli occhi resi frontalmente ma in modo tale da evitare di incontrare lo sguardo dell’osservatore, nonché il corpo robusto del Bambino, con collo tornito, faccia paffuta, occhi piccoli e ombreggiati e un naso massiccio. Anche la resa a rilievo del bordo delle aureole trova un parallelo in contemporanee opere macedoni, come ad esempio un’icona dell’Hodighitria nel monastero di Vatopedi e un’altra nel Museo bizantino di Atene. Tuttavia, a confermare l’attribuzione a un maestro bizantino è soprattutto la tecnica del modellato, che qui a differenza delle altre opere pisane sembra essere pienamente compreso e padroneggiato: le sfumature verdi e le pennellate bianche sono distribuite gradualmente e in modo omogeneo su un sottostante proplasmos ocra. Altre caratteristiche che rivelano la sintonia dell’immagine con opere macedoni dello stesso periodo sono la spessa crisografia delle vesti di Cristo, la morbida resa dei panneggi, i gesti delicati delle mani e ancora alcuni dettagli secondari come il doppio nastro rosso che, disposto in diagonale, avvolge il rotulus retto nelle mani dal Bambino.

VERGINE HODIGHITRIA, ULTIMO QUARTO DEL

XIII. MONTE ATHOS, MONASTERO DI VATOPEDI.

SECOLO


TAV. I

MADONNA COL BAMBINO NEL TIPO «HODIGHITRIA» • c. 1275-1300, Pisa, chiesa di San Frediano

GENNAIO 17 18 19 20 21 22 23 24

MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ

25 26 27 28 29 30 31

GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ

1 2 3 4 5 6 7 8

LUNEDÌ

S. Maria Madre di Dio

MARTEDÌ

Ss. Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno

MERCOLEDÌ

Santissimo Nome di Gesù

GIOVEDÌ

S. Angela da Foligno

VENERDÌ

S. Amelia

SABATO

Epifania

DOMENICA

Battesimo del Signore

LUNEDÌ

S. Severino

9 10 11 12 13 14 15 16

MARTEDÌ

S. Adriano di Canterbury

MERCOLEDÌ

S. Gregorio di Nissa

GIOVEDÌ

S. Alessandro di Fermo

VENERDÌ

S. Arcadio di Cesarea

SABATO

S. Ilario

DOMENICA

S. Felice M., S. Bianca

LUNEDÌ

S. Mauro

MARTEDÌ

S. Marcello I


TAVOLA 4 Fu ques’efficacia figurativa a convincere Desiderio della necessità di risabilire in Italia la pratica di quese arti, dopo che per così tanti secoli erano sate dimenticate: «Giacché la pratica di tali arti era scomparsa da cinque secoli e si rendeva necessario, grazie ai suoi sforzi e con l’ispirazione e l’aiuto di Dio, di farla rinascere ai tempi nosri, l’abate prese la decisione, nella sua saggezza, che un buon numero di giovani monaci venisse isruito in quese arti, affinché quese conoscenze non andassero di nuovo perdute in Italia. Inoltre selezionò alcuni che, tra i suoi monaci, mosravano di essere bravi artisi, affinché divenissero esperti non solo in quese arti, bensì in tutti quegli oggetti, che si possono fare con l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, il vetro, l’avorio, il legno, l’alabasro e la pietra». Se dunque gli uomini del Medioevo riconoscevano ai maesri bizantini il merito di aver insegnato agli italiani come si dipinge, il giudizio di valore sembra essersi completamente ribaltato nell’ottica di Vasari: dall’apprezzamento della pittura praticata dai greci come arte capace di evocare il reale si è passati al suo esatto opposo, alla sua condanna come forma d’espressione povera e silizzata. Ci si può chiedere in quale momento preciso si siano pose le basi di queso mutamento di percezione, e per quali motivi. Una delle quesioni di fondo, in queso senso, riguarda naturalmente Giotto. Sarebbe insensato voler negare l’importanza o l’innovatività del suo linguaggio pittorico, ma ci si può chiedere fino a che punto e in che misura il suo modo di dipingere fosse percepito come radicalmente nuovo rispetto a tutto quanto si era fatto precedentemente. In grande misura, le novità dell’artisa si manifesano soprattutto in associazione ad opere a carattere narrativo, che egli interpreta con grande libertà anche perché in ques’ambito il peso della tradizione bizantina è meno presente, mentre sembra che neanche lui possa sottrarsi del tutto all’autorità di ques’ultima quando si tratta di rappresentare immagini di tipo iconico, ovvero dei ritratti sacri a piena o mezza figura e in posa frontale. Certo è che molte delle soluzioni formali elaborate da Giotto venivano apprezzate perché erano in armonia con la GIOTTO, POLITTICO PERUZZI, 1310-15, NORTH CAROLINA MUSEUM OF ART.

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CROCE DI SAN IACOPO DE PODIO Michele di Baldovino (?), c. 1250, Cleveland, Cleveland Museum of Art

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opera appartiene a un gruppo di croci pisane per certi versi più tradizionali, sul piano iconografico e compositivo, rispetto al tipo creato da Giunta Pisano (tav. 6). Le ragioni di quest’apparente anacronismo sono da ricercare nelle diverse funzioni attribuite a questi oggetti, anche se la documentazione disponibile non ci permette di precisarle più di tanto. La croce di Cleveland si caratterizza infatti per la preferenza accordata all’immagine di Cristo vivente e per l’uso del tabellone istoriato con scene della Passione (Arresto, Flagellazione, Via Crucis, Deposizione, Lamentazione e Pie donne al Sepolcro) e della cimasa con la scena dell’Ascensione. D’altra parte, l’artista che la realizzò condivideva con Giunta un interesse per l’esibizione del proprio nome sull’opera stessa, sotto i piedi del crocifisso in segno di umiltà: l’iscrizione frammentaria è stata interpretata come «Michael quondam Baldovini», in riferimento a un non altrimenti noto Michele di Baldovino, ma altre letture sono possibili. La croce era infatti destinata a un contesto particolare, come si deduce da un dettaglio che rende questo dipinto assai sui generis. La rappresentazione di due gruppi di figure alle estremità del braccio orizzontale è certamente ispirato dalla soluzione utilizzata nella Croce di San Matteo (tav. 17), di cui il pittore imita anche le pose gentilmente incurvate. Anche qui Maria e Giovanni occupano lo stesso riquadro sulla sinistra, mentre a PART. SAN GIACOMO E BONA DA PISA, PART. DELLA CROCE far loro pendant sono due figure che con la scena DI S. IACOPO DE PODIO. della Crocefissione non hanno niente a che fare: si tratta infatti di san Giacomo Maggiore, reso nell’atto di introdurre una donna, vestita di una tunica nera con un velo bianco sulla testa, al cospetto dell’Onnipotente. Questa donna è la mistica laica Bona da Pisa (c. 1155-1207), che nelle sue numerose visioni aveva spesso conversato con Giacomo e aveva visitato virtualmente, in una sorta di trance, Santiago di Compostella e il Golgotha di Gerusalemme. In virtù di quest’associazione è assai probabile che il crocifisso fosse destinato a una collocazione nella chiesa suburbana di San Iacopo de Podio, che Bona aveva contribuito a trasformare in un luogo santo sostitutivo, dove si potevano lucrare indulgenze come a Santiago e dove era posto in venerazione un ritratto sacro, un’icona di Cristo Pantokrator a mezza figura, che Bona aveva ricevuto direttamente da Cristo in un’apparizione. È possibile che la scelta di raffigurare Cristo vivo permettesse di stabilire un richiamo visivo all’effigie sacra che era oggetto di culto nell’edificio.


TAV. Iv

CROCE DI SAN IACOPO DE PODIO • Michele di Baldovino (?), c. 1250, Cleveland, Cleveland Museum of Art

FEBBRAIO 1 2 3 4 5 6 7 8

GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ

9 10 11 12 13 14 15 16

VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

SABATO

S. Donato

DOMENICA

I di Quaresima Dell’Ortodossia (biz.)

LUNEDÌ

S. Mansueto, s. Tullio

MARTEDÌ

S. Eleuterio

MERCOLEDÌ

S. Pier Damiani

GIOVEDÌ

S. Margherita, Cattedra di s. Pietro

VENERDÌ

S. Policarpo di Smirne

SABATO

S. Sergio di Cesarea

25 26 27 28

DOMENICA

II di Quaresima Di Gregorio Palamas (biz.)

LUNEDÌ

S. Romeo

MARTEDÌ

S. Giuliano di Alessandria

MERCOLEDÌ

S. Romano di Condat


TAVOLA 7

suo bagaglio di convenzioni compositive e iconografiche. Ogni effigie sacra che, nell’arredo delle chiese come delle cappelle e dei tabernacoli domesici, evochi i protagonisi e gli eventi fondamentali della fede crisiana è percepita come una tesimonianza verisimile trasmessa al tempo presente dai «tesimoni oculari» del passaggio del Figlio di Dio sulla terra e cusodita per secoli dall’impero d’Oriente, dove la pratica della pittura non si è mai interrotta. Queso significa però che, di fondo, qualsiasi immagine a tema religioso può esser visa come un’eredità bizantina, ovvero

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DOSSALE DI SAN SILVESTRO Da Pisa, chiesa di San Silvestro, c. 1280, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

L’

opera rappresenta uno dei più antichi esempi di dossale cuspidato, dove, entro una teoria di arcatelle, sono rappresentati Cristo Pantokrator tra la Vergine e Giovanni Battista, affiancati a loro volta dai due santi che, nella chiesa pisana di San Silvestro, godevano di un culto particolare: nella fattispecie, il santo pontefice titolare dell’edificio e santa Caterina d’Alessandria che nella stessa chiesa era oggetto di una particolare venerazione. Il dipinto, sia per le caratteristiche strutturali che per quelle iconografiche, sembra adatto a un impiego più o meno stabile sull’altar maggiore, in quanto vi sono compendiate le principali specificità liturgiche dell’edificio e lo sviluppo in lunghezza sembra attagliarsi alla funzione di coronamento della mensa principale. Oggetti di questo tipo si diffondono in Toscana e in Umbria soprattutto nell’ultimo quarto del secolo XIII: il più antico esempio datato è il dossale di Meliore agli Uffizi, dipinto dal maestro fiorentino nel 1271. La comparsa del dossale segna in qualche modo l’affermazione definitiva delle immagini su tavola come elementi d’arredo specifici dell’altar maggiore; nel corso del secolo XIV, tipologie sempre più complesse di dipinti (dossali a più cuspidi, dossali orizzontali quadrangolari, trittici monumentali, polittici di varie fogge, «retabli» a nicchie) si affermeranno come elementi decorativi fondamentali dell’arredo liturgico, al punto che, nelle rappresentazioni iconografiche degli interni di chiesa, compariranno più o meno costantemente come attributi della mensa. L’ispirazione bizantina si manifesta soprattutto nelle scelte compositive e iconografiche, che sembrano riallacciarsi ai programmi canonici di decorazione delle cosiddette icone d’epistilio, destinate a coronare l’architrave dei templa, le barriere che separavano il naos dal bema nelle chiese di rito ortodosso: in particolare, l’enfasi visiva accordata alla formula centrale della Deisis, ovvero la rappresentazione dell’intercessione della Vergine e del Precursore al cospetto di Cristo Pantokrator, indica un rinvio consapevole a questa tradizione. La dignità dei personaggi è enfatizzata dalla rappresentazione a mezza figura, dall’uso abbondante della crisografia, e dalla frontalità dei due santi titolari: se Silvestro è reso riconoscibile attraverso le insegne della sua dignità pontificale, Caterina si distingue per la combinazione dell’attributo occidentale della corona a fioroni con un abito che sembra ancora memore del loros bizantino.

MADONNA DI SANTA MARIA IN TEMPULO, PART. DEL VOLTO, VII-VIII SEC. (?), ROMA, MONASTERO DI SANTA MARIA DEL ROSARIO A MONTE MARIO.


TAV. vii

DOSSALE DI SAN SILVESTRO • Da Pisa, chiesa di San Silvestro, c. 1280, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

APRILE 17 18 19 20 21 22 23 24

MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ

25 26 27 28 29 30

MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ

1 2 3 4 5 6 7 8

DOMENICA

Pasqua

LUNEDÌ

Dell’Angelo

MARTEDÌ

S. Riccardo

MERCOLEDÌ

S. Isidoro

GIOVEDÌ

S. Vincenzo F.

VENERDÌ

S. Guglielmo

SABATO

S. Giovanni B. de La Salle

DOMENICA

Della Divina Misericordia

9 10 11 12 13 14 15 16

LUNEDÌ

Annunciazione del Signore

MARTEDÌ

S. Beda il giovane

MERCOLEDÌ

S. Stanislao

GIOVEDÌ

S. Giuseppe Moscati

VENERDÌ

S. Martino I

SABATO

S. Lamberto

DOMENICA

S. Annibale

LUNEDÌ

S. Bernadette Soubirous


TAVOLA 8 risalente all’età aposolica: dalla Grecia proverrebbe, secondo Giordano, anche la rappresentazione dei Magi con attributi regali, che in realtà è un’innovazione puramente occidentale. Da queso si evince come, ancora agli inizi del secolo XIV, la pittura fosse considerata una prerogativa del mondo bizantino. Le arti del colore, oltre ad essere invesite di un’autorità sacrale, erano percepite come una tecnica nella quale eccellevano i maesri greci. Non a caso il monaco Teofilo di Helmarshausen, nel secolo XII, la indicava, nel suo De diversis artibus, come un know-how tipicamente bizantino, mentre già un secolo prima la leggenda romana della Madonna di Santa Maria in Tempulo, la più antica effigie mariana dell’Urbe ad essere attribuita all’evangelisa Luca, riportava che ques’ultimo era sato incaricato dagli altri aposoli di realizzare il primo ritratto di Maria e di Criso «giacché, in quanto greco, era peritissimo nell’arte pittorica». È possibile dunque, da queso punto di visa, che il ricorso alla tecnica della pittura, e in particolare la realizzazione di immagini dipinte su tavola, significasse agli occhi degli uomini dell’Occidente un’evidente imitazione di qualcosa di specificamente bizantino. Con la sua capacità di evocare efficamente la realtà attraverso la somiglianza cromatica, ques’arte doveva apparire esremamente efficace e coinvolgente, come le parole succitate di Leone Marsicano sembrano ben indicare. Il perIodo aureo dI pIsa

p

er quanto ci è dato di ipotizzare sulla base dei materiali supersiti, in Toscana le opere dipinte su tavola si diffondono soprattutto a partire dal XII e XIII secolo, e in modo particolare nella città di Pisa. Ques’ultima cosituiva il principale porto dell’area, che intratteneva rapporti commerciali molto sretti sia con l’impero bizantino che con le principali città portuali del Nord Africa, della Sicilia, dell’Egitto e della cosa siropalesinese, a partire dal 1099 sotto dominazione crociata. I suoi esordi come potenza mediterranea non sono dei più chiari: sappiamo che, nonosante la sua ubicazione non direttamente sul mare, bensì in prossimità del delta formato dai fiumi Arno e Serchio, fu già un importante scalo marittimo in età romana ed esise la possibilità, sia pure non confortata

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TAVOLA AGIOGRAFICA DI SANTA CATERINA Da Pisa, chiesa di San Silvestro, c. 1240-1260, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

I

n quest’opera si è voluto identificare uno dei più antichi esempi di immagine sacra utilizzata, a scopi non solo devozionali, ma anche didattici, per promuovere il culto di una santa, Caterina d’Alessandria, che era particolarmente cara alla pietà e all’ideologia del nuovo Ordine dei Predicatori. Si è pertanto supposto che il suo luogo originario di conservazione fosse la chiesa domenicana di Santa Caterina, dove la presenza di una tavola dipinta della santa affiancata da scene del suo ciclo agiografico è segnalata, nel secolo XVI, da Giorgio Vasari, che tuttavia alludeva con tutta probabilità a un’immagine che sappiamo essere andata distrutta nel secolo XVIII. Da altre fonti sappiamo, per converso, che il culto della martire alessandrina era ben radicato sin dalla metà del Duecento nella chiesa da cui la tavola proviene, vale a dire San Silvestro, che era in origine l’abbaziale di un monastero benedettino. Si tratta di uno dei più antichi esempi di «icona agiografica» in Occidente. Con quest’espressione si fa riferimento a immagini su tavola in cui l’immagine centrale è affiancata o circondata da una selezione di scene tratte dalla Vita di un santo. Negli esempi orientali, i più antichi dei quali risalgono al secolo XII e appartengono alla collezione del Monastero sinaita, i cicli narrativi sono per lo più disposti sul margine di un’icona quadrangolare, in modo da creare una cornice figurativa, spesso di dimensioni ridotte, attorno all’effigie principale, resa ora a mezza, ora a piena figura. Negli esempi pisani lo spazio riservato alle scene è regolarmente più ampio, la selezione è più ridotta e la forma generale della tavola è di andamento orizzontale, fatto che ha indotto a pensare che si trattasse, sin dall’origine, di opere destinate a una collocazione su una mensa d’altare. In realtà, poco ci è noto a questo proposito, e non si può escludere l’ipotesi che venissero esibite non in forma stabile, bensì unicamente in occasione delle festività dei santi raffigurati. La soluzione proposta in quest’immagine ci permette di cogliere l’intensità della fascinazione per i modelli orientali e, al contempo, anche i suoi limiti. Paragonata con un’icona agiografica di santa Caterina al Monte Sinai, l’immagine pisana mostra di avere ambizioni analoghe: il suo scopo è promuovere il culto di Caterina, descritta nel titulus nella forma greca «Ecaterina», e magnificarne le gesta combinando il suo solenne ritratto sacro con i momenti più eminenti del suo martirio. Le strategie artistiche che le due opere mettono in atto sono tuttavia differenti: l’artista pisano si discosta dal modello bizantino non solo per il suo rifiuto di rappresentare la santa con abiti principeschi bizantini (anche se questi, nella forma del loros, erano spesso utilizzati a Pisa nelle immagini delle schiere angeliche) e nella trasformazione di questi ultimi nelle insegne (corona, manto con aquila bicipite) dell’impero romano germanico, di cui la città era una delle più leali alleate nella penisola, ma anche per l’impreziosimento della superficie pittorica con autentiche gemme – oggi per lo più perdute. Al posto delle dodici scene presenti al Sinai la versione pisana ne seleziona soltanto otto, che raccontano analiticamente il suo martirio dalla Professione di fede e dalla Disputa con i filosofi fino alle vicissitudini del suo cadavere. In particolare, è significativo l’ultimo riquadro, che mostra il trasporto angelico del suo corpo da Alessandria al Monte Sinai, sulla cui sommità si ergono delle strutture monastiche: il riferimento al celebre monastero greco di Santa Caterina, che all’epoca costituiva una meta imprescindibile per i pellegrini di Terra Santa ed era ben noto al mondo occidentale, non potrebbe essere più esplicito. SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA CON SCENE DELLA MONASTERO DI SANTA CATERINA AL MONTE SINAI.

VITA, SEC.

XIII,


TAV. viii

TAVOLA AGIOGRAFICA DI SANTA CATERINA • Da Pisa, chiesa di San Silvestro, c. 1240-1260, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

APRILE 1 2 3 4 5 6 7 8

DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA

9 10 11 12 13 14 15 16

LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

MARTEDÌ

S. Roberto di Molesme

MERCOLEDÌ

S. Galdino

GIOVEDÌ

S. Emma di Sassonia

VENERDÌ

S. Sara di Antiochia

SABATO

S. Anselmo d’Aosta

DOMENICA

S. Caio

LUNEDÌ

S. Giorgio

MARTEDÌ

S. Fedele

25 26 27 28 29 30

MERCOLEDÌ

S. Marco

GIOVEDÌ

S. Marcellino

VENERDÌ

S. Zita

SABATO

S. Gianna Beretta Molla

DOMENICA

S. Caterina da Siena

LUNEDÌ

S. Pio V, s. Mariano


TAVOLA 14 mezza figura, nell’atto di reggere il Bambino sul braccio desro. In generale, la forte silizzazione lineare e l’uso di una gamma risretta di colori hanno fatto pensare a una data piuttoso antica, per alcuni già nella prima metà del secolo XII, anche per la presenza di un’aureola a rilievo che ricorda quelle utilizzate nelle più antiche croci dipinte. Come in quese ultime, è possibile che l’intento fosse di simulare l’aspetto di un oggetto d’oreficeria. Altri elementi, tuttavia, sembrano indicare una data più avanzata, verso la fine dello sesso secolo: in particolare, a disinguersi è la decorazione del bordo a rilievo con un motivo ornamentale di ispirazione islamica, che consise nella rappresentazione di uccelli affrontati dinanzi a un albero silizzato. La tecnica utilizzata è quella della pasiglia (ossia gesso impiegato per realizzare decorazioni a rilievo), la cui origine è oggetto di discussione: il primo esempio bizantino, un’icona con la Madonna in trono e santi nel

SANT’ANNA IN TRONO Maestro di San Martino (Ugolino di Tedice?), c. 1260-1270, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

N

MADONNA DI SANTA CHIARA, DETTAGLIO DELL’ORNAMENTO A PASTIGLIA. SOTTO, PART. DELL’ORNAMENTO DELL’ICONA BILATERALE DI KAFTOUN.

ella tavola, a terminazione cuspidata, è raffigurata Sant’Anna, la madre della Vergine Maria, con indosso un ampio mantello rosso, sovrapposto a una tunica celeste, e con il capo coperto da un velo bianco. Ella siede su un elaborato trono ligneo, decorato con in intagli e perlinature e fornito di un ampio schienale, dietro il quale stanno due angeli. La parte centrale della composizione è modellata, in generale, su quella dell’Hodighitria: al posto di Cristo, compare Maria bambina, vestita con la consueta palla, tunica rossa e maphorion scuro impreziosito dalla crisografia. Ella siede sul braccio sinistro di Anna ed è raffigurata in una posa perfettamente frontale, in un atteggiamento orante che è rivelato dalle due mani rivolte verso l’alto. L’opera, che per i caratteri stilistici è stata avvicinata al maestro Ugolino di Tedice, appartiene a una tipologia di immagine caratteristica della pittura su tavola toscana della seconda metà del Duecento, che sfrutta il simbolismo biblico del trono di Salomone e prevede quindi la rappresentazione della figura principale su un seggio ligneo molto elaborato con angeli-attendenti raffigurati su ambo i lati. In questo caso la formula è adattata a un’immagine di sant’Anna, il cui culto diviene particolarmente forte in Occidente a partire dal secolo XII e trova a Pisa un radicamento piuttosto precoce.

ICONA BILATERALE DELLA MADRE DI DIO ODIGHITRIA DI KAFTOUN, XI-XIII SEC., MONASTERO DI KAFTOUN, LIBANO.

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TAV. xiv

SANT’ANNA IN TRONO • Maestro di San Martino (Ugolino di Tedice?), c. 1260-1270, Pisa, Museo nazionale di San Matteo

LUGLIO 1 2 3 4 5 6 7 8

DOMENICA LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA

9 10 11 12 13 14 15 16

LUNEDÌ MARTEDÌ MERCOLEDÌ GIOVEDÌ VENERDÌ SABATO DOMENICA LUNEDÌ

17 18 19 20 21 22 23 24

MARTEDÌ

S. Giacinto

MERCOLEDÌ

S. Materno di Milano

GIOVEDÌ

B. Achille

VENERDÌ

S. Apollinare

SABATO

S. Lorenzo da B.

DOMENICA

S. Maria Maddalena

LUNEDÌ

S. Brigida

MARTEDÌ

S. Cristina

25 26 27 28 29 30 31

MERCOLEDÌ

S. Giacomo Ap.

GIOVEDÌ

Ss. Anna e Gioacchino

VENERDÌ

S. Giustina, s. Arnaldo

SABATO

Ss. Nazaro e Celso

DOMENICA

S. Marta

LUNEDÌ

S. Pietro Crisologo

MARTEDÌ

S. Ignazio di L.


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