Storia del Foyer Saint-Georges

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Un collegio cattolico per russi. Storia del Foyer Saint-Georges Adriano Dell’Asta Mentre era in pieno svolgimento il dramma dei profughi russi, alcuni gesuiti capitati casualmente a Costantinopoli si gettarono in una nuova avventura: raccogliere ragazzi russi sbandati e dare loro un’istruzione. Da questo slancio iniziale prese avvio un’esperienza radicale di ecumenismo: dei cattolici che aiutano gli ortodossi ad essere più consapevolmente se stessi.

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LI ANNI immediatamente successivi alla rivoluzione russa videro una nuova tragedia aggiungersi a quelle vissute in quegli anni dall’Europa: la tragedia dell’emigrazione. Si trattò di un radicale sconvolgimento della vita quotidiana e ancor oggi le dimensioni stesse delle diverse ondate migratorie restano indeterminate: le stime oscillano tra le ottocentomila e i tre milioni di persone; probabilmente è più vicina al vero la prima cifra, ma questo non diminuisce la portata della tragedia. Costantinopoli, Sofia, Praga, Belgrado, Berlino, Parigi, Londra, tutte le principali città europee vennero investite da questo flusso senza precedenti per l’Europa moderna; e i governi, le organizzazioni pubbliche e private dovettero adoperarsi per cercare di creare delle condizioni minime di vivibilità per gente che aveva perso tutto, dopo

la guerra mondiale e dopo una guerra civile ancor più spietata. Fra le tante risposte al problema dell’emigrazione ce ne fu una del tutto particolare, che ebbe come protagonisti dei gesuiti: questa risposta prenderà il nome di Foyer Saint-Georges. Il Foyer nacque a Costantinopoli, un posto assai insolito per dei gesuiti, in seguito alla pressione sorprendente della vita e non in base a un piano preordinato; questa stessa pressione aveva costretto i gesuiti ad abbandonare tutti i progetti precedenti.

Costantinopoli (1921-1923) All’inizio degli anni ‘20, nel pieno dell’ondata migratoria che portava a Costan tinopoli gli ultimi resti1 delle armate bianche

1. Secondo le varie stime non meno di centocinquantamila persone, in una città che in quegli anni aveva una popolazione non superiore al milione.

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comandate dal generale Vrangel’, la vecchia capitale dell’impero ospitava due gesuiti che per ordine della Compagnia vi avevano fatto tappa: Louis Baille (1858-1925) e Stanislaw Tyszkiewicz (1887-1962) da lì avrebbero dovuto partire per una lungamente meditata missione in Georgia, terra di antica cristianità che si pensava fosse diventata nuovamente accessibile al cattolicesimo dopo la rivoluzione; di fatto il progetto si rivelò irrealizzabile perché, nel frattempo, il potere sovietico era arrivato sin lì. Privato dei suoi progetti, padre Baille, uomo di grande carità, non rimase senza lavoro; fu colpito soprattutto dalla tragedia dei bambini e ragazzi russi che si aggiravano per le vie della città e dei suoi sobborghi, letteralmente in balia di qualsiasi malintenzionato. Padre Baille prese così rapidamente la decisione di fare un pensionato «aperto a ragazzini dai 7 ai 16 anni che la condizione della loro famiglia chiama a ricevere l’insegnamento secondario»2. Con l’aiuto e il sostegno di varie personalità e istituzioni, il pensionato fu ufficialmente aperto ai primi di aprile del 1921 e dedicato a san Giorgio, dal nome del collegio dei padri Lazzaristi che divenne la sua prima sede. Iniziava così una storia che sarebbe durata più di ottant’anni. Le condizioni in cui il Saint-Georges dovette muovere i primi passi erano molto precarie: iniziò l’attività con una ventina di studenti (ma in giugno erano già diventati una trentina e poco dopo avevano superato la quarantina3) e la più totale mancanza di mezzi. I problemi per la vita del SaintGeorges però non venivano solo dalle que-

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stioni economiche: i pericoli nascevano in particolare dalla situazione politica turca. La Turchia era nel pieno dei cambiamenti che avrebbero portato alla nascita di uno Stato moderno: era in corso la guerra contro la Grecia e Mustafa Kemal stava per diventare presidente della nuova repubblica turca; inoltre i sovietici, in cambio del suo riconoscimento, avevano probabilmente chiesto qualcosa in relazione ai troppi russi che ancora stazionavano a Costantinopoli. Comunque sia, padre Baille ritenne opportuno non farsi sorprendere dagli avvenimenti e si mise a cercare una sistemazione diversa per il SaintGeorges. L’ipotesi francese dovette essere subito scartata a causa delle difficili condizioni economiche che la Francia attraversava allora e soprattutto perché i gesuiti temevano che il governo francese, in base a una serie di leggi antireligiose prebelliche, potesse essere tentato di espellere le congregazioni religiose come era già successo in passato. Uno spiraglio si aprì grazie a un sacerdote della diocesi belga di Namur che era stato mandato a Costantinopoli dal cardinal Mercier; quest’ultimo, nel quadro della complessiva crescita di attenzione della Chiesa cattolica nei confronti della Chiesa russa, aveva già iniziato ad aiutare gli emigrati russi arrivati in Belgio e capì subito che il Saint-Georges andava nella sua stessa direzione. La questione fu allora risolta con grande rapidità: così il 10 marzo 1923 la gente del Foyer, dopo un viaggio non privo di stenti e di difficoltà impreviste, veniva accolta da una fanfara militare alla stazione della cittadina belga.

2. A. Elens – F. Rouleau, Un collège jésuite pour les russes. Saint-Georges. De Constantinople à Meudon 1921-1992, Meudon 1993, p. 9. D’ora in avanti citeremo questo testo come Saint-Georges. 3. Alla fine del soggiorno costantinopolitano si sarà superata la cinquantina di allievi. Tra i vari nomi che figurano negli elenchi di questo primo periodo, vi sono quelli di diversi nobili e di almeno un principe (N. Bagration-Davidov).

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Namur (1923-1940) A Namur, la preoccupazione principale era quella di conservare nei ragazzi la coscienza delle loro radici. Uno dei segni di questo marcato legame con le tradizioni russe fu l’adozione del rito orientale da parte di padre Aleksandr Sipjagin (1875-1941), direttore dell’internato: una decisione che poteva essere letta come una manifestazione di proselitismo, ma che i padri, come vedremo, vollero mantenere lungo tutta la storia del Foyer e che seppero ben spiegare. Intanto, nel 1924 il Saint-Georges riceveva la benedizione di Pio XI, gesto che confermò la bontà di un cammino ormai collaudato. Negli anni seguenti, dopo la morte di padre Baille nel 1925, si succedettero diversi amministratori, tra l’altro anche per mettere riparo al disordine economico delle origini; in particolare nel 1928 padre Sipjagin venne sostituito da padre Paul de Cuyper (1894-1971) che sarebbe rimasto direttore del Foyer fino al 1936, riuscendo nel compito amministrativo che gli era stato affidato, senza pretendere invece di intervenire nella questione dei rapporti tra cattolici e ortodossi, allora tutt’altro che definita dal punto di vista canonico: in questo ambito non pretese di risolvere grandi questioni ecumeniche, ma diede ai ragazzi che gli erano stati affidati la possibilità di vivere la loro fede. Padre de Cuyper, del resto, non parlava il russo, ma ebbe un valido sostegno da un altro sacerdote arrivato a Namur nel 1930, padre Viktor Richter (1899-1976) un russo autentico, ex marinaio della flotta imperiale, un uomo dalla pietà così profonda e sincera

che seppe superare la grande diffidenza con cui venne accolto al Foyer. Il clima tra ortodossi e cattolici era in genere molto buono, ma padre Viktor introdusse un elemento inatteso: si trattava di un ortodosso che non solo si era convertito al cattolicesimo, ma era addirittura diventato sacerdote cattolico; il disagio iniziale fu sensibile, ma le qualità umane e il clima che era stato creato lo fecero rapidamente sparire. Ogni diffidenza fu superata anche nel caso di un’altra presenza caratteristica della Namur di quegli anni, quella di padre Dmitrij Kuz’min-Karavaev (1886-1959)4, col suo comportamento disinvolto e pittoresco, frutto di una storia personale fuori del comune, ma anche con la sua incredibile capacità di essere «un testimone prezioso dell’antica Russia»5. Un altro contributo per l’approfondimento del legame con le tradizioni russe venne poi dato dall’arrivo a Namur, con funzioni di direttore, di padre Paul Mailleux (1905-1983). Si era ormai nel 1937 e si stava avvicinando la nuova guerra che avrebbe costretto i ragazzi del Foyer e i padri ad un nuovo spostamento: il fatto che la maggior parte degli ospiti del Saint-Georges venisse da famiglie che abitavano a Parigi o nei suoi dintorni spinse, infatti, i padri a trasferirsi in Francia, dando così inizio ad un nuovo capitolo nella storia della loro istituzione.

Parigi (1940-1946) A Parigi, nonostante la guerra e le sue sof-

4. Da giovane era stato il primo marito di Elizaveta Pilenko, la futura madre Marija, cfr. p. 42. 5. Saint-Georges, p. 20.

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ferenze6, non fu difficile trovare una sistemazione logistica passabile in immobili di proprietà della Compagnia, e una ancor più favorevole soluzione per gli studi (i ragazzi poterono continuarli sistemandosi in diversi collegi parigini). Il Saint-Georges ebbe inoltre un’ottima accoglienza da parte delle altre istituzioni russe già presenti in città, come l’Istituto Saint-Serge7. La qualità della educazione impartita e in genere il tipo di formazione che i padri riuscivano ad offrire non fece che accrescere le simpatie nei confronti del Saint-Georges e così il numero dei suoi ospiti aumentò vertiginosamente, e nel 1944 si dovette aprire anche una sezione femminile 8 , vicenda nella quale svolse un ruolo decisivo padre Philippe de Régis (1897-1954), un personaggio che era apparso al SaintGeorges nel 1943, quando aveva momentaneamente sostituito padre Mailleux, e che poi sarebbe di nuovo tornato a Roma dove era stato rettore del Russicum: un soggiorno brevissimo, dunque, ma capace di dare un ulteriore, decisivo impulso al metodo educativo che i padri del SaintGeorges avevano ormai adottato. Non si

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trattava tanto dei metodi spiccioli9, quanto dell’essenza della questione; secondo una sua espressione, padre de Régis voleva innanzitutto formare dei «buoni ortodossi»10, trattava i ragazzi russi che gli erano stati affidati come avrebbe voluto che fosse trattato qualsiasi altro suo figlio spirituale: non gli si doveva inventare una nuova fede, ma dargli tutti gli strumenti per far crescere la sua. Diversi anni più tardi, un ex alunno del Saint-Georges avrebbe così descritto questo modo di intendere l’educazione e chi lo praticava: «Era una razza di uomini che avevano scelto una Fedeltà e che ci rispettavano per il fatto di averne una nostra, informe magari e ancora nulla più che potenziale. […] Furono i primi a farmi capire che se la Verità Assoluta esiste – ed esiste di sicuro – è una questione che riguarda personalmente ciascuno di noi, e tutto il resto è relativo. E mi fecero capire che se non si rispettano le regole del gioco, si gioca comunque a un altro gioco, le cui regole sono ben più complesse, vaghe, e dove la terra ti sfugge sotto i piedi»11. Anche questo tipo di atteggiamento dovet-

6. Anche il Saint-Georges ne fu investito e uno dei suoi ragazzi, un diciannovenne che partecipava al movimento partigiano, venne fucilato pochi giorni prima della liberazione di Parigi. 7. Istituzione attorno alla quale gravitavano tutti i maggiori filosofi e teologi ortodossi russi presenti a Parigi, l’Istituto di teologia ortodossa Saint-Serge (che era stato fondato nel 1924 e aperto il 30 aprile 1925) avrà sempre un ottimo rapporto con il Foyer, tant’è che non pochi dei suoi futuri professori troveranno ospitalità al Saint-Georges durante i loro studi o addirittura vi saranno formati. 8. Si tratta dell’Institut Sainte-Olga, che continuerà le sue attività fino al 1970 e che venne aperto appunto dietro le fortissime insistenze delle famiglie che volevano trovare qualcosa di simile al Saint-Georges anche per le loro figlie (cfr. SaintGeorges, pp. 61-75). 9. Stimatissimo padre spirituale, de Régis non aveva invece nessuna pratica di adolescenti e quando c’era qualche mancanza disciplinare da correggere il massimo di rigore che riusciva ad immaginare era quello di invitare il responsabile a fare una visita alla cappella. 10. Cfr. Saint-Georges, p. 26. 11. A. Koltchak, Retour sur Saint-Georges. Par un ancien élève, in Saint-Georges, pp. 100-101. Per avere un’idea di quale fosse l’impatto umano prodotto dalla testimonianza dei padri del Saint-Georges, può essere utile ricordare un episodio relativo a padre de Régis (che tra l’altro era stato padre spirituale del beato Teodor Romˇa prima che questo divenisse vescovo); trasferitosi come missionario in Argentina verso la fine degli anni ‘40, vi aveva dato prova di una carità così profonda (sino a donare dei brandelli di pelle per un trapianto ad una giovane russa che si era gravemente ustionata) che si era guadagnata la stima di tutta la comunità russa sud-americana. Così, quando morì, di leucemia, nel 1954 avvenne qualcosa di totalmente inatteso e insolito, non solo per quei tempi: «le esequie di padre de Régis vennero

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te amplificare le simpatie della comunità russa per il Foyer e far aumentare ancora il numero delle richieste di iscrizione, tanto che alla fine della guerra i padri, per assenza di spazio, furono costretti ad un nuovo spostamento, l’ultimo.

Meudon (1946-1970) Grazie allo spirito di iniziativa di padre Mailleux, il Foyer trovò la sua sistemazione definitiva a Meudon, tra Parigi e Versailles, nel «Potager du Dauphin», ex residenza di un drammaturgo di successo morto nel 1930, Georges de Porto-Riche. Dopo l’acquisto dell’immobile e del grande parco che lo circondava, si decise di non far frequentare ai ragazzi le scuole pubbliche ma di aprire corsi nello stesso Foyer, tanto più che la qualità della vita offerta dall’internato aveva cominciato ad attirare nuove iscrizioni, provenienti persino dagli stessi abitanti di Meudon. Per questo ulteriore ampliamento delle attività si dovettero trovare anche nuovi professori e nuovi collaboratori, in particolare ai padri Serge Obolenskij12 (1909-1992), André Sterpin (1923-2002) e Alexis Strycek (1916) venne affidata la cura di una prerogativa molto prestigiosa del Saint-Georges, l’insegnamento della lingua russa. La cura e il rigore che vennero posti nell’insegnamento della lingua spinsero ad

incrementare anche un altro settore che divenne poi fondamentale nella vita del Saint-Georges a Meudon: la biblioteca. Quest’opera venne portata avanti progressivamente, con una serie successiva di acquisizioni e di donazioni che culmineranno, all’inizio degli anni ‘80, nell’unificazione con la Biblioteca Slava, ciò che innalzerà il valore del patrimonio librario del Foyer a livelli di assoluta eccellenza. Accanto alla cultura e oltre alle vacanze estive, nel quadro di un’attività educativa che non conosceva momenti di interruzione e durava ventiquattr’ore su ventiquattro, i padri curarono molto anche altri tipi di attività, dal canto, alla danza, al teatro, alla pittura; se in tutti questi settori si ebbero buoni risultati, va detto però che il campo più duraturo e proficuo fu quello iconografico, che ebbe la sua anima in padre Egon Sendler (1923), il cui atelier cominciò a funzionare regolarmente a partire dal 1963, prima con la pittura della cappella e poi con tutta una serie di corsi che in seguito approdarono anche all’estero13. Tutte queste iniziative, comunque, avevano come unico scopo quello di rendere sempre più preciso e profondo l’impegno educativo, con la sua continua attenzione alla tradizione russa alla quale erano legati gli ospiti del Saint-Georges e, quindi, con la sua inevitabile dimensione ecumenica; sullo sfondo di tutto va dunque ricordata anche la ricca e intensa vita religiosa, con il catechismo, che con il passare

celebrate una domenica mattina, nella chiesa che lui stesso aveva inaugurato. Nel rito bizantino, le rubriche prescrivono che durante i funerali di un sacerdote quattro dei suoi confratelli ne portino il corpo in processione attorno alla chiesa. Dei sacerdoti ortodossi di Buenos Aires si unirono allora ai sacerdoti cattolici per offrire a padre Philippe quest’ultimo segno di affezione fraterna. In quel momento caddero le barriere secolari che impediscono ai sacerdoti delle due confessioni di offrire insieme a Dio la preghiera pubblica della Chiesa. Attorno a padre de Régis l’unione era cosa fatta» (Saint-Georges, p. 160). 12. Di famiglia principesca, pronipote di Tolstoj, personaggio pittoresco e di grande umanità, dalla metà degli anni ‘70 visse prevalentemente in Italia, insegnando a Roma e d’estate a Seriate ai corsi di «Russia Cristiana». 13. In particolare va qui ricordato il caso italiano e della scuola iconografica nata dai suoi corsi a Seriate.

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degli anni diventa propriamente ortodosso, e con la celebrazione della divina liturgia, che viene affidata, in ambienti rigorosamente distinti ma non lontani tra loro, a sacerdoti cattolici di rito orientale e a sacerdoti ortodossi. Certo l’atteggiamento ecumenico dei gesuiti di Meudon era ben più avanzato di quello corrente, e fu proprio questa grande apertura ecumenica, insieme all’amore per la Russia e per la sua Chiesa, ciò che permise al Foyer di far fronte con successo a tutte le difficoltà, e poi ai nuovi cambiamenti imposti dall’evolvere della situazione. Per quel che concerne i cambiamenti imposti dalle circostanze bisogna osservare che col passare degli anni, la vecchia emigrazione russa si integrava sempre più con l’ambiente francese e un internato russo diventava sempre meno sostenibile; d’altro canto l’ondata quasi rivoluzionaria del 1968, con le nuove leggi scolastiche, mise in crisi molte istituzioni educative di vecchio stampo e rese praticamente impossibile la sopravvivenza di istituti di piccole dimensioni. Tutti questi elementi non fecero che dare un impulso decisivo a un percorso che avrebbe portato a sviluppare in maniera diversa la vocazione originaria a servire la Russia: adesso che gli emigrati si erano in qualche maniera sistemati dal punto di vista materiale, si trattava di concentrare tutte le energie per cercare di rendere sempre più familiari le due culture, un’impresa che i padri avevano già iniziato sin dal 1961, quando avevano fondato, accanto al Foyer, un’associazione denominata «Plamja» (La Fiamma), che avrebbe immediatamente iniziato a pubblicare un

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bollettino e poi una rivista per favorire una reciproca conoscenza e una più profonda solidarietà tra Oriente e Occidente cristiano. Potevano cambiare le forme, ma la sostanza restava la stessa, definita ancora nel 1954 da padre Mailleux quando, in un incontro di ex alunni aveva indicato in tre motivi fondamentali le ragioni dell’impegno del Saint-Georges. Innanzitutto si trattava di una fedeltà al compito educativo che costituisce un aspetto essenziale nella storia della Compagnia di Gesù e che, nella sua tensione a tener desta «la nostalgia di un mondo migliore» è «uno dei compiti più importanti e fecondi che esistano»14. In secondo luogo, offrire quest’opera nell’ambito specifico dell’emigrazione russa e della sua cultura non era altro che saldare un debito di riconoscenza per l’ospitalità che la Russia aveva offerto alla Compagnia quando questa era stata sciolta alla fine del XVIII secolo. Da ultimo, si trattava di rendersi conto che «la Russia non è evidentemente un paese di missione nel quale bisogna ancora introdurre ex novo il cristianesimo»15, ma possiede una tradizione religiosa «necessaria alla Chiesa perché essa possa meglio rappresentare, nel suo contenuto umano, l’equilibrio delle culture di cui è fatta la razza umana»16. In questo senso, educarne i figli non significava altro che restituire loro questa stessa ricchezza di cui le vicende storiche li avevano privati e che costituiva una grazia per la Chiesa in quanto tale; l’opera del Saint-Georges si qualificava così in maniera sempre più netta come un’opera propriamente ecumenica e culturale.

14. Cfr. P. Mailleux, Pourquoi Saint-Georges? Allocution prononcée au Banquet des Anciens en juin 1954, in Saint-Georges, pp. 141-144. 15. P. Mailleux, Devant la Russie, in Saint-Georges, p. 131. 16. Ibid., p. 132.

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Centre d’Études Russes (1970-2002) L’ultimo passo della storia del SaintGeorges, la sua trasformazione da internato a Centro di Studi, avvenne dunque alla fine degli anni ‘60, ma fu ufficializzata solo nel 1972. Per quel che concerne la struttura organizzativa e il tipo di impegno, mutò solo la forma, mentre la sostanza rimase la stessa: i corsi non si rivolgevano più a degli adolescenti in massima parte russi, ma a studenti o adulti, in genere non russi, che venivano attirati un po’ da tutte le parti della Francia e anche dall’estero, per l’altissimo livello. Essendo rivolti a un pubblico composito, questi corsi non potevano avere le peculiarità religiose che i padri avrebbero desiderato, ma anche in questo caso si cercò di trovare una soluzione che permettesse di non allontanarsi troppo dall’ispirazione delle origini e la si trovò grazie alla sorta di supplenza che poteva essere offerta in questo campo dai corsi e dall’atelier permanente17 di iconografia. Qui l’aspetto religioso si imponeva dall’interno senza alcuna forzatura, perché era impossibile insegnare la tecnica dell’icona senza un approfondimento dell’estetica e della teologia; questo permetteva di conservare la dimensione di integralità che aveva sempre accompagnato il concetto di educazione del Saint-Georges. Non ci si può nascondere che questa soluzione fu un ripiego; forse in un primo tempo fu sufficiente a non perdere di vista lo spirito delle origini, ma alla fine quell’aspetto di coinvolgimento totale della vita che aveva costituito la specificità e il van-

to del Saint-Georges restò patrimonio dell’ultima generazione di sacerdoti, senza trovare le modalità adeguate per essere ulteriormente trasmesso. Questo limite, cui è legata in parte la fine del Foyer, fu probabilmente avvertito dagli stessi protagonisti, ma non in maniera così urgente, dato che proprio in quegli anni il centro sperimentò un’incredibile fioritura di realizzazioni. Infatti l’aspetto culturale della tradizione russa e il suo carattere onnicomprensivo vennero approfonditi grazie all’arrivo a Meudon di nuove forze, tra le quali padre François Rouleau (1919), grande studioso della filosofia russa, e padre René Marichal (1929), che arrivò al Centro nel 1973 come direttore della Biblioteca Slava e che qualche anno dopo, nel 1982, la portò addirittura fisicamente con sé, con una decisione che fece nascere un polo bibliotecario di grande valore (con più di 100.000 volumi e altrettanti reperti di archivio) e che diede inoltre ulteriori strumenti al Centro per esprimersi e per realizzare la propria vocazione: i fondi della biblioteca attirarono studiosi in numero sempre più grande e divennero una delle fonti per le attività culturali del Foyer che, oltre a «Plamja», dal 1979 aveva iniziato a pubblicare una seconda rivista (in russo questa volta), «Simvol» (Il Simbolo) e i cui responsabili proseguivano un’intensa attività di ricerca che portava anch’essa a pubblicazioni di grande importanza e novità. «Plamja», pubblicata sempre in francese, sarà destinata a un pubblico occidentale, nasce nel 1961 e chiude le sue attività nel 2002 con il n. 105. Inizialmente si presenta come un bollettino ciclostilato di pochi fogli, ma questa veste tipografica minima-

17. Funzionava in certi momenti anche tre giorni alla settimana, costituendo un inevitabile richiamo per chiunque passasse da Meudon.

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le non fa che mettere maggiormente in luce il livello culturale della rivista che, nei suoi quarant’anni di vita, finirà per costituire un sicuro punto di riferimento per l’autorevolezza dei pensatori e per il valore dei loro contributi. In qualche caso «Plamja» avrà addirittura il privilegio di presentare in anteprima, a puntate, alcuni testi ancora in fase di elaborazione, che poi nei loro rispettivi campi costituiranno delle vere e proprie pietre miliari; basti ricordare in questo senso alcuni lavori di Egon Sendler18 sull’iconografia, di Vsevolod Rochcau19 su san Serafino di Sarov, di Alain Besançon20 sul pensiero russo e di Martin Malia 21 sulla rivoluzione d’ottobre. Pensata per un pubblico russo, e come tale scritta in russo, «Simvol» nasce nel 1979 22, su esplicita richiesta di un gruppo di credenti russi raccolti attorno alla figura di padre Aleksandr Men’ e preoccupati di fornire uno strumento adeguato per approfondire la cultura cristiana in un mondo oppresso da un radicale martellamento totalitario. «Simvol» si presenta con una veste tipograficamente più curata, con una struttura monotematica 23 affiancata da rubriche più o meno fisse24 e caratterizzata dalla presenza costante di un editoriale. Anche dal punto di vista del contenuto la

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rivista si presenta con dei tratti più marcatamente accademici e con il programma esplicito di rendere accessibili al lettore russo le riflessioni più espressive della tradizione teologica occidentale, nonché le testimonianze più significative della vita ecclesiale, accompagnate dai contributi più originali della tradizione russa. Questo fervore di iniziative e di attività non venne certo diminuito dalla caduta del comunismo; anzi le nuove condizioni di libertà venute a crearsi in Russia dopo la perestrojka consentirono al Saint-Georges di sviluppare ulteriormente la propria vocazione a essere un ponte o una finestra aperta tra due mondi: Meudon divenne sempre più un luogo di produzione culturale, di incontro e di ospitalità per studiosi e per semplici cristiani finché, abbastanza inattesa e contrastata (ci fu anche una protesta della famosa storica francese H. Carrère d’Encausse ), nel 2002 giunse la decisione della Compagnia di chiudere il Centro e di trasferire la Biblioteca Slava a Lione25: nelle mutate condizioni politiche, si disse, la Chiesa cattolica aveva già sufficienti possibilità di continuare la propria attività in Russia. Finiva così, in maniera sorprendente come era nata e dopo più di ottant’anni di esi-

18. E. Sendler, L’Icône, image de l’invisible. Eléments de théologie, esthétique et technique, Parigi 1981; Les icônes byzantines de la Mère de Dieu, Parigi 1992 e Les mystères du Christ. Les icônes de la liturgie, Parigi 2001. 19. V. Rochcau, Saint Seraphim. Sarov et Diveyevo. Etudes et documents, Begrolles-en-Mauges 1987. 20. A. Besançon, La falsification du Bien. Soloviev et Orwell, Parigi 1985. 21. M. Malia, Comprendre la Révolution russe, Parigi 1980. 22. Dopo un’esistenza più che ventennale, «Simvol» non ha seguito il destino di «Plamja» e prosegue attualmente le sue pubblicazioni, avvicinandosi ormai al n. 50. 23. Nel corso degli anni vengono affrontate praticamente tutte le tematiche della vita e della teologia cristiana. Accanto ai numeri dedicati prevalentemente a un tema, vi sono poi numeri dedicati a personaggi e numeri dedicati interamente all’edizione di opere particolarmente significative, che si tratti delle encicliche di Giovanni Paolo II, o di testi di grandi pensatori o ancora di grandi opere della tradizione cristiana o di autori russi. 24. In particolare vanno segnalati i cosiddetti Archivi della Biblioteca Slava e le rubriche sulla Storia del Pensiero Sociale e Religioso Russo, sulla Bibbia e sulla Patristica. 25. Attualmente la Biblioteca Slava è stata affidata in deposito per cinquant’anni all’Ecole Normale Supérieure – Lettres et Sciences Humaines di Lione, ma il fondo di letteratura e arte russa è collocato presso la Biblioteca municipale di Lione.

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stenza, una delle più significative esperienze educative di carattere ecumenico del XX secolo, un’esperienza non progettata né pianificata, ma generata da una semplice volontà di servizio, il cui retaggio è la scoperta di un’occasione di unità là dove tutto sembrava negarla. I padri del Saint-Georges, fra mille incertezze e con una progressiva maturazione, avevano scoperto che per offrire veramente un servizio ai ragazzi russi che avevano incontrato dovevano «innanzitutto radicarli nella loro propria fede, nel loro proprio modo di

pregare, perché non era certo sradicandoli un po’ di più che li avrebbero resi migliori cristiani»26, anzi, conoscere meglio l’ortodossia e le sue ricchezze sarebbe stato per ciascuno un modo «per superare i particolarismi e approfondire la propria fede». In questo modo, alla fine della storia del Saint-Georges, i gesuiti non avevano certo risolto il problema ecumenico, ma avevano vissuto un’autentica esperienza di unità, come è testimoniato del resto dall’enorme produzione culturale che è l’altro aspetto inseparabile del loro retaggio.

26. Saint-Georges, pp. 58-59.

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