Casa Botkin

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Casa Botkin, luogo di incontri ieri e oggi Natal’ja Sorokina Il 19 novembre 2004 in via Pokrovka 27, nelle sale dell’ex «casa Botkin», è stata inaugurata la nuova sede del Centro Culturale «Biblioteca dello Spirito», un singolare progetto di incontro fra le tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente. Ripercorrendo la storia di questo edificio e dei suoi abitanti si coglie il legame simbolico con l’orientamento ideale della «Biblioteca dello Spirito». Già un secolo fa la patriarcale famiglia dei mercanti Botkin aveva cercato di avvicinare le culture della Russia e dell’Europa occidentale. Proseguendo in questo solco, il Centro si propone oggi di usare i suoi locali come «luogo di incontro fra culture, tradizioni e concezioni del mondo».

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EL 1867 l’attuale palazzi-

na in via Pokrovka 27 venne acquistata da Dmitrij Petrovicˇ Botkin (18291889), appartenente a uno dei più noti casati mercantili della Russia del XIX-XX secolo, collezionista di pittura e grafica occidentale, presidente della Società moscovita degli appassionati d’arte, membro della Società artistica moscovita, membro onorario dell’Accademia di belle arti di Pietroburgo. I membri della famiglia Botkin occupavano posti di rilievo non solo nell’attività produttiva e commerciale di Mosca e Pietroburgo, ma anche negli ambienti culturali ed intellettuali delle capitali.

Il capostipite, Pëtr Kononovicˇ Botkin (17811853), discendente da artigiani di Toropec, all’inizio del XIX secolo fondò a Mosca una ditta che commerciava nel tè e ben presto si fece una posizione, divenendo uno degli uomini più ricchi della città; il memorialista P.A. Burysˇkin1 lo definì addirittura un «pioniere nel commercio del tè in Russia». Pëtr Botkin non aveva ricevuto alcuna istruzione e aveva un carattere violento, duro, ma aveva anche una spiccata intelligenza e, come molti rappresentanti del ceto mercantile, era attratto dalla cultura. I suoi figli (nove maschi e cinque femmine, avuti da due mogli morte entrambe in giovane età, a 35 anni) ricevettero un’ottima educazione. Il figlio maggiore, Vasilij Petrovicˇ (1811-1869), intorno al 1830-1850 divenne un noto pubblicista e critico letterario, entrando a far parte di un circolo famoso a quel tempo per

1. Autore dell’opera Moskva kupecˇeskaja (La Mosca mercantile), Mosca 1990.

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Sopra: l’inaugurazione della «Biblioteca dello spirito» nel novembre 2004. A destra, i figli di P. Botkin in una foto della metà dell’800. Davanti, da sinistra: Pëtr, Marija, Sergej, Ekaterina, Michail. Dietro: Dmitrij, Pavel, Vladimir, Nikolaj.

i suoi orientamenti filo-occidentali, i cui leader erano Stankevicˇ e Granovskij. Tra i suoi amici figuravano Turgenev, Tol stoj, Belinskij, Nekrasov, Herzen. Il secondogenito, Nikolaj Petrovicˇ, era un brillante esperto d’arte e di letteratura, mecenate e amico di Gogol’ e del pittore Aleksandr Ivanov. Tuttavia i suoi interessi letterari non lo esimevano dal quotidiano lavoro – dalle dieci alle sei di sera – nella rivendita paterna. Dalla prima moglie di Pëtr Kononovicˇ,

Aleksandra Baranova, nacquero anche Ivan, Aleksandra e Varvara. Nel 1825 Pëtr sposò Anna Posnikova (anch’essa come la prima moglie appartenente a una famiglia di mercanti), che diede alla luce Pavel, Dmitrij (il 12 settembre 1829), Pëtr,

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Sergej, Vladimir, Michail, Ekaterina, Marija, Anna. Michail Petrovicˇ fu artista e critico d’arte, accademico e proprietario di una preziosissima collezione comprendente antichi vasi dipinti, statuette di terracotta, maschere, maioliche italiane del XV-XVII secolo, sculture lignee dell’epoca del Rinascimento italiano, opere in avorio, una notevole raccolta di porcellane dipinte russe, e inoltre studi e bozzetti per il quadro di Ivanov «Apparizione di Cristo al popolo». Sergej Petrovicˇ, infine, fu un grande medico, fondatore della scuola clinica russa. La sua dimora pietroburghese, così come la casa dei Botkin nel vicolo Petroverigovskij a Mosca, divenne un importante centro di cultura. Fu proprio l’ambiente culturale della casa paterna (dove si recavano in visita dal fratello maggiore celebri scrittori, artisti, attori), oltre all’influsso dello stesso Vasilij, a plasmare gli interessi di Dmitrij. Lo scrittore e critico d’arte Grigorovicˇ, di casa dai Botkin, sottolineava l’influsso esercitato da Vasilij sull’educazione dei fratelli e sorelle minori: «In famiglia non godeva soltanto dei diritti di fratello maggiore, ma anche di guida nell’educazione dei restanti membri della famiglia... Intelligente, acuto, dotato di un gusto raffinato e di una vasta cultura, arricchito dal contatto con uomini colti e geniali… contribuì per molti aspetti allo sviluppo mentale dei fratelli, incitandoli a studiare». La stessa cosa ripete anche il poeta Fet, che aveva sposato una delle sorelle Botkin, Marija: «Neppure alla persona più distratta poteva passare inosservato l’influsso che Vasilij Petrovicˇ invisibilmente esercitava su quanti gli stavano intorno. Era evidente che tutti erano soggiogati dalla sua autorità morale e cercavano in tutti i modi di evitare le brusche osservazioni che egli non lesinava a familiari ed amici. Inoltre, grazie all’autorevolezza che godeva presso il padre, Vasilij riuscì a far frequentare a qualcuno dei fratelli l’univer22

sità, mentre per le sorelle assunse a proprie spese degli insegnanti per le materie che egli reputava necessario conoscere…».

La passione per l’arte Dmitrij Petrovicˇ studiò in un istituto modello per quell’epoca, il pensionato del pastore Ennes, molto qualificato per lo studio del francese e del tedesco. Al termine degli studi, poiché era tra i figli maggiori, per desiderio del padre entrò subito nell’impresa familiare e non poté quindi frequentare l’università. Anzi, almeno nei primi anni, dovette soggiornare frequentemente in Siberia e a Kjachta (ai confini con la Mongolia) per seguire le operazioni di trasporto del tè. Grazie all’oculata conduzione, la ditta (che alla morte del padre passò ai figli maggiori di entrambi i matrimoni, vale a dire Vasilij e Nikolaj, e Dmitrij e Pëtr, finché quest’ultimo non la rilevò interamente) dava ottimi profitti che permettevano a Dmitrij di soddisfare la sua passione per il collezionismo, mentre la sua conoscenza delle lingue lo aiutava a instaurare contatti con artisti e critici d’arte dell’Europa occidentale. Proprio lui, forse, più di tutti gli altri fratelli, ereditò le doti commerciali e organizzative del padre, e nell’azienda si assunse la direzione dell’amministrazione e della contabilità, lasciando a Pëtr la compravendita. Non soffriva di non aver potuto ricevere un’istruzione superiore. Il gusto estetico di cui era dotato per natura gli consentiva non solo «di essere un eccellente contabile, ma di scrivere lettere corrette e vivaci e di esprimersi con eloquenza», annoterà ancora Afanasij Fet. Vasilij, infatti, aveva saputo inculcare nei fratelli anche una vera e propria passione per la pittura e la bellezza in genere. Il primo quadro di cui Dmitrij entrò in possesso, «Aia di

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Opere d’arte italiana dei secoli XV-XVII conservate nella collezione di M. Botkin, inizio ‘900.

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fattoria in Normandia» di Levecq, gli venne per l’appunto donato dal fratello maggiore. Ascoltando i racconti di Vasilij e Nikolaj sui musei e le esposizioni d’arte che questi avevano visitato in Italia, Francia e Spagna, e successivamente visitandoli lui stesso, anche Dmitrij si appassionò alla pittura occidentale, accordando però le sue preferenze ai contemporanei più che agli autori del passato. Così avrebbe osservato Burysˇkin: «Il collezionismo della famiglia Botkin aveva una peculiarità che non si può ignorare: tutte le sue simpatie e tendenze erano cosmopolite e rivolte verso l’Europa occidentale, senza alcun elemento di populismo o di predilezione per l’arte russa. Tutti i quadri collezionati da Vasilij e Dmitrij Botkin erano di autori stranieri… In questo senso, nel suo peculiare “occidentalismo” la famiglia Botkin occupa un posto speciale nell’ambiente moscovita, dove la predilezione per l’elemento nazionale era abbastanza forte». Pur prediligendo la scuola francese, Dmitrij Petrovicˇ acquisì anche quadri tedeschi, spagnoli, italiani ecc. Nella sua collezione era ben rappresentata, in particolare, la Scuola di Barbizon: Rousseau, Corot, Daubigny, Millet, Troyon, Breton, Jerome, Dupré, Meyerson, Diaz. Nella collezione figuravano anche opere di altri pittori francesi, tra cui Courbet, Degas, Rosa Bonner, Isabey, oltre che di autori tedeschi e appartenenti alle scuole viennese, spagnola, italiana. Tra le acquisizioni più rilevanti di Dmitrij Petrovicˇ possiamo citare alcune opere di Delaroche (ad esempio la tela «I figli del re Edoardo IV», 1852, attualmente al Museo Pusˇkin di Mosca, che costituisce una variazione dell’omonimo quadro del 1831, appartenente al Louvre) e Meissonier. Sempre al Museo Pusˇkin si trova un altro quadro della collezione Botkin, «Cortile a Granada» (1871) di Mario Fortuni, successivamente ribattezzato «Cortiletto spagnolo». 24

L’amore di Dmitrij Petrovicˇ per la pittura occidentale non significava tuttavia che l’arte russa gli fosse estranea. «Era un mecenate nel senso migliore e più puro della parola – scriveva uno dei suoi contemporanei. – Credeva ardentemente nel futuro dell’arte nazionale e fece moltissimo, in questo senso, nel periodo in cui fu presidente della nostra Società moscovita degli appassionati d’arte, anche se le sue simpatie personali si riflettevano chiaramente nella scelta dei quadri che aveva in casa. Qui alle pareti figuravano pochi autori russi: Ivanov, Plokgorst, Perov e pressoché nessun altro». Pëtr Boborykin, un popolare scrittore che nel 1881 descrisse dettagliatamente la galleria Botkin, aggiunge che nello studio del collezionista, sopra la scrivania e nei posti più in vista erano appesi quadri di autori russi, ma con soggetti occidentali: «Il maestro di disegno» di Perov, «Veduta di Sorrento» di Sˇcˇedrin, «Bambina italiana» di Charlamov, una raffigurazione di un vecchio monaco italiano a firma di Botin, «I dintorni di Roma» e una variante dell’«Apparizione di Cristo» di Ivanov. Il collezionista apprezzava in modo particolare il quadro del suo amico Bogoljubov «Vascello inglese», che aveva acquistato nel 1882, e possedeva opere appartenenti al pennello di Polenov, Veresˇ cˇagin, Kramskoj, Ricconi. Nella sua attività di collezionista Dmitrij, come del resto i suoi fratelli, dimostrava una particolare intraprendenza e tenacia. Il fratello del pittore Veresˇ cˇagin ricorda di averlo incontrato a Pietroburgo nel 1874, a una personale di Vasilij Veresˇ cˇagin dedicata ai quadri di soggetto turkestano: «Un tipo alto, fulvo di capelli e con una barbetta corta, che probabilmente mi aveva riconosciuto per la somiglianza oppure era stato informato da un inserviente che ero il fratello dell’artista, mi si avvicinò e mi disse, in tono di supplica: “Signor mio, Aleksandr Vasil’evicˇ, pregate vostro fratello di dipingere anche per me una

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tale bellezza”, e mi indicò con il gesto della mano il quadro “La porta di Tamerlano”. Era il celebre appassionato d’arte Dmitrij Petrovicˇ Botkin. Come seppi in seguito, era stato il primo a contrattare con mio fratello la vendita in blocco dell’intera collezione per 85.000 rubli, ma poi un altro appassionato collezionista, Pavel Tret’jakov2 gliel’aveva strappata per 92.000 rubli». Sebbene Pavel e Dmitrij fossero imparentati per via di moglie, anche i vincoli familiari impallidivano e cedevano di fronte a un’opportunità del genere…

La nuova casa Fino al 1867 la collezione restò nella casa paterna, nel vicolo Petroverigovskij. Qui Dmitrij era l’anfitrione delle serate, come racconta ancora Fet, che frequentava la casa in qualità di fidanzato di Marija: «Generalmente veniva servito il tè, ma talvolta, quando ci fermavamo più a lungo si dava disposizione in cucina che ci portassero la cena, e Dmitrij Petrovicˇ, il più esuberante dei giovani Botkin e instancabile entusiasta del bello, offriva ai convitati lo champagne». Fet sarebbe stato anche il testimone dell’amore fra Dmitrij e la sedicenne Sof’ja Sergeevna Mazurina (1840-1889), «una graziosa biondina dalla sontuosa capigliatura», come la descrisse Fet incontrandola per la prima volta a un concerto. Le nozze furono celebrate il 16 gennaio 1859; la sposa apparteneva a una ricca famiglia mercantile, proprietaria delle manifatture Reutov. Anche i Mazurin erano noti collezionisti e amatori d’arte, imparentati con importanti famiglie di mer-

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canti e dell’aristocrazia russa. In Sof ’ja, Dmitrij trovò una sposa amorosa e sollecita, una fedele compagna che condivideva i suoi interessi e ideali. Il figlio Sergej nelle sue Memorie scrive: «I miei genitori vissero una vita familiare straordinariamente felice»3. Infine, Fet avrebbe cantato questo amore anche in un’ode dedicata alle nozze d’argento degli sposi, il 16 gennaio 1884 4. Per qualche tempo la giovane coppia rimase a vivere in un’ala laterale della casa nel vicolo Petroverigovskij, ma nel 1862 Dmitrij acquistò una nuova casa, per l’appunto in via Pokrovka 27, non lontano dalla casa paterna, e nel gennaio 1867 la famiglia vi si trasferì. Era una dimora della fine del XVIII secolo, appartenuta dapprima ai nobili Bulygin, poi al mercante straniero Dexidman e infine al banchiere e collezionista Mark. Oltre alla casa, Dmitrij Petrovicˇ rilevò anche la collezione di pittura messa in vendita da Mark, costretto a disfarsi dei suoi beni per far fronte a un fallimento. I giovani Botkin si innamorarono subito della nuova casa e non risparmiarono energie e mezzi finanziari per abbellirla e dotarla di ogni comodità. Affidarono la ristrutturazione dei locali all’architetto Kaminskij, autore del progetto della Galleria Tret’jakov. Il corpo principale dell’edificio venne interamente rinnovato all’interno e all’esterno in stile pseudorusso, perdendo così la facciata di stampo classicista con un portico sorretto da pilastrini corinzi. Le ali laterali erano state alzate fin quasi a livello del corpo centrale e collegate ad esso attraverso arcate fin dal 1830 circa, quando l’edificio apparteneva ancora a Dexidman. Con particolare ricchezza furono decorati i saloni, che successi-

2. Fondatore dell’attuale Galleria Statale Tret’jakov, il più importante museo d’arte russa. ndt 3. Le Memorie sono parzialmente pubblicate in B.F. Egorov, Botkiny (I Botkin), San Pietroburgo 2004, pp. 288-309. 4. B.F. Egorov, Botkiny, cit., pp. 127-128. Fet dedicò anche altre poesie alla famiglia Botkin, ad esempio in occasione della morte del figlio Mitja (a 9 anni) e della stessa Sof’ja Sergeevna.

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Sopra, nel riquadro, la facciata dell’edificio in un progetto del 1837. Sotto, la via Pokrovka in una fotografia precedente al 1917.

vamente avrebbero ospitato la quadreria. Così avrebbe ricordato il figlio Sergej: «La casa di via Pokrovka 27 con i due piani e il luminoso seminterrato era molto spaziosa, un vero e proprio “palazzo”. Nel cortile principale e nei due secondari sorgevano varie costruzioni adibite a ripostigli, scuderia, stalla, pollaio ecc. Non mi soffermerò a descrivere nei particolari la casa e le opere d’arte che c’erano all’interno, a memoria è impossibile: i soli quadri erano più di cento, per non parlare delle porcellane, dei bronzi e così via. La casa sulla Pokrovka non poteva non influire profondamente su di me, educandomi al gusto del bello sin dall’infanzia».

La casa di Dmitrij Petrovicˇ viene citata come luogo degno di essere visitato, alla pari dei musei di Mosca, nella guida turistica Baedeker e nel Compagno di viaggio del moscovita, del 1890; nel 1885 venne pubblicato un Album della galleria D.P. Botkin a Mosca, a cura di N. Aleksandrov, distribuito come strenna ai lettori della «Rivista d’arte». «Casa Botkin entrerà indubbiamente nella storia della Mosca colta della sua epoca – scrive nelle sue memorie Vera Charuzina5, che da piccola frequentava la casa sulla Pokrovka. – Ne ero affascinata fin da quando entravo in anticamera... ricordo ancora la zia che mi indica il camino piastrellato di

5. Vera Nikolaevna Charuzina (1866-1931), appartenente a una ricca famiglia mercantile, fu la prima donna docente di etnografia in Russia.

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I lavori di ristrutturazione dei locali prima del loro utilizzo come sede del centro culturale «Biblioteca dello Spirito».

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maiolica, con enormi vasi cinesi. Dopo esserci “riassettati”, salivamo lo scalone di marmo, coperto da un tappeto di velluto rosso. Ai piedi della scala c’era una statua di marmo su un piedistallo rotondo, raffigurante Esmeralda e la capretta. Un lato dello scalone era rivestito di arazzi. Attraversiamo poi la cosiddetta “sala d’attesa” – mi rincresceva sempre di non poter fermarmi a guardare in giro, tanto mi piacevano le tonalità scure, pacate di questa stanza, con il soffitto di legno intagliato. Si passava poi nella “sala di quercia”, dov’erano riuniti gli adulti... era la stanza preferita sia dai padroni di casa che dagli ospiti, dove si riceveva più frequentemente che non nell’attiguo salone di gala. Tutt’intorno al lungo tavolo, in mezzo alla stanza, c’erano pesanti sedie di quercia dagli alti e stretti schienali diritti, rivestite di pelle lavorata color rosso cupo, e le pareti erano tappezzate di quadri; la superficie della stanza era intersecata da scaffalature intagliate di legno scuro, perpendicolari alle pareti, che mi sembravano bellissime. Ricordo che la “sala di quercia” era illuminata da un’alta lampada abat-jour bianca e rossa in mezzo al tavolo... in questo modo la tavola era ben illuminata, mentre la stanza affondava nella penombra... e anche questo serviva a conferire una particolare intimità all’ambiente». Fet ci riferisce che gli arazzi dello scalone erano del XVIII secolo, eseguiti su disegno di Bouchet; Sof’ja Sergeevna li aveva ricevuti in eredità dalla madre. Anche Bobrykin nelle sue Lettere su Mosca ci lascia una descrizione particolareggiata degli interni della dimora: «La prima stanza, la sala d’attesa, era decorata con antiche statuette lignee tedesche e veneziane. Non ci si stancava di ammirare questa collezione, di gusto straordinario. I quadri erano appesi in tre sale: in

due saloni e nello studio del padrone di casa, rialzato di qualche gradino rispetto alle altre stanze e dotato di una grande “finestra all’italiana” che guardava su via Pokrovka. In quest’ultima stanza erano appese le opere più preziose del collezionista».

Una famiglia ospitale Dmitrij e Sof’ja ebbero quattro figli: la primogenita Elizaveta, quindi Pëtr, che continuò la tradizione familiare lavorando insieme allo zio nell’azienda; Sergej (1869-1945), che entrò in servizio al Ministero degli esteri e svolse missioni diplomatiche in Germania, Austria e a Costantinopoli, nel 1919 emigrò e morì a Parigi; infine Dmitrij (Mitja), che morì in tenera età. I coniugi erano molto ospitali, la loro casa era sempre aperta a parenti e amici: «La domenica Dmitrij Petrovicˇ aveva sempre ospiti a pranzo, d’inverno in via Pokrovka, d’estate nella sua dacˇa di Kuncevo. Nella sua casa di Mosca si svolgevano inoltre balli e feste in maschera. La famiglia di Dmitrij Petrovicˇ vantava una grande cordialità e ospitalità», rileverà nelle sue memorie Pëtr Ivanovicˇ Sˇ cˇukin, nipote dei Botkin. Gli abiti che padroni di casa e ospiti indossavano in queste occasioni erano spesso confezionati sulla base di descrizioni storiche, quadri o modelli forniti da musei. Leggiamo, ad esempio, che ad uno di questi balli «Vera Nikolaevna Tret’jakova6 partecipò insieme al fratello con un costume da ostjacˇka7, che aveva confezionato copiando un modello trovato nella sezione etnografica del Museo Rumjancev, e con una maschera che le copriva completa-

6. Moglie dell’amico-rivale collezionista Pavel Tret’jakov. ndt 7. Una tribù della Siberia occidentale.

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mente il viso; così non venne riconosciuta da nessuno, e poi cambiò il primo abito con un costume da Margherita di Valois». Anche Fet partecipò più volte a questi eventi: «In gennaio, per festeggiare l’inaugurazione della nuova casa, Dmitrij Petrovicˇ ha organizzato un ballo in maschera, in cui il costume era d’obbligo. Fortunatamente, un buon amico mi ha provvisto di un travestimento completo da beduino». Sono molti i memorialisti che riferiscono «quanta allegria ci fosse dai Botkin» nei decenni 1870-1880. Il figlio Sergej, elencando gli ospiti che frequentavano la casa, ricorda «i pranzi del mercoledì, a cui partecipava Fet. Anche il filosofo Vladimir Solov’ëv, quand’era a Mosca, il mercoledì pranzava quasi sempre da noi. In genere nascevano interessanti discussioni su temi letterari e filosofici. Quando si entrava in merito ad opere di Solov’ëv come La giustificazione del bene o La critica dei principi astratti, oppure quando il filosofo, traduttore di Schopenhauer, sviluppava le teorie di quest’ultimo, io rinunciavo a capirci qualcosa. Era invece un vero piacere, quando veniva da noi a pranzo I.F. Gorbunov, brillante narratore pietroburghese. I suoi racconti a tavola, talvolta un po’ spinti, davanti a un bicchierino di liquore, facevano sbellicare dalle risate giovani e meno giovani. Mio padre era amico di vecchia data di D.V. Grigorovicˇ, che nel 1875 stilò un catalogo della collezione di quadri di mio padre, con la descrizione di ogni singola opera. Tutto questo mondo letterario frequentava i miei genitori nei giorni feriali, in una cerchia più ristretta. Invece ai pranzi della domenica partecipavano venti o più invitati, e non si sapeva mai chi e quanti ospiti sarebbero arrivati… il pranzo generalmente era alle sei, ma i convitati non se ne andavano mai prima di mezzanotte… c’erano dottori, professori, artisti, esponenti del mondo forense, della nobiltà,

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insegnanti e così via». Mancavano invece rappresentanti del mondo del commercio e dell’industria. Erano assidui frequentatori dei pranzi domenicali A. Strekalova, nota per la sua attività assistenziale; il drammaturgo Tarnovskij; N. Mocˇalov, proprietario di una splendida collezione di acqueforti di Rembrandt, come pure il collezionista e mecenate K. Soldatenkov (della comunità dei vecchi credenti), le famiglie Sˇ cˇukin, Tret’jakov, Charuzin. Nel 1880 anche Lev Tolstoj si recò a visitare la collezione di Dmitrij Petrovicˇ. «La Mosca del tempo si appassionava ai concerti sinfonici e apprezzava sommamente il loro promotore, N.G. Rubinsˇtejn. Grande era anche la passione per l’opera italiana. In casa Botkin erano spesso ospiti sia Rubinsˇtejn che cantanti italiani, e noi sentivamo parlare di Arto de Padilla, Nicolini, Nilson e altri, come di persone invitate, che cantavano per i padroni di casa», come ricorda ancora Vera Charuzina. Tutto questo non impediva alla famiglia Botkin di osservare rigorosamente le tradizioni dell’ortodossia. Scrive ancora il figlio Sergej: «Sebbene i miei genitori viaggiassero molto all’estero, e soprattutto ricevessero molti ospiti, la vita in casa era molto patriarcale e tipicamente moscovita. Almeno una volta all’anno facevano ingresso in casa nostra le icone miracolose della Madre di Dio di Iver’ e del Salvatore, provenienti dalla cappella situata vicino alla chiesa di San Basilio. Una volta all’anno mia madre si recava in pellegrinaggio alla Lavra della Trinità di San Sergio. Talvolta, se la stagione era favorevole, andavamo al monastero di Chot’kovo. La sera tornavamo a casa portando con noi un’enorme quantità di prosfore». Sof ’ja Sergeevna inoltre faceva molta beneficenza, con grande discrezione e senza farsi notare. La Galleria Botkin rimase sempre privata, sebbene fosse aperta a tutti coloro che desi-

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deravano visitarla: «Gli amatori d’arte e i pittori dilettanti – annota un contemporaneo – potevano rivolgersi in qualsiasi momento a Dmitrij Petrovicˇ, che accompagnava personalmente i visitatori nelle sale ma li lasciava guardare a loro piacimento senza intromettersi né far sfoggio di erudizione». Gli artisti erano di casa dai Botkin. Polenov spesso conduceva con sé gli allievi, tra cui Levitan, Korovin, Vinogradov. «Abbiamo potuto vedere il Messonier che viene valutato a peso d’oro – scriveva nei suoi Incontri indimenticabili il pittore Vinogradov. – È un’esperienza che ci ha arricchito enormemente dal punto di vista artistico!». Alla morte del celebre archeologo conte Aleksij Uvarov, dal 1877 al 1889 Dmitrij Petrovicˇ fu presidente della Società moscovita degli appassionati d’arte, fondata intorno al 1860. L’associazione organizzava con regolarità mostre di quadri e opere d’arte, portava a conoscenza del pubblico le ultime novità in campo artistico, pubblicava libri d’arte. Dmitrij Petrovicˇ era anche membro del consiglio dell’Istituto di pittura e scultura, l’unico esistente a Mosca per la formazione di artisti ed architetti (le sale dell’istituto, tra l’altro, ospitarono importanti mostre dei pittori «ambulanti», a quell’epoca in gran voga); era, infine, un mecenate per gli artisti, per le cui necessità devolse circa 50.000 rubli. Non è un caso che alla fine della vita l’Accademia imperiale di belle arti di Pietroburgo lo nominasse accademico «ad honorem». Morì il 26 maggio 1889, dolorosamente colpito dalla morte della moglie a cui sopravvisse solo poco più di due mesi, e fu seppellito nel monastero della Protezione della Vergine. La sua tomba purtroppo non si è conservata: nel 1926 il monastero venne chiuso, e il cimitero spianato per far posto a un parco. La collezione venne suddivisa tra gli eredi, i tre figli, come annota ancora Sergej Dmi30

trievicˇ: «Parte delle opere toccate in eredità a me, tra cui i ritratti di famiglia, rimasero nella casa di via Pokrovka, rilevata da mio fratello, mentre un’altra parte trovò sistemazione nel mio appartamento a Pietroburgo. Tutte queste cose andarono perdute sotto i bolscevichi. Il rimanente mi seguì nelle mie missioni diplomatiche: durante la guerra del 1914-1918 rimase in un deposito a Copenaghen, e di lì attraverso Berlino mi fu consegnato a Parigi». Anche queste opere perirono irrimediabilmente per la Russia. Infatti, privo di mezzi di sostentamento, Sergej fu costretto a vendere via via quadri e oggetti d’arte per poter vivere. Suo fratello Pëtr continuò l’attività di collezionista del padre: nel 1903 la sua raccolta comprendeva circa 103 tele, ma dopo il 1917 fu dispersa. Alcune opere si trovano attualmente nel Museo Pusˇkin di Mosca. Dopo il putsch d’ottobre una triste sorte toccò anche alla casa, come del resto a molte case e palazzi moscoviti: le vaste sale e stanze vennero tramezzate; stucchi, decorazioni e pavimenti andarono distrutti. Per tutto il XX secolo casa Botkin venne adibita ad alloggio in coabitazione, solo da pochi anni le sue porte si sono riaperte per quanti desiderano conoscere il bello, la cultura universale e i valori umani. Oggi il Centro culturale «Biblioteca dello Spirito» vi sta facendo rinascere la tradizione delle serate musicali e delle sacre rappresentazioni, dei dibattiti teologici e filosofici, delle mostre e proiezioni cinematografiche. La libreria umanistica e cristiana ospitata dal Centro mette a disposizione dei visitatori una ricca scelta di pubblicazioni.

■ Natal'ja Sorokina, nata a Mosca nel 1969, nel 2004 si è laureata all'Università umanistica di Mosca in lettere, con specializzazione in museologia.

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