DOSSIER
E se provassimo a colmare il fossato? Ksenija Lucˇenko L’arte contemporanea «non conformista» costituisce un rifiuto e una rottura con la tradizione, e quindi un fenomeno areligioso o addirittura antireligioso? In Russia questa convinzione è stata recentemente contestata da una mostra di arte contemporanea su tematiche religiose, allestita all’interno della cappella dell’Università statale di Mosca. Il suo interesse va oltre il valore artistico delle singole opere esposte: è uno dei primi tentativi di «costruire ponti», di instaurare un dialogo tra la cultura laica e la Chiesa.
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EI CONFRONTI della Chiesa e della fede, oggi gli ambienti artistici in Russia sembrano essersi divisi in due schieramenti: da una parte artisti impegnati in ricerche di carattere religioso, nel tentativo di esprimere significati cristiani nel linguaggio della propria creatività; dall’altra quanti hanno scelto una «strategia artistica» che si identifica con lo scandalo, sovente offensivo dei sentimenti religiosi. Negli ultimi mesi questa divisione si è resa evidente anche al vasto pubblico. I primi infatti hanno organizzato una mostra all’interno di una chiesa ortodossa, i secondi sono finiti sul banco degli imputati per aver fomentato ostilità religiose. Il 31 maggio scorso nella cappella di Santa Tat’jana, all’interno dell’Università statale di Mosca, è stata inaugurata la mostra «Dialogo», in cui sono state esposte opere di dieci artisti contemporanei, e il 12 luglio il
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tribunale di Mosca ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dei curatori della mostra «Arte proibita-2006», Andrej Erofeev e Jurij Samodurov. Nel frattempo, il tema dei limiti del consentito in arte e dell’ammissibilità dell’uso di simboli sacri è stato fra i più dibattuti sulle pagine di giornali e riviste russi, nelle trasmissioni radio e televisive, e su internet. Se in precedenza, dagli anni Sessanta fino alla perestrojka, la Chiesa e l’arte concettuale in URSS si erano trovate spesso dalla medesima parte della barricata, in situazione di semiclandestinità, ora che c’è molta più libertà e le relazioni Chiesa-Stato si edificano su nuove basi, vari esponenti del mondo artistico vedono negli ortodossi una sorta di «traditori», che hanno abbandonato la trincea arrendendosi. D’altro canto, anche l’arte è notevolmente cambiata, dal tempo delle mostre non conformiste al Maneggio e alla
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L’inaugurazione della nmostra «Dialogo» nella cappella di S. Tat’jana all’Università di Mosca.
galleria in Malaja Gruzinskaja1. Nella seconda metà degli anni Novanta il termine «arte contemporanea» è divenuto appannaggio di un gruppetto di curatori, galleristi e loro protégés che cavalcano a scopi commerciali tendenze scandalistiche. Poiché in Russia non si è ancora creato un mercato di arte contemporanea, si punta soprattutto sul mercato occidentale, dove vanno per la maggiore variazioni sul tema della spiritualità russa e dell’enigmatica anima russa. In questo contesto, padre Maksim Kozlov,
rettore della cappella universitaria di Mosca, ha accettato la proposta di un gruppo di artisti di aprire il dialogo sul rapporto fra arte e religione, mettendo addirittura a disposizione per questa iniziativa uno «spazio sacro». Un passo piuttosto audace, se si pensa che nell’arte contemporanea prevale un atteggiamento provocatorio nei confronti della religione e dei simboli cristiani. Nel 1998 il pittore Avdej Ter-Oganjan si era messo a sfasciare icone a colpi d’accetta sulla piazza del Maneggio. Nel 2003 la mostra «Attenti, reli-
1. Nel 1962, al Maneggio si aprì una mostra che doveva celebrare i trent’anni della più prestigiosa istituzione artistica sovietica, la sezione moscovita dell’Unione degli artisti. La visita ufficiale di Chrusˇcˇëv si concluse con una sfuriata contro l’arte lì rappresentata, non allineata ai canoni del Realismo socialista. Seguirono anni di lotta serrata tra le autorità e gli artisti, conclusasi nel 1974 con un’esposizione non autorizzata nel parco di Izmajlovo, che venne spianata dai bulldozer. Il rumore fatto dall’evento nell’opinione pubblica occidentale indusse i governanti sovietici a concedere una certa dose di «libertà vigilata», consentendo piccole esposizioni di arte non conformista presso il sindacato dei grafici, in via Malaja Gruzinskaja 28, a partire dal marzo 1976. ndt
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gione!» allestita al Centro Sacharov, che presentava caricature di icone, era stata messa a soqquadro con bombolette di vernice e oggetti contundenti da un gruppetto di «attivisti ortodossi», parrocchiani della chiesa di San Nicola in via Ordynka2. Nel 2006 il sedicente movimento ortodosso «Assemblea popolare» ha denunciato i curatori della mostra «Arte proibita-2006», dov’erano esposte raffigurazioni di Cristo con la testa di Topolino o le decorazioni di Lenin e via di questo passo. Queste opere sono state sentite unanimemente dagli ortodossi come «offensive». Vari sacerdoti e laici appoggiavano in tutta sincerità l’idea di infliggere una condanna penale agli organizzatori della mostra, mentre altri erano contrari, ma solo perché ritenevano che tale provvedimento non avrebbe fatto che conferire ai blasfemi un’aureola di martirio. Il conflitto ha sempre continuato a covare nel corso dell’istruttoria, ed è divampato con particolare asprezza quando si è aperto il processo. Molto spesso gli artisti che sfruttano la problematica religiosa a scopi commerciali e pubblicitari si arrogano il diritto di parlare pubblicamente a nome di tutta l’arte contemporanea russa. In realtà, l’ambiente artistico non è affatto omogeneo. Accanto al processo di radicalizzazione del conflitto tra gli ambienti ortodossi e il mondo dell’arte, si osserva anche la tendenza inversa: molti artisti stanno ritornando al cristianesimo, manifestano il desiderio di comprendere nuovamente il Vangelo attraverso la propria creatività, di parlare della fede nel linguaggio dell’arte contemporanea. Leader di questo processo è Gor Cˇachal, un artista concettualista abbastanza noto sia in Russia che in Occidente. Nel 2008 ha organizzato, con la benedizione di padre Vsevolod Cˇaplin, una
mostra intitolata «Pane e vino e la madreumida terra», che ha suscitato la condanna dei colleghi per il suo «servilismo» nei confronti della Chiesa. Questo però non l’ha fermato, e così nel 2010 è stato il promotore della mostra «Dialogo» nella cappella di Santa Tat’jana. «Non esiste arte senza fede, la questione è semmai di che fede si tratti – afferma Cˇachal – l’arte è per sua natura religiosa». Va osservato che anche la Chiesa ha dimostrato una certa disponibilità a questo nuovo dialogo. Il patriarca Kirill ha accordato ufficialmente il permesso di allestire all’interno di Santa Tat’jana una mostra di arte contemporanea, e anche il segretario del Consiglio patriarcale per la cultura, archimandrita Tichon Ševkunov, ha appoggiato l’iniziativa prendendo parte all’inaugurazione, dove ha detto, tra l’altro, che «grazie a questa esposizione persone non credenti o non praticanti, che ad esempio si fanno chiamare agnostiche, hanno avuto l’opportunità di entrare in una chiesa e di far conoscenza con gente che invece vive nella Chiesa». Le opere esposte sono realizzate in diverse tecniche, alcune di esse avevano già partecipato ad altre mostre. «Progetto evangelico» di Dmitrij Vrubel’ e Viktorija Timofeeva è costituito da una serie di fotografie di personaggi contemporanei prese dalle principali agenzie di informazione, che come didascalie hanno citazioni del Vangelo. Andrej Filippov, artista che figura tra i curatori della mostra, ne ha così spiegato il senso: «Nel Vangelo i protagonisti degli avvenimenti erano persone del tempo di Cristo, suoi contemporanei. Vrubel’ e la Timofeeva hanno trasposto alcuni soggetti evangelici nella società contemporanea, e questo sconvolge, esattamente come le parole di Cristo scon-
2. Cfr. G. Parravicini, «Attenti, religione!», in: «La Nuova Europa», n. 5/2004, p. 73.
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volgevano gli uomini del suo tempo. Il Vangelo è eterno, passa attraverso tutte le epoche. Di solito noi intendiamo il Vangelo nelle sue coordinate storiche, come una cosa lontana nel tempo da noi. In realtà, è tutto qui ed ora: i dieci comandamenti, il sermone della montagna, nessuno li ha mai aboliti». In un’installazione di Konstantin Zvezdocˇetov il modellino di un tempio ortodosso riccamente decorato si erge su un mucchio di mele. Un’opera di Andrej Filippov, intitolata «Barocco russo», presenta uno sciame di aquile bicipiti in volo, che forma una spirale sovrastante la mostra. Il gruppo «Zuppa blu» ha presentato una video-installazione che costituiva una variazione sul tema del passaggio degli ebrei attraverso il mar Rosso. Nell’installazione di Gor Cˇachal «Il nome L A
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di Dio», sotto forma di «nube di tags» vengono elencati tutti i nomi divini che si incontrano nella Bibbia, per tentare di esprimere l’inesprimibile, il «meta-nome» di Dio. Tuttavia, nonostante l’atmosfera di serenità in cui la mostra è stata inaugurata e le recensioni positive apparse sulla maggior parte dei mass media russi, ben presto organizzatori ed artisti sono stati sommersi da un torrente di critiche. Interessante notare che gli ambienti artistici e l’opinione pubblica ortodossa, pur occupando posizioni diametralmente opposte, si sono dimostrati solidali in una cosa: le loro rimostranze sostanzialmente non riguardavano il contenuto e la qualità delle opere, ma il fatto stesso di aver organizzato l’evento della mostra. Nei circoli intellettuali si accusavano i colleghi dicendo che dopo il pro-
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Cristo raffigurato con le sembianze di Topolino in un’opera della mostra «Arte proibita-2006».
cesso all’«Arte proibita» era indecente esporre nella «tana del nemico», violando i principi della solidarietà e dell’etica corporativa. Accuse ancor più dure sono state scagliate da ecclesiastici all’indirizzo di padre Maksim. Sul sito pravoslavie.ru, il cui direttore Tichon Ševkunov pure aveva partecipato all’inaugurazione della mostra, il parroco di San Nicola padre Aleksandr Šargunov (erano stati i suoi parrocchiani a far irruzione nella mostra «Attenti religione!» e a sporgere denuncia contro la mostra del 2006) ha scritto un duro articolo di denuncia, asserendo che l’arte contemporanea è il «rivoltante ceffo del nuovo bolscevismo, più camuffato e smaliziato rispetto agli anni Venti e Trenta, che si presenta sotto le vesti di libertà sfre-
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nata». A questa denuncia si è accodata tutta una serie di siti internet fondamentalisti. Nonostante questo, la posizione ufficiale della Chiesa è rimasta equilibrata e pacata. Padre Vsevolod Cˇaplin, presidente del Dipartimento Sinodale per le relazioni tra Chiesa e società ha dichiarato che «alcune opere sono state escluse dall’esposizione anche dietro mio intervento. Ma esistono vari artisti, tra cui Gor Cˇachal, che conosco bene come persone rispettose nei confronti di Dio e della Chiesa. Di Cˇachal posso asserire a ragion veduta che le sue opere, per quanto possano apparire strane da un punto di vista tradizionalista, non nascono affatto da un intento blasfemo». A conclusione della mostra «Dialogo» gli
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Le parole di Cristo sotto la croce rivistate nel «Progetto evangelico» di Dmitrij Vrubel’.
artisti che vi avevano partecipato hanno scritto una lettera aperta al patriarca Kirill, in cui si dice tra l’altro che «per cause ben note negli ultimi anni l’arte contemporanea è venuta a trovarsi al di fuori dell’ambito della vita ecclesiale, e molti degli attuali fedeli, sia laici che sacerdoti, parlano in un linguaggio completamente differente da quello degli artisti, non si riesce a intendersi. D’altro canto, noi non siamo certo gli unici esponenti dell’arte contemporanea che, in quanto figli fedeli della Chiesa ortodossa, soffrono di questo isolamento e vorrebbero essere, non solo spiritualmente ma anche attraverso la propria creatività, con la Chiesa e nella Chiesa. Siamo sicuri che queste persone sono ben più numerose di quanti
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erano presenti in mostra». Negli stessi giorni il patriarca ha ricevuto altre due lettere: la prima, scritta da vari esponenti della cultura, tra cui lo scrittore Valentin Rasputin, il regista Nikolaj Burljaev, membri dell’Unione degli artisti, iconografi e accademici delle Belle Arti. In questo testo si definiva la mostra «Dialogo» come oltraggiosa, e l’arte contemporanea nel suo insieme come un «fenomeno antisociale», che non ha nulla a che vedere con l’alta cultura. Una seconda lettera portava la firma dell’ex direttore della sezione di arte contemporanea della Galleria Tret’jakov, Andrej Erofeev, in quel momento sotto processo in quanto curatore della mostra «Arte proibita-2006».
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Erofeev scrive: «Capisco che vi martiri. In conclusione lo l’uso improprio di immagini Stato ha preso in mano la religiose, nel contesto di cosa e ha deciso che può un linguaggio laico, valere 10mila dollari»3. Si è giunti a un punto come strumenti per crifermo nel dibattito sulticare l’ideologia soviel’impiego di immagini tica e la sua “divinizzae simboli religiosi? Non zione del capo”, oppure direi, ma indubbiamenl’ideologia dei culti conte si è riusciti a cominsumistici nella società ciare un discorso serio. Gli attuale, possa non piacere artisti fanno valere il diritto ai fedeli». Erofeev asserisce alla libertà di creare e di espriche i problemi nascono dal fatmersi. La Chiesa dal canto suo to che il vasto pubblico non è Gor Cˇachal completa la sua difende il proprio spazio sacro, in grado di capire l’estetica installazione «Il nome di Dio». le proprie immagini e simboli dell’arte contemporanea, e dai tentativi di calarli in un contesto profano che i messaggi degli artisti non vengono core di sottoporli a interpretazioni blasfeme. rettamente decifrati e interpretati. L’opera d’arte, varcando la soglia dell’atelier Dopo la sentenza nei confronti di Erofeev e in cui è nata, diventa un’espressione pubbliSamodurov (multati rispettivamente per ca, di cui autore e curatore si assumono la somme di 150 e 200 mila rubli), il patriarca responsabilità morale e giuridica. La responha condannato duramente le mostre del tipo sabilità di non offendere i sentimenti religiosi «Arte proibita-2006». Nell’incontro pubblinon limita la libertà dell’artista, ma costituico al Teatro dell’opera e del balletto di sce una tutela delle norme e principi morali Odessa, il 22 luglio scorso, ha dichiarato che dominanti. gli artisti fanno un’«opera diabolica». Riassumendo il dibattito, l’autorevole critico d’arte moscovita Grigorij Revzin ha scritto: «Si ha la sensazione che si siano scontrati due progetti estremamente antiquati. Gli uni sono persone nostalgiche e tristi perché l’arte sta perdendo ogni risonanza sociale, che hanno deciso di darsi da fare e ripristinare il modello artistico del dissenso. Gli altri, gente nostalgica e triste per la mancanza di una qualsivoglia ideologia statale, hanno deciso di darsi da fare per ripristinare la sezione ideologica del Comitato centrale del PCUS. Ci ■ Ksenija Lucˇenko, moscovita, è una giornalista speerano quasi arrivati, avevano messo sotto la cializzata nelle problematiche della comunicazione inProcura e i magistrati, ma alla fine si sono formatica, direttrice responsabile della rivista online «Tat’janin den’». spaventati e hanno deciso di non creare nuo-
3. G. Revzin, Cena kosˇcˇunstva (Il prezzo del sacrilegio), «Kommersant», 19 luglio 2010.
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