Occhio all'arte di aprile 2020

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIII N° 134 aprile 2020

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

n Georges de La Tour Un pittore a lume di candela nGaetano Previati

Georges de La Tour (e bottega), Educazione della Vergine, 1650 ca, olio su tela

nDEVS

nBansky


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Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00

CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Al momento, per decreto ministeriale, i corsi dell’Associazione Arte Mediterranea sono sospesi e la scuola rimarrà chiusa fino a nuove disposizioni

La Redazione

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini

Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini

Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale

Amministratore Antonio De Waure

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Sommario

Noi e i COVID-19 Georges de La Tour Come passa il tempo Banksy in quarantena? Pennellate lunghe e fluttuanti per una pittura di idee L’opera Kunqu, DEVS Agnes Heller, sul filo di china


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illustrazione

Noi e i COVID-19

Ironia ai tempi del Coronavirus di Patrizia Vaccaro

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Georges de La Tour

Un pittore a lume di candela di Maria Chiara Lorenti

Georges de La Tour, I giocatori di dadi (The dice Players), 1651 ca, olio su tela

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ome Caravaggio, preferiva scegliere i suoi soggetti dalla strada. Angeli in incognito, senza ali né aureole, privi di quegli attributi iconografici che li identificano a prima vista, hanno le fattezze semplici e non artefatte di persone facenti parte del popolino, perché Georges de La Tour è loro che preferiva ritrarre, elevandoli a ruoli più spirituali. Ma Georges de La Tour non è famoso per i suoi soggetti, scelti tra i più umili, cosa che del resto facevano molti pittori del seicento, la sua peculiarità, per cui gli è stato riservato un posto primario nella storia dell’arte, è quella di aver utilizzato la luce fioca di una candela per creare quel pathos emotivo, intimo e soffuso che pervade la maggior parte delle sue opere. Quelli, i “notturni”, mostrano una o più persone chine in avanti, protese verso quell’unica fonte di luce, che spande un chiarore tremulo che rischiara una piccola porzione della scena, intenso sulla fiamma, ma che 4

scema via via nell’oscurità che avvolge la stanza. Così i volti si illuminano, ma solo in parte, evidenziando un particolare o un’espressione, avvolgendo tutto nel silenzio della notte, le azioni sono lente, studiate, cristallizzate in un’atmosfera sognante. Prive dei drammatici contrasti chiaroscurali di Caravaggio, dove la luce, come una lama, fende l’oscurità con una violenza priva di sfumature, le tele di de La Tour si avvalgono di una piccola instabile luminosità data da una candela accesa che stempera ogni asperità, ogni sentimento animoso o astioso, tutto ha una connotazione onirica, chiusa in un muto bozzolo che non si schiude. Di contro, gli altri soggetti, i cosiddetti “diurni”, sono esplicitamente crudi, velati di violenza, la luce diretta ne acuisce le espressioni dure, esageratamente realistiche. Così il giorno, narratore di gesta crudeli, di episodi brutali, di risse, di bari, di genti disoneste raffigurate senza filtri che ne stemperino le azioni inqualificabili, si contrappone


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Georges de La Tour, Maddalena Penitente (The Repentant Magdalene), 1635-1640, olio su tela

in mostra...virtuale

alla notte, dove le figure, perdendo quell’aura di lotta spietata alla povertà che ne scolpisce spietatamente i volti, divengono soavi, puri, scevri di anguste passioni. Pittore sconosciuto ai più, pur essendo stato molto ricercato ai suoi tempi, solo agli inizi del novecento fu riscoperto, dopo secoli di oblio, e riabilitato. Ora Milano ne celebra le opere per la prima volta in Italia. Chiusa per decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri fino al tre maggio, la mostra “Georges de La Tour. L’Europa della luce”, dovrebbe riaprire a Palazzo Reale e protrarsi fino al sette giugno. Progetto che porta alla ribalta le “sperimentazioni luministiche”di questo misterioso artista, di cui ben poco si conosce, a parte gli undici figli, i numerosi cani e il carattere difficile, attraverso la comparazione con altri maestri, suoi contemporanei, ne attesta l’assoluta originalità. Curata da Thomas Clement Salomon e da Francesca Cappelletti, la mostra documenta il rapporto tra questo pittore e l’opera dei caravaggisti europei, facendo emergere il dualismo caratterizzante il suo modus operandi tra il crudo realismo dei diurni e il trasognato mondo dei notturni, in eterno bilico tra spiritualità e realismo, tra delicatezza e brutalità.

Georges de La Tour, La rissa tra musici mendicanti (The Musicians’ Brawl), 1625-1630, olio su tela 5


Come passa il tempo Banksy in quarantena? Trasformando il suo bagno in un’opera d’arte di Cristina Simoncini

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curiosArt

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resumibilmente messo in quarantena come il resto dell’umanità, Banksy ha appena pubblicato alcune immagini di un’opera d’arte eseguita nel suo bagno di casa. L’installazione raffigura un malizioso branco dei suoi caratteristici ratti che distruggono tutto ciò che è in vista: oscillano dai portasciugamani, corrono sulla carta igienica, segnano i giorni della quarantena sul muro e fanno un disgustoso pasticcio per la toilette. La didascalia che accompagna il lavoro su Instagram recita semplicemente: “Mia moglie odia quando lavoro in casa”.

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Pennellate lunghe e fluttuanti per una pittura di idee Gaetano Previati

di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

Gaetano Previati-Adorazione dei Magi -1890

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Getano Previati - Maternità - particolare - 1890

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isale al 1901 l’ incontro tra Previati, pittore eccelso, ma incompreso, con un intellettuale cosmopolita, divulgatore in Italia dei poeti simbolisti francesi, uno dei principali sostenitori del pittore ferrarese, Vittorio Pica che così lo presentava “Spirito irrequieto, fantasia fervidissima, carattere sdegnoso del volgare e schivo di ogni concessione ai gusti plateali della folla, Gaetano Previati dovrà persuadersi a piegare la vivida intelligenza alle esigenze ferree di una lenta elaborazione creativa: ciò accadrà solo se saprà, d’ora innanzi, evitare di accoppiare una soave figura di sogno intensamente espressiva ad un’informe figura di realtà, come è accaduto più di una volta”. Gli insuccessi di pubblico continuano anche agl’inizi del ‘900 fino a quando, nel 1907, non riesce a vendere gran parte della sua produzione alla Galleria Grubicy, per una cifra considerevole ed essere così finalmente “sollevato dalle tante angustie economiche, egli poté dedicarsi al lavoro, per la prima volta, tutto intero, senza distrazioni, senza pesi sul cuore, dipingere appena gli veniva l’estro, dipingere in grande come gli piaceva”. Nel 1907, Gaetano Previati aveva 55 anni, essendo nato nel 1852 e, come è successo a tanti altri pittori, la sua arte verrà capita ed apprezzata soprattutto dopo la sua morte, avvenuta nel 1920. In realtà il nostro ha avuto un ruolo fondamentale nel rinnovamento dell’arte italiana tra l’ottocento e il novecento, è stato infatti interprete della poetica simbolista, ma, soprattutto, è stato un maestro indiscusso del divisionismo, tecnica appresa sulla scia dei divisionisti francesi e di Segantini, ma sviluppata dall’artista ferrarese secondo un approccio del tutto personale. Dopo un apprendistato a Ferrara, presso i pittori locali, si trasferisce prima a Firenze poi a Milano, all’Accademia di Brera. In quel periodo vinse il Premio Canonica con <Gli ostaggi di Crema>, la critica fu sorpresa per il tema inedito e per il violento controluce, altrettanto inedito. Nella tela di notevoli dimensioni,


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Previati “affida l’intenso pathos della scena alla visione dei corpi straziati, appena riconoscibili nella luce di un livido tramonto, ma potentemente evocati ciascuno nella propria agonia”. Gran parte della sua produzione risale all’800, ma la sua continua ricerca di nuovi stimoli, la sua innata predisposizione per una pittura di idee e di sensazioni più che di forme, lo portarono presto ad abbandonare lo stile romantico e storico che ne aveva decretato i primi successi giovanili e a far proprio uno stile molto originale, a lungo dileggiato da pubblico e critica, come già precisato. Opta, ben presto, per la luce, per un’affascinante divisione dei colori che non appaiono mai mescolati, ma divisi sulla tela ricca di pennellate serpentiformi, di tocchi cromatici che sfumano l’immagine fino a farla <abortire>. Le opere più belle risalgono al momento in cui l’artista si apre al Divisionismo coniugato con soggetti dal forte sapore simbolista. Nel 1895 dipinge “Il Re Sole”, un’opera in cui è evidente la stesura dell’olio sulla tela in perfetto stile divisionista. Utilizza, infatti, pennellate di colori puri separati, sovrapponendoli fino a raggiungere il tono voluto e creare così una sorta di pulviscolo cromatico che rende intima e coinvolgente anche un’imponente scena storica. Una sensualità molto particolare pervade <Il Bacio> 1889 in cui Romeo inginocchiato bacia con passione Giulietta piegata verso di lui e i due corpi paiono una cosa sola, complice la luce pacata che pervade quasi tutta la tela tranne la finestra, sullo sfondo, che brilla con più forza. Una straordinaria luminosità, pennellate assai lunghe, filamentose “come se gli angeli e le altre figure ectoplasmatiche attorno a madre e figlio fluttuassero in un elemento acquoreo trasparente, più che in un’atmosfera tersa e brillante” nella famosa tela <Maternità> 1890. A cento anni dalla sua morte, Ferrara, la sua città natale lo omaggia con una bella mostra allestita nel Castello estense, fino alla fine di giugno. In questo momento, ahimè! Tutto tace. Speriamo almeno di poterla visitare on line, quanto prima.

dedicato a

Gaetano Previati - Bacio - particolare - 1899

Gaetano Previati - Fumatrice di hashis - particolare - 1887 9


L’opera Kunqu,

un’arte tradizionale di bellezza di Caterina.Kailin.Liu Entrando nella prima lista dei Capolavori dei Patrimoni Orali e Intangibili dell’Umanità, pubblicata dall’UNESCO nel 2001, l’opera Kunqu, oppure semplicemente il Kunqu, ha cominciato ad ottenere molte più attenzioni. Prima di allora, era considerata solo un’arte tradizionale minore, perfino in Cina dove non c’era un gruppo stabile di artisti e di pubblico. Ma negli ultimi venti anni l’opera Kunqu è finalmente rientrata nella visione delle masse ed ha aperto una via di rinascita. Andare a teatro per guardare uno spettacolo di Kunqu è diventato un divertimento alla moda per i giovani.

il soprannome di tono di mulino ad acqua. Al popolo piaceva questo stile, così si diffuse ad una velocità incredibile. In solo qualche decennio, il Kunqu divenne l’opera più influente in Cina. La fioritura di eccellenti copioni e numerosi spettacoli accompagnarono e favorirono il suo successo. Secondo i documenti storici, qualsiasi luogo può essere un palco di Kunqu: le case di tè, le ville dei ricchi, i cumuli di fieno campestre, persino le navi. Per la prima volta alle donne fu permesso di uscire ed assistere a un’opera. Nei grandi spettacoli, si potevano vedere migliaia di persone che cantavano insieme con i cantautori e questa situazione è comparabile a quella dei concerti di oggi. Oltre ad essere eseguite dai cantanti negli spettacoli accompagnate dall’orchestra, le canzoni di Kunqu erano cantate anche senza accompagnamento, da qualsiasi persona. Ogni anno, nella festa di metà autunno, tutti gli appassionati si riunivano nella città di Huqiu e gareggiavano per scegliere la persona più brava a cantare il Kunqu, chi poi riusciva a farlo fino

la versione per i giovani di Il Padiglione delle Peonie

Madre di un centinaio di opere cinesi L’opera Kunqu è considerata madre di un centinaio di opere cinesi. Essendo il teatro più antico in Cina, la sua storia può risalire alla dinastia Ming, nel XIV secolo. Il Kunqu nacque nella provincia dello Jiangsu, che è nel sud della Cina. Grazie al clima umido e al terreno verdeggiante, questa zona, col suo popolo, appare dolce ed elegante. Quando ci si riferisce allo Jiangsu, si pensa immediatamente alle sue ragazze graziose e ai suoi giardini elaborati, due caratteristiche uniche, che rappresentano il suo temperamento. Il suolo natio del Kunqu ha determinato il suo carattere aggraziato. All’inizio, Kunqu era soltanto un tipo di canzocina in dialetto dello Jiangsu. Anni dopo, un cantautore, Wei Liangfu, l’ha riformato, aggiungendo dei nuovi toni da altre zone. A causa dei dialetti cinesi meridionali, il ritmo dello Kunqu dopo la riforma divenne ancora più dolce. Le persone paragonavano questa sensazione tonale a quella della farina di riso glutinoso prodotta in un mulino ad acqua, e così il Kunqu ha acquistato 10

opera_il sogno della camera rossa


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dalla Cina con...

alla mattina del secondo giorno, diventava famosa nel paese in una notte. Il Kunqu ha aggiunto l’ apogeo nella storia delle opere cinesi. La sua melodia delicata, la recitazione leggiadra, le danze e i movimenti raffinati, con gli scenari belli, più o meno hanno influenzato le altre opere cinesi. Patrimonio orale e intangibile dell’umanità È difficile dire quale fu la causa principale del declino del Kunqu. In un certo senso, la continua ricerca di eleganza ha imprigionato quest’arte in se stessa. Questo fino al 1956, quando la compagnia di Kunqu opera_quindici stringhe di monete dello Zhejiang ha portato in scena Quindici Stringhe di Monete, adattato da una novella. Il primo ministro cinese, all’epoca Zhou Enlai, la definì “un’opera che Orale e Intangibile dell’Umanità. ha salvato un tipo di opera”. Poi, come già detto, il È un’esibizione complessa. I copioni sono sempre Kunqu è stato inserito dall’UNESCO nel Patrimonio opere letterarie. Di solito, le storie vengono tratte da novelle o leggende. Un copione comprende centinaia di poesie e anche i dialoghi sono poetici. I gesti devono seguire e coordinarsi con le parole e ogni significato letterale corrisponde a movimenti regolari. Quindi, la coreografia assorbe non solo le danze della corte e le danze popolari, ma anche queste movenze normative, le quali aiutano il pubblico a comprendere meglio la storia. I costumi e i trucchi sono anche molto interessanti. Nella dinastia Ming e Qing, I costumi sul palco variavano di tanto in tanto, mentre i trucchi dei protagonisti principali non sono cambiati molto, perché giocano il ruolo di maschera. Così, una volta che il pubblico vedeva i personaggi, sapeva immediatamente chi erano e come si sarebbero comportati. Una via moderna per l’opera tradizionale Oggi esistono scuole che hanno introdotto lezioni sull’opera Kunqu; anche i mass media hanno cominciato a pubblicizzarlo; mentre gli studenti gradualmente iniziano a frequentare questi teatri, dimostrando un interesse verso questo universo. Come l’opera lirica per gli italiani, l’opera Kunqu per i cinesi significa non soltanto una forma d’arte, ma un tesoro che si tramanda dai nostri antenati. E’ riuscita a proiettarsi verso il futuro: ora è tempo di risorgere. Guardando l’opera Kunqu, si può sentire lo spirito della cultura cinese da ogni movimento, ogni nota e ogni scena. opera_la sala di longevità 11


DEVS

Il debutto seriale di Alex Garland di Valerio Lucantonio

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opo l’affascinante e spaventoso Annihilation, scritto e diretto per Netflix, Alex Garland si riavvicina alle tematiche e all’estetica lo-fi già affrontate nel suo esordio registico Ex Machina, completando la famosa espressione latina con Devs, miniserie statunitense in otto puntate su “FX on Hulu”. Come in Ex Machina il discorso è incentrato sull’avanguardia tecnologica in un futuro prossimo e uno dei personaggi principali è il proprietario di un’azienda leader del settore informatico, ovviamente con sede nella Silicon Valley, mentre la protagonista è ancora una volta una dipendente che ha l’occasione di entrare in contatto con i piani alti. Il luogo centrale dell’azione è il quartier generale di Amaya, società specializzata nello sviluppo e nell’utilizzo di computer quantistici dall’enorme potenziale di calcolo, dove si trova anche la misteriosa e impenetrabile divisione di ricerca che dà il nome alla serie. È questo il reparto al quale è più interessato Forest (Nick Offerman), atipico e tormentato CEO, così ossessionato da Devs da infrangere leggi giuridiche e morali. La più colpita dai suoi piani sarà Lily (Sonoya Mizuno, collaboratrice fissa di Garland apparsa nei due film precedenti), spinta a indagare sulle controverse dinamiche sotterranee di Amaya dopo esservi stata coinvolta contro la propria volontà. Il tema cardine dell’intera storia è infatti il libero arbitrio, che viene contrapposto alla fredda teoria del determinismo per la quale ogni evento è prestabilito secondo un’infinita tessitura di cause ed effetti. Garland quindi tratta di nuovo il confronto sproporzionato dell’uomo con fenomeni straordinari in grado di indurre un’evoluzione della specie, ma anche, allo stesso tempo, di innescare un processo di snaturamento paragonabile all’estinzione. L’artista britannico si cimenta per la prima volta nella narrazione seriale con un approccio già adottato da altri autori, passati dal cinema

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alla televisione, scrivendo e dirigendo la totalità degli episodi e distendendo il ritmo del racconto. Fotografia e colonna sonora, spesso simboliche al limite dell’astratto, spiccano con prepotenza denunciando una certa intenzione a farsi riconoscere come elementi connotanti una qualità estetica superiore, rispetto allo standard televisivo in cui molte serie competono aspirando alla legittimazione artistica. I dialoghi si svolgono sempre con schiettezza e semplicità, ma con tono serafico, i pochi personaggi sembrano appartenere a un microcosmo chiuso che esclude il mondo esterno e il numero di ambienti è di conseguenza ridotto all’essenziale, consentendo una cura scenografica magistrale ricca di suggestioni originali. Gli eventi sono centellinati nel corso delle puntate, con una rarefazione tale da dare l’impressione di trovarsi davanti a un soggetto da lungometraggio cinematografico adattato a logiche e tempi seriali. Questa vicinanza a modelli e stilemi della settima arte suscita considerazioni di carica opposta per quanto riguarda contesto e testo, ovvero le dinamiche produttive e le implicazioni narrative della serie in esame. Il relativo contenimento economico, e quello che potrebbe sembrare un “allungamento del brodo” della storia, portano a considerare con sguardo critico la strategia industriale delle odierne produzioni televisive americane di ingaggiare figure legate al cinema (soprattutto attori e registi), con il rischio di allontanarsi da schemi specifici del medium che spesso si rivelano uno stimolo positivo e non un limite per la creatività. L’aspetto contestuale può spingere verso una visione negativa della serie, tanto da considerarla frutto di un escamotage promozionale e da svalutarne la qualità, ma, forse, analizzando più a fondo l’estetica narrativa e le modalità espressive, si potrebbe ipotizzare una scelta consapevole di Garland per sfruttare positivamente quelli che sembrerebbero dei vincoli imposti dall’esterno. La dilatazione di gesti e dialoghi, l’indugiare delle inquadrature tendente a un effetto di fermoimmagine e la cadenza rilassata del flusso degli eventi ci si presentano, una volta conclusa la serie, come una declinazione poetica e formale dello scontro concettuale, in cui la libertà di scelta ha più volte accusato le stoccate del determinismo: i personaggi e lo svolgimento del racconto appaiono inconsapevolmente rassegnati, succubi di un ordito superiore e invisibile che riflette una visione scientifica del mondo, ma anche l’egemonia dell’autore, inesorabile demiurgo dell’universo narrativo. 13


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occhio al libro

Agnes Heller,

“La dignità dell’opera d’arte” di Giuseppe Chitarrini

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utonomia e dignità sono due categorie che, in particolare I. Kant mette al centro della sua filosofia morale, e – più o meno di tutta la filosofia morale contemporanea-, applicandole però esclusivamente all’individuo umano in quanto tale. Per A. Heller sono invece proprio queste due categorie: autonomia e dignità, a rendere tale un’opera d’arte; un’opera d’arte quindi umanizzata e dotata di una propria autonomia, che la rende unica, quando cioè l’uomo, attraverso la contemplazione, la rende arte, sospendendo cioè (nel caso dell’arte moderna, post moderna) il suo valore d’uso corrente, così che anche un oggetto di uso quotidiano può assumere la dignità di opera d’arte, vanificando anche, almeno dal novecento in poi, il concetto ‘auratico’ di bello e brutto, tanto è che ”l’arte moderna non riguarda più il bello, ma il sublime”(p. 34). Quindi l’arte, per un verso si è standardizzata, meccanizzata e, come diceva W. Benjamin, si è resa riproducibile (soprattutto la fotografia, il cinema, la musica), ma dall’altra si è anche umanizzata, è l’uomo, il suo sguardo, la sua contemplazione, la sua emozione empatica e simpatica che fa di quell’oggetto singolare un’opera d’arte unica, autonoma e dignitosa. Heller è una delle più importanti fra i filosofi viventi, già allieva in gioventù di G. Lukàcs, massima esponente della cosiddetta ‘Scuola di Budapest’: importante corrente filosofica 14

e sociologica facente capo al marxismo più o meno eterodosso. E’ stata docente all’Università di Budapest, poi a Melbourne e infine a New York, occupando la cattedra di filosofia che già fu di Hannah Arendt; in poche pagine ci parla, in maniera documentata e densa, della memoria e della autobiografia come possibilità riflessive di individuazione, crescita e formazione del sistema identitario e del Sé. Un sistema che nelle nostre società differenziate e complesse si è fatto sempre più molteplice e ‘fluido’, sempre più difficile da interpretare e ricostruire, ma la cui decifrazione si rende sempre più ineludibile per comprendere, parzialmente e relativamente le nostre società differenziate e settorializzate (cfr. p. 38), svincolate da ogni itinerario esistenziale certo, fissato e riproducibile... Poche pagine molto significative, prevalentemente di carattere filosofico, ma anche dense di riflessioni e di spunti per ulteriori riflessioni per tutti e in particolare per chi ama o pratica, a vario titolo, l’arte, perché parla del rapporto di questa con l’osservatore, o meglio, con l’umanità e la sua connaturata, consapevole o no, ‘attenzione’ per la produzione artistica, che la Heller, in queste pagine, tenta di comprenderla nella sua ontologica autonomia (da p. 6 a 12), che non va intesa in senso solipsistico e di astrazione rispetto la dimensione sociale.


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Eventi

Mentre scriviamo siamo ancora in quarantena, per necessità e per decreto ministeriale ristretti nelle nostre abitazioni, ma dal 3 maggio, salvo nuove disposizioni, queste norme restrittive saranno meno rigorose. Ed i musei e le gallerie riapriranno le loro collezioni al pubblico, con modalità diverse da quelle a cui eravamo abituati prima del coronavirus, ma in ogni caso potremmo di nuovo godere delle nostre opere d’arte preferite.

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Roma

“Jim Dine” Palazzo delle Esposizioni, fino al 2 giugno “Raffaello” Scuderie del Quirinale, fino al 2 giugno “Rembrandt alla Galleria Corsini. l’autoritratto come san Paolo” Galleria Corsini, fino al 15 giugno “Orazio Borgianni, un genio inquieto nella Roma di Caravaggio” Palazzo Barberini, fino al 30 giugno “Rinascimento marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma” Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio sodalizio dei piceni, fino al 5 luglio “Banksy, a virtual protest” Chiostro del Bramante, fino al 26 luglio “Ahmed Aisoudani in Between” Palazzo Cipolla, fino al 20 settembre “The Torlonia Marbles, Collecting Masterpieces” Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021

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Bergamo

“Tiziano e Caravaggio in Peterzano” Accademia Carrara, fino al 17 maggio

Bologna

“Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” Museo Civico Archeologico, fino al 24 maggio “La riscoperta di un capolavoro” Palazzo Fava, fino al 28 giugno “Monet e gli Impressionisti. Capolavori dal Musèe Marmottan Monet, Parigi” Palazzo Albergati, fino al 12 luglio

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Ferrara

“Oltre la cornice. Gaetano Previati e il rinnovamento artistico tra Ferrara e Milano” (articolo pagg. 8-9) Castello estense, fino al 7 giugno

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Milano

“Georges de La Tour. L’Europa della luce”art. (Articolo pagg. 4-5) Palazzo Reale, fino al 7 giugno “The Porcelain Room Chinese Export Porcelain” Fondazione Prada, fino al 28 settembre “Carla Accardi. Contesti” Museo del novecento, fino al 2 giugno “Gauguin, Matisse, Chagall. Passione e speranza nell’arte francese dei Musei Vaticani” Museo diocesano Carlo Maria Martini, fino al 17 maggio “Disney. L’arte di raccontare storie senza tempo” Mode, fino al 13 settembre

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Napoli

“Napoli Napoli di lava, porcellana e musica” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 21 giugno 2020 “Lascaux 3.0” MANN, fino al 31 maggio “Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 10 maggio

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Rovigo

“Visioni dell’inferno” Palazzo Roncale, fino al 28 giugno “Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà” Palazzo Roverella, fino al 5 luglio

Venezia

“Migrating-Objects. Arte dell’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim” Collezione Peggy Guggenheim, fino al 14 giugno


“Elliott Erwit Icons” Wegil, fino al 17 maggio 16


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