occhio all'arte (febbraio 2013)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno VI N° 61 febbraio 2013

Mensile d’informazione d’arte www.artemediterranea.org

ndedicato a:

La straordinaria stirpe dei Brueghel fotografia: L’infanzia n fotografata in mezzo secolo

Guttuso “La Vucciria”, 1974

Pablo Picasso, “Pierrot e Arlecchino”, 1920

in mostra: Arte Mediterranea nin mostra: Tutti De Sica enSpazio 47


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

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• • • Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Eleonora Spataro Mensile culturale edito dalla Collaboratori Associazione Arte Mediterranea Luigia Piacentini, Stefania Servillo, via Dei Peri, 45 Aprilia Patrizia Vaccaro, Valeria Nicoletta, Tel.347/1748542 Luca Deias, Laura Siconolfi, Maurizio occhioallarte@artemediterranea.org Montuschi, Greta Marchese, www.artemediterranea.org Valerio Lucantonio, Martina Tedeschi, Aut. del Tribunale di Latina Marilena Parrino, Nicola Fasciano, N.1056/06, del 13/02/2007 Pina Farina Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Amministratore Antonio De Waure Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Responsabile Marketing Cristina Simoncini Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale Stampa Associazione Arte Mediterranea via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

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Sommario

Due mondi: Randazzo / Nencini Arte Mediterranea e Spazio 47 La Cina sbarca a Torino La migliore offerta 18 anni di Mondo Bizzarro Gallery Tutti De Sica Incantesimo al Caffè Latino Norwegian wood La straordinaria stirpe dei Brueghel Il Castello Aragonese di Ischia I cattivi ragazzi in scena L’infanzia fotografata in mezzo secolo Slam Dunk Il carnevale “Il sogno di John Ball” “Gli anni di nessuno” David LaChapelle (Fairfield, 11 marzo 1963)


Due mondi: Randazzo / Nencini

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in mostra

Le prime due esposizione della manifestazione “Passaggio”, due visioni di Stefania Servillo

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assaggio” giunge alla sua terza edizione che è stata inaugurata il 19 gennaio presso il Mercato Coperto di Aprilia; a rimpolpare le già fornite file di artisti che gravitano intorno alla manifestazione, quest’anno, per i primi due appuntamenti, incontriamo Carmelo Randazzo e Francesco Nencini, rispettivamente pittore e fotografo. La realtà vista attraverso i loro occhi ha consistenze e “messa a fuoco” completamente diverse, una sorta di sbilanciamento, una vera e propria vertigine tra la vista delle opere dell’uno e dell’altro. Per l’incontro con Carmelo Randazzo preparatevi a colori potenti ed immagini penetranti, una tecnica unica che mira ad eliminare il velo che offusca la vista dello spettatore sui piccoli miracoli della vita, mediati da messaggi impegnati. Per coloro con gusti raffinati arrivano invece le immagini di Nencini, fotografo che cattura l’anima dei soggetti ritratti con rispetto e delicatezza, con la grazia di colui che rispetta luoghi, tradizioni e personalità dei posti e dei soggetti che esplora con l’obiettivo. Carmelo Randazzo: 19 gennaio – 1° febbraio Francesco Nencini: 2 febbraio – 15 febbraio

Arte Mediterranea e Spazio 47

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in mostra

Un connubio tra Arte e Spettacolo di Maria Chiara Lorenti

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ifficilmente in un teatro, predisposto a rappresentare commedie e concerti, si possono ammirare anche diverse espressioni artistiche, quali quelle pittoriche. Da gennaio questo è stato reso possibile dalla collaborazione tra l’Associazione Arte Mediterranea e Spazio 47, che ha messo a disposizione degli artisti la sua sala, sita in Via Pontina Km 47,015 ad Aprilia. Il primo è stato Giuseppe Ciccarello, noto già a chi è attento ai movimenti artistici in città, questo acquerellista si differenzia dagli altri per il suo personale modo di applicare il colore sul foglio. Contrariamente all’accezione comune su questa tecnica, che per definizione è leggera, eterea, questo pittore la affronta in maniera timbrica, il colore è saturo, denso, le campiture cromatiche sono nette, perfettamente delineate, poco inclini a delicati passaggi tonali. I suoi soggetti esprimono forza, determinazione ed in questa esposizione, trattandosi di musicisti, l’autore è riuscito a concretizzare visivamente la dirompente intensità delle note scaturite dai diversi strumenti suonati, tanto che sembrano aleggiare nell’aria, fissate da lampi di colore. Stessa la tecnica, diverse le sensazioni che suscitano gli acquerelli di Rosa Fucale. Subentrata alla mostra del suo collega Ciccarello, febbraio la vede protagonista della rassegna che si protrae per tutto il mese sui muri del teatro. All’opposto rispetto al suo predecessore, i suoi dipinti esprimono emozioni più impalpabili, i personaggi effigiati sono jazzisti immersi in un’atmosfera rarefatta, le cromie, spesso complementari, sfumano le une nelle altre, stese a velature, accentuando quel pathos irreale che distingue il carattere intimo di queste session. E allora appuntamento con l’Arte, a Spazio 47 sono in calendario da gennaio anche mostre di pittura, un tripudio di emozioni che coinvolgono tutti i sensi. 3


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in mostra

La Cina sbarca a Torino

Una mostra sulla storia degli specchi dal V a.C. ad oggi di Luigia Piacentini

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a città di Torino viene sempre ricordata per il maestoso e unico al mondo Museo Egizio, ma in realtà offre davvero tante iniziative culturali da grande metropoli del nord Italia. Per tutto l’anno è possibile visitare sempre nuove esposizioni e questa città, così vicina ai confini francesi, riceve grandi impulsi anche riguardo l’arte contemporanea che omaggia con celebri mostre (http://www. turismotorino.org/). Quella che si è aperta il 23 novembre 2012 presso il MAO, il Museo di Arte Orientale, riguarda l’arte cinese, in particolare la lavorazione degli specchi, una tradizione con millenni di storia. “Riflessi d’Oriente. 2500 anni di specchi in Cina e dintorni. Lo specchio cinese e la sua diffusione dal VI secolo a.C. all’epoca moderna“ chiuderà i battenti il 24 febbraio, forse troppo presto, ma la mostra vuole far conoscere la grande arte metallurgica della Cina e soprattutto mettere in evidenza le grandi differenze con il modo di operare in occidente. Infatti dobbiamo immaginare che parallelamente in Occidente nel V a.C. circolavano in tutto il Mediterraneo oggetti di provenienza greca di altissima fattura e Roma, nata due secoli prima, stava seguendo le orme della grande koinè greca. Lo specchio, oggi comune oggetto pratico, anticamente aveva ovviamente lo stesso utilizzo ma era carico di significati simbolici, culturali e cosmologici. Un’insieme di magia, superstizione e spiritualità. La rassegna ha come nucleo centrale il periodo compreso tra il V secolo a.C. e il X d.C., cioè dal periodo detto “degli Stati combattenti” (in cui sette stati si contendevano il territorio dell’antica Cina) a quello della dinastia Tang (casa reale

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che regnò per 289 anni). Questo arco di tempo ha prodotto i migliori esemplari di specchi cinesi arrivando ad un livello altissimo di lavorazione del bronzo. Ovviamente non mancano oggetti più antichi che arrivano fino alla cultura moderna proprio per far comprendere, nel modo migliore, l’evolversi di questa arte. Ad una concezione cronologica corrisponde una concezione spaziale: alcuni oggetti infatti provengono dalla zona iranica e sono esplicativi per percepire lo stretto legame che c’era con l’Asia occidentale, attraverso i grandi spazi delle steppe. Con le zone limitrofe, come la Corea e il Giappone, invece la Cina aveva ed ha tutt’ora, un legame molto più forte e di reciproca influenza artistica e non solo. I pezzi esposti sono circa 125 e provengono da una collezione privata di Torino, dal MAO stesso, dal Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma, dai musei Guimet e Cernuschi di Parigi, dai Musei Vaticani e dal Musée d’Art et d’Histoire di Saint-Denis. Insomma una mostra da non perdere per chi ama la cultura e l’arte cinese ma non solo, infatti molti pezzi sono esposti qui per la prima volta e non sarà facile riunire di nuovo tutti questi oggetti da così tanti e lontani musei del mondo. MAO (Museo di Arte Orientale) Via San Domenico, 11 Torino martedì-domenica ore 10-18, chiusura il lunedì Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ingresso gratuito fino ai 18 anni 011 4436927 – mao@fondazionetorinomusei.it


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cinema

La migliore offerta

“In ogni falso si nasconde qualcosa di autentico” di Greta Marchese

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n film di Giuseppe Tornatore con Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks, Donald Sutherland e Philip Jackson. Tutti in sala dal 1 gennaio 2013. Proprio così, il regista di ‘’Nuovo cinema paradiso’’ torna sullo schermo con un nuovo soggetto da lui ideato e scritto. Torna con Virgil Oldman, noto battitore d’aste milionario nonché massimo esperto in campo artistico. Esemplare nella perizia con cui riesce a riconoscere un falso dall’originale, a scandagliare ogni centimetro di una tela (seppur in pessimo stato) decidendo in un istante se valga la pena tentare di recuperarla o meno. Raffinato, colto, algido ed estremamente professionale, Virgil Oldman (Geoffrey Rush) trascorre la sua esistenza tra impegni di lavoro e una vita lussuosa. La sua passione? Ovviamente dipinti originali dal valore inestimabile che riesce a procurarsi con l’astuzia e la complicità di Billy, un vecchio amico. Colleziona dipinti di donne, le stesse che nel corso della sua lunga vita non ha mai osato avvicinare. Passeggia da solo Virgil, senza mai nessuno affianco, coi piedi nel mondo e la testa lontano. Chiuso in se stesso e pronto a respingere scontrosamente qualsiasi forma di socialità, atteggiamento di cui si fanno complici gli immancabili guanti in pelle scura, simbolo della più acuta forma di misantropia. Potremmo non dirlo, ma è bene ricordare che a volte basta veramente poco per sconvolgere una vita. Bene, per rimettere interamente in discussione quella di Virgil Oldman basta... uno squillo di telefono. Dall’altra parte della cornetta c’è Claire (Sylvia Hoeks), giovane ereditiera decisa a mettere all’asta l’ ingente patrimonio lasciatole nella casa appartenuta ai suoi genitori esclusivamente con l’esperta mediazione di Oldman. Se solo Miss Claire si presentasse agli appuntamenti fissati alla villa. Fare affari con una sconosciuta? Impossibile. L’irritazione

di Oldman per quello che sembra un gioco di dubbio gusto non tarda a farsi sentire. Claire, voce sensuale e nient’altro, oltre al suo viso nasconde un grande segreto già da molto tempo; un segreto che viene svelato quando l’uomo è ormai sul punto di mollare l’affare per le continue assenze della ragazza. Buffo il modo in cui le mura dipinte della villa abbiano per Claire la stessa funzione che i guanti in pelle hanno per Virgil. Gli oggetti continuamente spostati, la sensazione di non essere mai soli.. Ad un tratto tutto torna: la ragazza potrebbe non essere poi molto lontana. Ecco che progressivamente i soliti sentimenti di ammirazione e paura per il genere femminile iniziano a vorticare pericolosamente, a poco gli valgono i consigli di Billy e dell’ amico restauratore Robert in un caos cognitivo che non lascia speranze. Da terrore a amore. Dopo un lieto fine sfiorato da vicino la pellicola cala frettolosamente il sipario, come per non dover fornire giustificazione alcuna per quel finale forse inaspettato, o forse no. Del resto, qualcuno lo dirà: ‘’ Vivere con una donna è come partecipare ad un’asta. Non sai mai se la tua è l’offerta migliore ’’. Film in cui non manca la spalla di Tornatore, Ennio Morricone, al quale non poteva non essere affidata la colonna sonora. Ottima l’interpretazione di G. Rush per il modo in cui il personaggio subisce continue variazioni e nuovi riadattamenti che rendono lo spettatore emotivamente coinvolto in un gioco fatto di felicità e nevrosi, vero e falso. Palese ormai la capacità del regista, celebre per le provinciali atmosfere siciliane, di decontestualizzarsi perfettamente e reinserirsi all’interno di un nuovo progetto artistico dalle caratteristiche completamente diverse e quanto più lontane da una prima fase produttiva. ‘The Best Offer’’ non si lascia sfuggire infatti alcun riferimento geografico preciso, lasciando alla fantasia il compito di collocare la vicenda da qualche parte, in Europa.

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in mostra

18 anni di Mondo Bizzarro Gallery XVIII Anniversary Show, mostra collettiva di Eleonora Spataro

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Tutti De Sica

ondo Bizzarro Gallery, piattaforma per le arti ipercontemporanee del XXI secolo, quest’anno compie diciotto anni. La galleria d’arte diventa maggiorenne e per festeggiare l’evento dal 12 gennaio al 26 febbraio 2013 ci propone una mostra collettiva con alcuni dei nomi più rappresentativi che si sono susseguiti negli anni di attività. Gli artisti che esporranno sono: Gary Baseman, Saturno Buttò la cui opera “Die liebe ist mein fuhrer” ovvero “L’amore è il mio fuhrer” è stata scelta per accompagnare questo articolo, C215, Ray Caesar, Erica Calardo, Yoko d’Holbachie, Dilka, Ron English, Shepard Fairey, Max Ferrigno, Gabriels, Michele Guidarini, Hogre, JB Rock, Lucamaleonte, Luisa Montalto, Scott Musgrove, Marion Peck, Jan Saudek, Andrea Simoncini, Ania Tomicka, Elio Varuna, Takato Yamamoto. Underground art, lowbrow, street e urban art, fotografia erotica e pop surrealism nelle sue diverse declinazioni, sono queste le correnti artistiche fulcro dell’interesse di Mondo Bizzarro. Sarà possibile visitare la mostra dal martedì al sabato, dalle 15:00 alle 20:00.

Le mille vite di Vittorio De Sica all’Ara Pacis

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ra l’8 febbraio al 28 aprile 2013 il Museo dell’Ara Pacis ospiterà una grande mostra dedicata a Vittorio De Sica. “Tutti De Sica” celebra uno dei padri del Neorealismo, il grande interprete e regista della commedia italiana e l’uomo fuori dal set. In mostra ci saranno fotografie, sequenze immortali dai suoi numerosissimi film, oggetti privati e di scena, lettere, documenti d’epoca. Il progetto, a cura della Cineteca di Bologna, propone un percorso che parte dall’icona giovane del signor Max per giungere a quella matura che ha contribuito a costruire l’immaginario cinematografico e del costume italiano e internazionale.

Incantesimo al Caffè Latino Patrizia Di Clemente e i suoi paesaggi

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ncantesimo è il titolo della mostra personale delle opere di Patrizia Di Clemente, esposte al Caffè Latino durante tutto lo scorso mese di gennaio. L’appassionata acquarellista, che da anni partecipa alle attività e ai corsi dell’Associazione Arte Mediterranea, ha proposto una selezione di paesaggi dove è la natura a giocare il ruolo di protagonista. Il mare, gli spazi aperti, quasi privi della presenza dell’uomo e i cieli, a volte sereni a volte tempestosi, raccontano l’evoluzione dell’artista stessa che, affascinata dalla tecnica pittorica dell’acquarello la esplora, ne saggia il comportamento per afferrarne la mutevolezza e piegarla al racconto dell’immagine. Il progetto che anima Patrizia è orientato alla condivisione delle sue passioni attraverso le mostre delle quali è protagonista; lontana dal mero esibizionismo, esprime la tipica curiosità di chi mette se stesso in gioco.

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narrativa

Norwegian wood di Martina Tedeschi

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uona Norwegian Wood disse Naoko. Reiko andò in cucina a prendere un salvadanaio a forma di maneki-neko, e Naoko vi infilò una moneta da cento yen che aveva tirato fuori dal borsellino. […] -Abbiamo questa regola: ogni volta che richiedo Norwegian Wood devo mettere cento yen qui dentro,- spiegò Naoko. -Lo faccio per questa canzone perché è la mia preferita. Più che una richiesta è una preghiera. “ E’ un tono sensibile e malinconico, espresso da uno stile realistico e sentimentale che ha reso il romanzo uno dei più celebri di Murakami Haruki. Conosciuto fino a qualche tempo fa con il titolo di “Tokyo Blues” in onore dei ricchi e continui riferimenti musicali che accompagnano tutta la vicenda, l’autore ha voluto, con l’uscita della nuova edizione, riadattarlo riferendosi alla nota canzone dei Beatles, e chiunque ne conosca la melodia ed il testo saprà subito inoltrarsi nell’atmosfera suggestiva dell’intero romanzo. Norwegian Wood scoppia così, nel Giappone del 1987, come uno dei più grandi e inattesi eventi

del dopoguerra; il numero dei suoi nuovi fan sale alle stelle, mentre parte di quelli più fedeli, si sente delusa e tradita a causa delle novità tematiche che staccano il romanzo da quelli precedenti. Mai prima d’ora Murakami si era spinto alla totale trasparenza dell’intimità dei suoi personaggi e qui lo fa senza nessuno scrupolo: entra in gioco la brutalità dei sentimenti , messi a nudo in atmosfere ed ambienti cupi, avviliti e reali. Norwegian Wood è la storia di Watanabe Toru, un uomo quasi quarantenne che attraverso un lunghissimo flashback, racconta le vicende più significative che hanno segnato la sua giovinezza durante il periodo dei suoi studi in un collegio di Tokyo, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. I primi passi di Toru percorsi nella sua memoria, lo portano al ricordo di una passeggiata in un bosco che fece con Naoko, una ragazza particolarmente fragile, una presenza costante nei pensieri del giovane e della quale ora, a diciassette anni di distanza, fa fatica a rielaborare nitidamente il volto. Alcune tragiche esperienze cambiano per sempre la vita di Toru, che fin dall’inizio della sua adolescenza si ritrova a competere con l’idea della morte, resa tangibile dopo il suicidio del suo amico Kizuki, fidanzato di Naoko. La tragedia porta all’aggravarsi delle condizioni di quest’ultima, già turbata da alcuni episodi accaduti durante la sua infanzia, e le sue debolezze la divorano fino a portarla al tracollo e costringerla in una casa di cura lontana da Toru. Con la mente rivolta sempre verso di lei, il giovane continua la sua vita e si ritrova in un’ amicizia con un’altra ragazza, Midori, dotata di un temperamento coraggioso e combattivo che non ha mai perso, nonostante la vita le abbia inferto gravi perdite e profondi dolori. In bilico, così, tra l’oscura attrazione per Naoko e il contagioso entusiasmo per la vita di Midori, Toru si ritroverà ad affrontare il difficoltoso passaggio da adolescente ad uomo maturo finché altre esperienze e sofferenze lo porteranno a compiere delle scelte che definiranno il suo futuro. “Amare qualcuno è una cosa bellissima e, se si tratta di un sentimento sincero, non bisogna sentirsi in un labirinto. Noi siamo tutti esseri imperfetti che vivono in un mondo imperfetto. Non viviamo misurando le distanze con la riga, gli angoli con il goniometro né controllando entrate e uscite come sul conto in banca. Ogni cosa segue comunque il suo corso e, per quanto uno possa fare del suo meglio, a volte è impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito. Occorre essere aperti e abbandonarsi alla vita così come viene, rendendosi conto di quanto sia meravigliosa. “ Il lungo ricordo del protagonista è, senza dubbio, un cassetto pieno di nostalgie, disagi e sentimenti riflessivi, disturbati dalla singolarità delle esperienze vissute, situazioni che Murakami ci ha descritto utilizzando la sobrietà di uno stile delicato ed intimo che si è accostato perfettamente alla psicologia dei personaggi e del lettore stesso. Che la diversità del romanzo abbia o no giocato un ruolo vincente sugli altri, non si può negare che una volta chiuso e riposto sullo scaffale, Norwegian Wood lascia aperta la nostra nostalgia e ci invita a far rientrare qualche dolce o amaro ricordo, flebile o nitido che sia, per poi guardarlo da lontano e riflettere su chi siamo ora, grazie ad essi. 7


La straordinaria stirpe dei Brueghel Meraviglie dell’Arte Fiamminga a Roma di Maria Chiara Lorenti

Pieter Brueghel il giovane, “Danza nuziale all’aperto”, 1610

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dedicato a

Maarten van Cleve, “Matrimonio di contadini”, 1558 - 1560

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ruegel o Brueghel? Si inizia con Pieter Bruegel, il vecchio, anche se morto a quarant’anni, che ha latinizzato il suo cognome abolendo l’acca, ripristinata dai suoi figli Pieter Brueghel, il giovane, e suo fratello Jan il vecchio, proseguendo per quattro generazioni con Jan il giovane e finendo con la prole di quest’ultimo, cinque su undici dipingevano, tra cui si distingue Abraham. Centocinquant’anni di pittori magistrali, ma l’Arte si trasmette geneticamente? Con una dinastia come la loro, certamente si. Roma, fino al due giugno, mette in mostra al Chiostro del Bramante “Brueghel, meraviglie dell’Arte fiamminga”, per la prima volta la capitale ospita una rassegna così importante sulla stirpe della più rappresentativa famiglia di artisti dei Paesi Bassi. Oltre cento le opere in esposizione, molte per la prima volta in Italia, che permetteranno al visitatore di ammirare i capolavori dell’epoca d’oro della pittura fiamminga. Ispiratosi all’inizio della sua carriera allo stile di Hieronymus Bosch, Pieter Bruegel se ne discosta trovandone uno suo originale, ove ogni dipinto deve raccontare molte storie, e il soggetto principale spesso è celato a favore della coralità della scena, i particolari devono essere scoperti da chi osserva che frantuma la composizione in tanti frammenti diversi per poi ricollocarli in un’unica trama narrativa. I personaggi che affollano i suoi quadri sono sempre immersi nel loro lavoro, indaffarati nelle loro attività, non sono i protagonisti assoluti della tela, non sono, come spesso succede con altri autori, in posa, ingraziandosi chi li guarda, ma sovente sono ripresi di spalle, è l’azione che conta non l’uomo, anzi protagonista è la natura, bella, selvaggia, inospitale o lussureggiante, minuziosamente raffigurata, ricca di piante, di fiori... si, quei fiori che recisi formano quelle meravigliose nature morte, metafore della fugacità della vita, che diverranno poi il genere in cui si specializzeranno i rampolli della dinastia.

La mostra da più spazio ai dipinti dei due figli di Bruegel, Pieter Brueghel il giovane che segue gli insegnamenti paterni, ricalcandone i temi ma con un occhio più indulgente, imidandone le orme stilistiche differenziandosi però per una vena meno moralista e più arguta. Nelle scene di costume, la vivacità delle danze contadine prende il sopravvento su ogni altra considerazione, ha quella sfrenata allegria che diviene forza trainante, predisponendo virtualmente alla partecipazione, la raffigurazione ha un carattere umoristico, i nasi rossi, indice di abbondanti libagioni, gli approcci sfrontati e promiscui sono particolari rivelatori di una certa rilassatezza nei costumi che distingueva quella classe sociale dalle rigide convenzioni della società borghese, più retrograda e bigotta. Per quanto riguarda Jan il vecchio, nelle sue interpretazioni vi è, nell’impianto stilistico, una connotazione serena, poetica, quasi fiabesca, coglie nei paesaggi un senso di meraviglia per la varietà infinita di animali e vegetali, Jan “dei velluti” così soprannominato per la qualità cromatica delle sue opere che lo avvicina al talento paterno e ne ha determinato la fortuna lavorativa. I quadri di Pieter Bruegel si possono scomporre e ricomporre, i personaggi effigiati si possono isolare dal contesto generale e possono essere spostati in avanti o indietro, come comparse in una scena di un film, ognuno può raccontare la sua storia singolarmente oppure tutti insieme possono essere la “storia”, come ben si evince nella pellicola del regista polacco Lech Majewski “The mill & the cross” (I colori della Passione, in italiano), uno splendido lungometraggio che fa intuire il suo percorso artistico, analizzando l’opera, di questo straordinario capostipite di una stirpe irripetibile. Peccato che la mostra sia carente proprio delle sue opere, quelle che ci fanno sognare. 9


Il Castello Aragonese di Ischia

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musei

Accosto ad un’isola verde e profumata, vetusto custode di una storia di fasti e di dolori di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

A quale strazio la mia vita adduce Amor, che oscuro il chiaro sol mi rende …… Se verde prato e se fior vari miro, priva d’ogni speranza trema l’alma …… La lirica, di cui sono stati riportati pochi versi, costruita sul contrasto tra la bellezza della natura che rifiorisce e la desolazione del cuore, incapace ormai di gustare qualsiasi piacere, fu scritta dalla poetessa Vittoria Colonna (1490-1547) alla morte dell’amato marito. La colta e raffinata fanciulla, nobile non solo di nascita, aveva sposato Francesco Ferdinando D’Avalos nel 1507 nel Castello Aragonese di Ischia, ove trascorse alcuni anni ricchi di fermenti culturali ed emotivi, circondata dai migliori artisti e letterati del secolo tra i quali Michelangelo Buonarroti, cui fu legata da profonda amicizia ed intesa spirituale. Delicata nei lineamenti, schiva nello sguardo come appare nel ritratto che le dedicò Michelangelo, musa ispirata ed ispiratrice, fece di Ischia il salotto culturale partenopeo oltre ad esaltarne e a diffondere presso le migliori casate italiane, anche con gli scritti, le bellezze naturali e le risorse salutistiche che caratterizzano l’isola. In tempi moderni e contemporanei, forse per onorare la colta e sensibile Vittoria, periodicamente alcune sale del castello ospitano incontri letterari, concerti, mostre di scultura e pittura di artisti famosi contemporanei quali: Manzù, De Chirico, Picasso, Dalì, … . Per il castello Aragonese, però, costruito su un isolotto e collegato per mezzo di un ponte in muratura all’antico borgo di Celsa, oggi Ischia Ponte, la permanenza della poetessa romana costituisce solo un tassello in quel mosaico di fatti, personaggi, gente comune, costruzioni e distruzioni che caratterizzano la sua storia millenaria. La prima fortezza, il Castrum Gironis, fatta costruire nel 474 a.C.

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dal greco Gerone I, tiranno di Siracusa, venne occupata prima dai Partenopei e poi dai Romani, nel 315 a.C., che la dotarono di alte torri per sorvegliare le navi nemiche. Durante l’Alto Medioevo venne radicalmente modificata in modo da poter fungere da rifugio sicuro per la popolazione contro i saccheggi da parte di Visigoti, Vandali, Ostrogoti, … , nonché dall’eruzione dell’Arso nel 1301. La fisionomia attuale del castello si deve agli Aragonesi che fecero costruire un ponte per collegare l’isolotto all’isola, delle poderose mura all’interno delle quali, ancora una volta, gli Ischitani trovavano rifugio durante le incursioni dei pirati, quattro torri di avvistamento. Il periodo di massimo splendore si ebbe agli inizi del XVI secolo quando il maniero ospitava 1892 famiglie, un convento, un’abbazia, tredici chiese, tra cui la cattedrale in cui furono celebrate le nozze della nostra poetessa e del marchese D’Avalos. Nel 1823 Ferdinando I re delle Due Sicilie lo trasformò in carcere politico e tale mansione ebbe fino al 1860. Agli inizi del XX secolo venne acquistato da una famiglia ischitana che lo restaurò e lo aprì al pubblico. Oggi, all’ignaro turista che si aggira tra le strette e caratteristiche viuzze di Ischia Ponte, inebriato da profumi intensi e penetranti, catturato dalla vitalità e cordialità dei passanti, il Castello Aragonese appare minaccioso, inospitale, ostile e completamente avulso dalla realtà circostante dalla quale lo “separa” anche un lungo ponte. Se, però, il turista è un viaggiatore curioso, attraverserà il ponte … ed il castello lo ricompenserà donandogli emozioni e sensazioni visive ed olfattive indimenticabili. Al suo interno, infatti, custodisce vestigia pregne di storia che evocano momenti di fasto, ma anche di sconfinate solitudini e sofferenze; giardini verdeggianti dove arbusti della macchia mediterranea si accompagnano a giunoniche piante grasse; scenari mozzafiato che permettono all’occhio di spaziare tra il cielo e il mare, “sfiorare” Procida e Vivara, intravedere Capri e la Penisola Sorrentina.


I cattivi ragazzi in scena

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in mostra

L’anglo americano Paul Harbutt all’Aranciera di Villa Borghese di Stefania Servillo

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n ogni epoca si è sempre parlato di ribellione: agli stereotipi, alle limitazioni, alla legge genitoriale o istituzionale… ogni forma che si discostava da quello che veniva considerato giusto in un dato momento della storia in cui si è vissuti. Tutti questi momenti che ora ci sembrano lontani, e che

a volte non capiamo appieno visto che fanno riferimento ad epoche che non abbiamo vissuto in prima persona, divengono un vessillo nella mostra curata da Achille Bonito Oliva nel museo Carlo Bilotti: Bad boy ci aspetterà per sorprenderci fino al 3 marzo. La personale di Harbutt, con ironia a volte pungente ed altre un po’ semplicistica, rileva una storia dell’insubordinazione infantile e adolescenziale creando, attraverso ottanta opere, un carnet di brutte abitudini che gli adulti tendono, con punizioni, di rimuovere. La posizione dell’artista, tra il pedagogico e il polemico, instilla un dubbio negli spettatori, e cioè che in fin dei conti, quegli atti di insubordinazione potrebbe non essere altro che la ricerca di se stessi in un periodo delicato della crescita, attraverso la conoscenza di quella che sembra una libertà negata da regole che in fin dei conti proprio non si riescono a capire. Un modo per porci domande, a cui ognuno troverà risposte diverse magari ricordando i propri anni adolescenziali.

L’infanzia fotografata in mezzo secolo

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fotografia

A Palazzo Incontro l’esposizione di Elliot Erwitt di Luca Deias

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erché un fotografo, che ha alle spalle una carriera di oltre sessanta anni e che nel corso della sua vita ha fotografato di tutto e di più, fa una mostra incentrata solo ed esclusivamente sui bambini? Semplicemente sono il suo soggetto preferito. Così, scegliendo cinquanta foto tra le migliaia scattate dagli anni ’50 ad oggi, nasce l’esposizione fotografica “Fifty Kids” di Elliot Erwitt. Nella breve intervista riportata all’entrata della mostra, il fotografo, nato in Francia da genitori ebrei di origine russa, spiega come lui, l’infanzia, non la ha vissuta affatto, avendola trascorsa fuggendo per l’Europa dalla minaccia nazista, fino a sbarcare negli USA, dove poi comincerà la sua carriera da fotografo. Osservando queste foto si ha l’impressione che, dalla giovinezza alla vecchiaia, Erwitt abbia quasi ossessivamente ricercato la sua infanzia negli occhi dei bambini di tutto il mondo, cercando di catturarla con la sua macchina fotografica. Per lui si è bambini fino a quando non si viene corrotti dalla società, fino a quando i propri comportamenti sono spontanei e senza filtri. Impressionando sulla pellicola solo i bambini infatti è impossibile stabilire dove e quando sia stata fatta la foto, così, anche in piena guerra fredda, i bambini russi sono uguali a quelli americani, e il primo piano scattato nel 1950 è incredibilmente simile a quello scattato quarant’anni dopo. Queste cinquanta foto quindi scivolano piacevolmente sotto i nostri occhi, come se ci sedessimo a guardare cinquanta bambini di epoche e terre diverse giocare tra loro ignorando qualsiasi confine, fuori dal tempo e dallo spazio. 11


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architettura manga

Slam Dunk

Il basket-manga per eccellenza di Valerio Lucatonio Dai personaggi, tutti caratterizzati sia da rapporti interpersonali verosimili e coinvolgenti, sia da un design grafico realistico, fino alla comicità constante in ogni capitolo, accompagnata anch’essa da uno stile grafico, il “super-deformed”, azzeccatissimo all’umorismo di Inoue. Altro tratto dell’autore, fondamentale in questo titolo, è sicuramente l’amore per il basket (vedremo le note a fine volume spiegarci il rapporto tra il giovane Takehiko e la pallacanestro) che lo ha spinto ha creare un manga che, oltre ad intrattenere come un vero campionato della NBA, fa passare da disegnatore a lettore la passione per questo sport. Oltre a fornici informazioni e curiosità da vero fan del basket in molte vignette Inoue riesce a rendere la lettura emozionante grazie a momenti epici o di riflessione sugli sbagli di un atleta: in Slam Dunk un canestro può farci emozionare sia che venga segnato o che venga sbagliato, cambiando l’esito della partita. Anche tutti questi elogi non bastano a rendere l’idea della maestosità di questo lavoro, il cui argomento centrale è l’amore (per lo sport, per la competizione, per una ragazza), che si può comprendere solo dopo una lettura approfondita di tutti i volumi, che stanno uscendo per D/Visual in un formato di lusso che lo rende ancora più appetibile.

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anga Spokon (di genere sportivo) che è riuscito a far iniziare a giocare a basket più di una generazione di giapponesi, Slam Dunk (di Takehiko Inoue, 1990-1996 su Weekly Shonen Jump) è sicuramente uno dei più apprezzati al livello mondiale, sia per quanto riguarda i fumetti sportivi che i manga in generale. La storia inizia insieme alla vita liceale di Sakuragi Hanamichi, ex-teppista che decide di unirsi al club di basket della scuola per far colpo su una ragazza, Haruko, nonostante non si fosse mai interessato allo sport. Con l’andare avanti della storia, l’autoproclamatosi genio del basket, Hanamichi avrà modo sia di migliorare a livello agonistico sia a livello umano grazie all’incontro con diversi personaggi, dal quale nascerà a volte amicizia, a volte rivalità o un affetto quasi fraterno con i compagni di squadra. La trama andrà avanti grazie al sogno del capitano del club, Takenori Akagi (fratello di Haruko), che non vuole farsi scappare l’ultima chance di partecipare al torneo nazionale lottando con un’ambizione e un’amore per il basket spropositati. Il finale può essere a tratti deludente e poco azzeccato, ma i pregi che hanno fatto di quest’opera un must internazionale e un’icona del basket a fumetti sono altri.

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cinema curiosART

Il carnevale

Divertimento e trasgressione nell’arte di Cristina Simoncini

Pieter Bruegel il vecchio, “Battaglia di Carnevale”

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ebbraio è il mese del Carnevale, la festa più allegra e burlona dell’anno che viene rappresentata simbolicamente dalle maschere. L’usanza di mascherarsi è molto antica. Durante l’Impero Romano era amatissima la festa dedicata alla dea dell’autunno Pomona, quando gli uomini si travestivano da donne per imitare il dio Vertumno, che aveva conquistato il cuore della divinità autunnale in tale modo. L’euforia di quei tempi pagani, in cui le donne venivano corteggiate da maschi con aspetti effeminati e i volti nascosti da maschere, con l’avvento del cristianesimo si permise di farla rivivere nel giorno di carnevale. Famose ancora oggi sono le feste carnevalesche organizzate da Lorenzo il Magnifico. Egli adorava talmente questa festività da dilettarsi a comporre delle canzoni per tenere alti i divertimenti nella sua corte; desiderando poi far felice anche il suo popolo, faceva girare grossi carri per Firenze, dove chiunque fosse mascherato poteva salirvi. Nella Roma papale, oltre a mascherarsi ed esultare per le strade, si facevano corse di cavalli (dette corse dei bàrberi) e giochi vari come la gara dei moccoletti, dove ogni partecipante cercava di spegnere il moccolo dell’altro.

Pierre Bergaigne , “Ballo di Carnevale”

Pierre Bergaigne, “Parata di Carnevale con figure mascherate” Inevitabile quindi, per la gioia che procurava, l’a raffigurazione frequente del Carnevale nei quadri. Il primo a dipingere un tema carnevalesco, fu il fiammingo Bruegel con: “Battaglia di Carnevale”. Come sempre il pittore ritrae una moltitudine di persone e qui sono intente a mangiare, far baldoria, azzuffarsi e giocare (alcune persone fanno il girotondo, altri si danno da fare con i dadi). Anche il francese Pierre Bergaigne (1652-1708) realizzò in due quadri la festa del Carnevale, mostrando uomini e donne mascherati che cantano e ballano, nel primo collocandoli in una piazzetta affollata, tra la musica chiassosa di strumenti a percussione, mentre nel secondo in una festa privata rischiarati dalla luce delle candele. Ciò c’informa che la gente benestante festeggiava per strada, quella altolocata in casa e la classe sociale più povera evidentemente restava a guardare. Fritz Zuber Buhler invece dipinge un bellissimo carro carnevalesco con attorno persone in maschera che si divertono aggiungendo però un padre e un figlio (di lato nel quadro vestiti da lavoro) per sottolineare che tali festeggiamenti erano solo per classi benestanti. Fonti:www.falsodautoregiulioromano.it, www.pitturaomnia.com

Fritz Zuber-Buhler,“La Mi-Careme (Il giovedì grasso a Lent)” 13


“Il sogno di John Ball” di Rossana Gabrieli

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occhio al libro

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n lavoro unico e prezioso, quello della traduzione, curata dal bravissimo Vanni De Simone, di un testo poco conosciuto in Italia, ma noto ed aprrezzato nel panorama letterario inglese: “Il sogno di John Ball” di William Morris. Edito oggi da Bevivino Editore, il libro originale apparve per la prima volte nel 1888 e si inserì naturalmente nella corrente utopicosocialista dell’epoca. Il protagonista, infatti, racconta che, dopo aver annusato un “papavero bianco”, si ritrova a vivere una esperienza allucinatoria (ma fino a che punto?), in cui assiste alla rivolta contadina incoraggiata e sostenuta con veemenza da un prete di campagna, John Ball, che durante una notte intrattiene il nostro protagonista in una conversazione di carattere politico e sociale, che resta incredibilmente attuale e in linea con i tempi. La bravura di Vanni De Simone sta anche – ma non solo – in questa capacità di coinvolgere il lettore in una discorsività che annulla i limiti temporali (l’epoca di John Ball – l’età di William Morris – i nostri tempi) e svincola da qualunque contingenza storica. Ma tutta da leggere ed apprezzare è anche l’accurata prefazione storico-letteraria attraverso cui De Simone ci conduce per mano a rivisitare un’Inghilterra ottocentesca, che portò in seno i semi di tanta parte della nostra contemporaneità. Ricordiamo che “Il sogno di John Ball” si inserisce nella collana “Viaggiatori dell’Utopia”, edita da Bevivino, e che Vanni De Simone è uno dei più validi ed innovativi scrittori contemporanei che oggi vivano ed operino in Italia.

“Gli anni di nessuno”

Il romanzo di Giuseppe Aloe considerato l’erede della “Coscienza di Zeno” di Martina Tedeschi

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l titolo curioso e la trama triste ma coinvolgente, sciolgono l’interesse man mano che ci si addentra nella vicenda. “Gli anni di nessuno”, il nuovo ed appassionante romanzo di Giuseppe Aloe (finalista dello scorso Premio Strega), commuove il pubblico con la malinconica storia di Gambart, un uomo che ha perso la sua infanzia nel buio della stanza dove era costretto a vivere, senza suoni, parole o contatti; senza giorno. La sua unica colpa per meritare tale punizione: la morte della madre che la sorprese dandolo alla luce. L’ira ed il rancore del padre per l’inaccettabile perdita della moglie che tanto amava, lo spinsero oltre ogni limite, tanto da rinnegare il figlio e derubarlo dei suoi anni infantili, gli anni della scoperta del mondo, della prima vita. Dissotterrato dalla sua ingiusta punizione, Gambart si ritroverà al suo fianco il professor Gondrenovic, l’uomo che lo iniziò alla sua prima, vera esistenza, e Annette, amica di gioventù che lo accompagnerà nella scoperta delle più belle emozioni e dei primi sentimenti. E’ un viaggio di ricostruzione, quello di Gambart, di se stesso e dei suoi ricordi che lo aiuteranno a prendere coscienza del suo essere e a ricollocarsi nel mondo di cui, finalmente è entrato a far parte. Ed è proprio per il percorso di questo personaggio che l’atmosfera del romanzo ricorda tanto quella della “Coscienza di Zeno”, di Italo Svevo: la ricerca di una guarigione dal malessere, la scoperta di se stessi e una profonda analisi psicologica, sono i tasti più premuti di queste due storie considerate, in qualche modo, simili. E Aloe dimostra, con “Gli anni di nessuno” di aver fatto suo il registro del flusso di coscienza, e ci sorprenderà ancor di più con il colpo di scena alla fine della storia, inaspettato e mozzafiato.

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Aprilia

Passaggio - L’arte al mercato - Francesco Nencini (articolo a

pag. 3)

Mercato coperto, dal 2 febbraio 2013 al 15 febbraio 2013 Rosa Fucale - Mostra personale (articolo a pag. 3) Spazio 47, fino al 28 febbraio 2013 Passaggio - L’arte al mercato - Alessandra Fusi Mercato coperto, dal 16 febbraio 2013 al 1 marzo 2013 Passaggio - L’arte al mercato - Baolo Boccardi Mercato coperto, dal 2 marzo 2013 al 16 marzo 2013 Cristina Simoncini - Mostra personale Spazio 47, fino al 31 marzo 2013

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Roma

Jimmie Durham . Streets of Rome and Other Stories

MACRO, fino al 10 febbraio

Pascale Marthine Tayou . Secret Garden

MACRO, fino al 10 febbraio

La seduzione dell’artigianato

Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari, fino al 10 febbraio Mike+Doug. Starn

Macro Testaccio (La Pelanda), fino al 10 febbraio Michele de Lucchi

Volume!, fino al 15 febbraio Etti Abergel e Yael Balaban / Ofri Cnaani

Galleria Marie-Laure Fleisch, fino al 16 febbraio L’Italia di Le Corbusier

MAXXI, fino al 17 febbraio 2013 Antonio Biasiucci

Istituto Nazionale per la Grafica (Palazzo Poli), fino al 17 febbraio Cleo Fariselli

Lu mi project (Palazzo Montoro), fino al 21 febbraio Chester

CO2, fino al 23 febbraio Luigi Ontani

Museo Hendrik Christian Andersen, fino al 24 febbraio Grande Cinema Italiano

Sinergy Art Studio, fino al 25 febbraio Vari(e)Azioni

Chiostro del Bramante, fino al 28 febbraio

Carlo Saraceni

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Eventi

Museo Nazionale di Palazzo Venezia, fino al 3 marzo Bad boy di Paul Harbutt (articolo a pag. 11) Museo Carlo Birotti, fino al 3 marzo 2013 William Kentridge

Maxxi, fino a 3 marzo Grazia Toderi - Mirabilia Urbis MAXXI, fino al 3 marzo 2013 Luce dalle Terre dell’Ambra

Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, fino al 10 marzo Roma Caput Mundi. Una città tra dominio e integrazione Colosseo, Foro romano, fino al 10 marzo 2013 Elliot Erwitt (articolo a pag. 11)

Palazzo incontro, fino al 17 marzo Litterature, aujourd’hui

Accademia di Francia (Villa Medici), fino al 19 marzo Sulla via della seta. Antichi sentieri tra oriente e occidente Palzzo delle Esposizioni, fino al 24 marzo 2013 Visitors Book Museo Mario Praz, fino al 24 marzo Modelli/Models Maxxi, fino al 2 aprile [S]oggetti migranti Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico Luigi Pigorini, fino al 2 aprile About Caravaggio Scuderie Aldobrandini, fino al 7 aprile Canova Museo di Roma (Palazzo Braschi), fino al 7 aprile Tutti De Sica (articolo a pag. 6) Museo dell’Ara Pacis, fino al 28 aprilie 2013 Ardea e Manzù Raccolta Giacomo Manzù, fino al 30 aprile L’età dell’equilibrio. L’arte romana durante il principato di Traiano e Adriano Musei Capitolini, fino al 5 maggio 2013 Brughel, meraviglie dell’arte fiamminga (articolo a pagg. 8-9) Chiostro del Bramante, fino al 2 giugno 2013

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Torino

Riflessi d’oriente. 2500 anni di specchi in Cina e dintorni. Lo spechhio cinese e la sua diffusione dal VI secolo a.C. all’epoca moderna (articolo a pagg.4) MAO, fino al 24 febbraio 2013


David LaChapelle (Fairfield, 11 marzo 1963)

Fotografo e regista statunitense, è attivo nei campi della moda, della pubblicità e della fotografia d’arte. Noto per il suo stile surreale e spesso umoristico, è considerato uno dei fotografi più geniali di tutti i tempi. 16


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