Occhio all'Arte (febbraio 2017)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 101 febbraio 2017

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

ndedicato a: Igor Morski In mostra: Artemisia n Gentileschi

Igor Morski, Illustrazione per “Focus” Polonia

In mostra: Van Gogh e il Occhio al libro: La dama e n n Japonisme l’unicorno


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

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Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2016-2017 CORSO FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’-MERCOLEDI’-GIOVEDI’VENERDI’ 20,30-22,30

CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’-GIOVEDI’ 09,00-11,00 18,00-20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’-GIOVEDI’ 18,00-20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’-MERCOLEDI’ 18,00-20,00

CORSO DI DISEGNOFUMETTO-SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30-18,45

CORSO OLIO LUNEDI’-VENERDI’ 18,00-20,00 20,00-22,00 MARTEDI’-GIOVEDI’ 09,00-11,00 18,00-20,00

CORSO DI YOGA DELLA RISATA MERCOLEDI’ 20,30-21,30

CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’-GIOVEDI’ 18,00-20,00

CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’-MERCOLEDI’-VENERDI’ 18,30-20,00

CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Associazione Arte Mediterranea Maurizio Montuschi, Giulia Gabiati, Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Tel.347/1748542 Maria Centamore, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna, Alex Baltag occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Responsabile Marketing Aut. del Tribunale di Latina Cristina Simoncini N.1056/06, del 13/02/2007 Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Amministratore Antonio De Waure Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale Stampa Associazione Arte Mediterranea via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

CORSO DI CERAMICA BASE Maestra Ivana Basciglie’ INCONTRO CON L’ARTISTA 4 LEZIONI SU LA STORIA E LA TECNICA PITTORICA DI 4 ARTISTI PIU’ SIGNIFICATIVI Maestro Riccardo Parisi 4 INCONTRI DISEGNO E PITTURA PER BAMBINI Maestra Sabrina Carucci WORKSHOP RICORDO…GRAZIE A QUESTA PENNA Incontro di scrittura creativa Domenica 13 novembre 2016 10,30-13,00 14,00-17,00 WORKSHOP IN ORARIO DA DEFINIRE ATMOSFERA DI UN PAESAGGIO Maestro Marco Rapone

CORSO DI CERAMICA Ins. Ivana Barsciglie’

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale,

CORSO MODELLAZIONE CERA SBALZO E CESELLO Maestro Rosario Luca Salvaggio

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Sommario

Hans Belting Artemisia Gentileschi Van Gogh e il Japonisme Igor Morski Assassin’s Creed La dama e l’unicorno Vanni Codeluppi “Sister Act” al Brancaccio La buca delle elemosine a povere famiglie onorate sul filo di china “Borges, bestie, carte.Una mostra zoologica fantastica”


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occhio al libro

Hans Belting

“Antropologia delle immagini” di Giuseppe Chitarrini

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n l i b r o p o s s e n t e e p o d e r o s o, d i o l t r e trecento pagine ben rilegate e con c o p e r t i n a d u ra , c o n q u a s i d u e c e n t o f o t o i n b i a n c o e n e r o, g i u n t o, i n I t a l i a a l l a seconda edizione: la prima (sempre Carocci) nel 2 0 1 1 e l a s e c o n d a n e l 2 0 1 6 . Ve n n e p u b b l i c a t o p e r la prima volta in Germania nel 2001, suscitando molto interesse e non poche polemiche sia in ambito a n t r o p o l o g i c o c h e , s o p ra t t u t t o, n e l c a m p o d e l l a Critica e della Storia d e l l ’A r t e , i n v i r t ù d e l fa t t o che il libro costituisce in s é u n a n o v i t à p e r i l fa t t o che l’autore, proprio con questo volume, intenda d a r v i t a a u n a v e ra storia dell’immagine e dell’iconografia riconducibile prioritariamente alle competenze e alla ‘potestà’ dell’Antropologia culturale, affrancandola così dalla ‘giurisdizione’ più convenzionale e consueta della Critica e della Storia dell’ Arte. L’ a u t o r e H a n s B e l t i n g , studioso e g ra n d e umanista, è docente di S t o r i a d e l l ’ a r t e e Te o r i a d e l l e i m m a g i n i a l l ’ U n i v. d i Ka r l r u h e e H e i d e l b e r g , una formazione storica in s e n s o a m p i o, i s p i ra t a a l l a t ra d i z i o n e s o c i o l o g i c a e di storia delle culture e delle civiltà, che fu di Norbert Elias ed Helmut P l e s s n e r e a l t r t i ( c f r. p. 11). Doverosamente l’autore ricorda “che l ’A n t r o p o l o g i a c u l t u ra l e studia gli uomini e le immagini” (p. 19), queste u l t i m e n o n s o l o t a l i , n o n e s i s t o n o s o l o p e r i l fa t t o di essere proiettate o impresse su una parete, u n m u r o, u n a p a g i n a o u n o s c h e r m o, e s s e s o n o il prodotto di quell’intricato processo continuo di i n t e ra z i o n e f ra u o m i n i , f ra u o m i n i e c o s e c h e , n e l s u o s v o l g i m e n t o s t o r i c o e c u l t u ra l e , h a l a s c i a t o l e s u e t ra c c e n e g l i a r t e fa t t i e n e i m a n u fa t t i , “ e d a l momento che non sono mai esistite immagini fisiche senza partecipazione delle immagini mentali…e dal momento che un’immagine è per definizione qualcosa che è stata vista” (p.14 dell’Introduzione),

a l l o ra e c c o c h e i l g e n e r e u m a n o, l ’ u o m o i n t u t t a l a sua corporeità è chiamato in causa come elemento c e n t ra l e d i q u e l l a u n i t à s i m b o l i c a d e f i n i t a , a p p u n t o, I m m a g i n e . S e n z a u n e s s e r e u m a n o c h e guarda, con tutta la sua interiorità, il suo portato s o c i a l e e c u l t u ra l e , i l s u o v i s s u t o e c c . l ’ i m m a g i n e n o n ra p p r e s e n t a n i e n t e : “ i l l u o g o d e l l ’ i m m a g i n e è l ’ u o m o ” ( p . 7 3 ) . L’ u o m o l a g u a r d a e n e v e i c o l a , dandole forma, senso e significato come presenza e c o m e e s s e n z a ( c f r. p. 15); una presenza principalmente simbolica che unisce qualcosa che g ra f i c a m e n t e c ’ è , m a c h e effettualmente non c’è e al quale, appunto solo l ’ u o m o, p u ò c o n f e r i r e senso e significato. Un esempio pregnante che spiega tutto q u e s t o, l ’ a u t o r e l o t r o va e c e l o i l l u s t ra n e l l e p a g i n e d i questo denso volume, a t t ra v e r s o i repertori f u n e ra r i che hanno c a ra t t e r i z z a t o t u t t e l e culture e tutte le civiltà, in q u a n t o ra p p r e s e n t a z i o n e (immagine f o t o g ra f i c a , pittorica, plastica, statuaria ecc. ) di chi n o n c ’ è , è s c o m p a r s o, lasciando però un suo patrimonio a f f e t t i v o, s i m b o l i c o, ra m m e m o ra n t e c h e s i v e i c o l a e s i ra p p r e s e n t a , a p p u n t o, a t t ra v e r s o la sua presenza iconica di immagine, o ra p p r e s e n t a z i o n e metaforica, quali, p. e s . i s a r c o fa g i o l e s t a t u e c i m i t e r i a l i , g l i ‘ i n g e n u i ’ disegni degli ex voto e quant’altro. U n l i b r o i m p e g n a t i v o, d e n s o e c o r p o s o, f o r s e i n n o n p o c h i t ra t t i d i n o n fa c i l e l e t t u ra , m a i n d u b b i a m e n t e r i c c o d i s a p e r e , d i s u g g e s t i o n i e d i s p i ra z i o n i , u n a l e t t u ra u t i l e p e r i s o c i o l o g i e g l i a n t r o p o l o g i c h e si occupano di arte, di visualità e di studio degli ambiti semiotici ecc. H a n s B e l t i n g , “A n t r o p o l o g i a d e l l e i m m a g i n i ”, C a r o c c i e d i t . , Ro m a 2 0 1 6 ( I I ° e d i z i o n e ) , p p . 3 3 6 , Euro 38,00

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Artemisia Gentileschi

Un’artista in un mondo di uomini di Maria Chiara Lorenti

Giacomo Balla, “La bambina che corre sul balconedazione” (Ripetizione)

Artemisia Gentileschi, “Giuditta decapita Oloferne”

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Artemisia Gentileschi, “Danae”

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ascere donna, e per di più pi ttrice, figlia di un artista noto, e risul tare al la lunga migliore di cotanto padre, non è stato semplice. S e poi mettiamo che il geni tore non aveva un buon carattere, tanto che un suo col lega, il Giovanni B aglione, suo rivale nel le commissioni lavorative, nel la sua biografia ri ferì che: “... se Horatio Gentileschi fosse stato di humore più praticabile, avrebbe fatto assai gran profitto nel la virtù, ma più nel bestiale che nel l’umano egli dava ”. Art emisia Gentileschi è, tra le artiste, la più famosa, sia per la sua mirabile perizia pi ttorica che per le sue vicissi tudini familiari. Vissuta in adolescenza, sotto lo stretto dominio paterno, che le faceva frequentare la sua bottega, qui, un amico del padre, Agostino Tassi, paesaggista, la violenta, poi continua la tresca prospettandole il matrimonio, omettendo, però, di essere già sposato. I giudici, nel processo intentato dal padre, per darle ragione, la tortura, solo lei, ma imperterri ta Artemisia resiste, ed il Tassi viene condannato per stupro, e tra cinque anni di lavori forzati e l’esilio da Roma, scelse (pensa un po’) l’esilio. Ma tutto ciò la temprò, il carattere voli tivo e ribel le del la Gentileschi, nonostante costretta dal geni tore ad un matrimonio riparatore con il pi ttore fiorentino Pierantonio Stiattesi, si impose, rendendola, per quanto fosse possibile, una donna libera ed indipendente, negli amori e nel lavoro . Stabili tasi a Firenze, ben presto viene introdotta al la corte di Cosimo II dei Medici, e lì il suo stile si affina ed è così considerata da essere accol ta, prima del suo sesso, nel la Accademia di disegno. Oberata dai debi ti, torna a Roma e, influenzata dal pi ttore Simon Vouet, dipinge “Giudi tta decapi ta Oloferne”. Trasferi tasi a Napoli entra in una cerchia di artisti

in mostra

Artemisia Gentileschi, “Ester e Assuero” che rivisi tano il naturalismo caravaggesco in chiave classicista, così la sua pi ttura si arricchisce di una nuova luce ed il suo talento conclamat o la porta in varie corti europee. A Roma, il Museo di Roma, nel l’ importante cornice di Palazzo B raschi, ospi ta, fino al 7 maggio, la mostra “Artemisia Gentileschi e il suo tempo”. La rassegna si propone di andare ol tre ai soli ti cliché che accompagnano da sempre la figura del la pi ttrice seicentesca, e forte di ul teriori studi, ne fa emergere lo straordinario estro, la fortissima personali tà, messi in relazione coi pi ttori suoi contemporanei. Infatti le opere autografe esposte sono una trentina, attentamente selezionate dai più grandi musei del mondo, insieme ad una sessantina di dipinti di artisti come Jusepe de Ribera, Giovanni B aglione, Simon Vouet, solo per ci tarne alcuni, pi ttori con cui ha aperto un dialogo artistico con influenze comuni che hanno arricchi to le loro conoscenze. L’esposizione, curata da Francesca B aldassarri, Nicola Spinoza e Judi th Mann, si suddivide in varie sezioni cronologiche. L’esordio a Roma, Artemisia a Firenze, il ri torno a Roma, e Artemisia a Napoli. La “Morte di Cleopatra” del la gal leria Sarti di Parigi, “Danae” del Museo di Saint Louis, “Ester e Assuero”del Metropoli tan museum di New York, e “Giudi tta che taglia la testa a Oloferne” del Museo di Capodimonte, sono alcuni dei capolavori esposti, che di fficilmente si riescono a visionare tutti insieme, e con essi, in un ideale confronto, le grandi opere di suo padre Orazio, di Giovanni Martinel li, di Antiveduto Grammatica ed al tri, ol tre a quel li prima ci tati. Un meraviglioso viaggio nel l’arte del seicento, ove lei, Artemisia, fu una stel la di prima grandezza. 5


Van Gogh e il Japonisme

L’Arte occidentale incontra l’Arte orientale di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

Van Gogh , “Agostina Segatori au Café du Tambourin” (particolare) - 1887

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n’atmosfera annebbiata, piena di fumo, un fondo verdastro su cui si distinguono, a fatica, delle stampe giapponesi che sembrano “smarrite” sulla parete, così come la donna in primo piano. Rannicchiata, sprofondata nei suoi pensieri, lontana, chiusa in se stessa, aggrappata al bicchiere e alla sigaretta, per non soccombere alla solitudine e allo straniamento. ”Agostina Segatori au Café du Tambourin” Parigi, 1887. Ancora stampe giapponesi sullo sfondo, ma questa volta chiare e inconfondibili nella rappresentazione dei soggetti, che sono orientati verso la figura centrale, che domina come un’icona. Sembra che gli attori e le cortigiane degli ukiyo-e ”offrano solo a lui la ritualità dei movimenti dei loro corpi e che solo per lui si stagli la montagna sacra del Fusijama”. “ Ritratto di père Tanguy” Parigi, 1887. L’uomo effigiato è Julien Tanguy, il fornitore di colori di Van Gogh, colui che merita l’appellativo di padre. Uomo buono, generoso, solidale con Vincent e con tutti i pittori squattrinati, che si rivolgevano a lui. Nel retrobottega del suo modesto negozio, aveva attrezzato una specie di galleria d’arte, nella quale erano esposti e in vendita i loro quadri. In gioventù aveva vissuto i giorni gloriosi della Comune parigina, ora scopriva delle affinità con gli artisti moderni, riformatori del mondo, disconosciuti e disprezzati come lo era stato lui. Labbra piene, naso largo, tristezza e pensosità nei grandi occhi neri dell’italiana che si staglia su una “carta giapponese” di colore giallo aranciato, che avvolge, con la sua luminosità, l’immagine bidimensionale. Singolare gioco cromatico nel vestito della donna, in cui s’intrecciano, creando un contrasto ”armonioso”, i toni del giallo, del verde e del rosso, con pennellate di nero e di bianco. “L’italiana”, Parigi, 1887. Spesso l’artista riproporrà il suo quarto contrasto, non canonico, del bianco e del nero. Soprattutto per ciò che riguarda il nero, ricopiando o

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ispirandosi agli ukiyo-e, scopre la sua predilezione per la sensualità e le valenze simboliche del nero, eliminato rigidamente dagli impressionisti che lo considerano un non-colore. Durante il suo soggiorno parigino, il pittore olandese, trascorre molto tempo nel negozio di Siegfried Bing, rovistando, indisturbato, tra le tantissime stampe giapponesi e lasciandosi irretire dai misteri dell’arte orientale. Ne acquista tantissime, insieme al fratello Theo e nella primavera del 1887, organizza un’esposizione, a Montmartre, nel Café du Tambourin, di proprietà della donna che gli aveva fatto da modella, in più di un’occasione, Agostina Segatori. Sarà appunto inseguendo il Giappone, il suo Giappone, che l’anno seguente raggiungerà il sud, la Provenza, con la sua luce, i suoi splendidi cromatismi mediterranei, il suo calore emotivo, i frutteti in fiore, i mandorli, gli albicocchi, gli alberelli dai fiori leggeri e dalla fragile bellezza. “Ho ancora sempre presente nella memoria l’emozione causatami dal tragitto percorso per venire da Parigi ad Arles. Come spiavo se per caso non fossi già in Giappone”, scriverà al fratello Theo. Ad Arles, Van Gogh trascorrerà il periodo più sereno e produttivo della sua breve vita e della sua altrettanto breve esperienza artistica. Le tele del Maestro olandese giganteggiano nei musei più importanti del mondo; a lui spesso vengono dedicate delle mostre, perché la sua arte è senza tempo e senza confini. In Italia, in questo momento, lo si può ammirare a Treviso fino al 17 aprile, ai musei civici di Santa Caterina. A Roma, fino al 26 marzo, al Palazzo degli Esami dove, ”attraverso un sistema multimediale, sviluppato da Grande Exhibitions, che armonizza motion graphic multimediali, suono surround di qualità cinematografica …” è possibile immergersi nelle opere del pittore proiettate in tre ambienti, mediante quaranta proiettori ad alta definizione. A Milano, al Palazzo reale, è da poco terminata una mostra sul Japonisme.


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in mostra

Van Gogh, “Ritratto di père Tanguy” - 1888 7


Igor Morski

Le controverse illustrazioni dell’artista polacco rivelano il lato oscu di Cristina Simoncini

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esigner grafico polacco, illustratore e scenografo, Igor Morski si dedica sulla tecnica mista dell’arte grafica, basata prevalentemente sulla manipolazione di foto, disegni, di recente anche in 3D. Laureato con lode presso la Facoltà di architettura d’interni e Design Industriale della Scuola Superiore di Stato di Belle Arti di Poznan (ora l’Università delle Arti), alla fine degli anni ‘80 e primi anni ‘90, ha lavorato per la Società di radiodiffusione pubblica e televisione polacca, per la creazione di scenografie per il teatro televisivo e per spettacoli culturali. Igor Morski è co-proprietario dello studio grafico “Morski Studio

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Graficzne” nella sua città natale. La sua arte pubblicitaria è stata commissionata, tra gli altri, dalle principali riviste polacche tra cui “Wprost”, “Newsweek”, “Businesweek”, “Businesman Magazine”, “Manager Magazine”, “Charaktery”, “Psychologia dzis” e recentemente “Focus”. Finora, ha creato circa 1000 illustrazioni. Il suo lavoro appare anche regolarmente su riviste internazionali (“Deloitte Review” , “Prevention” , “Money”, “ITB” e “Men’s Health”, “Womans Health”). È un vincitore di numerosi premi prestigiosi tra cui il “Communication Arts Excellence Award” (2008, 2010) e l’ “Applied Arts Award” (2010). Igor Morski crea immagini surreali intrise di significato nascosto. “E’ la parte del mio cervello responsabile per l’immaginazione che


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dedicato a

uro della società moderna

funziona al meglio. Si può dire che il mio cervello funziona come un surrealista umoristico, e tutto quello che vedo è subito elaborato a modo mio, aggiungendo contesti divertenti, in modo che le idee in realtà mi appaiono quasi immediatamente”. “Surrealismo? Il mio il surrealismo è apparso un po‘ per caso. Per 20 anni ho lavorato come illustratore, la maggior parte di questo tempo per il settimanale polacco “Wprost”. L’inizio della collaborazione con “Wprost” ha coinciso con la decisione dalla casa editrice di questa rivista di illustrare con un solo tipo di immagine, basato sulla manipolazione della foto. Questo, devo ammettere, ha fatto una grande impressione, perché le persone non avevano familiarità con

Photoshop, e molte illustrazioni sono state prese alla lettera, come se ciò che è, era mostrato, fosse proprio vero, particolarmente per fotomontaggi con i politici. A volte ho usato simboli popolari, come il naso lungo di Pinocchio,tuttavia, più frequentemente ho cercato di pensare i miei propri simboli. Ad esempio, “Archeologia creativa” illustra la commercializzazione dell’archeologia. Lì ho rappresentato una testa umana dimezzata e riempita di sabbia, con una figura stilizzata alla Indiana Jones, l’archeologo, in alto. Il simbolismo diventa chiaro. Da un lato, si ha la testa riempita con la sabbia, dall’altro, la figura che scava in essa”. Fonti: www.igor.morski.pl 9


Assassin’s Creed La Storia interattiva di Valerio Lucantonio

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l cinema del ventunesimo secolo viene spesso visto come forma artistica e narrativa consolidata, che ha saputo trovare i suoi spazi e i suoi connotati nel Novecento, e a uno sguardo distratto può sembrare che i film contemporanei si siano adagiati sugli allori, aggiornandosi solamente con un uso sempre più massiccio (e criticato) delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia (in primis gli effetti digitali e la ultra-qualità dell’immagine), che permette di riproporre vecchi modelli e pratiche in una veste più consona agli standard dell’epoca del computer. Se in parte questo è sicuramente vero, non si può ridurre la prospettiva del cinema digitale solamente all’upgrade tecnologico dei mezzi: la settima arte infatti non hai mai abbandonato il processo che più l’ha caratterizzata fin dalla sua nascita, cioè l’intercettazione e la messa in scena di tensioni socioculturali che permettono ai film di riconfigurare e mostrare allo spettatore aspetti centrali della propria esperienza quotidiana e dei grandi dibattiti trattati dai teorici e dall’opinione pubblica. Se nel Novecento il medium cinematografico si è apertamente confrontato con le altre arti, già dagli anni ‘80 esso ha spostato sempre di più il suo obiettivo sulla questione dell’interattività dei nuovi media, principalmente il videogioco e il computer (e di conseguenza internet), e sulla cultura visuale che hanno imposto, chiamata da Lev Manovich logica del database (in cui ogni elemento è archiviato, disponibile e assemblabile agli altri con la possibilità di creare costrutti non lineari simili agli ipertesti della rete, la cui qualità principale non è più la comprensibilità, ma la manipolabilità). Se già la proliferazione di narrazioni filmiche complesse, a partire dagli anni ‘90, è un chiaro sintomo di come il cinema abbia presto adattato la sua forma alla nuova sensibilità, negli ultimi anni ha avuto ancora più diffusione il sottogenere sci-fi della narrazione simulata (tendenza inaugurata da Tron nel 1982 e arrivata fino ad Avatar e Source code, per non citare i film girati in First Person Shot come Hardcore), che trova il suo esponente più recente nell’Assassin’s Creed di Justin Kurzel, adattamento dell’omonima serie mediale iniziata proprio da un videogioco. A differenza dei precedenti tentativi di trasposizione videoludica (il caso più recente è il Warcraft di Duncan Jones) che di solito puntano a riproporre il prodotto di riferimento in una lunga e pedissequa cutscene, questo film è più consapevole delle dinamiche in atto e cerca di elevare il contenuto di partenza portandone allo scoperto gli

cinema

elementi più interessanti, che nei giochi per console erano solamente accennati tra una scena d’azione e l’altra (il videogioco, a differenza del film, è quasi sempre costretto a dare più spazio all’intrattenimento interattivo, a discapito della riflessione). Chiaro simbolo di questa volontà di distacco è la scelta di un soggetto originale che riprende solamente i tratti alla base di tutti i capitoli della serie, creando nuovi personaggi e modificando elementi di continuità come l’Animus (la macchina che permette di rivivere in realtà virtuale eventi passati contenuti nella memoria genetica del soggetto), la cui evoluzione dal videogioco al film può essere inquadrata seguendo le coordinate fornite da Manovich nella sua archeologia dello schermo; mentre la versione videoludica (un moderno schienale fornito di schermo curvo che proietta i ricordi genetici) è riconducibile in parte allo schermo dinamico (tipico del cinema, in cui il soggetto passivo viene immerso nella realtà in movimento rappresentata) e in parte a quello interattivo del computer, quello usato nel film sembra una diretta messa in pratica delle riflessioni di Manovich sulla realtà virtuale: maggiore interattività che porta alla “scomparsa” dello schermo inteso come cornice separata dal corpo, richiede comunque una subordinazione alla macchina che guida la nostra esperienza, come dimostrato dal grande braccio meccanico che si lega e si innesta al protagonista facendogli vivere in prima persona gli eventi (il rimando alla metafora dell’essere umano come joystick vivente usata da Manovich è palese), seppure in uno spazio limitato. La simulazione è vista inizialmente dal personaggio (interpretato egregiamente da Fassbender) come estensione della propria prigionia, una pratica totalmente estranea ai suoi interessi che arriva a provocargli dolori mentali e fisici, e che solo grazie a un’attribuzione di senso (in questo caso la riappacificazione con il passato e la memoria sia personali che familiari) riuscirà a diventare uno strumento utile e integrato al corpo. Il regista convince nel suo tentativo di celebrare una nuova sintesi tra natura e tecnologia, rappresentata dall’aquila, simbolo universale al quale viene conferito un ulteriore significato con l’accostamento al volatile contemporaneo per eccellenza, il drone che rende possibili le riprese aeree; natura e tecnologia trovano conferma del proprio rapporto secolare con la storia dell’uomo nelle transizioni diegetiche tra reale/virtuale e presente/passato, affidate a entrambi i punti di vista aerei. 11


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occhio al libro

La dama e l’unicorno di Tracy Chevalier di Francesca Senna La dama e l’unicorno è un ciclo di arazzi fiamminghi della fine del XV secolo. Costituisce una delle più importanti opere di arazzeria del medioevo europeo, oggi conservata nel Museo di Cluny a Parigi. A questo ciclo si ispira il romanzo della Chevalier, dove - come ne “La ragazza con l’orecchino di perla” - torna a indagare, tra realtà e fantasia, la genesi di un capolavoro dell’arte. La scrittrice si conferma grande maestra nella narrazione di vicende ambientate nel passato, inventando una trama appassionante, in grado di coniugare l’amore per l’arte, la forza del sentimento e il fascino della ricostruzione storica. Con stile elegante e coinvolgente, ci fa rivivere i fasti, i sogni, oltre che le difficoltà e le bassezze di un’epoca e dei suoi protagonisti. Il romanzo ruota attorno a questi arazzi: sei opere che riproducono il tema della seduzione del mitico unicorno da parte di una bellissima fanciulla, rappresentato da punti di vista (i sensi) diversi, creando così un romanzo corale, che ha per protagonisti l’immaginario autore delle figure ivi rappresentate, Nicolas des Innocentes, le dame che l’hanno ispirato e gli artigiani di Bruxelles, esecutori dei manufatti. E’ un giorno della Quaresima del 1490: a Parigi, Nicolas, pittore e miniaturista conosciuto a corte per la sua mano ferma e nelle taverne al di qua della Senna per la sua mano lesta con le servette di bell’aspetto, riceve dal potente signore Le Viste un incarico che cambierà per sempre la sua vita. Dovrà dipingere grandi scene della battaglia di Nancy per la realizzazione di arazzi destinati ad abbellire le pareti della sua residenza. L’artista accetta subito l’offerta, che gli assicurerà cibo sulla tavola per settimane e notti di bagordi, ma non saranno spade, scudi e sangue a ispirare la sua vena creativa, bensì delicate scene di dame eleganti e candidi unicorni, simboli della seduzione, della giovinezza dell’amore. Geneviève de Nanterre, moglie di Jean Le Viste, gli intimerà di cambiare soggetto, anche se in realtà saranno i sentimenti a guidare l’abile mano dell’artista. Travolto dalle passioni e dagli avvenimenti, Nicolas immortalerà negli arazzi i volti delle quattro donne che contribuirono alla loro creazione: la triste Geneviève de Nanterre, la bellissima Claude, giovane figlia dei Le Viste, Christine du Sablon, fiera e abile tessitrice, e la sua dolce figlia Aliénor. Il libro di Tracy Chevalier mette in evidenza lo studio approfondito del tempo in cui si sarebbero realizzati gli arazzi; molto approfondito anche lo studio del mondo dei tessitori del XV° secolo e l’ambiente dei contemporanei aristocratici. Ci porta con estrema precisione e puntualità nel passato, in Francia o in Belgio a seconda dei momenti in cui si svolge la trama, tanto che ci sembra di far parte attivamente della storia che si snoda in maniera lineare, dolce e leggiadra, anche quando descrive cose turpi. Si rimane affascinati dall’apprendere come si fa un arazzo; e ci si rende conto quanta fatica costa ai tessitori realizzare opere così complesse e a volte svalutate rispetto ai più comuni e apprezzati dipinti. L’autrice sceglie di svolgere la trama affidando ai suoi interpreti principali un capitolo circa ciascuno dove poter narrare

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in prima persona, descrivendo ciò che si svolge sotto i propri occhi e dandone una interpretazione personale e soggettiva. Ci si appassiona alla vita turbolenta, appassionata ed artistica di Nicolas des Innocents, l’autore dei dipinti, o alla vita ricca, sfarzosa, ma triste di Claude, la figlia del committente. Si partecipa alla fatica dei tessitori: misera, difficile, ma ricca di arte che si “srotola” sotto i loro occhi. Nel dettaglio il ciclo di arazzi è formato dalle seguenti parti: Il gusto L’udito - La vista - L’olfatto - Il tatto - A Mon Seul Désir Gli arazzi furono tessuti nelle Fiandre tra il 1484 e il 1500. Commissionati da Jean Le Viste, presidente della Cour des aides di Lione, passarono per eredità alla famiglia Roberet, ai La Roche-Aymon e poi ai Rilhac che nel corso del XVIII secolo li trasportarono nel loro castello di Boussac. Nel 1841, molto danneggiati dalle condizioni in cui erano stati mal riposti e conservati, vennero notati da Prosper Mérimée, ispettore dei monumenti storici, e classificati come tali. Nel 1882 la municipalità vendette gli arazzi a un collezionista parigino, M. Du Sommerard, che li collocò all Hôtel de Cluny a Parigi, che, dopo la donazione delle sue collezioni alla città, ospita il Museo nazionale del Medioevo. Realizzato con lana e seta, iconograficamente fa riferimento allo stile millefiori. È composto da sei pannelli, tutti con lo sfondo rosso, con al centro la dama con l’unicorno e il leone e intorno altri piccoli animali, alberi e fiori. Gli stendardi e gli scudi portano l’emblema di Jean Le Viste. Cinque pannelli sono dedicati ai sensi: Il gusto: La dama sta prendendo un dolce dall’alzata che le offre una ancella. Ai suoi piedi anche la scimmietta sta mangiando un dolce. Il leone e l’unicorno reggono stendardi e portano mantelli con l’emblema con le tre mezzelune. L’udito: La dama suona un organo appoggiato su un tavolo, l’ancella aziona il mantice che dà aria allo strumento. La vista: L’unicorno si contempla in uno specchio retto dalla dama, seduta con le zampe dell’animale in grembo. L’olfatto: La dama prepara una corona con i fiori che l’ancella le porge su un piatto; altri fiori con cui gioca la scimmietta sono stati raccolti in un cestino. Il tatto: La dama accarezza con la mano sinistra il corno dell’unicorno e con la destra regge una bandiera. L’ultimo pannello, il sesto, A Mon Seul Désir, più grande degli altri, differisce nello stile ed è di più difficile interpretazione. La dama si trova di fronte a una tenda, che porta in alto la scritta A Mon Seul Désir (il mio solo desiderio) tenuta aperta dall’unicorno e dal leone. Nelle mani tiene un velo che contiene la collana, che portava negli altri arazzi, e la ripone nel cofanetto che le porge l’ancella. Alla fine lo stesso libro si trasforma per il lettore in un arazzo, che si svolge pian piano sotto i propri occhi affascinati, meravigliati e stupiti per la capacità impareggiabile di descrizione da parte della Chevalier.


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occhio al libro

Vanni Codeluppi

“Il gusto. Vecchie e nuove forme di consumo” di Giuseppe Chitarrini

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usto: un termine multiuso e di amplissima estensione, designa le preferenze di un individuo o di un gruppo o di una collettività definita. Si può riferire a creazioni artistiche, letterarie, figurative, musicali, a attività ludiche, passatempi e alla contemplazione, agli oggetti naturali o ai manufatti, alle tendenze e preferenze sessuali, all’abbigliamento ecc. Attraverso i cinque sensi il gusto è quello che consente di percepire i sapori e orientarci così nelle tipicità alimentari di una cultura o di una località, ci consente poi di valutare un film, una battuta di spirito, una frase, un modo di parlare. Il gusto può anche rappresentare una facoltà che può essere coltivata e raffinata da un individuo o da una microcultura di un certo gruppo sociale, in un certo periodo storico ecc. Del gusto si sono occupati, a vario titolo e in varie circostanze pensatori di varie epoche: da Aristotele a Kant, dagli ‘esteti’ e gli ‘illuministi’ del 700 a Simmel, a G. Della Volpe, fino a oggi, ai teorizzatori postmoderni del Kitsch (Cfr. da p. 53 a 58). Il gusto anche se si basa sul sentire primordiale dei cinque sensi, non è solo un fatto naturale, istintuale o temperamentale, il gusto è un esperire legato al vissuto della persona in un determinato periodo e in una determinata cultura. Esso corrisponde al complesso delle preferenze manifestato da ciascun individuo, soprattutto, nelle società odierne basate più sul consumo che sulla produzione, in base alla sua appartenenza e che gli permette di meglio interagire nei rapporti interpersonali. Se un tempo la cultura occidentale era contrassegnata esteticamente, ma non solo, dall’armonia tra le categorie del Bello, Vero e Buono(Cfr. p. 52), oggi queste tre categorie sono del tutto insufficienti, la realtà si è molto più differenziata, i gusti si sono moltiplicati, etnicizzati, distinti: il bello e il brutto convivono e ciò che è bello per me non lo è per i molti altri; il consumo si è massificato consentendo l’accesso ai beni che però si sono dovuti adeguare economicizzandosi e riducendo delle qualità che prima contraddistinguevano i prodotti più eccellenti per le classi sociali più ‘upper’, le quali, a loro volta hanno risposto appropriandosi del sottoprodotto pop e kitsch riproponendolo dotato di una nuova ‘allure’, una più ‘rilucente’ aura, riposizionando così nuovi e più complessi ambiti di distinzione (Bourdieau). Tutto ciò ha fatto si che del fenomeno del gusto e del consumo divenisse spazio e motivo di ricerca per una serie di nuove discipline oltre l’estetica, la filosofia e la critica d’arte; così che la sociologia, le scienze cognitive, la semiologia, l’antropologia e altre sono entrate in campo. Vanni Codeluppi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Iulm di Milano, diret. del Centro Internazionale di studi sulla comunicazione, sui consumi e la creatività dell’Univ. di Modena e Reggio Emilia, esamina in questo testo il gusto rendendoci uno scrupoloso resoconto di quella che è tutta la sua poliedricità, oggi incrementata dalla globalizzazione e moltiplicarsi delle realtà socio culturali. Nel primo capitolo ci parla del gusto definendolo dal punto di vista storico-sociologico esaminando quanto scritto da W. Sombart, G. Simmel, M. Weber, Th. Veblen e i più recenti Beaudrillard, Bourdieau e altri. Nel secondo prende in esame i gusti alimentari e i significati assunti

dall’alimentazione all’interno delle società odierne. Nel terzo il gusto e la globalizzazione e nel quarto i gusti e i ‘disgusti’ (il Kitsch), il loro mutare modulandosi secondo quelle che sono le aspettative, le ‘disposizioni’, le facoltà economiche ed espressive, di vecchi, come di nuovi gruppi di consumatori e fruitori. E infine, quelli che sono i nuovi gusti per meglio orientarsi in realtà umane e sociali che sempre più vanno contraddistinguendosi per il loro essere sempre più di consumo e sempre meno di produzione, ma anche da una crisi che dal 2008 ha fatto emergere nelle scelte d’acquisto e nei gusti la necessità di strategie di consumo più responsabili, curandosi – al contempo – di non intaccare di molto il livello, o la percezione del livello, di vita raggiunto in ambito occidentale (Cfr da p. 60 a 72). Vanni Codeluppi, “Il gusto. Vecchie e nuove forme di consumo”, VP Vita e Pensiero, Milano 2015, pp. 87 Euro 10,00.

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“Sister Act” al Brancaccio di Rossana Gabrieli

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gni nuova stagione al Teatro Brancaccio si presenta come un richiamo irresistibile per gli amanti del musical, ma non solo. Il Brancaccio, infatti, viaggia incontro ai tempi ed alle novità nella scelta di stili e forme artistiche: accanto alla commedia musicale, proposte allettanti di instant theatre, dark musical, concerti. Dopo il grande successo della commedia musicale “E se…il tempo fosse un gambero?”, con la presenza di Francesco Pannofino, straordinario nei panni di un diavolo troppo umano, che finisce con l’innamorarsi della ragazza che dovrebbe tentare, ecco arrivare “Sister Act”, dal 1° al 12 febbraio: nel cast, Belia Martin nel ruolo di Deloris Van Cartier, e con la partecipazione di Pino Strabioli nel ruolo di Monsignor O’Hara. Special Guest é Suor Cristina nel ruolo di Suor Maria Roberta e Jaqueline Maria Ferry nel ruolo della Madre Superiora. “Venticinque gli splendidi brani musicali scritti dal premio Oscar Alan

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Occhio al palcoscenico

Menken, (mitico compositore statunitense autore delle più celebri colonne sonore Disney come La Bella e la Bestia, La Sirenetta, Aladdin e altri show tra cui La Piccola Bottega degli Orrori e Newsies), che spaziano dalle atmosfere soul, funky e disco anni ’70, alle ballate pop in puro stile Broadway, in cui si innestano cori Gospel e armonie polifoniche. Il testo e le liriche tradotti da Franco Travaglio coinvolgono il pubblico in una storia dinamica, incalzante e divertente tra gangster e novizie, inseguimenti, colpi di scena, rosari, paillettes con un finale davvero elettrizzante. Lo spettacolo è diretto da Saverio Marconi, coadiuvato da un team artistico composto da Stefano Brondi (direttore musicale), Rita Pivano (coreografa), Gabriele Moreschi (scenografo), Carlo Buttò (direttore di produzione), Carla Accoramboni (costumista), Valerio Tiberi (disegno luci) e Emanuele Carlucci (disegno suono)”. Per info: botteghino@teatrobrancaccio.it

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La Roma insolita

La buca delle elemosine a povere famiglie onorate di Nicola Fasciano

E’

una dei tanti contesti curiosi di cui è disseminata la nostra capitale. Si trova in una piccola stradina vicino al ghetto: via di Monte Savello, pressocchè a ridosso del lungotevere, non molto distante dal Portico d’Ottavia. I turisti e i romani ci passano centinaia di volte e sicuramente non ci fanno molto caso. E’ certamente la più singolare di quattro buche poste ai lati della piccola chiesa di S. Gregorio della Divina Pietà, detta anche di S. Gregorietto per via delle sue dimensioni non proprio gigantesche. La buca riporta la seguente iscrizione, che si legge ancora chiaramente: ELEMOSINE PER POVERE ONORATE FAMIGLIE E VERGOGNOSE (nella foto). Ma a chi era rivolta? Le varie crisi economiche, in qualunque epoca, hanno colpito chiunque, ricchi e poveri, nobili e “plebei”. In particolare, per la situazione di persone nate nobili, ma finite in disgrazia, è facile

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immaginare come possa essere faticoso tirare avanti con dignità. Per sollevare sia moralmente che economicamente nobili decaduti e bisognosi, fu fondata nel 1670 dal sacerdote Giovanni Stanchi della Croce, la congregazione degli Operai della Divina Pietà. Gli operai della congregazione, che non erano solo religiosi, indossavano un sacco di tela con cappuccio e, almeno inizialmente, raccoglievano elemosine davanti alle case di famiglie ricche, chiese o negozi, distribuendo il raccolto secondo le varie esigenze. La congregazione non ha avuto una sede fissa fino al 1729, anno nel quale papa Benedetto XIII le assegnò la chiesa allora denominata di S. Gregorio a ponte Quattro Capi. Questa chiesa venne riedificata proprio in occasione dell’assegnazione alla confraternita e sulla facciata venne aggiunto il dipinto ovale raffigurante la “Crocifissione”, un’opera di Etienne Parrocel, “con S.Gregorio genuflesso”. Poiché la chiesa sorge nelle immediate vicinanze della Sinagoga, sullo spiazzo antistante i Padri Gesuiti tenevano le prediche obbligatorie che venivano imposte agli ebrei per tentare di operarne la conversione. Queste stesse prediche obbligatorie venivano imposte anche in due altri luoghi del Ghetto, ovvero dinanzi a S.Angelo in Pescheria (il Portico d’Ottavia) o al Tempietto del Carmelo. Delle altre buche presenti lungo il perimetro della chiesa, una era riservata ai “MEMORIALI”, ovvero alle segnalazioni anonime di persone bisognose di assistenza e di aiuto e un’altra, con la scritta ELEMOSINA PER LA MADONNA SS. DELLA DIVINA PIETÀ, presumibilmente era riservata alle offerte alla Madonna.


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Roma

Edward Hopper Complesso del Vittoriano, fino al 12 febbraio 2017 “Confini14-Fotografia contemporanea” Tibaldi arte contemporanea, fino al 12 febbraio “Guerre stellari: Star wars. Play!” Complesso del Vittoriano, fino al 29 gennaio 2017 “Picasso Images. Le opere, l’artista, il personaggio” Ara Pacis, fino al 16 febbraio 2017 “LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore” Chiostro del Bramante, fino al 19 febbraio 2017 “Caravaggio e il maestro di Hartford: l’origine della natura morta in Italia” Galleria Borghese, fino al 19 febbraio 2017 “Rembrandt in Vaticano: immagini fra cielo e terra” Musei vaticani, fino al 26 febbraio “The Japanese house. Architettura e vita dal 1945 a oggi” MAXXI fino al 26 febbraio “La memoria dell’ombra” Fondazione Carlo Levi, fino al 28 febbraio “Il Museo universale: da Perugino a Tiziano, da Carracci a Guido Reni, da Tintoretto al Canova” Scuderie del Quirinale, fino al 12 marzo “The adventures of Alice” Guido Reni District, fino al 19 marzo “Pinturicchio” Musei Capitolini, fino al 25 marzo 2017 “Li Chevalier. Trajectiry of desire” Macro Testaccio-La Pelanda, fino al 26 marzo “Rafael Y. Herman. The night illuminates the night” Macro Testaccio, 26 marzo “Van Gogh Alive, the experience” Palazzo degli esami, fino al 27 marzo 2017 “The time is out of joint” Galleria Nazionale, fino al 15 aprile 2017 “Giuseppe Penone. Equivalenze” Gagosian Gallery, fino al 15 aprile “Leonardo da Vinci. Il genio e le macchine” Palazzo della Cancelleria, fino al 30 aprile 2017 “Artemisia Gentileschi” Palazzo Braschi, fino all’8 maggio 2017 “Arte e Politica. Opere dalla collezione 4” Macro, fino al 10 maggio 2017 ­­

sul filo di china

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Alba (Cuneo)

Giacomo Balla Fondazione Ferrero, fino al 27 Febbraio 2017

Ferrara

“L’arte per l’arte” Castello estense, fino al 4 giugno 2017

Firenze

“La Divina Commedia di Venturino Venturi” Villa Bardini, fino al 6 febbraio 2017 “Tiepolo. Disegni dall’Album Horne” Museo Horne, fino al 19 febbraio “Tra arte e moda” Museo Ferragamo e sedi varie, fino al 7 aprile

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Milano

“Caravaggio. San Girolamo scrivente” Pinacoteca ambrosiana, fino al 19 febbraio “Jean-Michel Basquiat” Mudec, fino al 26 febbraio 2017 Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco” Palazzo reale, fino al 26 febbraio 2017 “La finestra sul cortile. Scorci di collezioni private” GAM, fino al 26 febbraio “Bellotto e Canaletto. Lo stupore e la luce” Gallerie d’Italia, fino al 5 marzo “Boom 60. Era arte moderna” Museo del novecento, fino al 12 marzo

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Napoli

“La suonatrice di liuto di Jan Vermeer” Pinacoteca di Capodimonte, fino al 9 febbraio 2017

Treviso

“Le storie dell’Impressionismo” Musei civici di Santa Caterina, fino al 17 aprile 2017

Eventi


“Borges, bestie, carte.Una mostra zoologica fantastica� Biblioteca Nazionale di Roma, fino al 31/3 16


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