A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XII N° 121 gennaio 2019
Mensile d’informazione d’arte
www.artemediterranea.org
nOrizzonti d’acqua Galileo Chini, “L-’amore”, 1919
Occhio al libro: n La ragazza con la Leica
nCinema: Wellcome to Marwen
Roma insolita: n Il parco di Centocelle
Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”
Telefona al 347.1748542
Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2017-2018 CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’ - MERCOLEDI’ - VENERDI’ 18,30 - 20,00
CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00
CORSO DI FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’- MERCOLEDI’ GIOVEDI’ - VENERDI’ 20,30 - 22,30
Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini
Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini
Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale
Amministratore Antonio De Waure
Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore
Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti
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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale
CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45
Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007
CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE
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Sommario
“La ragazza con la Leica” Tiffany Miller Russell I macchiaioli. Arte italiana verso la modernità Orizzonti d’acqua Welcome to Marwen Jacovitti Una grande Stagione All’Off Off Theatre Il parco di Centocelle e l’Ecomuseo che verra’ Eventi sul filo di china “Lisetta Carmi. La bellezza della verità”
“La ragazza con la Leica”
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Occhio al libro
di Helena Janecksek di Giuseppe Chitarrini
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estimoniare è dare un’interpretazione attinente alla realtà degli avvenimenti che sia credibile e verosimile, mettendo in gioco la propria attendibilità, responsabilità e capacità di ricostruire i fatti nel loro svolgersi e nel loro estrinsecarsi. E’ un’esperienza personale che attende di essere convalidata dalle esperienze ed interpretazioni ‘riferite’ da altre persone, costruendo così una narrazione a più voci attinente al vero. Documentare invece è informare, dare delle notizie in base allo svolgimento della cronaca di una tematica interessante, ponendosi così al vaglio della opinione pubblica e a sostegno di una tesi che si intende attestare e confermare, convalidare con approfondimenti, argomentazioni, documenti, fotografie ecc. Una distinzione, quella fra documentare e testimoniare, sottile e sovrapponibile, che spesso, nella pratica, tendono a sovrapporsi tanto che l’una si compenetra nell’altra nell’ambito di una ricerca attinente alla verità e alla realtà di eventi, fatti ed accadimenti, dando così vita da un lato a piccole storie personali, oppure –dall’altroa quella che è la storia con la ‘esse’ maiuscola, la grande storia sovrapersonale dei grandi avvenimenti e dei grandi eventi. In questo libro la storia di vita, personale e biografica, si intreccia con la grande storia, narrando le vicende di Gerda Taro (1910-1937) che fu, attraverso i suoi reportage fotografici, una testimone del suo tempo oltre che una documentarista d’eccezione, e per lei –e altri come lei- la parola testimone non evoca, come spesso accade oggi, il processo penale, bensì la capacità di creare memoria facendo onore ai propri tempi. Strumento di questa sua esperienza di vita, di questo testimoniare –come il taccuino del giornalista o dello scrittore- fu la mitica (almeno per i suoi tempi) macchina fotografica Leica, un prolungamento, una protesi dei propri sensi e della memoria dei suoi contemporanei. Una memoria che ci
perviene, grazie a migliaia di sue foto con le quali possiamo rivivere storicamente gli accadimenti che caratterizzarono un periodo significativo del nostro passato. Gerda Taro morì a soli ventisette anni, uccisa da un tank delle truppe franchiste mentre tornava dal fronte di Brunete. Si dice che ai suoi funerali, che si svolsero pochi giorni dopo a Parigi, fosse presente una folla immensa e cosmopolita, fra questa il poeta Pablo Neruda, che ne declamò un toccante elogio funebre, lo scultore Alberto Giacometti che ne realizzò il monumento funerario, e, ovviamente il fotografo Robert Capa, a lei legato in vita sia sentimentalmente, che idealmente e professionalmente. Queste intense pagine raccontano parte del breve percorso esistenziale della fotografa, laddove la sua biografia si intreccia con quella di molti suoi contemporanei, fra i quali R. Capa e con le vicende della guerra civile spagnola nella generosa, gloriosa, ma sfortunata difesa della Repubblica spagnola. Donna forte e coraggiosa, molto bella e molto libera, affascinante e tenace, curiosa degli eventi –e da essi risucchiatache costellarono la sua epoca. L’autrice del libro ricostruisce la biografia di questa giovane donna -eroina antifascista- dando vita ad un romanzo dai toni epici, che racconta di quella generazione che visse la crisi economica mondiale degli anni 30, le persecuzioni antisemite, l’ascesa dei totalitarismi e dei fascismi, la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale, le tragedie, le battaglie e le speranze, ricorrendo anche alle testimonianze scritte di chi conosceva bene Gerda Taro: la sua migliore amica e scrittrice Ruth Cerf e due suoi amori che precedettero Robert Capa: Willy Chardack e George Kuritzkes. Il libro è il vincitore del LXXII (settantaduesimo) premio ‘Strega’, anno 2018.
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Tiffany Miller Russell
Ritratti animali pieni di personalitĂ modellati con carta accuratamente sagomata di Cristina Simoncini
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a scultura di carta è piuttosto unica nel mondo dell’arte. Essa implica la modellazione e la combinazione di diversi tipi di carta per creare un’immagine interessante del soggetto. Questo mezzo è stato dominato da Tiffany Miller Russell il cui interesse per questa tecnica è stato inizialmente ispirato dall’immagine su un puzzle. Il suo lavoro nel ritrarre la natura e la fauna selvatica è stato ampiamente riconosciuto in tutto il mondo ed è stato premiato da diverse istituzioni. È membro della Society of Animal Artists e della Gilda degli illustratori di scienze naturali. Ad aprile, Tiffany ha visitato l’Asa Wright Nature Center come parte del suo premio di borsa di studio ed è stato qui che è stata in grado di raccontare la sua storia sulla sua esperienza e sul suo viaggio come artista. Di seguito sono riportati i punti salienti di un’intervista condotta con Tiffany. Quando e come ti sei interessata all’arte? “Mi interessava disegnare già in tenera età ma ero un po‘ incerta se perseguire la scienza o l’arte. Ho frequentato un programma di una settimana durante il college e ho incontrato uno scultore, Gary Staab, che ha fatto molte illustrazioni scientifiche e ha lavorato alla creazione di modelli di animali preistorici. Fu la prima volta che mi resi conto che avrei potuto avere una carriera che combinava arte e scienza.” Cosa ti ispira a fare un particolare lavoro? “Ho ispirazioni diverse da molti posti diversi. Ad esempio, a mio marito piacciono le rane e mi ha comprato un libro sulle rane e così ho deciso di fare una rana. Quel pezzo è stato innovativo per me. Alcuni sono ispirati a concetti o processi come l’impollinazione o persino un particolare pezzo di carta. Sono ispirato dai soggetti (gli animali) e sono in grado di rappresentarli in un modo unico. Mi piace particolarmente fare cose che sono poco rappresentate.” C’è una particolare classe di animali su cui preferisci lavorare? “Sono davvero interessata alla vita preistorica. Penso che mammiferi e rettili siano davvero interessanti. Quasi odio dire che ho una specialità, ma direi che gli uccelli sono i preferiti perché sono davvero fantastici da fare con la scultura di carta a causa di tutte le piume. Quello che mi interessa di più è l’evoluzione e le relazioni delle diverse forme di vita per i loro parenti stretti e lontani. Ho anche un forte interesse per le orchidee e un numero di piante diverse.” Fai delle ricerche sui tuoi animali prima di tentare di scolpirli? “Sì. Faccio molte ricerche e divento molto nerd con la scienza e la ricerca di qualunque cosa io possa trovare su di loro. In termini di ricerca visiva, ho lavorato su alcuni animali che non ho mai visto e vado allo zoo regolarmente e faccio pratica di disegnare animali lì. Faccio anche molti riferimenti online. Per prima cosa creo i miei schizzi in miniatura e faccio un disegno iniziale per quanto posso prenderlo prima di andare ai riferimenti. Quindi eseguo una ricerca di immagini Google e scarico circa 50 foto dell’animale in diverse posizioni. Quindi,
curiosArt
ad esempio, presto attenzione a dove si dirigerà un’ala, a come si muove e a come gira. Colibri e corvi sono stati alcuni dei miei soggetti preferiti da studiare. Da lì, guardo i movimenti più interessanti e guardo i loro video al rallentatore. Nel mio quaderno di abbozzi, riempio circa cinque pagine di schizzi e quando ho finito, posso sentire gli animali nelle mie ossa e nel mio corpo e poi posso arrivare al disegno finale.” Oltre a creare sculture di carta, negli ultimi quindici anni, l’artista si è anche offerta volontaria in un laboratorio di preparazione alla zoologia e in un laboratorio di paleontologia per approfondire la sua conoscenza e passione personale per la storia evolutiva. Miller Russell spiega: “ Ho sempre sentito un legame con gli animali. Hanno personalità e vanno in giro per il mondo nel modo che conta per loro. Gli umani possono antropomorfizzarli, e le culture possono legarli in simboli e mitologie, ma ciò fa poca differenza per queste creature che hanno svolto le loro vite per millenni “. Fonti: www.wildlifeinpaper.com
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I macchiaioli. Arte italiana verso la modernità Alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino (GAM) di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi
Giovanni Fattori “Rotonda dei bagni Palmieri “, 1866
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utto ha inizio a Firenze, nella seconda metà del 1800, nelle sale chiassose e affumicate del Caffè Michelangelo, frequentate da tanti giovani pittori, italiani e stranieri animati dalla voglia di cambiamento, di apertura verso l’Europa, soprattutto la Francia. Le discussioni erano animate, il desiderio di un’arte antiaccademica era palese, non solo nella forma, ma anche nella fonte dell’ispirazione, in netta contrapposizione al deludente romanticismo. Gli artisti elaborarono, quindi, un nuovo modo di vedere, rappresentare e interpretare la realtà inventando il procedimento a macchia <<Non fu altro che un modo troppo reciso del chiaroscuro, ed effetto della necessità in che si trovarono gli artisti di allora di emanciparsi dal difetto capitale della vecchia scuola, la quale, ad un’eccessiva trasparenza dei corpi, sacrificava la solidità e il rilievo dei suoi dipinti>>, affermava Telemaco Signorini, uno dei protagonisti del movimento. Anch’egli trarrà ispirazione da umili momenti di vita quotidiana, dal duro lavoro dei campi, dalla guerra nella sua
Silvestro Lega “La visita”, 1868
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tragicità e disumanità che, quindi, non aveva proprio nulla di eroico. Ricordava i morti, i feriti, le retrovie, il freddo, la solitudine, gli atti di umana solidarietà durante le battaglie perché aveva combattuto durante la seconda guerra d’indipendenza. L’esperienza della guerra, in realtà, aveva coinvolto un po’ tutti gli artisti che si ritroveranno nel caffè Michelangelo, animati anche da uno spirito cameratesco, ma, soprattutto, motivati dallo stesso sentimento di ribellione sociale e politica del pittore fiorentino. Fino al 24 marzo, a Torino, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea ospiterà una mostra sugli antefatti, sulla nascita e sulla stagione iniziale e più felice della pittura dei macchiaioli che va dal 1850 al 1860, dando la possibilità di conoscere o approfondire la conoscenza di pittori non solo toscani, ma anche piemontesi e liguri, coglierne le similitudini e le diversità personali o anche regionali senza, però, trascurare l’evidente dialogo e la ricerca di modernità che li ha contraddistinti.
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in mostra
Telemaco Signorini , “L’alzaia”, 1864 Come spesso è accaduto alle avanguardie, anche per questi creativi, bollati con l’epiteto di <macchiaioli>, il cammino verso riconoscimenti anche ufficiali fu arduo. Creava scandalo il fatto che propugnassero un antiaccademico rifiuto del disegno e della forma in favore di una pittura che riproducesse <l’impressione dal vero> e che alla rivoluzione tecnica affiancassero una nuova tematica attenta alla realtà sociale. E’ stata appunto la capitale del Regno d’Italia, Torino, la città che ha ospitato la prima mostra ufficiale dei dipinti dei macchiaioli nel maggio del 1861, nella sede della Società Promotrice delle Belle Arti; a seguire Firenze e Parigi. L’iter espositivo odierno dà la possibilità di ammirare la prestigiosa collezione ottocentesca della GAM, nata appunto per ospitare una collezione civica d’arte moderna, ottanta tele provenienti da musei
molto importanti, da Enti o collezioni private. Sono in mostra opere di Antonio Fontanesi, Cristiano Banti, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Odoardo Borrani, Silvestro Lega e molti altri. Le riflessioni e i dibattiti sui macchiaioli sono molto più attuali di quello che, probabilmente, si possa pensare. Un esempio significativo è il festival organizzato da un po’ di anni, nella Biblioteca Leonardiana di Vinci, dedicato a un grande poeta toscano, Renato Fucini, il cui titolo <Fucini e i macchiaioli>, è esplicativo del rapporto di amicizia tra il poeta scrittore e alcuni pittori con i quali condivideva anche interessi artistici e culturali. I suoi <bozzetti>, con cui descrive scene di vita quotidiana, inserite in un paesaggio toscano, ricordano le rapide pennellate dei macchiaioli.
Giovanni Fattori , “Soldati in marcia”, 1859 7
Orizzonti d’acqua
Galileo Chini e altri protagonisti del primo ‘900 di Maria Chiara Lorenti
Galileo Chini, “La Primavera classica”, 1914
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l mare è d’opale, con vene di crisòlito, come i mari dell’Asia, immoto albòre di gemme fuse.” Sulle note dei versi dannunziani si snoda il tema dell’ultima mostra dedicata ad un grande artista dell’inizio del ventesimo secolo, “Orizzonti d’acqua tra pittura e arti decorative. Galileo Chini e altri protagonisti del primo Novecento”, al PALP di Pontedera, fino al 28 aprile. L’esposizione si suddivide in quattro sezioni cronologiche, Simbolismo e Divisionismo, l’Acqua come soggetto della produzione decorativa, l’Orientalismo e la fase Secessionistica e Klimtiana. Bello e spavaldo, le foto dell’epoca ritraggono un pittore all’apice della fama, che dopo essersi fatto valere alla Biennale Veneziana del 1907, fu così apprezzato da essere ingaggiato dal re del Siam per decorare il Palazzo reale di Bangkok. Impresa titanica che divenne leggenda, del suo periodo asiatico è in mostra “l’ora nostalgica sul Me-Nam” e “canale a Bangkok”, una meravigliosa volta di folto fogliame, verde argento, che incornicia e rinfresca le limacciose acque di un canale orientale. Rientrato in Italia si dedicò ad altre grandi commissioni, come la decorazione delle Terme di Salsomaggiore, ove declinò le esperienze siamesi con quelle klimtiane, mentre per la Biennale del 1914 dipinse la “Primavera che perennemente si rinnova”. A testimonianza del suo eclettico estro, sono esposti due grandi bozzetti, del secondo e terzo atto, per la Turandot di Giacomo Puccini, che sceneggiò per la prima teatrale alla Scala il 25 aprile 1926. Mare, fiumi, italici o esotici, l’acqua è il filo conduttore che caratterizza le opere in mostra, siano esse ispirate dai placidi corsi, come l’ansa del fiume illuminata dai violacei riflessi delle tenui luci dell’alba, dai colori smorzati dei blu delle tenebre che vengono rischiarati dal rosa pastello del primo sole, quando una piccola falce di luna non è ancora tramontata, in “prime ore del mattino (la fossa dell’abate)”. O le onde tempestose, incendiate da un sole di un giallo
Galileo Chini, “Canale a Bangkok “, 1912
in mostra
accecante, che fiammeggia sulle creste spumose dei marosi in “ ore dorate oceano indiano”. Oppure acqua che diviene complemento, come nel “nudo disteso (la bionda)”, ove un morbido corpo sdraiato, volge le voluminose terga verso l’osservatore, mirando, s’immagina, una veduta marina che occupa, quasi totalmente, il fondo. Ma acqua è anche atmosfera, è fiaba e magia che si adorna di stelle, che piovono in stille dorate sui corpi allacciati dei due amanti, è il simbolo del “l’amore”. Che virtualmente si contrappone al “la vita”, interpretata da virginali fanciulle che si librano nell’aere, levitando su un albero di ciliegio che, con i suoi rosei fiori, le sollecita con una spinta a spirale verso il cielo, mentre alla base, ancorata alle radici, una madre protegge i suoi virgulti, nati dall’acqua, principio di vita. “Il giogo” del 1907, di chiara memoria previtiana, illustra il duro lavoro della terra, un minuscolo contadino semina un aureo podere, seguendo d’appresso una coppia di bianchi bovi che la stanno arando, sotto un plumbeo cielo, illuminato misticamente da una moltitudine di santi che inneggiano un Cristo penitente, che ancora arranca sotto l’infinito peso dei peccati dell’uomo. Ma l’opera del grande pittore, decoratore, grafico e scenografo non si può certo racchiudere nei suoi dipinti, tralasciando le prestigiose ceramiche che Galileo Chini produsse per la San Lorenzo. Il cache pot coi pesci del 1919 è un mirabile esempio di come l’arte decorativa del grande ceramista abbia raggiunto una maestria inconfutabile. L’evoluzione artistica del pittore toscano è esaltata dalla vicinanza delle opere dei suoi contemporanei. Possiamo ammirare i dipinti di Plinio Nomellini, Giorgio Kienerk, Leonardo Bistolfi, Duilio Cambellotti, Aroldo Bonzagni, Moses Levy, Lorenzo Viani, Salvino Tofanari. Per non dimenticare un arazzo di Vittorio Zecchin, e per finire con un gesso di Danaide che Auguste Rodin scambiò con Chini, a riprova della reciproca stima.
Galileo Chini, “Il giogo”, 1907 9
Welcome to Marwen
Nuovo incontro tra animazione e realtà di Valerio Lucantonio
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na delle caratteristiche principali dell’approccio cinematografico di Robert Zemeckis è sempre stata la sperimentazione nell’ambito tecnico e produttivo, che gli ha permesso di realizzare film commerciali di successo, fortemente radicati nella tradizione del racconto classico hollywoodiano e, allo stesso tempo, indirizzati verso una continua ricerca di modi di realizzazione innovativi. Dalle sfide produttive, come il caso dei due sequel di Ritorno al futuro girati come un unico film e le lavorazioni intrecciate di “Cast Away” e “Le verità nascoste”, alle nuove applicazioni degli effetti speciali con immagini composite e grafica computerizzata, il visionario regista ha sempre cercato di stimolare un’evoluzione nel proprio metodo creativo, e con Welcome to Marwen sembra come se avesse voluto compiere una sintesi di varie tappe della propria carriera: l’animazione digitale in performance capture, che ha dominato la filmografia di Zemeckis durante il primo decennio di questo secolo, viene stavolta utilizzata per intersecarsi e sovrapporsi alle riprese dal vivo, come già fatto in “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” con l’animazione tradizionale.
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La dialettica tra le due estetiche – live action e digitale, tra le quali trova la sua rilevanza, come terreno d’incontro, anche la fotografia – assume senso grazie alle tematiche trattate in questa drammatizzazione di una storia realmente accaduta. In seguito a un pestaggio che lo lasciò in coma per nove giorni, dopo essersi svegliato Mark Hogancamp non aveva più ricordi della propria vita privata. Come forma di auto-terapia cominciò dunque a costruire nel giardino della propria casa una città in miniatura, popolata da bambole rappresentanti i suoi conoscenti, i responsabili del pestaggio e se stesso, con lo scopo di razionalizzare il mondo circostante tramite rappresentazioni ludiche, messe in scena e poi fotografate. Ciò che ha affascinato Zemeckis, autore anche della sceneggiatura insieme a Caroline Thompson, è stata questa dimensione curativa dell’arte, capace di riappacificare con la realtà tramite il lato infantile dell’uomo – che Steve Carell interpreta con delicatezza ed eclettismo, dividendo la sua performance tra il fragile Mark e il suo alter ego più virile e sicuro, Hogie. Come Forrest Gump, il protagonista della storia si confronta con la propria diversità e solitudine con i mezzi a
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sua disposizione: in una prospettiva che fonde creazione, riproduzione e narrazione, l’intreccio e l’estetica del film concorrono a stabilire ed esplorare il legame tra trauma e immaginazione, dal quale possono nascere tensioni contrastanti capaci di alleviare o acuire il dolore. Mentre con un filtro rosso sempre più saturo, associato al passato, affiorano i ricordi e i motivi dietro allo stravolgimento della sua vita, Mark vede intervenire direttamente sul proprio presente quotidiano una serie di feticci di varia natura, su cui la macchina da presa si sofferma ripetutamente: le scarpe da donna che lo affascinano irresistibilmente e che non può fare a meno di guardare, toccare e indossare, nonostante attribuisca a esse la causa del suo pestaggio; le pillole che deve ingerire per controllarsi, color verde petrolio come la bambola che incarna le sue paure e insicurezze; le bambole, che lentamente cominciano ad apparirgli in maniera incontrollata e frenetica, a grandezza umana, grazie agli effetti visivi che si mescolano senza distinzione alla sua percezione della realtà. Oltre alla risoluzione morale della storia, che rallegra e ispira senza adottare chiusure consolatorie e propositive
cinema
facili, Welcome to Marwen riesce anche a includere nel suo discorso una dimensione più concreta, di natura politica, sottotraccia – evitando così di cadere nella militanza e nel didascalico. Quella che si propone è l’accettazione della diversità, grazie al superamento di preconcetti divisivi e discriminatori, che in questo caso assume la forma di un rifugio artificiale e fantastico, un harem digitalizzato di memoria felliniana in cui però le donne, che con la propria gentilezza nell’aiutare Mark si sono ritrovate ad abitare il suo mondo artistico e immaginario, ricoprono il ruolo di salvatrici capaci tanto di amare quanto di attaccare e difendersi, e non solo di proiezioni idealizzate da proteggere. Zemeckis continua quindi a stupire per la sua capacità di conciliare e rendere fertile l’incontro tra una narrazione classica, poetica e onirica, in pieno stile americano, e un comparto tecnico-produttivo che attinge con verve creativa dalla sensibilità post-moderna, da lui stesso alimentata nel corso di una carriera all’insegna dell’unione tra fiaba e tecnologia, connubio da sempre connaturato all’arte cinematografica. 11
Jacovitti
Un mondo sconfinato di fantasia di Patrizia Vaccaro
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ventun anni dalla morte, il mondo favoloso di Jacovitti ancora affascina gli amanti dei fumetti, datati e neofiti. “Tre sono gli autori che hanno descritto meglio l’Italia del Novecento: Fellini, Sordi e Jacovitti”, il regista più rappresentativo, l’attore più amato e lui, unico, geniale, inimitabile fumettista, che ha influenzato intere generazioni di ragazzi. Questa mostra postuma, voluta fortemente dalla figlia Silvia, è un compendio di sessantanni di una carriera stratosferica, ricca di una moltitudine di personaggi sempre più surreali, ironici, strampalati. Perché questa è la vera forza dei suoi fumetti, una scanzonata presa in giro, una leggerezza intrisa di valori, quei valori così rigorosamente presenti nel tessuto sociale degli anni compresi tra il 1940 e il 1980. Duecentocinquanta disegni, tra tavole, schizzi, strisce, vignette, eppoi ci sono anche i disegni promozionali di oggetti e figurine. Non dimentichiamo quello che l’ha reso famoso tra milioni di studenti di tutte le età, il diario vitt, un’icona di vignette, affollate di strani protagonisti che riflettevano i gusti dei giovani fruitori, aiutandoli a prendere la vita con un super pizzico di umorismo. Si spazia da i primi pseudo eroi, quali il ragazzino furbetto e scaltro “Pippo e gli inglesi”, che con i suoi amici, il cicciottello Palla e il secco Pertica formano il trio 3P, nel cineromanzo di produzione bellica realizzato per Il Vittorioso, nell’ottobre 1940, per proseguire con il vecchietto puntiglioso “Oreste il guastafeste”, e “Jack Mandolino”, delinquentone incapace, che più tardi sarà affiancato dal diavoletto tentatore Satanicchio. Lisca di pesce, soprannome affibbiatogli per il suo fisico dinoccolato, alto e magrissimo, che poi usò come pseudonimo per firmare le sue tavole, divenne uno dei
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più importanti disegnatori grazie alla sua verve eclettica, alla sua prolifica creatività che ha riempito le sue strisce di personaggi incredibili, stupefacenti, contornati da tantissime comparse, e comprimari, da innumerevoli particolari che affollano gli scenari, come sguiscianti salami che sinuosi serpeggiano sul terreno, o come vermoni, con tanto di cappello e sigaretta che sorreggono i baloon delle vignette. Cocco Bill, spensierato cowboy che tracanna tazze di camomilla come fossero bottiglie di whisky, e che scorrazza in groppa a Trottalemme per le vie del paese, tra saloon e l’ufficio dello sceriffo, è senz’altro uno degli eroi più riuscito di Jac, chiamato così perché ispirato dagli ambulanti che giravano per le spiagge della Versilia, ed è così che “cocco, cocco bbillo” divenne Cocco Bill. Un altro protagonista che si meritò il favore e la fama imperitura è senza ombra di dubbio Zorry Kid, ideato come versione comica del fortunato sceneggiato americano Zorro, è il difensore dei peones californiani, innamorato della manesca figlia del governatore, Alonza (vattene a Monza), dispensatrice di sonori schiaffoni. Come illustratore, il cult in assoluto sono i disegni realizzati per il libro di Pinocchio, edito nel 1964, libro raro e costoso. La mostra ospitata ad Aosta, presso il Centro Saint Benin, rimarrà aperta fino al 28 aprile. Per chi ha la fortuna di poterci andare, buona visione, vale veramente la pena di fare un viaggio così lungo per vederla.
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Una grande Stagione All’Off Off Theatre di Rossana Gabrieli
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’Off Off Teathre, all’esordio lo scorso anno con un cartellone originale e innovativo, rilancia quest’anno, dimostrando nuovamente di non accontentarsi, per i propri spettatori, di una programmazione classica e tradizionale. Basta scorrere la proposta per la stagione 2018/2019 per rendersene conto. Roma è la protagonista di questa seconda stagione. “Roma è la più straordinaria città del mondo e, malgrado le luci e le ombre proprie di qualsiasi grande metropoli, deve riprendersi e svolgere il suo ruolo di grande Capitale, proiettata nel futuro” dichiara il direttore artistico Silvano Spada. Dopo lo spettacolo inaugurale, il 12 ottobre 2018, Roma Caput Mundi, con un testo sulla complessità della realtà di una grande capitale moderna, La Confessione (23-28 ottobre), un prete gay racconta la sua storia, scritto da Marco Politi; poi uno sguardo alla nostra grande storia: Maddalena Crippa in Le metamorfosi, da Ovidio (29 ottobre 2018); Io, Caravaggio con l’artista protagonista della vita romana dell’epoca, scritto, diretto e interpretato da Cesare Capitani (12-17 febbraio 2019); Carta Straccia, storia romantica con musica nella
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Teatro
Roma del 1968, di Mario Gelardi con Sabrina Knaflitz e Pino Strabioli (27 novembre-9 dicembre 2018); Petrolini, con Dario Ballantini, regia Massimo Licinio (19-24 febbraio 2019); e, dopo il successo della passata stagione, a grande richiesta, L’Effetto Che Fa, testo sull’orribile delitto del giovane Luca Varani (2-7 aprile 2019); e ancora nuovi testi sulla Roma di oggi. Si tratta in tutto di trentacinque spettacoli di prosa, per lo più inediti. Prossimi spettacoli: Maratona di New York di Edoardo Erba, con Fiona May e Luisa Cattaneo, regia Andrea Bruno Savelli, un nuovo allestimento con il testo al femminile (26 febbraio- 3 marzo 2019); Gianni De Feo in Tangeri di Silvano Spada, uno spettacolo su Miguel De Molina, celeberrimo cantante ballerino spagnolo degli anni ’20-’30 (5-7 marzo 2019); Agamemnon di Ghiànnis Ritsos con Franco Mazzi e Mariateresa Pascale, regia Enrico Frattaroli (12-14 marzo); Giovani sospesi di Gauvain con Jacopo Olmi Antinori, Marina Occhionero, Edoardo Purgatori regia Armando Quaranta (19-31 marzo 2019); La pacchia è finita, moriamo in pace, testo sull’immigrazione, con Maria Vittoria Casarotti Todeschini, Beniamino Marcone e Riccardo Sinibaldi, regia di Lorenzo D’Amico De Carvalho (9-11 aprile 2019); Alla ricerca del tempo perduto, da Marcel Proust, con Duccio Camerini, regia di Pino Di Buduo (12-14 aprile 2019); Ay Carmela, di J. S. Sinisterra, un omaggio al varietà e all’avanspettacolo con Marco Simeoli e Carlotta Proietti, regia Giovanni Anfuso (18-28 aprile 2019).
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La Roma insolita
Il parco di Centocelle e l’Ecomuseo che verra’ di Nicola Fasciano
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uello che stiamo andando a scoprire, è uno scrigno di tesori, splendidi e ricchi di storia, anche se al momento risulta ancora celato alla visione e al godimento dei romani e di tutti gli amanti delle antichità, nonostante diverse attività di scavo siano stati effettuate nel tempo. Stiamo parlando di una distesa di circa 120 ettari che si estendono lunga la via Casilina, l’antica via Labicana, all’altezza della fermata Togliatti della nuova linea C della metropolitana. Un parco archeologico che cela le tracce di tre splendidi monumenti dell’età arcaica pre-romana e romana non ancora portati completamente alla luce: la Villa della Piscina, la Villa “Ad Duas Lauros” e la Villa delle Terme. La villa “Ad Duas Lauros”, ai due lauri, era una grande proprietà imperiale romana che le fonti dell’epoca riportano ancora in uso nel V secolo d.C.. La Villa della Piscina, situata presso il limite Nord Ovest del pianoro
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di Centocelle, è identificabile con uno degli edifici demoliti negli anni ’30 con le operazioni di livellamento per il campo di aviazione. Il parco archeologico vero e proprio con tutto il suo percorso fruibile alla comunità interessata, è ancora di là da venire. E dovrebbe essere inserito in un contesto ampio quale è quello dell’Ecomuseo urbano Casilino, progettato lungo l’antica Labicana. Ma cosa è un Ecomuseo?: è una istituzione culturale del territorio che si fonda su un patto con il quale una comunità si impegna a prendersi cura di un’area. L’Ecomuseo urbano in oggetto è, al momento, ancora una idea di progetto piuttosto embrionale nella sua realizzazione, ma che parte con l’intento di recuperare un territorio con una grande storia e che annovera, oltre a quelle delle quali si è già parlato, importanti tracce del passato come il Mausoleo di S. Elena, la madre dell’imperatore Costantino, le grandi catacombe di s. Pietro e Marcellino, l’acquedotto Alessandrino, l’ipogeo di villa Cellere, solo per citare le più note. Gli ecomusei sono nati negli anni ’70 in Francia e si sono sviluppati sia in altri paesi francofoni, quale è il Canada, che in molti altri paesi europei. In Italia il Piemonte prima e la Lombardia di recente, sono regioni all’avanguardia in questo contesto e un numero crescente di amministrazioni è interessato alla tematica ecomuseale come mezzo per documentare e valorizzare il patrimonio e il territorio. Pur rivolgendosi ad un pubblico esterno, ha come interlocutori principali gli abitanti della comunità i quali, anziché visitatori passivi, vogliono diventare fruitori attivi. Per sua definizione e struttura, poiché ogni ecomuseo è concepito e costruito con un territorio e su quel territorio particolare di cui è espressione, non esistono e non possono esistere due ecomusei uguali. Il territorio su cui si svilupperà il progetto dell’Ecomuseo casilino si è, per il momento, dovuto arrendere alle difficoltà di bilancio che ne stanno ritardando l’implementazione. Ma il contesto storico per il quale è stato pensato, oltre alla passione degli abitanti che sono impegnati nella sua progettazione, ci fanno ben sperare in un suo futuro roseo.
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Aprilia
“I linguaggi dell’Anima...” di Pina Farina Associazione Arte Mediterranea, 9-16-23 febbraio , dalle 17.00 alle 18.30
Roma
“Andy Warhol” Complesso del Vittoriano. fino al 3 febbraio 2019 “Picasso. La scultura” Galleria Borghese. fino al 3 febbraio 2019 “Mimmo Rotella. Manifesto” GNAM, fino al 10 febbraio “Velina, il tratto russo. Dal Dionisio a Malevic” Musei Vaticani, Braccio di Carlo Magno, fino al 16 febbraio 2019 “Guido Reni, i Barberini e i Corsini. Storia e fortuna di un capolavoro” Galleria Nazionale di Arte Antica, fino al 17 febbraio 2019 “L’acqua di Talete. Opere di Josè Molina” Museo Carlo Bilotti, fino al 17 febbraio 2019 “Balla a Villa Borghese” Museo Carlo Bilotti, fino al 17 febbraio “Pollock e la scuola di New York” Complesso del Vittoriano. fino al 24 febbraio 2019 “Imaginaries and visions in the age of artificial intelligence” MAXXI. fino al 24 febbraio 2019 “Dream. l’arte dei sogni” Chiostro del Bramante, fino al 5 marzo 2019
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Aosta
“Il mondo di Jacovitti” (articolo a pagg. 12-13) Centro Saint Benin, fino al 28 aprile
Firenze
“Banksy. This is not a photo opportunity” Palazzo Medici Riccardi, fino al 24 febbraio “Intorno al Ratto di Polissena. Pio Fedi scultore classico negli anni di Firenze capitale” Gallerie degli Uffizi, fino al 24 febbraio “Fragili tesori dei principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze. Tesoro del Granduca” Palazzo Pitti, fino al 10 marzo “L’Italia a Hollywood” Museo Salvatore Ferragamo, fino al 10 marzo 2019
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Milano
“Carlo Carrà” Palazzo reale, fino al 3 febbraio 2019 “Milano e il cinema”
Palazzo Morando, fino al 10 febbraio 2019 “Giulio Paolini. Del bello ideale” Fondazione Carriero, fino al 10 febbraio “Picasso Metamorfosi” Palazzo reale, fino al 17 febbraio 2019 “Mario Merz. Igloos” Pirelli HangarBicocca, fino al 24 febbraio “Sanguine. Luc Tuymans on Baroque” Fondazione Prada, fino al 25 febbraio 2019 “Klee. Alle origini dell’arte” MUDEC, fino al 3 marzo 2019 “Romanticismo” Gallerie d’Italia e sedi varie, fino al 17 marzo
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Eventi
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Napoli
“Bruno Munari. I colori della luce” Fondazione Plart, fino al 20 marzo “Rubens, Van Dyck, Ribera. La collezione di un principe” Gallerie d’Italia, fino al 7 aprile “Escher” PAN, fino al 22 aprile
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Pontedera
“Orizzonti d’acqua tra pittura e arti decorative. Galileo Chini e altri protagonisti del primo novecento” (articolo a pagg. 8-9) Palp Palazzo Pretorio Pontedera, fino al 28 aprile
Torino
I MACCHIAIOLI Arte italiana verso la modernità (articolo a pagg. 6-7) Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, fino al 24 marzo
Trento
“Margherita Sarfatti. Il novecento italiano nel mondo” Mart, fino al 24 febbraio “Sotto il cielo d’Egitto. Un capolavoro ritrovato di Francesco Hayez” Castello del Buonconsiglio, fino al 24 febbraio
Treviso
“Illustri persuasioni. Verso il boom 1950-1962” Museo Nazionale Salce, fino al 17 marzo “Da Tiziano a Van Dyck. Il volto del 500” Casa dei Carraresi, fino al 3 febbraio
Venezia
“Autunno al Fortuny. FutuRuins. Il corpo e la pietra” Palazzo Fortuny, fino al 24 marzo
“Lisetta Carmi. La bellezza della verità” Museo di Roma in Trastevere, fino al 3 marzo 16