Occhio all'Arte, gennaio2020 web

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIII N° 131 gennaio 2020

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

n Canova.

Eterna bellezza

“Amore e Psiche stanti” Antonio Canova

Teatro: “Siamo il diritto di nOcchio al libro: “Mary Poppins” nDalla Cina con... n cambiare tutto e di ricominciare” La maschera teatrale cinese


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Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’ - MERCOLEDI’ - VENERDI’ 18,30 - 20,00

CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

Sommario

La maschera teatrale cinese

Responsabile Marketing Cristina Simoncini

Willian Santiago

Amministratore Antonio De Waure

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

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Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna

Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini

Direttore responsabile Rossana Gabrieli

CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure

CORSO DI FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’- MERCOLEDI’ GIOVEDI’ - VENERDI’ 20,30 - 22,30

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE

MARY POPPINS

Canova. Eterna bellezza “Siamo il diritto di cambiare tutto e di ricominciare” The Lighthouse Paolo Anselmi


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illustrazione

MARY POPPINS

curiosità che forse non sapevate! di Patrizia Vaccaro

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J. Andrews, W. Disney, P. L.Travers

n occasione dell’ uscita del nuovo film ispirato alla bambinaia più famosa al mondo, abbiamo cercato di saperne di più, sapevate infatti che c’ è una serie di libri per ragazzi dedicati alla baby sitter magica: Mary Poppins protagonista insieme ai bimbi della famiglia BANKS? I libri sono 8, scritti tra il 1934 e il 1988 e sono ben più articolati della versione disneyana, che ha addolcito la protagonista rendendola molto più permissiva. “I libri sono: Mary Poppins (1934), Mary Poppins ritorna (1935), Mary Poppins apre la porta (1943), Mary Poppins nel parco (1952), Mary Poppins dall’A alla Z (1962), Mary Poppins in cucina (1975), Mary Poppins nel Viale dei Ciliegi (1982), Mary Poppins e i vicini di casa (1988). In Italia sono stati tradotti tutti tranne Mary Poppins dall’A alla Z e Mary Poppins in cucina (quest’ultimo è un libro di ricette). Mary Poppins nel Viale dei Ciliegi è stato pubblicato in un unico volume assieme a Mary Poppins e i vicini di casa. Vi suggeriamo: Mary Poppins. Ediz. integrale (Ragazzi) “ Il romanzo, è stato scritto da Pamela Lyndon Travers e illustrato da Mary Shepard, considerato oramai un classico, e divenuto famosissimo in tutto il mondo grazie al film del 1964 prodotto dalla Walt Disney Company e il relativo musical Mary Poppins, che è basato principalmente sulle avventure del primo libro. Il secondo film “Il ritorno di Mary Poppins” del 2018 è basato su un’altro dei romanzi annessi e nel 2013 invece è stato prodotto un altro film, sempre dalla Walt Disney, chiamato “Saving Mr. Banks”, in cui si raccontano i retroscena, di come Walt Disney abbia ottenuto i dritti dalla Travers per produrre il celebre film, cosa che si rivelò complicata visto che l’autrice non voleva trasformare il suo libro in un cartone animato, o tantomeno in un musical. Alla fine del suddetto film, c’è una chicca: un vecchio registratore a bobine fa sentire la vera voce della scrittrice, forse ultima testimonianza, avvenuta durante la lavorazione del film. Dell’ autrice sappiamo che, il nome Pamela Lyndon Travers, in realtà è uno pseudonimo di Helen Lyndon Goff (Maryborough, 9 agosto 1899 – Londra, 23 aprile 1996), è stata una scrittrice australiana naturalizzata britannica. La magica tata si ispira alla zia della Travers sia per aspetto, che per carattere e portamento. La sorella della madre l’ ha aiutata a superare la morte del padre, tutto ciò viene raccontato nella storia

autobiografica “Zia Sass”, scritta da lei stessa nel 1944. Il libro sulla tata venne scritto dall’autrice molto giovane per risollevare l‘umore delle sorelle che subivano lo stato depressivo della madre. Il libro venne pubblicato nel 1934. Invece per quanto riguarda l’illustratrice, Mary Shepard è nata il 25/12/1909 e scomparsa il 4 settembre 2000, è una figlia d’arte: il padre è il celebre E. H. Shepard, illustratore di libri per ragazzi, ricordato soprattutto per il suo lavoro con Winnie the Pooh di A. A. Milne. Mary Shepard, si propose direttamente alla Travers per realizzare una serie di disegni sulla singolare nanny inglese. Ebbero successo, tanto da farle illustrare tutti e sette i libri della serie dedicata a Mary Poppins. Si devono a lei i tratti caratteristici del personaggio come la ben famosa immagine della bambinaia che arriva nella famiglia Banks direttamente dal cielo: con cappello a fiori, ombrello e impermeabile lungo, con una sciarpa al collo. Tale immagine fu così apprezzata dal pubblico che lo stesso Walt Disney chiese ai sui collaboratori di rifarsi graficamente all’illustratrice, quando decise di portare ‘’Mary Poppins’’ sul grande schermo e di tenere ben presente il modello creato dalla disegnatrice. Pertanto il film del 1964, interpretato da Julie Andrews, “Mary Poppins” presenta molte somiglianze con il personaggio raffigurato dalla Shepard. Sicuramente ci sono alche altre curiosità da scoprire su questa storia, intanto ve ne abbiamo fatta conoscere qualcuna, buona lettura o visione…

Mary Shepard 3


La maschera teatrale cinese

l Lian Pu, la faccia dipinta nella opera tradizionale cinese di Giada Li Chengzhi

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a maschera teatrale non è un concetto sconosciuto, ma è un oggetto che riproduce generalmente le fattezze di un volto e che viene indossato sulla faccia per rappresentazioni teatrali o folcloristiche e che venne usata già nel teatro dell’epoca dell’antica Grecia. Le maschere, o più precisamente, la faccia dipinta nella opera tradizionale cinese, come l’Opera di Pechino e l’Opera di Sichuan, è considerata oggi una parte importante del patrimonio culturale della Cina, ed ha una funzione simile a quelle greche, cioè di caratterizzare il personaggio e renderlo visibile anche a grande distanza; servono anche per attribuire con sicurezza il ceto di appartenenza, lo stato d’animo, l’età e il carattere del personaggio che va in scena. La maschera cinese, detta Lian Pu(脸谱), significa letteralmente “i disegni e segni sulla faccia” ed è infatti un tipo di simbolismo che usa i colori e le linee esageratamente a dimostrare la personalità e l’identità del personaggio. C’è anche una polemica sull’origine del Lian Pu. Un punto di vista afferma che viene da un tipo di danza maschile durante le Dinastie del Nord e del Sud (dal 420- al 589 DC.) per commemorare un generale nobile, con i lineamenti belli come quelli di una donna e molto intrepido. Lui si preoccupò che la sua faccia indebolisse il suo prestigio nella guerra quindi decise di indossare sempre una maschera spaventosa durante le battaglie. Altri credono che le maschere vengano dalle attività sacrificali in cui i sacerdoti erano tutti mascherati. Ad oggi, ci sono dozzine di maschere di bronzo che risalgono a rituali che si tenevano 4000 anni fa, come emerge dalle famose reliquie rinvenute a Sanxingdui nel nord di Chengdu della provincia del Sichuan che secondo le ricerche, sono vestigiadell’antico stato di Shu.

Nati così, i Lian Pu delle epoche precedenti sono veramente le maschere colorate indossate sul volto dagli attori. Ma con il passar del tempo gli spettatori diventarono 4

insoddisfatti perché non riuscivano a vedere la variazione dell’espressione del volto degli attori e non si sentivano in empatia. Quindi gli artisti cominciarono a dipingere direttamente sulla faccia e il Lian Pu, diventò così un’arte di trucco. Già nella dinastia Tang (618-907 dC) ci sono i documenti che riguardano gli attori che interpretavano i fantasmi negli spettacoli con la faccia dipinta. Da questo punto di vista il Lian Pu è differente dalla maschera teatrale italiana, come quella di Arlecchino che è indossata sul volto. Il processo del trucco dell’opera è così complicato che solo gli attori specialisti ne conoscono la tecnica. Oggi il Lian Pu gioca una parte importante nei costumi delle opere tradizionali cinesi, anche se inizialmente non riguardava tutti i personaggi. I ruoli teatrali cinesi possono essere divisi generalmente in quattro tipi: Sheng, Dan, Jing e Chou. Lo Sheng rappresenta i personaggi maschili, il Dan quelli femminili. Il Chou, ovvero il buffone, è un personaggio indifferentemente maschile o femminile, può essere sciocco o astuto e brillante, ed è l’unico al quale è consentito un ampio margine di improvvisazione. La caratteristica del Chou è una grande macchia bianca posta sopra o intorno al naso. Il personaggio più caratteristico nelle opere tradizionali e il padrone originario del Lian Pu è il Jìng che di solito è maschile con una personalità molto forte e un carattere eroico. Ha il viso dipinto e indossa scarpe alte e un costume che lo fa sembrare particolarmente imponente.

(Sheng, Chou, Jing, Dan ) Per completare il trucco di una maschera ci vogliono più di 40 minuti; innanzitutto bisogna scegliere un colore base, poi utilizzare la matita per delineare i contorni delle sopracciglia, degli occhi, del naso e della bocca e gli altri elementi sul volto. A volte il mento non viene ritoccato perché gli attori devono mettersi una barba finta molto lunga. Secondo il colore usato, i Lian Pu sono divisi in quattro tipi: Il primo è Rou Lian, la forma più antica e tradizionale con un senso solenne, che è realizzata attraverso linee sulla faccia di solo un colore fondamentale. Il secondo è Gou Lian con tinte vivaci e disegni variabili, complessi e belli, talvolta decorati


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dalla Cina con...

con l’oro e l’argento. Poi c’è Mo Lian, i cui colori sono principalmente chiari, perché la gente pensava che il trucco posto sul viso indicasse un personaggio cattivo. Ultimamente abbiamo Po Lian, cioè una faccia asimmetrica che rappresenta un carattere brutto o un buffone. Possono essere suddivisi in molte categorie in base ai colori principali, alla proporzione di ogni parte del viso, ai disegni sulla faccia e al grado dell’esagerazione del trucco. Le variazioni del Lian Pu sono state designate per adattarsi a personaggi e loro facce in un tempo rapidissimo. Questo vuol dire opere diversi. che cambiano tutto, da una faccia a un’altra completamente diversa istantaneamente con un movimento della testa o l’agitare rapido della mano. Si dice che esistono tre maniere per cambiare la maschera: il primo è soffiare (in cinese: Chui Lian), l’attore soffia la polvere nascosta nel suo palmo o vicino agli occhi, al naso o alla bocca, in modo che oscuri il suo viso. Il secondo è strappare le maschere (in cinese: Che Lian), l’attore tira giù una maschera che era stata precedentemente nascosta in cima alla sua testa, cambiando il viso in rosso, verde, blu o nero per esprimere rispettivamente felicità, odio, rabbia o tristezza. Il terzo è spalmare la faccia, (in cinese: Mo Lian), l’attore trascina la tinta nascosta nelle basette o nelle sopracciglia Il disegno del Lian Pu varia da regione a regione ed è sul viso per cambiare aspetto. Però non ci pieno di particolarità e può essere diviso in tre classi: sono prove per verificare l’autenticità di queste i più postivi, i neutri e i negativi. Nella prima classe teorie, infatti la tecnica del Bian Lian è elencata ci sono il rosso che rappresenta un carattere leale e come un segreto nazionale di seconda classe coraggioso, il giallo che, oltre al coraggio, indica anche ed è anche l’unico segreto di stato nel dramma l’irritabilità. Ci sono ancora due colori che hanno un cinese. Storicamente, il Bian Lian era stato visto senso abbastanza positivo: il blu, indice di volontà raramente al di fuori della Cina, ma dalla metà libertà e il viola che simboleggia un personaggio degli anni 2000 è stato eseguito occasionalmente modesto, maturo e con un grande senso di giustizia. Il nei mass media internazionali e in eventi a tema nero è per i giudici rigorosi, è il simbolo della serietà, cinese. ma a volte rappresenta anche i personaggi muscolosi, Se avete occasione di viaggiare n e l l a ma un po’ goffi. Poi c’è il verde che mostra un prode, provincia Sichuan, non troppo impulsivo. La faccia bianca è un simbolo dimenticate di assistere negativo, mostra la caratteristica astuta e furba di una ad uno spettacolo persona mediocre. Infine, esistono due colori speciali d’opera. che si usano principalmente nelle opere mitologiche e fantastiche: oro e argento. Il primo rappresenta sempre gli dei maestosi come il Budda, mentre il colore argento si usa sia per gli immortali, sia per gli gnomi o i fantasmi, talvolta somiglia al bianco dandoun’atmosfera sospettosa o astuta. I Lian Pu dipinti sono così popolari in Cina che ci sono perfino canzoni loro dedicate. Tradizionalmente ogni personaggio di un teatro ha solo una maschera, ma il Bian Lian è un spettacolo che ha del miracoloso perché gli artisti cambiano le 5


Willian Santiago

Illustrazioni di ispirazione vintage e art deco di metĂ secolo di Cristina Simoncini

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illustrazione

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illian Santiago è un illustratore e grafico brasiliano il cui lavoro si ispira al design della metà del secolo, alla grafica minimalista e all’eleganza dell’ ”Art deco”. Una serie di collage digitali e la proposta di identità aziendale di Willian Santiago per Barro Blue Ceramics sono già stati pubblicati su “WE AND THE COLOR”. Le illustrazioni di Willian sono caratterizzate da un variegato mix di forme geometriche insieme a una gamma selezionata di colori ed elementi giocosi. Il suo lavoro è profondamente ispirato allo stile dell’arte e del design della metà del XX secolo. Con un’affinità per i colori audaci, Willian Santiago documenta ciò che vede intorno a Londrina, la città nel sud del Brasile dove vive. Utilizza blu, verdi e rossi brillanti per creare le sue illustrazioni di animali selvatici e pose di figure femminili che spesso assomigliano alle forme geometriche e alle linee di stampa a blocchi di legno frequenti nell’arte brasiliana. “ Adoro esplorare ”, ha detto Santiago in un’ intervista con WePresent. “ Potrebbe essere l’attività in cui passo la maggior parte del mio tempo durante la creazione di un’ illustrazione. Il colore suscita sentimenti diversi nelle persone. Alla fine voglio che il mio lavoro crei sentimenti di gioia. ” Con un background nel tessile e nella progettazione di modelli, l’artista afferma che “ vecchie copertine di riviste di Vogue, art déco e figure eccessivamente posate ” spesso servono come ispirazione, oltre ad essere stato “ circondato da donne forti “da bambino. In questa serie di immagini, Santiago condivide la sua interpretazione delle donne del sud del Brasile. Fonti: www.fubiz.net , afropunk.com www.thisiscolossal.com 7


Canova. Eterna bellezza

Il teorema perfetto: antico e moderno a confronto di Maria Chiara Lorenti fino ad ottenere le prime grandi commissioni. Il suo amore per l’Urbe sarà un connubio che durerà tutta la vita, e la città, oggi, ricambia questo profondo legame, rivelando quanto proficua sia stata l’ispirazione che trasformò l’ammirazione per la scultura ellenica e romana in arte nuova, non copiata, ma innovata in una altrettanto bella, ma diversa. Primo rappresentante del neoclassicismo, Canova fu un punto di riferimento per tutti gli artisti della sua epoca, ma a tutt’oggi è alla sua arte che si guarda per quel rinnovamento che pur così vicino ne ha stravolto i canoni. L’allestimento della mostra è particolarmente attento, specialmente per gli effetti luminosi. Si è cercato di dare l’impressione che aveva un visitatore che si recava al suo studio, a cavallo tra il settecento e l’ottocento, quando le sue opere erano illuminate dalle fiamme delle candele, che gli davano quella morbidezza, tra luce ed ombra, da rendere la pelle calda e setosa, perché come voluto dall’artista stesso, si evidenziava l’accuratezza dell’esecuzione. Il viaggio è suddiviso in tredici tappe che scandiscono l’iter espositivo: 1. 1779: Canova a Roma; 2. la nascita del nuovo stile tragico; 3.

“Danzatrice”

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n questi mesi il panorama artistico della capitale si arricchisce di una mostra molto interessante, quella sulle opere di Antonio Canova. Come Stendhal ebbe modo di appuntare nel suo Viaggio in Italia: “ Canova ha avuto il coraggio di non copiare i greci, e di inventare la Bellezza, così come i greci avevano fatto. Che dolore per i pedanti! Per questo lo insulteranno ancora per cinquant’anni dopo la morte, e la sua gloria non farà che crescere più rapidamente.” Giunto a Roma a ventidue anni, proveniente da Venezia, investirà i guadagni della vendita di Dedalo e Icaro per studiare dal vero le opere dei classici greci e romani, che aveva già visto nella gipsoteca veneziana. Finiti i soldi, riuscirà a farsi finanziare dalla città dei dogi con una borsa di studio che gli permetterà di perfezionare il suo modus lavorandi, 8

“Maddalena penitente”


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in mostra

Canova e la Repubblica romana; 4. Ercole e Lica; 5. I pugilatori; 6. Il teorema perfetto: Antico e Moderno a confronto; 7. Canova e l’Accademia di San Luca; 8. Canova ispettore delle Belle Arti; 9. Canova e i busti del Pantheon; 10. Ultime opere per Roma; 11. Lo studio di Canova; 12 La danzatrice e 13. Morte e glorificazione. I disegni preparatori, i bozzetti in terracotta, i calchi in gesso che anticipano le sculture in marmo, ci introducono sulla complessa arte della scultura, e, oltre a varie opere dei suoi contemporanei che, insieme alle trenta fotografie di Mimmo Jodice immortalano i suoi marmi, sono più di centosettanta opere che formano il fulcro della mostra di Palazzo Braschi. Amore e Psiche, Paride, la Religione, Fauno Barberini, la Maddalena penitente, Creugante etc. sono solo alcune delle opere in mostra, grandi capolavori prestati dai più prestigiosi musei. Una sezione poi è dedicata al lavoro che Canova fece come Ispettore delle Belle Arti dello Stato Pontificio, non solo impedì che molti marmi preziosi venissero esportati, ma riuscì a far restituire dai francesi un terzo delle opere trafugate da Napoleone. Intrigante lo scenario in cui viene posta la Danzatrice con le mani sui fianchi, circondata da specchi, rotea su

“Amorino alato”

una base che le permette di essere osservata in ogni direzione, senza spostarsi, così come voleva l’autore stesso. Specchi, velluti scuri, luci a lume di torcia, contribuiscono a formare un’atmosfera calda che esalta le forme morbide e il baluginio dei marmi, rendendo questa mostra un vero e proprio evento, che si protrarrà fino al 15 marzo. Per la sua arte visse, e per la sua arte morì. Sì, perché per scolpire il marmo, spesso usava un trapano che, per imprimere più forza, incuneava sullo sterno, e a lungo andare questo sforzo provocò una occlusione allo stomaco che lo portò alla morte. 9


“Siamo il diritto di cambiare tutto e di ricominciare” Quando le donne si mettono in gioco di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

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utto ha avuto inizio in una tiepida giornata primaverile, tra le chiare luminescenze e i delicati profumi di una natura che rinasce in maniera tangibile ed emozionante! Quando non può che accadere qualcosa di bello e niente affatto prevedibile! Non sempre, a dire il vero, ma nel mese di aprile dello scorso anno, per me è iniziato un percorso umano ed artistico veramente notevole. Della mia vita hanno iniziato a far parte nuove persone, realtà di cui, negli anni, avevo solo sentito parlare, un’esperienza teatrale importante, sicuramente la più impegnativa e gratificante, fino a questo momento. L’occasione mi è stata offerta dal regista della compagnia teatrale di cui faccio parte, Giampiero Bonomo; il serio impegno, la tenacia e la voglia di mettermi sempre in gioco fanno parte di me, senza falsa modestia. Sono stata coinvolta, insomma, in un progetto che, di primo acchito, mi inorgogliva e mi spaventava, partecipare alla messa in scena di una commedia insieme ad altre cinque signore dell’Associazione Andos, prive di qualsiasi esperienza teatrale, ma, evidentemente, motivate ad emozionarsi e ad emozionare attraverso l’arte teatrale. La realizzazione del progetto, inoltre, aveva anche una finalità pratica, raccogliere fondi per la suddetta associazione. Sempre in quel fatidico giorno di primavera, a me e alle cinque signore, fino ad allora, sconosciute, oggi mie buone amiche oltre che compagne di viaggio, è stato consegnato un copione “Orario di visita” di Stefania De Ruvo. Una commedia brillante, in due atti, con un mistero da risolvere, che vede coinvolte sei donne, appunto, a vario titolo presenti nella sala d’attesa di un carcere. Quasi tutte sono legate allo stesso detenuto, evaso il giorno prima, alcune in maniera evidente altre di nascosto. E’ compito dell’ispettore (io) scoprire dove sia il detenuto in questione e, lo stesso, per carpire quante più informazioni possibili, cela la sua vera identità in tutto il


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occhio al Teatro

primo atto, nel quale “vestirà” anche i panni della moglie di “un furto con scasso”. Tante risate, ma anche momenti per riflettere sulle scelte di vita e sulle relazioni umane. L’obiettivo da raggiungere era ambizioso, l’impegno da parte di noi tutte è stato veramente notevole. Tante le prove a teatro e non solo; tanti i momenti di sconforto allo stato puro. Io per mesi non sono riuscita a vestire i panni di un ispettore sia nell’atteggiamento che nell’impostazione vocale, non avevo punti di riferimento, visto che, fra l’altro, non guardo le fiction. In una fredda serata di gennaio, alla presenza di un caloroso pubblico di amici e parenti, siamo andate in scena. Abbiamo replicato per altre due sere, 4,5 e 6; il pubblico era sempre meno familiare, ma altrettanto caloroso e numeroso (sold out, in tutte e tre le serate). Il successo è stato tale che abbiamo deciso di replicare di nuovo, il 30 gennaio e il 2 febbraio. Recitazione, musica, canto e una commovente coreografia finale da parte di cinque di noi; la sesta, con la sua bellissima voce, canta “Il peso del coraggio” di Fiorella Mannoia. Come già precisato, l’evento ha una finalità benefica ed è stato patrocinato dal Comune di Nettuno e di Anzio, e dalla UILT (unione italiana libero teatro). Alle varie serate, hanno partecipato il Sindaco di Nettuno, alcuni assessori e consiglieri del Comune di Anzio e di Nettuno, la presidente della UILT, la presidente dell’ANDOS locale, dell’ANDOS provinciale e regionale! Sembra che andremo in tournée … per il momento siamo alla ricerca di un nome da dare alla nostra Compagnia. 11


The Lighthouse

L’orrore e la segregazione di Valerio Lucantonio

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opo quattro anni dal sorprendente esordio di “The Witch”, già ritenuto tra i lungometraggi horror più iconici del decennio appena concluso, Robert Eggers porta sul grande schermo un altro titolo destinato a lasciare un segno unico e originale nel panorama contemporaneo del genere: “The Lighthouse” (in Italia ancora inedito), che delinea una forte coerenza poetica con il film precedente articolandone un’evoluzione sia per forma che per contenuti. La sostanza di partenza è ancora una volta la cultura multiforme del passato, groviglio inestricabile di letteratura e folklore. In questo caso l’ispirazione passa dalle fiabe oscure e dalle leggende esoteriche dell’America coloniale alle ballad marinaresche e alle opere di Melville e Coleridge. Oltre che sul lavoro certosino di documentazione e ricostruzione storica della messa in scena e della colorita lingua dialettale, Eggers si concentra nuovamente sul tema della superstizione, portata alle estreme conseguenze bloccando i personaggi in situazioni di isolamento e reclusione, favorevoli a immergere lo spettatore in un mondo altamente estraneo e metaforico.

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Se in già “The Witch” la riflessione sulle dinamiche del potere e la dimensione estetica claustrofobica erano focalizzate su un gruppo alquanto ristretto di personaggi (non a caso costituenti una famiglia, l’unità minima del nucleo sociale) in un ambiente ostile, in “The Lighthouse” la porzione di realtà osservata si riduce ulteriormente. Per seguire e al tempo stesso costringere gli unici personaggi della vicenda (i due guardiani del faro situato su uno scoglioso lembo di terra in mezzo al mare), l’immagine regredisce: la grana ruvida della pellicola 35mm in bianco e nero e il formato 1.19:1, quasi quadrato, catapultano lo spettatore alla fine dell’800 aderendo alla cultura visuale dell’epoca in cui si svolge il racconto. Queste premesse tecniche compongono il tono austero e inquietante del film, che presenta fin da subito le convenzioni dell’horror lovecraftiano per poi espandersi verso uno stratificato discorso allucinatorio e simbolico. Eggers usa il genere, e in particolare la sua declinazione soprannaturale, per instaurare proiezioni di complessi e fobie dalla marcata connotazione socio-antropologica:


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un’interessante miscela tra horror e dramma in costume nella quale le tendenze insite in entrambi i modelli narrativi si potenziano a vicenda, disponendo un potente strumento di indagine delle tensioni prima contemporanee e poi universali. È notevole la capacità degli sceneggiatori (lo stesso Eggers e suo fratello Max) di condensare e dissimulare un insieme così ampio di stili narrativi e riflessioni nell’essenzialità del rapporto duale tra il vecchio uomo di mare e il giovane novizio, interpretati rispettivamente da Willem Dafoe e Robert Pattinson – entrambi tanto precisi nell’immedesimazione culturale quanto sregolati ed eccentrici nell’espressione delle pulsioni, a volte contraddittorie a volte complementari. La relazione che si viene a creare tra i due personaggi restituisce in nuce la complessità degli equilibri politici e del confronto con l’alterità, dinamiche irriducibili in termini di semplici opposizioni e inevitabilmente portatrici di un susseguirsi caotico di conflitti e rappacificamenti. In questa narrazione dall’imponente portata concettuale, che non trascura mai le capacità espressive del racconto audiovisivo, è ben presente e riconoscibile l’eredità di Alfred Hitchcock: nell’evidente e accurata progressione della

cinema

suspense; nei temi fondanti della sceneggiatura, dal transfert di colpa alla problematizzazione degli istinti profondi; nelle scelte di regia che suggeriscono tramite long take, mise en abyme e angolazioni spersonalizzanti la presenza di un’istanza metafisica dallo sguardo distaccato, ma giudicante. Rispetto al film precedente, “The Lighthouse” opera in maniera più radicale sull’estetica (ne sono una prova la già citata regressione della fotografia, ma anche il sound design oppressivo e incessante) e sulle tematiche (dall’ortodossia religiosa all’abbrutimento individualistico, dall’orrore diabolico a quello cosmico, per quanto introiettato), proponendo un finale che perverte lo sfogo catartico e si risolve in un inevitabile contrappasso che implica un pessimismo atavico di fondo. Agli amanti dell’horror d’autore non resta che aspettare il prossimo lavoro di uno dei registi più originali e spiazzanti degli ultimi anni, sperando che continui a superare le sfide impegnative di un cinema che non si pone limiti e non accetta compromessi nel proporre la propria visione del mondo tramite lo stupore e il terrore più viscerali. 13


Paolo Anselmi

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occhio al libro

“Cercatori di silenzio. Le motivazioni, le esperienze, le emozioni di chi ama e pratica il silenzio” di Giuseppe Chitarrini

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uesto volumetto illustra, in maniera riassuntiva, i risultati di una indagine condotta sul significato e il valore attribuito al silenzio eseguita su un campione di 180 persone, visitatori anche saltuari della Accademia del Silenzio, fra il marzo 2015 e il settembre 2016. Una rilevazione interessante oltre che per il tema anche per il metodo (qualitativo) con il quale è stata condotta; tuttavia non possiamo dire di essere di fronte a una ricerca rappresentativa, né di una ricerca di opinione sulla materia del Silenzio, anche perché si tratta –come dicevamo- di persone già frequentatrici dell’Accademia del Silenzio, quindi una porzione minima di una platea di frequentatori ed amanti del silenzio, o comunque abituati e già interessati alla pratica e all’esercizio di questa forma di comunicazione empatica ed emotiva e che è anche uno stato d’animo, uno stile di vita, una condizione esistenziale… Un’indagine quindi che non si è posta l’obbiettivo di rilevare e quantificare in maniera ‘normativa’ e generalizzabile determinati atteggiamenti e comportamenti, ma piuttosto di rilevare in maniera descrittiva ed estremamente idiografica la dimensione valoriale e soggettiva attribuita all’esperienza del silenzio da parte di un gruppo ristretto di persone, che –per di più- già esercitano questa forma espressiva che possiamo considerare alternativa rispetto la condizione umana attuale, una condizione di vita ‘rumorosa’, propensa ad affrontare le relazioni sociali e districarsi nella complessità 14

quotidiana attraverso l’uso eccessivo, spesso abnorme, della parola. Sono state sottolineate anche le esperienze di segno negativo che il silenzio comporta, quando esso si carica di significati dolorosi e negativi (cfr. da p. 32 a p. 37), quando diventa occasione di espressione di un lutto, o di ostilità nei confronti dell’altro, di imbarazzo e ambivalenza ecc. Un opuscoletto che presenta una sintesi dei risultati di una rilevazione che, pur essendo di ‘breve raggio’, ha consentito di mettere in luce alcuni punti che caratterizzano la relazione che con il silenzio hanno oggi coloro che questa dimensione ricercano, praticano e frequentano quale spazio, quale valore, significato e contenuto abbia assunto il silenzio nella loro vita (p. 7). Una vita che non necessariamente è caratterizzata da solitaria monasticità e contemplazione, spesso, infatti, i cercatori di silenzio sono artisti che in esso trovano quel necessario tempo di raccoglimento per poi passare all’atto artistico. L’autore: Paolo Anselmi, è ricercatore presso la fondazione Agnelli ed è docente di Metodologia della ricerca sociale all’Univ. di Pavia e di Marketing alla Cattolica di Milano. E’ inoltre consigliere del WWF e Vice presidente del GfK: un istituto di ricerca che fa capo all’Eurisko, ed è, appunto, fra i membri promotori dell’Accademia del Silenzio, nata nel 2010 da un’idea di Duccio Demetrio (docente di Filosofia dell’Educazione) e di Nicoletta PollaiMattiat, giornalista (La Stampa, La Repubblica, Il sole 24 ore) e saggista.


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Roma

“Medardo Rosso” Museo Nazionale Romano Palazzo Altemps, fino al 2 febbraio 2020 “L’enigma del reale. Ritratti e nature morte” Gallerie Nazionali di Arte Antica Galleria Corsini, fino al 2 febbraio “Colori degli Etruschi. Tesori di terracotta alla Centrale Montemartini” Centrale Montemartini, fino al 2 febbraio 2020 “Jan Fabre. The rhythm of the brain” Palazzo Merulana, fino al 9 febbraio 2020 “Giancarlo Sciannella” Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali, fino al 16 febbraio 2020 “Bacon, Freud. La scuola di Londra” Chiostro del Bramante, fino al 23 febbraio 2020 “Strade di Arabia. Tesori dell’Arabia Saudita” Museo nazionale romano Terme di Diocleziano, fino al 1 marzo “Dialoghi sulla moda” Curia Iulia, foro romano, fino al 21 marzo “Impressionisti segreti” Palazzo Bonaparte, fino al 8 marzo 2020 “Canova. Eterna bellezza” (articolo a pagg. 8-9) Palazzo Braschi, fino al 15 marzo 2020 Frida Kahlo“il caos dentro” SET Spazio Eventi Tirso, fino al 29 marzo 2020 “Carthago. Il mito immortale” Parco archeologico del Colosseo, fino al 29 marzo 2020 “Gio Ponti. Amare l’architettura” MAXXI, fino al 13 aprile “Gabriele Basilico. Metropoli” Palazzo delle Esposizioni,fino al 13 aprile “I love Lego” Palazzo Bonaparte, fino al 19 aprile “The dark side, chi ha paura del buio” Musja Museo, fino al 1maggio 2020 “C’era una volta Sergio Leone” Museo dell’Ara Pacis, fino al 3 maggio “Jim Dine” Palazzo delle Esposizioni, dal 11febbraio al 2 giugno

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Barletta

“Boldini. l’incantesimo della pittura” Pinacoteca “De Nittis”, fino al 3 maggio

Città della Pieve (Pg)

“Mitopoiesi” Kossuth Spezio Kossuth, fino al 15 marzo 2020

Ferrara

“De Nittis e la rivoluzione dello sguardo” Palazzo dei Diamanti, fino al 13 aprile

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Firenze

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Eventi

“Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento” Uffizi, fino al 1 marzo “Picasso.l’altra metà del cielo. Foto di Edward Quinn” Museo mediceo di Palazzo Medici Riccardi, fino al 1 marzo

Milano

“Van Cleef & Arpels: il tempo, la natura, l’amore” Palazzo Reale, fino al 23 febbraio “Guggenheim. La collezione Thannhauser, da Van Gogh a Picasso” Palazzo Reale, fino al 1 marzo “Canova - Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna” Gallerie d’Italia, fino al 15 marzo 2010

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Napoli

“Napoli Napoli di lava, porcellana e musica” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 21 giugno 2020

Padova

“Van Gogh, Monet, Degas” Palazzo Zabarella, fino al 1 marzo

Torino

“Konrad Magi. La luce del nord” Musei reali, sale Chiablese, fino al 8 marzo “Vittorio Corcos. L’avventura dello sguardo” Museo Accorsi, fino al 16 febbraio

Urbino

“Raphael Ware. I colori del Rinascimento” Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale, fino al 13 aprile 2020

Venezia

Da Tiziano a Rubens” Palazzo Ducale, fino al 1 marzo

Verona

“Carlo Scarpa. Vetri e disegni 1925-1931” Museo di Castelvecchio, fino al 29 marzo “Il tema di Giacometti - Da Chagall a Kandinsky. Capolavori della Fonfazione Maeght” Palazzo dela Grand Guardia, fino al 6 aprile 2020


“Shir Hashirim� (cantico dei cantici) Palazzo Doria Pamphilj, fino al 15 marzo

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