Occhio all'Arte web, marzo 2021

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIV N° 143 marzzo 2021

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nManolo Valdes

Le forme del tempo MANOLO VALDÉS “REINA MARIANA”

Associazione Arte Mediterranea CuriosArt: Jean-Honorè n n Fragonard - Erika e la sedia d’autore

Illustrazione - il caso di Isadora n Moon


Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

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Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00

Collaboratori Mensile culturale edito dalla Patrizia Vaccaro, Valerio Lucantonio, Associazione Arte Mediterranea Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Francesca Senna Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org Responsabile Marketing www.artemediterranea.org Cristina Simoncini Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007 Composizione e Desktop Publishing Fondatori Giuseppe Di Pasquale Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche Amministratore parziale Antonio De Waure senza il consenso dell’editore

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale

CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45

Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale,

Direttore responsabile Rossana Gabrieli

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CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00

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Sommario

Erika e la sedia d’autore Il caso Isadora Moon: di Harriet Muncaster Jean-Honoré Fragonard Manolo Valdes Tradizione letteraria cinese nella pittura ad olio di Xu Li Il bunker di Villa ADA, rifugio dei Savoia LA TRILOGIA FIREFLY “Ho eretto questa statua per ridere. L’antropologia di Pier Paolo Pasolini” Sul filo di china


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Associazione Arte Mediterranea

Erika e la sedia d’autore di Maria Chiara Lorenti

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volte è strano il destino, crea dei casi fortuiti che ti spingono in direzioni non esplorate. Così è successo ad Erika Mallardi, pittrice che ha affinato il suo stile grazie al maestro Antonio De Waure, presidente dell’Associazione Arte Mediterranea, di cui lei fa parte. Durante il lockdown, a casa, come tutti del resto, ha pensato di restaurare delle vecchie sedie, giunta al momento di tappezzarle, le ha rivestite con una stoffa fatta stampare appositamente con l’immagine dei suoi quadri. Così sono nate le sedie d’autore. Felice del risultato, ha postato le foto dei suoi lavori su istagram, e pensava fosse finita così. “ Non so per quale strano algoritmo social la storia è stata vista da Maria Luisa Gavazzeni, che neanche sapevo chi fosse. Cercando su internet ho scoperto che era la storica direttrice creativa di Trussardi, vedova di Nicola Trussardi e suocera di Michelle

Hunziker, ne sono stata onorata, ma è finita lì ”. Però questo apprezzamento l’ha spinta a creare nuove sedie, tutte ristrutturate e rivestite con tessuti diversi, rigorosamente stampati con riproduzioni dei suoi quadri. Così decide di mandare le immagini di queste nuove sedie d’autore alla Trussardi ed alla signora Gavazzeni piacciono talmente da invitarla a spedirgliene una, a sua scelta, alla Maison Trussardi di Milano. “ Le ho mandato una sedia che ho chiamato Rain, pioggia. Ed è il numero uno della serie .” Certo che il fato è strano, tutto è nato perché, costretta a casa da una pandemia mondiale, Erika ha deciso di impiegare il suo tempo ad aggiustare una vecchia sedia, ma essendo una persona creativa ha voluto personalizzarla con un suo dipinto...

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Il caso Isadora Moon: di Harriet Muncaster Un mondo di fiabe in tre colori di Patrizia Vaccaro

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uò un libro per bambini attirare l’attenzione dei più piccoli con solo tre colori nella grafica? Questo succede nella serie di libri illustrati per bambini ISADORA MOON: graficamente, i libri hanno tratti semplici, la cui lettura è fluida e scorrevole grazie ai caratteri grandi, che li rendono adatti anche ai lettori più piccoli, ma ciò che contraddistingue questi libricini è l‘utilizzo di tre colori: bianco, rosa e nero. Già dalla copertina si cerca di capire il perché di questa scelta grafica, l‘utilizzo insolito del nero, ad esempio, ma quando si conosce la protagonista, il quadro si fa più chiaro: lei è una bimba con la mamma fata ed il papà vampiro, in lei vivono le due realtà: ama sia la notte, i pipistrelli e il tutù nero, ma anche l’alba, le bacchette magiche e il suo coniglietto rosa: per cui i due colori, rosa e nero, 4

sottolineano questa dualità. Le sue avventure si sviluppano proprio nel cercare di capire a che mondo appartiene, come ogni ragazzina, vive le stesse ansie di tutti, quando si è alle prese con il riconoscimento di sé. La sua autrice, nonché illustratrice, è nata in Arabia Saudita nel 1988, ma prestissimo la sua famiglia torna a vivere in Inghilterra; cresce ad Hitchin nell’Hertfordshire dove vive tutt’ ora con il marito e la figlia. Ha studiato Illustrazione presso il Norwich University


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College of Art, ha ottenuto un Master in Illustrazione per libri per ragazzi presso la Anglia Ruskin University. Naturalmente ha una passione per il mondo magico e infatti la sua notorietà arriva con Isadora Moon, tradotta in ventinove lingue, tra cui: spagnolo, italiano, rumeno e coreano... edita in Italia da De Agostini. La collana si arricchisce oggi di un nuovo personaggio: la cugina Mirabella con una mamma strega, il papà folletto e un fratello maghetto, lei è un po’ tutti e tre, per cui il panorama si arricchisce.

illustrazione

Mirabella adora lanciare incantesimi stregati, ma le piacciono anche la natura e la magia delle fate. Aumentano pure le problematiche: non sa se essere una graziosa fatina oppure una streghetta ribelle. Tutte queste caratteristiche dei vari personaggi, nonché i loro caratteri ed emozioni, si evidenziano con la scelta dei colori, quindi anche nei vostri lavori, non sono mai da sottovalutare.

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Jean-Honoré Fragonard Il pittore dell’amore di Cristina Simoncini

Il bacio rubato

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meritarsi il soprannome di “pittore dell’amore” fu Jean-Honoré Fragonard (per gli amici Frago), di lontane origini italiane, nato il 5 aprile del 1732 a Grasse (Provenza). Egli visse in un periodo di cambiamenti sociali talmente tumultuosi da mettere a rischio perfino la sua testa, la quale rischiò davvero di cadere in un cesto durante la Rivoluzione francese (venne salvato dall’amico pittore David). Per fortuna la sua vita fu sempre piena 6

d’amore ed è da esso che trarrà sempre conforto quando il suo mondo sparirà per sempre. Con originali pennellate quasi impressionistiche (testimonianza del suo grande talento), questo artista seppe descrivere gli aspetti più seducenti della vita intima dei nobili prima che la ghigliottina calasse su di loro; si tratta di scenette deliziose capaci di far sempre felici i suoi commissionanti. Dopo, a parte qualche tentativo di adeguarsi ai


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nuovi tempi, smise di dipingere. La biografia di Frago parla di numerose storie d’amore, ma le due donne più importanti della sua vita furono la moglie Marie-Anne Gérard, sposata nel 1769 che gli diede due figli e la cognata Marguerite. Queste due signore gli saranno sempre vicino con grande affetto nei momenti più difficili. La sorella di Marie-Anne divenne sua allieva e in seguito fu una sua stretta collaboratrice; lo seguì ovunque, perfino quando per sfuggire al periodo del terrore, il pittore tornerà con la moglie a Grasse dove era nato. A piangerlo quando morì all’alba del 22 agosto del 1806, ci saranno solo Marie-Anne e Marguerite. Nessun elogio funebre verrà da parte

L’appuntamento

curiosArt

dello Stato, nonostante Fragonard avesse svolto durante il periodo della Rivoluzione numerosi incarichi di prestigio. “Il pittore dell’amore”, venne nella vita ricompensato solo da questo sentimento, che tanto bene cantò quando in Francia si amavano di più le gioie della vita che gli spettacoli della ghigliottina e le parate militari di Napoleone. Il suo nome caduto da subito nell’oblio, tornerà però a nuova gloria nel XX secolo. Fonte: www.pitturaomnia.com

La dichiarazione d’amore 7


Manolo Valdes

Le forme del tempo di Maria Chiara Lorenti

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oveva concludersi il 10 di gennaio, ma visti i lunghi periodi di pausa, dovuti all’alternanza di zone tra giallo e rosso, la mostra dedicata a Manolo Valdes, allestita a Palazzo Cipolla a Roma, è stata prorogata fino all’11 luglio. Risale al 1995 l’ultima esposizione di questo artista a Roma, e questa di oggi, forte di una settantina di opere, tra quadri, disegni e sculture, ripercorre la carriera artistica di Valdes, nell’arco di una quarantina d’anni. Ispirato dai grandi pittori del passato, rivisitati

Rostro tricolor sobre fondo gris, 2006 8

in chiave ludica, ne reinterpreta le opere con uno spirito più moderno, in versione tridimensionale, realizzando i soggetti nei materiali più diversi, siano le sue sculture in legno, o in pietra, come marmo, alabastro, o in metallo, più tradizionale quale il bronzo e l’ottone, o più postindustriale vedi il ferro e l’acciaio. Così “Las Meninas” di Velazquez, abbandonano la bidimensionalità della tela, con tutta la loro ricchezza di particolari, sia nelle vesti che nelle acconciature, per essere iconizzate in una sintesi formale, più scabra e semplice, che però non le priva della loro riconoscibilità e della loro grazia. La loro figura elegante, resa attraverso i colori della pietra, pur essendo molto simili, ne caratterizza l’unicità di ognuna, e la forma a mò di preziosa boccetta di profumo, diviene il leitmotive di tutta la mostra. E le bamboleggianti damine della corte spagnola si materializzano in monumenti di grandi dimensioni, pur non


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perdendo la loro leggiadria e poeticità. Ma Velazquez non è l’unico maestro a cui Valdes si è ricondotto, la sua ricerca “visionaria” spazia tra El Greco e Rubens, da Ribera a Zurbaràn, per poi approdare ai più “moderni” Matisse e Lichtenstein. Tutti trasportati dalla pittura alla scultura, ampliandone, nel passaggio, la forza e la vitalità, e dando loro una potenza tattile che la tela non può avere. “Quasi tutte le opere in mostra hanno come origine un capolavoro del passato, tanto da ritrovare Battista Sforza di Piero della Francesca, Pollaiolo, il Nudo di Baltimora di Matisse e via di seguito...poi non possiamo non parlare della sua sperimentazione con la materia, che è fondamentale! La stratificazione della materia diventa un correlativo oggettivo della stratificazione temporale. Per Valdes è chiaro che le muse, ovverosia le arti, nascono dalla memoria, cioè ogni artista nasce da altri artisti. La vera arte, molto spesso, nasce per emulazione.” conclude il curatore della mostra

in mostra

Gabriele Simongini. Però l’arte così attinta non diviene un mero esercizio copiativo, ma si trasforma, mediante la sensibilità e l’esperienza di colui che si ispira e, attraverso un processo di attualizzazione, diviene “nuova”, originale, lo scorrere del tempo deteriora, ma non distrugge e il messaggio espresso è ancor oggi vivido e soprattutto valido.

Desnudo Azul,1995 9


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dalla Cina con...

Tradizione letteraria cinese nella pittura ad olio di Xu Li Dalla Beijing Foreign Studies University di 拜年文化 李晓婉

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ggigiorno, arte occidentale e arte orientale non possono più essere classificate o distinte secondo una scienza della storia dell’arte lineare e progressiva, che, in definitiva, avrebbe il compito di confermare o stabilizzare il dominio di una cultura sull’altra. In un’epoca di grandi cambiamenti globali e di massicce interazioni estetiche, le 2 arti si stanno sempre più intrinsecamente avvicinando e vicendevolmente influenzando. La millenaria tradizione pittorica cinese ad esempio, si è aperta all’internazionalizzazione e al modernismo, confrontandosi con la pittura occidentale, pur mantenendo forti legami con la propria tradizione figurativa e con le proprie basi letterarie e filosofiche. Nato negli anni 60 e attualmente pittore di gran successo, Xu Li ha pienamente tenuto conto del processo di avvicinamento dei 2 mondi artistici e soprattutto pittorici, avvenuto negli ultimi deccenni. Cio’ ha dato luce al suo percorso di esplorazioni verso i cambiamenti approfonditi e radicali che inducevano gli elementi letterari di pittura tradizionale cinese nella sua pittura ad olio. Avvicinando le opere del maestro, si respira un’aria generata dall’ incontro tra occidente e oriente, tra coscienza letteraria profonda e mondo realmente organico. Una pittura ad olio fortemente espressiva che risolve in immagini di compiuta armonia molteplici esperienze: quella verbale e quella iconica, quella letteraria e quella logica. E’come se i due mondi, quello della pittura letteraria cinese e quello della pittura ad olio occidentale si contraessero in una pratica che eleva la libertà creativa dei suoi atti linguistici con una forte peculiarita’ personale. Il percoso esplorativo del pittore emerge da tante sue opere, tra cui la Collezione Ji Xiang Xue Yu (Mondo Innevato di Buon Augurio), nelle quali le pennellate del maestro non descrivono piu’ con precisione la realta’, ma un’espressione d’immagine letteraria che, in particolare, presenta l’arte cinese. Ovviamente tale percorso si basa sulle pratiche di arti cinesi e pittura ad olio, nonche’ sulla piena coscienza della loro diversita’ e similarita’. Infine, dagli schizzi del maestro composti nel nuovo millennio, come Tian Bian De Yun (Nuvole nel Cielo) e Guo Se Tian Xiang Tu (Bellezza Nazionale e Profumo Celeste, in collaborazione con Lu Jinhua), si percepisce anche una dolcezza affettuosa che viene evocata dai colori assolutamente non oggetivi e riflettenti dei sentimenti letterari che giacciono nel cuore del pittore. Si tratta di un’ espressione naturale e creativa che Xu Li, con la sua profonda conoscenza del mondo estetico occidentale e orientale, vuole far respirare mediante la propria pittura. Nella sua pittura ad olio si trova comunque la Zi Ran (spontaneità), elemento fondamentale sia nel linguaggio espressivo sia in quello letterario della tradizione cinese, perché “qualsiasi cosa accada, tutto sta nel trovare dunque il proprio ritmo e nel non perderlo”.

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la Roma insolita

Il bunker di Villa ADA, rifugio dei Savoia di Nicola Fasciano

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illa Ada Savoia, conosciuta a Roma come villa Ada, è tra i più grandi parchi della capitale, dopo il Parco regionale dell’Appia antica e il parco di Villa Doria Pamphilj. Il nome della villa va attribuito al conte di origine svizzera Tellfner, potente amministratore dei beni della casa reale, che la comprò nel 1878 alla morte del re Vittorio Emanuele II di Savoia e la chiamò Ada in onore della moglie. Nello spettacolare parco, che dopo una ventina di anni nel 1904 fino al 1946 fu riacquistato dalla famiglia reale, si possono trovare numerose costruzioni di varia natura ed epoca; tra i più curiosi possiamo includere il bunker Savoia, realizzato per la famiglia reale in piena seconda guerra mondiale. Infatti appena l’eventualità di un bombardamento su Roma si fece concreta, il re Vittorio Emanuele III decise di costruire un rifugio per sé e per tutta la sua famiglia, vicino alla Palazzina Reale, oggi sede dell’ambasciata d’Egitto. La struttura, scavata internamente ad una collina e raggiungibile da una lunga galleria internamente carrabile, si sviluppa totalmente in sotterraneo per più di 200 m2 e ha una forma più o meno circolare. Del rifugio antiaereo, completo di 2 bagni, un’anticamera e 2 ambienti di servizio, oltre che del complesso impianto di filtraggio ed aerazione

e della splendida scala a chiocciola, grazie alla quale si poteva abbandonare il bunker uscendo nella parte alta della collina, ad oggi non esistono documenti ufficiali relativi alla sua realizzazione, né progetti, né capitolati di spesa o altro. Alla fine del conflitto, con la partenza in esilio dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II, il bunker viene abbandonato ed è rimasto in totale stato di degrado fino ai giorni nostri, per più di 70 anni. Il rifugio attualmente è patrimonio della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali che nel 2016 lo ha completamente restaurato e dato in gestione ad una associazione vincitrice di un bando.

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LA TRILOGIA FIREFLY

Nascita e declino di un cult dell’horror contemporaneo di Valerio Lucantonio

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ob Zombie è una delle icone horror più apprezzate ed eclettiche del ventunesimo secolo. La sua produzione musicale è ricca di riferimenti cinematografici e quando si dedica alla scrittura e alla regia rende ancora più esplicito il suo immaginario legato all’horror anni ’70. In Lords of Salem ricalca e aggiorna l’estetica del Suspiria di Argento, con i suoi due Halloween opera una creativa rielaborazione della saga di Carpenter, ma ancor prima di queste produzioni ha manifestato la sua predilezione per lo slasher più primordiale di The Texas Chain Saw Massacre (Non aprite quella porta) e The Hills Have Eyes (Le colline hanno gli occhi). Sono queste due pellicole la principale ispirazione per i personaggi che 12

danno il nome alla cosiddetta “trilogia Firefly”, incentrata come i suoi titoli di riferimento su una famiglia di cannibali psicopatici che imperversa indisturbata nella desolazione dell’estrema provincia americana. Il film d’esordio di Zombie, House of 1000 Corpses, si presenta come un eccentrico remake che ibrida i due capostipiti dello slasher. La violenza e il macabro sono tanto caricati da risultare grotteschi, mentre il tono ironico, tipico della sensibilità postmoderna, converte il thriller in una commedia nera in cui i killer giocano con leggerezza a molestare e mutilare le vittime. Nonostante la resa suggestiva e inquietante di effetti speciali e prostetici il film non si prende mai sul serio, esibendo con consapevolezza un’estetica a bassa fedeltà che ricorda il montaggio grezzo e la manipolazione invasiva dei colori di certi prodotti televisivi in grana elettronica. L’esibizione del rimaneggiamento costante di immagini e convenzioni di genere è affiancata da un commento sonoro enfatico e ridondante che completa l’insistente ostentazione della componente discorsiva. House of 1000 Corpses rivendica con orgoglio la potenza eversiva del film d’exploitation d’autore e per omaggiare i propri predecessori non può fare altro che cannibalizzarli e degradarli in una compiaciuta sublimazione del kitsch. Il secondo film, The Devil’s Rejects, allarga il panorama di riferimenti e ispirazioni unendo lo slasher al road movie, altro influente filone cinematografico in grado di catalizzare le tensioni sociali che attraversavano gli Stati Uniti a cavallo tra anni ’60 e ’70. Rispetto al film precedente gli antagonisti diventano protagonisti a tutti gli effetti quando tre membri della famiglia Firefly – Baby, Otis e Captain Spaulding – riescono a fuggire dallo scontro a fuoco con gli uomini dello sceriffo,


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dando inizio a un inseguimento attraverso gli scenari rurali del Texas. La spietatezza e i caratteri degli assassini sono portati all’eccesso in una serie di peripezie a metà tra Bonnie e Clyde e la commedia “splatstick”, commistione di splatter e comicità corporale in cui la violenza viene rappresentata con tono ludico e surreale. Il racconto alterna momenti in cui il black humor deborda nella parodia a scene di esaltazione degli antieroi (come l’iconico finale accompagnato dalla celebre Free Bird dei Lynyrd Skynyrd), facendo emergere una visione del mondo cinica in cui i criminali riflettono ed estremizzano le bassezze umane, che rimangono invece più o meno dissimulate negli altri personaggi, dalle vittime alle forze dell’ordine. Mentre i primi due film erano usciti a distanza ravvicinata (2003 e 2005) formando un dittico in cui la creazione di nuove icone horror veniva seguita dalla loro messa in crisi ed estinzione, il terzo capitolo della trilogia, 3 from Hell, viene realizzato nel 2019 e, invece di ampliare ulteriormente l’immaginario postmoderno della saga, si rivela un caso emblematico di revival inadeguato. Il prologo sembra voler collocare le nuove vicende nel solco dell’eccellente Natural Born Killers di Oliver Stone, ma il riferimento all’idolatria mediatica per i serial killer rimane soltanto un breve accenno e il film ritorna presto alla struttura della fuga e del road movie dell’episodio precedente. Il modello appare consumato sia per la scarsa originalità delle situazioni che per la ormai ripetitiva messa in scena della violenza (che perde ulteriore efficacia a causa della realizzazione posticcia e grossolana in digitale), e anche il montaggio composito e virtuoso risulta una riproposizione autoreferenziale che confonde piuttosto che aggiungere effetti di senso al discorso. Purtroppo molte carenze del film

cinema

sono da imputare alle modifiche all’ultimo minuto che Zombie ha dovuto apportare a causa dell’abbandono dell’interprete di Captain Spaulding, Sid Haig, ritiratosi a causa di una grave malattia e venuto a mancare poco dopo, in concomitanza con l’uscita del film. La conclusione della trilogia offre un’amara dimostrazione di come ogni revival debba confrontarsi, uscendo quasi sempre sconfitto, con il passare del tempo e con l’invecchiamento sia degli artisti sia delle forme narrative ed espressive, le quali in questo caso hanno perso la divertita scorrettezza anti-sociale e si sono ripiegate in una deludente ripetizione del già visto. 13


“Ho eretto questa statua per ridere. L’antropologia di Pier Paolo Pasolini”

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occhio al libro

Alberto M. Sobrero di Giuseppe Chitarrini

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uesto libro non costituisce una novità editoriale, però ho voluto lo stesso porlo all’attenzione perché ci parla ancora - in termini socio-antropologici- di Pasolini, nonostante 45 anni ci separino ormai dalla sua scomparsa. Un lungo tempo nel quale però il poeta si ri-vela ancora in tutta la sua (in)attualità, perchè “l’essere inattuale al proprio tempo, e di inattuale attualità nei tempi a venire, è …quel di più che, da Omero in poi, definisce i classici...e non sarebbe poi difficile ricondurre questa inattualità…al presente delle scienze sociali”(p.43). Qualcuno dirà che il compito è inutile perchè si è già scritto e detto molto in questo mezzo secolo sul personaggio, sulla sua poetica e sulle varie forme attraverso le quali essa si esprimeva: cinema, critica letteraria, giornalismo, narrativa, la saggistica (cfr. p. 68 e sgg); da maestro e pedagogo a spietato critico, dal mito all’eros, da un cristianesimo sacrale a un comunismo eterodosso, utopico e populista, da Pasolini ragazzo friulano a borgataro corsaro di una Roma di periferia ‘realistica’, trasfigurata e brulicante, vitalità ed innocenza. Ma è proprio in questa sua enigmatica e multipla inafferabilità, nelle molteplici letture e interpretazioni, che risiede l’estremo interesse e l’estrema attualità capace di ravvivarsi ogni volta si faccia riferimento alla sua parola per comprendere o enfatizzare un problema o un fenomeno delle nostre società ormai pienamente post industrializzate e globalizzate. Se la sua parola, 50 anni fa, andava inscritta in una realtà ancora in svolgimento, adesso la distopia è compiuta divenendo una realtà di fatto: il presagio di una fase “negativa il cui esito ancora sfuggiva”(p.68) si è inverato nel peggiore dei modi. Nelle realtà ‘post’ la “mutazione antropologica”, l’invasività ultratecnologica e mediale, l’omologazione sono andate oltre: si sono globalizzate, diventando un pensiero unico planetario, la cultura dei ‘ragazzi di vita’ è ormai un ‘nichilismo’(p.69) da consumatori, mentre la pervasiva urbanizzazione ha annullato le micro culture locali. Allora queste sue enunciazioni pregresse meritano una rivisitazione e una verifica, queste pre-visioni potrebbero costituire delle impalcature conoscitive in merito alle realtà oggi: da un ‘non avere le prove’ a strumenti di ricerca e verifica; le sue scismatiche, quanto apodittiche profezie diventerebbero così pre-categorie analitiche, protocolli euristici di carattere socio antropologico, anche se poi i suoi rapporti con le scienze umane, sociali e della cultura (che dir si voglia) non furono pacifici. Le sue teorie ed idee in materia, infatti, furono alquanto naif; non amava la sociologia che considerava -in maniera vetero-gramsciana (e crociana)- una scienza borghese, tuttavia ammirava, all’epoca, il teologo- sociologo I. Illich. Esemplificativo di questa ‘idiosincrasia’ fra Pasolini e i sociologi, è stato l’arroventato dibattito televisivo della prima metà degli anni 70 fra Ferrarotti e lo scrittore, sul

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quale poi una ventina di anni dopo il sociologo è tornato, confermando le sue perplessità sulle critiche che lo scrittore rivolgeva alla società ‘consumistica’ di allora. Nella sua opera “sono ricorrenti alcuni grandi temi antropologici”(p.84); possedeva dunque una sua certa sensibilità antropologica e considerava questa disciplina necessaria per affrontare la cosiddetta “vita vera”. In seguito si servì anche di un approccio spontaneamente etnografico per i suoi romanzi ambientati nelle borgate romane e infine la mitologia antropologica gli offrì la chiave per una visione ‘altra’, forse trascendente, della vita. Alterni e controversi i suoi rapporti con de Martino (cfr. p. 224 e 253 e sgg), più solidi con Petazzoni e Gallini (cfr. pp 25 e 26), ostili con Altan, indifferenti con R.Lombardi Satriani e un po’ meglio con Ginzburg, i Cirese (in particolare Eugenio Cirese) e Tentori, opinabili i suoi giudizi sui classici: Frazer, Levy-Bruhl e altri; tuttavia approfondì (a suo modo e criticando spietatamente la de-storicizzazione compiuta dallo studioso rumeno, insieme al suo irrazionalismo nazistoide) lo studioso di storia delle religioni rumeno M. Eliade, del quale Pasolini recensì, nel 1974 “Mito e Realtà” e che, proprio alla fine dei 60, pubblicava in Italia il suo famoso “Mito dell’eterno ritorno”: un caposaldo (forse un po’ troppo sopravvalutato) degli studi mitologici contemporanei (cfr. da p. 74 a p.84 e il capitolo da p. 98 a 109). Insieme alle note sul folclore di Gramsci, un altro studio che consentì un avvicinamento più meditato di Pasolini alla materia antropologica-sacrale fu il testo dello storico delle religioni e antropologo A.M. Di Nola, con il suo “Antropologia del sacro” (Vallecchi 1974). E’ innegabile quindi “il rapporto fra Pasolini e gli antropologi, ma principalmente il posto che l’antropologia occupa nel pensiero dello scrittore. Al centro dell’antropologia pasoliniana non può che esserci il diverso, la critica a ogni pretesa identitaria, l’avversione per quel che vent’anni dopo si sarebbe chiamato ‘essenzialismo’. Ma c’è di più: all’antropologia Pasolini pone l’interrogativo centrale e irrisolvibile di tutta la sua opera e di tutta la sua vita, una domanda senza risposta possibile, quella domanda assurda che dicevo: qual è il confine fra la storia e la ‘vita vera’”(p. 34). A.M. Sobrero (doc. di materie etnoantropologiche alla ‘Sapienza’ di Roma) affronta la ‘pertinenza’ antropologica di Pasolini, raccogliendo in questo voluminoso saggio una serie di riflessioni frutto di lezioni e seminari svoltisi nell’a.a. 2012-13, su una materia intricata e complessa, plurale e sfuggente quale è appunto la figura dello scrittore adesso come cinquant’anni fa e costruendo così un primo vigoroso pilastro di una possibile Antropologia letteraria, o anche Antropologia della Letteratura.


A tutt’oggi solo nelle regioni gialle e bianche sono stati riaperti musei e gallerie

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Roma

Mostra virtuale “3 Decades of dissent” su Lieu.City Galleria d’Arte Moderna-Lieu.City-www.lieu.city, fino al 26 marzo “Beatrice Pediconi. Nude” Z20 Sara Zanin gallery, fino al 27 marzo “Rami. Veronica Montanino” Musei di Villa Torlonia-Casino Nobile, fino al 28 marzo “Un mondo fluttuante” opere su carta di Anna Onesti Musei di Villa Torlonia-Casina delle civette, fino al 28 marzo “Sten Lex. Rinascita” Galleria d’Arte Moderna. Chiostro, fino al 28 marzo “Mario Monicelli” Casa del Cinema,fino al 31 marzo “La signora dell’arte” Museo di Villa Torlonia-Casino dei Principi, fino al 5 aprile “Cuor” di Renata Rampazzi Museo di Carlo Bilotti aranciera di Villa Borghese, fino al 5 aprile “Banksy A visual protest” Chiostro del Bramante, fino al 11 aprile 2021 “With or Without You.” Galleria Restelliartco, fino al 30 aprile “Navin Rawanchaikul. Ciao da Roma” MAXXI, dal 4 febbraio al 2 maggio “Il tempo di Caravaggio” Musei Capitolini, fino al 2 maggio “Pompei 79 dC. Una storia romana” Colosseo, fino al 9 maggio “Josef Koudelka. Radici” Museo dell’Ara Pacis, fino al 16 maggio “I peccati di Johan Creten” Villa Medici, fino al 23 maggio “Napoleone e il mito di Roma” Mercati di Traiano-Museo dei fori imperiali, fino al 30 maggio “I marmi di Torlonia” Musei Capitolini,fino al 27 giugno “Il Boresta che non ti aspetti” Micro, fino al 30 giugno “Alberto Sordi” Villa di Alberto Sordi, fino al 30 giugno “Manolo Valdes. Le forme del tempo” art. pag 8-9 Palazzo Cipolla, fino all’11 luglio “Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio” MAXXI, fino al 10 ottobre “L’eredità di Cesare e la conquista dell tempo” Musei Capitolini- Palazzo dei Conservatori, fino al 31 dicembre

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Milano

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Eventi

“Frida Kahlo. Il caos dentro” Fabbrica del vapore, fino al 28 marzo 2021 “Divine e Avanguardie. Dalle icone a Malevic e Gondarova, le donna nell’arte russa” Palazzo Reale, fino al 5 aprile 2021. “Carla Accardi. Contesti” Museo del novecento, fino al 27 giugno 2021

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Napoli

“Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021 “Paolo La Motta. Capodimonte incontra la sanità” Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 19 settembre

Parma

“Ligabue e Vitaloni. Dare voce alla natura” Palazzo Tarasconi, fino al 30 maggio

Ravenna

“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021

Torino

“Ritratti d’oro e d’argento” Palazzo Madama fino al 12 luglio


“Premio Graziadei per la fotografia. Rachele Maistrello, Alba Zari” al MAXXI di Roma fino all’11 aprile 16


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