A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIII N° 129 novembre 2019
Mensile d’informazione d’arte
www.artemediterranea.org
n Soluzione pagina 47 CuriosArt: Taiichiro n Yoshida
nTeatro: otto dicembre
In mostra: La meccanica n dei mostri
Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”
Telefona al 347.1748542
Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO INTARSIO SU LEGNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO DISEGNO PER BAMBINI LUNEDI’ - MERCOLEDI’ - VENERDI’ 18,30 - 20,00
CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00 CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00
CORSO DI FOTOGRAFIA ORGANIZZATO DA ASS.FOCUSFOTO MARTEDI’- MERCOLEDI’ GIOVEDI’ - VENERDI’ 20,30 - 22,30
Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini
Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini
Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale
Amministratore Antonio De Waure
Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore
Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti
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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale
CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45
Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007
CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE
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Sommario
21 Donne La meccanica dei mostri Stefan Zweig Taiichiro Yoshida Soluzione pagina 47 Otto dicembre 2019 The Irishman Paolo Anselmi sul filo di china
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in mostra
21 Donne
L’universo femminile interpretato da Paolo Scafetti di Maria Chiara Lorenti
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entuno donne, ventuno declinazioni del genere femminile, a partire dalle protagoniste della mitologia alle eroine della bibbia, per finire con le donne di oggi, forti e fragili allo stesso tempo. Allestire questa mostra, affrontarne il tema, è stato per Paolo Scafetti approcciarsi al mondo muliebre, cercando di svelarne il mistero, o quanto meno avvicinarsi al loro modo di pensare, sforzandosi di capirne l’intima essenza, quel quid che le rende così speciali, così diverse. “Ventuno donne”, un titolo secco, stringato, senza aggettivi ne appellativi, un numero che indica quante tele sono esposte, quanti sono i ritratti eseguiti, quante diverse tipologie, quanti caratteri e quante storie sono state raccontate. Perché queste sono, storie da narrare, sia che si riferiscano ad episodi noti alla nostra formazione culturale e religiosa, sia, invece, che siano trame inedite, che ognuno di noi può immaginare. E così ecco Medusa, figlia di Forco, l’unica Gorgone di tre sorelle ad essere mortale, con una capigliatura formata da una matassa di serpenti, e dallo sguardo pietrificante, solo Perseo, con un astuto stratagemma riuscì a decapitarla, dal suo sangue scaturì Pegaso, il mitico cavallo alato, e la sua testa finì per adornare lo scudo di Pallade. Dall’antica Grecia ad un episodio biblico: Giuditta ed Oloferne. Narrato nel libro di Giuditta, uno dei “deuterocanonici”, riporta l’atto eroico di una donna ebrea, la bellissima vedova di Manasse, che viveva a Betulia. Mentre la città era sotto assedio da parte delle truppe di Nabucodonosor, Giuditta sedusse il suo generale, Oloferne, e mentre dormiva gli tagliò la testa, procurando
un profondo scompiglio nel campo nemico, facendo fuggire gli assiri e salvando così il suo popolo. Ritratta nel momento in cui solleva il capo dell’odiato nemico, memore della lezione caravaggesca, l’eroina si staglia dall’oscurità più profonda, evidenziata da un raggio di luce che enfatizza la drammaticità della scena. Dal passato al presente, molte altre sono le protagoniste attinte alla mitologia, da Dafne a Calipso ad Afrodite, e alla bibbia, al vangelo, come Maddalena… ma un’ampia rassegna è dedicata anche alle donne di oggi. Donne colte nella loro quotidianità, nei momenti che scandiscono la loro giornata. Al risveglio, quando escono dalla doccia, con un asciugamano verde drappeggiato sul corpo, lo sguardo perso nei propri pensieri, di chi ancora non è entrata appieno nel ritmo frenetico del giorno. Qui Scafetti, come negli altri ritratti, ne accentua l’interiorità, il messaggio non è palese, ma va ricercato nell’espressività del volto, che spesso ne cela il pensiero. Un senso di chiusura, come nel dipinto che effigia una ragazza accovacciata sulla sabbia, il capo chino nasconde il viso, le braccia cingono le ginocchia, il mare rumoreggia alle spalle, l’atmosfera cupa del paesaggio fa da sfondo alla centralità della figura, mettendo in risalto la sua disperazione. Una parentesi è dedicata anche alle passioni artistiche che diventano lavoro. Due musiciste, dagli occhi socchiusi per meglio interiorizzare il messaggio musicale, si accingono a sprigionarne appieno le note attraverso la melodia dei loro archi. Mentre la magia del teatro è manifestamente resa dal movimento scenico del voluminoso ventaglio dalle variopinte piume. L’inaugurazione si è svolta alla sala Manzù, in un clima di partecipazione e confronto, in special modo dai numerosi colleghi dell’Associazione Arte Mediterranea, compagni dei corsi di pittura ad olio tenuti dal maestro Antonio De Waure. Un’esposizione, visibile sino al 17 novembre, che è improntata sulla complessità dell’universo femminile, che induce a riflettere su come questi esseri esteriormente così delicati, siano in realtà così granitici dentro. Come l’artista stesso ha dichiarato: “ Buffo. Dipingere le donne, concentrarmi inevitabilmente sulla parte visibile e meramente estetica, paradossalmente, mi porta ad addentrarmi nella loro anima. ” 3
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in mostra
La meccanica dei mostri in mostra Carlo Rambaldi di Patrizia Vaccaro
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a mostra che è presente al Palazzo delle Esposizioni di Roma (dal 22/10/2019 al 06/01/2020) ci permette di fare un tuffo nel passato, ma al tempo stesso ci fa scoprire o riscoprire quali erano gli effetti speciali prima del digitale. Vedere come, con meno mezzi di quelli attuali, si riusciva a far sognare il pubblico. Uno dei grandi in questo settore è stato Carlo Rambaldi (1925-2012). Originario di Ferrara giunge a Roma nel 1957, nel suo laboratorio costruisce effetti per film horror, storici, mitologici. Si perfeziona in “meccatronica”: meccanica più elettronica ed informatica, i suoi effetti speciali da elementi di contorno diventano veri e propri protagonisti. Ha collaborato con i più grandi registi sia in Italia che in America, tra i cimeli vi è anche la sua agenda che riporta il numero telefonico di Steven Spielberg. Ci sono tante curiosità, ne citeremo giusto qualcuna per non rovinarvi la sorpresa: è stato sorprendente scoprire che il PINOCCHIO (1972)della serie di Luigi Comencini, andata in onda in tv, è opera sua, capire di come fosse stato all’avanguardia, infatti realizzò una marionetta, che animata da lui riesce ad
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essere movimentata a distanza, permettendogli di interagire perfettamente con gli attori. E sapevate che il volto del famosissimo alieno ET (1982) fosse ispirato alla sua gatta? All’epoca, negli anni ‘80, a Spielberg necessitava l’ immagine di un alieno che creasse empatia con lo spettatore, mentre altri gli proponevano alieni che rimandavano a quelli spaventosi degli anni’50, il nostro Rambaldi riesce nell’intento, per cui si vedono i vari studi del personaggio. Altra rarità sono i tre OSCAR di altrettanti tre suoi capolavori : ET, ALIEN e KING KONG(1976). Proprio a proposito di quest’ ultimo, come non farsi una foto con la mano gigantesca del primate? Ci si può divertire nell’ imitare le movenze dell’attrice protagonista, che viene rapita dal gorilla. Interessante è una stanza piena di soldati futuristici tutti allineati: sono i suoi soldati alieni del film cult “Barbarella” di Roger Vadim con una giovanissima Jane Fonda, i costumi sono ancora oggi attualissimi per un film di fantascienza. La mostra termina il suo percorso con la factory Makinarium, creata nel 2015, in cui si sono riuniti un gruppo si creativi, tecnici e artigiani, in occasione del film “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Tale team unisce la tradizione al digitale, infatti hanno restaurato i pezzi dello stesso Rambaldi. Esposizione sicuramente da consigliare per gli amanti del genere e non solo: preparatevi, non a scoprire i trucchi dell’epoca , ma a sognare ancora di più grazie all’ uomo che ha saputo avere una visione oltre la realtà e ce l’ ha resa reale.
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occhio al Libro
Stefan Zweig
“Mendel dei libri” di Francesca Senna
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l racconto scritto nel 1929, si compone appena di cinquantatre pagine, una breve novella, dove la penna di Zweig è come sempre rigogliosa, abbondante di aggettivi, che abbracciano stati d’animo e riflessioni; il linguaggio è sempre elegante e desidera mantenere decoro e compostezza in ogni situazione narrata, anche sulle tematiche più calde e dolorose. I suoi racconti sono così semplici da risultare difficili da riassumere e recensire, lasciano un senso di spossatezza, di angoscia, di inutilità. Il racconto contiene un profondo messaggio d’amore per le lettere, viste come strumento necessario per innalzarsi ad un livello più alto dell’esistenza. Per questo ci offre il ritratto di questo personaggio a metà tra genialità, magia e surreale: Mendel dei libri. Siamo a Vienna, seconda metà degli anni venti. Il personaggio narratore si rifugia in un caffè di questa città per ripararsi da un acquazzone; nonostante l’arredamento rinnovato del locale, riconosce il vecchio «Caffè Gluck» e gli torna alla mente Jakob Mendel, un povero venditore di libri usati, conosciuto circa vent’anni prima, che soggiornava in quel caffè e possedeva delle straordinarie facoltà mnemoniche. Un piccolo uomo che se ne stava seduto a un tavolino di marmo, fermo e impassibile, con lo sguardo ipnoticamente incollato a un libro, dondolandosi avanti e indietro e cantilenando, come alla scuola ebraica gli avevano insegnato. La sua memoria è straordinaria, conosce ogni libro che sia stato pubblicato, consiglia titoli per ogni argomento gli venga proposto e riesce a procurarsi anche testi apparentemente introvabili. La sua conoscenza prodigiosa e leggendaria si accompagna ad una vita modesta, fatta di piccole abitudini. Non trasforma però la sua passione in fonte di guadagno, non ne trae compensi, se non l’ingenua soddisfazione si riuscire a dare risposte dopo che esimi bibliotecari hanno alzato le braccia: «di qualsiasi opera, di quella apparsa ieri come di quella risalente a due secoli fa, al primo colpo sapeva esattamente il luogo di pubblicazione, l’autore, il prezzo (nuovo e usato) di ogni libro (...) e anche questi libri poi, lui non li leggeva (...): solo il titolo, il prezzo, la veste editoriale, il frontespizio muovevano la sua passione». Apprezzato da studiosi e bibliofili e rispettato dal personale del «Caffè Gluck», a cominciare dal signor Standhartner il proprietario, sempre assorto nei suoi libri, Mendel ignorava le
vicende che si svolgevano attorno a lui. Il narratore vent’anni dopo non trova però traccia di Mendel nel «Caffè Gluck», che peraltro ha cambiato gestione. Solo la signora Sporschil, la custode della toilette, gli racconta la fine di Mendel. Mendel era rimasto assorto nel suo lavoro anche dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, un evento di cui probabilmente non si era reso conto, “Perché lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi, intontiti, fissano il vuoto: leggeva in modo talmente assorto, con un tale rapimento, che da allora il resto del mondo mi è sempre parso profano.” Alla fine di una serie di strane e apparentemente assurde vicissitudini Mendel viene intercettato dai militari austriaci che lo fermano, in quanto scoprono che è un ebreo polacco senza cittadinanza. Viene quindi internato a Komorn. Solo dopo alcuni anni può ritornare a Vienna grazie all’intercessione di alcuni suoi clienti importanti; ma i patimenti subiti nel periodo di internamento gli avevano fatto perdere la sua prodigiosa memoria e la sua capacità di discernimento. Di nuovo, come in altri scritti di Zweig, anche in questo libro viene data particolare importanza alla mente del protagonista per via della sua incredibile capacità di immagazzinare qualsiasi informazione relativa a saggi, trattati, romanzi, insomma, ogni cosa che avesse un formato cartaceo. Nella brevissima presentazione che accompagna il racconto si sottolinea la dichiarazione d’amore e di appartenenza alla letteratura fatta dall’autore, con questo personaggio che, con la sua memoria, sembra voler mettere in salvo i libri dall’umana follia che di lì a pochi anni avrebbe sconvolto il mondo, tanto che nella figura di Mendel, padre, fratello e amico dei libri, sembra racchiusa quella che verrà imputata a Zweig come una premonizione degli orrori del Novecento. Un amore per la conoscenza libero da ambizioni; un racconto sull’estasi della lettura, quel processo che porta al piacere assoluto dell’estraniazione, a prescindere dal contenuto dell’oggetto d’interesse. Una concentrazione assoluta, al punto da non accorgersi di quanto accade intorno a sé, al punto da non accorgersi che la guerra sta trasformando il mondo rendendolo un posto dove non c’è più spazio per i sogni senza lucro, non c’è più devozione per la saggezza, non c’è più rispetto per gli antichi valori. Una storia delicata e malinconica; e un invito ad essere, come Mendel, custodi della cultura e della memoria. 5
Taiichiro Yoshida
Fioritura di uccelli metallici e altri animali di Cristina Simoncini
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a lavorazione dei metalli decorativi in Giappone ha una lunga storia iniziata nel IV-V secolo con competenze tramandate di generazione in generazione. Lo scultore di Tokyo Taiichiro Yoshida si conforma alle tradizioni secolari nelle sue sculture di metallo trattato a caldo di animali incrostati di fiori. Scimmie della neve, conigli, gatti e uccelli, come passeri e colombe, sono solo alcuni degli animali che rappresenta nel suo lavoro, ricoperti da strati di intricati fiori di metallo e piume di vari colori. Ogni pezzo inizia come una base di plastilina, poi ricoperta di fiori di metallo e altri elementi, creati da strumenti di forgiatura a mano, come un martello Otafuku per appiattire il metallo caldo. Il suo metodo di lavoro include la battitura del lingotto o della piastra di metallo in una forma specifica che viene modellata prima che si raffreddi. Yoshida considera l’uso della colorazione come uno degli aspetti più importanti della sua arte. Il suo lavoro manuale di scultura è arricchito dalle sue tecniche di colore, attuate dal super-raffreddamento del metallo riscaldato in fasi precise. Quattro sono le cromie caratteristiche nel suo lavoro: bianco, rosa, marrone rosato e patina di rame. Ammette che il lavoro può essere difficile e noioso da produrre, una maestria che gli è valsa il premio Taro Okamoto Contemporary 2015 per il suo meticoloso lavoro di precisione. Il risultato è bellissimo e talvolta inquietante, perchè in queste opere Yoshida incorpora il cranio o le ossa dell’animale originale. Questi macabri dettagli sono in qualche modo sorprendenti in un paese in cui i
curiosArt
fiori sono molto apprezzati, in un’arte così raffinata come l’ikebana o la composizione floreale. Fiori come il sakura e il crisantemo sono simboli nazionali del Giappone e hanno il potere di suscitare potenti emozioni. Hanakotoba, o il linguaggio dei fiori, non è qualcosa che passa inosservato all’artista. Nella sua scultura “Flower Cat”, Yoshida applica in modo specifico il motivo dei fiori primaverili per esprimere i sentimenti d’amore del gatto. È uno dei suoi pezzi più astratti, che ricorda il lavoro delle figure di Giuseppe Arcimboldo ricoperte di fiori primaverili, nonché la moderna scultura stilizzata animalier di François Pompon. Sebbene il lavoro di Yoshida sia in molti modi un ritorno ai gusti tradizionali, la sua sperimentazione nei colori, nei dettagli e nell’astrazione confonde il confine tra ancestrale e contemporaneo. Fonti: www.thisiscolossal.com; hifructose.com
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Soluzione pagina 47
Cottiga pittore in mostra alla Manzù di Maria Chiara Lorenti
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utti lo conoscono come scultore, modellatore, ceramista, la città è disseminata delle sue opere pubbliche. Chiese che ospitano le sue madonne, virginee e delicate, dai tenui colori invetriati, piazze che si fregiano di piccoli monumenti bronzei, edicole votive e tanto altro ancora. Claudio Cottiga però è anche di più, è un artista, che attraverso lo studio e la documentazione dei grandi maestri del passato, in crescente evoluzione, crea e si esplica anche in discipline diverse da quella che l’ha reso famoso. Così, per far conoscere questo suo insolito aspetto, ha deciso di mostrarsi in veste di pittore nella esposizione alla sala Manzù, della biblioteca comunale di Aprilia, nella prima decade del mese di dicembre. “Soluzione pagina 47”, è una mostra che si incentra su una rassegna di opere d’ispirazione metafisica, eseguite sia ad acrilico che con tecniche miste. Tutto nasce dalla quotidianità, dal vivere in una realtà architettonica, quel poco che ne rimane nel centro storico della città, che, ricostruita, ne testimonia l’originaria linea, in comune con tutte quelle nate nel ventennio. 8
Linee pure e geometriche che delineano i volumi, una visione essenziale e severa, priva di orpelli, quasi spoglia di sovrastrutture che ne appesantiscano l’insieme. Così l’oratorio della parrocchia di San Michele si arricchisce di una visione ludica, dove la fantasia di un fanciullo che idea nuovi mondi con le costruzioni di legno, deforma la realtà, sostituendo il campanile con un tornito birillo. Questo aspetto gioioso e giocoso appare come leitmotiv in tutti i quadri esposti. Archi ripetuti, come virtuali acquedotti di romana memoria, continui o spezzati, in piedi o rovesciati, scandiscono le inquadrature, protagonisti o semplici sfondi, insieme a cilindriche colonne, rievocano un’epoca perduta, templi in rovina che si disfano per incuria nel corso del tempo. Così come sentenziato da Marc Legrand: “L’antico popolo è morto, il dio si è esiliato”. Un richiamo a vetusti riti di ringraziamento agli dei per l’avvenuto approdo da parte di popoli giunti dal mare. Dai miti all’enigmistica, ai rebus, dove mollette orizzontali son piedistalli precari ad uova, figure ovali che si alternano, facendo capolino tra sequenze di
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in mostra
arcate parallele. Un’ incursione di Mandrake, ci riporta alla magia dei fumetti anni trenta, alla figura del mago gentiluomo, che appare e scompare, ritrovandosi in una dimensione aliena e per questo fugge, in uno spazio scandito tra luce ed ombra, tra terra ed acqua, dove la città natìa è rievocata da una scatoletta di Simmenthal, il tutto incorniciato da tre spezzoni di volte che si alternano su binari sfalsati. Una serie è dedicata alle carte piacentine. L’asso di coppe, dall’opulenza barocca, in contrasto tra antico e moderno, è contrapposto alla semplicità della geometria dei cubetti, parallelepipedi e semisfere in legno che sovrapposti in equilibrio instabile formano improbabili architetture. Il fante di spade e quello di bastoni, simboli magici che fin da piccoli attraggono l’attenzione e la fantasia, sono guardiani armati a difesa di città ideali, baluardi che custodiscono i sogni incontaminati dell’infanzia. Dai brillanti colori complementari, che si contrastano evidenziando i soggetti effigiati, si passa alle delicate cromie degli acquarelli, all’incisività della penna, allo sfumato tratto delle matite, per poi finire con i collage, utilizzati per meglio impostare la composizione. Ogni elemento comune visto con gli occhi dell’immaginazione si trasforma e può divenire qualsiasi cosa che la fantasia suggerisce. Sabato 30 novembre, alle 17,30, c’è l’inaugurazione della mostra, che durerà fino all’8 dicembre. “Soluzione pagina 47” è una buona occasione per conoscere un’altra sfaccettatura artistica di Claudio Cottiga. 9
Otto dicembre 2019
Il Teatro Studio 8 di Nettuno compie un anno! di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi
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raro, si sa, che i sogni si avverino, i progetti vadano in porto anche oltre le nostre aspettative, che le nostre scelte vengano apprezzate, condivise. Quando tutto ciò diventa realtà, significa che arride il successo; diventa normale, ovvio, porsi mete sempre più ambiziose e lungimiranti. In sintesi è quanto accaduto all’Associazione culturale de I Liberi Teatranti che ha gestito e gestisce tutt’ora lo spazio del Teatro Studio 8, dall’otto dicembre dello scorso anno e, ci auguriamo, per tantissimo altro tempo. In tale spazio, come già precisato in altri articoli, non si fa solo teatro, ma cultura in genere, per tutti senza alcuna distinzione. Si fa beneficenza, devolvendo il guadagno a varie realtà problematiche del territorio, dal momento che tutti gli associati sono dei volontari, dal regista agli attori, ai cantanti al personale di sala o biglietteria eccetera. L’argomento di questo articolo, però, riguarda, essenzialmente, il prossimo 8 dicembre, precisamente tutti gli spettacoli che verranno messi in campo dalle ore 18 fino a tarda sera, per
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festeggiare il primo anno di vita del Teatro Studio 8. Il pubblico presente, che ci auguriamo numeroso e caloroso come sempre, potrà sorridere, ridere di gusto, emozionarsi e riflettere, mentre attori e cantanti si alterneranno sul palco offrendo commedie dalla comicità esilarante, ma non prive di risvolti toccanti, di esistenze consapevolmente insoddisfatte o inconsapevolmente assuefatte come la protagonista di Pericolosamente, la famosa commedia, in un atto unico, scritta da Eduardo De Filippo nel 1938 rappresentata, per la prima volta, nel novembre dello stesso anno, al teatro Eliseo, a Roma. Dorotea è una donna, semplice, ingenua e molto lunatica che vive una realtà familiare al di fuori da ogni realtà immaginabile, da cui non riesce a scappare. E’ un personaggio comico, simpatico che vive una situazione tragica “ E’ quando il sovrannaturale e la normalità si sfiorano che inizia, come per magia, a battere il cuore della follia che accompagna la vita di questo personaggio, dai primi giorni in cui si sposa con Arturo e l’accompagnerà, forse,
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per sempre”. La bravissima attrice che interpreta Dorotea è napoletana, come napoletani sono gli altri due attori con cui interagisce. Romani, non poteva essere altrimenti, gli attori che porteranno in scena un cavallo di battaglia di Gigi Proietti, che ne è anche l’autore, “Il Cassamortaro”, il cui protagonista, un impresario di pompe funebri, appunto, difende a spada tratta la sua onorata professione, dicendo che non ha mai fatto male a nessuno e nessuno è mai tornato”pe’ protestà”. Una figlia, Bianca Lapide, alla disperata ricerca di un marito, una madre altrettanto disperata…gag gustose, un finale a sorpresa. Forse anche loro alla ricerca di un marito, di un amore, le simpaticissime tre donne che spiegano perché si sono iscritte in palestra in “Le implicazioni della palestra” di Stefania De Ruvo. C’è la quarantacinquenne Stefania che s’iscrive in palestra solo per una questione di salute, punta, infatti, sulla bellezza interiore, sui suoi organi interni ”se il colon è un po’ irritato, il pancreas e la milza le danno tante soddisfazioni; tutto sommato si sente una bella persona, dentro”. Anche la seconda si è iscritta in palestra dopo aver provato a fare ginnastica in casa, utilizzando le videocassette di aerobica in cui un’atletica bionda ginnasta con body giallo, pantacollant blu, scaldamuscoli rosa avrebbe dovuto supportarla nel suo tentativo di perdere peso e “anni”! La terza ha comprato, prima della palestra, la consolle WII in cui appare il suo MII, il suo alter ego virtuale, un simpatico pupazzetto che diventa la sua copia virtuale … in un attimo si abbassa, poi lievita …la pancia, le braccia, le gambe, inizia a dondolare. Non voglio vedere, mi stressa!
Teatro
E più che stressata appare, alla fine, la signora borghese, elegante e pimpante che s’ imbatte in un” Tassinaro” molto sui generis, sketch reso immortale da Paolo Panelli e Bice Valori, riproposto da Laura e Maurizio, sembra in maniera divertente. Questo e altro la sera dell’otto dicembre al Teatro Studio 8, in via Nettuno Velletri n.8, telefono 3518599212.
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The Irishman
Scorsese, i gangster e il tempo di Valerio Lucantonio
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l lento incedere della camminata in steady-cam, che incarna lo spettatore, ci trascina lungo il luogo della sospensione per eccellenza, la casa di riposo. Ci sediamo davanti a un Robert De Niro immobilizzato su una sedia a rotelle, che ci racconta dall’estetica dell’intervista/testimonianza la sua vita da outsider a contatto con la mafia italoamericana, nel corso dei decenni che hanno segnato profondi cambiamenti nella storia degli Stati Uniti. Questa prima inquadratura è una premessa fondamentale per risolvere e trasformare in punto di forza il principale problema realizzativo di questo film monumentale, che Scorsese ha deciso di affidare all’interpretazione di altri mostri sacri della sua generazione: il ringiovanimento digitale di Pacino, Pesci e soprattutto di De Niro 12
può risultare posticcio, ma questa artificiosità è giustificata dalla focalizzazione attraverso la quale si dipana l’intero racconto. La messa in scena di questi corpi svecchiati infatti concretizza il processo cognitivo per il quale, quando si ascoltano gli aneddoti di un anziano, lo si visualizza con una fisionomia ringiovanita e senza dubbio non aderente al suo reale aspetto passato. In questa particolare dimensione estetica risiede il tema cardine del film: il taglio è sì quello di Goodfellas e Casinò, una panoramica sull’ascesa del gangster e sulle conseguenze della sua vita dissoluta e riprovevole, ma in The Irishman queste conseguenze sono affrontate tramite flashback stratificati che illuminano gli eventi passati con la luce di una consapevolezza più amara e disincantata, come sottolineano le didascalie che prefigurano la morte dei personaggi secondari. A differenza dei film precedenti, la voce narrante tradisce il distacco di De Niro, frutto della presa di coscienza dell’irrimediabilità delle azioni criminali commesse. Già reduce di guerra a quarant’anni, a distanza di decenni l’irlandese Frank Sheeran è nuovamente un superstite condannato a convivere con la punizione morale impostagli non dalla prigione o da un colpo di revolver, ma dallo scorrere del tempo e dall’allontanamento dei propri cari. The Irishman è dunque un’ulteriore riformulazione della parabola tipica del gangster movie, che Scorsese sfrutta per mettersi alla prova ed evolvere il proprio stile firmando il capitolo conclusivo della propria epica sulla criminalità, tanto quanto Silence metteva un punto alla sua riflessione cinematografica sulla spiritualità. L’approccio registico è essenziale e antispettacolare, anche se non mancano – dove necessario – tagli e inquadrature virtuose, ralenti eleganti e l’ironia macabra nelle tipiche scene grottesche. Montaggio e ritmo sono distesi, si indugia come nel lento viaggio in macchina che scandisce il film, e le scelte di fotografia e scenografia puntano a ritrarre gli ambienti come scenari statici, statuari, congelati nel passato dalla memoria.
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L’euforia e la sregolatezza di molti personaggi scorsesiani sono completamente assenti in Frank, protagonista imperscrutabile che segue la mentalità marziale dell’esecutore abbandonatosi più o meno consapevolmente al mero soddisfacimento della figura carismatica al comando. Se infatti la recitazione di De Niro si sostanzia magistralmente di uno svuotamento fatto di non detti e sottrazioni emotive che cedono raramente al pathos, ben diversi sono gli approcci degli attori che interpretano i due amici/mentori dell’irlandese: Pacino spinge su una forte carica di teatralità ed eloquenza, compensandola con un misto di fisime e nevrosi dissimulate, mentre Pesci personifica con pacatezza e distensione l’etica diabolica e inesorabile della cultura criminale italoamericana. Questa si riflette in effetti su più livelli, come una logica perversa, ma condivisa e legittimata: nei dialoghi, nelle dinamiche interpersonali, nell’incapacità di Frank di conversare con la propria interiorità e persino nell’intento espressivo dell’opera, la mancanza di chiarezza e l’impossibilità di comunicare apertamente denunciano
cinema
l’alienazione di un sistema basato su principi e tradizioni che favoriscono l’indole umana della sopraffazione, a discapito degli affetti e della convivenza pacifica. In un momento storico in cui la mentalità produttiva e spettatoriale cerca e premia pellicole di ampio minutaggio e aspirazione epica, che privilegiano l’attrazione e il coinvolgimento extratestuale, uno dei più importanti registi viventi ha espresso alla soglia del nuovo decennio la sua perplessità in una serie di dichiarazioni molto discusse e contestate, ma ha anche dimostrato praticamente, per l’ennesima volta, la sua concezione di film come prodotto artistico: The Irishman è un’opera ambiziosa per tematiche e sforzo realizzativo, con una durata impegnativa e un discorso che stimola il pensiero senza offrire soluzioni facili, richiedendo una fruizione attenta e disposta a scavare sotto l’apparenza per guadagnare un’esperienza totalizzante, forse l’ultima grande narrazione di quella New Hollywood che sta ormai scomparendo. 13
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occhio al Libro
Paolo Anselmi
“Cercatori di silenzio” di Giuseppe Chitarrini
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uesto volumetto illustra in maniera riassuntiva i risultati di una indagine condotta sul significato e il valore attribuito al silenzio eseguita su un campione di 180 persone, visitatori anche saltuari della Accademia del Silenzio, fra il marzo 2015 e il settembre 2016. Una rilevazione interessante oltre che per il tema anche per il metodo (qualitativo) con il quale è stata condotta; tuttavia non possiamo dire di essere di fronte a una ricerca rappresentativa, né di una ricerca di opinione sulla materia del Silenzio, anche perché si tratta – come dicevamo- di persone già frequentatrici d e l l ’A c c a d e m i a del Silenzio, quindi una porzione minima di una platea di frequentatori ed amanti del silenzio, o comunque abituati e già interessati alla pratica e all’esercizio di questa forma di comunicazione empatica ed emotiva e che è anche uno stato d’animo, uno stile di vita, una condizione esistenziale… Un’indagine quindi che non si è posta l’obiettivo di rilevare e quantificare in maniera ‘normativa’ e generalizzabile determinati atteggiamenti e comportamenti, ma piuttosto di rilevare in maniera descrittiva ed estremamente idiografica la dimensione valoriale e soggettiva attribuita all’esperienza del silenzio da parte di un gruppo ristretto di persone, che –per di più- già esercitano questa forma espressiva che possiamo considerare alternativa rispetto la condizione umana attuale, una condizione di vita ‘ r u m o r o s a ’, p r o p e n s a a d a f f r o n t a r e le relazioni sociali e districarsi nella complessità quotidiana attraverso 14
l’uso eccessivo, spesso abnorme, della parola. Sono state sottolineate anche le esperienze di segno negativo che il silenzio comporta, quando esso si carica di significati dolorosi e n e g a t i v i ( c f r. d a p . 32 a p. 37), quando diventa occasione di espressione di un lutto, o di ostilità nei confronti dell’altro, di imbarazzo e ambivalenza ecc. Un opuscoletto che presenta una sintesi dei risultati di una rilevazione che, pur essendo di ‘breve r a g g i o ’, h a c o n s e n t i t o di mettere in luce alcuni punti che caratterizzano la relazione che con il silenzio hanno oggi coloro che questa dimensione ricercano, praticano e frequentano quale spazio, quale valore, significato e contenuto abbia assunto il silenzio nella loro vita (p. 7). Una vita che non necessariamente è caratterizzata da solitaria monasticità e contemplazione, spesso, infatti, i cercatori di silenzio sono artisti che in esso trovano quel necessario tempo di raccoglimento per poi passare all’atto artistico. L’ a u t o r e : P a o l o A n s e l m i , è r i c e r c a t o r e presso la fondazione Agnelli ed è docente di Metodologia della ricerca s o c i a l e a l l ’ U n i v. d i P a v i a e d i M a r k e t i n g alla Cattolica di Milano. E’ inoltre consigliere del WWF e Vice presidente del GfK: un istituto di ricerca che fa capo all’Eurisko, ed è, appunto, fra i m e m b r i p r o m o t o r i d e l l ’A c c a d e m i a d e l Silenzio, nata nel 2010 da un’idea di Duccio Demetrio (docente di Filosofia dell’Educazione) e di Nicoletta PollaiMattiat, giornalista (La Stampa, La Repubblica, Il sole 24 ore) e saggista.
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Aprilia
Concorso Carmen Viaggi Agriturismo “Campo del fico”, 29 novembre. “Soluzione pagina 47” - Mostra personale di Claudio Cottiga (articolo a pagg.8-9) Sala Manzù, inaugurazione il 30 novembre ore 17,30, fino all’8 dicembre
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Roma
“Claudio Imperatore. Messalina. Agrippina e le ombre di una dinastia” Museo dell’Ara Pacis, fino al 27 ottobre “Le macchine di Leonardo da Vinci” Istituto Portoghese di sant’Antonio, fino al 30 ottobre “Luca Signorelli e Roma. Oblio e riscoperte” Musei Capitolini, fino al 3 novembre “Antico Siam. Lo splendore dei regni Thai” Museo delle Civiltà, fino al 3 novembre “Kronos e Kairos” Palatino, fino al 3 novembre “Suburbs” Millepiani, fino al 5 novembre “RIFF” - Rome Indipendent Film Festival Nuovo Cinema Aquila, dal 15 al 21 novembre “Dinosauri in carne e ossa” Oasi WWF di Fregene, fino al 10 novembre “Elisabetta Catalano. Tra Immagine e Performance” MAXXI, fino al 22 dicembre “L’arte prende vita alla Rinascente ” gratis Rinascente Tritone, fino al 31 dicembre “La meccanica dei mostri, da Carlo Rambaldi a Makinarium” (articolo a pag. 14 ) Palazzo delle Esposizioni, dal 22 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 “Van Gogh e Monet Experience” Ex caserma Guido Reni, fino al 6 gennaio 2020 “Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno” Scuderie del Quirinale, fino al 6 gennaio 2020 “Michelangelo a colori. Marcello Venusti, Lelio Orsi, Marco Pino, Jacopino del Conte” Palazzo Barberini, fino al 6 gennaio 2020 “Corrado Cagli. Folgorazioni e Mutazioni” Museo di Palazzo Cipolla, fino al 6 gennaio 2020 “Tecniche d’evasione” Palazzo delle Esposizioni, fino al 6 gennaio 2020 “Sublimi anatomie” Palazzo delle Esposizioni, fino al 9 gennaio 2020 “Gianni Berengo Gardin” Casale di santa Maria Nova, fino al 12 gennaio 2020 “Maria Lai. Tenendo per mano il sole” MAXI, fino al 12 gennaio 2020 “Leonardo a Roma. Influenze ed eredità” Villa Farnesina, fino al 12 gennaio 2020 “Maria Paola Ranfi. Gioiello intimo colloquio” Musei di Villa Torlonia, Casina delle Civette, fino al 26 gennaio 2020 “Medardo Rosso”
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Eventi
Museo Nazionale Romano Palazzo Altemps, fino al 2 febbraio 2020 “L’enigma del reale. Ritratti e nature morte” Gallerie Nazionali di Arte Antica Galleria Corsini, fino al 2 febbraio “Colori degli Etruschi. Tesori di terracotta alla Centrale Montemartini” Centrale Montemartini, fino al 2 febbraio 2020 “Jan Fabre. The rhythm of the brain” Palazzo Merulana, fino al 9 febbraio 2020 “Giancarlo Sciannella” Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali, fino al 16 febbraio 2020 “Bacon, Freud. La scuola di Londra” Chiostro del Bramante, fino al 23 febbraio 2020 “Impressionisti segreti” Palazzo Bonaparte, fino al 8 marzo 2020 “Canova. Eterna bellezza” Palazzo Braschi, fino al 15 marzo 2020 Frida Kahlo“il caos dentro” SET Spazio Eventi Tirso, fino al 29 marzo 2020 “Carthago. Il mito immortale” Parco archeologico del Colosseo, fino al 29 marzo 2020 “The dark side, chi ha paura del buio” Musja Museo, fino al 1maggio 2020
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Città della Pieve (Pg)
“Mitopoiesi” Kossuth Spezio Kossuth, fino al 15 marzo 2020
Ferrara
“L’arte per l’arte. Dipingere gli affetti. La pittura sacra a Ferrara tra Cinque e Settecento” Castello estense, fino al 26 dicembre
Milano
“LaVergine delle rocce del Borghetto” Chiesa di san Michele sul Dosso, fino al 31 dicembre “Leonardo e il suo lascito:gli artisti e le tecniche” Veneranda Biblioteca ambrosiana, fino al 12 gennaio 2020 “De Chirico” Palazzo Reale, fino al 19 gennaio 2020
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Venezia
“La pelle. Luc Tuymans” Palazzo Grassi, fino al 6 gennaio 2020 “Francesco Morosini (1619-1694)” Museo Correr, fino al 6 gennaio 2020 “Peggy Guggenheim. L’ultima dogaressa” Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier da Leoni, fino al 27 gennaio 2020
“Hiaitsiihi� di Julien Bismuth alla Nomas Foundation Viale Somalia Roma fino al 6 febbraio 2020
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