A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIV N° 139 novembre 2020
Mensile d’informazione d’arte
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nCiao, Gigi Gaudì l’ultimo degli antichi maestri, il nIn mostra: Gaetano Previati nQuino, papà di Mafalda n primo dei moderni
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Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00
Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini
Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini
Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale
Amministratore Antonio De Waure
Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore
Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti
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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale
CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45
Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007
CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE
CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00
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Sommario CIAO, GIGI Antoni Gaudì Alessandro Gallo Previati QUINO SUBURRA e BABY
Leo Loewenthal, (a cura di C. Bordone) Sul filo di china
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dedicato a...
CIAO, GIGI di Rossana Gabrieli
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igi Proietti ci ha lasciati. L’intera Italia – e non solo il mondo dello spettacolo – piangono la perdita di uno dei più grandi artisti della nostra storia. Amato da tutti per le sue qualità umane, oltre che professionali, ci ha saputo fare sorridere anche nei momenti più bui, anche in questi tempi, così amari, di pandemia. I suoi colleghi, molti dei quali suoi ex allievi, gli hanno reso un accorato saluto nel giorno dei suoi funerali, lo scorso 5 novembre, al Globe Theatre di Roma, da lui fondato
cui, appunto, quelli di tutti e sette i leggendari re della città eterna, rivisti in chiave comica: nella migliore tradizione del musical all’italiana, lo spettacolo venne musicato da Nicola Piovani. Piccola nota, che forse in pochi – e non tra i più giovani – ricorderanno: quando la Rai mandò in onda, nel 1975, lo sceneggiato “La baronessa di Carini”, la splendida sigla finale era cantata, magistralmente, proprio da Gigi Proietti.
e dove per anni ha portato in scena i suoi famosissimi “cavalli di battaglia”, gli stessi che l’anno scorso avevano dato vita ad una serie di puntate, trasmesse dalla Rai, per riproporre le sue più belle performance teatrali. Perché Gigi Proietti, che pure aveva mietuto successi televisivi attraverso, ad esempio, il personaggio del Maresciallo Rocca, e cinematografici (valga per tutti la splendida interpretazione del pittore Mario Cavaradossi nella Tosca di Luigi Magni), era, però, squisitamente un “animale da palcoscenico”. Una vita spesa nel teatro e per il teatro, attraverso i suoi memorabili: “A me gli occhi, please”, “Come mi piace”, “Leggero leggero“, e, nel 2016, il suo “Omaggio a Shakespeare”. Su tutti, a testimonianza del suo genio e del suo eclettismo, il magnifico “I sette re di Roma”, spettacolo teatrale di Luigi Magni, rappresentato per diverse stagioni al teatro Sistina di Roma, a partire dal 14 febbraio 1989. Con la regia di Pietro Garinei, lo spettacolo vide Gigi Proietti vestire i panni di molteplici personaggi tra
Vogliamo salutarlo, un’ultima volta, attraverso la poesia dedicatagli dall’amico attore Pierfrancesco Favino: ‘’Però ‘n se fa così, tutto de botto. Svejasse e nun trovatte, esse de colpo a lutto. Sentì drento a la panza strignese come un nodo. Sape’ che è la mancanza e nun avecce er modo de ditte grazie a voce pe’ quello che c’hai dato pe’ quello che sei stato, perché te sei inventato un modo che non c’era de racconta’ la vita e ce l’hai regalato così un po’ all’impunita, facendo crede a tutti che in fondo eri normale, si ce facevi ride de quello che fa male, si ce tenevi appesi quando facevi tutto, Parla’, balla’, canta’, pure si stavi zitto. Te se guardava Gi’, te se guardava e basta come se guarda er cielo, senza vole’ risposta. All’angeli là sopra faje fa du risate, ai cherubini imparaje che so’ le stornellate, Salutece San Pietro, stavolta quello vero, tanto gia’ ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero’’. Ciao, Gigi. 3
Antoni Gaudì
L’ultimo degli antichi maestri, il primo dei moderni di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi
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erché Gaudì? Perché è un genio dotato di una fervida fantasia, un eclettico, dagli orizzonti creativi sempre più ampi? Perché interprete impareggiabile delle istanze più profonde dell’Art Nouveau? Anche. Perché mi ricorda le emozioni di un viaggio, di un luogo, di un’atmosfera, di immagini gioiose, estremamente fantasiose per non dire stupefacenti, rese ancora più magiche dal ricordo, in un momento di forzata stasi, come quello che stiamo vivendo? Ancora di più. Come in un sogno rivedo Barcellona, ne sento gli odori e i profumi, ne vedo i colori briosi e allegri, vedo un’umanità altrettanto allegra e accogliente che si perde tra le vie e le piazze di una città veramente incantevole. Di questa umanità faccio parte anch’io, passeggio su La Ramblas e nelle stradine che da essa si dipartono, anch’io <a bocca 4
aperta, senza parole> osservo, non una mongolfiera come nella canzone di Lucio Dalla, ma dei palazzi fantastici, fiabeschi, unici e non solo. Ritornerò a Barcellona? Me lo auguro. Per il momento, focalizzo la mia attenzione sul grande architetto nato a Reus, alle porte di Tarragona, nel 1852, senza trascurare la peculiarità della Comunità autonoma della Catalogna, con particolare attenzione alla vicende della seconda metà dell’ottocento. Antoni Gaudì è un genio sicuramente, ma è anche la figura più rappresentativa e coinvolgente nella cultura catalana di fine secolo e diventa, per i Catalani, il simbolo della loro rivendicazione nazionalistica. Le rivendicazioni indipendentistiche della Catalogna dalla Spagna, si sa, sono storia di oggi, 2017, e di ieri, praticamente esistono da sempre. Solo la Catalogna fu
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colonizzata dai Greci e, da allora, si è sempre sviluppata seguendo un percorso diverso ed indipendente dal resto della Penisola Iberica nella quale, forzosamente, è stata inglobata nel VIII secolo. Ciò nonostante, l’orgoglio nazionale, il sentimento di non appartenenza alla Spagna ma solo a se stessi, fu ed è tuttora, una certezza e, nello stesso tempo, una forza dei Catalani. La seconda metà dell’ottocento fu un’epoca di grande prosperità economica, di crescita demografica, di rinnovata stima per la propria cultura e per la propria lingua. Nasce un vero e proprio movimento culturale chiamato < La Renaixenca>, la rinascita, che coinvolge qualsiasi forma d’arte che dovrà nutrirsi del passato, essere proiettata verso la modernità in maniera sempre originale e nazionale. E’ appunto in tale contesto storico che va inserita la figura di Gaudì, architetto dallo stile eclettico e strabiliante, che si esprimeva solo in catalano, pagando
dedicato a
degli interpreti per comunicare con gli altri spagnoli, quelli che parlavano il castigliano, per capirci. Nel 1878, il nostro consegue il titolo di architetto e, dopo alcune collaborazioni al servizio di altri professionisti, ottiene il primo incarico di rilievo dal Comune di Barcellona, deve disegnare dei lampioni destinati alla centralissima placa Reial di Barcellona; quest’opera giovanile gli darà essenzialmente prestigio e visibilità, tanto che di lì a poco avrà rapporti molto proficui con committenti privati. I due lampioni di placa Reial, nel loro moderno connubio di materiali differenti, quali pietra e ghisa, sono un primo assaggio dell’eclettismo di Gaudì ma soprattutto della sua volontà d’istituire <un rapporto creativo tra progettazione e ambiente urbano alla luce della mediterranietà>. Alle opere che hanno reso immortale l’artista, verrà dedicato il nostro articolo del mese d dicembre.
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Alessandro Gallo
Un cast eccentrico di creature ibride rispecchia la diversità e l’umorismo dell’esperienza umana di Cristina Simoncini
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curiosArt
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a una squallida quaglia della California ad una lucertola cornuta incendiaria, il peculiare serraglio di ibridi animale-umano di Alessandro Gallo brulica di personalità. I personaggi colorati riflettono l’ampiezza delle interazioni che si verificano ogni giorno negli spazi pubblici mentre le persone incontrano altri diversi da loro, come un parrocchetto contorto in una posa yoga o uno smergo dal ciuffo che indossa un abito. Con sede a Helena, nel Montana, l’artista italiano paragona i tratti animaleschi ad una maschera o una caricatura. “Io li combino con il linguaggio silenzioso del nostro corpo e con i codici culturali di ciò che indossiamo per ritrarre non solo un individuo specifico, ma anche i gruppi e le sottoculture più grandi cui appartengono e, in definitiva, l’habitat comune che tutti condividiamo, “ egli dice. Generalmente alte da uno a due piedi, le sculture antropomorfe sono modellate su un’immagine di riferimento meticolosamente definita nella postura, abbigliamento ed espressione facciale. Gallo crea un’armatura di tubi da idraulica prima di costruire a mano le figure di argilla. Mentre si asciugano, scolpisce dettagli minuti e aggiunge colore con colori acrilici. Le creature di Gallo sono incluse in Intersect Chicago 2020, che durerà fino al 5 dicembre. Con sede a Helena, è attualmente residente alla Archie Bray Foundation e puoi trovare dettagli sul suo processo e lavori in corso su Instagram. Fonte: www.thisiscolossal.com
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Gaetano Previati
Tra Simbolismo e Futurismo di Maria Chiara Lorenti
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urtroppo, per la seconda volta in pochi mesi, questa pandemia ci ha precluso la gioia di poter osservare con i nostri occhi i capolavori dei nostri artisti preferiti, negandoci l’emozione di perderci in essi, nella maestria di una pennellata densa di sfumature. E così, anche adesso, dobbiamo ‘accontentarci’ di una visita virtuale dataci dai siti dei musei e gallerie che ne hanno predisposto la visione. Nel panorama delle mostre più significative, segnaliamo quella allestita al Castello estense di Ferrara, per il centenario della morte di un pittore che è stato lo snodo che ha sdoganato il romanticismo ottocentesco, traghettandolo attraverso varie sperimentazioni, prima nel divisionismo, o come da lui affermato da un ‘tentativo della tecnica nuova della spezzatura del colore, una tecnica che dà l’impressione di una maggiore intensità di luce’, e poi, sul finire delle sua carriera, nel futurismo, corrente del novecento, che pone le tematiche della modernità al centro della poetica di Marinetti. 8
Questo viaggio tra due secoli così significativi per la storia dell’arte, si dipana in un’esposizione suddivisa in undici sezioni, un’incalzante transizione che dai primi lavori di influenza storica-romantica, ci trasporta in un turbinio di colori e luce, nell’esperienza divisionista, ove la pennellata perde la sua fluidità per divenire
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tratto, poi, sollecitato da un progetto editoriale, si propone con le illustrazioni per i ‘racconti di Edgar Allan Poe’ ed i ‘Promessi sposi’ di Alessandro Manzoni, dando ai suoi personaggi una connotazione di forte spessore psicologico, avvolgendoli in un’atmosfera consona alla narrazione del romanzo. Nel ciclo di questo suo continuo divenire, si avvicina a Marinetti e Boccioni, dando prova, nella sua maturità, di sapersi distaccare dai movimenti pittorici precedenti, per abbracciare un concetto nuovo, dove il dinamismo e la velocità del progresso sono imprescindibili per l’immaginario tecnologico e globale che investirà, spazzandola via, la tradizione permeata di borghesia che stagnava in europa. In questo iter artistico potremo ammirare il lavoro di ricerca e sperimentazione che Gaetano Previati, perché è di lui che stiamo parlando, ha approfondito, per poter crescere e sviluppare diverse tecniche pittoriche, così dissimili tra loro, ma che lui ha saputo interpretare essendo
in mostra
un esempio per gli altri artisti che ne hanno seguito le orme, in uno stile prettamente suo, personalissimo, spinto da una tensione costante tesa a superare i confini di una pittura da ‘cavalletto’, riuscendo a spaziare, libero dalle convenzioni, da un genere all’altro, divenendone uno dei più insigni rappresentanti.
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QUINO
papà di MAFALDA di Patrizia Vaccaro
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oaquín Lavado detto Quino, soprannome datogli per distinguerlo da uno zio pittore e disegnatore pubblicitario Joaquín Tejón, per cui il disegno era una dote già presente nel suo DNA. Nasce il 17 luglio 1932 a Mendoza (anche se all’anagrafe risulta nato il 17 agosto), figlio di immigrati spagnoli originari di Fuengirola (in Andalusia), morto di recente il 30 settembre 2020 a causa di un ictus, all’età di 88 anni. Sicuramente tutti lo ricordano per il personaggio di MAFALDA, qui cercheremo di raccontarne alcune curiosità. Rimane orfano sia di madre che di padre durante l’ adolescenza, terminata la scuola dell’obbligo, si iscrive alla Scuola di Belle Arti di Mendoza abbandonandola due anni dopo. L’anno successivo riesce a vendere il suo primo fumetto di pubblicità ad un negozio di tessuti. Nel 1951 si reca una prima volta a Buenos Aires per trovare lavoro come fumettista dove poi si trasferirà, riuscendo a pubblicare regolarmente sulla pagina umoristica del settimanale Esto es. Inizia così una lunghissima carriera con disegni presentati su centinaia di quotidiani e periodici latino americani ed europei. Nel 1963 nasce il suo personaggio più famoso, una bimba creata per pubblicizzare una marca di elettrodomestici: la Mansfield il cui logo conteneva una M e una A, da cui Mafalda. La campagna pubblicitaria non venne portata a termine, ma rimasero alcune strisce. In questi anni pubblicherà per diverse riviste, fino ad arrivare a collaborare con il quotidiano El Mundo. Nel Natale 1966 l’editore Jorge Álvarez pubblica il primo libro che raccoglie in ordine cronologico le strisce di Mafalda, la tiratura di 5000 copie andrà esaurita in due giorni. Negli anni verranno pubblicati altri volumi-raccolta delle strisce. Nel ‘68 trenta strisce del personaggio vengono pubblicate in Italia all’interno del volume antologico “Libro dei bambini terribili per adulti masochisti”. Ma il primo volume completamente dedicato a lei appare un 10
anno dopo, si intitola “Mafalda la contestataria” con la prefazione di Umberto Eco. Nel 1973 abbandona il personaggio “per essere a corto di idee” su stessa ammissione dell’autore, che dice ancora «Ad un certo punto mi sono veramente stancato», in un’intervista a l’Espresso. «Non ce la facevo più a dire tutto quello che non andava, a passare il mio tempo in un continuo atteggiamento di denuncia. Il momento in cui ho deciso di mettere fine alle sue avventure, è coinciso poi con l’inizio di un periodo nero per l’Argentina. Quello dei sequestri, delle sparizioni, della dittatura. Il regime militare ha rafforzato la censura. Anche volendo, non avrei mai potuto continuare.», infatti in quegli anni si trasferisce a Milano, dove continua a realizzare le pagine di umorismo, anche pungente, che non ha mai smesso di fare. Vivrà tra Buenos Aires, Madrid, Parigi e l’Italia. Vincerà vari premi quali: il Dattero d’Oro al Salone Internazionale dell’Umorismo di Bordighera, la Palma d’Oro. Nel 2008 è ospite d’onore all’importante fiera di fumetti e videogiochi italiana Romics. Nel 2010 il ministro della Cultura e Comunicazione francese Frédéric Mitterrand lo nomina Cavaliere dell’Ordine delle arti e delle lettere. Mafalda: è una bambina di 6 anni, intelligente, acuta, e interessata ai problemi del mondo, interroga gli adulti sulle questioni più spinose, e dispensa giudizi. Odia particolarmente la minestra che, per Quino, «è una metafora di tutto ciò che si vuole imporre con la forza, delle cose alle quali vuole costringerti il potere, di ciò che viene imposto a un bambino, a un cittadino, a un popolo.» I suoi riferimenti sicuramente sono stati i Peanuts di Charles Schulz,con il loro mondo disincantato e infantile, dai quali però si differenzia essendo un pò irriverente e dicendo le cose come stanno, rifiutandosi di scendere a compromessi. La striscia è sarcastica, è critica nei confronti della società, ma ai lettori piace perché parla in modo diretto e intelligente.
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Il personaggio negli anni successivi ha comunque fatto qualche apparizione, una delle quali avviene nel 2009 per affermare il proprio sdegno per a una frase sessista pronunciata dall’allora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, in cui aveva definito la deputata del centrosinistra, Rosy Bindi, presente in studio, «più bella che intelligente», la risposta della parlamentare a quel commento fu «Evidentemente io sono una donna che non è a sua disposizione», diventando uno slogan contro la propaganda maschilista, trasformandosi in un caso internazionale. A quel punto, il fumettista Quino invia al quotidiano la Repubblica un disegno inedito, in cui Mafalda, con l’aria particolarmente contrariata, pronuncia le parole «Non sono una donna a sua disposizione». Mafalda si occupa così di tematiche come la maternità e il ruolo delle donne nella società, diviene un’ icona dei movimenti femministi di tutto il mondo. Lo stesso Quino si è dichiarato solidale nel confronti delle lotte delle donne, afferma nel 2018: «Ho sempre sostenuto le cause dei diritti umani in generale e dei diritti delle donne in particolare, alle quali auguro buona fortuna nelle loro rivendicazioni». Mafalda è diventata anche un cartoon e viene scelta dall’Unicef come portavoce della Convenzione per i diritti del fanciullo. Grazie Quino per aver creato Mafalda, alla quale ha
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“regalato” quella saggezza che pochi adulti hanno, pur essendo stata disegnata negli anni Sessanta, resta attuale anche per le generazioni future, vivrà per sempre, come le sue perle di saggezza.
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SUBURRA e BABY
Bilancio sulla fine della “prima generazione” di Netflix Italia di Valerio Lucantonio
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ell’arco di due mesi, tra metà settembre e fine ottobre, il gigante dello streaming ha pubblicato in blocco le stagioni finali di Suburra e Baby , le sue prime due serie originali prodotte in Italia. Il 2020 costituisce dunque uno spartiacque per la conclusione di queste apripista e l’inizio di una “seconda generazione” con ben tre nuovi titoli (Luna Nera, Summertime e Curon ) che tentano di spaziare verso generi e spettatori più variegati. Suburra e Baby infatti si rivelano, nonostante le differenze, prodotti che si basano su stilemi e tematiche simili, andando incontro sia all’abitudine del pubblico italiano sia alle aspettative stereotipate ormai sedimentate all’estero 12
per quanto riguarda la fiction nostrana. Ad analizzarle più o meno in controluce le due serie mostrano diversi punti di contatto e affinità. Il genere crime, colonna portante della serialità tutta e in particolare di quella italiana, è una garanzia che fa dà ispirazione e riferimento per le soluzioni e i modelli narrativi fin dai soggetti di serie, entrambi riconducibili a casi di cronaca. Suburra , in quanto primo titolo di Netflix Italia, ha puntato sulla formula vincente di SKY, ripercorrendo la parabola transmediale dei predecessori Romanzo Criminale e Gomorra (ovvero prima romanzo, poi lungometraggio cinematografico e infine serie televisiva), mentre il concept di Baby è stato concepito direttamente a partire dallo scandalo del 2013 sulla prostituzione minorile nel quartiere Parioli, anche se qui la componente crime è secondaria rispetto al teen drama corale (declinazione simile ad altri titoli Netflix come 13 Reasons Why ed Elite ). L’ambientazione comune di Roma predispone entrambe le serie a soddisfare il gusto e la fascinazione soprattutto americani per la città eterna e per il paesaggio e il patrimonio artistico italiani. Le due serie offrono però una rappresentazione dell’Urbe molto diversa, quasi opposta e complementare: in Suburra si esplorano gli ambienti torbidi e nascosti dove poteri più o meno illeciti si incontrano e scontrano, frequentando spesso la periferia e in particolare la zona meridionale che si estende fino a Ostia, ma non tralasciando neanche gli interni del centro in cui tramano politici e sacerdoti corrotti; Baby , al contrario, segue vicende quotidiane e “banali” nella loro pur terribile e perversa vacuità, mettendole in scena nei luoghi più patinati e insospettabili di Roma nord, opulenta e spietata sotto l’ostentata apparenza di benessere. Il tono melodrammatico, altro tratto
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Serie TV
distintivo di molta serialità italiana, è l’ultimo elemento comune a entrambe le serie. Sia Baby che Suburra si avvalgono degli eventi e dei conflitti attinenti al crime per sviluppare una fitta rete di relazioni interpersonali tra i personaggi, vera impalcatura delle trame orizzontali e teatro dei numerosi colpi di scena che puntano a catturare pathos e suspense nel finale di ogni puntata. Per quanto riguarda invece le differenze, si nota immediatamente il divario tra stili fotografici e colonne sonore (underground e glaciali per Suburra , pop e avvolgenti per Baby ) e fin dalle prime scene emerge il diverso target di riferimento, anche se la difformità maggiore risiede nell’efficienza della produzione e nella
macrostruttura narrativa. A stimolare un confronto su questo piano è soprattutto la conclusione di entrambe le serie con la terza stagione (prassi che ormai per Netflix è uno standard diffuso e discusso), che demarca e conferma le loro parabole parallele e al tempo stesso divergenti. La prima stagione di Suburra partì in pompa magna, con un cast e un impiego di risorse tali da non sfigurare accanto ad altri titoli italiani di punta, ma nella seconda e soprattutto nella terza stagione si è poi verificato un appiattimento generale: il formato passato da 10 a 6 puntate, il risparmio su location ripetitive ridotte all’osso e l’abbandono di alcuni attori con la conseguente monotonia nelle relazioni tra i pochi rimasti hanno portato a una conclusione che, oltre a troncare o lasciare in sospeso alcune sottotrame per cui non c’era abbastanza spazio, arriva a tradire le aspettative del pubblico non ricollegandosi al film e prendendo una svolta meno prevedibile, ma più banale, fino a un epilogo affrettato e semplicistico. D’altro canto Baby esordì tra gli sberleffi generali, soprattutto contro la recitazione (che invece è un consistente punto di forza di Suburra) e alcune scene percepite come inverosimili, ma nel corso delle tre stagioni ha mantenuto costanti l’innovazione moderata, il portato emotivo dei personaggi e lo sviluppo delle varie sottotrame, mantenendo la dignità di un prodotto medio creato da un team giovane e destinato a un pubblico ancor più giovane. Da questa ricognizione sulla “prima generazione” emerge come Netflix abbia lavorato con attenzione strategica ed economica in Italia, anche se il rifarsi a generi, tendenze e successi vicini e lontani ha dato vita a due opere ben confezionate, ma poco incisive e memorabili, lasciando un interrogativo non molto speranzoso sui nuovi titoli. 13
Leo Loewenthal, (a cura di C. Bordone)
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occhio al libro
A margine. Teoria critica e sociologia della letteratura di Giuseppe Chitarrini
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n questo volume sono raccolti quattro interventi di Leo Loewenthal (19001993), uno degli ultimi rappresentanti della Scuola per la Ricerca Sociale di Francoforte; docente, dopo la fuga dalla Germania Nazista nel 1934, all’Università di Berkeley in California; professore emerito di Sociologia della Letteratura e dei Fenomeni della cultura di massa. Tre di questi interventi di carattere teorico sono rispettivamente del 1932 (pubblicata per ultimo nel 1987), del 1948 e del 1967, mentre l’ultimo, del 1990, è costituito dal carteggio fra lo studioso francofortese e Carlo Bordone, che è anche il curatore del volume stesso oltre ad essere l’autore dell’illuminante presentazione. Il volume intende anche supplire, parzialmente, alla incompleta conoscenza, in Italia, di Loewenthal; un atto dovuto –quindi- per riconoscergli quei meriti di studioso della disciplina di cui è stato, insieme con G. Lukàcs e R. Williams fra i più significativi interpreti del novecento. “Tre saggi di grande valore metodologico ed etico…di uno studioso che considerava, a torto, il suo contributo ‘a margine’ della Teoria Critica, sviluppata dai suoi colleghi della Scuola di Francoforte” (C. Bordoni, presentazione, pp. 23 e 24). 14
La Sociologia della Letteratura tratteggiata da Loewenthal nei saggi raccolti in questo testo, ovviamente, si rifà all’impianto teorico radicale e problematico proprio degli studiosi francofortesi che connota la letteratura contemporanea (soprattutto quella detta popolare), come fenomeno specifico della cultura di massa e come oggetto e strumento di manipolazione da parte dei grandi poteri ideologico-politici e c u l t u ra l i - e c o n o m i c i . La teoria critica ha fra i suoi obbiettivi proprio quello di fornire i criteri di comprensione per lo ‘smascheramento’ di queste dinamiche sociali, fra questi la Sociologia della Letteratura, e anche quella che si occupa dei fenomeni di massa, può svolgere in maniera particolare un’attività di contrasto e di correttivo nei riguardi di quella falsa coscienza che tali forme di manipolazione determinano. Un altro fra gli obbiettivi propri di questa disciplina, sottolineato dall’autore, è quello di ostacolare quella tendenza generale che vede “la diminuzione dell’esperienza estetica, come esperienza di libertà nel mondo odierno”(p.56).
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Roma
“Back to nature” Villa Borghese, fino al 13 dicembre “The Torlonia Marbles, Collecting Masterpieces” Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi” Palazzo Caffarelli, Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Manolo Valdès. Le forme del tempo” Palazzo Cipolla, fino al 10 gennaio 2021 “Sulle tracce del crimine.Viaggio nel giallo e nero RAI” Museo di Roma in Trastevere, fino al 6 gennaio 2021 “Alberto Sordi, mostra nella sua villa a 100 anni dalla nascita” Villa di Alberto Sordi, fino al 31 gennaio 2021 “Banksy A visual protest” Chiostro del Bramante, fino al 11 aprile 2021
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Bologna
“La riscoperta di un capolavoro” Palazzo Fava, fino al 10 gennaio 2021 “Vittorio Corcos. Ritratti e sogni” Palazzo Pallavicini, fino al 14 febbraio 2021 “Monet e gli impressionisti. Capolavori dal Musee Marmottan Monet, Parigi” Palazzo Albergati, fino al 14 febbraio 2021
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Ferrara
“Gaetano Previati, tra Simbolismo e Futurismo” (Art. pagg. 8-9) Castello Estense, fino al 27 dicembre.
Firenze
“Kevin Francis Gray” Museo Stefano Bardini, fino al 21 dicembre.
Forlì
“Ulisse. Il viaggio e il mito” Musei san Domenico, fino al 31 ottobre
Milano
“Trisha Baga. The eye , the eye end the ear” Pirelli Hangar Bicocca, fino al 10 gennaio 2021 “The Porcelain Room Chinese Export Porcelain” Fondazione Prada, fino al 10 gennaio 2021 “Tiepolo. Venezia, Milano” Gallerie d’Italia, fino al 21 marzo 2021
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Eventi
“Divine e Avanguardie. Dalle icone a Malevic e Gondarova, le donna nell’arte russa” Palazzo Reale, fino al 5 aprile 2021.
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Napoli
“Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 13 gennaio 2021 “Luca Giordano. Dalla natura alla pittura” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 10 gennaio 2021. “Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021
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Parma
“Fornasetti. Theatrum Mundi” Complesso monumentale della Pilotta, fino al 14 febbraio 2021 “L’occento e il mito di Correggio” Palazzo della Pilotta, fino al 14 febbraio 2021
Prato
“Dopo Caravaggio. Il seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo pretorio e della Fondazione De Vito” Museo di Palazzo pretorio, fino al 6 gennaio 2021
Ravenna
“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021
Rovereto
“Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021
Rovigo
“Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà” Palazzo Roverella, fino al 10 gennaio 2021 “La quercia di Dante” Visioni dell’Inferno Palazzo Roncale, fino al 17 gennaio 2021
Siena
“Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021
“Art Faces” Art forum Wurth, Capena.
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