A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno XIV N° 138 ottobre 2020
Mensile d’informazione d’arte
www.artemediterranea.org
n La vita maledetta di Gemito
nIn mostra: l’uso creativo dei muri
nAddio ad Albert Uderzo
nLe Gionate FAI a Roma
Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”
Telefona al 347.1748542
Associazione ARTE MEDITERRANEA Aprilia - PROGRAMMA CORSI 2018-2019 CORSO DISEGNO 1° ANNO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO MARTEDI’ - GIOVEDI’ 9,00 - 11,00 18,00 - 20,00 CORSO ACQUERELLO AVANZATO LUNEDI’ MERCOLEDI’ 18,00 - 20,00
Collaboratori Patrizia Vaccaro, Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Valerio Lucantonio, Nicola Fasciano, Giuseppe Chitarrini Francesca Senna Responsabile Marketing Cristina Simoncini
Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini
Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale
Amministratore Antonio De Waure
Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore
Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti
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CORSO DI ANATOMIA PER ARTISTI Ins. Antonio De Waure CORSO DI PROSPETTIVA Ins. Giuseppe Di Pasquale
CORSO DI DISEGNO - FUMETTO SCENEGGIATURA ORGANIZZATO DA SCHOOL COMIX APRILIA SABATO 10,30 - 18,45
Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Mensile culturale edito dalla Associazione Arte Mediterranea Via Muzio Clementi, 49 Aprilia Tel.347/1748542 occhioallarte@artemediterranea.org www.artemediterranea.org Aut. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007
CORSI IN ORARIO DA DEFINIRE
CORSO OLIO LUNEDI’ - VENERDI’ 18,00 - 20,00 20,00 - 22,00 MARTEDI’ - GIOVEDI’ 09,00 - 11,00 18,00 - 20,00
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Sommario
LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI DI VIENNA L’uso creativo dei muri Le sculture di carta di Diana Beltrán Herrera La vita maledetta di Gemito “IL PAPA' DI ASTERIX ” RAISED BY WOLVES Le giornate FAI a Roma del 17-18 ottobre 2020 sul filo di china
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occhio al viaggio
LA CRIPTA DEI CAPPUCCINI DI VIENNA di Giuseppe Chitarrini La Cripta dei Cappuccini nel quadrante centrale di Vienna, al numero 2 della piccola Taghetthoffstrasse, vicino ai caffè dove viene servita la Sacher torte, rappresenta una tappa particolare, forse inquietante, ma irrinunciabile, comunque ben oltre il frenetico glamour turistico di routine. In quell’impressionante magazzino mortuario si conservano le spoglie della dinastia degli Asburgo, casata di antica discendenza Svizzera, che fin dalla seconda metà del 1200, guidata dagli imperatori del Sacro romano Impero, dominò l’antica marca centro orientale dell’Europa, fino alla Russia e, a sud, fino la Grecia e Bisanzio. Dopo aver disceso dei gradini si accede in locali grandi tra lastre tombali, statue lignee stuccate ed indorate, decorazioni e scritte mortuarie, epitaffi e sarcofaghi, fioriere con fiori freschi o appassiti, busti, e pesanti candelabri, gravati dall’aria pesante di una dimensione dove il tempo sembra sospeso; lì riposa la dinastia imperiale che governò, nel bene e nel male e per quasi ottocento anni, gran parte dei popoli europei. Nella chiusa esalazione di cera, detersivi e fiori, si aggirano gli ospiti e i visitatori; qualche turista e nostalgici viennesi che si soffermano a leggere gli epitaffi e le scritte sulle lastre e sui marmi… l’intero repertorio funereo è dominato da un barocco pesante ed eccessivo, il barocco tedesco, sviluppatosi nel 5-600 probabilmente come reazione ai rigori della Riforma, e che meglio esprime, tra le altre cose, la tensione fra simbolo ed allegoria. Il primo come unificazione totalizzante fra parvenza, apparenza e realtà sostanziale; la seconda che invece esprime il divenire, frammentando l’integrità del reale,
dissipandola nella retorica e nella metamorfosi, fino alla trasfigurazione e verso la decomposizione: il teschio, che –almeno nella trasposizione più manieristicacostituisce l’allegoria metamorfica più estrema (“per il dramma barocco del XVII secolo il cadavere diventa l’oggetto emblematico per eccellenza” W. Benjamin “Il dramma barocco tedesco”, Einaudi Torino 1999, p. 194), emblema della trascendenza fino alla (trans)formazione definitiva del divenire. E la nostalgia che si sprigiona da quel luogo –così ben narrata, in pieno nazismo, dall’esule austriaco Joseph Roth (“La Cripta dei Cappuccini”, Ediz. Adelphi 1995)- non mitiga il soverchiante e soffocante senso che il tragico del disperato ed esasperato, ossessivo e grottesco barocco produce, nella sua radicale ed agonica tensione fra il divenire, la presenza dell’essere e la storicità, in contrasto con la sua finitudine astorica, la deposizione e il decomporsi che corrompe la staticità e integrità sacrale del cadavere. Imperatori ed imperatrici, re, regine, duchi, avi e antenati: gli Asburgo sono tutti lì, i loro corpi racchiusi ed occultati dai pesanti sarcofaghi. E’ un ‘trionfo della morte’, la quale non si limita solo ad aleggiare eterea in quelle stanze, ma forse vi abita: ha trovato là la sua dimora, e ci si aspetta, quando cala la notte, di vederla emergere da un angolo buio fra una lastra tombale, un sarcofago e un pesante candelabro, avvolta nel suo mantello nero con tanto di falce in spalla per iniziare il suo giro e proseguire la sua sterminata e ineluttabile contabilità. 3
L’uso creativo dei muri
Una costante nella storia dell’uomo, sin dalle origini di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi
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’articolo di questo mese è dedicato alla Street Art, ma, per comprendere meglio l’importanza della sua presenza nella scena contemporanea, sarà bene fare un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di ben altre<pareti dipinte>. Un ritorno alle origini appare ancora più <urgente> tenendo conto, anche, dell’approccio non sempre positivo soprattutto da parte dei critici dell’arte, sia per il suo carattere effimero, sia per il suo sconfinare, talvolta, nel vandalismo. L’esigenza espressiva del dipingere i muri affonda le sue radici nella notte dei tempi, quando la scrittura era ancora lontana dall’essere inventata e le immagini raffigurate non avevano finalità estetiche, ma piuttosto magiche e propiziatorie. Basti pensare ai muri incisi o dipinti di grotte o caverne a partire dal Neolitico, all’uso artistico espressivo dei muri durante la civiltà egizia, assira, romana, a Pompei, agli affreschi medioevali e così via per arrivare ad un ascendente della Street Art più diretto, quello rappresentato dal muralismo internazionale del primo dopoguerra in paesi come la Francia, il Messico, l’Italia fascista. In tali nazioni, a latitudine e fronti politici opposti, doveva avere finalità educative e propagandistiche
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ed essere vissuta dal popolo <come patrimonio e valore collettivo>. Negli anni 60 e 70 del ‘900, in Europa e non solo, il murale è quasi sempre politico e alla creatività dei dipinti si alterna quella delle scritte, esempi indimenticabili sono quelle del Maggio francese: ”Dimenticate tutto ciò che avete imparato, cominciate a sognare”, “Sotto il pavé, la spiaggia”, “Decreto lo stato di felicità permanente”. Negli stessi anni, all’incirca, nei bassifondi di alcune metropoli, inizia a dilagare un fenomeno giovanile e illegale, il Writing, progenitore diretto dell’odierna Street Art. Sul finire degli anni “70 a New York, i giovani delle periferie iniziano a scrivere il loro nome reale o, spesso, di fantasia, sui muri della città, nelle stazioni della metropolitana, sui treni. Tali firme arabescate, le tags, in gergo, realizzate in un primo momento con pennarelli indelebili e poi con le bombolette spray, divengono sempre più <artistiche> e personalizzate, lasciandosi alle spalle la scia di puro vandalismo. Ben presto al mondo del writing con il suo linguaggio, i suoi luoghi e la sua indomita ricerca stilistica, si accosta o si contrappone un nuovo movimento artistico la Street Art, appunto, che oggi è capillarmente diffuso in tutto il mondo, dalla natura in
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costante evoluzione, ma caratterizzata, nelle sue opere, da una vita spesso effimera, precaria, evanescente. “Rispetto al writing, nella Street Art mutano i riferimenti culturali, le tecniche e lo stile. Il rapporto tra legale e illegale, le dimensioni. Il concetto di unicità dell’opera. La percezione da parte dell’arte ufficiale e, sempre più, anche da parte del passante, che non considera più l’intervento sul muro un atto vandalico, a prescindere”. Una delle tecniche più in auge, sia per la velocità di esecuzione che per la possibilità di riprodurre più volte la stessa immagine, è lo stencil a cui è indissolubilmente legato lo street artist più noto e apprezzato al mondo: Banksy, l’artista <sconosciuto>, che ha conquistato il mondo, grazie alle sue opere intrise di ironia, intelligenza e protesta, a cui il Chiostro del Bramante ha dedicato una mostra aperta fino all’11 aprile 2021. <Immagina una città in cui i graffiti non fossero illegali, una città in cui tutti potessero disegnare dove vogliono. Dove ogni strada fosse inondata di miriadi di colori e brevi espressioni. Dove aspettare in piedi l’autobus alla fermata, non fosse mai noioso. Una città che desse l’impressione di una festa aperta a tutti, non solo agli agenti immobiliari e ai magnati del business. Immagina una città così e scostati dal muro … la vernice è fresca. Ci vuole del fegato, e anche tanto, per levarsi in piedi da perfetti sconosciuti in una democrazia occidentale e
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invocare cose in cui nessun altro crede, come la pace, la giustizia e la libertà>. Queste parole sono state scritte da Banksy, ma rispecchiano il sentire degli artisti di strada, più o meno famosi, che con la loro intelligenza creativa, la fantasia, spesso il coraggio, una straordinaria perizia tecnica e originalità esecutiva, hanno inondato interi quartieri, in genere periferici, o interi paesi di bellezza estetica non priva di importanti spunti di riflessione per creare un mondo migliore.
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Le sculture di carta di Diana Beltrán Herrera La natura nei suoi più meravigliosi dettagli di Cristina Simoncini
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el 2012, l’artista di Bristol Diana Beltrán Herrera ha iniziato a scolpire uccelli di carta impeccabilmente stratificati e altri animali selvatici come un modo per registrare l’ambiente circostante. I suoi pezzi realistici hanno catturato gli elementi minuscoli e finemente dettagliati della natura, come la trama fibrosa delle piume e le vene che attraversano le foglie. Oggi, l’artista ha ampliato la pratica per includere specie e ambienti esotici che non ha mai visto da vicino, sviluppando le sue tecniche di carta per esprimere i dettagli più sfumati delle forme 6
e delle trame che studia nei libri di biologia. Ora, concentrandosi sugli elementi strutturali di funghi, frutta e fiori, Beltrán Herrera commenta: “La carta come mezzo di documentazione mi permette di registrare e creare nozioni e idee di soggetti che non ho sperimentato nella vita reale ma che posso sperimentare quando una scultura è completata. Mi piace questo approccio perché non è dannoso e, attraverso il mio lavoro, posso mostrare e raccontare ai miei spettatori le cose che ho imparato, l’importanza della natura solo facendo ricerche e realizzando io stesso.”
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curiosArt
Gran parte del suo impegno è incentrato sugli sforzi di conservazione e sulla giustizia ambientale. Ad esempio, una recente commissione di Greenpeace UK ha sostenuto la campagna Plastic Free Rivers dell’organizzazione. “Sono costantemente alla ricerca di argomenti più rilevanti per i tempi in cui viviamo, in modo che attraverso il mio lavoro posso comunicare informazioni importanti che possono educare o semplicemente rendere le cose più visibili. L’approccio è molto grafico e visivo, il che aiuta a trasmettere un messaggio “, dice. I prossimi progetti di Beltrán Herrera includono una commissione per una scultura di corallo, oltre ai piani di avviare uno studio con suo fratello entro la fine del 2020. La sua speranza è di fondere il design grafico e digitale con le sue creazioni di carta, aggiungendo potenzialmente anche l’animazione. In definitiva, il suo obiettivo è tuffarsi in progetti più grandi. “Non vedo il mio lavoro come qualcosa che voglio sapere come fare facilmente, ma come una sfida, che mi permetterà sempre di chiedermi come eseguire e creare cose che non sono mai state fatte con la carta”, dice. 7
La vita maledetta di Gemito La genialità minata dalla follia di Maria Chiara Lorenti
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gnuno di noi vive una vita piena di accadimenti, di vicissitudini e di piccole o grandi avventure, ma alcuni più di altri. Soprattutto se sei un artista. Per esempio potresti essere stato abbandonato alla nascita nella ruota dell’Annunziata di Napoli. Essere stato adottato da una famiglia di umili origini e, per arrotondare le magre entrate, lavorare, ancora bambino, come manovale, fattorino ed altro. Però, al contrario di tanti, il talento ti fa emergere e notare, così, se hai un pizzico di fortuna, potrai studiare a bottega di altri artisti più affermati. Così come è successo a Vincenzo Gemito, tra i più acclamati e famosi scultori ottocenteschi. La sua vita lavorativa si intreccia strettamente con quella umana, e si snoda tra le grandi commissioni ed una, dapprima celata e poi sempre più evidente, sua propensione, poi acclamata, malattia mentale, che, dopo un periodo passato in manicomio, lo porterà ad isolarsi nella sua casa, dove si chiuderà, senza più uscirne, per ventidue anni. Nel frattempo il suo genio artistico emergerà e si farà notare dai grandi personaggi dei suoi tempi, che verranno ritratti da lui in terracotta e in fusioni di bronzo. Uomini come Giuseppe Verdi e sua moglie Giuseppina Stepponi, che conobbe in gioventù quando
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il compositore si recò a Napoli in occasione della stagione teatrale del 1872, per allestire l’Aida e il Don Carlos. In quel frangente fu proprio il grande musicista ad aiutarlo a non partire per il militare. Più che la somiglianza fotografica, i ritratti di Gemito sono psicologici, si ispirano al mondo interiore del soggetto, scolpendoli in maniera dinamica, dove il gioco del chiaroscuro, determinato dalla luce che li colpisce, ne evince il carattere, dandogli una leggerezza da schizzo più che da posa istituzionale. Come nel busto eseguito per la morte di Mariano Fortuny, l’estroso pittore spagnolo, morto a soli trentasei anni. Il volto leggermente chinato in avanti accentua un animo intimista, mentre la massa di riccioli scomposti svela una certa libertà di pensiero. Ma le sue muse ispiratrici, che poi determineranno il suo lento, ma costante, rovinio verso la follia, sono state i suoi grandi amori. Il primo, quello per la sua fidanzata Mathilde Duffaud, modella conosciuta a Parigi, durante la sua permanenza nella capitale francese, dove, introdotto da Giovanni Boldini, aveva esposto al Salon, il Pescatore, scultura che fece scandalo per la crudezza con cui era stato effigiato uno scugnizzo macilento. La morte prematura della giovane innamorata lo getterà nello sconforto, aveva fatto di tutto per curarla, vendendo ogni cosa avesse nello studio. Poi
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il peso delle ordinazioni, da parte del re Umberto I, di una statua colossale, in marmo a lui poco congeniale, di Carlo V, da collocare nella facciata del Palazzo Reale di Napoli, e la realizzazione di un trionfo in argento, centrotavola di un importante servizio, lo portano ad un eccessivo stress che sfocerà in un peggioramento delle sue facoltà psichiche. Poi la conoscenza di Anna Cutolo, modella di Domenico Morelli, lo ispirerà a realizzare numerosi ritratti, che saranno i suoi capolavori. Disegnata, modellata in terracotta, scolpita in marmo e fusa in bronzo, l’amore per questa donna, che diverrà sua moglie, lo travolgerà, e la bellissima Nannarella sarà determinante per la sua arte. Nel 1906 anche lei muore e lo lascia sempre più succube dei suoi demoni.
in mostra
In una lettera scrive “…io vivo in un labirinto di immagini terribili... veggo il demonio nelle complicazioni della vita”. “Gemito. Dalla scultura al disegno”, fino al 15 novembre sarà in mostra al Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli. Se il Covid 19 ce lo permetterà, sarebbe molto interessante poterla visionare. 9
“IL PAPA' DI ASTERIX ” Addio ad Albert Uderzo di Patrizia Vaccaro recente, con l’ album n.38. Già nel 2013 erano arrivate nuove leve alla direzione della serie, vengono scelti, dallo stesso Uderzo, Jean-Yves Ferri (testi) e Didier Conrad (disegni). La fortuna delle storie sta nei divertentissimi testi e nei disegni, pur con delle critiche su come siano stati sbeffeggiati gli antichi romani, cosa però respinta dall’autore che ci racconta: ‹‹Un amico italiano mi ha detto che non si sente preso in giro in quanto italiano, visto che i miei romani sono i romani di oggi, con il dialetto attuale››. Altre curiosità sulla serie: il nome Asterix deriva dal francese “asterisque” (asterisco) come “piccola stella” e l’aggiunta del suffisso -ix nel quale vengono distinti i nomi di quasi tutti i Galli. Il nostro eroe nasce dopo lunghe discussioni fra i due creatori, lo sceneggiatore Goscinny prediligeva un antieroe dal fisico minuto, ma abile con il cervello; il preferito di Uderzo rimane Obelix, più suscettibile, irascibile e goloso: famosa è la sua passione per il hi non conosce Asterix e il suo compare Obelix? cinghiale arrosto. Il loro inventore, Albert Uderzo, ci ha lasciato il 24 Elemento che contraddistinguente i protagonisti della marzo 2020 all’ età di 92 anni a causa un infarto (non legato al coronavirus). Lo ricordiamo raccontando qualche curiosità sul suo personaggio più famoso. Nato il 25 aprile 1927, da genitori italiani trasferiti in Francia (villaggio di Fismes, nella Marna), già a sette anni legge fumetti ed inizia a disegnare sue storie, scopre di essere daltonico, un limite nella pittura , ma non nel disegno. Nel corso degli anni farà il ritoccatore di fotografie, correttore di bozze, grafico, ecc. da autodidatta, ma con capacità eclettiche. Negli anni Quaranta inizia a lavorare, ma è negli anni Cinquanta che ci sarà la svolta con la conoscenza di Renè Goscinny. Si creerà un sodalizio: Uderzo come disegnatore e Renè come sceneggiatore che porterà, il 23 ottobre 1959, alla pubblicazione di Asterix sulla rivista «Pilote». E’ curioso pensare che un personaggio tanto patriottico sia stato creato da due autori di origini straniere: Goscinny ebraico-polacco, aveva vissuto a lungo in Argentina e Uderzo figlio di emigrati. Anche dopo la morte di Goscinny(1926-1977), Uderzo ha continuato a realizzare i fumetti dell’eroe gallico, mantenendone la supervisione fino all’ultimo episodio della serie: “Asterix e la figlia di Vercingetorige”, uscito di
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serie, sta nel grosso naso e rappresenta uno dei “marchi di fabbrica” del disegnatore. Giusto per ricordarvelo: le vicende sono ambientate nel 50 a.C. in Gallia, conquistata dai Romani di Giulio Cesare, al quale però resiste un piccolo villaggio dell’Armorica (l’odierna Bretagna). I suoi abitanti, grazie ad una pozione magica, preparata dal druido Panoramix, sono praticamente invincibili e le suonano di santa ragione ai romani, ricordano un po’ quelle botte alla Bud Spencer e Terence Hill, che fanno un gran fracasso senza far male veramente. Il nostro piccoletto porta sempre con se una boccetta di pozione magica, mentre al suo amico corpulento non occorre, essendo caduto da piccolo nel pentolone della pozione. Asterix è stato comunque protagonista di oltre trenta albi a fumetti, ma anche di lungometraggi che siano essi animati o film. Sapevate inoltre che gli è stato dedicato nel 1965 il primo satellite artificiale francese ed anche un asteroide scoperto nel 1996? A lui è stato intitolato perfino un parco giochi a tema, Parc Astérix, inaugurato nel 1989 a Plailly, vicino a Parigi. Insomma vi invito a rileggere Asterix, capirete come
dedicato a...
il suo creatore sia divenuto immortale proprio grazie ad un piccolo villaggio gallico che resisterà per sempre all’invasore romano.
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RAISED BY WOLVES
La nuova frontiera della (e nella) fantascienza di Valerio Lucantonio
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BO Max, recente piattaforma streaming del canale premium cable americano, ha fatto il suo esordio nella serialità “drama” a settembre con Raised by Wolves, ambiziosa serie di fantascienza che intende senza dubbio far sfigurare le produzioni originali dei tanti competitor digitali. Se da una parte si pensa subito a Westworld, finora titolo sci-fi di punta di HBO – e forse di tutta la serialità contemporanea – dall’altra è immediata l’associazione a Prometheus e alle altre opere di Ridley Scott, qui produttore esecutivo e regista delle prime due puntate. Si riconoscono infatti immediatamente la cura e l’elegante visione futuristica del comparto tecnico, e a ogni nuovo episodio si stratifica ed espande il portato estetico e filosofico di questa narrazione creata dalla mente di Aaron Guzikowski (il cui lavoro più noto e apprezzato è il thriller Prisoners). Il concept è tanto semplice quanto originale: il pianeta Terra è stato devastato da una sanguinosa guerra mondiale tra due grandi fazioni, gli atei e i seguaci del dio Sol, ed entrambe hanno inviato verso un pianeta abitabile le loro uniche speranze per la sopravvivenza della razza (rispettivamente una piccola navicella con due androidi che dovranno crescere degli embrioni congelati e una grande arca spaziale con decine di sopravvissuti criogenizzati). L’innesco dei conflitti è inevitabile quando le due spedizioni si incontrano sullo spoglio e spettrale Kepler-22b, ma gli sviluppi che seguono sono tutt’altro che prevedibili e non sono incentrati solamente sullo scontro tecnologico. Mentre flashback e rivelazioni aggiungono sfaccettature ai personaggi e alla cultura dell’umanità quasi del tutto cancellata, assistiamo non solo alla messa in scena di scontri ideologici e dilemmi etici tipici della fantascienza di aspirazione filosofica, ma anche al sempre più misterioso e inquietante emergere di elementi riconducibili al sottogenere horror dell’avventura
cinema
spaziale. La fondazione della comunità e l’intrinseca natura violenta e traditrice dell’essere umano sono le tematiche che più spiccano nel susseguirsi degli eventi, ma durante tutta la prima stagione si fa evidente come il discorso sottotesto punti a contrapporre dimensioni e valori antitetici per poi portarli verso un’ibridazione più o meno sfumata. Nel nuovo mondo che assisterà alla rinascita – o all’epilogo – della civiltà, l’organico delle creature locali e degli umani e l’inorganico dei robot e delle armi trova fin dall’inizio il punto d’incontro nei corpi asettici, ma frementi degli androidi; il biologico e il tecnologico si fondono in una gravidanza tanto assurda e inspiegabile da ricordare l’immacolata concezione; fede e scienza si scambiano e si sostituiscono continuamente fino a dare vita a conversioni, illuminazioni e fanatismi su entrambi i fronti; anche la realtà concreta arriva a scontrarsi con quelle che sembrano essere manifestazioni soprannaturali o metafisiche che scardinano convinzioni, leggi e categorie del vecchio mondo. L’ordine delle cose è stato già sconvolto al punto che un androide desidera e può provare emozioni tanto surrogate quanto rilevanti ed equivalenti a quelle umane (un plauso alla recitazione di Amanda Collin e Abubakar Salim che hanno incarnato due tra i personaggi più riusciti e memorabili della fantascienza contemporanea) e un gruppo di bambini ha sulle proprie spalle la responsabilità del proseguo della razza umana, quindi non stupisce il fatto che l’evoluzione non riguardi soltanto l’esplorazione di una frontiera spaziale, ma anche e soprattutto il superamento di confini e limiti concettuali e ontologici. Le puntate si susseguono con ritmo non uniforme, ma comunque lineare e spedito, non lavorando sulla specificità del singolo episodio e definendo un inesorabile avanzamento che porta alle estreme conseguenze personaggi ed eventi. Il finale forse eccede nel lasciare aperte e ancora da scoprire praticamente tutte le sottotrame e i misteri, non provando a definire quasi per nulla alcun carattere autoconclusivo della stagione, ma tale apertura ha senso trattandosi del passo iniziale di una serie che ha tutte le carte in regola per aggiungere linfa all’immaginario fantascientifico e fondare un inedito e sorprendente universo narrativo tangenziale e complementare a quello di Alien. Si prova infatti una gratificante consolazione a considerare Raised by Wolves proprio come nuovo spazio vergine in cui la saga di Promethues può trovare una possibilità di rinascita ed evoluzione, vista la sospensione – per ora – a tempo indeterminato dei suoi capitoli cinematografici mancanti. 13
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FAI
Le giornate FAI a Roma del 17-18 ottobre 2020 di Nicola Fasciano
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ante sono le bellezze che sono celate in questa straordinaria città, che spesso ci si passa davanti migliaia di volte senza avere la cognizione di ciò che si sta ammirando perché non molto conosciuto. Per fortuna ci sono gli amici del FAI (Fondo ambientale italiano) che ci aiutano a far scoprire siti poco conosciuti, ma non per questo meno pregiati. Il primo dei due tesori che vogliamo svelare è il semenzaio di san Sisto vecchio, adiacente a Villa Celimontana, e a due passi dalle più note Terme di Caracalla. La storia del semenzaio inizia nel 1810, quando l’allora prefetto napoleonico decise di avviare a Roma il progetto di un vivaio per la produzione di piante per i nuovi viali e parchi pubblici. Il terreno che venne scelto era attraversato da un corso d’acqua, il “Rivo dell’Acqua Mariana”, nei secoli deviato e in parte interrato, che aveva la sua sorgente sui colli Albani. Entrando a Roma da Porta Metronia, attraversava l’area del semenzaio facendo girare le mole dei due mulini ad acqua, la Mola di San Sisto Vecchio e la Molella, costruiti lungo il suo corso, per poi gettarsi nella valle verso Circo Massimo fino al Tevere. Negli anni questo luogo è stato oggetto di abbandoni e recuperi, fino al 1926 quando venne definitivamente restaurato dall’ architetto Raffaele De Vico per la riqualificazione del verde urbano di Roma. Il parco occupa una grande superficie: viali con piante provenienti da varie parti del mondo, serre e l’arancera con facciata monumentale neoclassica. Qui viene coltivata la collezione di azalee che ogni anno, nel periodo della fioritura, viene esposta lungo la scalinata di Trinità dei Monti. Il Semenzaio è sede anche dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Roma, della Direzione del Dipartimento Tutela Ambientale e del Verde, della 14
Protezione Civile Comunale e della Direzione del Servizio Giardini del Comune di Roma. Il secondo tesoro svelato dal FAI è il complesso conventuale di San Pietro in Montorio, che è situato nel luogo in cui, secondo la tradizione, avvenne il martirio di San Pietro ed è oggi sede dell’Accademia di Spagna. La meraviglia colpisce il visitatore sia all’esterno che all’interno. All’esterno, possiamo ammirare uno dei panorami più affascinanti della capitale che, osservato in una giornata luminosa come quella che ha accolto i visitatori, sorprende in modo strepitoso. All’interno, il complesso consente di scoprire uno dei capolavori dell’architettura rinascimentale italiana: il tempietto realizzato dal Bramante nei primi del 1500. La costruzione fu commissionata dal Re di Spagna, in quanto il complesso monastico apparteneva ad una congregazione spagnola e doveva celebrare, appunto, il martirio di san Pietro che secondo una tradizione era avvenuto proprio sul Gianicolo ed è per tale ragione che le sue dimensioni sono ridotte, ovvero perchè la sua funzione non è pratica, ma simbolica. Nonostante ciò, la piccola costruzione ha però il respiro di un grande tempio e assume l’imponenza e la dignità dei grandiosi edifici imperiali romani. Il tempietto è soprastante una cripta circolare il cui centro indica il luogo dove venne piantata la croce del martirio, asse ideale di tutta la costruzione. Alla cripta si accede con scale esterne realizzate nel XVII secolo, mentre originariamente esisteva solo una botola. Queste due visite, insieme alle altre centinaia organizzate nei due weekend autunnali previsti, onorano al meglio la memoria della compianta fondatrice dell’organizzazione Giulia Maria Crespi, scomparsa l’estate scorsa, a cui sono dedicate.
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Roma
“Sten Lex. Rinascita” Galleria d’Arte Moderna, fino al 22 novembre “Giuliana Caporali e la scuola romana, il tempo sospeso” Museo civico d’arte Moderna e Contemporanea, fino al 15 novembre “L’Umanità fragile” Casa del Cinema, fino al 28 novembre “Ritratti dell’anima” di Giovanni Gastel MAXXI, fino al 24 novembre “Back to nature” Villa Borghese, fino al 13 dicembre “The Torlonia Marbles, Collecting Masterpieces” Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi” Palazzo Caffarelli, Musei Capitolini, fino al 10 gennaio 2021 “Manolo Valdès. Le forme del tempo” Palazzo Cipolla, fino al 10 gennaio 2021 “Alberto Sordi, mostra nella sua villa a 100 anni dalla nascita” Villa di Alberto Sordi, fino al 31 gennaio 2021 “Banksy A visual protest” (articolo a pagg. 4-5) Chiostro del Bramante, fino al 11 aprile 2021
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Bologna
“Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna” Museo civico archeologico, fino al 29 novembre “La riscoperta di un capolavoro” Palazzo Fava, fino al 10 gennaio 2021 “Vittorio Corcos. Ritratti e sogni” Palazzo Pallavicini, fino al 14 febbraio 2021
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Firenze
“Tomas Saraceno aria” Palazzo Strozzi, fino al 11 novembre
Forlì
“Ulisse. Il viaggio e il mito” Musei san Domenico, fino al 31 ottobre
Milano
“Trisha Baga. The eye , the eye end the ear” Pirelli Hangar Bicocca, fino al 10 gennaio 2021 “The Porcelain Room Chinese Export Porcelain” Fondazione Prada, fino al 10 gennaio 2021
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Eventi
Napoli
“Gemito. Dalla scultura al disegno” (articolo pagg.8-9) Museo e Real Bosco di Capodimonte, fino al 15 novembre “Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli” Museo e Real bosco di Capodimonte, fino al 13 gennaio 2021 “Gli Etruschi e il MANN” Museo archeologico nazionale di Napoli, fino al 31 maggio 2021
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Parma
“Fornasetti. Theatrum Mundi” Complesso monumentale della Pilotta, fino al 14 febbraio 2021
Prato
“Dopo Caravaggio. Il seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo pretorio e della Fondazione De Vito” Museo di Palazzo pretorio, fino al 6 gennaio 2021
Ravenna
“Dante nell’arte dell’ottocento” Chiostri francescani, fino al 5 settembre 2021
Rovereto
“After Monet. Il Pittorialismo nelle collezioni del Mart” Mart, fino al 22 novembre “Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021
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Rovigo
“La quercia di Dante” Visioni dell’Inferno Palazzo Roncale, fino al 17 gennaio 2021
Siena
“Il sogno di lady Florence Phillips. La collezione della Johannesburg Art Gallery” Santa Maria della Scala, fino al 10 gennaio 2021
Soliera (Mo)
“Arnaldo Pomodoro. {sur}face” Castello Campori, fino al 10 gennaio 2021
“Ritratti dell’anima” di Giovanni Gastel, MAXXI, fino al 24/11
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