Semplicemente da far saltare i nervi: cosa c’è da sapere sulle allergie
intervista
Un anno da Direttore generale –una conversazione con Christian Kofler in memoria di lorenz böhler
Dagli albori della traumatologia ai giorni nostri – Simposio all’Ospedale di Bressanone
violenza in ospedale
Ogni aggressione è di troppo
istantanea → “Tu sei indispensabile”: questo è il motto dell’edizione di quest’anno “dell’Azione Io rinuncio”, che anche questa volta rimane “un’Azione irRINUNCIAbile”. Dal Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo, al Sabato Santo, 19 aprile, la popolazione è chiamata a riflettere e a partecipare. Il messaggio “Tu sei importante” può essere condiviso con altre persone tramite dei post-it.
Maggiori informazioni sulla campagna sono disponibili all’indirizzo www.io-rinuncio.it.
Care Lettrici, cari Lettori,
il tempo vola, come si suol dire, e infatti è passato già un anno da quando l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige ha un nuovo Direttore generale: Christian Kofler Un’ottima occasione per chiedere al Direttore generale in carica come ha vissuto questi primi dodici mesi, cosa lo ha sorpreso ed in quale direzione si debba procedere. Trovate l’intervista dettagliata con Christian Kofler a partire da pagina 4.
Un argomento con cui sempre più persone devono fare i conti, soprattutto in questo periodo dell’anno, sono le allergie. Per la storia di copertina di questo numero, l’autrice Sabine Flarer ha parlato con diverse professioniste e professionisti dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige ed ha preso in esame le eziologie e gli effetti delle varie allergie. Da pagina 12 potete leggere tutte le informazioni raccolte.
Se siete interessati alla storia della medicina, non potete perdervi l’articolo del nostro autore ospite, il giornalista Hartmuth Staffler Staffler ha tenuto una conferenza in occasione del simposio “100 anni di Lorenz Böhler all’Ospedale di Bressanone”, organizzato dal Primario della Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Bressanone, Christian Schaller. Tema: Lorenz Böhler, fondatore della moderna chirurgia traumatologica ed il suo lavoro presso l’Ospedale di Bressanone dal 1924 al 1925. Potete trovare il suo intervento da pagina 14.
Per concludere dolcemente questo numero, c’è la ricetta della “Torta di mele di zia Maria”. Si trova a pagina 35.
Buona lettura! Il Vostro team della redazione di one
un anno da direttore generale – una conversazione con christian kofler
in memoria di lorenz böhler dagli albori della traumatologia ai giorni nostri
un inizio di vita difficile, con un happy end
ogni aggressione è di troppo
storia di copertina
semplicemente da far saltare i nervi!
personale
dirigenziale: chi sono i nuovi dirigenti e chi è andato in pensione?
sui pedali contro il cancro
08
09
inoltre, in questo numero:
organizzare
“L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque”
Lavorare insieme per una migliore comunicazione
aiutare e assistere
16
17
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21
22
24
Realtà virtuale contro la ludopatia
Un respiro per l’anima
informare
L’Amministrazione di Sostegno: formazione per il Personale sanitario
Intelligenza artificiale vs intelligenza umana
Assistenza e trattamento di persone con incongruenza di genere
“Clausura strategica” al Centro Convegni dell’Abbazia di Novacella
35
vivere Ricetta RecensiONE
il benessere delle pazienti e dei pazienti è al centro
Christian Kofler è da un anno
Direttore generale dell’Azienda
sanitaria dell’Alto Adige.
One gli ha chiesto come sono stati i primi dodici mesi nel nuovo ruolo, cosa lo ha sorpreso ed a quali obiettivi punta ancora.
peter a. seebacher
traduttore: francesco vendemia
Cosa l’ha spinta ad assumere questo compito di responsabilità un anno fa?
Ero consapevole che non sarebbe stato un compito facile, ma praticamente sono cresciuto in questa Azienda e penso che lavorare nell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige sia sicuramente una delle attività più significative che si possano esercitare. Si può lavorare per il bene della popolazione, per le persone che spesso si trovano in una situazione difficile. Assumersi la responsabilità in questo settore significa esserne consapevole, ma allo stesso tempo il ruolo del Direttore generale apre anche la possibilità di essere in grado di plasmare e agire nell’interesse di una buona assistenza sanitaria. Questo è un compito molto impegnativo, ma anche bello e appagante.
Dal 1998 Lei è dipendente dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. Ha costituito un vantaggio il fatto di conoscere molto bene l’Azienda?
Questo elemento ha rappresentato sicuramente un vantaggio, dato che ero attivo in diversi ruoli ed incarichi dirigenziali, nonché in diversi Comprensori. Questo mi ha permesso di fare molta esperienza e di conoscere molto bene l’Azienda. Un’Azienda sanitaria è molto complessa a causa dei compiti che deve svolgere e dell’ampia gamma di attività e quindi è un vantaggio, come Direttore generale, sapere come funziona la struttura aziendale.
FOTO:
PETER A. SEEBACHER
Tuttavia, credo di essere una persona che non ha solo una visione circoscritta alla propria Azienda, ma per la quale è sempre stato importante mantenere anche uno sguardo verso l’esterno.
Direttore generale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige: un lavoro da sogno per Lei?
È una soddisfazione quando, dopo le fatiche di una lunga giornata di lavoro, sai di essere stato in grado di aiutare gli altri con i tuoi sforzi. Se un lavoro da sogno significa perseguire un’attività che genera soddisfazione ed è percepito come significativo, allora devo rispondere affermativamente alla domanda.
Come descriverebbe il suo stile manageriale?
Cerco di praticare uno stile di leadership cooperativo, perché sono convinto che si possa ottenere di più insieme. Soprattutto se riesco a “coinvolgere” collaboratrici, collaboratori e dirigenti rendendoli partecipi del percorso decisionale, secondo i rispettivi ruoli. Questo è fondamentale se si vuole fare la differenza in un’organizzazione del genere. Tuttavia, ciò non significa non prendere decisioni chiare quando sono necessarie. Stabilire la direzione fa parte di un ruolo di dirigente, così come assumersene la responsabilità.
Cosa l’ha sorpresa di più nel suo primo anno come Direttore generale?
Nonostante i miei anni di esperienza lavorativa nell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, la complessità del compito mi ha un po’ sorpreso. Una vera sorpresa, però, è stata che dopo i tempi turbolenti degli ultimi anni – per vari motivi – le collaboratrici ed i collaboratori continuino a mostrare impegno e motivazione per garantire ogni giorno la migliore assistenza sanitaria possibile. Sono a conoscenza in prima persona del fatto che i punti deboli strutturali ed organizzativi dell’Azienda a volte rappresentino una vera sfida per le collaboratrici ed i collaboratori.
Il fatto che, nonostante queste difficoltà, tutte e tutti loro continuino a svolgere il proprio lavoro con grande motivazione e dedizione e cerchino di fare del loro meglio, mi ha davvero sorpreso.
Quali erano i suoi obiettivi quando è entrato in carica?
Uno degli obiettivi permane quello di attrezzare l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige per il futuro e per le prossime sfide, continuando a garantire l’alto livello di assistenza sanitaria di cui disponiamo, grazie alle collaboratrici e ai collaboratori nonché alle condizioni generali create dalla politica. Il mondo è in continua evoluzione e noi dobbiamo essere in grado di anticipare e prepararci a questi cambiamenti adottando delle misure appropriate. Già oggi, il 31 per cento della popolazione altoatesina soffre di una malattia cronica e il 76 per cento della spesa sanitaria viene utilizzata per essa. Questa situazione non migliorerà nel prossimo futuro a causa degli sviluppi demografici. Ecco perché è importante aumentare la consapevolezza della prevenzione tra la popolazione. Chi si prende cura di se stesso e rimane in salute e in forma per molto tempo, può alleviare il carico sul sistema sanitario, ma soprattutto assicura a se stesso una vita lunga e sana e quindi serena.
Un compito molto impegnativo, ma anche bello e appagante
Stabilire la direzione fa parte di un ruolo di dirigente
Un obiettivo è quindi quello di rendere la popolazione ancora più consapevole sul tema della prevenzione.
Dove vede le sfide più grandi e quale strategia vuole utilizzare per affrontarle?
Ebbene, l’argomento che ho appena citato è sicuramente una delle sfide più grandi. Un altro è la digitalizzazione, che in ultima analisi dovrebbe contribuire al benessere sia delle collaboratrice e dei collaboratori che della popolazione. In altre parole, la digitalizzazione deve essere un sollievo per tutte le parti e non un fardello.
Il ricovero in ospedale è un’altra sfida che dobbiamo superare.
Investire nell’assistenza territoriale è essenziale, perché la percentuale della popolazione che deve avvalersi di una prestazione sanitaria crescerà a causa degli sviluppi demografici.
Oggi, tuttavia, l’assistenza di prossimità può essere fornita anche tramite gli strumenti di telemedicina. Il contatto diretto tra paziente e medico è importante, indipendentemente dal fatto che avvenga online o di persona.
Come valuta la qualità dell’assistenza sanitaria in Alto Adige rispetto ad altre regioni?
L’assistenza sanitaria in Alto Adige può sicuramente competere con altre regioni d’Europa o addirittura del mondo, anche con quelle che sono in cima alla classifica. Soprattutto se si mette in relazione l’elevato standard dell’assistenza sanitaria in Alto Adige con le spese sostenute per essa e si tiene conto del fatto che l’Azienda sanitaria fornisce assistenza a tutto tondo per la popolazione. Infine, ma non meno importante, va sottolineato anche l’alto livello di competenza professionale sia in campo tecnico-assistenziale che medico. Le difficoltà che stiamo affrontando – carenza di lavoratori qualificati, tempi di attesa –si ritrovano anche in altre aziende sanitarie e regioni. Naturalmente, ci sono ancora punti deboli che devono essere eliminati, ad esempio nei processi, ma ci stiamo già lavorando.
I tempi di attesa sono sempre un problema…
Per quanto riguarda i tempi di attesa, dobbiamo lavorare di più sull’appropriatezza e, in termini organizzativi, sull’evitare esami doppi. Soprattutto, dobbiamo riuscire a sostenere con continuità i malati cronici e a creare un punto di riferimento fisso, in modo che le risorse che sono effettivamente necessarie altrove, non vengano assorbite a causa di problematiche derivanti da sovrapposizioni e di coordinamento interno.
Nell’area del pronto soccorso, è necessario che alle cittadine e ai cittadini che ne hanno bisogno venga offerto il giusto punto di riferimento. Sappiamo che l’80 per cento dei casi che arrivano al pronto soccorso non sono emergenze, ma d’altra parte sono anche dell’idea che nessuna cittadina e nessun cittadino si rechi al pronto soccorso di un ospedale solo per puro divertimento. Al contrario, queste persone si recano al pronto soccorso perché sussiste un problema di salute e per questo devono essere create preventivamente offerte adeguate.
Ha già parlato della digitalizzazione come una sfida: cosa accadrà dopo? Stiamo uniformando il sistema, il che è ovviamente un compito enorme, sia per la Ripartizione Informatica, che soprattutto per le/gli utenti. Sappiamo tutti che l’uso di un nuovo sistema, l’implementazione di una nuova tecnologia, è sempre uno sforzo per l’utenza. Chiunque sia mai passato da una marca di telefoni cellulari a un’altra o anche da Apple ad Android o Microsoft sa di cosa sto parlando. Pertanto, gli utenti devono essere accompagnati durante il passaggio in modo tale da percepire in ultima analisi il nuovo sistema come un vantaggio e non come un onere.
L’introduzione del Fascicolo Sanitario Elettronico – anche se non funziona ancora in modo ottimale – è un punto essenziale nel contesto della digitalizzazione. Il fatto che tutte le specialiste e tutti gli specialisti sanitari, che sono direttamente o indirettamente responsabili dell’assistenza del settore sanitario, abbiano accesso ai dati sanitari delle/dei loro pazienti rende il loro lavoro molto più semplice. Ma le cittadine e i cittadini hanno anche il vantaggio di poter visualizzare e recuperare i propri dati e referti sanitari in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. Non è più necessario stampare i referti. Quale ventenne oggi stampa ancora il biglietto aereo prenotato? Questagenerazione ha tutto sui propri dispositivi mobili e basta. Mettersi in gioco nella digitalizzazione significa, soprattutto per noi over 50, buttare a mare le vecchie abitudini e sfruttare le nuove opportunità. Tutti siamo chiamati a farlo.
Riguardo all’argomento della carenza di personale qualificato: qual è lo stato delle cose?
In questo settore ci troviamo di fronte alle stesse sfide del resto d’Europa. Inoltre, abbiamo bisogno di personale bilingue, perché una buona cura del paziente include anche la capacità di comunicare nella sua madrelingua.
Secondo la mia opinione, questa è una parte essenziale della comunicazione e della comprensione nel campo della medicina umana. Fondamentalmente, la necessità di lavoratori qualificati continuerà ad aumentare in futuro e, di conseguenza, coloro che lavorano nelle professioni sanitarie possono scegliere dove vogliono lavorare. Per questo è ancora più importante che noi, in qualità di Azienda sanitaria dell’Alto Adige, riusciamo ad essere un datore di lavoro attraente, anche per i giovani. Possiamo raggiungere questo obiettivo solo se siamo in grado di offrire posti di lavoro interessanti. Per fare questo, dobbiamo sfruttare le opportunità a nostra disposizione come operatori di sette ospedali e 24 distretti. È inoltre essenziale che le dirigenti e i dirigenti siano consapevoli dei bisogni, delle idee e dei desideri delle giovani generazioni e li tengano in considerazione, senza trascurare le necessità dell’Azienda, ovviamente.
Come si configura la collaborazione tra la Direzione e i Comprensori sanitari?
Direi che la cooperazione è fondamentalmente buona. Non da ultimo per il fatto che conosco alcune delle persone che compongono il Consiglio gestionale da quando ho iniziato a lavorare nell’Azienda sanitaria. La collaborazione è costruttiva ed è anche importante che funzioni bene. Naturalmente, di tanto in tanto ci sono problemi di coordinamento, sia tra Direzione e Comprensori sanitari, che tra un Comprensorio e l’altro. Ciò è dovuto anche alla struttura a matrice che abbiamo come Azienda sanitaria dell’Alto Adige. In linea di principio, credo che la cooperazione debba continuare ad essere ampliata, più che in passato. Tuttavia, questo vale non solo per i Comprensori sanitari e la Direzione, ma anche per le varie aree specialistiche. Questo è fondamentale per un’assistenza sanitaria di alta qualità, che vogliamo continuare ad offrire alla popolazione altoatesina anche in futuro.
Non da ultimo, proprio per essere e rimanere attraenti per le future ed i futuri giovani dipendenti. Al fine di garantire l’ulteriore sviluppo delle competenze delle nostre collaboratrici e dei nostri collaboratori, è essenziale che le discipline specialistiche collaborino più strettamente tra i Comprensori e gli Ospedali. Per me questo è un obiettivo prioritario da raggiungere. Come “Sarner” ho un certo debole per i campanili e credo che sia essenziale unire le campane di tutti campanili per ottenere un suono uniforme. Solo così avremo maggiori probabilità di essere ascoltati e riconosciuti.
Il bilancio preventivo dell’Azienda sanitaria per il 2025 ammonta a circa 1,8 miliardi. In occasione dell’approvazione, Lei ha affermato che l’attenzione è rivolta a una gestione sostenibile dei costi. Dove sarà necessario risparmiare?
I costi sono sempre un problema nel settore sanitario, anche perché gestiamo e utilizziamo il denaro delle/dei contribuenti. Soprattutto, è necessario tenere d’occhio i costi in modo che la Sanità pubblica ed il Sistema sanitario rimangano finanziariamente sostenibili. A mio parere, tuttavia, non si tratta tanto di risparmiare quanto di utilizzare correttamente le risorse disponibili. Vedo un potenziale di risparmio maggiore nel fatto che le risorse possono essere risparmiate con misure organizzative interne. Questi risparmi possono poi essere utilizzati in aree che attualmente non sono ancora “praticate” come sarebbe effettivamente necessario. Le attività burocratiche attualmente richiedono un notevole impegno. Naturalmente, una corretta documentazione è importante al giorno d’oggi. Infine, ma non per questo meno importante, la raccolta dei dati è essenziale per la gestione di un’azienda e per la garanzia della qualità. Tuttavia, in futuro lo sforzo burocratico per questo dovrà essere ridotto ed è qui che l’intelligenza artificiale potrà esserci utile.
Penna con un messaggio
In modo tale che le specialiste e gli specialisti possano nuovamente concentrarsi sui propri compiti. Come ho detto, la documentazione è importante, ma dobbiamo assicurarci di trovare nuove soluzioni.
Le aspettative verso il Direttore generale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige sono tradizionalmente alte a livello di popolazione, ma quali aspettative ha il Direttore generale nei confronti di dirigenti e collaboratrici/collaboratori?
Le aspettative verso il Direttore generale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige sono giustamente alte. Dopotutto, il suo lavoro ha un impatto su tutte le altoatesine e gli altoatesini. Le aspettative verso le mie collaboratrici, i miei collaboratori e le/i dirigenti sono identiche a quelle che ho nei confronti di me stesso. Voglio svolgere i miei compiti al meglio, secondo scienza e coscienza, e cerco sempre di prendere in considerazione il quadro generale e, quando devono essere prese decisioni, di prenderle con una visione a 360 gradi. Perché ogni decisione e ogni azione ha un impatto sugli altri, di questo bisognerebbe esserne consapevoli. Il personale dirigente e le/i responsabili dovrebbero sempre porgere un orecchio attento verso le collaboratrici e i collaboratori ed essere sempre un punto di riferimento, un modello e un faro per loro.
→ “Voglio svolgere i miei compiti al meglio, secondo scienza e coscienza, e cerco sempre di prendere in considerazione il quadro generale”.
Mi aspetto che collaboratrici e collaboratori restino desiderosi di conoscenza ed apprendimento, che ragionino con la propria testa e siano consapevoli che tutte e tutti sono importanti e possono fare qualcosa per l’Azienda. In breve: in un’organizzazione come l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, c’è bisogno di tutti – dal portiere al personale addetto alle pulizie, dal personale amministrativo a quello tecnico-assistenziale ed ai medici – perché tutto funzioni e i propri compiti vengano eseguiti. Una persona da sola non è in grado di farla progredire, nemmeno se è il Direttore generale.
In definitiva, si tratta del fatto che le mie azioni e quelle di noi tutte e tutti devono essere compiute a vantaggio di una buona assistenza sanitaria e a beneficio delle pazienti e dei pazienti. Noi, in qualità di Azienda sanitaria, dobbiamo posizionarci al fianco delle pazienti e dei pazienti ed il loro benessere deve essere sempre al centro dei nostri sforzi.
FOTO: PETER A. SEEBACHER
l’ingiustizia
che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque” “
Questa citazione è attribuita a Martin Luther King e riassume perfettamente il messaggio del progetto “Equity”, in italiano “pari opportunità”, che fa parte del Piano di Prevenzione 2021-2025. Se non tutte le persone possono accedere ugualmente a servizi sanitari mirati, questi devono essere ripensati. Ecco cosa dicono gli esperti.
sabine flarer
traduttrice: tatiana de bonis
Francesca Lubian, Primaria della Geriatria dell’Ospedale di Bolzano
La Veterinaria Piera Ceschi è stata delegata da Dagmar Regele, Direttrice del Dipartimento, per il progetto “Equity”. Piera Ceschi è ben consapevole delle differenze tra le singole aree: “Nell’ottica delle pari opportunità, per le persone a rischio creiamo la possibilità di sperimentare un migliore stato di salute attraverso iniziative mirate. Questo progetto prevede una strategia di prevenzione che si concentra sulla salute e sulla qualità della vita delle persone, non sulle loro malattie. Lo stile di vita e il contesto in cui si nasce, si cresce, si vive, si lavora e si invecchia giocano un ruolo fondamentale in questo senso”.
Sulla base dei dati epidemiologici vengono intraprese varie azioni, attualmente sono undici le iniziative avviate. Queste includono la scuola, il mondo del lavoro, le dipendenze, la resistenza agli antibiotici, ma anche l’invecchiamento attivo e gli screening.
Francesca Lubian, Primaria della Geriatria dell’Ospedale di Bolzano, spiega il ruolo del geriatra in questo contesto: “Insieme al Direttore della Medicina dello Sport Stefan Resnyak, sono responsabile del progetto dal 2020. L’obiettivo principale è quello di prevenire i fattori di rischio per la popolazione fragile over 65 su tutto il territorio provinciale. Sono state individuate le aree particolarmente interessate da questo fenomeno e, alla fine, l’attenzione si è concentrata su due aspetti: l’isolamento sociale e l’inattività fisica. Su questa base è stato necessario mettere in atto una strategia di prevenzione mirata”.
Le ultime rilevazione eseguite nel contesto di “Passi d’Argento”, un’iniziativa portata avanti in collaborazione con l’Osservatorio Salute dell’Alto Adige, mostrano che le persone con una salute fragile sono più a rischio nelle aree urbane. Un altro aspetto interessante è che, di solito, le coppie sono socialmente più isolate rispetto alle/ai single.
“Da queste osservazioni è nata l’idea di coinvolgere le persone con una condizione di pre-fragilità, soprattutto nelle città, collaborando con associazioni, comuni e assessorati. L’obiettivo principale è coinvolgere le coppie che tendono a isolarsi”, afferma Francesca Lubian.
“Tuttavia, anche la figura del geriatra è sempre più richiesta per dare consigli ai più giovani su uno stile di vita sano o sui fattori di rischio in età avanzata, oltre a fare da tramite tra le singole professioni sanitarie”. La missione del geriatra è quella di mantenere l’autonomia personale e sociale il più a lungo possibile, in modo da garantire una buona qualità di vita durante l’anzianità. Questo è il cosiddetto concetto di ‘successful aging’, vale a dire invecchiare bene per rimanere attivi e in buona salute”.
Piera Ceschi, Veterinaria
lavorare insieme per una migliore comunicazione
In Alto Adige, terra multilingue, il supporto linguistico svolge un ruolo centrale nel settore sanitario.
katrin tartarotti
traduttrice: tatiana de bonis
Il supporto a livello linguistico è fondamentale per assicurare una comunicazione chiara ed efficace tra personale sanitario e pazienti. Per questo motivo, la Ripartizione per lo Sviluppo del Personale ha istituito il team “Languages”, un gruppo di lavoro che ha il compito di coordinare iniziative mirate a rafforzare il bilinguismo tra le collaboratrici e i collaboratori. Queste misure sono destinate a coloro che non hanno ancora raggiunto il livello di competenza linguistica richiesto per svolgere al meglio il proprio lavoro. Il programma prevede una serie di misure per consentire alle operatrici e agli operatori sanitari di sviluppare le proprie competenze linguistiche in modo mirato e orientato alla pratica. A questo proposito sono previsti:
• corsi di lingua interni con vocabolario specifico per il settore sanitario
• corsi di lingua esterni con rimborso e riconoscimento delle ore
• soggiorni linguistici in Italia e all’estero per un’immersione linguistica intensiva
• esami di lingua per ottenere la certificazione di livello B2 e C1
• consulenza sull’apprendimento delle lingue per una pianificazione individuale ed efficace
• tirocini linguistici come opportunità pratica per utilizzare la seconda lingua
I corsi di lingua organizzati internamente offrono alle operatrici e agli operatori sanitari, che non hanno ancora le necessarie competenze linguistiche per svolgere il proprio lavoro, l’opportunità strutturata per acquisire tali competenze grazie alle seguenti iniziative:
• partecipazione gratuita ai corsi di lingua e utilizzo del materiale didattico
• riconoscimento delle ore di lavoro: le ore dedicate al corso sono riconosciute come orario di lavoro
• orientamento alla pratica grazie a un vocabolario mirato e adattato al lavoro nel settore sanitario
• metodi di apprendimento strutturati e basati sul Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue
Il programma comprende corsi base (A1) per principianti e corsi avanzati (da A2 a C1) per studentesse e studenti più esperti. Corsi base (A1) prima dell’assunzione: sono corsi di lingua intensivi per collaboratrici e collaboratori senza conoscenze pregresse, che in un mese gettano le basi della lingua. Disponibili mensilmente sia online che in presenza a Bolzano.
• Corsi avanzati (da A2 a C1): sono corsi intensivi per studentesse e studenti avanzati, offerti ogni tre mesi online e, se necessario, in presenza a Bolzano. Comprendono due incontri settimanali di due ore ciascuno e hanno una durata complessiva di sei mesi.
Una volta conclusi i corsi di lingua interni, l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige organizza esami di lingua per i livelli B2 e C1. Se la/ il partecipante supera l’esame, ottiene una certificazione ufficiale che attesta la qualifica linguistica ottenuta.
In alternativa, le collaboratrici e i collaboratori, hanno preso parte a corsi di lingua esterni. L’Azienda sanitaria dell’Alto Adige continua a offrire il rimborso delle spese per tali corsi e il riconoscimento delle ore di corso come orario di lavoro.
Un altro modo per promuovere le competenze linguistiche è quello di partecipare a soggiorni linguistici in Italia e all'estero. Le collaboratrici e i collaboratori possono partecipare a corsi di lingua, l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige copre parte dei costi, nonché il vitto e l'alloggio, mentre la permanenza è riconosciuta come orario di lavoro.
E per le collaboratrici e i collaboratori che desiderano un supporto linguistico individuale, l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige offre una consulenza linguistica completa.
Pratica della lingua in tandem
Un altro programma interessante è il volontariato linguistico. Questo programma offre alle collaboratrici e ai collaboratori l’opportunità di migliorare le proprie competenze linguistiche in un ambiente rilassato e accogliente. Il programma di volontariato linguistico mette in contatto coloro che desiderano apprendere una lingua con persone che “donano” la propria madrelingua. Questi incontri si svolgono settimanalmente e offrono l’opportunità di utilizzare le competenze linguistiche in modo pratico. Il progetto si svolge a febbraio e ottobre e le candidature possono essere presentate entro il mese precedente.
Risultati raggiunti nel 2024
Nel 2024 sono stati organizzati 62 corsi di lingua interni, di cui 18 corsi intensivi A1 e 44 corsi estensivi A2-C1. Per i corsi sono stati messi a disposizione circa 450 posti. Tra le/i dipendenti assunti nel 2024 senza attestato di bilinguismo, almeno l’80% ha frequentato uno di questi corsi. Circa 125 di loro hanno completato un corso intensivo A1 interno.
Chi lo desidera, può inviare un feedback tramite il seguente modulo:
La primavera è arrivata, e la natura si risveglia tra germogli e fioriture... una gioia per molti, ma un incubo per chi soffre di allergie e vorrebbe che questa stagione finisse il prima possibile. Ma non sono solo i pollini a creare disagi a grandi e piccini. Esistono anche le allergie e le intolleranze alimentari, così come quelle che scatenano problemi cutanei. Ci siamo chiesti: cosa significa essere allergici oggi?
semplicemente da far saltare i nervi!
sabine flarer, traduttrice: tatiana de bonis
Klaus Eisendle, Primario di Dermatologia all’Ospedale di Bolzano
Klaus Eisendle, Primario di Dermatologia all’Ospedale di Bolzano: “L’allergia più comune è sicuramente la rinocongiuntivite allergica, conosciuta colloquialmente come febbre da fieno o, nel caso specifico, allergia ai pollini. I più comuni fattori scatenanti dell’allergia sono dunque i pollini, seguiti da animali domestici, acari, muffe e lattice. Nel caso delle allergie ai pollini, le graminacee sono tra le principali responsabili e subito dopo vi sono i pollini degli alberi, in particolare quello della betulla che presenta cross-reattività con nocciolo e ontano.
Anche i pollini delle erbe e dell’olivo (cross-reattività con il frassino) possono causare reazioni allergiche. Per quanto riguarda gli animali, le allergie al pelo di gatto sono di gran lunga le più diffuse, ma anche quelle a cani, cavalli, mucche e piccoli animali come i porcellini d’India possono causare allergie. Oltre alla rinocongiuntivite allergica, esistono anche altre allergie come quelle ai farmaci, agli alimenti e al veleno di insetti (api, vespe) o quelle da contatto (ad es. al nichel)”.
Secondo Eisendle, a differenza di quanto accade ai nostri vicini del nord, in Alto Adige si riscontrano anche allergie all’olivo, una pianta che oltre il Brennero è praticamente assente. Nel sud Italia sono invece assenti le allergie al polline di betulla, poiché si tratta di alberi non diffusi nelle regioni più calde.
Le allergie si manifestano più frequentemente nella fascia di età compresa tra i 30 e i 50 anni, ma possono colpire anche gli ultraottantenni e i bambini, spiega il Primario. Per quanto riguarda le terapie sintomatiche, sono disponibili antistaminici e preparati a base di cortisone sotto forma di spray, colliri o compresse. La rinocongiuntivite allergica (febbre da fieno, allergia agli acari, allergia al pelo degli animali) e l’allergia al veleno degli insetti, in molti casi, possono essere curate grazie a terapie di desensibilizzazione. Il vantaggio di questo tipo di terapie è che curano l’allergia e prevengono lo sviluppo di nuove allergie. Lo svantaggio è che si tratta di terapie che richiedono da tre a cinque anni per essere efficaci e quindi sono relativamente lunghe e costose. “La terapia può essere assunta sotto forma di iniezione o di compressa. Recentemente sono state sviluppate sempre più terapie orali, che hanno meno effetti collaterali e possono essere assunte a casa, mentre le iniezioni purtroppo devono essere somministrate sotto controllo medico”, spiega Eisendle. “Siamo anche riusciti a dimostrare che l’allergia al polline di betulla e la relativa allergia crociata alle mele, alle pomacee e alle drupacee possono essere curate mangiando mele ogni giorno”. La terapia di desensibilizzazione con le mele funziona bene quanto quella con le compresse contro il polline di betulla – un rapporto su questo è disponibile su Arte e ZDF (“Kampf gegen Allergien – Hilfe für das Abwehrsystem”– ZDFmediathek)”.
molto utile a questo proposito…
è l’attuale servizio di informazione sui pollini della Provincia di Bolzano (https://ambiente.provincia.bz.it/it/ aria/servizio-informazione-pollinica), che pubblica rapporti settimanali sulla presenza di pollini nell’aria. Su richiesta, il rapporto può essere inviato direttamente al proprio indirizzo e-mail. Naturalmente non si può passare tutto il giorno rintanati in casa se fuori si scatena una “tempesta” di pollini, ma forse è possibile programmare con più attenzione le attività all’aperto. Soprattutto nelle giornate calde, soleggiate, asciutte e leggermente ventose, ai soggetti allergici si consiglia di chiudere le finestre. Per superare al meglio questi momenti, si consiglia anche di non far asciugare il bucato all’aria aperta e di chiudere i finestrini delle auto quando si guida. Se è possibile, è consigliabile concedersi una pausa al mare o in montagna, poiché la brezza che soffia dal mare verso la terraferma durante il giorno è difficilmente inquinata da pollini e la produzione di pollini è solitamente più bassa ad altitudini più elevate.
fonte: agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima
che ruolo ha l’alimentazione nelle allergie?
Michael Kob, Primario del Servizio di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale di Bolzano, spiega che anche la preparazione è importante: “Il trattamento termico degli alimenti (ad esempio la cottura) può distruggere le componenti allergizzanti dei cibi, rendendoli più tollerabili (ad esempio le carote cotte o la composta di mele).
Inoltre, alcune varietà di frutta o verdura antiche contengono meno proteine allergeniche. Un esempio sono le mele Boskoop”.
Si sente sempre più spesso parlare di neurodermite, eczema cutaneo o altre malattie della pelle, nonché di allergie/intolleranze a determinati alimenti. Che ruolo ha la dieta in questo caso?
Alcuni alimenti possono scatenare o esacerbare i sintomi nelle persone affette da dermatite atopica, soprattutto se vi è un’allergia o un’intolleranza alimentare. I fattori scatenanti più comuni sono i latticini, le uova, le noci e il pesce. Tali fattori scatenanti individuali dovrebbero quindi essere identificati (ad esempio tenendo un diario alimentare) ed evitati.
Oggi, in certi ambienti, è “di moda” seguire una dieta senza glutine o senza lattosio, quali vantaggi e svantaggi vede per le persone che non soffrono di una “vera” intolleranza? I genitori, ad esempio, corrono un rischio se alimentano i loro figli con una dieta priva glutine o lattosio come misura preventiva?
Evitare il glutine o il lattosio non ha alcun senso, a meno che non ci siano allergie o intolleranze specifiche. I prodotti sostitutivi senza glutine, in particolare, sono spesso meno salutari degli alimenti “originali” (ad es. il pane), in quanto sono solitamente più ricchi di grassi e contengono numerosi additivi (addensanti, ecc.). Una dieta priva di lattosio dovrebbe sicuramente includere più alimenti ricchi di calcio, poiché il latte e i latticini sono un’importante fonte di calcio in Europa. Un’alternativa può essere rappresentata da latte e latticini senza lattosio o da bevande vegetali arricchite di calcio.
Parola chiave vegetariano/vegano (anche durante l’infanzia)?
Le diete vegetariane o vegane possono essere sane ed equilibrate a qualsiasi età, compresa l’infanzia, purché siano attentamente pianificate per fornire tutti i nutrienti necessari. Una dieta puramente vegetale è ricca di antiossidanti, sostanze fitochimiche e fibre, che possono avere un effetto antinfiammatorio e influenzare positivamente il sistema immunitario. Alcuni studi suggeriscono che i bambini che seguono una dieta prevalentemente vegetale possono avere un rischio minore di sviluppare malattie allergiche come asma, dermatite atopica e rinite allergica.
La nostra alimentazione oggi è ancora sana, considerando la qualità degli ingredienti, l’impoverimento dei terreni e la presenza di residui chimici, o era migliore in passato?
Sembra effettivamente che l’impoverimento dei terreni nell’agricoltura moderna, a causa delle monocolture e dell’uso intensivo di fertilizzanti, abbia portato a una riduzione di alcuni nutrienti (ad esempio magnesio e zinco) in frutta, verdura e cereali. D’altra parte, però, l’uso di sostanze chimiche di sintesi nell’agricoltura è regolamentato in modo più restrittivo rispetto al passato. Se questi cambiamenti possano avere effetti negativi sulla nostra salute non è ancora stato chiaramente dimostrato
È vero che le allergie sono generalmente aumentate e quale pensa sia il motivo?
Le allergie sono aumentate in modo significativo negli ultimi decenni, soprattutto nei Paesi industrializzati. Le ragioni sono varie e complesse; il minor contatto con i microbi dovuto all’aumento degli standard igienici sembra avere un ruolo, così come l’uso frequente di antibiotici e disinfettanti. L’aumento dell’inquinamento atmosferico causato dal particolato e dai gas di scarico irrita le vie respiratorie e aumenta la sensibilità agli allergeni. Anche il cambiamento climatico gioca un ruolo importante, con temperature più elevate e stagioni di crescita più lunghe che portano a un carico di pollini più alto e duraturo, aumentando il rischio di raffreddore da fieno.
FOTO: PRIVATA primar michael kob primario
Chi è a rischio di sviluppare un’allergia?
In linea di principio, chiunque, a qualsiasi età, può sviluppare un’allergia. Tuttavia, esistono notevoli differenze in termini di rischio: i fattori ereditari svolgono un ruolo significativo, ma anche le componenti ambientali e quelle legate allo stile di vita sono importanti. Ad esempio, il momento dell’introduzione degli alimenti nell’infanzia sembra avere grande importanza nel rischio di allergia. È sempre più evidente che l’introduzione precoce di alcuni alimenti (tra i 4 e i 6 mesi) possa ridurre il rischio di allergie alimentari, mentre l’introduzione tardiva lo aumenti. Questo è particolarmente vero per gli alimenti potenzialmente allergenici come le arachidi, le uova e il latte.
In quale settore scientifico vede il maggior potenziale per il progresso medico?
Attualmente si stanno studiando diversi approcci per migliorare la prevenzione e il trattamento delle allergie. In particolare, le immunoterapie e i farmaci biologici sembrano essere efficaci per alcune malattie. Anche le vaccinazioni, che vengono somministrate per prevenire le allergie, sembrano essere promettenti. Altre potenziali possibilità sono il miglioramento della diagnosi precoce delle allergie, la modifica mirata del microbiota intestinale con l’uso di probiotici specifici o la coltivazione di alimenti a basso contenuto di allergeni.
allergie nell’infanzia
Ma anche i più piccoli non vengono risparmiati da allergie e intolleranze: secondo la specialista in pediatria Lucia Willeit dell’équipe guidata dalla Primaria Walburga Cassar dell’Ospedale di Brunico, la rinocongiuntivite è la malattia allergica più comune anche nei bambini. Mentre gli starnuti e gli occhi che lacrimano sono ancora sintomi lievi, l’asma o le allergie alimentari più tardive possono portare a problemi più gravi e compromettere significativamente la qualità della vita.
“Tendiamo a vedere le allergie alimentari nei neonati e le allergie agli animali domestici, agli acari della polvere o ai pollini nei bambini più piccoli e nei bambini della scuola primaria. Gli adolescenti hanno maggiori probabilità di soffrire di allergie ai pollini, ma le allergie spesso cambiano nel corso dell’infanzia e possono anche regredire in età adulta. Questo vale in particolare per la dermatite atopica e per le forme di allergia alimentare ad esordio precoce”, spiega Willeit. Tuttavia, i bimbi in età scolare con un’allergia ai pollini hanno un rischio maggiore di sviluppare successivamente l’asma.
Oltre ai farmaci o all’immunoterapia specifica – il tasso di successo in questo caso è del 70/80% secondo Lucia Willeit –il cosiddetto “evitamento degli allergeni”, cioè evitare i fattori scatenanti dell’allergia, è considerata la migliore forma di trattamento. Ciò include, ad esempio, speciali coperture per materassi o diete speciali per chi soffre di allergie alimentari
Secondo la specialista, negli ultimi decenni le malattie allergiche si sono diffuse come un’epidemia: “Sono particolarmente diffuse nella popolazione europea più giovane, con una percentuale superiore al 30%”. In questo caso, i fattori ambientali avrebbero un ruolo importante, anche se il clima di alta montagna, con i suoi fattori stimolanti come la temperatura, il vento, la radiazione solare e la pressione atmosferica, di solito ha un’influenza positiva sull’organismo.
Tuttavia, un’eccessiva solitudine può effettivamente danneggiare i bambini: “È stato riscontrato che i bambini che crescono in un ambiente agricolo hanno un rischio di asma dell’1%, rispetto al 12% di quelli che vivono in città.
Secondo studi recenti, il motivo è una proteina secreta dalle mucche”, afferma Willeit. Le prime terapie promettenti sono ora disponibili in Austria: i bambini assumono pastiglie contenenti questo principio attivo. In generale, è vero che l’eccessiva pulizia è dannosa: “la diversità microbica, cioè lo sporco, protegge”, questo il pensiero anche del Primario Eisendle.
Come misura preventiva, la pediatra raccomanda, tra l’altro, l’allattamento al seno e l’astensione dal fumo, e l’ambiente interno dovrebbe essere privo di muffa. Se i neonati e i bambini hanno la pelle visibilmente secca, devono essere idratati regolarmente. Soprattutto nel caso di malattie della pelle, è importante prestare attenzione ai fattori scatenanti come alcuni tessuti (es. lana), ma anche allergie alimentari o fattori climatici (freddo estremo e/o secchezza, elevata umidità).
E il Primario Klaus Eisendle aggiunge: “Si raccomanda una dieta complementare a partire dal quarto mese di vita; si presume che la mela grattugiata aiuti in particolare contro l’allergia al polline di betulla”.
Anche gli adulti affetti da malattie gravi, come le diagnosi di tumore, spesso sviluppano allergie, come conferma Giuseppe Cristina, responsabile del Servizio di Medicina Complementare dell’Ospedale di Merano: “A volte, in pazienti affetti da tumore, si verificano reazioni allergiche durante la chemioterapia o la radioterapia. L’allergia spesso colpisce anche la pelle, che può cambiare a causa dei farmaci. In questo caso possiamo solitamente ottenere buoni risultati con l’agopuntura e molto spesso alleviare i sintomi”.
Infine, uno sguardo al futuro: Klaus Eisendle e il suo collega Michael Kob citano la ricerca sul microbioma e sulla diversità microbica come argomenti particolarmente interessanti: “Nel caso di allergie, neurodermiti e altre malattie, la ricerca sul microbioma produrrà sicuramente presto nuovi approcci preventivi efficaci e approcci terapeutici in termini di pre- e probiotici”.
l’aggressivo polline dell’ambrosia
A causa dell’aumento delle temperature, anche le piante non autoctone si stanno diffondendo sempre di più in Alto Adige. Con grande dispiacere di chi soffre di allergie! L’esempio più noto è quello dell’ambrosia, che in realtà è originaria del Nord America. Cresce spesso ai bordi delle strade o nei giardini e, secondo gli studiosi del clima, è considerata particolarmente aggressiva. Anche piccole quantità di polline possono scatenare reazioni allergiche. Queste includono raffreddore da fieno, lacrimazione e asma. In alcune persone, il contatto diretto della pelle con la pianta può anche provocare un’eruzione cutanea. È anche la pianta che causa il prolungamento della sofferenza di molti allergici ai pollini fino all’autunno. L’ambrosia fiorisce principalmente alla fine dell’estate e può crescere fino a 150 centimetri di altezza.
in memoria di lorenz böhler
Dagli albori della traumatologia ai giorni nostri – Simposio all’Ospedale di Bressanone.
hartmuth staffler
traduttrice: tatiana de bonis
Dalla nascita della traumatologia alle più recenti innovazioni come, ad esempio, l’utilizzo della stampa 3D per la produzione di protesi personalizzate o l’intelligenza artificiale applicata alla chirurgia: questi alcuni dei temi affrontati durante il simposio in memoria di Lorenz Böhler, che nel novembre 2024 si è svolto presso l’Ospedale di Bressanone.
Lorenz Böhler, fondatore della moderna chirurgia traumatologica, fu Primario di Chirurgia a Bressanone dal 1° maggio 1924 al 1° giugno 1925, prima di fondare l’Ospedale traumatologico della Webergasse a Vienna, dove ottenne fama internazionale. L’anniversario dei 100 anni dal suo primariato è stato l’occasione per un simposio che ha riunito esperte ed esperti di tutta Europa. L’evento è stato organizzato dai Primari Christian Schaller (Bressanone) e Michael Engl (Vipiteno), con il prezioso contributo del Primario emerito, ora in pensione, Franz Erschbaumer.
Sala operatoria dell’Ospedale di Bressanone ai tempi del Primario Lorenz Böhler
Come introduzione, il Presidente dell’Associazione Storica di Bressanone, Hartmuth Staffler, ha ricordato che il periodo di Böhler a Bressanone, durato 13 mesi, rappresentò un momento di eccellenza chirurgica per l’ospedale, che ancora oggi continua la sua tradizione. Dopo decenni di stagnazione, il nuovo ospedale, voluto dal sindaco progressista Otto von Guggenberg, venne inaugurato nel 1914. Guggenberg, lui stesso medico, aveva compreso la necessità di una struttura moderna, poiché nel vecchio “Bürgerspital” mancava una sala operatoria e le operazioni minori venivano eseguite in presenza di altri pazienti. Per gli interventi più complessi, invece, era necessario trasferire i pazienti a Innsbruck o Bolzano, con esiti spesso fatali poiché dovevano viaggiare in treno.
Il nuovo ospedale, dotato di due sale operatorie con le più moderne tecnologie dell’epoca, segnò una svolta per la chirurgia locale. Anton Sigmund, Primario del reparto di Chirurgia a partire dal 1914 e formatosi a Salisburgo sotto la guida del Prof. Ernst von Karajan (padre del celebre direttore d’orchestra Herbert von Karajan), trasformò l’ospedale di Bressanone in un centro di eccellenza per quanto riguardava la laparotomia, in particolare l’appendicectomia, ottenendo uno dei tassi di mortalità più bassi d’Europa per questo tipo di intervento. Nel 1924, però, il dott. Sigmund dovette lasciare Bressanone poiché, essendo originario del Vorarlberg, non era ben visto dal regime fascista.
Anton Sigmund Lorenz Böhler, che durante la Prima Guerra Mondiale aveva trasformato l’ospedale di riserva per feriti leggeri, ubicato nell’ex convento dei frati Domenicani di Bolzano, in una clinica specializzata per le lesioni ossee e articolari, divenne il nuovo Primario di Bressanone.
In Italia, la radiografia più moderna per l’epoca, si trovava all’Ospedale di Bressanone
Primario Christian Schaller
A Bressanone, Böhler trovò le condizioni ideali per operare ai massimi livelli e sviluppare ulteriormente le sue tecniche chirurgiche, in attesa che l’Istituto di Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro di Vienna creasse per lui il primo ospedale per pazienti infortunati. Le statistiche di Böhler erano convincenti: con il giusto trattamento, il periodo di riabilitazione dopo gravi lesioni traumatologiche poteva essere abbreviato e le conseguenze permanenti ridotte.
A Lorenz Böhler successe, come Primario di Chirurgia, il triestino Juri (Georg) Pototschnig, che continuò a mantenere l’elevato standard del reparto chirurgico di Bressanone. Vale la pena ricordare che nel 1928, durante un’assenza di Georg Pototschnig per malattia, la moglie, il cui nome purtroppo non è sopravvissuto, per un intero mese eseguì gli interventi chirurgici presso l’Ospedale di Bressanone al posto del marito. Alla fine del 1928, il regime fascista decise di trasformare l’Ospedale di Bressanone in un sanatorio per la cura delle malattie polmonari. Di conseguenza, Pototschnig lasciò la città, poiché nel nuovo ospedale, allestito in modo precario come un ospedale militare di emergenza, non era più possibile eseguire interventi di alto livello. Tuttavia, Pototschnig portò con sé a Vicenza, sua nuova sede di lavoro, due infermiere chirurgiche che erano state adeguatamente formate dal Primario Sigmund e dal Primario Böhler, con l’intento di far conoscere la moderna tecnica chirurgica brissinese. Nel 1928 si concluse così, almeno per quel momento, il glorioso periodo della chirurgia all’ospedale di Bressanone.
Non fu facile, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale ripresero nuovamente le operazioni chirurgiche.
Al Simposio di Bressanone era presente anche il Prof. Nikolaus Böhler, nipote di Lorenz Böhler, il quale ha tenuto un discorso sulla “gestione perioperatoria”. Nel suo intervento, ha ricordato i legami familiari del nonno con l’Alto Adige e le circostanze avventurose in cui, durante la Prima Guerra Mondiale, nottetempo prelevava pazienti gravemente feriti dai treni-ospedale presso la stazione di Bolzano per poterli curare. In questo modo, non solo salvò gli arti e spesso la vita di numerosi soldati, ma gettò anche le basi per un’efficace chirurgia traumatologica, grazie alle meticolose annotazioni delle misure terapeutiche che applicava.
Il Prof. Nikolaus Böhler si affida alle statistiche anche quando si tratta di “gestione perioperatoria”, cioè di tutte le misure necessarie o utili nel contesto di un’operazione. In modo chiaro e inequivocabile, con l’ausilio di cifre, egli ha dimostrato quanto la riduzione dell’obesità, l’interruzione del fumo (ridurre il fumo non aiuta!), la riduzione del consumo di alcol e una dieta adeguata ricca di proteine con un sufficiente apporto di vitamina D riducano il rischio di intervento chirurgico. Ciò significa che le pazienti e i pazienti devono essere informati per tempo e responsabilizzati.
Gli altri relatori hanno affrontato ulteriori argomenti specialistici. Rohit Arora della Clinica universitario di Innsbruck ha illustrato le nuove scoperte nel trattamento delle fratture radiali grazie a immagini impressionanti, dimostrando anche che l’abituale manipolazione per sistemare una frattura non è assolutamente necessaria. Una trazione con i noti “ganci di trazione” si è rivelata, nella maggior parte dei casi, sufficiente per ottenere un esito terapeutico favorevole.
Molto interessante è stata anche la presentazione del dott. Fabrizio Cont (Tione), che ha utilizzato una complicata frattura dell’articolazione della spalla per dimostrare che anche la moderna risonanza magnetica non è sempre sufficiente per la diagnosi, ma che la
buona vecchia radiografia può talvolta fornire maggiori informazioni. Tuttavia, la sua risposta terapeutica al problema è stata estremamente moderna grazie alla creazione di un modello della spalla fratturata con una stampante 3D. Per farlo ha utilizzato la tomografia computerizzata. Il dott. Cont ha anche prodotto un impianto in titanio che si adattava perfettamente al caso.
Nel suo contributo intitolato “Gait analysis in robotic knee surgery”, Pier F. Indelli (Bressanone/Stanford) ha sottolineato che le differenze di genere non devono essere trascurate nemmeno nel campo delle protesi al ginocchio. Anche nella stessa persona, le estremità non sono simmetriche e le differenze tra uomini e donne sono ancora maggiori. Ha spiegato che i problemi delle protesi al ginocchio, che non sono ancora stati risolti in modo soddisfacente, si basano proprio su questo. Saranno necessarie molte altre ricerche nel settore dell’analisi dell’andatura.
Michael Engl ha concluso la serie di interessanti presentazioni focalizzando il discorso sulle prospettive che potrebbe avere l’integrazione dell’intelligenza artificiale in chirurgia. Tra le altre cose, ha sottolineato che l’interpretazione delle immagini radiografiche, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento delle fratture, sarebbe notevolmente migliorata dall’intelligenza artificiale. Una delle caratteristiche distintive dell’IA è la sua capacità di apprendere. Ciò significa, ad esempio, che un robot che ha assistito a un numero sufficiente di interventi imparerà progressivamente a eseguire una sutura chirurgica. Il futuro sta andando verso questa direzione, ma anche in questo campo è richiesto un notevole impegno in termini di sviluppo.
Specialista Pier Francesco Indelli
Primario Michael Engl
realtà virtuale contro la ludopatia
La realtà virtuale (Virtual Reality o VR in inglese) ha trovato da tempo il suo posto non solo nell’industria dell’intrattenimento, ma si sta rivelando un’innovazione pionieristica anche nella psicoterapia. In particolare, nel trattamento della dipendenza dal gioco d’azzardo, questa tecnologia offre letteralmente nuove prospettive.
Presso il centro terapeutico di Bad Bachgart, la terapia VR viene già utilizzata con successo per trattare una delle dipendenze più difficili: la ludopatia. Secondo Martin Fronthaler, responsabile del centro, la tecnologia VR consente ai pazienti dipendenti dal gioco d’azzardo di affrontare i loro modelli di dipendenza in un ambiente realistico come quello di una sala scommesse. Con l’aiuto di occhiali speciali, vengono trasportati in questo mondo virtuale, dove imparano a gestire gli stimoli che li scatenano sotto la guida di un terapeuta. “I pazienti si esercitano a gestire le proprie emozioni e la dipendenza, il tutto in un ambiente sicuro e terapeutico”, spiega Fronthaler.
Scientificamente provato:
La terapia VR è efficace L’efficacia della terapia VR è stata confermata da numerosi studi. Il metodo si è rivelato estremamente utile, in particolare nel trattamento della dipendenza da gioco d’azzardo e nella gestione del craving (desiderio compulsivo). La tecnica immersiva consente ai pazienti di familiarizzare gradualmente con situazioni stressanti in un ambiente protetto. Viene utilizzato il cosiddetto “principio di assuefazione”: Il confronto ripetuto con gli stimoli scatenanti porta alla familiarizzazione e rafforza la resilienza delle persone colpite. “Per preparare i pazienti in modo ottimale, è importante che abbiano la possibilità di sperimentare regolarmente e fare esperienza di questi scenari”, sottolinea Fronthaler. Questo crea un effetto formativo a lungo termine che li prepara ad affrontare una situazione a rischio nella vita reale.
Possibili utilizzi oltre la ludopatia
Il potenziale della terapia VR non si limita al trattamento della dipendenza dal gioco d’azzardo. Viene utilizzata con successo anche per trattare disturbi d’ansia e di panico, fobie e sentimenti di insicurezza. Quanto più precisamente gli scenari virtuali sono adattati alle esigenze individuali del paziente, tanto maggiore è il successo della terapia. Per ottenere i migliori risultati possibili, il centro terapeutico di Bad Bachgart collabora a stretto giro con Peter Daldos e la sua azienda Spherea3D. Insieme, producono sequenze di filmati 3D di alta qualità, appositamente adattati alle esigenze dei pazienti e agli obiettivi della terapia. “Siamo stati in grado di svolgere un ruolo attivo nella progettazione dei video, garantendo così che il contenuto sia perfettamente adattato alle sfide specifiche dei nostri pazienti”, spiega Fronthaler.
La terapia VR dimostra in modo impressionante come la tecnologia moderna possa coadiuvare la psicoterapia e aprire nuove strade nel trattamento di malattie mentali complesse. Grazie all’ampia gamma di applicazioni possibili e al comprovato successo terapeutico, promette di essere un importante tassello nel futuro della psicoterapia.
conferenza
“Il linguaggio del trauma – Rendere il trauma narrabile” è il nome della conferenza organizzata congiuntamente dal centro terapeutico di Bad Bachgart dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige e dal Centro convegni Novacella.
L’obiettivo di questa conferenza, che si terrà il 2 aprile 2025, è quello di affrontare le varie forme di interazione con persone traumatizzate, promuovere la comprensione dei diversi linguaggi di espressione del trauma e sviluppare approcci integrativi per fornire supporto a coloro che intendono partecipare.
Informazioni dettagliate sulla conferenza e la possibilità di iscriversi sono disponibili sul sito: www.bildungshaus.it
La scadenza per l’iscrizione è il 15 marzo 2025 ed è previsto l’accreditamento ECM
Contatti: Centro Convegni Abbazia di Novacella, Tel. +39 0472 835 588, Indirizzo e-mail: bildungshaus@kloster-neustift.it
Chiunque trascorra del tempo nella natura può confermarlo: il paesaggio montano, in particolare, fa bene all’anima. Per questo motivo il Servizio Psichiatrico di Merano utilizza da tempo la cosiddetta “montagnaterapia” per curare le/i pazienti. Un progetto che si è rivelato un successo.
un respiro per l’anima
“La montagnaterapia, organizzata dal Club Alpino Italiano CAI con il supporto di esperte ed esperti, si basa su dinamiche di gruppo e si svolge nel naturale ambiente montano”, spiega lo Psichiatra Patrick Kaplan parlando di questa pratica terapeutica, nota da tempo negli ambienti specialistici.
L’Alto Adige è il luogo ideale per questo tipo di approccio, che non sarebbe applicabile altrove. “Grazie al tempo trascorso nella natura, è possibile promuovere la socializzazione tra le/i pazienti e contribuire ad aumentare il loro benessere psicofisico”. È anche un modo semplice per combattere la stigmatizzazione, promuovere l’autonomia personale e, in particolare, permettere alle persone affette da malattie psichiatriche di sperimentare come ci si sente nel momento in cui si superano delle difficoltà.
Il concetto di montagnaterapia è stato sviluppato nel 1999 dallo Psicologo e Psicoterapeuta italiano Giulio Coppola. Egli ha dimostrato che un’attività fisica regolare nella natura può ridurre la pressione sanguigna e il peso corporeo, ma anche migliorare l’insonnia, l’ansia, la depressione e l’isolamento sociale. Coppola ha riconosciuto che stare nella natura e fare escursioni in montagna porta grandi benefici al corpo e alla mente, soprattutto nelle persone che soffrono di malattie mentali.
Nel 2005 l’approccio terapeutico di Coppola è stato ampliato ed è stata creata una “Rete per la montagnaterapia” a livello nazionale: in questa rete collaborano esperte ed esperti di Salute Mentale insieme guide alpine ed escursionistiche del CAI. Ogni due anni si tengono degli incontri congiunti per condividere le esperienze e definire nuovi programmi di riabilitazione.
Nel 2020 la montagnaterapia è stata inserita tra i progetti della Commissione Centrale Escursionismo italiana, che lavora a stretto contatto con la Società Italiana Medicina di Montagna.
L’infermiera Vania Bulf, che spesso accompagna i gruppi, spiega come si svolge questa attività: “Le guide del CAI stabiliscono i percorsi e forniscono l’accompagnamento logistico, organizzativo e sicuro lungo sentieri facili e adatti. Noi del Servizio Psichiatrico accompagniamo a turno le/i partecipanti nelle loro escursioni, che sono sempre un’esperienza nuova anche per noi. Il cambiamento di ambiente ha infatti un grande impatto sul comportamento delle persone”.
Finora sono state organizzate otto escursioni, tra cui quelle al Lago di Tret, al Renon e in Val d’Ultimo.
Le escursioni sono sempre selezionate in modo da richiedere un certo sforzo, ma comunque alla portata di tutti coloro che vi prendono parte:
traduttrice:
“Lo scopo in questo caso non è l’escursione in sé, ma condividere un momento di attività all’aperto. Stare insieme e socializzare dovrebbe essere visto come un’esperienza positiva, quando possibile”, afferma Vania Bulf.
Alle escursioni partecipano in media 16 pazienti, alle/ai quali l’équipe del Servizio Psichiatrico di Merano chiede, nell’ambito del trattamento, se sono interessate/i a questa rilassante forma di terapia di gruppo. “Il feedback è molto positivo, abbiamo notato che anche le persone che inizialmente sono titubanti riguardo al progetto, dopo la prima uscita insieme appaiono molto soddisfatte”, concludono le accompagnatrici e gli accompagnatori.
sabine flarer
tatiana de bonis
Morena Di Filippo e Eva Maria Gstrein
Reinhard Ratschiller e Vania Bulf
chirurgia cardiaca ai massimi
livelli
Ora, anche a Bolzano, l’équipe medica dell’Ospedale universitario di Verona e l’équipe medica e infermieristica dell’Ospedale provinciale di Bolzano eseguono operazioni di cardiologia interventistica e cardiochirurgia.
sabine flarer
traduttore: francesco vendemia
l’amministrazione di sostegno: formazione per il personale sanitario
L’amministrazione di sostegno è uno strumento fondamentale per garantire assistenza alle persone fragili, permettendo un intervento mirato da parte dei servizi sanitari e sociali. Attraverso specifici percorsi formativi, ora anche le collaboratrici e i collaboratori dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige possono acquisire competenze essenziali per la corretta applicazione di questa misura di protezione.
tatiana de bonis
L’amministrazione di sostegno è un istituto giuridico introdotto per garantire assistenza e rappresentanza legale a persone che, a causa di infermità o menomazioni psicofisiche, non sono in grado di gestire autonomamente i propri interessi.
La disciplina dell’amministrazione di sostegno è regolamentata dalla legge n. 6/2004, che assegna alle/ ai responsabili dei servizi sanitari e sociali il compito di promuovere la nomina di un Amministratore di Sostegno (AdS) qualora emergano situazioni di fragilità che richiedano una tutela giuridica.
Per favorire una conoscenza approfondita dell’argomento, con tutte le sue implicazioni operative, l’Associazione per l’Amministrazione di Sostegno, ha organizzato dei corsi di formazione specifici destinati al personale sanitario e ai servizi sociosanitari.
Il corso intitolato “L’Amministrazione di Sostegno: Procedure, Ruoli e Competenze del Personale Sanitario e dei Servizi Socio-Sanitari”, ha l’obiettivo di fornire conoscenze teoriche e pratiche sulle procedure, le responsabilità e il ruolo dei servizi sanitari e sociali nella tutela dei beneficiari. Questo corso, proposto in diverse edizioni, si svolgerà in modalità Formazione a Distanza (FAD).
Iscrizione tramite portale ECM nelle seguenti date:
Parte I – codice ECM 19863:
• 17 marzo 2025 in lingua italiana
• 31 marzo 2025 in lingua tedesca
Parte II – codice ECM 19864:
• 15 settembre 2025 in lingua italiana
• 13 ottobre 2025 in lingua tedesca
La durata di ogni edizione sarà di tre ore, dalle 14:30 alle 17:30.
Un ulteriore approfondimento sarà offerto dal corso “L’Amministrazione di Sostegno: Ruoli, Responsabilità e Buone Prassi per il Personale Sanitario e Socio-Sanitario”, che mira a fornire una panoramica completa e integrata sulla materia, approfondendo il quadro normativo, le procedure operative, le responsabilità e il ruolo del personale sanitario e dei servizi sociali.
Questo corso, offerto in lingua italiana, sarà in presenza e si svolgerà il 24 novembre 2025 presso la sala di anatomia patologica dell’Ospedale di Bolzano dalle ore 14:30 alle ore 18:30. Iscrizione tramite portale ECM (codice 19865).
Queste iniziative formative rispondono all’esigenza di rafforzare la preparazione del personale sanitario e sociosanitario al fine di garantire un supporto adeguato alle persone fragili e assicurare un’applicazione corretta ed efficace delle norme vigenti in materia di amministrazione di sostegno.
Maggiori informazioni si trovano sul sito dell’Associazione per l’Amministrazione di Sostegno: www.sostegno.bz.it
FOTO: INGA KRAMER
intelligenza artificiale vs intelligenza umana
peter a. seebacher, traduttrice: tatiana de bonis
La seconda edizione del convegno “Scienza in Frontiera” si è svolta a San Candido dal 16 al 18 gennaio 2025. In occasione dell’incontro, intitolato “Intelligenza artificiale (AI) vs. Intelligenza umana (HI): due miti a confronto”, illustri scienziati ed esperti hanno affrontato il complesso tema del dibattito tra intelligenza artificiale e intelligenza umana.
Il congresso è stato ufficialmente aperto da Francesco Coscia, professore dell’Università di Perugia e medico presso il reparto di Medicina Interna dell’Ospedale di San Candido. I rappresentanti della Società Italiana di Fisiologia, dell’Associazione Turistica di San Candido e della Libera Università di Alcatraz, nei loro rispettivi discorsi di benvenuto, hanno sottolineato l’importanza del tema. Le persone presenti sono state accolte anche dalla Coordinatrice amministrativa del Comprensorio sanitario di Brunico, Sophie Biamino, e dal Viceprimario del reparto di Medicina Interna dell’Ospedale di San Candido, Roberto Monti.
La prima parte della conferenza si è concentrata sulle basi dell’intelligenza umana. Giorgio Fanò Illic, Presidente del Comitato scientifico dell’evento, ha aperto la discussione con una relazione introduttiva, prima che Fiorenzo Conti e Fabio Benfenati approfondissero gli aspetti neurobiologici.
Il pomeriggio del primo giorno è stato interamente dedicato all’intelligenza artificiale. I contributi di Tiziana Catarci, Vittorio Murino e Carlo Reggiani, non solo hanno fatto luce sullo sviluppo dell’IA dagli esordi a oggi, ma hanno anche discusso il suo potenziale impatto sul corpo umano e sulla scienza. Particolarmente interessante è stata la presentazione della possibile influenza dell’IA sull’anatomia e sulla fisiologia umana in futuro. La giornata si è conclusa con una cena e la proiezione di un film.
Etica, sport e medicina nel contesto dell’IA
La seconda giornata è iniziata con interventi che vertevano sulle interazioni tra intelligenza umana e artificiale. Antonio Musarò si è concentrato sulle diverse velocità con cui i due sistemi elaborano le informazioni, mentre Giulio Sandini ha esaminato l’interazione tra esseri umani e robot. Fabio Fossa ha affrontato la questione etica chiedendosi se l’intelligenza artificiale debba sostituire l’uomo o semplicemente supportarlo. Nel pomeriggio, l’attenzione si è concentrata sulle aree di applicazione pratica. Fabio Esposito ha parlato dell’influenza dell’IA nello sport, mentre Giacomo Strapazzon (Eurac) ha fatto luce sul suo ruolo nell’assistenza medica in condizioni eccezionali. Infine, Ugo Carraro ha presentato l’impatto dell’IA sulle pubblicazioni scientifiche. La giornata si è conclusa con una serata tradizionale tirolese e un concerto jazz.
Discussione finale e prospettive
La terza e ultima giornata è iniziata con l’analisi di Carlo Tacchetti sul ruolo dell’IA nella medicina moderna. Vittorio Loreto ha poi fornito una panoramica storica delle innovazioni da Laplace all’IA. Un momento speciale è stata la tavola rotonda conclusiva, in cui le relatrici e i relatori hanno riflettuto sugli aspetti principali della conferenza e hanno individuato le questioni ancora aperte per la futura ricerca. L’evento si è chiuso con le parole di saluto di Klaus Rainer, Sindaco di San Candido, e di Francesco Coscia, membro del Comitato scientifico dell’evento.
Conclusioni
La conferenza ha dato vita a un approfondito scambio interdisciplinare tra esperte ed esperti di neuroscienze, informatica, filosofia, sport e medicina. I dibattiti hanno evidenziato sia l’immenso potenziale dell’intelligenza artificiale che le sfide etiche e pratiche ad essa correlate.
assistenza e trattamento di persone con incongruenza di genere
Un contributo di Josef Gruber, Psicologo e Direttore di una struttura semplice del Servizio Psicologico di Bolzano presso l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige.
josef gruber
traduttrice: tatiana de bonis
Nella nostra vita quotidiana, professionale e privata, siamo abituati ad avere a che fare con donne e uomini, donne con un corpo femminile e uomini con un corpo maschile, e non ci chiediamo cosa renda un corpo maschile o femminile: siamo cresciuti e siamo stati educati in modo tale da saperlo “automaticamente”. Tuttavia, questa attribuzione univoca del genere non vale per tutti. Alcune persone, con un corpo femminile, si sentono uomini e altre, con un corpo maschile, si sentono donne. Dalla pubblicazione dell’ICD-11, la letteratura specializzata si riferisce a questi casi definendoli come incongruenza di genere.
Nello specifico, ciò significa che, indipendentemente dall’età, gli uomini si sentono donne e le donne si sentono uomini e vorrebbero avere caratteristiche femminili o maschili in conformità con il genere che vivono interiormente. Vorrebbero anche essere percepiti come femmine o maschi dal mondo esterno e trattati di conseguenza. Molte persone vivono questa discrepanza tra il loro corpo e la loro esperienza di genere come emotivamente molto stressante e si sforzano di conformarsi fisicamente al genere desiderato (aspetto noto come transizione).
Nelle classificazioni ICD-10 e DSM-IV, la discrepanza tra genere percepito e genere biologico era ancora considerata come un disturbo mentale. Tuttavia, nelle versioni più recenti, ICD-11 e DSM-5, l’incongruenza di genere o la
disforia di genere non sono più classificate come tali, ma riconosciute come un’esperienza vissuta dalla persona. Questo riconoscimento implica che le persone interessate siano le più consapevoli della propria esperienza interiore e di ciò di cui hanno bisogno per il loro benessere psicologico e sociale. Pertanto, è fondamentale individuare soluzioni personalizzate per migliorare la loro condizione emotiva e sociale attraverso un dialogo aperto tra le persone coinvolte e le/i professionisti. Le opzioni di trattamento clinico devono essere discusse con attenzione, analizzando in dettaglio i possibili cambiamenti e gli eventuali rischi. Solo con informazioni chiare e complete le persone interessate possono prendere una decisione consapevole e dare il proprio consenso al trattamento.
Non-binary
Negli ultimi anni, il dibattito sull’identità di genere e, in particolare, sull’identità trans, si è sviluppato in modo più aperto, portando alla luce i limiti della concezione binaria del genere (maschile o femminile).
È emerso chiaramente che una tale definizione non riflette tutte le realtà. Per questo motivo, è stato introdotto il termine non-binary, che descrive un’identità che non è né esclusivamente maschile né esclusivamente femminile. In alcuni Paesi, questa distinzione è riconosciuta anche a livello legale, consentendo l’uso di una terza opzione di genere ufficiale oltre a “maschio” e “femmina”, spesso indicata come “diverso”. In Italia, tuttavia, questa possibilità non è (ancora) prevista. Per molti anni, in Alto Adige, l’assistenza e il trattamento delle persone con incongruenza o disforia di genere sono stati gestiti da singoli operatori sanitari, principalmente psichiatri, psicologi ed endocrinologi, che seguivano gli standard esistenti ma senza linee guida interne specifiche. Più di dieci anni fa, esperte ed esperti in psicologia, psichiatria ed endocrinologia del Servizio Sanitario pubblico, insieme a rappresentanti di associazioni di pazienti, si sono riuniti per valutare come organizzare l’assistenza alle persone con incongruenza di genere in Alto Adige, considerando anche il quadro giuridico italiano e basandosi sugli
standard di trattamento allora in vigore, sugli sviluppi nel settore e sulle esperienze di altri Paesi europei. Il risultato di questo lavoro collaborativo è stata la creazione di un percorso di cura, in uso dall’agosto 2019, che viene aggiornato ogni tre anni.
Il trattamento e il supporto sono offerti da un team multidisciplinare composto da psicologhe e psicologi, psichiatre e psichiatri, endocrinologhe e endocrinologi, nonché dai Primari di Urologia e Ginecologia.
L’obiettivo dell’équipe è fornire alle persone interessate un supporto professionale che accompagni la/il paziente sin dall’accettazione del caso, passando per la diagnosi, per la terapia ormonale e arrivando infine agli interventi chirurgici, in modo da garantire un approccio completo e personalizzato.
Punto di contatto
I principali punti di riferimento sono il Servizio Psicologico di Bolzano e il Consultorio Familiare Lilith. Questi centri offrono un supporto completo alla persona interessata, accompagnandola lungo l’intero percorso di cura e avviando, se necessario, le diverse fasi del trattamento. Inoltre, forniscono informazioni, consulenze, diagnosi e sostegno anche ai familiari, sempre in accordo con la persona coinvolta. Nel loro lavoro di supporto alle/ai pazienti, le psicologhe e gli psicologi si impegnano a soddisfare due esigenze fondamentali evidenziate dalla letteratura: da un lato, il fatto che il percorso diagnostico dovrebbe essere il più breve possibile fino alla decisione sul trattamento medico per la riassegnazione di genere, in modo da evitare un’inutile sofferenza. Infatti, una diagnosi prolungata e incerta può portare a delle conseguenze psicologiche negative per chi richiede il trattamento, o aggravarle se già presenti. Dall’altro, è essenziale approfondire l’esperienza specifica di genere durante l’accompagnamento, fornendo informazioni dettagliate sulle opzioni terapeutiche, sui cambiamenti e sui rischi connessi al trattamento, sia a livello fisico che psicologico e sociale. Questo approccio consente alle persone interessate di prendere una decisione consapevole e informata rispetto alla propria transizione (consenso informato).
Decidere richiede tempo
Le psicologhe e gli psicologi, così come le psicoterapeute e gli psicoterapeuti, dedicano il tempo necessario per affrontare le diverse questioni legate alla vita di una persona transgender, anche se alcune di esse desiderano iniziare subito il percorso. Dal punto di vista psicologico, è inoltre fondamentale valutare se le persone siano in grado di prendere decisioni autonome e basate sulla realtà, sia dal punto di vista emotivo che cognitivo.
Al termine di questa prima fase, viene redatta una dichiarazione scritta in cui, come misura successiva, si raccomanda la terapia ormonale per allinearsi al genere desiderato. Se necessario, tutto ciò avviene in stretta collaborazione con il Servizio Psichiatrico o con la Psichiatria dell’Età Evolutiva.
La terapia ormonale per la riassegnazione del sesso, nel contesto dell’incongruenza di genere, viene svolta presso l’Ospedale di Bolzano. L’endocrinologa/o informa la/il paziente sul trattamento, avviandone la somministrazione e il monitoraggio, a condizione che tutti i requisiti clinici siano soddisfatti.
L’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, invece, per le/i pazienti maggiorenni non viene ancora eseguito in Alto Adige. In questi casi, le persone interessate vengono indirizzate a cliniche specializzate, previo consulto con un Primario o una Primaria di Urologia o Ginecologia.
Internamente, la responsabilità è: del Primario o della Primaria dell’Urologia dell’Ospedale di Bolzano per interventi da uomo a donna • del Primario o della Primaria di Ginecologia dell’Ospedale di Bolzano per interventi da donna a uomo
Alle persone interessate viene offerta, e se necessario consigliata, una consulenza di accompagnamento da parte di tutte le specialiste e di tutti gli specialisti clinici in ogni fase del trattamento. L’obiettivo di questo supporto professionale è monitorare l’andamento del percorso e ridurre al minimo i rischi associati al trattamento, siano essi fisici, psicologici o sociali. Nel Servizio Sanitario pubblico, la maggior parte dei professionisti e delle professioniste entra raramente in contatto (consapevole) con persone transgender. Di conseguenza, possono sorgere incertezze su come approcciarsi
josef gruber
in modo adeguato. A questo proposito, i seguenti aspetti possono servire come orientamento:
Le persone transgender sono particolarmente sensibili al modo in cui ci si rivolge loro e si aspettano di essere chiamate in base al genere con cui si identificano.
• Durante le visite, possono essere costrette a fornire ripetute spiegazioni, poiché il loro aspetto potrebbe non corrispondere al nome ufficiale, almeno fino a quando non viene legalmente modificato.
• È fondamentale garantire un trattamento professionale e rispettoso, indipendentemente dalle opinioni soggettive nei confronti delle persone transgender.
• Un esempio di situazione critica è la visita ginecologica per una persona transgender di sesso maschile.
In generale, le persone transgender dovrebbero essere trattate come tutte le altre e tutti gli altri pazienti. Ciò è possibile solo riconoscendo e integrando le loro specifiche esigenze all’interno della più ampia gamma di necessità individuali che il personale sanitario affronta quotidianamente.
clausura strategica” al centro convegni dell’abbazia di novacella
lukas raffl, traduttore: francesco vendemia
I partecipanti alla clausura nel
Centro Convegni dell’Abbazia di Novacella
Quali sono le sfide attuali nell’assistenza sanitaria della nostra provincia? Quali sono le priorità per quest’anno e per i prossimi anni? L’Azienda sanitaria è pronta per il futuro?
Il 28 ed il 29 gennaio, la Direzione dell’Azienda ha incontrato le Direzioni comprensoriali ed ospedaliere, nonché le figure responsabili dell’assistenza sanitaria territoriale, in occasione di un meeting presso il Centro Convegni dell’Abbazia di Novacella riguardante le strategie. Sono stati due giorni entusiasmanti, ricchi di conferenze di esperte ed esperti, spunti e di gruppi di lavoro sui temi attuali dell’assistenza sanitaria.
Il Prof. Francesco Longo della Bocconi di Milano e l’esperto di assistenza sanitaria della Germania Dr. Hans-Peter Schlaudt hanno apportato la prospettiva dall’esterno aprendo una “finestra” verso sud e verso nord.
Non sorprende che le sfide nell’assistenza sanitaria siano le stesse nel resto d’Italia, così come in Germania: cambiamento demografico, incremento della domanda di servizi sanitari, carenza di professionisti e personale qualificato, assistenza territoriale, trasformazione digitale, sostenibilità finanziaria dei sistemi: l’elenco delle sfide da affrontare potrebbe continuare a lungo.
L’Alto Adige, afferma con convinzione l’Assessore provinciale alla Salute Hubert Messner, che ha fatto una breve visita alle partecipanti ed ai partecipanti, si trova in una posizione complessivamente buona rispetto alle regioni limitrofe. In generale, è necessario avviare un “cambio di paradigma”: dalla “cura delle malattie” ad una maggiore promozione della salute e della prevenzione.
Nella sua presentazione, il Direttore generale Christian Kofler ha sottolineato il grande potenziale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige: se si riuscirà ad unire le forze, mettendo da parte la competizione reciproca, ed anzi al contrario collaborando insieme in rete a livello
generale
Misure concrete sono state elaborate da parte di diversi gruppi di lavoro
provinciale, coordinando ancor più strettamente i vari settori – medico, tecnico-assistenziale e amministrativo – l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige cela tuttora in sé notevoli opportunità ancora non sfruttate.
Oltre agli interventi sui temi cruciali delle Direzioni sanitaria, tecnico-assistenziale ed amministrativa, hanno avuto luogo le presentazioni sul reclutamento e la fidelizzazione del personale, sull’intelligenza artificiale nell’assistenza sanitaria ed altresì sullo sviluppo culturale nelle Aziende sanitarie. Nell’ambito di quattro gruppi di lavoro sono state elaborate misure concrete sui temi “Assistenza territoriale”, “Riduzione dei tempi di attesa”, “Trasformazione digitale” e “Sviluppo/Reclutamento del personale”.
Oltre ad una buona dose di rinnovata motivazione e soddisfazione nell’implementazione, le partecipanti ed i partecipanti si sono anche assunti il compito di informare il loro team, le colleghe ed i colleghi sugli argomenti e sui risultati più importanti dell’incontro. #PersoneCuranoPersone #Valorizzazione #SviluppoDelleCompetenze #LavoroDiSquadra #IlCuoreAlPostoGiusto
Il Direttore
Christian Kofler ha sottolineato il grande potenziale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige
0gni aggressione è di troppo
traduttrice: tatiana de bonis
Le segnalazioni di aggressioni contro il personale sanitario
sono in aumento e i massmedia riportano sempre più spesso casi di pazienti o familiari violenti. Di fronte a tutto questo l’Azienda sanitaria non resta indifferente: mai come ora si è investito così tanto nella sicurezza.
Le segnalazioni di aggressioni negli ospedali sono aumentate in modo significativo negli ultimi anni: dai 136 casi registrati nel 2022, si è passati a 160 del 2023, fino a raggiungere i 187 episodi nel 2024. Va tuttavia sottolineato che negli ultimi anni è stata promossa una maggiore sensibilizzazione all’interno delle strutture sanitarie, con l’obiettivo di assicurare che ogni aggressione venga effettivamente denunciata. Le cause che possono portare a un’escalation sono molteplici: spesso, un trattamento medico rappresenta una situazione eccezionale sia fisica che
psicologica, e sempre più frequentemente si tratta delle conseguenze di abuso di alcol e droghe. Anche tempi di attesa percepiti come lunghi, patologie psichiatriche, insoddisfazione o difficoltà di comunicazione possono contribuire a generare situazioni difficili.
Analizzando l’anno passato, emerge che nella città capoluogo, Bolzano, sono stati segnalati 54 casi, mentre a Merano, il secondo ospedale più grande, ne sono stati registrati 95. Bressanone e Brunico si collocano in una posizione in mezzo, con rispettivamente 11 e 27 episodi di violenza.
Non sorprende che coloro che operano in prima linea siano i più colpiti: in 155 casi le aggressioni erano rivolte al personale infermieristico, in 18 casi al personale medico, seguito, in ordine decrescente, dagli operatori sociosanitari, dagli assistenti sociali, dal personale amministrativo e infine dagli educatori.
La maggior parte delle aggressioni era di natura verbale (136 episodi segnalati), mentre in 73 casi si è trattato di aggressioni fisiche. L’Assessore provinciale Hubert Messner, che nel tardo autunno dello scorso anno aveva partecipato a un incontro sulla sicurezza pubblica, afferma che sono stati intrapresi passi importanti.
“Chi si reca in ospedale, sia per lavorare che per ricevere assistenza, deve poter contare su un ambiente sicuro. Sia al Pronto Soccorso che al Pronto Soccorso Pediatrico dell’Ospedale di Bolzano è stato installato un pulsante d’emergenza che allerta immediatamente le forze dell’ordine. Abbiamo intenzione di aumentare il numero di videocamere –al momento sono circa 15 solo presso
l’Ospedale di Bolzano – e vogliamo ampliare le fasce orarie di supporto da parte delle forze di sicurezza”.
Le videocamere sono collegate direttamente con il servizio di vigilanza, che è pronto a intervenire immediatamente in caso di emergenza. Attualmente, nei servizi di Pronto Soccorso degli Ospedali di Bolzano e Merano, è presente un posto di polizia e l’Assessore Messner ha chiesto che lo stesso servizio venga esteso anche all’Ospedale di Bressanone. Un altro importante obiettivo dell’Assessore era quello di ampliare l’offerta di corsi di formazione, destinati al personale, per apprendere come gestire situazioni di violenza. Ora questi corsi vengono organizzati in modo capillare in tutta l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige.
La Direttrice tecnico-assistenziale Marianne Siller sottolinea l’importanza di garantire che tutto il personale dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, ovunque operi, possa sentirsi al sicuro: “Chi lavora in aree particolarmente sensibili come il Pronto Soccorso, la Psichiatria o agli sportelli, è consapevole del fatto che un certo rischio professionale esiste. Queste collaboratrici e questi collaboratori vengono pertanto formati in modo da essere in grado di affrontare situazioni di violenza. È nostro dovere fare tutto il possibile per proteggere chi si dedica ad aiutare gli altri.” In questo contesto, i cosiddetti corsi di de-escalation si sono rivelati particolarmente utili. Qui, istruttrici e istruttori esperti mostrano come reagire a provocazioni, aggressioni o persino violenze fisiche – perché ogni aggressione è di troppo.
sabine flarer
Direttrice tecnico-assistenziale
Marianne Siller
un inizio di vita difficilwe ma con happy end
Oggi Niklas ha 12 anni ed è un ragazzo sveglio, curioso, pieno di energia e voglia di fare. È difficile immaginare che sia nato come piccolo prematuro. Sua madre, Irene, ricorda ancora i primi delicati momenti.
vera schindler
traduttrice: ilaria piccinotti
Quando Niklas è nato, il 3 dicembre 2012, alla 25a settimana di gravidanza, pesava solo 530 grammi, poco più di un pacco di pasta, era lungo soltanto 29,6 centimetri e la sua testa era grande quanto una mela. Sua madre Irene aveva vissuto una gravidanza ad alto rischio a causa di una malattia autoimmune. Dopo diversi aborti spontanei, sapeva che sarebbe stato effettivamente difficile portare avanti una gravidanza. Tuttavia, i futuri genitori sono stati colti di totale sorpresa dall’improvvisa nascita. Non sapevano ancora se aspettassero un maschio o una femmina e non avevano un nome per il loro bambino. La pancia di Irene cominciava appena a vedersi e non avvertiva ancora distintamente i primi movimenti del suo bambino.
Niklas ha trascorso i primi tre mesi e mezzo di vita nel Reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell’Ospedale provinciale di Bolzano. Qui, vengono curati tutti i prematuri, i neonati malati e i bambini provenienti da tutto l’Alto Adige che necessitano di cure mediche sub-intensive o intensive. Ogni anno, nel reparto diretto dal Primario Alex Staffler, vengono assistiti oltre 300 neonati, tra cui circa 50 prematuri molto piccoli, con un peso alla nascita inferiore a 1.500 grammi. Con un peso alla nascita di soli 530 grammi Niklas era proprio uno dei neonati prematuri più piccoli.
Irene, che ha sofferto di avvelenamento da gravidanza, detta anche gestosi, è stata in grado di vedere il suo bimbo nel Reparto di terapia intensiva solo il terzo giorno dopo il parto cesareo. Il papà di Niklas ha potuto vederlo non appena il piccolo è stato stabilizzato dopo il parto. “Mio marito mi ha mostrato una foto del nostro bambino, ma in quel momento non potevo rendermi conto che si trattava davvero di mio figlio”, racconta Irene. “Non abbiamo nemmeno pensato a un nome per lui fino a qualche giorno dopo. È stato molto spontaneo, ma pensiamo ancora che il nome Niklas gli si addica molto”.
All’età di tre anni
Il periodo in neonatologia è stato rischioso e caratterizzato da molti alti e bassi. Gli organi di Niklas erano ancora molto immaturi e, nei primi giorni, persino gli occhi restavano ancora chiusi. Ha dovuto essere ventilato artificialmente per circa un mese, dopodiché gli è stato somministrato solo un po’ di ossigeno in più per aiutarlo a respirare. I suoi polmoni sono stati trattati con cortisone, aveva un’emorragia cerebrale e non era ancora in grado di bere da solo. “All’inizio, Niklas ha dovuto essere alimentato artificialmente con un tubicino e solo dopo un mese è riuscito a succhiare. Fortunatamente, è stato possibile tirare il latte materno”, ricorda Irene. Lei stessa o le infermiere gli davano una piccola quantità di cinque millilitri di latte materno nove volte al giorno.
Irene fu dimessa due settimane dopo il parto. Da quel momento, iniziò a tenere un diario sui progressi di Niklas. “Ricordo ancora molto bene la prima volta che mi è stato permesso di tenere Niklas sul mio petto. Prima di allora, Niklas era sempre nell’incubatrice e potevamo toccare solo le mani e la testolina. È stato un momento molto emozionante ed è stata anche la prima volta che ho sentito davvero che Niklas era il mio bambino”.
Irene descrive l’équipe del Reparto di Terapia intensiva neonatale come incredibilmente prodiga verso i pazienti: “Io e mio marito ci siamo sempre sentiti a nostro agio nel reparto. Tutte le nostre domande hanno trovato risposta e ci è stato offerto anche un sostegno psicologico. I medici cercavano di placare le nostre paure ed erano costantemente a nostra disposizione. Il primario dell’epoca, Hubert Messner, è stato di grande incoraggiamento per noi genitori”.
Il 15 marzo, che avrebbe dovuto essere la data effettiva del parto, la mamma e il papà hanno potuto portare Niklas a casa con loro. “Eravamo molto felici, naturalmente”, racconta Irene. “D’altra parte, ci spaventava anche non essere più in un ambiente protetto 24 ore su 24. Ma Niklas era un bambino calmo, dormiva molto e, soprattutto, aveva acquisito un suo ritmo durante il periodo in reparto; il che era davvero di aiuto per noi”.
Niklas ha continuato a crescere molto bene, ma ha dovuto comunque sottoporsi a controlli regolari in ospedale.
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“Niklas ha un leggero problema di udito e porta degli apparecchi acustici. Anche i suoi occhi dovevano essere controllati regolarmente ed è stato trattato con fisioterapia, ergoterapia e logopedia”. Nei primi anni, i tre mesi mancanti nel suo sviluppo prenatale erano ancora evidenti.
“Io e mio marito ci siamo sempre sentiti a nostro agio nel reparto. Tutte le nostre domande hanno trovato risposta e ci è stato offerto anche un sostegno psicologico. I medici cercavano di placare le nostre paure ed erano costantemente a nostra disposizione“.
Oggi Niklas frequenta la prima classe della scuola media ed è molto sportivo: ama andare in bicicletta, arrampicarsi e nuotare. In inverno, ha un hobby speciale: il salto con gli sci. Niklas prende parte anche a gare. Irene racconta che suo figlio parla spesso di come fosse molto piccolo quando è nato e di come ora sia diventato forte. “Nostro figlio sta crescendo magnificamente e siamo molto grati per questo anche perché è un notevole risultato medico. Tutto è andato alla perfezione e abbiamo avuto il nostro lieto fine”, dice Irene.
L’hobby di Niklas è il salto con gli sci
sui pedali contro il cancro
vera schindler, traduttrice: ilaria piccinotti
Nonostante il cancro, Andreas, 57 anni, ha intrapreso un tour in bicicletta da Torino a Nimes, in Francia. Sapere di essere gravemente malato ha reso il viaggio un’esperienza per lui ancora più preziosa.
Per Andreas il ciclismo è emblema di libertà
Il calvario di Andreas è iniziato con quella che si pensava fosse una cisti al rene, che si è rivelata essere un tumore infiltratosi anche nel pancreas. Sebbene il rene e il tumore siano stati rimossi chirurgicamente, poco dopo si sono formate delle metastasi nell’addome. Nel marzo 2022, queste sono state rimosse nel corso di un’importante operazione all’ospedale universitario di Innsbruck. L’operazione è andata bene e i medici erano molto fiduciosi, ma poco dopo si sono formate nuove metastasi nei polmoni e nel fegato. Andreas è attualmente in cura presso il Reparto di Oncologia di Bressanone, dove sta avendo accesso all’immunoterapia con lo scopo di prevenire la progressione della malattia.
Padre di tre figli, afferma che la malattia è sì terribile, ma gli ha offerto anche l’opportunità di ripensare alla vita trascorsa e lo ha portato a rendersi conto che molte cose erano e sono sempre state buone e giuste. La consapevolezza di non poter guarire, la preoccupazione per la sua famiglia e il timore di non poter accompagnare i propri figli nella loro vita abbastanza a lungo sono e restano però un peso inimmaginabile. Tuttavia, Andreas è ancora pieno di gioia di vivere e sente che la sua ora non è ancora arrivata. “Adesso ho il lusso del tempo: per uscire nella natura, guardare foto, leggere o pensare. Soprattutto, voglio fare più esperienze possibili”.
Com’è nata l’idea di un tour ciclistico di più giorni? Anche prima della malattia, Andreas era un appassionato ciclista. “Per me la bicicletta è la simbiosi perfetta tra tecnologia e forza umana. Si percorrono lunghe distanze senza carburante o motore elettrico e si attraversano paesaggi e paesini che non è così facile percorrere in auto o in treno. Per me, questo è l’emblema della libertà”. Il desiderio di Andreas era proprio quello di provare nuovamente la sensazione di sentirsi libero. Così, con il supporto di suo cognato Clement, medico di cure palliative presso una clinica di Nimes in Francia, così come di un altro conoscente, ha pianificato un tour in bicicletta da Torino a Nimes.
Lo scorso autunno, Andreas ha percorso 700 chilometri con la sua bici da corsa in nove giorni, nonostante la malattia oncologica incurabile, solo per mezzo della forza dei suoi muscoli e della sua ferma volontà.
I volti di Andreas e Clement riflettono soddisfazione e gioia, ma anche la gravità del destino, che il malato di cancro e il medico delle cure palliative conoscono fin troppo bene.
Presso l’Ospedale di Bressanone con l’oncologo Gilbert Spizzo
Descrive il viaggio come “infinitamente bello”: “Finalmente, ho liberato la mia mente. Ho pensato solo a come sarei arrivato a destinazione e ho ammirato la bellezza del paesaggio. In breve, ho vissuto nel qui e ora. I miei pensieri non hanno vagato verso la mia malattia e le preoccupazioni connesse”.
Gilbert Spizzo, specialista in oncologia dell’Ospedale di Bressanone, ha sostenuto il progetto del suo paziente fin dall’inizio: “Andreas è in cura presso il Reparto di Oncologia di Bressanone da oltre due anni. Mi inchino di fronte a questa sfida particolare che ha voluto affrontare. Lo sport è assolutamente fondamentale per i nostri pazienti oncologici. È stato ed è bello e significativo vedere quanto sia felice dopo avere realizzato questa sua impresa del tour ciclistico”.
Arrivo presso la clinica di Nimes – sfida vinta!
Pedalando solo con la forza dei muscoli e della ferma volontà
A Montecarlo
personale dirigenziale: chi sono i nuovi dirigenti e chi è andato in pensione?
Nelle pagine seguenti, presentiamo alcuni collaboratori e collaboratrici che negli ultimi mesi hanno assunto un ruolo dirigenziale. Desideriamo ringraziarli tutti per il loro impegno quotidiano e auguriamo loro buon lavoro!
vera schindler, traduttore: rocco leo
Walburga Cassar è stata confermata come Primaria di Pediatria dell’Ospedale di Brunico a partire dal febbraio 2025 a seguito di una nuova procedura selettiva: “Lavoro da molti anni come pediatra presso l’ospedale e dal 2017 sono Primaria di Pediatria all’Ospedale di Brunico. Il collegamento con gli altri reparti di pediatria e con i pediatri e le pediatre locali è molto importante per me. Nella mia specializzazione, la nefrologia pediatrica, mi occupo di bambini e bambine con malattie ai reni e alle vie urinarie. Lavoro anche a stretto contatto con il Reparto di Urologia pediatrica dell’Ospedale di Bolzano”.
Stefano Murano, è stato confermato come Primario del Servizio aziendale di Medicina del Lavoro. “La Medicina del Lavoro è afferente al Dipartimento di Prevenzione che comprende una Sezione clinica e una Sezione Ispettorato medico del lavoro.
Entrambe si occupano, pur con compiti differenti, della salute e della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori. La sfida per i prossimi anni sarà quella di diffondere la cultura della prevenzione non solo delle malattie professionali ma anche di quelle croniche degenerative promuovendo, nei luoghi di lavoro, l’adozione di stili di vita sani”.
Manuela Russo, Coordinatrice delle Casse nei Poliambulatori dell’Ospedale di Bolzano. “Sono entusiasta di ricoprire questo ruolo, sono motivata a mettere a frutto le mie capacità organizzative e relazionali per garantire un supporto efficace e un’esperienza positiva per tutti i pazienti e le pazienti e anche per le colleghe e i colleghi”.
Mohsen Farsad, è stato confermato per ulteriori 5 anni nel suo ruolo di Primario del Reparto di Medicina Nucleare, si prefigge l’obiettivo di ridurre ulteriormente i tempi di attesa degli esami di Medicina Nucleare, in particolare nel campo oncologico. “Mi impegno affinché tutte le indagini abbiano un orientamento clinico e siano refertate tempestivamente. Inoltre, per il futuro sto predisponendo l’implementazione di terapie di Medicina Nucleare, con particolare attenzione al carcinoma prostatico. Intendo partecipare attivamente alla ricerca e allo sviluppo della facoltà di Medicina, al fine di promuovere metodi di trattamento innovativi e migliorare continuamente la qualità dell’assistenza incentrata sul paziente”.
Christina Troi é, oltre al suo incarico di primaria, anche coordinatrice sanitaria del Comprensorio sanitario di Bressanone dal dicembre 2024. “Dal 2018, sono Primaria dei Laboratori degli Ospedali di Bressanone e Vipiteno. Ho anche competenze metodologiche nella gestione delle strutture sanitarie. Conosco molto bene gli ospedali del Comprensorio sanitario di Bressanone. Per questo motivo, ritengo sia importante rafforzare la cooperazione ottimizzando interfacce, processi e risorse, nonché incrementando la collaborazione tra le strutture territoriali, la Medicina di Base e l’Ospedale. Pongo particolare attenzione a una buona comunicazione e collaborazione con l’obiettivo di fornire la migliore assistenza possibile alle pazienti e ai pazienti”.
Giosuè Gulli
è Primario del Reparto di Neurologia dell’Ospedale di Bolzano: “Ho accettato con piacere ed entusiasmo questo nuovo incarico, contando sul supporto della mia famiglia. Il mio obiettivo principale sarà quello di valorizzare il servizio che dirigo, puntando sulle eccellenti qualità professionali e umane di tutte le mie collaboratrici e di tutti i miei collaboratori”.
Katherina Tauber è dallo scorso ottobre tornata a fare la Coordinatrice tecnicoassistenziale della Riabilitazione pediatrica nel Comprensorio sanitario di Brunico. “Dopo il mio congedo di maternità, ora dirigo un team di 27 logopedisti e logopediste, tarapisti e terapiste occupazionali nonché fisioterapisti e fisioterapiste. Lavoriamo in quattro sedi, la clinica Salus di San Giorgio, l’Ospedale di San Candido e i distretti sanitari di Tures Aurina e Val Badia. Il mio obiettivo è fornire la migliore assistenza possibile ai nostri piccoli pazienti e alle nostre piccole pazienti e migliorare la loro qualità di vita. Un buon lavoro di squadra è particolarmente importante per me”.
Valeria Martinelli
è Coordinatrice tecnicoassistenziale dell’Emodialisi di Merano. “Da agosto 2024, ricopro il ruolo di Coordinatrice in Emodialisi, una sfida che accetto con entusiasmo e con la consapevolezza che è un’opportunità di crescita professionale. Auspico di migliorare l’aspetto comunicativo interdisciplinare lavorando in team, al fine del raggiungimento degli obiettivi con passione, innovazione e determinazione in un’ottica di miglioramento dell’assistenza”.
ha assunto di recente il compito di coordinare il personale amministrativo dei reparti clinici dell’Ospedale di Bolzano. “La mia esperienza in Azienda sanitaria è iniziata nel 2021 come collaboratrice amministrativa presso il Centro vaccinale Covid. Dal 2022, invece, ho prestato servizio presso la segreteria del Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Bolzano ed ho avuto modo di immergermi nelle dinamiche di un reparto. Come Coordinatrice amministrativa il mio obiettivo principale è ottimizzare la qualità dei servizi offerti al paziente, favorendo un clima di lavoro dinamico e stimolante”.
Barbara Durnwalder
è la Coordinatrice della cucina e della mensa dell’Ospedale di San Candido dal maggio 2024. “Non vedo l’ora di affrontare questa nuova sfida. Nonostante la carenza di personale qualificato in cucina, ci tengo particolarmente a offrire a pazienti e personale un menu il più possibile equilibrato e vario”.
Stefanie Anderlan
Eva Luisa Pirhofer
è la Coordinatrice della segreteria della Direzione comprensoriale di Merano. “Lavoro presso l’Azienda sanitaria dal 1995 e sono grata di questa nuova sfida. Sostengo i Direttori e le Direttrici e il personale nel loro lavoro quotidiano, avvalendomi dell’esperienza maturata nel Servizio di Igiene, nell’Ufficio Legale e nel Controlling. Il comportamento rispettoso è particolarmente importante per me. Sono convinta che la motivazione e il piacere nel lavoro siano favoriti quando le collaboratrici e i collaboratori vengono impiegati in base ai loro punti di forza”.
Gianina Cristina Geiszer, Coordinatrice tecnicoassistenziale dell’Ortopedia e Traumatologia di Bolzano è infermiera da 30 anni. “Dal 2014, lavoro presso l’Ospedale di Bolzano. Sono entusiasta di questo nuovo viaggio da percorrere insieme al mio team. Per me, la comunicazione rimane fondamentale per creare un clima lavorativo basato sulla fiducia. Ho fatto mio un assunto di Dale Carnegie, luminare della comunicazione: per quanto possiate trovarvi indaffarati durante la giornata di lavoro, dovete assolutamente trovare il tempo di comunicare. Tutte le brillanti idee del mondo sono prive di valore se non le comunicate”.
Ingrid Messner
è la nuova Coordinatrice del Reparto di Sterilizzazione centrale dell’Ospedale di Bressanone. “A partire dal 2006 ho lavorato come infermiera in vari reparti dell’Azienda sanitaria. Come Coordinatrice della Sterilizzazione centrale, vorrei contribuire a ottimizzare il processo di ritrattamento dei dispositivi medici e a migliorare la cooperazione con i vari reparti. La stretta collaborazione con il Reparto di Igiene dell’ospedale è essenziale per il nostro servizio. Per questo motivo, sono particolarmente lieta che la Signora Ines Kritzinger sia la mia vice”.
Erika Breitenberger è Coordinatrice tecnicoassistenziale del Servizio Diabetologico di Merano dallo scorso aprile. “La nuova sfida e la fiducia accordatami mi riempiono di grande soddisfazione. Con creatività, spirito innovativo e responsabilità, cerco di contribuire attivamente a plasmare e sostenere l’ulteriore sviluppo e la gestione del servizio. Una cultura di squadra apprezzabile e solidale è particolarmente importante per me. Non vedo l’ora di plasmare il futuro del nostro servizio insieme al mio team, competente e impegnato, nonché di continuare a garantire un’assistenza ottimale ai pazienti”.
Julia Wallnöfer, Coordinatrice tecnicoassistenziale dell’Emodialisi di Silandro è convinta che il paziente o la paziente debbano essere considerati nella sua totalità, dal punto di vista fisico, emotivo e sociale. “Il mio obiettivo è riconoscere le esigenze individuali di ogni paziente e curarlo o curarla con empatia e rispetto. È importante che l’équipe funzioni bene perché la qualità delle cure dipende dall’impegno di ogni singolo membro del team. Una comunicazione aperta, una formazione continua e una cultura di squadra apprezzabile creano un ambiente di sostegno e benessere per i pazienti, le pazienti e il personale infermieristico”.
Elke Waldthaler, Coordinatrice tecnicoassistenziale di Prove Funzionali Cardiologia/ Medicina e del Servizio di Medicina complementare, ha alle spalle 34 anni di importanti esperienze in diversi reparti dell’Ospedale di Merano.
“Da 20 anni, lavoro nelle Prove funzionali. Quattro anni fa, ho assunto il coordinamento come facente funzioni e tre anni fa mi sono occupata anche di Medicina complementare. Nonostante il lavoro quotidiano spesso turbolento, i momenti positivi superano quelli negativi. Da qui, la gioia di affrontare nuove sfide con il mio team e di garantire ai pazienti e alle pazienti la migliore assistenza possibile”.
Andreas Gartner, Coordinatore tecnicoassistenziale del Servizio di Riabilitazione e del Reparto di Cure Palliative dell’Ospedale di Brunico. “Vedo come una sfida coordinare due aree diverse, la Riabilitazione e le Cure Palliative, insieme a un team motivato, per garantire la migliore assistenza possibile dopo il ricovero.
L’obiettivo è offrire un’assistenza olistica e personalizzata in un team multiprofessionale, coinvolgere i pazienti e le pazienti nel processo decisionale e adattare il trattamento alle loro esigenze”.
Norbert Brunner, Coordinatore della Cucina e Mensa dell’Ospedale di Bressanone dall’ottobre 2024. “Ho assunto questo ruolo dirigenziale con grande piacere e cerco di svolgerlo in modo coscienzioso e umano. La mia esperienza pluriennale come cuoco in questa cucina mi ha formato e, per questo, sono anche molto consapevole di ciò che è il nostro ambiente di lavoro e di cosa ha bisogno. Ho sempre un orecchio aperto per le preoccupazioni dei miei collaboratori e collaboratrici e cerco di creare una buona atmosfera all’interno del team”.
Johannes Plieger, Coordinatore tecnicoassistenziale del Servizio radiologico dell’Ospedale di Silandro dall’agosto dello scorso anno. “I miei collaboratori e le mie collaboratrici mi stanno particolarmente a cuore. La mia principale preoccupazione è quella di ridurre i tempi di attesa. Sarei lieto se l’Ospedale di Silandro si dotasse di un tomografo a risonanza magnetica, in modo da poter offrire anche alla popolazione della Val Venosta gli esami del caso e alleggerire la pressione sugli altri ospedali”.
Ulrike Lanthaler dirige i Poliambulatori dell’Ospedale di Bressanone in qualità di Coordinatrice tecnico-assistenziale dall’inizio dell’anno. “Lavoro all’Azienda sanitaria dal 2008. La mia carriera mi ha portato dall’Anestesia alla Medicina d’Urgenza, dalla Dirigenza tecnico-assistenziale alla Dermatologia fino alla posizione di Coordinatrice dei poliambulatori. Per me è particolarmente importante fornire un’assistenza qualificata e centrata sul paziente. Non mi concentro solo sui singoli casi, ma mi preoccupo anche della soddisfazione dei miei collaboratori e delle mie collaboratrici”.
Agnes Blasbichler coordina il team tecnicoassistenziale del Reparto di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale di Bressanone dallo scorso aprile. “Lavoro presso l’Azienda sanitaria dal 1990 e ho lavorato presso l’Ospedale provinciale di Bolzano fino all’aprile 2024. Sono entusiasta di affrontare questa nuova sfida. Il mio obiettivo è promuovere le competenze e le capacità dei miei collaboratori e delle mie collaboratrici. Per me poi è importante che il personale si senta a proprio agio. Inoltre, attribuisco grande importanza al lavoro incentrato sul paziente o sulla paziente perché un’assistenza empatica e rispettosa della persona, non solo contribuisce alla sua soddisfazione, ma migliora anche l’intero ambiente di lavoro”.
Silvia Mottin, Coordinatrice tecnicoassistenziale del Servizio Riabilitativo di Vipiteno. “Dopo il rientro dalla maternità, coordino un team di nove fisioterapisti e una terapista occupazionale, che si occupano della riabilitazione di pazienti ricoverati e ambulatoriali. La sfida più grande è gestire le liste d’attesa per i pazienti e le pazienti ambulatoriali, garantendo al contempo elevati standard qualitativi: interventi efficaci, appropriati, sicuri e centrati sul paziente o sulla paziente, che deve avere un ruolo attivo nel proprio percorso riabilitativo”.
Birgit Gisser coordina la Sterilizzazione
Centrale dell’Ospedale di Brunico. “Non vedo l’ora di affrontare una nuova sfida in un campo lavorativo entusiasmante e molto vasto. Lavorare nell’ambito della Sterilizzazione
Centrale richiede un elevato senso di responsabilità, molte conoscenze di base e un alto grado di flessibilità. Non vedo l’ora di accompagnare e sostenere le collaboratrici nel loro lavoro quotidiano e di migliorare i processi all’interno della Sterilizzazione”.
Cinzia Lubiato, Coordinatrice tecnicoassistenziale del Servizio psichiatrico di Bolzano “Il 15 gennaio sono andata in pensione dopo quasi 25 di lavoro in Psichiatria... un caro saluto e un sincero grazie a tutte e tutti coloro con i quali ho avuto modo di collaborare”.
Questi dirigenti hanno da poco terminato il loro servizio attivo e sono meritatamente in pensione. Auguriamo a loro ogni bene!
Anna Huber, Coordinatrice del Poliambulatorio di Bressanone, ha recentemente concluso il suo servizio attivo. “Me ne vado con un sorriso e una lacrima negli occhi. Rido perché sono in salute e posso ancora fare molto. Piango perché mi lascio alle spalle un grande team, un lavoro che mi piaceva fare e tanti cari colleghi dell’Ospedale di Bressanone. Grazie a tutti voi per la buona collaborazione e per il tempo meraviglioso. Ora non vedo l’ora di passare più tempo con la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto e motivato nei miei sforzi professionali”.
il nostro consiglio culinario
torta di mele di zia maria
per una torta di diametro 22 cm:
· 2 mele gialle lavate e sbucciate
· limone non trattato (scorza e succo)
· 2 uova a temperatura ambiente
· 250 g zucchero
· 135 g olio di semi
· 220 g latte intero
· 1 pizzico sale
· 320 g farina 00
· 16 g lievito per dolci
· 30 g nocciole tritate (facoltativo)
· una manciata zucchero semolato
preparazione:
Sbucciate le mele e tagliatele a fettine, irroratele con il succo di limone per non farle annerire.
Con le fruste montate le uova, lo zucchero, l’olio, il latte, la scorza di limone e il pizzico di sale unendo poco per volta la farina.
Aggiungete il lievito per ultimo e versate metà del composto in uno stampo precedentemente imburrato e infarinato, disponete metà delle mele sopra l’impasto e versate il composto rimasto nello stampo.
Terminate con le mele rimanenti disponendole a raggiera, spolverizzate con poco zucchero semolato e la granella di nocciole.
Cuocete in forno a 175° per circa 40 minuti, vale la prova stecchino.
Ricetta tratta dal libro “Dolcemente me” di Alessandra Uriselli, Edition Raetia Srl
la recensiONE
don’t die: l’uomo che vuole vivere per sempre
ONEmetro: 8,5/10
Il documentario su Netflix racconta la “sfida” all’invecchiamento lanciata da Bryan Johnson, ricco imprenditore statunitense, che ha trasformato il suo corpo in un (discutibile) laboratorio “antiaging”.
Cosa siete disposti a fare per non invecchiare? Probabilmente, moltissime persone risponderebbero “tanto, tantissimo” senza ponderare fino in fondo cosa ciò comporterebbe in termini di risvolti pratici. Bryan Johnson, per rimanere giovane, è andato però ben aldilà di qualsiasi cosa tutti noi potessimo pensare di mettere sul piatto della bilancia.
Il controverso documentario Don’t die è un viaggio nell’originale quotidianità e nella filosofia di questo imprenditore quarantasettenne, ex-mormone praticante e già fondatore di Braintree – una piattaforma di pagamenti per aziende di e-commerce –, ossessionato dall’idea di ritardare quanto più possibile l’invecchiamento.
Ciò attraverso regole di alimentazione molto rigide, a un ciclo di veglia/sonno che farebbe impallidire i fan più accesi dei ritmi circadiani (sveglia alle 4:30 del mattino e sonno dalle 20:30) e l’autosomministrazione di integratori e farmaci (alcuni di questi sperimentati solo sui topi), fino a toccare le 130 pillole al giorno. Una routine questa che ha suscitato non poche polemiche.
Tuttavia, le critiche ricevute dagli opinionisti e dal mondo scientifico non hanno impedito al suo “stile” di vita di fare proseliti in tutto il globo:“Don’t Die” è diventato una sorta di movimento, anzi, una “setta” per usare la definizione utilizzata nel documentario.
Naturalmente, essendo un imprenditore con un innato senso per gli affari, i risvolti commerciali nell’agire di Johnson sono evidenti e vedono come perno l’algoritmo Blueprint, basato su un protocollo specifico che si snoda su tre fasi comprendenti alimentazione, stile di vita e il tracciamento costante dei progressi ottenuti.
Ma quali sono i risultati effettivi del suo agire?
Johnson ha arrestato realmente il suo invecchiamento?
A queste domande potrà rispondere solo la visione di questo documentario.
Prenotazione di prestazioni sanitarie: www.sanibook.sabes.it
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