Strumenti Storia Obiettivi
Personaggi Spazio e tempo
individua, attraverso un questionario, i significati del testo, dal lessico agli snodi tematici essenziali suddivide il testo in blocchi e distingue narrazione e morale costruisce un primo semplice schema della narrazione riconosce la diversa funzione dei tempi nella narrazione
Tipi di narratore
individua protagonista, personaggi principali e secondari del racconto attribuisce ai personaggi qualitĂ e caratteri riconosce alcuni aspetti dello spazio narrativo riconosce alcune semplici figure (similitudine, metafora) individua in testi letterari diversi analogie o differenze tematiche o strutturali confronta linguaggi diversi, iconico e verbale
unità di apprendimento uno
Una Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile. E’ difficile mantenere questo tipo di tensione in opere molto lunghe: e d’altronde il mio temperamento mi porta a realizzarmi meglio in testi brevi: la mia opera è fatta in gran parte di ‘short stories’. […] La concisione è solo un aspetto del tema che volevo trattare, e mi limiterò a dirvi che sogno immense cosmologie, saghe ed epopee racchiuse nelle dimensioni d’un epigramma.
sdei toria personaggi
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La
storia 1. LA DIVISIONE IN SEQUENZE
SEQUENZE una serie di inquadrature legate senza interruzione di unità, di tempo, di luogo e di azione
Come si sviluppa una narrazione? A una prima osservazione di un testo, anche semplice, possiamo accorgerci che esso è costituito di una serie di unità minime, in sé concluse e autosufficienti, che, con un termine preso in prestito dal linguaggio cinematografico, chiameremo sequenze. La storia prende corpo attraverso la combinazione di queste sequenze, perciò esercitiamoci a riconoscerle e a individuarle. L’operazione non è semplice perché: 1 le sequenze non hanno una lunghezza prefissata (da una singola frase a una serie di periodi); 2 c’è un margine di soggettività nella loro suddivisione. Qualche indicazione può comunque essere fornita. L’autonomia di queste “frazioni” narrative minime è sia di tipo contenutistico, sia di tipo sintattico. Quindi esse devono avere un senso compiuto, con un inizio e
una fine ben individuabili (segnati dalla conclusione di un periodo e talvolta da artifici grafici, come il capoverso, la spaziatura…) del segmento di “storia”, incentrata su un’unica azione, e presentare un’unità interna relativa ai personaggi, al tempo, ai luoghi. Quando dunque: cambiano i personaggi, cambiano il tempo e il luogo, si passa dall’azione alla riflessione, o da una descrizione a un dialogo e così via, si avverte una rottura dell’unità interna del “pezzo” che stiamo leggendo, possiamo stabilire che una sequenza è terminata e ne è cominciata un’altra.
Facciamo un esempio, partendo da un testo molto semplice e breve, una delle più famose fiabe del narratore danese dell’Ottocento Hans Christian Andersen (1805-1875), La principessa sul pisello.
Biografia a pag 00
La principessa sul pisello 1
C'era una volta un principe che voleva sposare una principessa, ma doveva essere una vera principessa. Girò cosí tutto il mondo in lungo e in largo per trovarne una, ma dovunque c'era sempre un non so che di poco convincente; le principesse non mancavano davvero, ma se poi fossero principesse vere non riusciva mai a saperlo con sicurezza; c'era sempre qualcosa che lo lasciava sospeso nel dubbio. Cosí tornò a casa sua, ma era molto triste, dato che gli sarebbe tanto piaciuto trovare una principessa vera.
Una notte c'era un tempo orribile: fulmini, tuoni, acqua a dirotto; che spavento! In quel mentre bussarono alla porta della città, e il vecchio re andò ad aprire. Fuori dalle mura stava una principessa: Dio mio, come l'avevano ridotta la pioggia e il brutto tempo! L'acqua le colava giú dai capelli e dai vestiti, entrava nelle scarpe dalla punta e ne usciva dai tacchi; eppure lei dichiarò di essere una vera principessa.
3
"Questo lo vedremo noi!" pensò la vecchia regina, ma non disse nulla; andò in camera, tolse tutto dal letto e mise sul fondo un pisello; prese poi venti materassi, li posò sul pisello, e sopra i materassi accumulò ancora venti cuscinoni di piuma morbida. Quella notte la principessa doveva dormire lí sopra.
La mattina dopo le chiesero come aveva dormito. - Orribilmente! - si lagnò la fanciulla - non ho quasi chiuso occhio in tutta la notte! Dio solo sa cosa c'era nel letto! Ero coricata su qualcosa di duro e sono tutta un livido blu e marrone. E’ stata una cosa terribile!
5
2
4
Capirono cosí che era una principessa vera, dato che aveva sentito il pisello attraverso venti materassi e venti cuscinoni di piuma. Chi altro avrebbe potuto avere la pelle cosí sensibile, se non una vera principessa?
Il principe la prese allora in sposa, finalmente persuaso che era una vera principessa, e il pisello andò a finire al museo, dove si può vederlo ancora oggi, se nessuno lo ha portato via.
6
Da H.C. ANDERSEN, Fiabe, Einaudi, Torino 2005
Come vedrai, abbiamo suddiviso il breve testo in sei sequenze di lunghezza variabile - da meno di 00 righi come l’ultima a 00 righi comprendenti periodi diversi come la prima e la seconda -, a ciascuna delle quali abbiamo dato un numero. Tutte iniziano con un nuovo capoverso, ma non si ha una sequenza diversa solo perché si va a capo, bensì quando cambia l’azione: così nella quinta sequenza il capoverso dopo la parola “piuma” non introduce nessuna mutazione, mentre quello dopo la parola “principessa” è seguito da un fatto nuovo: il matrimonio. In ogni sequenza appare una sostanziale unità delle azioni e dei personaggi.
2. LA TITOLAZIONE DELLE SEQUENZE Proviamo ora a fornire per ciascuna delle sequenze un breve titolo. Questa operazione ci servirà nell’immediato per verificare se abbiamo compiuto una sensata suddivisione in sequenze: in linea di massima, ciò si verifica quando il “blocco” individuato può agevolmente essere riassunto in una breve frase con un verbo, un soggetto (talvolta collettivo) e pochi complementi; se compaiono numerosi soggetti, se dobbiamo aggiungere nuovi complementi o cambia il verbo, vuol dire probabilmente che è cambiata l’azione, che si è verificato un mutamento di luoghi o di tempi e così via; sarà allora opportuno introdurre una diversa sequenza. La titolazione può essere fatta in due modi: 1. con una proposizione esplicita comprendente un soggetto, un predicato verbale e dei complementi, 2. o in stile nominale, ovvero esprimendo l’azione o l’evento con un sostantivo accompagnato dai necessari complementi. Nel primo caso avremo qualcosa che si avvicinerà molto a un “riassunto” del testo (integrando i singoli titoli con gli opportuni legami logico-sintattici); nel secondo si otterrà una sorta di “riepilogo per punti”. Riprendiamo l’esempio precedente, provando a sintetizzare con una frase il contenuto di ogni sequenza. Avremo quanto segue: 1 Un principe cercò vanamente in tutto il mondo una moglie che fosse senza ombra di dubbio una vera principessa. 2 Una notte di tempesta si presentò alla porta della città una fanciulla bagnata fradicia dalla pioggia che si dichiarava una principessa. 3 La regina le preparò il letto con un pisello sotto numerosi materassi e cuscini per verificare se fosse una vera principessa. 4 Il mattino seguente la principessa si lamentò di aver dormito male per qualcosa di duro nel letto. 5 Il principe e la regina ebbero così la prova che era una vera principessa. 6 Il principe sposò la principessa. Proviamo ora a riscrivere il tutto in stile nominale.
1 Vana ricerca da parte di un principe di una 2 3 4 5 6
principessa da sposare. Comparsa di una principessa alla porta della città in una notte di tempesta. Preparazione del letto per la principessa. Lamentele della principessa. Convincimento del principe e della regina. Nozze tra il principe e la principessa.
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3. I TIPI DI SEQUENZE I blocchi in cui possiamo dividere una storia non sono tutti della stessa natura e a seconda delle loro caratteristiche assumono differenti denominazioni: sono dette dinamiche quando, grazie ad esse, si verifica un movimento nella storia, cioè il racconto subisce degli sviluppi. Esse possono essere: - narrative quando forniscono informazioni su eventi o azioni dei personaggi; - dialogiche se la narrazione procede mediante le battute scambiate dai personaggi. sono dette statiche quando l’azione resta ferma. Esse possono essere: - descrittive se descrivono un luogo, un oggetto, un personaggio; - riflessive se contengono giudizi, commenti, riflessioni. Queste ultime possono costituire una sequenza a parte o, spesso, se brevi, essere inserite in una sequenza più ampia di natura diversa, ad esempio narrativa. Nel nostro esempio, che per la sua semplicità si affida prevalentemente alla narrazione di azioni (sequenze nn. 1, 2, 3, 5, 6) e talora al dialogo (la n. 4), qualche elemento descrittivo compare nella sequenza n. 2, e qualche elemento riflessivo nella n. 5. Come vedremo, il dosaggio dei diversi tipi di sequenze dipende dal genere di narrazione
che si vuole produrre: prevarranno quelle narrative e dialogiche nei racconti di azione, soprattutto in quelli incentrati sulla avventura o sulla suspense; se invece si mira all’analisi psicologica o alla delineazione di ambienti, di epoche storiche e così via, si userà un maggior numero di sequenze descrittive e riflessive, o anche, ponendo in bocca ai personaggi opportuni commenti e riflessioni, dialogiche; la narrazione assumerà poi un colorito poetico introducendo squarci di natura lirica. Naturalmente, mentre nel primo caso il testo assumerà un ritmo vivace e talora incalzante, operando diversamente il racconto risulterà più profondo, dettagliato o emotivamente coinvolgente, ma meno movimentato e di lettura più impegnativa.
Facciamo un esempio, constatando l’intrecciarsi degli elementi descrittivi e riflessivi con le narrazioni e le parti dialogate in un brano tratto dalla parte iniziale del romanzo Il deserto dei tartari di Dino Buzzati (1906-1972), dove il protagonista, il sottotenente Giovanni Drogo, si approssima alla Fortezza astioni alla quale è stato destinato.
Biografia a pag 00
La fortezza 1
Tutto il vallone era già zeppo di tenebre violette, solo le nude creste erbose, a incredibile altezza, erano illuminate dal sole quando Drogo si trovò improvvisamente davanti, nera e gigantesca contro il purissimo cielo della sera, una costruzione militaresca che sembrava antica e deserta. Giovanni si sentì battere il cuore poiché quella doveva essere la Fortezza, ma tutto, dalle mura al paesaggio, traspariva un’aria inospitale e sinistra.
La prima sequenza, che comprende il primo capoverso, è di carattere descrittivo. Infatti è costituita prevalentemente di descrizioni e solo in minima parte di inserti di altra natura (come “Giovanni sentì battere il cuore” di carattere narrativo);
2
Girò attorno senza trovare l’ingresso. Benché fosse già scuro nessuna finestra era accesa, né si scorgevano lumi di scolte sul ciglio dei muraglioni. Solo un pipistrello c’era, che oscillava contro una nube bianca. Finalmente Drogo provò a chiamare: - Ohilà! – gridò – c’è nessuno?
nel capoverso successivo parti narrative si alternano con elementi descrittivi e dialogici. Questa sequenza si può considerare tuttavia prevalentemente narrativa, in quanto l’effetto complessivo è quello di far progredire dinamicamente la storia;
3
Dall’ombra accumulata ai piedi delle mura sorse allora un uomo, un tipo di vagabondo e di povero, con una barba grigia e un piccolo sacco in mano. Nella penombra però non si distingueva bene, solo il bianco dei suoi occhi dava riflessi. Drogo lo guardò con riconoscenza.
il terzo capoverso è prevalentemente di carattere descrittivo; segue una sequenza dialogica, che fa progredire l’azione;
4
- Di chi cerchi, signore? – domandò. - La Fortezza cerco. E’ questa? - Non c’è più fortezza qui – fece lo sconosciuto con voce bonaria. – E’ tutto chiuso, saranno dieci anni che non c’è nessuno. - E dov’è la Fortezza allora? – chiese Drogo, improvvisamente irritato contro quell’uomo. - Che Fortezza? Forse quella? – e così dicendo lo sconosciuto tendeva un braccio, ad indicare qualcosa.
questa sequenza, corrispondente al penultimo capoverso, è di nuovo descrittiva e arresta l’azione;
5
In uno spiraglio delle vicine rupi, già ricoperte di buio, dietro una caotica scalinata di creste, a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide al-lora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza.
l’ultima sequenza (e ultimo capoverso)è di tipo prevalentemente riflessivo con un piccolo inserto finale di carattere descrittivo.
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INTRECCIO termine metaforico che, come la parola “trama”, allude al modo in cui si annodano e combinano i fili che costituiscono un tessuto FABULA termine latino che significa “racconto”, da cui derivano le parole italiane “favola” e “fiaba”
4. FABULA E INTRECCIO L’operazione che abbiamo appreso a fare con la titolazione delle sequenze si rivela molto utile per procedere a un’altra operazione essenziale alla comprensione dei meccanismi narrativi: la ricostruzione dell’intreccio. L’intreccio è la successione degli eventi di un racconto nell’ordine in cui ci vengono presentati nel testo Come si può ottenere? Semplicemente collegando i titoli delle sequenze che avremo individuato senza alterarne l’ordine. La fabula è invece la storia ricostruita secondo una stretta connessione logicotemporale.
Si ottiene riordinando le sequenze secondo un criterio cronologico e dei rapporti di causa-effetto. Come si capisce, la fabula è un’astrazione, perché leggendo un racconto ci troviamo sempre di fronte a degli intrecci. Osservando il modo in cui l’autore interviene sulla fabula, ovvero la sfasatura tra questa e l’intreccio, possiamo cominciare a percepire il grado di elaborazione di un testo e la ricerca di “effetti” che l’autore vi ha messo in atto. Duis autem vel eum iriure dolor in hendrerit in vulputate velit esse molestie consequat, vel illum dolore eu feugiat nulla facilisis at vero eros et accumsan et iusto odio dignissim qui blandit praesent luptatum zzril delenit augue duis dolore te feugait
I testi più semplici, come fiabe, favole, leggende, normalmente presentano una coincidenza tra fabula e intreccio, mentre opere più elaborate, o che comunque facciano affidamento su effetti di suspense, di sorpresa, di “spiazzamento” del lettore (ad esempio la letteratura gialla o fantascientifica), interverranno più o meno profondamente a modificare la fabula, con la rievocazione di fatti del passato e l’anticipazione di eventi futuri. L’intreccio può ribaltare totalmente l’ordine degli avvenimenti, partendo dalla fine per ricostruire gradualmente le vicende anteriori (è il caso tipico dei racconti polizieschi), o solo parzialmente, iniziando in medias res, rievocando quindi eventi passati e proseguendo poi fino alla fine senza modificare sostanzialmente la successione dei fatti (abbiamo già visto che in questo modo è costruita l’Eneide di Virgilio). L’ordine appare poi del tutto casuale in alcuni romanzi, soprattutto del primo Novecento, in cui la narrazione segue il filo della memoria del protagonista (ciò avviene, ad esempio, nell’opera di Marcel Proust Alla ricerca del tempo perduto).
Facciamo un esempio: una sintesi delle macrosequenze di un’opera che è alle origini della letteratura occidentale, l’Odissea di Omero, ti aiuterà a capire meglio quanto abbiamo detto. L’intreccio si può dividere come proponiamo:
Biografia a pag 00
Intreccio Il figlio Telemaco cerca Ulisse che si trova da anni presso Calipso ad Ogigia (I-IV). Per volontà degli dei Ulisse lascia Calipso (V). L’eroe fa naufragio nell'isola dei Feaci (VI). Accolto dal re Alcinoo, partecipa ad un banchetto e comincia a narrare (VII). Dopo la guerra di Troia, peregrinazioni di Ulisse (VIII-XI) (inizio flash-back). Ulisse si ferma presso Calipso (XII) (fine flash-back) L’eroe termina il racconto e con l’aiuto dei Feaci torna a Itaca (XIII-XIV). Ulisse incontra Eumeo che non lo riconosce e il figlio Telemaco con cui concerta la vendetta sui Proci (XV-XVI). 9 Tornato in incognito alla reggia, stermina i Proci e si rivela alla moglie Penelope (XVIIXXIII). Lasciata la città, si reca presso il padre 10 Laerte e lo riconduce alla reggia; quindi pacifica Itaca (XXIV).
1 2 3 4 5 6 7 8
Come si vede, le macrosequenze 5 e 6 costituiscono un lungo “salto all’indietro”. Proviamo allora a ricostruire la fabula:
Fabula 5 Dopo la guerra di Troia, peregrinazio6 1 2 3 4 7 8
9 10
ni di Ulisse (VIII-XI). Ulisse si ferma presso Calipso (XII). Il figlio Telemaco cerca Ulisse che si trova da anni presso Calipso ad Ogigia (I-IV). Per volontà degli dei Ulisse lascia Calipso (V). L’eroe fa naufragio nell'isola dei Feaci (VI). Accolto dal re Alcinoo, partecipa ad un banchetto e comincia a narrare (VII). L’eroe termina il racconto e con l’aiuto dei Feaci torna a Itaca (XIII-XIV). Ulisse incontra Eumeo che non lo riconosce e il figlio Telemaco con cui concerta la vendetta sui Proci (XVXVI). Tornato in incognito alla reggia, egli stermina i Proci e si rivela alla moglie Penelope (XVII-XXIII). Lasciata la città, si reca presso il padre Laerte e lo riconduce alla reggia; quindi pacifica Itaca (XXIV).
Personaggio presentato da un altro personaggio: facciamo un
esempio, tratto dal romanzo di Umberto Eco (1932), Il nome
della rosa in cui la descrizione del protagonista, Guglielmo di Baskerville è fatta da un altro personaggio, Adso da Melk (che è anche il narratore della storia).
Biografia a pag 00
Frate Guglielmo Il comportamento
L’aspetto fisico
Il comportamento
L’aspetto fisico
Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Anche il mento denunciava in lui una salda volontà, pur se il viso allungato e coperto di efelidi - come sovente vidi di coloro nati tra Hibernia e Northumbria 1 - poteva talora esprimere incertezza e per-plessità. Mi accorsi col tempo che quella che pareva insicurezza era invece e solo curiosità, ma al l'inizio poco sapevo di questa virtù, che credevo piuttosto una passione dell'animo concupiscibile,2 ritenendo che l'animo razionale non se ne dovesse nutrire, pascendosi solo del vero, di cui (pensavo) si sa già sin dall'inizio. Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò.
L’uso dell’uno o dell’altro espediente narrativo produce delle variazioni sul ritmo della narrazione, vediamole nello specifico: 1. la scena, con la coincidenza di TS e TR, produce nella narrazione un ritmo pressoché corrispondente a quello naturale; 2. con l’ellissi abbiamo invece un’accelerazione del ritmo della narrazione, in quanto il tempo utilizzato per raccontare è inferiore al tempo che i fatti narrati occuperebbero nella realtà; 3. con l’analisi invece accade l’opposto, si produce un rallentamento del ritmo, infatti il tempo richiesto all’atto del narrare supera quello che gli eventi narrati occuperebbero nella realtà.
I
personaggi PERSONAGGI Termine che deriva dal latino “persona”, cioè la maschera indossata dagli attori teatrali
1. PRESENTAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEL PERSONAGGIO Dopo aver visto come possiamo analizzare la “storia” narrataci da un testo, viene naturale soffermarci sugli attori che in questa storia agiscono, cioè i personaggi. Non è possibile infatti una storia senza personaggi, di norma umani, ma anche animali, come nelle favole, e talvolta perfino cose, come in alcuni racconti di fantascienza. Non bisogna però dimenticare che il personaggio, a cui spesso nelle nostre letture tendiamo ad attribuire una sorta di esistenza reale e autonoma, è un costrutto testuale, di cui ci è dato sapere solo quello che l’autore ha voluto che conoscessimo; è quindi su questi dati (la sua presentazione, caratterizzazione e tipologia, nonché il rapporto con gli altri personaggi e con gli eventi) che si fonderà l’analisi che si può compierne e che ora illustreremo Osserviamo innanzitutto in che modo il personaggio si presenta al lettore. La presentazione può esser fatta: in modo diretto, cioè fornendo subito informazioni sul suo aspetto, il suo comportamento, il suo carattere e così via, in modo indiretto, lasciando cioè che sia il lettore a ricostruire questi dati osservandone le azioni, le parole e i pensieri, i rapporti con gli altri personaggi.
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La prima modalità, molto frequente in testi semplici come le fiabe, le favole, la narrativa popolare, è propria anche di grandi romanzi del secolo XIX, mentre la seconda è adottata talvolta in opere che, non rendendo subito esplicite le chiavi interpretative del testo, tengono così desta l’attenzione del lettore, ne stimolano la curiosità, ne sollecitano la cooperazione.
PRESENTAZIONE DIRETTA La presentazione diretta può essere fatta da vari soggetti: 1. può presentare il personaggio il narratore; 2. può presentarlo un altro personaggio; 3. il personaggio può presentarsi da sé. Talora queste tre modalità si combinano, dando luogo a una presentazione mista. Personaggio presentato dal narratore: come esempio leggiamo un’ampia e dettagliata descrizione del padre della protagonista, che compare in uno dei maggiori romanzi del francese Honoré de Balzac (1799-1850), Eugenia Grandet.
Il Signore Grandet Il comportamento
L’aspetto fisico
La caratterizzazione psicologica e morale
L’abbigliamento
Egli non andava mai da nessuno, non voleva né ricevere né offrir pranzi; non faceva mai rumore, e sembrava economizzare tutto, perfino il moto. Non disturbava mai gli altri, per un costante rispetto della proprietà. Comunque, nonostante la dolcezza della sua voce, nonostante il suo contegno circospetto, il linguaggio e le abitudini del bottaio1 trasparivano, specie quand'era in casa. dove si dominava meno che in qualsiasi altro luogo. Fisicamente, Grandet era un uomo alto cinque piedi, tarchiato, quadrato, con polpacci di dodici pollici di circonferenza, rotule nodose e spalle larghe; il viso era rotondo, cotto dal sole, butterato dal vaiolo; il mento diritto, le sue labbra non offrivano nessuna sinuosità,2 e i suoi denti erano bianchi; gli occhi avevano l'espressione calma e ardente che il popolo attribuisce al basilisco; 3la fronte, piena di rughe trasversali, non mancava di protuberanze significative; i capelli, giallastri e brizzolati, erano bianco e oro, diceva qualche giovane, che non conosceva la gravità di una facezia detta sul signor Grandet. Il naso, grosso in punta, sosteneva una verruca venata che il popolo, non senza ragione, diceva piena di malizia. Quel viso annunziava una scaltrezza pericolosa, una probità4 senza calore, l'egoismo di un uomo abituato a concentrare i propri sentimenti nel godimento dell'avarizia e sulla sola creatura che fosse realmente qualcosa per lui, sua figlia Eugénie, sua unica crede. Atteggiamento, modo di fare, andatura, tutto in lui, del resto, attestava quella fiducia in se stesso data dall'abitudine d'esser sempre riuscito nelle proprie imprese. Per cui, sebbene di costumi facili e deboli in apparenza, il signor Grandet aveva un'indole di bronzo. Sempre vestito allo stesso modo, chi lo vedeva oggi, lo vedeva tale e quale era sempre stato dal 1791 in poi. Le scarpe robuste erano allacciate con stringhe dì cuoio; in ogni stagione portava calze di lana felpate, un paio di calzoni corti di grosso panno marrone con fibbie d'argento, un panciotto di velluto a righe alternate giallo e pulce,5 abbottonato ad angolo retto, una larga marsina6 a lunghe falde, una cravatta nera e un cappello da quacquero.7 I guanti, resistenti quanto quelli dei gendarmi, gli duravano venti mesi e, per serbarli puliti, li poneva sulla tesa8 del cappello sempre allo stesso posto, con gesto metodico. Da Eugenia Grandet, Rizzoli, Milano, 2003
1. bottaio: colui che fabbrica le botti 2. sinuosità: oihoih oihoihhoi hhoihoh oihoihho ihhlkjkjbl jblkojihhoioi oihoihoih oihoihoihoihoihoihoih oihoihoihoih oihoihoihoh oihoih ohi 3. basilisco: oihoih oihoihoihoh oihoih ohi oihoihòpoihoihh 4. probità: oihoih oihoihoihoh oihoih
5. pulce: oihoihho ihhlkjkjbl jblkojihhoioi oihoihoih oihoih 6. marsina: oi hhoihoh oihoihho ihhlkjkjbl jblkojihhoioi oihoihoih oihoihoihoihoihoihoih oihoihoihoih oihoihoihoh oihoih ohi oihoihòpoih 7.quacquero: oihoihoihoh oihoih ohi oihoihòpoihoihoihho ihhlkjkjbl jblkojihhoioi oihoihoih oihoihoihoihoihoi
Personaggio presentato da un altro personaggio: facciamo un
esempio, tratto dal romanzo di Umberto Eco (1932), Il nome
della rosa in cui la descrizione del protagonista, Guglielmo di Baskerville è fatta da un altro personaggio, Adso da Melk (che è anche il narratore della storia).
Biografia a pag 00
Frate Guglielmo Il comportamento
L’aspetto fisico
Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Anche il mento denunciava in lui una salda volontà, pur se il viso allungato e coperto di efelidi - come sovente vidi di coloro nati tra Hibernia e Northumbria 1 - poteva talora esprimere incertezza e per-plessità. Mi accorsi col tempo che quella che pareva insicurezza era invece e solo curiosità, ma al l'inizio poco sapevo di questa virtù, che credevo piuttosto una passione dell'animo concupiscibile,2 ritenendo che l'animo razionale non se ne dovesse nutrire, pascendosi solo del vero, di cui (pensavo) si sa già sin dall'inizio. Personaggio presentato da un altro personaggio: facciamo un
esempio, tratto dal romanzo di Umberto Eco (1932), Il nome della rosa in cui la descrizione del protagonista, Guglielmo di Baskerville è fatta da un altro personaggio, Adso da Melk (che è anche il narratore della storia).
Biografia a pag 00
Frate Guglielmo Il comportamento
L’aspetto fisico
Il comportamento
L’aspetto fisico
Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Anche il mento denunciava in lui una salda volontà, pur se il viso allungato e coperto di efelidi - come sovente vidi di coloro nati tra Hibernia e Northumbria 1 - poteva talora esprimere incertezza e per-plessità. Mi accorsi col tempo che quella che pareva insicurezza era invece e solo curiosità, ma al l'inizio poco sapevo di questa virtù, che credevo piuttosto una passione dell'animo concupiscibile,2 ritenendo che l'animo razionale non se ne dovesse nutrire, pascendosi solo del vero, di cui (pensavo) si sa già sin dall'inizio. Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò. Era dunque l'apparenza fisica di frate Guglielmo tale da attirare l'at-tenzione dell'osservatore più distratto. La sua statura superava quella di un uomo normale ed era tanto magro che sembrava più alto. Aveva gli occhi acuti e penetranti; il naso affilato e un po' adunco conferiva al suo volto l'espressione di uno che vigili, salvo nei momenti di torpore di cui dirò.
1. bottaio: 1. Hibernia e Northumbria:oihoih ohi oihoihòpoihoihh
Il modello di Greimas Alcuni narratologi (cioè studiosi di narratologia, la scienza della narrazione) hanno compiuto un’analisi più articolata. Lo studioso Greimas (1917) ha costruito un modello più ampio dei ruoli dei personaggi, che egli chiama attanti (una parola che ha la stessa radice di azione, atto, quindi nude funzioni legate alla sfera dell’agire) aggiungendone altri due: il destinatore (un personaggio, ma anche un’entità astratta, che propone qualcosa come oggetto del desiderio, subordinando il suo raggiungimento al superamento di alcune prove) e il destinatario (colui a cui è indirizzata l’azione del destinatore, che coincide di solito, ma non necessariamente, con il protagonista). Nelle fiabe, ad esempio, il destinatore in genere è un re che propone a uno o più personaggi di compiere delle imprese per ottenere la mano di una principessa, mentre il destinatario è l’eroe che alla fine sposa la principessa). Resta da precisare che lo schema è puramente orientativo e non va applicato in modo rigido, che non sempre tutti gli elementi si trovano in un racconto, che uno stesso personaggio può svolgere più ruoli e che questi non sono fissi, ma possono cambiare nel corso della narrazione. Lo schema proposto da Greimas è il seguente: destinatore ------------------------- oggetto ------------------------> destinatario aiutante ------------------------> soggetto <------------------------ oppositore
L’uso dell’uno o dell’altro espediente narrativo produce delle variazioni sul ritmo della narrazione, vediamole nello specifico: 1. la scena, con la coincidenza di TS e TR, produce nella narrazione un ritmo pressoché corrispondente a quello naturale; 2. con l’ellissi abbiamo invece un’accelerazione del ritmo della narrazione, in quanto il tempo utilizzato per raccontare è inferiore al tempo che i fatti narrati occuperebbero nella realtà; 3. con l’analisi invece accade l’opposto, si produce un rallentamento del ritmo, infatti il tempo richiesto all’atto del narrare supera quello che gli eventi narrati occuperebbero nella realtà.
unità di apprendimento uno
La Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile. E’ difficile mantenere questo tipo di tensione in opere molto lunghe: e d’altronde il mio temperamento mi porta a realizzarmi meglio in testi brevi: la mia opera è fatta in gran parte di ‘short stories’. […] La concisione è solo un aspetto del tema che volevo trattare, e mi limiterò a dirvi che sogno immense cosmologie, saghe ed epopee racchiuse nelle dimensioni d’un epigramma.
novella
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François-René de Chateaubriand
Il “male oscuro” del protagonista L’OPERA Il racconto venne pubblicato per la prima volta all’interno del Genio del Cristianesimo come un episodio della storia dei Natchez, la tribù della Louisiana nella quale è accolto Renato nel primo romanzo, Atala. L’opera apparve in seguito separatamente, con Atala, nel 1805. Un giovane francese, Renato, per cercare la solitudine si rifugia presso la tribù dei Natchez nella Louisiana, dove incontra un vecchio indiano, Chactas, che diventa suo padre adottivo, e un missionario, il reverendo Souël. Quando gli giunge la notizia della morte della sorella, Renato racconta a Chactas la sua storia. Dopo un’infanzia segnata da un’eccitata sensibilità in compagnia della sorella Amelia, il giovane si allontana da casa e vaga di terra in terra, senza trovare rimedio alla sua insoddisfazione. Tornato a casa, ritrova la sorella che, anch’ella tormentata da un oscuro malessere, decide di ritirarsi in convento. Durante la monacazione, Renato scopre l’inconfessabile passione di Amelia per lui e si trasferisce in America per trovare pace nella natura incontaminata. Consolato da Chactas e incitato dal reverendo Souël ad abbandonare l’egocentrismo ed essere utile ai propri simili, il giovane troverà la morte nel massacro dei Natchez.
tratto da
Renato anno 1805 (postumo) luogo Francia genere romanzo lirico
IL BRANO Renato cerca un rimedio alla propria inquietudine nel contatto con la società o confondendosi nella folla, ma si sente straniero tra gli uomini e si ritira in campagna, cercando la pace nella solitudine della natura. Ogni tentativo risulta inutile: la sua insoddisfazione si alimenta di se stessa e ogni oggetto risveglia il suo malessere e alimenta la sua fantasia e la sua ansia di infinito.
M
i trovai ben presto più solo nella mia patria di quel che fossi stato in una terra straniera. Per qualche tempo volli gettarmi in un mondo che non mi diceva niente e da cui non ero compreso. L’anima mia, che nessuna passione non aveva ancora logorata, cercava un oggetto a cui attaccarsi ma mi accorsi che davo più di quel che ricevevo. Non mi si chiedeva un linguaggio elevato, né un sentimento profondo. 5 Non facevo altro che rimpicciolire la mia vita per metterla alla pari con la società. Trattato da per tutto come uno spirito romantico, vergognoso della parte che recitavo, sempre più disgustato delle cose e degli uomini, presi il partito1 di ritirarmi in un sobborgo, per vivervi totalmente ignorato. Trovai da principio abbastanza piacere in quella vita oscura e indipendente. Sconosciuto, mi confondevo tra la folla, vasto deserto di uomini! 10 Sovente, seduto in una chiesa poco frequentata, passavo intiere ore in meditazione. Vedevo povere donne venir a prostrarsi davanti l’Altissimo, o peccatori inginocchiarsi al Tribunale della penitenza2. Nessuno usciva da quei luoghi senza un viso più sereno, e i sordi clamori che giungevano da fuori sembravano i flutti delle passioni e le tempeste del mondo che venivano a morire ai piedi del tempio del Signore. Gran Dio, che vedesti in segreto colar le mie lagrime in quei sacri ritiri, tu sai quante volte 15 mi gettai a’ tuoi piedi per supplicarti di scaricarmi del peso dell'esistenza, o di cambiare in me il vecchio uomo! Ah! chi non ha sentito qualche volta il bisogno di rigenerarsi,
di ringiovanire alle acque del torrente, François-René de Chateaubriand nacque nel di ritemprare la sua anima alla fontana 1768 a Saint-Malo, in Bretagna, da una ricca della vita! Chi non si sente qualche famiglia aristocratica; trascorse un’infanzia solitaria, educato all’orgoglio di casta dal visconte volta spossato dal peso della sua suo padre, che lo avviò alla carriera militare. Nel propria corruzione, e incapace di fare 1791 compì un lungo viaggio in America “alla alcunché di grande, di nobile, di ricerca di nuovi orizzonti”, come dirà egli stesso, e giusto! restò affascinato dai paesaggi selvaggi di quelle Quando la sera era venuta, riprenterre. Al ritorno in patria, di fronte agli eventi della rivoluzione francese si unì alle forze borboniche e, dendo la strada del mio ritiro, mi dopo l’arresto del re Luigi XVI, emigrò con gli altri fermavo sui nobili oltre il Reno (luglio 1792), quindi riparò a Londra (1793-1800), dove 20 ponti per veder tra montare il sole. pubblicò il Saggio storico sulle rivoluzioni (1797). L’astro infiammando i vapori della città, Alla morte della madre in un carcere rivoluzionario (1798) e quindi della sembrava oscillare lentamente in un fluisorella, subì una profonda crisi che lo riavvicinò alla religione tradizionale. Scrisse così nel 1799 il Genio del cristianesimo, pubblicato nel 1802, do d’oro, come il pendolo dell’orologio 3 apologia della fede cristiana, esaltata nei suoi riti e nelle sue manifestazioni dei secoli. Poscia mi ritiravo con la artistiche, di cui fanno parte due brevi romanzi, René e Atala, che sono tra le notte, a traverso un labirinto di strade prime manifestazioni del romanticismo francese. Rientrato in Francia nel solitarie. Guardando i lumi accesi nelle 1802, fu nominato da Napoleone segretario di ambasciata a Roma. Nel case degli uomini, mi trasportavo col 1806 si recò in Palestina, viaggio di cui poi scrisse il resoconto (Itinerario da Parigi a Gerusalemme,1811); nel 1809 compose l’epopea in prosa I pensiero in mezzo alle scene di dolore e di martiri e nel 1811 iniziò un’autobiografia, Le Memorie gioia che essi rischiaravano, e pensavo che, d’oltretomba. sotto tanti tetti abitati, io non avevo un amico. In mezzo alle mie riflessioni, l’ora batteva a colpi misurati sulla Torre della cat25 tedrale gotica4, e andava ripetendosi su tutti i toni, sempre più lontano, di chiesa in chiesa. Ahimè! ogni ora, nel mondo, apre una tomba e fa versare lacrime! Quella vita, che m’aveva sulle prime sedotto, non tardò a diventarmi insopportabile. Quel ripetersi delle medesime idee mi stancava. Mi misi a scandagliare il mio cuore, a domandarmi che cosa desideravo. Non lo sapevo; ma a un tratto credetti che i boschi sarebbero la mia delizia. Eccomi in un subito 30 risoluto di terminare in un esilio campestre un corso di vita appena cominciato e nel quale avevo già divorato dei secoli. 1. partito: decisione. Abbracciai questo progetto con l'ardore che metto in tutti i miei disegni; partii preci- 2. Tribunale della pitosamente per seppellirmi in una capanna, come altra volta ero partito per fare il giro penitenza: sacramento della confessione. del mondo. 3. poscia: poi. Mi si accusa d'aver gusti incostanti, di non poter godere a lungo della medesima 4. cattedrale gotica: la 35 chimera5, d’essere preda di una immaginazione che si affretta a giungere al fondo dei cattedrale è la chiesa miei piaceri, come se si stancasse della loro durata; mi si accusa di sorpassar sempre la principale di una diocesi, in cui ha sede la cattedra meta che posso toccare: ahimè! io cerco soltanto un bene sconosciuto il cui istinto del vescovo; il gotico è uno m’insegue. E’ colpa mia se dappertutto trovo limiti, se ciò che è finito non ha alcun stile artistico fiorito in valore per me? Pure io sento che amo la monotonia dei sentimenti della vita, e se aves- Europa dal secolo XII. 5. chimera: sogno si ancora la follia di credere nella felicità, la cercherei nell'abitudine. irrealizzabile. 40 La solitudine assoluta, lo spettacolo della natura presto m’immersero in uno stato 6. sovrabbondanza di vita: che quasi non è possibile descrivere. Senza parenti, senza amici, solo, per così dire, una incontenibile forza sulla terra, senz’aver ancora amato, ero oppresso da una sovrabbondanza di vita6. Certe vitale. volte arrossivo subitamente e sentivo scorrere nel mio cuore come rivi7 di lava ardente: 7. rivi: ruscelli. 8. l’ideale…futura: certe altre gettavo gridi involontari e le mie notti, sia che sognassi, sia che vegliassi, qualcosa di erano ugualmente agitate. Mi mancava qualche cosa, per riempire l'abisso adeguatamente alto su cui 45 della mia esistenza: discendevo nella valle, mi spingevo su per la montagna, invocando riversare in futuro il suo ardente desiderio di con tutta la forza dei miei desideri l’ideale oggetto d’una fiamma futura8; l’abbracciavo amare: è il bene nei venti, credevo udirlo nei gemiti del fiume: tutto era quell'immaginario fantasma, e sconosciuto di cui parla al gli astri nei cieli, e lo stesso principio della vita nell'universo. rigo 37. Pure quello stato di calma e d’inquietudine, d’indigenza9 e di ricchezza, non era 9. indigenza: povertà. 10. una rama di salcio: un senza attrattive: un ramo di salice. 50 giorno m’ero divertito a sfogliare una rama di salcio10 su d’un ruscello, e ad unire una 11. fuggitive: di breve idea a ogni foglia che la corrente portava via. Un re che tema di perdere la corona per durata.
12. stipe: ramoscelli secchi. 13. render: esprimere. 14. lande: terreni incolti. 15. uccelli di passo: uccelli migratori. 16. aquilone: vento di tramontana. 17. languore: spossatezza, debolezza. 18. tedio: noia, disgusto.
un’improvvisa rivoluzione non prova angoscie più vive delle mie a ogni accidente che minacciava i frammenti del mio ramoscello. O debolezza dei mortali! o infanzia del cuore umano che non invecchia mai! Ecco dunque a qual grado di puerilità può discendere la nostra superba ragione! E tuttavia molti uomini legano il loro destino a 55 cose tanto da nulla quanto le mie foglie di salcio. Ma come esprimere quella folla di sensazioni fuggitive11 che provavo nelle mie passeggiate? I suoni che rendono le passioni nel vuoto d’un cuore solitario somigliano al mormorio dei venti e delle acque nel silenzio d’un deserto: lo si gode, ma non lo si può ritrarre. L'autunno mi colse in mezzo a quelle incertezze: entrai con un impeto di gioia nel 60 mese delle tempeste. Delle volte avrei voluto essere uno di quei guerrieri erranti in mezzo ai venti, alle nuvole e ai fantasmi; certe altre invidiavo fin la sorte del pastore che vedevo scaldarsi le mani all’umile fuoco di stipe12 che aveva acceso in un angolo d’un bosco. Ascoltavo i suoi canti malinconici, che mi ricordavano che in ogni paese il canto naturale dell’uomo è triste, anche quando esprime la felicità. Il nostro cuore è uno strumento incompleto, una lira alla quale mancan delle corde, e su cui noi siam 65 costretti a render13 gli accenti della gioia nel tono consacrato ai sospiri. Di giorno, erravo per le grandi lande14 circondate da foreste. Come avevo bisogno di poco per fantasticare! una foglia secca che il vento cacciava davanti a me, una capanna il cui fumo si alzava tra le cime spoglie degli alberi, il musco che tremava al soffio della tramontana sul tronco d'una quercia, una roccia isolata, uno stagno deserto dove il giunco avvizzito mormorava! Il campanile del piccolo villaggio, 70 alto laggiù lontano nella valle, attirò sovente i miei sguardi; sovente seguii cogli occhi gli uccelli di passo15 che volavano sopra il mio capo. Mi figuravo le rive ignorate, climi lontani verso cui essi vanno; avrei voluto essere sulle loro ali. Un segreto istinto mi tormentava, sentivo di essere anch’io non altro che un viaggiatore; ma una voce del cielo sembrava dirmi: “Uomo, la stagione della tua migrazione non è ancora venuta; aspetta che il vento della morte si levi: allora spiegherai il volo verso quelle regioni 75 sconosciute che il tuo cuore invoca”. “Su via, levatevi presto, o desiderate tempeste, che dovete portar Renato negli spazi d’un’altra vita!”. Così dicendo, camminavo a grandi passi, le fiamme al viso, i capelli al vento sibilante, non sentendo né pioggia né brina, invasato, tormentato, e come posseduto dal demone del mio cuore. La notte, quando l’aquilone16 squassava la mia capanna e le pioggie cadevano a torrenti sul tetto, 80 quando a traverso la mia finestra vedevo la luna solcare le nuvole accumulate, come un pallido vascello che va arando le onde, mi sembrava che la vita si raddoppiasse nel fondo del mio cuore, che avrei avuto la potenza di creare dei mondi. Ah! se avessi potuto dividere con un’altra i moti dell'anima mia! Oh Dio! se tu m’avessi data una donna secondo i miei desideri; se, come al nostro primo padre, tu m’avessi condotta per mano un’Eva tratta da me stesso!... Celeste bellezza, io mi sarei prosternato davanti a te; 85 poi, prendendoti tra le mie braccia, avrei pregato l’Eterno di darti il resto della mia vita. Ahimè! ero solo, solo sulla terra! un segreto languore si impadroniva del mio corpo. Quel tedio della vita, che avevo sentito fin dalla fanciullezza, ritornava con una forza nuova. Ben presto il mio cuore non dié più alimento al mio pensiero, e io non m’accorgevo di vivere che per un profondo senso di noia. Lottai qualche tempo contro il mio male ma con indifferenza e senza il fermo proposito di vincerlo. 90 Finalmente, non potendo trovare il rimedio a quella strana ferita del mio cuore, che non era in nessuna parte ed era dappertutto, mi risolsi d’abbandonare la vita. da Renato, in Racconti, a cura di C. Bernardi, Torino, UTET, 1967
STRUMENTI DI LETTURA il personaggio Renato, malinconico e inquieto, condensa in sé le caratteristiche dell’eroe romantico: vive in funzione delle ragioni del cuore e, continuamente insoddisfatto della realtà che gli sta intorno (in cui sente la propria vita costretta e limitata), fugge alla ricerca di qualcosa che non riesce a definire, in un costante sforzo di tensione verso l’ infinito, destinato a non trovare mai soddisfazione. Questa ricerca induce Renato ad abbandonare progressivamente la civiltà per addentrarsi sempre più nella natura , sperimentando con essa un rapporto esclusivo: pertanto la natura diventa partecipe dei suoi stati d’animo, proponendogli continuamente nuovi stimoli per accendere la sua immaginazione. Nel suo rapportarsi alla realtà che lo circonda, egli oscilla tra atteggiamenti di titanismo (che lo induce a sentirsi superiore agli altri uomini) e di vittimismo (che lo fa sentire escluso dalla società), vivendo in uno stato d’animo di continua eccitazione. Buona parte dell’opera consiste proprio nella registrazione, da parte del protagonista, dei moti agitati del proprio io. Nonostante nel testo sia presente anche un narratore esterno, la scelta di affidare a Renato il racconto delle proprie vicende contribuisce a dare al brano una forte connotazione soggettiva . In questo modo l’autore sottolinea, anche dal punto di vista espressivo, il carattere fortemente egocentrico del protagonista: egli vive, agisce e riflette concentrato unicamente su se stesso, senza tenere in alcuna considerazione ciò che sta al di fuori di sé.
lingua e stile Renato si serve di un linguaggio fortemente connotativo, finalizzato a ottenere effetti lirici, tanto che l’opera si presenta, nel suo complesso, come una forma esemplare di romanzo lirico (in cui una componente essenziale è costituita dall’espressione dei sentimenti più intimi dei protagonisti in modo analogo a quanto avviene nella poesia). Ciò significa che, più che raccontare una storia, descrivendo luoghi e personaggi, il testo si pone l’obiettivo di suscitare emozioni, di evocare stati d’animo, caricando il linguaggio di forti valenze affettive. Quest’obiettivo risalta chiaramente dalla scelta dei termini operata dal narratore: le parole sono scelte molto spesso per il loro valore connotativo, più che per il loro valore denotativo (cioè per la componente informativa). Il valore denotativo ci indica il significato primo di un termine: ad esempio la parola abisso (rigo 54) significa ”luogo cui la profondità smisurata conferisce un aspetto misterioso e pauroso”. Il valore connotativo individua invece dei significati derivati che la parola può assumere se inserita in altri contesti: nel caso specifico la parola abisso può passare a definire qualunque cosa non si riesce a misurare e che per ciò stesso provoca turbamento. Troviamo infatti l’uso connotativo di questa parola in espressioni quali “l’abisso del peccato”, “tra noi c’era un abisso” o, come nel brano al rigo 54, “l’abisso della mia esistenza”: qui l’espressione suggerisce l’immagine di un’esistenza in cui il vuoto di una profondità smisurata non riesce a essere colmato.
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TITOLO DEL VOLUME
unità di apprendimento uno
LABORATORIO Comprensione 1 All’inizio del brano Renato si trova a Parigi. Quale tipo di vita sperimenta qui? 2 Quali reazioni provoca in lui il contatto col mondo? Spiega l’espressione: “Non facevo altro che rimpicciolire la mia vita per metterla alla pari con la società”. 3 Dove si trasferisce la prima volta? Perché? 4 Quali sono i luoghi che visita? Cosa cerca in essi? 5 Perché alla fine non è soddisfatto neppure del suo nuovo soggiorno? Dove decide di recarsi allora? 6 Quali sono le accuse che gli vengono mosse e come risponde? 7 Cosa prova inizialmente nel contatto con la natura? 8 In che consistono le sue fantasticherie? 9 Come si esprime riguardo all’amore? 10 Alla fine, riesce a vincere il male che lo tormenta? 11 Qual è la sua decisione finale?
Analisi Il narratore e la soggettività della narrazione
12 Come definiresti il narratore di questo testo?
Le funzioni narrative dello spazio: il paesaggio romantico
Cerca nel brano i riferimenti al paesaggio e rispondi alle seguenti domande, argomentando le tue risposte con riferimenti precisi al testo (righi e parole o espressioni).
13 La soggettività della narrazione non emerge solo dalla persona in cui si trovano le forme verbali, ma anche dall’enfasi con cui si ripetono pronomi, particelle pronominali, aggettivi possessivi di prima persona. Per verificare questa affermazione, prova a controllarne la frequenza in un capoverso di 10 righi, quello che va dal rigo 79 al rigo 88: quante volte questi elementi compaiono?
14 Nel brano proposto trovi luoghi aperti o chiusi, interni o esterni? 15 E’ uno spazio verosimile o fantastico? 16 C’è una relazione tra le notazioni spaziali e gli stati d’animo di Renato? Se sì, scegli quale tra le due alternative seguenti: a il paesaggio è in contrasto con il suo stato d’animo; b il paesaggio è una proiezione del suo stato d’animo
Lingua e stile: l’uso connotativo del linguaggio
17 Sottolinea nel testo tutte le parole usate in senso connotativo.
ANTOLOGIA
Testo e contesto: la sensibilità romantica
la novella
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18 Nel Romanticismo il cuore si sostituisce alla ragione come organo di percezione di sé e della realtà. Verifica quante volte nel brano è usato il termine cuore, specificando a quale proposito. 19 La caratteristica dell’eroe romantico consiste nell’assumere atteggiamenti a volte titanici a volte vittimistici. Distingui nel testo, sottolineandoli in modo differente, i due tipi di atteggiamento esibiti dal protagonista.
Produzione 20 Sostituisci un narratore esterno al narratore interno dell’attuale stesura, riscrivendo il testo dal rigo 32 al rigo 58.
Ripercorriamo i testo 21 René sintetizza in alcuni passaggi chiave del testo il proprio difficile rapporto con la vita, evidenziando le caratteristiche di “un male oscuro “ che lo accompagna lungo tutto il corso della sua esistenza. Non facevo altro che rimpicciolire la mia vita per metterla alla pari con la società Sempre più disgustato delle cose e degli uomini Quella vita non tardò a diventarmi insopportabile Cerco un bene sconosciuto Dappertutto trovo limiti Ciò che è finito non ha alcun valore per me Quel tedio della vita ritornava con una forza nuova Decisi di abbandonare la vita Dopo aver brevemente delineato la vicenda narrata dal protagonista, fornisci la tua spiegazione della decisione finale, facendo riferimento ai passaggi evidenziati.
Società Editrice Internazionale
Narratore e focalizzazione